Ricorso n. 10 del 17 gennaio 2012 (Presidente del consiglio dei Ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 17 gennaio 2012 (del Presidente del Consiglio dei ministri).
(GU n. 9 del 29.02.2012 )
Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, rapp.to e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso cui e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Contro la Provincia Autonoma di Bolzano in persona del Presidente pro tempore della Giunta provinciale;
Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli della legge provinciale della Provincia Autonoma di Bolzano 28 ottobre 2011 n. 12, pubblicata nel Bollettino Ufficiale del Trentino Alto Adige dell'8 novembre 2011 n. 45, limitatamente agli articoli 1, comma 3, lett. g) secondo periodo, ultima parte; 6, comma 3 lett. e) e comma 6; 10, comma 2; 12, comma 4; 13, comma 3; 14,
comma 3 e comma 5; 16 commi 2, 3 e 4.
Fatto
La legge provinciale di Bolzano n. 12/2011 ha dettato disposizioni varie per l'«Integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri». Come risulta dall'art. 2, destinatari delle disposizioni di questa legge «i cittadini stranieri di Stati non appartenenti all'Unione europea, regolarmente soggiornanti sul territorio provinciale, i rifugiati, gli apolidi, i richiedenti asilo ed i beneficiari di protezione sussidiaria nonche' i titolari di protezione umanitaria».
Limitatamente agli articoli indicati in epigrafe, la legge provinciale e' costituzionalmente illegittima e, giusta delibera del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2011, viene impugnata per i seguenti
Motivi
1. L'art. 6, comma 1, prevede: «1. Ai fini dell'integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri e' istituita la Consulta provinciale per l'immigrazione. La Consulta e' nominata dalla Giunta provinciale e rimane in carica per la durata della legislatura.». Con questa disposizione, nell'ambito della propria competenza esclusiva in materia di organizzazione provinciale, la Provincia ha dunque istituito un proprio organo, preposto ad esercitare le funzioni indicate dal comma 2 dell'art. 6. Anche queste funzioni si svolgono interamente all'interno dell'azione legislativa e amministrativa della Provincia. Esse infatti consistono nel «a) presentare proposte alla Giunta provinciale per adeguare le norme provinciali alle esigenze che emergono in relazione al fenomeno migratorio;
b) formulare proposte sul programma pluriennale;
c) esprimere pareri su ogni altro argomento inerente alla materia dell'immigrazione, su richiesta della Giunta provinciale.»
Il comma 3 dell'art. 6 disciplina la composizione della Consulta provinciale per l'immigrazione. Nella lettera c) prevede che uno dei componenti sia «c) una persona in veste di rappresentante unico della Questura di Bolzano e del Commissariato del Governo per la provincia di Bolzano». Nel comma 6 l'art. 6 prevede infine che «6. I membri di cui alle lettere a), b), c) ed f) possono essere sostituiti da una persona da essi delegata».
Disponendo in tal modo la Provincia ha attribuito funzioni obbligatorie, quali sono quelle di partecipazione ai lavori della Consulta tramite un componente titolare o delegato, ad organi dello Stato quali la Questura di Bolzano e il Commissariato del Governo per la provincia di Bolzano; e prima ancora, ha obbligato tali organi a designare il proprio rappresentante nella Consulta. Piu' in generale, la Provincia ha unilateralmente coinvolto organi dello Stato nell'istituzione e composizione di un proprio organo.
In tal modo, la legge provinciale ha violato innanzitutto l'art. 117, comma 2 lett. g) Cost., il quale attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di «g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali».
Il carattere esclusivo della legislazione in questa materia comporta che una legge unilateralmente deliberata da una regione o da una provincia autonoma non possa attribuire ad organi dello Stato nuove competenze, o comunque condizionare l'esercizio delle competenze loro attribuite dalle leggi dello Stato.
Le citate disposizioni della legge provinciale impugnata violano inoltre l'art. 8, c. 1 n. 1 del d.P.R. n. 670/1972 (Statuto della Regione autonoma Trentino Alto Adige), giusta il quale «Le province hanno la potesta' di emanare norme legislative entro i limiti indicati dall'art. 4, nelle seguenti materie: 1) ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto».
Questa previsione chiaramente limita la potesta' della provincia di' dettare norme relative all'organizzazione amministrativa ai soli organi della provincia stessa, e impedisce che nell'esercizio di tale competenza la provincia adotti disposizioni che finiscono con l'interferire con la potesta' esclusiva dello Stato di organizzare le
proprie strutture amministrative e di assegnare loro le competenze.
In materia, codesta Corte costituzionale con le sentenze n. 134 del 2004 e n. 30 del 2006, ha sottolineato che, pur nell'auspicio che «si sviluppino forme di collaborazione tra apparati statali, regionali, provinciali, tali forme di collaborazione e di coordinamento non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell'esercizio della loro potesta' legislativa, ma devono trovare fondamento e presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordo tra gli enti interessati».
Nel caso in esame non ricorre alcuna di queste condizioni, sicche' l'unilaterale intervento legislativo attuato dalla provincia con l'art. 6, commi 3 lett. c) e 6 della legge impugnata deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.
2. L'art. 10 della legge impugnata dispone: «Assistenza sociale.
1. Hanno accesso ai servizi sociali le cittadine e i cittadini stranieri con residenza e dimora stabile sul territorio provinciale. L'accesso e' ulteriormente disciplinato dalla specifica normativa di settore, considerando il principio di interventi uguali a parita' di bisogno e ispirandosi ai principi di prevenzione e rimozione delle situazioni di bisogno e di emarginazione sociale.
