Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 17 gennaio 2012  (del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri).

(GU n. 9 del 29.02.2012 ) 



    Ricorso del Presidente del  Consiglio  dei  Ministri,  rapp.to  e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso cui e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
    Contro la Provincia Autonoma di Bolzano in persona del Presidente pro tempore della Giunta provinciale;
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli articoli della legge provinciale della Provincia Autonoma di  Bolzano 28 ottobre 2011  n.  12,  pubblicata  nel  Bollettino  Ufficiale  del Trentino Alto Adige dell'8 novembre 2011 n.  45,  limitatamente  agli articoli 1, comma 3, lett. g) secondo periodo, ultima parte; 6, comma 3 lett. e) e comma 6; 10, comma 2; 12, comma  4;  13,  comma  3;  14,
comma 3 e comma 5; 16 commi 2, 3 e 4.

                                Fatto

    La  legge  provinciale  di  Bolzano   n.   12/2011   ha   dettato disposizioni  varie  per  l'«Integrazione  delle  cittadine   e   dei cittadini stranieri». Come risulta  dall'art.  2,  destinatari  delle disposizioni di questa legge «i  cittadini  stranieri  di  Stati  non appartenenti  all'Unione  europea,  regolarmente   soggiornanti   sul territorio provinciale, i rifugiati, gli apolidi, i richiedenti asilo ed i beneficiari di protezione  sussidiaria  nonche'  i  titolari  di protezione umanitaria».
    Limitatamente  agli  articoli  indicati  in  epigrafe,  la  legge provinciale e' costituzionalmente illegittima e, giusta delibera  del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2011, viene  impugnata  per  i seguenti 

                               Motivi

1. L'art. 6, comma 1, prevede: «1. Ai fini dell'integrazione  sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri e'  istituita  la  Consulta provinciale per l'immigrazione. La Consulta e' nominata dalla  Giunta provinciale e rimane in carica per la durata della legislatura.». Con questa disposizione, nell'ambito della propria  competenza  esclusiva in materia di organizzazione  provinciale,  la  Provincia  ha  dunque istituito un proprio  organo,  preposto  ad  esercitare  le  funzioni indicate dal comma 2 dell'art. 6. Anche queste funzioni  si  svolgono interamente  all'interno  dell'azione  legislativa  e  amministrativa della Provincia. Esse infatti consistono nel «a) presentare  proposte alla Giunta  provinciale  per  adeguare  le  norme  provinciali  alle esigenze che emergono in relazione al fenomeno migratorio;
    b) formulare proposte sul programma pluriennale;
    c) esprimere pareri su ogni altro argomento inerente alla materia dell'immigrazione, su richiesta della Giunta provinciale.»
    Il comma 3 dell'art. 6 disciplina la composizione della  Consulta provinciale per l'immigrazione. Nella lettera c) prevede che uno  dei componenti sia «c) una persona in veste di rappresentante unico della Questura di Bolzano e del Commissariato del Governo per la  provincia di Bolzano». Nel comma 6 l'art. 6 prevede infine che «6. I membri  di cui alle lettere a), b), c) ed f) possono essere  sostituiti  da  una persona da essi delegata».
    Disponendo in  tal  modo  la  Provincia  ha  attribuito  funzioni obbligatorie, quali sono quelle di  partecipazione  ai  lavori  della Consulta tramite un componente titolare o delegato, ad  organi  dello Stato quali la Questura di Bolzano e il Commissariato del Governo per la provincia di Bolzano; e prima ancora, ha obbligato tali  organi  a designare il proprio rappresentante nella Consulta. Piu' in generale, la  Provincia  ha  unilateralmente  coinvolto  organi   dello   Stato nell'istituzione e composizione di un proprio organo.
    In tal modo, la legge provinciale ha violato innanzitutto  l'art. 117, comma 2 lett. g) Cost., il  quale  attribuisce  alla  competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di «g) ordinamento e organizzazione amministrativa  dello  Stato  e  degli  enti  pubblici nazionali».
    Il carattere  esclusivo  della  legislazione  in  questa  materia comporta che una legge unilateralmente deliberata da una regione o da una provincia autonoma non possa attribuire  ad  organi  dello  Stato nuove  competenze,  o   comunque   condizionare   l'esercizio   delle competenze loro attribuite dalle leggi dello Stato.
    Le citate disposizioni della legge provinciale impugnata  violano inoltre l'art. 8, c. 1 n. 1 del d.P.R.  n.  670/1972  (Statuto  della Regione autonoma Trentino Alto Adige), giusta il quale  «Le  province hanno la  potesta'  di  emanare  norme  legislative  entro  i  limiti indicati dall'art. 4, nelle seguenti materie:  1)  ordinamento  degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto».
    Questa previsione chiaramente limita la potesta' della  provincia di' dettare norme relative all'organizzazione amministrativa ai  soli organi della provincia stessa, e impedisce che nell'esercizio di tale competenza  la  provincia  adotti  disposizioni  che  finiscono   con l'interferire con la potesta' esclusiva dello Stato di organizzare le
proprie strutture amministrative e di assegnare loro le competenze.
    In materia, codesta Corte costituzionale con le sentenze  n.  134 del 2004 e n. 30 del 2006, ha sottolineato che, pur nell'auspicio che «si  sviluppino  forme  di  collaborazione  tra   apparati   statali, regionali,  provinciali,  tali   forme   di   collaborazione   e   di coordinamento  non  possono  essere  disciplinate  unilateralmente  e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno  nell'esercizio  della  loro potesta' legislativa, ma devono trovare fondamento e  presupposto  in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordo tra  gli enti interessati».
    Nel caso in  esame  non  ricorre  alcuna  di  queste  condizioni, sicche' l'unilaterale intervento legislativo attuato dalla  provincia con l'art. 6, commi 3 lett. c) e 6 della legge impugnata deve  essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.
2. L'art. 10 della legge impugnata dispone: «Assistenza sociale.
    1. Hanno accesso ai servizi sociali le cittadine  e  i  cittadini stranieri con residenza e dimora stabile sul territorio  provinciale. L'accesso e' ulteriormente disciplinato dalla specifica normativa  di settore, considerando il principio di interventi uguali a parita'  di bisogno e ispirandosi ai principi di prevenzione  e  rimozione  delle situazioni di bisogno e di emarginazione sociale.
