RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 gennaio 2010 , n. 10
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria 27 gennaio 2010 (della Regione Toscana). 
 

(GU n. 9 del 3-3-2010) 
 
 
    Ricorso della Regione Toscana,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore, autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 36 del 18
gennaio 2010, rappresentato e difeso, come da  mandato  in  calce  al
presente atto, dall'avv.  Lucia  Bora  dell'Avvocatura  regionale  ed
elettivamente domiciliato presso  lo  studio  dell'avv.  Giovanni  P.
Mosca  in  Roma,  Corso  d'Italia,  102,  contro  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  pro  tempore  per   la   dichiarazione   di
illegittimita'  costituzionale  dell'art.   15,   primo   comma   del
decreto-legge  n.  135/2009,  recante   «Disposizioni   urgenti   per
l'attuazione di obblighi comunitari e per  l'esecuzione  di  sentenze
della  Corte  di  giustizia  delle  Comunita'  europee»,  cosi'  come
modificato dalla legge di  conversione  20  novembre  2009,  n.  166,
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.  274  del  24
novembre 2009, S.O. n. 215, in particolare: 
        art. 15, comma 1, lett. b)  che  sostituisce  l'art.  23-bis,
decreto-legge n. 112/2008,  convertito  in  legge  n.  133/2008,  con
specifico riferimento ai commi 2, 3 e 4 del novellato art. 23-bis; 
        art. 15, comma 1, lett. d)  che  sostituisce  l'art.  23-bis,
decreto-legge n. 112/2008,  convertito  in  legge  n.  133/2008,  con
specifico riferimento al comma 8 del novellato art. 23-bis; 
        per contrasto con  l'art.  117,  commi  1°,  2°  e  4°  della
Costituzione, per i profili di seguito indicati. 
    Con l'art. 15 del decreto-legge n. 135/2009, convertito in  legge
n.  166/2009,  sono  state  introdotte  modifiche   all'art.   23-bis
decreto-legge n. 112/2008, convertito con legge n.  133/2008,  avente
ad oggetto la disciplina generale  dei  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica. 
    In particolare, le  modifiche  introdotte  dal  decreto-legge  n.
135/2009 ed infine dalla legge di  conversione  n.  166/2009  dettano
nuove regole in ordine alle modalita'  di  conferimento  dei  servizi
pubblici locali di rilevanza economica, realizzando un sistema in cui
emerge con forza la centralita' e la prevalenza dell'affidamento  del
servizio attraverso le procedure di evidenza pubblica ed il disfavore
del legislatore statale per le modalita' di gestione in house, con il
dichiarato scopo di procedere ad una liberalizzazione del settore dei
servizi pubblici. 
    Va preliminarmente Osservato che, la materia dei servizi pubblici
locali, rientra  nell'ambito  della  potesta'  legislativa  esclusiva
delle regioni ai sensi dell'art. 117, quarto  comma,  Cost.  (in  tal
senso  si  richiamano  le  pronunce  della  Corte  costituzionale  n.
272/2004; 29/2006; 307/2009). 
    E' altresi'  noto  che  e'  riconosciuta  la  competenza  statale
nell'ambito dei soli servizi pubblici locali di rilevanza  economica,
con riferimento alle regole poste  in  funzione  della  tutela  della
concorrenza. 
    A riguardo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 272/2004,
ha chiarito - con riferimento all'art. 113 del decreto legislativo n.