2. Per l'accesso alle prestazioni di natura economica e' richiesto alle cittadine e ai cittadini stranieri di Stati non appartenenti alla Unione europea un periodo minimo di cinque anni di ininterrotta residenza e dimora stabile in provincia di Bolzano.
3. In funzione della specifica finalita' e natura delle prestazioni erogate, per le prestazioni per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali di cui all'art. 8 della legge provinciale 26 ottobre 1973, n. 69, e successive modifiche, possono essere previsti dalle disposizioni di settore periodi di residenza e dimora inferiori a quanto previsto dal comma 2.
4. La Provincia garantisce i livelli essenziali delle prestazioni previsti su tutto il territorio nazionale dalla normativa statale, tra cui le prestazioni per invalidi civili, ciechi civili e sordi di cui alla legge provinciale 21 agosto 1978, n. 46, e successive modifiche.»
Come si vede, la provincia ha ribadito il diritto dei cittadini stranieri di accedere ai servizi di assistenza sociale, e ha precisato che tale diritto e' subordinato alla residenza o dimora stabile nel territorio provinciale. Ha inoltre stabilito che il criterio regolatore dell'erogazione delle prestazioni dovra' essere l'uguaglianza degli interventi a parita' di bisogno.
Poste nel comma 1 tali premesse, la legge, tuttavia, nel comma 2 ha enucleato dall'insieme dei servizi di assistenza sociale quelli genericamente consistenti in «prestazioni di natura economica». Per l'accesso degli stranieri a tali servizi ha chiesto il requisito del periodo minimo di cinque anni di residenza e dimora stabile in provincia di Bolzano. Disponendo in tal modo, l'art. 10 comma 2 ha inteso dare attuazione all'art. 1, comma 3, lett. g) secondo periodo della legge impugnata, giusta il quale «Per le cittadine e i cittadini stranieri di Stati non appartenenti all'Unione europea, l'accesso alle prestazioni, che vanno oltre le prestazioni essenziali, puo' essere condizionato alla residenza, alla dimora
stabile e alla relativa durata.».
Mentre non sussistono ostacoli di natura costituzionale a subordinare genericamente l'accesso degli stranieri alle prestazioni assistenziali alla residenza e dimora stabile nel territorio nazionale e nelle sue articolazioni, e' costituzionalmente illegittimo prevedere che tale accesso possa essere subordinato, specificamente, ad una durata minima di tale residenza e dimora stabile, e in particolare ad una durata minima di cinque anni.
Tale previsione, prefigurata come possibilita' generale e astratta nell'art. 1, comma 3 lett. g) secondo periodo, ultima proposizione, e specificata, con riferimento alle prestazioni a contenuto economico, dall'art. 10 comma 2 della legge impugnata, contrasta innanzitutto con l'art. 3 della Costituzione: da un lato,
perche' costituisce una disciplina manifestamente contraddittoria e irragionevole rispetto all'impianto sistematico della stessa disciplina provinciale dell'accesso degli stranieri all'assistenza;
dall'altro, perche' pone una ingiustificata disparita' di trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche.
Per quanto riguarda la ragionevolezza, si e' visto che l'art. 10 comma 1 della legge impugnata, dopo avere correttamente previsto che la residenza e dimora stabile nel territorio provinciale costituiscono presupposto dell'accesso ai servizi di assistenza sociale (in modo che sia assicurato il logico collegamento spaziale tra il bisogno dell'individuo e l'ente pubblico preposto a soccorrervi), dispone, del pari correttamente, che il criterio fondamentale dell'erogazione dei servizi deve essere l'uguaglianza degli interventi a parita' di bisogno e di emarginazione sociale. E' allora evidente l'irragionevolezza della previsione del comma 2, secondo cui proprio i piu' rilevanti servizi sociali, quali sono quelli a contenuto economico, siano ulteriormente subordinati alla durata almeno quinquennale della residenza e dimora stabile. Infatti, la durata minima della residenza o dimora non ha alcun collegamento necessario con l'entita' del bisogno o con il grado di emarginazione.
Persone immigrate nella provincia da paesi extracomunitari da meno di cinque anni, ma pur sempre stabilmente residenti o dimoranti in provincia, possono versare (e, anzi, e' ragionevole presumere che versino) in condizioni di bisogno o di emarginazione maggiori di persone immigrate da cinque o piu' anni. E' quindi irragionevole, e percio' contrario all'art. 3 cost. nella parte in cui questo pone il principio di ragionevolezza e proporzionalita' della legge, prevedere nel comma 1 che l'erogazione degli interventi dovra' essere proporzionale al bisogno, e poi nel comma 2 escludere a priori dagli interventi piu' rilevanti intere categorie di soggetti, selezionate non in base all'entita' o alla natura del bisogno, bensi' in base ad un dato neutro, e al limite casuale, quale la durata infra o ultraquinquennale della residenza o dimora stabile.