    2.  Per  l'accesso  alle  prestazioni  di  natura  economica   e' richiesto alle cittadine  e  ai  cittadini  stranieri  di  Stati  non appartenenti alla Unione europea un periodo minimo di cinque anni  di ininterrotta residenza e dimora stabile in provincia di Bolzano. 
    3.  In  funzione  della  specifica  finalita'  e   natura   delle prestazioni erogate, per le prestazioni per  il  soddisfacimento  dei bisogni fondamentali di cui all'art. 8  della  legge  provinciale  26 ottobre 1973, n. 69, e successive modifiche, possono essere  previsti dalle disposizioni di settore periodi di residenza e dimora inferiori a quanto previsto dal comma 2.
    4. La Provincia garantisce i livelli essenziali delle prestazioni previsti su tutto il territorio nazionale  dalla  normativa  statale, tra cui le prestazioni per invalidi civili, ciechi civili e sordi  di cui alla legge provinciale  21  agosto  1978,  n.  46,  e  successive modifiche.»
    Come si vede, la provincia ha ribadito il diritto  dei  cittadini stranieri  di  accedere  ai  servizi  di  assistenza  sociale,  e  ha precisato che tale diritto e' subordinato  alla  residenza  o  dimora stabile nel territorio  provinciale.  Ha  inoltre  stabilito  che  il criterio regolatore dell'erogazione delle prestazioni  dovra'  essere l'uguaglianza degli interventi a parita' di bisogno.
    Poste nel comma 1 tali premesse, la legge, tuttavia, nel comma  2 ha enucleato dall'insieme dei servizi di  assistenza  sociale  quelli genericamente consistenti in «prestazioni di natura  economica».  Per l'accesso degli stranieri a tali servizi ha chiesto il requisito  del periodo minimo di cinque  anni  di  residenza  e  dimora  stabile  in provincia di Bolzano. Disponendo in tal modo, l'art. 10  comma  2  ha inteso dare attuazione all'art. 1, comma 3, lett. g) secondo  periodo della legge  impugnata,  giusta  il  quale  «Per  le  cittadine  e  i cittadini stranieri di Stati  non  appartenenti  all'Unione  europea, l'accesso  alle  prestazioni,  che   vanno   oltre   le   prestazioni essenziali, puo' essere  condizionato  alla  residenza,  alla  dimora
stabile e alla relativa durata.».
    Mentre  non  sussistono  ostacoli  di  natura  costituzionale   a subordinare genericamente l'accesso degli stranieri alle  prestazioni  assistenziali  alla  residenza  e  dimora  stabile   nel   territorio nazionale  e   nelle   sue   articolazioni,   e'   costituzionalmente illegittimo prevedere che  tale  accesso  possa  essere  subordinato, specificamente, ad una durata  minima  di  tale  residenza  e  dimora stabile, e in particolare ad una durata minima di cinque anni.
    Tale  previsione,  prefigurata  come  possibilita'   generale   e astratta nell'art. 1,  comma  3  lett.  g)  secondo  periodo,  ultima proposizione, e  specificata,  con  riferimento  alle  prestazioni  a contenuto economico, dall'art. 10  comma  2  della  legge  impugnata, contrasta innanzitutto con l'art. 3 della Costituzione: da  un  lato,
perche' costituisce una disciplina manifestamente  contraddittoria  e irragionevole   rispetto   all'impianto   sistematico   della   stessa disciplina provinciale dell'accesso degli  stranieri  all'assistenza;
dall'altro, perche' pone una ingiustificata disparita' di trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche.
    Per quanto riguarda la ragionevolezza, si e' visto che l'art.  10 comma 1 della legge impugnata, dopo avere correttamente previsto  che la  residenza   e   dimora   stabile   nel   territorio   provinciale costituiscono  presupposto  dell'accesso  ai  servizi  di  assistenza sociale (in modo che sia assicurato il logico  collegamento  spaziale tra  il  bisogno  dell'individuo  e  l'ente   pubblico   preposto   a soccorrervi),  dispone,  del  pari  correttamente,  che  il  criterio fondamentale dell'erogazione dei servizi  deve  essere  l'uguaglianza degli interventi a parita' di bisogno e di emarginazione sociale.  E' allora evidente l'irragionevolezza  della  previsione  del  comma  2, secondo cui proprio i piu'  rilevanti  servizi  sociali,  quali  sono quelli a contenuto economico, siano  ulteriormente  subordinati  alla durata almeno quinquennale della residenza e dimora stabile. Infatti, la durata minima della residenza o dimora non ha  alcun  collegamento necessario con l'entita' del bisogno o con il grado di emarginazione.
Persone immigrate nella provincia da paesi extracomunitari da meno di cinque anni, ma pur  sempre  stabilmente  residenti  o  dimoranti  in provincia, possono versare (e, anzi,  e'  ragionevole  presumere  che versino) in condizioni di bisogno  o  di  emarginazione  maggiori  di persone immigrate da cinque o piu' anni. E' quindi  irragionevole,  e percio' contrario all'art. 3 cost. nella parte in cui questo pone  il principio di ragionevolezza e proporzionalita' della legge, prevedere nel  comma  1  che  l'erogazione  degli  interventi   dovra'   essere proporzionale al bisogno, e poi nel comma 2 escludere a priori  dagli interventi piu' rilevanti intere categorie di  soggetti,  selezionate non in base all'entita' o alla natura del bisogno, bensi' in base  ad un dato neutro,  e  al  limite  casuale,  quale  la  durata  infra  o ultraquinquennale della residenza o dimora stabile.