267/2000, allora  all'esame  della  Corte  -  che  «in  relazione  ai
riferimenti  testuali  e  soprattutto  al  caratteri   funzionali   e
strutturali della regolazione prevista, la medesima  disciplina  puo'
essere agevolmente  ricondotta  nell'ambito  della  materia  ''Tutela
della concorrenza'', riservata dall'art. 117, secondo comma,  lettera
e), della Costituzione, alla competenza legislativa  esclusiva  dello
Stato [...] la indicata configurazione della tutela della concorrenza
ha una portata cosi' ampia  da  legittimare  interventi  dello  Stato
volti sia a promuovere, sia a proteggere l'assetto concorrenziale del
mercato  [...]  sotto  questo  profilo  e'  quindi  significativa  la
dichiarazione, contenuta nel censurato art. 14 di modifica del  primo
comma  dell'art.  113  del  T.U.  citato,  secondo  cui  le  predette
disposizioni sulle modalita' di gestione ed affidamento  dei  servizi
pubblici locali di rilevanza economica ''concernono la  tutela  della
concorrenza e sono inderogabili ed integrative  delle  discipline  di
settore''. L'art. 14 si puo' dunque sostanzialmente  considerare  una
norma-principio  della  materia,   alla   cui   luce   e'   possibile
interpretare il complesso delle  disposizioni  in  esame  nonche'  il
rapporto con le altre normative di settore, nel senso  cioe'  che  il
titolo  di  legittimazione  dell'intervento  statale  in  oggetto  e'
fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all'art. 117,  secondo
comma, lettera e), della Costituzione, e  che  la  disciplina  stessa
contiene  un  quadro  di  principi  nei  confronti   di   regolazioni
settoriali   di   fonte   regionale.   L'accoglimento    di    questa
interpretazione comporta,  da  un  lato,  che  l'indicato  titolo  di
legittimazione  statale  e'  riferibile  solo  alle  disposizioni  di
carattere generale  che  disciplinano  le  modalita'  di  gestione  e
l'affidamento dei servizi pubblici locali di "rilevanza economica"  e
dall'altro lato che solo le predette disposizioni non possono  essere
derogate da norme regionali.  Alla  luce  di  queste  considerazioni,
nella  questione  di  costituzionalita'  in   esame,   non   appaiono
censurabili tutte quelle norme impugnate che garantiscono,  in  forme
adeguate e proporzionate,  la  piu'  ampia  liberta'  di  concorrenza
nell'ambito di rapporti - come quelli relativi al regime delle gare o
delle modalita' di gestione e conferimento dei servizi - i quali  per
la loro diretta incidenza sul mercato  appaiono  piu'  meritevoli  di
essere  preservati  da  pratiche  anticoncorrenziali.   Alle   stesse
finalita' garantistiche della concorrenza appare  ispirata  anche  la
disciplina transitoria, che, in modo non irragionevole, stabilisce  i
casi di cessazione delle  concessioni  gia'  assentite  in  relazione
all'effettuazione di procedure ad evidenza  pubblica  e  al  tipo  di
societa'  affidataria  del  servizio.   [...]   Il   criterio   della
proporzionalita' e  dell'adeguatezza  appare  quindi  essenziale  per
definire  l'ambito  di  operativita'  della  competenza   legislativa
statale   attinente   alla    ''tutela    della    concorrenza''    e
conseguentemente la legittimita'  dei  relativi  interventi  statali.
Trattandosi infatti di  una  cosiddetta  materia-funzione,  riservata
alla competenza esclusiva dello Stato, la quale non ha  un'estensione
rigorosamente  circoscritta  e  determinata,  ma,  per  cosi'   dire,
''trasversale'' (cfr. sentenza n. 407 del 2002), poiche' si intreccia
inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi - alcuni  dei
quali rientranti nella sfera di competenza  concorrente  o  residuale
delle Regioni  -  connessi  allo  sviluppo  economico-produttivo  del
Paese,  e'  evidente  la  necessita'  di  basarsi  sul  criterio   di
proporzionalita-adeguatezza  al  fine  di  valutare,  nelle   diverse
ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno  determinati
interventi legislativi dello Stato»  (nello  stesso  senso  anche  le
sentenze n. 29 del 2006; n. 307 del 2009). 
    In altri termini la Corte ha rilevato che  l'esercizio  da  parte
dello Stato della potesta' legislativa in  materia  di  tutela  della
concorrenza di cui all'art. 117, secondo comma, lett. e)  Cost.,  con
riferimento alla disciplina dei servizi pubblici,  coinvolge  profili
aventi un'incidenza su una pluralita' di interessi e di oggetti,  che
non ricadono solo nell'esclusiva  competenza  statale,  ma  involgono
anche molteplici ambiti di  competenza  delle  regioni  (ossia,  come
visto, l'organizzazione dei servizi  pubblici  locali):  l'intervento
dello Stato, pertanto,  deve  limitarsi  alla  disciplina  di  quegli
aspetti strettamente connessi alla tutela ed  alla  promozione  della
concorrenza e deve - per cio' stesso -  uniformarsi  ai  principi  di
adeguatezza e di proporzionalita' dell'intervento normativo  rispetto
al  fine  pro-concorrenziale  perseguito,  con  cio'  escludendo   la
legittimita'  di  una  normativa  troppo  dettagliata  e  puntuale  o
irragionevole. 
    Pertanto   -   secondo   l'insegnamento   della    giurisprudenza
costituzionale - l'intervento del legislatore statale in ordine  alle
modalita' di conferimento dei servizi pubblici  locali  di  rilevanza
economica  con  finalita'  pro-concorrenziali  deve   svolgersi   nel
rispetto   delle   prerogative   delle   regioni   costituzionalmente
garantite,  e  per  cio'  stesso  deve  limitarsi  a  prevedere   una
disciplina di carattere generale che non abbia l'effetto di vincolare
in maniera pervasiva le regioni. 