L'art. 10 comma 2 (e l'art. 1 comma 3 lett. g) secondo periodo ultima parte, che ne costituisce la premessa) violano poi l'art. 3 cost. nella parte in cui questo pone direttamente il principio di uguaglianza, inteso come divieto di trattare in modo diverso situazioni identiche o analoghe. Infatti, come si e' gia' evidenziato, la mera durata della residenza o dimora stabile non e' circostanza idonea a differenziare in modo sostanziale le diverse situazioni di bisogno o di emarginazione. Non lo sarebbe neppure la durata (p. es. infra o ultraquinquennale) della situazione di bisogno o di emarginazione, visto che tali situazioni vanno comunque valutate nella loro consistenza e gravita' intrinseca, di cui la durata puo'
solo essere, ma non necessariamente e', un indice significativo (per cui una situazione di bisogno «piu' lunga» puo' ben essere intrinsecamente meno grave di un'altra situazione che data da meno tempo); ma tantomeno puo' costituire circostanza idonea a differenziare le situazioni la mera durata della residenza, a prescindere dal momento in cui e' insorto lo stato di bisogno. Per cui uno straniero residente, p. es., da tre anni e che per tutto questo periodo ha versato in stato di bisogno verrebbe escluso dagli interventi assistenziali in questione, mentre vi sarebbe ammesso uno straniero residente da cinque anni e un mese, che sia entrato in stato di bisogno solo nell'ultimo mese.
Disposizioni analoghe sono gia' state censurate da codesta Corte.
L'analogo art. 4 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 6 del 2006 (come modificato dall'art. 9, commi 51, 52, e 53 della 1.r. n. 24 del 2009) e' stato recentemente giudicato incostituzionale con la sentenza n. 40 del 2011 perche' una disciplina di questo tipo introduce nel tessuto normativo un elemento di distinzione arbitrario, non essendovi alcuna ragionevole correlabilita' tra la condizione positiva di ammissibilita' al beneficio (quale la residenza protratta da almeno cinque anni) e gli altri particolari requisiti (consistenti in situazioni di bisogno e di disagio riferibili direttamente alla persona in quanto tale) che costituiscono il presupposto di fruibilita' di una provvidenza sociale che, per la sua stessa natura, non tollera distinzioni basate su particolari tipologie di residenza in grado di escludere proprio coloro che risultano i soggetti piu' esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalita' eminentemente sociale.
Nella sentenza ora citata codesta Corte conclude affermando che «tali discriminazioni contrastano con la funzione e la ratio normativa stessa delle misure che compongono il complesso e articolato sistema di prestazioni individuato dal legislatore regionale nell'esercizio della propria competenza in materia di servizi sociali, in violazione del limite di ragionevolezza imposto dal rispetto del principio di uguaglianza (art. 3 Cost)».
Con particolare riferimento alla attribuzione delle prestazioni assistenziali alle persone straniere regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale, codesta Corte ha inoltre precisato, con la sentenza n. 61 del 2011, che: «una volta che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini» ed ha inoltre aggiunto, circa l'individuazione delle condizioni per la fruizione delle prestazioni che: «la asserita necessita' di' uno specifico titolo di soggiorno per fruire dei servizi sociali rappresenta una condizione restrittiva che, in tutta evidenza, si porrebbe (dal punto di vista applicativo) in senso diametralmente opposto a quello indicato da questa Corte, i cui ripetuti interventi [cfr. sentenze n. 187 del 2010 e n. 306 del 2008] sono venuti ad assumere incidenza generale ed immanente nel sistema di attribuzione delle relative provvidenze».
Sotto quest'ultimo aspetto, che tocca la diversa posizione che, per quanto riguarda l'accesso alle prestazioni sociali, viene fatta agli stranieri residenti nella provincia di Bolzano rispetto a tutti gli altri stranieri residenti nel territorio nazionale, l'art. 10 comma 2 e' altresi' illegittimo per violazione dell'art. 8 n. 25 e
dell'art. 4 dello Statuto della regione autonoma Trentino Alto Adige.
L'art. 8 n. 25, infatti, attribuisce alla provincia la competenza a dettare disposizioni in materia di «assistenza e beneficenza pubblica»; ma, come avverte lo stesso art. 8 nella proposizione di esordio, cio' deve avvenire comunque «entro i limiti indicati nell'art. 4». Tali limiti, come e' noto, sono, oltre alla Costituzione e agli obblighi internazionali, i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e le norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica.
In questa prospettiva divengono allora rilevanti norme statali che certamente costituiscono principi fondamentali della materia dell'assistenza pubblica quali l'art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998 e l'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del blancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), che, ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, equiparano ai cittadini italiani gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno.
Pertanto la disposizione impugnata, che subordina l'attribuzione delle prestazioni assistenziali di natura economica al possesso, da parte di chi risulti soggiornare legalmente nel territorio dello Stato, anche del particolare e ulteriore requisito della residenza in provincia di Bolzano per un periodo minimo ininterrotto di cinque anni, e' illegittima anche perche' comporta l'esclusione assoluta di intere categorie di persone fondata sulla mancanza di una residenza temporalmente protratta in una misura cinque volte maggiore di quella prevista dai principi generali della materia.
Da quanto ora Osservato emerge che la disposizione impugnata viola, infine, anche l'art. 117, comma 2 lett. m) Cost., che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di livelli essenziali delle prestazioni sociali. La durata minima della residenza nel territorio dello Stato necessaria per ammettere lo straniero alle prestazioni di assistenza sociale, e' infatti un elemento che, come e' palese, concorre in modo determinante a definire il livello essenziale delle prestazioni sociali: l'essenzialita' di tale elemento deriva dalla ovvia considerazione che la mancanza del requisito temporale minimo si traduce per lo straniero nell'impossibilita' assoluta di accedere al servizio. Non e' quindi consentito alle regioni e alle province autonome fissare requisiti temporali piu' elevati di quelli fissati dalla legislazione statale per l'accesso ai servizi dell'assistenza sociale, perche' cio' modificherebbe immediatamente il livello essenziale, inteso come concreta fruibilita', dell'erogazione di tali servizi.