    L'art. 10 comma 2 (e l'art. 1 comma 3 lett.  g)  secondo  periodo ultima parte, che ne costituisce la premessa) violano  poi  l'art.  3 cost. nella parte in cui questo pone  direttamente  il  principio  di uguaglianza,  inteso  come  divieto  di  trattare  in  modo   diverso situazioni  identiche  o  analoghe.  Infatti,   come   si   e'   gia' evidenziato, la mera durata della residenza o dimora stabile  non  e' circostanza idonea a differenziare in  modo  sostanziale  le  diverse situazioni di bisogno o di emarginazione. Non lo sarebbe  neppure  la durata (p. es. infra o ultraquinquennale) della situazione di bisogno o di emarginazione, visto che tali situazioni vanno comunque valutate nella loro consistenza e gravita' intrinseca, di cui la  durata  puo'
solo essere, ma non necessariamente e', un indice significativo  (per cui  una  situazione  di  bisogno  «piu'  lunga»  puo'   ben   essere intrinsecamente meno grave di un'altra situazione che  data  da  meno tempo);  ma  tantomeno   puo'   costituire   circostanza   idonea   a differenziare  le  situazioni  la  mera  durata  della  residenza,  a prescindere dal momento in cui e' insorto lo stato  di  bisogno.  Per cui uno straniero residente, p. es., da tre  anni  e  che  per  tutto questo periodo ha versato in stato di bisogno verrebbe escluso  dagli interventi assistenziali in questione, mentre vi sarebbe ammesso  uno straniero residente da cinque anni e un  mese,  che  sia  entrato  in stato di bisogno solo nell'ultimo mese.
    Disposizioni analoghe sono gia' state censurate da codesta Corte.
    L'analogo art. 4 della legge della Regione Friuli-Venezia  Giulia n. 6 del 2006 (come modificato dall'art. 9, commi 51, 52, e 53  della 1.r. n. 24 del 2009) e' stato recentemente giudicato incostituzionale con la sentenza n. 40 del 2011 perche' una disciplina di questo  tipo introduce  nel  tessuto  normativo   un   elemento   di   distinzione arbitrario, non essendovi alcuna ragionevole  correlabilita'  tra  la condizione  positiva  di  ammissibilita'  al  beneficio   (quale   la residenza protratta da almeno cinque anni) e  gli  altri  particolari requisiti  (consistenti  in  situazioni  di  bisogno  e  di   disagio riferibili  direttamente   alla   persona   in   quanto   tale)   che costituiscono  il  presupposto  di  fruibilita'  di  una  provvidenza sociale che, per la sua stessa natura, non tollera distinzioni basate su particolari tipologie di residenza in grado di  escludere  proprio coloro che risultano i  soggetti  piu'  esposti  alle  condizioni  di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si  propone  di  superare  perseguendo  una  finalita'  eminentemente sociale.
    Nella sentenza ora citata codesta Corte conclude  affermando  che «tali  discriminazioni  contrastano  con  la  funzione  e  la   ratio normativa  stessa  delle  misure  che  compongono  il   complesso   e articolato  sistema  di  prestazioni  individuato   dal   legislatore regionale nell'esercizio  della  propria  competenza  in  materia  di servizi sociali, in violazione del limite di  ragionevolezza  imposto dal rispetto del principio di uguaglianza (art. 3 Cost)».
    Con particolare riferimento alla attribuzione  delle  prestazioni assistenziali alle persone straniere  regolarmente  soggiornanti  sul territorio nazionale, codesta Corte  ha  inoltre  precisato,  con  la sentenza n. 61 del 2011, che: «una volta che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non  sia  in  discussione,  non  si  possono discriminare  gli  stranieri,   stabilendo,   nei   loro   confronti, particolari limitazioni per il  godimento  dei  diritti  fondamentali della persona,  riconosciuti  invece  ai  cittadini»  ed  ha  inoltre aggiunto, circa l'individuazione delle condizioni  per  la  fruizione delle prestazioni che: «la  asserita  necessita'  di'  uno  specifico titolo di soggiorno per fruire dei servizi  sociali  rappresenta  una condizione restrittiva che, in tutta evidenza, si porrebbe (dal punto di vista  applicativo)  in  senso  diametralmente  opposto  a  quello indicato da questa Corte, i cui ripetuti interventi [cfr. sentenze n. 187 del 2010 e n. 306 del 2008] sono  venuti  ad  assumere  incidenza generale ed immanente nel  sistema  di  attribuzione  delle  relative provvidenze».
    Sotto quest'ultimo aspetto, che tocca la diversa  posizione  che, per quanto riguarda l'accesso alle prestazioni sociali,  viene  fatta agli stranieri residenti nella provincia di Bolzano rispetto a  tutti gli altri stranieri residenti nel  territorio  nazionale,  l'art.  10 comma 2 e' altresi' illegittimo per violazione dell'art. 8  n.  25  e
dell'art. 4 dello Statuto della regione autonoma Trentino Alto Adige.
    L'art. 8 n. 25, infatti, attribuisce alla provincia la competenza a dettare  disposizioni  in  materia  di  «assistenza  e  beneficenza pubblica»; ma, come avverte lo stesso art. 8  nella  proposizione  di esordio,  cio'  deve  avvenire  comunque  «entro  i  limiti  indicati nell'art.  4».  Tali  limiti,  come  e'  noto,   sono,   oltre   alla Costituzione   e   agli   obblighi   internazionali,    i    principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e le  norme  fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica.
    In questa prospettiva divengono allora  rilevanti  norme  statali che certamente  costituiscono  principi  fondamentali  della  materia dell'assistenza pubblica quali l'art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998 e l'art.  80,  comma  19,  della  legge  23  dicembre  2000,   n.   388 (Disposizioni per la formazione del  blancio  annuale  e  pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), che, ai fini  della  fruizione delle  provvidenze  e  delle  prestazioni,   anche   economiche,   di assistenza sociale, equiparano ai cittadini  italiani  gli  stranieri titolari della carta di soggiorno  o  di  permesso  di  soggiorno  di durata non inferiore ad un anno.
    Pertanto la disposizione impugnata, che subordina  l'attribuzione delle prestazioni assistenziali di natura economica al  possesso,  da parte di chi risulti  soggiornare  legalmente  nel  territorio  dello Stato, anche del particolare e ulteriore requisito della residenza in provincia di Bolzano per un periodo  minimo  ininterrotto  di  cinque anni, e' illegittima anche perche' comporta l'esclusione assoluta  di intere categorie di persone fondata sulla mancanza di  una  residenza temporalmente protratta in una misura cinque volte maggiore di quella prevista dai principi generali della materia.