    Le  modifiche  all'art.   23-bis,   decreto-legge   n.   112/2008
(convertito in legge n. 133/2008) introdotte con l'art. 15 in oggetto
non sembrano,  invece,  raccordarsi  con  i  su  richiamati  principi
costituzionali ed ancor prima con i principi vigenti nell'ordinamento
comunitario in materia di in house providing, con conseguente lesione
delle competenze  regionali,  in  violazione  dell'art.  117,  primo,
secondo e quarto comma della Costituzione. 
    L'art. 15 del decreto-legge n. 135/2009, convertito in  legge  n.
166/2009 e' pertanto incostituzionale per i seguenti motivi di 
 
                            D i r i t t o 
 
1) - Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, primo  comma,  lett.
b), decreto-legge n.135/2009, convertito in  legge  n.  166/2009  che
sostituisce l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/2008, conv. in  legge
n. 133/2008, con specifico riferimento al  secondo,  terzo  e  quarto
comma  del novellato art. 23-bis, nella parte in cui, stabilisce  che
di regola la  gestione  dei  servizi  pubblici  locali  debba  essere
affidata ad una societa' privata (o mista  pubblico-privata)  tramite
gara nonche' laddove ammette la modalita' di affidamento del servizio
direttamente a Societa' c.d.  in  house  (cioe'  societa'  totalmente
pubblica) solo in via «eccezionale»; per  violazione  dell'art.  117,
primo, secondo e quarto comma della Cost. 
    L'art. 15, primo  comma,  lett.  b)  in  oggetto,  nella  pretesa
applicazione della disciplina comunitaria e al  dichiarato  scopo  di
favorire la piu' ampia diffusione dei principi della concorrenza,  ha
introdotto rilevanti modifiche nella disciplina dei servizi  pubblici
locali  a  rilevanza  economica  gia'  contenuta  nell'art.   23-bis,
decreto-legge n. 112/2008, convertito con legge n. 133/2008. 
    I  novellati  secondo,  terzo  e  quarto  comma del  23-bis  oggi
dispongono «2. Il conferimento della gestione  dei  servizi  pubblici
locali avviene, in via ordinaria: 
        a) a favore di imprenditori o di societa' in qualunque  forma
costituite individuati mediante  procedure  competitive  ad  evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato  che  istituisce  la
Comunita' europea e  dei  principi  generali  relativi  ai  contratti
pubblici e, in particolare, dei principi di economicita',  efficacia,
imparzialita',     trasparenza,     adeguata     pubblicita',     non
discriminazione,  parita'  di  trattamento,  mutuo  riconoscimento  e
proporzionalita'; 
        b) a societa' a partecipazione mista pubblica  e  privata,  a
condizione che la selezione  del  socio  avvenga  mediante  procedure
competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei  principi  di  cui
alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto,  al  tempo  stesso,  la
qualita' di socio e l'attribuzione  di  specifici  compiti  operativi
connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una
partecipazione non inferiore al 40 per cento. 
    3. In deroga alle modalita' di affidamento ordinario  di  cui  al
secondo comma, per situazioni eccezionali che, a causa  di  peculiari
caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto territoriale di riferimento, non permettono  un  efficace  e
utile ricorso al mercato, l'affidamento puo'  avvenire  a  favore  di
societa'  a  capitale  interamente  pubblico,  partecipata  dall'ente
locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento  comunitario
per la gestione cosiddetta ''in house'' e, comunque, nel rispetto dei
principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo
sulla societa' e di prevalenza dell'attivita' svolta dalla stessa con
l'ente o gli enti pubblici che la controllano. 
    4. Nei casi di cui al terzo comma,  l'ente  affidante  deve  dare
adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base  ad  un'analisi
del mercato e contestualmente trasmettere  una  relazione  contenente
gli  esiti  della  predetta  verifica  all'Autorita'  garante   della
concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere  preventivo,
da rendere entro  sessanta  giorni  dalla  ricezione  della  predetta
relazione. Decorso il termine, il parere, se  non  reso,  si  intende
espresso in senso favorevole». 
    A seguito dell'intervento legislativo del 2009, e' stato, quindi,
stabilito che «in via  ordinaria»  i  servizi  pubblici  locali  sono
affidati: 
        ad imprenditori o societa' scelte, tramite gara  ad  evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi comunitari; 
        a societa' miste pubblico-private in cui il socio privato sia
stato scelto con gara, a condizione che detta  gara  abbia  avuto  ad
oggetto, contestualmente, la qualita' di socio  e  l'attribuzione  di
specifici compiti operativi connessi alla gestione  del  servizio  e,
che detto socio partecipi in misura non inferiore al  40%  (novellato
secondo comma dell'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/2008). 
