Ricorso n. 10 del 27 gennaio 2010 (Regione Toscana)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 gennaio 2010 , n. 10
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria 27 gennaio 2010 (della Regione Toscana).
(GU n. 9 del 3-3-2010)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 36 del 18 gennaio 2010, rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura regionale ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Giovanni P. Mosca in Roma, Corso d'Italia, 102, contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 15, primo comma del decreto-legge n. 135/2009, recante «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee», cosi' come modificato dalla legge di conversione 20 novembre 2009, n. 166, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 274 del 24 novembre 2009, S.O. n. 215, in particolare: art. 15, comma 1, lett. b) che sostituisce l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008, con specifico riferimento ai commi 2, 3 e 4 del novellato art. 23-bis; art. 15, comma 1, lett. d) che sostituisce l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008, con specifico riferimento al comma 8 del novellato art. 23-bis; per contrasto con l'art. 117, commi 1°, 2° e 4° della Costituzione, per i profili di seguito indicati. Con l'art. 15 del decreto-legge n. 135/2009, convertito in legge n. 166/2009, sono state introdotte modifiche all'art. 23-bis decreto-legge n. 112/2008, convertito con legge n. 133/2008, avente ad oggetto la disciplina generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. In particolare, le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 135/2009 ed infine dalla legge di conversione n. 166/2009 dettano nuove regole in ordine alle modalita' di conferimento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, realizzando un sistema in cui emerge con forza la centralita' e la prevalenza dell'affidamento del servizio attraverso le procedure di evidenza pubblica ed il disfavore del legislatore statale per le modalita' di gestione in house, con il dichiarato scopo di procedere ad una liberalizzazione del settore dei servizi pubblici. Va preliminarmente Osservato che, la materia dei servizi pubblici locali, rientra nell'ambito della potesta' legislativa esclusiva delle regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. (in tal senso si richiamano le pronunce della Corte costituzionale n. 272/2004; 29/2006; 307/2009). E' altresi' noto che e' riconosciuta la competenza statale nell'ambito dei soli servizi pubblici locali di rilevanza economica, con riferimento alle regole poste in funzione della tutela della concorrenza. A riguardo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 272/2004, ha chiarito - con riferimento all'art. 113 del decreto legislativo n. 267/2000, allora all'esame della Corte - che «in relazione ai riferimenti testuali e soprattutto al caratteri funzionali e strutturali della regolazione prevista, la medesima disciplina puo' essere agevolmente ricondotta nell'ambito della materia ''Tutela della concorrenza'', riservata dall'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato [...] la indicata configurazione della tutela della concorrenza ha una portata cosi' ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a proteggere l'assetto concorrenziale del mercato [...] sotto questo profilo e' quindi significativa la dichiarazione, contenuta nel censurato art. 14 di modifica del primo comma dell'art. 113 del T.U. citato, secondo cui le predette disposizioni sulle modalita' di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica ''concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore''. L'art. 14 si puo' dunque sostanzialmente considerare una norma-principio della materia, alla cui luce e' possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame nonche' il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioe' che il titolo di legittimazione dell'intervento statale in oggetto e' fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale. L'accoglimento di questa interpretazione comporta, da un lato, che l'indicato titolo di legittimazione statale e' riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di "rilevanza economica" e dall'altro lato che solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali. Alla luce di queste considerazioni, nella questione di costituzionalita' in esame, non appaiono censurabili tutte quelle norme impugnate che garantiscono, in forme adeguate e proporzionate, la piu' ampia liberta' di concorrenza nell'ambito di rapporti - come quelli relativi al regime delle gare o delle modalita' di gestione e conferimento dei servizi - i quali per la loro diretta incidenza sul mercato appaiono piu' meritevoli di