    Da quanto ora Osservato  emerge  che  la  disposizione  impugnata viola, infine,  anche  l'art.  117,  comma  2  lett.  m)  Cost.,  che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di  livelli essenziali  delle  prestazioni  sociali.  La  durata   minima   della residenza nel territorio dello  Stato  necessaria  per  ammettere  lo straniero alle prestazioni  di  assistenza  sociale,  e'  infatti  un elemento che,  come  e'  palese,  concorre  in  modo  determinante  a definire   il   livello   essenziale   delle   prestazioni   sociali: l'essenzialita' di tale elemento deriva  dalla  ovvia  considerazione che la mancanza del requisito temporale  minimo  si  traduce  per  lo straniero nell'impossibilita' assoluta di accedere al  servizio.  Non e' quindi consentito alle regioni e alle  province  autonome  fissare requisiti temporali piu' elevati di quelli fissati dalla legislazione statale per l'accesso ai  servizi  dell'assistenza  sociale,  perche' cio' modificherebbe immediatamente il livello essenziale, inteso come concreta fruibilita', dell'erogazione di tali servizi.
    La sussistenza dei vizi fin qui denunciati relativamente all'art. 10 comma 2 (e all'art. 1, comma 3, lett. g)  secondo  periodo)  della legge impugnata non potrebbe poi essere esclusa dalla  considerazione dei commi 3 e 4 dello stesso art. 10. Questi  prevedono  che  «3.  In funzione  della  specifica  finalita'  e  natura  delle   prestazioni erogate, per  le  prestazioni  per  il  soddisfacimento  dei  bisogni fondamentali di cui all'art. 8 della  legge  provinciale  26  ottobre 1973, n. 69, e successive modifiche, possono  essere  previsti  dalle disposizioni di settore periodi di residenza  e  dimora  inferiori  a quanto previsto dal comma 2.
    4. La Provincia garantisce i livelli essenziali delle prestazioni previsti su tutto il territorio nazionale  dalla  normativa  statale, tra cui le prestazioni per invalidi civili, ciechi civili e sordi  di cui alla legge provinciale  21  agosto  1978,  n.  46,  e  successive modifiche.»
    Quanto al comma 4, va innanzitutto  osservato  che,  come  appena rilevato, la determinazione dei requisiti temporali minimi attiene ai livelli essenziali delle prestazioni sociali, per cui l'obbligo della provincia,  ribadito  dal  comma  4,  di  assicurare   tali   livelli essenziali  comporta   innanzitutto   l'impossibilita'   di   fissare requisiti temporali di ammissione piu' gravosi  di  quelli  stabiliti dalla legge statale.
    Ma anche a voler escludere che la  determinazione  dei  requisiti temporali minimi attenga alla disciplina dei livelli essenziali delle prestazioni, comunque si dovrebbe considerare che la discrezionalita' legislativa delle regioni  e  provincie  autonome  sussistente  nella sfera eccedente i livelli essenziali deve  comunque  esercitarsi  nel rispetto di tutti gli altri principi costituzionali. E  si  e'  sopra ampiamente visto che la previsione di un requisito speciale  come  la residenza almeno quinquennale contrasta con l'art. 3 cost. e con  gli arti. 4 e 8 dello Statuto.
    Quanto al comma 3 dell'art. 10, va osservato che esso si limita a prevedere  una  mera  possibilita',  del  tutto   discrezionale,   di introdurre deroghe di settore al  requisito  quinquennale  in  esame.
Come tale, il comma 3 non e' idoneo ad elidere  l'illegittimita'  del sistema  incentrato,  come  norma   di   principio,   sul   requisito quinquennale di cui al comma 2; e anzi appare idoneo ad accrescere la disuguaglianza e l'irrazionalita' del sistema, nella  misura  in  cui prefigura  su  basi  del  tutto  incerte  l'introduzione  di  deroghe valevoli per taluni servizi e non per altri.
    3. L'art. 12 della legge impugnata,  intitolato  alle  «Politiche abitative e di accoglienza», prevede nel comma 4 che «4. I  requisiti igienico-sanitari,  quelli  di  idoneita'  abitativa  degli  alloggi, nonche' i requisiti  inerenti  al  reddito  minimo  annuo  richiesti, all'atto della domanda, ai fini del ricongiungimento familiare  delle cittadine  e  dei  cittadini  stranieri  di  Stati  non  appartenenti all'Unione europea, sono  quelli  applicati  per  le  cittadine  e  i cittadini residenti nel territorio provinciale.»
    Questa disposizione pone un'equiparazione soltanto apparente  tra cittadini residenti nel territorio provinciale e stranieri. L'oggetto specifico  della  disposizione  e',  infatti,   il   ricongiungimento familiare, che e' una situazione giuridica  di  diritto  condizionato configurabile soltanto in relazione a famiglie composte integralmente
da stranieri extracomunitari, di cui uno sia residente nel territorio nazionale,  mentre  gli  altri  membri  risiedono  all'estero.   Tale situazione non e'  invece  a  priori  configurabile  in  relazione  a famiglie composte integralmente da cittadini italiani o  dell'Unione, residenti nel territorio nazionale,  o  a  famiglie  composte  da  un membro cittadino italiano  o  dell'Unione  residente  nel  territorio nazionale, e da altri membri cittadini stranieri,  residenti  o  meno che siano nel territorio nazionale. In tutte queste altre situazioni, infatti, il diritto  del  membro  della  famiglia  non  residente  di ricongiungersi con il membro residente nel territorio  nazionale  che sia cittadino italiano o dell'Unione  non  puo'  essere,  e  non  e', assoggettato ad alcuna restrizione.
    Chiarito, quindi,  che  il  ricongiungimento  familiare  riguarda soltanto le famiglie di stranieri extracomunitari, ne discende che la disposizione in esame si risolve in una forma di  disciplina  diretta da parte della legge provinciale di alcune delle condizioni a cui  il ricongiungimento viene subordinato; in particolare  delle  condizioni inerenti all'alloggio e al reddito annuo minimo.
    Come tale, la disposizione in esame  e'  contraria  all'art.  117 comma 2 lett. b) Cost., il quale attribuisce alla competenza  statale esclusiva la legislazione in materia di «b) immigrazione».  Stabilire i  requisiti  di  reddito  e  di  alloggio  necessari  affinche'  uno straniero possa stabilirsi  nel  territorio  nazionale  a  titolo  di ricongiungimento familiare con altro straniero gia' quivi  residente, significa  infatti  disciplinare  direttamente  una  fattispecie   di immigrazione. La materia esula  quindi  del  tutto  dalla  competenza provinciale. La disposizione qui impugnata (art.  12,  comma  4  1.p. 12/2011) viola, inoltre, gli artt. 8, 9 e 10 dello  Statuto,  poiche'
nessuna delle previsioni di competenza legislativa contenute in  tali articoli attribuisce alla provincia di Bolzano competenze in  materia di disciplina dell'immigrazione.