La sussistenza dei vizi fin qui denunciati relativamente all'art. 10 comma 2 (e all'art. 1, comma 3, lett. g) secondo periodo) della legge impugnata non potrebbe poi essere esclusa dalla considerazione dei commi 3 e 4 dello stesso art. 10. Questi prevedono che «3. In funzione della specifica finalita' e natura delle prestazioni erogate, per le prestazioni per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali di cui all'art. 8 della legge provinciale 26 ottobre 1973, n. 69, e successive modifiche, possono essere previsti dalle disposizioni di settore periodi di residenza e dimora inferiori a quanto previsto dal comma 2.
4. La Provincia garantisce i livelli essenziali delle prestazioni previsti su tutto il territorio nazionale dalla normativa statale, tra cui le prestazioni per invalidi civili, ciechi civili e sordi di cui alla legge provinciale 21 agosto 1978, n. 46, e successive modifiche.»
Quanto al comma 4, va innanzitutto osservato che, come appena rilevato, la determinazione dei requisiti temporali minimi attiene ai livelli essenziali delle prestazioni sociali, per cui l'obbligo della provincia, ribadito dal comma 4, di assicurare tali livelli essenziali comporta innanzitutto l'impossibilita' di fissare requisiti temporali di ammissione piu' gravosi di quelli stabiliti dalla legge statale.
Ma anche a voler escludere che la determinazione dei requisiti temporali minimi attenga alla disciplina dei livelli essenziali delle prestazioni, comunque si dovrebbe considerare che la discrezionalita' legislativa delle regioni e provincie autonome sussistente nella sfera eccedente i livelli essenziali deve comunque esercitarsi nel rispetto di tutti gli altri principi costituzionali. E si e' sopra ampiamente visto che la previsione di un requisito speciale come la residenza almeno quinquennale contrasta con l'art. 3 cost. e con gli arti. 4 e 8 dello Statuto.
Quanto al comma 3 dell'art. 10, va osservato che esso si limita a prevedere una mera possibilita', del tutto discrezionale, di introdurre deroghe di settore al requisito quinquennale in esame.
Come tale, il comma 3 non e' idoneo ad elidere l'illegittimita' del sistema incentrato, come norma di principio, sul requisito quinquennale di cui al comma 2; e anzi appare idoneo ad accrescere la disuguaglianza e l'irrazionalita' del sistema, nella misura in cui prefigura su basi del tutto incerte l'introduzione di deroghe valevoli per taluni servizi e non per altri.
3. L'art. 12 della legge impugnata, intitolato alle «Politiche abitative e di accoglienza», prevede nel comma 4 che «4. I requisiti igienico-sanitari, quelli di idoneita' abitativa degli alloggi, nonche' i requisiti inerenti al reddito minimo annuo richiesti, all'atto della domanda, ai fini del ricongiungimento familiare delle cittadine e dei cittadini stranieri di Stati non appartenenti all'Unione europea, sono quelli applicati per le cittadine e i cittadini residenti nel territorio provinciale.»
Questa disposizione pone un'equiparazione soltanto apparente tra cittadini residenti nel territorio provinciale e stranieri. L'oggetto specifico della disposizione e', infatti, il ricongiungimento familiare, che e' una situazione giuridica di diritto condizionato configurabile soltanto in relazione a famiglie composte integralmente
da stranieri extracomunitari, di cui uno sia residente nel territorio nazionale, mentre gli altri membri risiedono all'estero. Tale situazione non e' invece a priori configurabile in relazione a famiglie composte integralmente da cittadini italiani o dell'Unione, residenti nel territorio nazionale, o a famiglie composte da un membro cittadino italiano o dell'Unione residente nel territorio nazionale, e da altri membri cittadini stranieri, residenti o meno che siano nel territorio nazionale. In tutte queste altre situazioni, infatti, il diritto del membro della famiglia non residente di ricongiungersi con il membro residente nel territorio nazionale che sia cittadino italiano o dell'Unione non puo' essere, e non e', assoggettato ad alcuna restrizione.
Chiarito, quindi, che il ricongiungimento familiare riguarda soltanto le famiglie di stranieri extracomunitari, ne discende che la disposizione in esame si risolve in una forma di disciplina diretta da parte della legge provinciale di alcune delle condizioni a cui il ricongiungimento viene subordinato; in particolare delle condizioni inerenti all'alloggio e al reddito annuo minimo.
Come tale, la disposizione in esame e' contraria all'art. 117 comma 2 lett. b) Cost., il quale attribuisce alla competenza statale esclusiva la legislazione in materia di «b) immigrazione». Stabilire i requisiti di reddito e di alloggio necessari affinche' uno straniero possa stabilirsi nel territorio nazionale a titolo di ricongiungimento familiare con altro straniero gia' quivi residente, significa infatti disciplinare direttamente una fattispecie di immigrazione. La materia esula quindi del tutto dalla competenza provinciale. La disposizione qui impugnata (art. 12, comma 4 1.p. 12/2011) viola, inoltre, gli artt. 8, 9 e 10 dello Statuto, poiche'
nessuna delle previsioni di competenza legislativa contenute in tali articoli attribuisce alla provincia di Bolzano competenze in materia di disciplina dell'immigrazione.