essere preservati da pratiche anticoncorrenziali. Alle stesse finalita' garantistiche della concorrenza appare ispirata anche la disciplina transitoria, che, in modo non irragionevole, stabilisce i casi di cessazione delle concessioni gia' assentite in relazione all'effettuazione di procedure ad evidenza pubblica e al tipo di societa' affidataria del servizio. [...] Il criterio della proporzionalita' e dell'adeguatezza appare quindi essenziale per definire l'ambito di operativita' della competenza legislativa statale attinente alla ''tutela della concorrenza'' e conseguentemente la legittimita' dei relativi interventi statali. Trattandosi infatti di una cosiddetta materia-funzione, riservata alla competenza esclusiva dello Stato, la quale non ha un'estensione rigorosamente circoscritta e determinata, ma, per cosi' dire, ''trasversale'' (cfr. sentenza n. 407 del 2002), poiche' si intreccia inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi - alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni - connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese, e' evidente la necessita' di basarsi sul criterio di proporzionalita-adeguatezza al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato» (nello stesso senso anche le sentenze n. 29 del 2006; n. 307 del 2009). In altri termini la Corte ha rilevato che l'esercizio da parte dello Stato della potesta' legislativa in materia di tutela della concorrenza di cui all'art. 117, secondo comma, lett. e) Cost., con riferimento alla disciplina dei servizi pubblici, coinvolge profili aventi un'incidenza su una pluralita' di interessi e di oggetti, che non ricadono solo nell'esclusiva competenza statale, ma involgono anche molteplici ambiti di competenza delle regioni (ossia, come visto, l'organizzazione dei servizi pubblici locali): l'intervento dello Stato, pertanto, deve limitarsi alla disciplina di quegli aspetti strettamente connessi alla tutela ed alla promozione della concorrenza e deve - per cio' stesso - uniformarsi ai principi di adeguatezza e di proporzionalita' dell'intervento normativo rispetto al fine pro-concorrenziale perseguito, con cio' escludendo la legittimita' di una normativa troppo dettagliata e puntuale o irragionevole. Pertanto - secondo l'insegnamento della giurisprudenza costituzionale - l'intervento del legislatore statale in ordine alle modalita' di conferimento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica con finalita' pro-concorrenziali deve svolgersi nel rispetto delle prerogative delle regioni costituzionalmente garantite, e per cio' stesso deve limitarsi a prevedere una disciplina di carattere generale che non abbia l'effetto di vincolare in maniera pervasiva le regioni. Le modifiche all'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/2008 (convertito in legge n. 133/2008) introdotte con l'art. 15 in oggetto non sembrano, invece, raccordarsi con i su richiamati principi costituzionali ed ancor prima con i principi vigenti nell'ordinamento comunitario in materia di in house providing, con conseguente lesione delle competenze regionali, in violazione dell'art. 117, primo, secondo e quarto comma della Costituzione. L'art. 15 del decreto-legge n. 135/2009, convertito in legge n. 166/2009 e' pertanto incostituzionale per i seguenti motivi di D i r i t t o 1) - Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, primo comma, lett. b), decreto-legge n.135/2009, convertito in legge n. 166/2009 che sostituisce l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/2008, conv. in legge n. 133/2008, con specifico riferimento al secondo, terzo e quarto comma del novellato art. 23-bis, nella parte in cui, stabilisce che di regola la gestione dei servizi pubblici locali debba essere affidata ad una societa' privata (o mista pubblico-privata) tramite gara nonche' laddove ammette la modalita' di affidamento del servizio direttamente a Societa' c.d. in house (cioe' societa' totalmente pubblica) solo in via «eccezionale»; per violazione dell'art. 117, primo, secondo e quarto comma della Cost. L'art. 15, primo comma, lett. b) in oggetto, nella pretesa applicazione della disciplina comunitaria e al dichiarato scopo di favorire la piu' ampia diffusione dei principi della concorrenza, ha introdotto rilevanti modifiche nella disciplina dei servizi pubblici locali a rilevanza economica gia' contenuta nell'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/2008, convertito con legge n. 133/2008. I novellati secondo, terzo e quarto comma del 23-bis oggi dispongono «2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria: a) a favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalita'; b) a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento. 3. In deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al secondo comma, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento puo' avvenire a favore di societa' a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta ''in house'' e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla societa' e di prevalenza dell'attivita' svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. 