    La materia del ricongiungimento familiare e' infatti  interamente regolata dall'art. 29, comma 3, del D.lgs. n.  286/1998,  che  impone allo straniero che richiede  il  ricongiungimento  di  dimostrare  la disponibilita' di un reddito minimo annuo non  inferiore  all'importo annuo  dell'assegno  sociale,  aumentato  sulla  base  di   parametri specificamente indicati nello stesso comma, e stabilisce inoltre  che i requisiti relativi  all'alloggio  siano  accertati  dai  competenti uffici comunali.
    4. L'art. 13 della legge impugnata, intitolato  alla  «Formazione professionale per adulti e politiche del lavoro», prevede nel comma 3 che «3. La Provincia favorisce  il  soggiorno  e  la  permanenza  sul territorio di cittadine e cittadini stranieri che, in possesso di  un titolo  di  studio  universitario,  di  istruzione  superiore  o   di particolari  specializzazioni  professionali,  svolgano  periodi   di addestramento  professionale  con  carattere  di  lavoro  subordinato presso datori di lavoro operanti in provincia  oppure  partecipino  a programmi di ricerca scientifica presso istituti di ricerca  pubblici o privati.». Questa premessa rientra nella competenza provinciale  in materia  di   formazione   professionale.   Illegittima   e'   invece l'applicazione che il medesimo comma fa della premessa stessa.
    La disposizione, infatti, prosegue prevedendo che «In particolare la Provincia  promuove,  per  quanto  di  sua  competenza,  la  piena attuazione sul suo territorio  della  Direttiva  2005/71/CE  relativa alla procedura per l'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca  scientifica,  la  relativa   stipula   di   convenzioni   di
accoglienza e la conseguente parita' di trattamento».
    Questa  disposizione  viola  ancora  una  volta  la  riserva   di legislazione statale esclusiva in materia di immigrazione  (art.  117 comma 2 lett. b)  Cost.).  La  Direttiva  2005/71,  infatti,  ha  per oggetto «le condizioni per l'ammissione  dei  ricercatori  dei  paesi terzi negli Stati membri per una durata superiore a tre mesi al  fine di svolgervi un progetto di ricerca nell'ambito di una convenzione di accoglienza con un istituto  di  ricerca»  (art.  1).  Essa,  quindi, prefigura una  procedura  particolare  di  immigrazione  riservata  a questa categoria di stranieri  (i  ricercatori  scientifici).  Non  a caso, il tredicesimo considerando della Direttiva chiarisce che «(13) La  procedura  specifica   per   i   ricercatori   si   fonda   sulla collaborazione degli istituti di ricerca con le autorita' degli Stati membri competenti in materia di immigrazione, attribuendo ai primi un ruolo di primo  piano  nella  procedura  di  ammissione  al  fine  di agevolare e accelerare l'ingresso e il soggiorno dei  ricercatori  di paesi terzi nella Comunita', pur facendo salve le  prerogative  degli Stati membri in materia di disciplina dell'immigrazione.»
    Ne consegue che l'attuazione della Direttiva rientra nei  compiti esclusivi dello Stato in materia di disciplina dell'immigrazione.  La finalita' di ricerca scientifica in vista della quale viene  concesso l'ingresso  agli  stranieri  non  puo',   insomma,   tradursi   nello svuotamento delle competenze nazionali in  materia  di  immigrazione, che il nostro ordinamento costituzionale riserva allo Stato.
    Ed infatti lo Stato ha attuato la Direttiva con il d. lgs. n.  17 del 2008, il cui art. 1 ha inserito nel d. lgs.  n.  286/1998  l'art. 27-ter, del seguente tenore:
        «"Art. 27-ter (Ingresso e soggiorno per ricerca scientifica).
- 1. L'ingresso ed il soggiorno per periodi superiori a tre mesi,  al di' fuori delle quote di cui all'art. 3, comma  4,  e'  consentito  a favore di stranieri in possesso di un titolo di studio superiore, che nel Paese dove  e'  stato  conseguito  dia  accesso  a  programmi  di dottorato. Il cittadino straniero,  denominato  ricercatore  ai  soli fini  dell'applicazione  delle  procedure   previste   nel   presente articolo,  e'  selezionato  da  un  istituto  di   ricerca   iscritto nell'apposito elenco tenuto dal Ministero  dell'universita'  e  della ricerca.
    2. L'iscrizione nell'elenco di cui al comma 1, valida per  cinque anni, e' disciplinata con decreto  del  Ministro  dell'universita'  e della ricerca e, fra l'altro, prevede:
        a) l'iscrizione nell'elenco da parte di istituti, pubblici  o privati, che  svolgono  attivita'  di'  ricerca  intesa  come  lavoro creativo svolto su base sistematica per aumentare il  bagaglio  delle conoscenze, compresa la conoscenza dell'uomo, della cultura  e  della societa', e  l'utilizzazione  di  tale  bagaglio  di  conoscenze  per
concepire nuove applicazioni;
        b) la  determinazione  delle  risorse  finanziarie  minime  a disposizione  dell'istituto  privato  per  chiedere   l'ingresso   di ricercatori e il numero consentito;
        c)  l'obbligo  dell'istituto  di  farsi  carico  delle  spese connesse all'eventuale condizione  d'irregolarita'  del  ricercatore, compresi i costi relativi all'espulsione, per  un  periodo  di  tempo pari a sei mesi dalla cessazione della convenzione di accoglienza  di cui al comma 3;
        d) le condizioni per la revoca dell'iscrizione  nel  caso  di inosservanza alle norme del presente articolo. 
    3. Il ricercatore e l'istituto di  ricerca  di  cui  al  comma  1 stipulano una convenzione di accoglienza con cui  il  ricercatore  si impegna a realizzare il progetto di ricerca e l'istituto  si  impegna ad accogliere il ricercatore. Il  progetto  di  ricerca  deve  essere approvato dagli organi di amministrazione dell'istituto medesimo  che valutano  l'oggetto  della  ricerca,  i  titoli   in   possesso   del ricercatore rispetto all'oggetto della ricerca, certificati  con  una copia  autenticata  del   titolo   di   studio,   ed   accertano   la disponibilita' delle risorse finanziarie per la sua realizzazione. La convenzione stabilisce il  rapporto  giuridico  e  le  condizioni  di lavoro del ricercatore, le risorse mensili messe a sua  disposizione, pari ad almeno il  doppio  dell'assegno  sociale,  le  spese  per  il viaggio di ritorno,  la  stipula  di  una  polizza  assicurativa  per malattia per il ricercatore ed i suoi familiari ovvero l'obbligo  per l'istituto di provvedere alla loro iscrizione al  Servizio  sanitario nazionale.