La materia del ricongiungimento familiare e' infatti interamente regolata dall'art. 29, comma 3, del D.lgs. n. 286/1998, che impone allo straniero che richiede il ricongiungimento di dimostrare la disponibilita' di un reddito minimo annuo non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale, aumentato sulla base di parametri specificamente indicati nello stesso comma, e stabilisce inoltre che i requisiti relativi all'alloggio siano accertati dai competenti uffici comunali.
4. L'art. 13 della legge impugnata, intitolato alla «Formazione professionale per adulti e politiche del lavoro», prevede nel comma 3 che «3. La Provincia favorisce il soggiorno e la permanenza sul territorio di cittadine e cittadini stranieri che, in possesso di un titolo di studio universitario, di istruzione superiore o di particolari specializzazioni professionali, svolgano periodi di addestramento professionale con carattere di lavoro subordinato presso datori di lavoro operanti in provincia oppure partecipino a programmi di ricerca scientifica presso istituti di ricerca pubblici o privati.». Questa premessa rientra nella competenza provinciale in materia di formazione professionale. Illegittima e' invece l'applicazione che il medesimo comma fa della premessa stessa.
La disposizione, infatti, prosegue prevedendo che «In particolare la Provincia promuove, per quanto di sua competenza, la piena attuazione sul suo territorio della Direttiva 2005/71/CE relativa alla procedura per l'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica, la relativa stipula di convenzioni di
accoglienza e la conseguente parita' di trattamento».
Questa disposizione viola ancora una volta la riserva di legislazione statale esclusiva in materia di immigrazione (art. 117 comma 2 lett. b) Cost.). La Direttiva 2005/71, infatti, ha per oggetto «le condizioni per l'ammissione dei ricercatori dei paesi terzi negli Stati membri per una durata superiore a tre mesi al fine di svolgervi un progetto di ricerca nell'ambito di una convenzione di accoglienza con un istituto di ricerca» (art. 1). Essa, quindi, prefigura una procedura particolare di immigrazione riservata a questa categoria di stranieri (i ricercatori scientifici). Non a caso, il tredicesimo considerando della Direttiva chiarisce che «(13) La procedura specifica per i ricercatori si fonda sulla collaborazione degli istituti di ricerca con le autorita' degli Stati membri competenti in materia di immigrazione, attribuendo ai primi un ruolo di primo piano nella procedura di ammissione al fine di agevolare e accelerare l'ingresso e il soggiorno dei ricercatori di paesi terzi nella Comunita', pur facendo salve le prerogative degli Stati membri in materia di disciplina dell'immigrazione.»
Ne consegue che l'attuazione della Direttiva rientra nei compiti esclusivi dello Stato in materia di disciplina dell'immigrazione. La finalita' di ricerca scientifica in vista della quale viene concesso l'ingresso agli stranieri non puo', insomma, tradursi nello svuotamento delle competenze nazionali in materia di immigrazione, che il nostro ordinamento costituzionale riserva allo Stato.
Ed infatti lo Stato ha attuato la Direttiva con il d. lgs. n. 17 del 2008, il cui art. 1 ha inserito nel d. lgs. n. 286/1998 l'art. 27-ter, del seguente tenore:
«"Art. 27-ter (Ingresso e soggiorno per ricerca scientifica).
- 1. L'ingresso ed il soggiorno per periodi superiori a tre mesi, al di' fuori delle quote di cui all'art. 3, comma 4, e' consentito a favore di stranieri in possesso di un titolo di studio superiore, che nel Paese dove e' stato conseguito dia accesso a programmi di dottorato. Il cittadino straniero, denominato ricercatore ai soli fini dell'applicazione delle procedure previste nel presente articolo, e' selezionato da un istituto di ricerca iscritto nell'apposito elenco tenuto dal Ministero dell'universita' e della ricerca.
2. L'iscrizione nell'elenco di cui al comma 1, valida per cinque anni, e' disciplinata con decreto del Ministro dell'universita' e della ricerca e, fra l'altro, prevede:
a) l'iscrizione nell'elenco da parte di istituti, pubblici o privati, che svolgono attivita' di' ricerca intesa come lavoro creativo svolto su base sistematica per aumentare il bagaglio delle conoscenze, compresa la conoscenza dell'uomo, della cultura e della societa', e l'utilizzazione di tale bagaglio di conoscenze per
concepire nuove applicazioni;
b) la determinazione delle risorse finanziarie minime a disposizione dell'istituto privato per chiedere l'ingresso di ricercatori e il numero consentito;
c) l'obbligo dell'istituto di farsi carico delle spese connesse all'eventuale condizione d'irregolarita' del ricercatore, compresi i costi relativi all'espulsione, per un periodo di tempo pari a sei mesi dalla cessazione della convenzione di accoglienza di cui al comma 3;
d) le condizioni per la revoca dell'iscrizione nel caso di inosservanza alle norme del presente articolo.
3. Il ricercatore e l'istituto di ricerca di cui al comma 1 stipulano una convenzione di accoglienza con cui il ricercatore si impegna a realizzare il progetto di ricerca e l'istituto si impegna ad accogliere il ricercatore. Il progetto di ricerca deve essere approvato dagli organi di amministrazione dell'istituto medesimo che valutano l'oggetto della ricerca, i titoli in possesso del ricercatore rispetto all'oggetto della ricerca, certificati con una copia autenticata del titolo di studio, ed accertano la disponibilita' delle risorse finanziarie per la sua realizzazione. La convenzione stabilisce il rapporto giuridico e le condizioni di lavoro del ricercatore, le risorse mensili messe a sua disposizione, pari ad almeno il doppio dell'assegno sociale, le spese per il viaggio di ritorno, la stipula di una polizza assicurativa per malattia per il ricercatore ed i suoi familiari ovvero l'obbligo per l'istituto di provvedere alla loro iscrizione al Servizio sanitario nazionale.