4. Nei casi di cui al terzo comma, l'ente affidante deve dare adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole». A seguito dell'intervento legislativo del 2009, e' stato, quindi, stabilito che «in via ordinaria» i servizi pubblici locali sono affidati: ad imprenditori o societa' scelte, tramite gara ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi comunitari; a societa' miste pubblico-private in cui il socio privato sia stato scelto con gara, a condizione che detta gara abbia avuto ad oggetto, contestualmente, la qualita' di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e, che detto socio partecipi in misura non inferiore al 40% (novellato secondo comma dell'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/2008). La norma, per contro, prevede la scelta di gestire il servizio pubblico facendo ricorso all'in house come forma «derogatoria» (novellato terzo comma dell'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/2008): in particolare la nuova normativa prescrive che la forma di gestione denominata in house providing - seppur conforme ai principi della disciplina comunitaria - possa essere adottata solo eccezionalmente «per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato». Non solo, la scelta dell'in house deve essere motivata, pubblicizzata e sottoposta a preventivo parere della Autorita' Garante della concorrenza (novellato quarto comma dell'art. 23-bis decreto-legge n.112/2008). Dalla lettura delle disposizioni su richiamate emerge con tutta evidenza il disfavore espresso dal legislatore statale per la modalita' di gestione del servizio pubblico attraverso una societa' a totale partecipazione pubblica, ancorche' sussistano i requisiti indicati dall'ordinamento comunitario, ossia l'esercizio da parte dell'ente pubblico di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e la prevalenza dell'attivita' della societa' in house a favore dell'ente controllante. Il nuovo regime introdotto dalle suddette disposizioni ed il rinnovato rapporto delineato dal legislatore statale tra esternalizzazione dei servizi pubblici e gestione in house degli stessi, non risponde ad esigenze connesse alla regolazione del mercato e di tutela della concorrenza e stabilisce una disciplina particolareggiata e puntuale, incidendo in maniera rilevante sulle prerogative regionali costituzionalmente garantite. Secondo l'insegnamento comunitario, il sistema del c.d. affidamento in house providing indica l'ipotesi particolare in cui il servizio venga affidato a soggetti, che siano parte della amministrazione stessa. Quindi, ai fini della gestione di detto servizio, l'Amministrazione non ricorre all'esterno, facendo ricorso al mercato, ma provvede in proprio. Tale sistema si contrappone al c.d. outsourcing o contractingout in cui l'ente pubblico si rivolge invece al privato. A riguardo si richiama la nota sentenza 18 novembre 1999 in causa C-107/98 (Teckal) con la quale, la Corte di giustizia delle Comunita' europee, dopo aver affermato l'obbligatorieta' della procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, ha affermato che: «Puo' avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l'ente locale eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello esercitato a quello esercitato sui propri servizi e quest'ultimo realizzi la parte piu' importante della propria attivita', con l'ente o con gli enti locali detentori». Cio' in ragione del fatto che in tale ultimo caso non vi e' alcuna alterazione del mercato, in quanto la scelta di gestione in house si pone al di fuori delle regole del mercato stesso; dette societa' pubbliche - ove rispettino i requisiti individuati dall'ordinamento comunitario - devono infatti considerarsi alla stregua di strutture organizzative interne alle amministrazioni. Come ben messo in evidenza dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2008, le societa' in house devono considerarsi come una «derivazione», o una longa manus, dell'ente stesso. Da qui, l'espressione in house che richiama, appunto, una gestione in qualche modo riconducibile allo stesso ente affidante o a sue articolazioni. Si e' in presenza di un modello di organizzazione meramente interno, qualificabile in termini di delegazione interorganica. Da cio' lo stesso Consiglio di Stato deduce che, in ragione delle caratteristiche dell'in house providing, ed in