    4. La domanda di nulla osta per  ricerca  scientifica,  corredata dell'attestato di iscrizione all'elenco di cui al comma 1 e di  copia autentica della convenzione di accoglienza di  cui  al  comma  3,  e' presentata  dall'istituto  di  ricerca  allo  sportello   unico   per l'immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del  Governo competente per il luogo ove si svolge il  programma  di  ricerca.  Lo Sportello, acquisito dalla Questura il parere sulla insussistenza  di motivi  ostativi  all'ingresso   dello   straniero   nel   territorio nazionale, rilascia il nulla osta.
    5. La convenzione di accoglienza decade automaticamente nel  caso di diniego al rilascio del nulla osta. 
    6. Il visto di ingresso puo'  essere  richiesto  entro  sei  mesi dalla data del rilascio del nulla osta, trasmesso in  via  telematica alle rappresentanze consolari all'estero a cura dello Sportello unico per l'immigrazione, ed e'  rilasciato  prioritariamente  rispetto  ad altre tipologie di visto.
    7. Il permesso di soggiorno per ricerca scientifica e'  richiesto e rilasciato, ai sensi del presente testo unico, per  la  durata  del programma  di  ricerca  e  consente  lo  svolgimento   dell'attivita' indicata nella convenzione  di  accoglienza  nelle  forme  di  lavoro subordinato,  di  lavoro  autonomo  o  borsa  di  addestramento  alla ricerca. In caso di proroga del programma di ricerca, il permesso  di soggiorno e' rinnovato, per una  durata  pari  alla  proroga,  previa presentazione  del  rinnovo   della   convenzione   di   accoglienza.
Nell'attesa del  rilascio  del  permesso  di  soggiorno  e'  comunque consentita l'attivita' di ricerca. Per le finalita' di  cui  all'art. 9, ai titolari di  permesso  di  soggiorno  per  ricerca  scientifica rilasciato sulla base di una borsa di addestramento alla  ricerca  si applicano le disposizioni previste per i  titolari  di  permesso  per motivi di studio o formazione professionale.
    8. Il ricongiungimento familiare e'  consentito  al  ricercatore, indipendentemente dalla durata del  suo  permesso  di  soggiorno,  ai sensi e alle  condizioni  previste  dall'art.  29.  Ai  familiari  e' rilasciato un permesso di soggiorno  di  durata  pari  a  quello  del ricercatore.
    9. La procedura di cui al comma 4 si applica anche al ricercatore regolarmente soggiornante sul territorio nazionale ad  altro  titolo, diverso da quello per richiesta di asilo o di protezione  temporanea.
In tale caso, al ricercatore e' rilasciato il permesso  di  soggiorno di cui al comma 7 in esenzione di visto e si prescinde dal  requisito dell'effettiva residenza all'estero per la procedura di rilascio  del nulla osta di cui al comma 4.
    10. I ricercatori titolari del permesso di soggiorno  di  cui  al comma 7 possono  essere  ammessi,  a  parita'  di  condizioni  con  i cittadini italiani, a svolgere attivita' di insegnamento collegata al progetto di ricerca oggetto della convenzione e  compatibile  con  le disposizioni statutarie e regolamentari dell'istituto di ricerca.
    11. Nel rispetto degli  accordi  internazionali  ed  europei  cui l'Italia aderisce, lo straniero ammesso come ricercatore in uno Stato appartenente all'Unione europea puo' fare ingresso  in  Italia  senza necessita'  del  visto  per  proseguire  la  ricerca  gia'   iniziata nell'altro Stato. Per soggiorni fino a tre mesi non e'  richiesto  il permesso di soggiorno  ed  il  nulla  osta  di  cui  al  comma  4  e' sostituito da una comunicazione allo sportello unico della prefettura - ufficio territoriale del Governo della provincia in cui  e'  svolta l'attivita' di ricerca da parte dello straniero,  entro  otto  giorni dall'ingresso. La comunicazione e' corredata da copia autentica della convenzione di accoglienza stipulata nell'altro Stato, che preveda un periodo di ricerca in Italia e la disponibilita' di risorse,  nonche' una polizza di assicurazione  sanitaria  valida  per  il  periodo  di permanenza sul territorio nazionale, unitamente ad una  dichiarazione dell'istituto presso cui si svolge l'attivita'. Per periodi superiori
a  tre  mesi,  il  soggiorno  e'  subordinato  alla   stipula   della convenzione di accoglienza con un istituto di ricerca di cui comma  1 e si applicano le disposizioni di cui ai commi 4 e 7. In  attesa  del rilascio del permesso di soggiorno e' comunque consentita l'attivita' di ricerca.".»
    Come  si  vede,  e'  stata  prevista  una  articolata  disciplina sostanziale  e  procedurale  dell'ingresso  e  del  soggiorno   degli stranieri per finalita' di ricerca scientifica, che esclude del tutto competenze regionali o  provinciali,  e  inserisce  tale  particolare fattispecie (anche per prevenire  abusi)  nella  cornice  sistematica
della normativa generale sull'immigrazione.
    La disposizione non ha mai formato oggetto di  censura  da  parte delle regioni o delle province  autonome,  la  cui  estraneita'  alla materia e' quindi  inoppugnabile.  Cio'  serve,  in  particolare,  ad escludere che la legittimita' costituzionale della  disposizione  qui impugnata  possa  essere  sostenuta  facendo  leva   sulla   clausola contenuta nell'art.  13  comma  3,  secondo  la  quale  la  provincia promuove l'attuazione della Direttiva «per quanto di sua competenza».
Non possono infatti sussistere competenze provinciali in una  materia che attiene esclusivamente e integralmente all'immigrazione.