4. La domanda di nulla osta per ricerca scientifica, corredata dell'attestato di iscrizione all'elenco di cui al comma 1 e di copia autentica della convenzione di accoglienza di cui al comma 3, e' presentata dall'istituto di ricerca allo sportello unico per l'immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo competente per il luogo ove si svolge il programma di ricerca. Lo Sportello, acquisito dalla Questura il parere sulla insussistenza di motivi ostativi all'ingresso dello straniero nel territorio nazionale, rilascia il nulla osta.
5. La convenzione di accoglienza decade automaticamente nel caso di diniego al rilascio del nulla osta.
6. Il visto di ingresso puo' essere richiesto entro sei mesi dalla data del rilascio del nulla osta, trasmesso in via telematica alle rappresentanze consolari all'estero a cura dello Sportello unico per l'immigrazione, ed e' rilasciato prioritariamente rispetto ad altre tipologie di visto.
7. Il permesso di soggiorno per ricerca scientifica e' richiesto e rilasciato, ai sensi del presente testo unico, per la durata del programma di ricerca e consente lo svolgimento dell'attivita' indicata nella convenzione di accoglienza nelle forme di lavoro subordinato, di lavoro autonomo o borsa di addestramento alla ricerca. In caso di proroga del programma di ricerca, il permesso di soggiorno e' rinnovato, per una durata pari alla proroga, previa presentazione del rinnovo della convenzione di accoglienza.
Nell'attesa del rilascio del permesso di soggiorno e' comunque consentita l'attivita' di ricerca. Per le finalita' di cui all'art. 9, ai titolari di permesso di soggiorno per ricerca scientifica rilasciato sulla base di una borsa di addestramento alla ricerca si applicano le disposizioni previste per i titolari di permesso per motivi di studio o formazione professionale.
8. Il ricongiungimento familiare e' consentito al ricercatore, indipendentemente dalla durata del suo permesso di soggiorno, ai sensi e alle condizioni previste dall'art. 29. Ai familiari e' rilasciato un permesso di soggiorno di durata pari a quello del ricercatore.
9. La procedura di cui al comma 4 si applica anche al ricercatore regolarmente soggiornante sul territorio nazionale ad altro titolo, diverso da quello per richiesta di asilo o di protezione temporanea.
In tale caso, al ricercatore e' rilasciato il permesso di soggiorno di cui al comma 7 in esenzione di visto e si prescinde dal requisito dell'effettiva residenza all'estero per la procedura di rilascio del nulla osta di cui al comma 4.
10. I ricercatori titolari del permesso di soggiorno di cui al comma 7 possono essere ammessi, a parita' di condizioni con i cittadini italiani, a svolgere attivita' di insegnamento collegata al progetto di ricerca oggetto della convenzione e compatibile con le disposizioni statutarie e regolamentari dell'istituto di ricerca.
11. Nel rispetto degli accordi internazionali ed europei cui l'Italia aderisce, lo straniero ammesso come ricercatore in uno Stato appartenente all'Unione europea puo' fare ingresso in Italia senza necessita' del visto per proseguire la ricerca gia' iniziata nell'altro Stato. Per soggiorni fino a tre mesi non e' richiesto il permesso di soggiorno ed il nulla osta di cui al comma 4 e' sostituito da una comunicazione allo sportello unico della prefettura - ufficio territoriale del Governo della provincia in cui e' svolta l'attivita' di ricerca da parte dello straniero, entro otto giorni dall'ingresso. La comunicazione e' corredata da copia autentica della convenzione di accoglienza stipulata nell'altro Stato, che preveda un periodo di ricerca in Italia e la disponibilita' di risorse, nonche' una polizza di assicurazione sanitaria valida per il periodo di permanenza sul territorio nazionale, unitamente ad una dichiarazione dell'istituto presso cui si svolge l'attivita'. Per periodi superiori
a tre mesi, il soggiorno e' subordinato alla stipula della convenzione di accoglienza con un istituto di ricerca di cui comma 1 e si applicano le disposizioni di cui ai commi 4 e 7. In attesa del rilascio del permesso di soggiorno e' comunque consentita l'attivita' di ricerca.".»
Come si vede, e' stata prevista una articolata disciplina sostanziale e procedurale dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri per finalita' di ricerca scientifica, che esclude del tutto competenze regionali o provinciali, e inserisce tale particolare fattispecie (anche per prevenire abusi) nella cornice sistematica
della normativa generale sull'immigrazione.
La disposizione non ha mai formato oggetto di censura da parte delle regioni o delle province autonome, la cui estraneita' alla materia e' quindi inoppugnabile. Cio' serve, in particolare, ad escludere che la legittimita' costituzionale della disposizione qui impugnata possa essere sostenuta facendo leva sulla clausola contenuta nell'art. 13 comma 3, secondo la quale la provincia promuove l'attuazione della Direttiva «per quanto di sua competenza».
Non possono infatti sussistere competenze provinciali in una materia che attiene esclusivamente e integralmente all'immigrazione.
5. L'art. 14 della legge impugnata, intitolato al «Diritto allo studio», nel comma 3 prevede che «3. Per l'accesso alle agevolazioni per la frequenza di una scuola fuori provincia e' richiesto agli alunni e alunne stranieri di Stati non appartenenti all'Unione europea un periodo minimo di cinque anni di residenza ininterrotta in provincia di Bolzano. Se la scuola frequentata si trova nel territorio della Repubblica italiana o della Repubblica austriaca, il requisito della residenza di cui al presente comma e' richiesto all'alunno o all'alunna o a uno dei genitori.»; e nel comma 5 che «5.