particolare del «controllo analogo» e della «destinazione prevalente dell'attivita'», l'ente in house non puo' ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa. L'organizzazione in house e' sottratta alla disciplina della concorrenza nella scelta del gestore, in quanto questi e' parte dell'organizzazione della controllante, per la quale svolge attivita' in via prevalente. Non puo' pertanto essere considerata un'impresa di terzi, ne' incide sul mercato (in tal senso si veda Corte di giustizia delle Comunita' europee, 17 luglio 2008, in causa C-371/05, Commissione Ce c. Repubblica italiana). Conseguentemente, non puo' invocarsi il principio di concorrenza - che invece deve necessariamente conformare l'operato delle amministrazioni una volta che le stesse abbiano deciso di rivolgersi al mercato delle imprese - nella ipotesi della scelta dell'in house, che involge piuttosto profili di auto-organizzazione dell'ente pubblico. Piu' precisamente, il ricorso alla societa' in house costituisce un modulo gestionale non concorsuale, perche' in tal caso le Amministrazioni realizzano le attivita' di competenza attraverso propri organismi, senza ricorrere al mercato. Nelle gestioni in house non vi e' alcun coinvolgimento degli operatori economici, per cui le regole della concorrenza applicabili agli appalti pubblici e agli affidamenti dei servizi pubblici a terzi non vengono in rilievo. Come rilevato dalla Corte costituzionale nella citata pronuncia n. 272/2004, con riferimento ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, il legislatore statale e' titolare di un titolo di legittimazione trasversale che gli consente di definire esclusivamente quegli aspetti della disciplina dei servizi pubblici locali, relativi alle modalita' di organizzazione degli stessi, collegati alla tutela della concorrenza e con esclusivo riferimento a quei profili di disciplina che appaiono strettamente indispensabili, proporzionati e adeguati al raggiungimento dell'obiettivo di garantire condizioni concorrenziali uniformi nei mercati di riferimento, in modo da garantire l'unita' e la coerenza del sistema: fuori da detto specifico ambito va riconosciuta alle regioni la competenza legislativa residuale ad esse attribuita dall'art. 117, quarto comma, Cost., specificatamente per tutti quegli aspetti che esulano dalla materia di tutela della concorrenza e da esigenze di carattere unitario. In altri termini, la Corte costituzionale ha affermato con chiarezza che l'intervento legislativo statale a tutela della concorrenza con riferimento ai servizi pubblici locali di rilevanza economica viene in considerazione solo per quei profili di disciplina strettamente collegati e funzionali (e dunque ragionevoli e proporzionati) all'esigenza di definire condizioni concorrenziali uniformi nei vari settori economici. Invece, quando le Amministrazioni, nell'esercizio delle valutazioni discrezionali di competenza, decidono di gestire il servizio attraverso una propria longa manus (la societa' in house) non ricorrono le esigenze di tutela della concorrenza e quindi, per tale profilo, non esiste un titolo legittimante la competenza statale. La scelta in ordine alle modalita' di gestione del servizio pubblico locale tra esternalizzazione e affidamento in house del servizio e' una tipica scelta di organizzazione, che in quanto organizzazione locale e non nazionale dei servizi non rientra nella competenza statale, ma in quella regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. La normativa in esame lede dunque direttamente la potesta' legislativa residuale delle regioni (art. 117, quarto comma, Cost.) in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali (regionali e degli altri enti territoriali) ove preclude alle regioni ogni determinazione in ordine alla preliminare scelta se rivolgersi al mercato (quindi tramite procedure ad evidenza pubblica) oppure gestire in proprio il servizio attraverso l'in house providing (che e' fuori dal mercato). E' pertanto illegittima la norma di cui all'art. 15 in oggetto nella parte in cui esprime una prevalenza della gestione esternalizzata dei servizi pubblici locali, in quanto interviene nella materia dell'organizzazione della gestione di detti servizi, con una normativa di dettaglio, che non lascia margini all'autonomia del legislatore regionale, pur perseguendo finalita' che esulano da profili strettamente connessi alla tutela della concorrenza. Cio' in violazione dell'art. 117, secondo e quarto comma, della Costituzione. Inoltre la norma si pone in contrasto anche con il diritto comunitario, in violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. Il citato primo comma dell'art. 117 Cost. prevede che la potesta' legislativa in Italia sia esercitata «nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario», cio' e' tanto piu' vero con riferimento alla materia della concorrenza, in relazione alla quale lo Stato si uniforma necessariamente ai principi comunitari. Ebbene, nessuna disposizione comunitaria vigente limita il ricorso all'in house a casi eccezionali, in presenza di rigorose condizioni previste dalla legge e previo assolvimento di puntuali regole procedimentali, cosi' come invece previsto dal legislatore statale del 2009. Al contrario, l'ordinamento comunitario ammette espressamente la possibilita' di fornire i servizi pubblici con un'organizzazione propria, in alternativa all'affidamento ad imprese terze. La forma di gestione in house si giustifica proprio alla luce dell'interpretazione della giurisprudenza comunitaria che ha espressamente riconosciuto un'ulteriore ipotesi di organizzazione a fianco dell'organismo di diritto pubblico, qualificando l'in house quale espressione del potere d'organizzazione delle pubbliche amministrazioni in virtu' del legame che unisce l'amministrazione territoriale alla societa' in house. Per detta ragione la giurisprudenza della Corte di giustizia europea esclude l'esperimento di procedure ad evidenza pubblica ed ammette l'affidamento diretto dei servizi alla societa' in house che, seppur formalmente esterna rispetto all'amministrazione controllante, e' dall'amministrazione strettamente «dipendente» in ragione del requisito del «controllo analogo» e della destinazione prevalente all'amministrazione controllante dell'attivita' svolta dalla controllata. Per contro, l'art. 15 in esame limita il ricorso alla gestione in house - ancorche' dichiaratamente (per espressa indicazione dello stesso legislatore nazionale nell'art. 15 in parola) conforme ai principi comunitari - e quindi legifera ben al di la' dei limiti legittimamente riconosciuti per le finalita' di tutela della concorrenza: cio' sia nella parte in cui inserisce il nuovo secondo comma nell'art. 23-bis, perche' esso non contempla la gestione in house come ordinaria, sia nella parte in cui si introducono i nuovi terzo e quarto commi, perche' questi sanciscono il carattere del tutto eccezionale delle gestioni in house, invece ammesse dall'ordinamento comunitario. Pertanto, l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/ 2008, cosi' come modificato dall'art.15, decreto-legge n. 135/2009 non trova fondamento ne' nella riserva costituzionale alla legislazione statale esclusiva della materia tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e) Cost.), ne' nella disciplina comunitaria, cio' in violazione dell'art. 117, primo, secondo e quarto comma della Costituzione. Non potrebbe, infine, essere utilmente invocata - al fine di fondare la legittimita' costituzionale delle disposizioni in esame - la competenza esclusiva statale: nella materia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.), in quanto le disposizioni impugnate hanno ad oggetto unicamente le forme di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica e non le prestazioni che dette gestioni debbono assicurare agli utenti (Corte cost., sent. n. 272 del 2004, gia' citata); ovvero, nella materia relativa alle funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera p), in quanto «la gestione dei predetti servizi non puo' certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale» (Corte cost., sent. n. 272/2004, citata). 2) - Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, lett. d) decreto-legge n.135/2009 conv. in legge n. 166/2009 che sostituisce l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008, con specifico riferimento all'ottavo comma del novellato art. 23-bis, nella parte in cui introduce un nuovo regime transitorio, valido per tutti i servizi, compreso quello idrico; per violazione dell'art. 117, primo, secondo e quarto comma Cost. Il comma 8 dell'art. 23-bis citato, cosi' come risulta novellato dall'art. 15, primo comma, lett. d) del decreto-legge n. 135/2009, convertito in legge n. 166/2009, e' parimenti illegittimo laddove prevede con una norma di estremo dettaglio la disciplina del periodo transitorio con riferimento alle gestioni in essere, che - per cio' stesso - non rispondono alle prescrizioni dei novellati secondo, terzo e quarto comma dell'art. 23-bis. La disposizione stabilisce infatti che «Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai secondo e terzo comma e' il seguente: a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta ''in house'' cessano, improrogabilmente e senza necessita' di deliberazione da parte dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso le modalita' di cui alla lettera b) del secondo comma; b) le gestioni affidate direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del secondo comma, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011; c) le gestioni affidate direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del secondo comma, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio; d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a societa' a partecipazione pubblica gia' quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro i1 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015; e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante». E' evidente che anche detta disposizione non si limita a disciplinare, con norma di carattere generale, la materia della gestione dei servizi pubblici sotto lo specifico profilo della tutela della concorrenza e, in ogni caso, non rispetta i principi di adeguatezza e di proporzionalita' dell'intervento normativo da parte dello Stato in ragione delle finalita' pro-concorrenziali. Inoltre, con la gia' piu' volte citata sentenza n. 272/04, la Corte costituzionale ha evidenziato che la disciplina del periodo transitorio ed in particolare l'individuazione dei casi di cessazione delle gestioni assentite deve necessariamente uniformarsi al principio di ragionevolezza. Ebbene, non appare in alcun modo ragionevole l'aver stabilito una puntuale articolazione temporale della disciplina transitoria, valida indifferentemente per tutti le tipologie di servizi pubblici (gestione rifiuti, servizio idrico etc.) e riferita genericamente a tutte le diverse situazioni presenti sul territorio nazionale. Ne' puo' negarsi che le disposizioni su citate delineino in maniera puntuale il regime transitorio, ben oltre i limiti dell'adeguatezza e della proporzionalita' e non si limitino invece - secondo l'insegnamento della Corte costituzionale nella gia' citata sentenza n. 272/2004 - a dettare una disciplina generale che garantisca spazi di intervento al legislatore regionale. Inoltre, anche attraverso la disciplina del periodo transitorio, viene ribadito il disfavore del legislatore statale per le gestioni in house, le quali, pur affidate conformemente ai principi dell'ordinamento comunitario, sono destinate a cessare improrogabilmente alla data del 31 dicembre 2011 (cfr. novellato ottavo comma, lett. a) dell'art. 23-bis in parola, cosi' come modificato dall'art. 15 decreto-legge n. 135/2009). Pertanto, per le ragioni gia' esposte al punto 1 del presente ricorso, anche la norma in esame deve essere dichiarata illegittima per contrasto con l'art. 117, primo, secondo e quarto comma della Costituzione, in quanto: il legislatore statale, con la disciplina in esame, non ha limitato il proprio intervento agli aspetti piu' strettamente connessi alla tutela della concorrenza ed alla regolazione del mercato, ma e' intervenuto, con una norma di dettaglio, direttamente sulla potesta' residuale delle regioni, che vedono in tal modo in gran parte compresse le prerogative costituzionalmente garantite in ordine alla libera determinazione se - ai fini della gestione del servizio pubblico - ricorrere o meno al mercato. L'esercizio di detta opzione - che e' evidentemente preliminare rispetto alle ulteriori problematiche inerenti la regolazione del mercato (questa si' spettante alla competenza statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. e) Cost.) - rientra evidentemente nell'ambito del buon andamento dell'organizzazione dei servizi pubblici che spetta alle Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma:, Cost.; inoltre la disposizione nella parte in cui impone al 31 dicembre 2011 la cessazione di tutte le gestioni in house - dichiaratamente conformi all'ordinamento comunitario - si pone con quest'ultimo in insanabile contrasto, cio' in violazione dell'art. 117 primo comma, Cost; neppure con riferimento alla disciplina del periodo transitorio possano venire in rilievo le diverse competenze legislative riconosciute allo Stato, in via esclusiva, in ordine alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni ovvero delle funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane (si veda in tal senso la gia' citata sentenza n. 272/2004), posto che «la gestione dei predetti servizi non puo' certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale».
P. Q. M. Voglia dichiarare costituzionalmente illegittime le disposizioni qui impugnate dell'art. 15, del decreto-legge n. 135/2009, recante «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee», cosi' come modificato dalla legge di conversione 20 novembre 2009, n. 166, per le ragioni e sotto i profili illustrati nel presente ricorso. Si deposita la delibera di autorizzazione della Giunta regionale toscana n. 36 del 18 gennaio 2010. Firenze-Roma, addi' 21 gennaio 2010 L'Avv.: Lucia Bora