    5. L'art. 14 della legge impugnata, intitolato al  «Diritto  allo studio», nel comma 3 prevede che «3. Per l'accesso alle  agevolazioni per la frequenza di una scuola  fuori  provincia  e'  richiesto  agli alunni e  alunne  stranieri  di  Stati  non  appartenenti  all'Unione europea un periodo minimo di cinque anni di residenza ininterrotta in provincia  di  Bolzano.  Se  la  scuola  frequentata  si  trova   nel territorio della Repubblica italiana o della Repubblica austriaca, il requisito della residenza di  cui  al  presente  comma  e'  richiesto all'alunno o all'alunna o a uno dei genitori.»; e nel comma 5 che «5.
Per l'accesso alle prestazioni di natura  economica  per  il  diritto allo studio universitario da parte delle cittadine  e  dei  cittadini stranieri di Stati non appartenenti all'Unione europea  e'  richiesto il requisito di  un  periodo  minimo  di  cinque  anni  di  residenza ininterrotta in provincia  di  Bolzano.  Per  le  studentesse  e  gli studenti frequentanti un'universita' sul territorio  della  provincia
possono essere previsti periodi di residenza inferiori.»
    Queste previsioni contrastano con l'art. 3 cost. per le  medesime ragioni gia' illustrate nel secondo motivo,  relativo  all'assistenza sociale. Le Osservazioni vi fatte  e  le  conclusioni  raggiunte  non potrebbero mutare per il fatto che nel  presente  caso  si  verte  in materia  di  assistenza  scolastica  e  universitaria.  Anche  questa materia, se pur prevista autonomamente dallo Statuto come materia  di competenza provinciale, rientra nel piu' ampio genus  dell'assistenza sociale. Anche per  le  prestazioni  di  assistenza  scolastica  deve quindi valere la considerazione che il criterio della loro erogazione deve essere la proporzione all'effettiva necessita' dell'interessato;
e che tale necessita' non puo' essere commisurata sulla  base  di  un parametro astratto, rigido e casuale come la durata  del  periodo  di residenza, che di per se' non e' idoneo a fornire alcun  elemento  di valutazione dell'effettiva  necessita'  di  assistenza  scolastica  o universitaria.
    Le disposizioni in esame sono quindi manifestamente irragionevoli per incongruenza tra la loro finalita' (provvidenze per  favorire  la frequenza scolastica o universitaria)  e  il  criterio  di  selezione degli aventi diritto (la durata della residenza); e per la disparita' di trattamento che introducono tra situazioni perfettamente analoghe.
Anche uno studente residente da meno  di  cinque  anni  puo'  infatti trovarsi nella condizione di dover ricorrere a tali  provvidenze  per non vedere leso il proprio diritto allo studio, e la sola circostanza del minore periodo di residenza non e' idonea a differenziare in modo sostanziale la sua posizione, fino al punto di  giustificare  la  sua esclusione assoluta da tali trattamenti.
    Introducendo criteri di selezione del tutto  irragionevoli,  come la durata minima della residenza, le disposizioni  in  esame  violano poi, oltre all'art. 3 Cost., anche l'art.  34  commi  3  e  4  Cost., giusta i quali «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi piu' alti degli studi.
    La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di  studio assegni  alle  famiglie  ed  altre  provvidenze,  che  devono  essere attribuite per concorso».
    Da queste previsioni si ricava infatti chiaramente che i  criteri di  attribuzione  delle  provvidenze  dell'assistenza  scolastica   e universitaria debbono essere soltanto il bisogno della famiglia e  la meritevolezza dello studente. Tutte situazioni, come si vede, con  le quali  la  durata  della  residenza  in  provincia   non   ha   alcun collegamento.
    Le disposizioni in esame comportano poi  una  violazione  diretta del diritto allo studio, garantito dall'art. 34 cost. in tutte le sue proposizioni, nella misura in cui si  traducono,  per  gli  stranieri regolarmente residenti da meno di cinque anni o per i loro figli,  in un  ostacolo  insormontabile  ad  intraprendere  taluni  percorsi  di studio, qualora tali percorsi siano possibili  soltanto  frequentando l'universita' (comma 5) o scuole  fuori  provincia  (comma  3),  e  a questo  fine  siano  indispensabili  le  provvidenze  di   assistenza scolastica previste dalla legislazione provinciale.
    Per   le   medesime   ragioni   fin   qui   esposte,   sono   poi costituzionalmente illegittime le previsioni dell'art. 16 commi 3 e 4 della legge impugnata.  Queste  disposizioni,  infatti,  adeguano  la legge provinciale n.  7/74  sull'assistenza  scolastica  e  la  legge provinciale n. 9/2004 sul diritto allo studio universitario a  quanto previsto dai commi 3 e 5 dell'art. 14 finora censurati. I commi 3 e 4 dell'art. 16, in particolare, integrano l'elenco degli aventi diritto all'assistenza scolastica (art. 3 l.p. n. 7/74)  e  alle  provvidenze per lo studio  universitario  (art.  2  l.p.  9/2004)  nel  senso  di prevedere che tra tali aventi diritto  figurano,  rispettivamente,  i cittadini extracomunitari residenti in  provincia  da  almeno  cinque anni  che  frequentano  al  di  fuori  del   territorio   provinciale istituzioni scolastiche o formative professionali  non  esistenti  in provincia; e i cittadini stranieri  frequentanti  universita'  al  di fuori del territorio della provincia, purche' residenti in  provincia da cinque anni.
    Le ragioni di illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni presupposte (art. 14 commi 3 e 5) si estendono quindi per derivazione alle disposizioni dipendenti recate dall'art. 16 commi 3 e  4,  nella parte  in  cui  modificano  i  citati  elenchi  di   aventi   diritto all'assistenza scolastica e universitaria introducendo  il  requisito della residenza quinquennale per gli stranieri extracomunitari.
    6. L'art. 16 della legge impugnata, intitolato  a  «Modifiche  di leggi provinciali, disposizioni finali e  finanziarie»,  prevede  nel comma 2 che «2. Il comma 1 dell'art. 2  della  legge  provinciale  13 marzo 1987, n. 5, e successive modifiche, e' cosi' sostituito: 
        «1. Sono  ammessi  al  beneficio  delle  sovvenzioni  di  cui all'art. 3, comma 1, le cittadine e i cittadini  dell'Unione  europea residenti ininterrottamente per un anno in provincia di Bolzano,  che abbiano assolto l'obbligo scolastico.».