Per l'accesso alle prestazioni di natura economica per il diritto allo studio universitario da parte delle cittadine e dei cittadini stranieri di Stati non appartenenti all'Unione europea e' richiesto il requisito di un periodo minimo di cinque anni di residenza ininterrotta in provincia di Bolzano. Per le studentesse e gli studenti frequentanti un'universita' sul territorio della provincia
possono essere previsti periodi di residenza inferiori.»
Queste previsioni contrastano con l'art. 3 cost. per le medesime ragioni gia' illustrate nel secondo motivo, relativo all'assistenza sociale. Le Osservazioni vi fatte e le conclusioni raggiunte non potrebbero mutare per il fatto che nel presente caso si verte in materia di assistenza scolastica e universitaria. Anche questa materia, se pur prevista autonomamente dallo Statuto come materia di competenza provinciale, rientra nel piu' ampio genus dell'assistenza sociale. Anche per le prestazioni di assistenza scolastica deve quindi valere la considerazione che il criterio della loro erogazione deve essere la proporzione all'effettiva necessita' dell'interessato;
e che tale necessita' non puo' essere commisurata sulla base di un parametro astratto, rigido e casuale come la durata del periodo di residenza, che di per se' non e' idoneo a fornire alcun elemento di valutazione dell'effettiva necessita' di assistenza scolastica o universitaria.
Le disposizioni in esame sono quindi manifestamente irragionevoli per incongruenza tra la loro finalita' (provvidenze per favorire la frequenza scolastica o universitaria) e il criterio di selezione degli aventi diritto (la durata della residenza); e per la disparita' di trattamento che introducono tra situazioni perfettamente analoghe.
Anche uno studente residente da meno di cinque anni puo' infatti trovarsi nella condizione di dover ricorrere a tali provvidenze per non vedere leso il proprio diritto allo studio, e la sola circostanza del minore periodo di residenza non e' idonea a differenziare in modo sostanziale la sua posizione, fino al punto di giustificare la sua esclusione assoluta da tali trattamenti.
Introducendo criteri di selezione del tutto irragionevoli, come la durata minima della residenza, le disposizioni in esame violano poi, oltre all'art. 3 Cost., anche l'art. 34 commi 3 e 4 Cost., giusta i quali «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi piu' alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso».
Da queste previsioni si ricava infatti chiaramente che i criteri di attribuzione delle provvidenze dell'assistenza scolastica e universitaria debbono essere soltanto il bisogno della famiglia e la meritevolezza dello studente. Tutte situazioni, come si vede, con le quali la durata della residenza in provincia non ha alcun collegamento.
Le disposizioni in esame comportano poi una violazione diretta del diritto allo studio, garantito dall'art. 34 cost. in tutte le sue proposizioni, nella misura in cui si traducono, per gli stranieri regolarmente residenti da meno di cinque anni o per i loro figli, in un ostacolo insormontabile ad intraprendere taluni percorsi di studio, qualora tali percorsi siano possibili soltanto frequentando l'universita' (comma 5) o scuole fuori provincia (comma 3), e a questo fine siano indispensabili le provvidenze di assistenza scolastica previste dalla legislazione provinciale.
Per le medesime ragioni fin qui esposte, sono poi costituzionalmente illegittime le previsioni dell'art. 16 commi 3 e 4 della legge impugnata. Queste disposizioni, infatti, adeguano la legge provinciale n. 7/74 sull'assistenza scolastica e la legge provinciale n. 9/2004 sul diritto allo studio universitario a quanto previsto dai commi 3 e 5 dell'art. 14 finora censurati. I commi 3 e 4 dell'art. 16, in particolare, integrano l'elenco degli aventi diritto all'assistenza scolastica (art. 3 l.p. n. 7/74) e alle provvidenze per lo studio universitario (art. 2 l.p. 9/2004) nel senso di prevedere che tra tali aventi diritto figurano, rispettivamente, i cittadini extracomunitari residenti in provincia da almeno cinque anni che frequentano al di fuori del territorio provinciale istituzioni scolastiche o formative professionali non esistenti in provincia; e i cittadini stranieri frequentanti universita' al di fuori del territorio della provincia, purche' residenti in provincia da cinque anni.
Le ragioni di illegittimita' costituzionale delle disposizioni presupposte (art. 14 commi 3 e 5) si estendono quindi per derivazione alle disposizioni dipendenti recate dall'art. 16 commi 3 e 4, nella parte in cui modificano i citati elenchi di aventi diritto all'assistenza scolastica e universitaria introducendo il requisito della residenza quinquennale per gli stranieri extracomunitari.
6. L'art. 16 della legge impugnata, intitolato a «Modifiche di leggi provinciali, disposizioni finali e finanziarie», prevede nel comma 2 che «2. Il comma 1 dell'art. 2 della legge provinciale 13 marzo 1987, n. 5, e successive modifiche, e' cosi' sostituito:
«1. Sono ammessi al beneficio delle sovvenzioni di cui all'art. 3, comma 1, le cittadine e i cittadini dell'Unione europea residenti ininterrottamente per un anno in provincia di Bolzano, che abbiano assolto l'obbligo scolastico.».
L'art. 3, comma 1 della legge provinciale n. 5/87 dispone che «1. Per la promozione e l'apprendimento delle lingue straniere la Provincia autonoma prevede apposite sovvenzioni e puo' istituire un servizio di consulenza e di coordinamento.»
Cio' comporta che i cittadini dell'Unione europea sono ammessi alle sovvenzioni per l'apprendimento delle lingue straniere, ma solo se residenti da almeno un anno nella provincia.
Questa previsione viola innanzitutto l'art. 117 comma 1 Cost., nella parte in cui prevede che «La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto ... dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario».
Il cittadino dell'Unione regolarmente residente nel territorio nazionale non puo' infatti subire, pena la violazione diretta del principio di non discriminazione (art. 18 TFUE) e del principio di libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione (art. 45 TFUE), alcun trattamento discriminatorio rispetto al cittadino italiano, motivato soltanto con la circostanza che si tratta, appunto, di un cittadino dell'Unione e non di un nazionale.
Poiche' nessuna disposizione della provincia prevede che le sovvenzioni per l'apprendimento delle lingue straniere possano essere concesse ai cittadini italiani solo se questi siano residenti da almeno un anno nella provincia, diviene automaticamente discriminatorio e contrario alla liberta' di circolazione all'interno dell'Unione prevedere che per i cittadini dell'Unione valga, invece, questa limitazione. In particolare, va osservato che l'art. 7 d.1gs. n. 30/2007, di attuazione della Direttiva 2004/38/CE sull'ingresso e il soggiorno dei cittadini dell'Unione, prevede che il cittadino dell'Unione puo' iniziare, nel concorso delle varie ulteriori condizioni previste dalla Direttiva e dalla normativa di recepimento, ad essere progressivamente equiparato ad un cittadino residente qualora soggiorni nello Stato per un periodo superiore a tre mesi. A partire da questo momento, e nel concorso delle altre condizioni previste dalla Direttiva, il cittadino dell'Unione viene infatti iscritto nell'anagrafe della popolazione residente. E' quindi contrario ai richiamati principi di diritto dell'Unione e, specificamente, alla Direttiva 2004/38/CE e alla normativa interna di recepimento, escludere a priori da qualsiasi possibilita' di ottenere la provvidenza in questione il cittadino comunitario che risieda in provincia da piu' di tre mesi ma da meno di un anno.
Le dedotte violazioni del diritto dell'Unione ridondano immediatamente, come detto, in violazione dell'art. 117 comma 1 Cost.
Per ragioni analoghe a quelle gia' esposte a proposito dell'art. 10 e dell'art. 14 della legge impugnata, il requisito della residenza minima di un anno comporta poi violazione dell'art. 3 cost. La mera durata della residenza non e' infatti circostanza idonea a differenziare in modo sostanziale le posizioni dei diversi potenziali interessati alla provvidenza in questione. Il solo criterio ragionevole e' la proporzione all'effettivo bisogno, da valutare con le apposite procedure di ammissione. La durata della residenza pregressa e' elemento del tutto irrilevante a questo fine. Anche questa disposizione, quindi, finisce per trattare in modoingiustificatamente diverso situazioni di bisogno sostanzialmente
identiche o analoghe.
7. Infine, tutte le disposizioni qui impugnate che prevedono requisiti temporali minimi di residenza in provincia di entita' maggiore di quelli previsti per le analoghe prestazioni dai principi della legislazione nazionale e comunitaria, vale a dire l'art. 10 comma 2 (residenza minima quinquennale per l'accesso alle prestazioni di assistenza sociale a contenuto economico), l'art. 14 comma 3 e
l'art. 16 comma 3 (residenza minima quinquennale per l'accesso alle agevolazioni per la frequenza scolastica fuori provincia), l'art. 14 comma 5 e l'art. 16 comma 4 (residenza minima quinquennale per l'accesso all'assistenza universitaria), l'art. 16 comma 2 (residenza minima annuale per l'accesso dei cittadini dell'Unione alle sovvenzioni per i corsi di apprendimento delle lingue straniere), violano gli artt. 16 cost. (liberta' di circolazione all'interno del territorio nazionale) e 120 cost. (divieto per le regioni e province autonome di introdurre restrizioni anche indirette alla libera circolazione delle persone e al loro ingresso nei territori regionali
o provinciali).
Infatti, la necessita' di possedere tali speciali requisiti temporali di residenza, non previsti altrove, per accedere alle prestazioni in questione, si traduce in un immediato ostacolo per gli stranieri residenti in altre parti del territorio nazionale, e ivi usufruenti di prestazioni analoghe, a trasferirsi nel territorio della provincia. La mancanza del requisito speciale di residenza da questa preteso comporterebbe infatti, in caso di trasferimento (magari motivato da favorevoli opportunita' di inserimento e di lavoro), la perdita automatica delle prestazioni, il che
scoraggerebbe lo straniero interessato dal trasferirsi in provincia di Bolzano. Le disposizioni in questione elevano quindi una vera e propria barriera all'ingresso, chiaramente contraria agli artt. 16 e 120 Cost.
P. Q. M.
Voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale articoli l, comma 3, lett. g) secondo periodo, ultima parte; 6, comma 3 lett. c) e comma 6; 10, comma 2; 12, comma 4; 13, comma 3; 14, comma 3 e comma 5; 16 commi 2, 3 e 4 della legge provinciale di Bolzano 28 ottobre 2011 n. 12.
Si produce in estratto conforme la delibera del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2011.
Roma, addi' 7 gennaio 2012
L'avvocato dello Stato: Gentili