    L'art. 3, comma 1 della legge provinciale n. 5/87 dispone che «1. Per  la  promozione  e  l'apprendimento  delle  lingue  straniere  la Provincia autonoma prevede apposite sovvenzioni e puo'  istituire  un servizio di consulenza e di coordinamento.»
    Cio' comporta che i cittadini dell'Unione  europea  sono  ammessi alle sovvenzioni per l'apprendimento delle lingue straniere, ma  solo se residenti da almeno un anno nella provincia.
    Questa previsione viola innanzitutto l'art. 117  comma  1  Cost., nella parte in cui prevede che «La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto ...  dei  vincoli  derivanti dall'ordinamento comunitario».
    Il cittadino dell'Unione regolarmente  residente  nel  territorio nazionale non puo' infatti subire, pena  la  violazione  diretta  del principio di non discriminazione (art. 18 TFUE) e  del  principio  di libera circolazione delle persone all'interno  dell'Unione  (art.  45 TFUE),  alcun  trattamento  discriminatorio  rispetto  al   cittadino italiano,  motivato  soltanto  con  la  circostanza  che  si  tratta, appunto, di un cittadino dell'Unione e non di un nazionale.
    Poiche' nessuna  disposizione  della  provincia  prevede  che  le sovvenzioni per l'apprendimento delle lingue straniere possano essere concesse ai cittadini italiani solo  se  questi  siano  residenti  da almeno   un   anno   nella   provincia,    diviene    automaticamente discriminatorio e contrario alla liberta' di circolazione all'interno dell'Unione prevedere che per i cittadini dell'Unione valga,  invece, questa limitazione. In particolare, va osservato che l'art. 7  d.1gs. n. 30/2007, di attuazione della Direttiva 2004/38/CE sull'ingresso  e il soggiorno dei cittadini  dell'Unione,  prevede  che  il  cittadino dell'Unione  puo'  iniziare,  nel  concorso  delle  varie   ulteriori condizioni previste dalla Direttiva e dalla normativa di recepimento, ad essere  progressivamente  equiparato  ad  un  cittadino  residente qualora soggiorni nello Stato per un periodo superiore a tre mesi.  A partire da questo momento, e  nel  concorso  delle  altre  condizioni previste dalla Direttiva,  il  cittadino  dell'Unione  viene  infatti iscritto  nell'anagrafe  della  popolazione  residente.   E'   quindi contrario  ai  richiamati  principi   di   diritto   dell'Unione   e, specificamente, alla Direttiva 2004/38/CE e alla normativa interna di recepimento, escludere a priori da qualsiasi possibilita' di ottenere la provvidenza in questione il cittadino comunitario che  risieda  in provincia da piu' di tre mesi ma da meno di un anno.
    Le  dedotte  violazioni   del   diritto   dell'Unione   ridondano immediatamente, come detto, in violazione dell'art. 117 comma 1 Cost.
    Per ragioni analoghe a quelle gia' esposte a proposito  dell'art. 10 e dell'art. 14 della legge impugnata, il requisito della residenza minima di un anno comporta poi violazione dell'art. 3 cost.  La  mera durata  della  residenza  non  e'  infatti   circostanza   idonea   a differenziare in modo sostanziale le posizioni dei diversi potenziali interessati  alla  provvidenza  in  questione.   Il   solo   criterio ragionevole e' la proporzione all'effettivo bisogno, da valutare  con le apposite  procedure  di  ammissione.  La  durata  della  residenza pregressa e' elemento del tutto  irrilevante  a  questo  fine.  Anche questa  disposizione,  quindi,   finisce   per   trattare   in   modoingiustificatamente diverso  situazioni  di  bisogno  sostanzialmente
identiche o analoghe.
    7. Infine, tutte le  disposizioni  qui  impugnate  che  prevedono requisiti temporali minimi  di  residenza  in  provincia  di  entita' maggiore di quelli previsti per le analoghe prestazioni dai  principi della legislazione nazionale e comunitaria, vale  a  dire  l'art.  10 comma 2 (residenza minima quinquennale per l'accesso alle prestazioni di assistenza sociale a contenuto economico), l'art.  14  comma  3  e
l'art. 16 comma 3 (residenza minima quinquennale per  l'accesso  alle agevolazioni per la frequenza scolastica fuori provincia), l'art.  14 comma 5 e l'art.  16  comma  4  (residenza  minima  quinquennale  per l'accesso all'assistenza universitaria), l'art. 16 comma 2 (residenza minima  annuale  per  l'accesso  dei   cittadini   dell'Unione   alle sovvenzioni per i corsi di  apprendimento  delle  lingue  straniere), violano gli artt. 16 cost. (liberta' di circolazione all'interno  del territorio nazionale) e 120 cost. (divieto per le regioni e  province autonome  di  introdurre  restrizioni  anche  indirette  alla  libera circolazione delle persone e al loro ingresso nei territori regionali
o provinciali).
    Infatti, la  necessita'  di  possedere  tali  speciali  requisiti temporali di residenza,  non  previsti  altrove,  per  accedere  alle prestazioni in questione, si traduce in un immediato ostacolo per gli stranieri residenti in altre parti del territorio  nazionale,  e  ivi usufruenti di prestazioni  analoghe,  a  trasferirsi  nel  territorio della provincia. La mancanza del requisito speciale di  residenza  da questa  preteso  comporterebbe  infatti,  in  caso  di  trasferimento (magari motivato da  favorevoli  opportunita'  di  inserimento  e  di lavoro),  la   perdita   automatica   delle   prestazioni,   il   che
scoraggerebbe lo straniero interessato dal trasferirsi  in  provincia di Bolzano. Le disposizioni in questione elevano quindi  una  vera  e propria barriera all'ingresso, chiaramente contraria agli artt. 16  e 120 Cost.


                              P. Q. M.

    Voglia dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  articoli  l, comma 3, lett. g) secondo periodo, ultima parte; 6, comma 3 lett.  c) e comma 6; 10, comma 2; 12, comma 4; 13, comma 3; 14, comma 3 e comma 5; 16 commi 2, 3 e 4 della legge provinciale di  Bolzano  28  ottobre 2011 n. 12.
    Si produce in estratto conforme la  delibera  del  Consiglio  dei ministri del 23 dicembre 2011.

        Roma, addi' 7 gennaio 2012

                   L'avvocato dello Stato: Gentili 


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