    La norma, per contro, prevede la scelta di  gestire  il  servizio
pubblico  facendo  ricorso  all'in  house  come  forma  «derogatoria»
(novellato terzo comma dell'art. 23-bis, decreto-legge n.  112/2008):
in particolare la nuova normativa prescrive che la forma di  gestione
denominata in house providing - seppur  conforme  ai  principi  della
disciplina comunitaria - possa essere adottata  solo  eccezionalmente
«per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del  contesto  territoriale  di
riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al  mercato».
Non solo, la scelta dell'in house deve essere motivata, pubblicizzata
e sottoposta  a  preventivo  parere  della  Autorita'  Garante  della
concorrenza (novellato quarto  comma dell'art.  23-bis  decreto-legge
n.112/2008). 
    Dalla lettura delle disposizioni su richiamate emerge  con  tutta
evidenza  il  disfavore  espresso  dal  legislatore  statale  per  la
modalita' di gestione del servizio pubblico attraverso una societa' a
totale partecipazione  pubblica,  ancorche'  sussistano  i  requisiti
indicati dall'ordinamento comunitario,  ossia  l'esercizio  da  parte
dell'ente pubblico di un controllo analogo a  quello  esercitato  sui
propri servizi e la prevalenza dell'attivita' della societa' in house
a favore dell'ente controllante. 
    Il nuovo regime introdotto  dalle  suddette  disposizioni  ed  il
rinnovato   rapporto   delineato   dal   legislatore   statale    tra
esternalizzazione dei servizi pubblici  e  gestione  in  house  degli
stessi, non  risponde  ad  esigenze  connesse  alla  regolazione  del
mercato e di tutela della concorrenza  e  stabilisce  una  disciplina
particolareggiata e puntuale, incidendo in  maniera  rilevante  sulle
prerogative regionali costituzionalmente garantite. 
    Secondo  l'insegnamento  comunitario,   il   sistema   del   c.d.
affidamento in house providing indica l'ipotesi particolare in cui il
servizio  venga  affidato  a  soggetti,   che   siano   parte   della
amministrazione stessa. Quindi,  ai  fini  della  gestione  di  detto
servizio, l'Amministrazione non ricorre all'esterno, facendo  ricorso
al mercato, ma provvede in proprio. Tale sistema  si  contrappone  al
c.d. outsourcing o contractingout in cui l'ente pubblico  si  rivolge
invece al privato. 
    A riguardo si richiama la nota sentenza 18 novembre 1999 in causa
C-107/98 (Teckal) con la quale, la Corte di giustizia delle Comunita'
europee, dopo aver affermato  l'obbligatorieta'  della  procedura  ad
evidenza pubblica per la scelta del  contraente,  ha  affermato  che:
«Puo' avvenire diversamente solo  nel  caso  in  cui,  nel  contempo,
l'ente locale eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello
esercitato a quello esercitato  sui  propri  servizi  e  quest'ultimo
realizzi la parte piu' importante della propria attivita', con l'ente
o con gli enti locali detentori». 
    Cio' in ragione del fatto che in  tale  ultimo  caso  non  vi  e'
alcuna alterazione del mercato, in quanto la scelta  di  gestione  in
house si pone al di fuori delle  regole  del  mercato  stesso;  dette
societa'  pubbliche  -  ove  rispettino   i   requisiti   individuati
dall'ordinamento  comunitario  -  devono  infatti  considerarsi  alla
stregua di strutture organizzative interne alle amministrazioni. 
    Come ben messo in evidenza dall'Adunanza plenaria  del  Consiglio
di Stato n. 1/2008, le societa' in house devono considerarsi come una
«derivazione»,  o  una  longa  manus,  dell'ente  stesso.   Da   qui,
l'espressione in house che richiama, appunto, una gestione in qualche
modo riconducibile allo stesso ente affidante o a sue  articolazioni.
Si e' in presenza di un modello di organizzazione meramente  interno,
qualificabile in termini di delegazione  interorganica.  Da  cio'  lo
stesso  Consiglio   di   Stato   deduce   che,   in   ragione   delle
caratteristiche  dell'in  house  providing,  ed  in  particolare  del
«controllo analogo» e della «destinazione prevalente dell'attivita'»,
l'ente in house non puo' ritenersi terzo rispetto all'amministrazione
controllante  ma  deve  considerarsi  come  uno  dei  servizi  propri
dell'amministrazione stessa. 
    L'organizzazione in house  e'  sottratta  alla  disciplina  della
concorrenza nella scelta del  gestore,  in  quanto  questi  e'  parte
dell'organizzazione della controllante, per la quale svolge attivita'
in via prevalente. Non puo' pertanto essere considerata un'impresa di
terzi, ne' incide  sul  mercato  (in  tal  senso  si  veda  Corte  di
giustizia delle Comunita' europee, 17 luglio 2008, in causa C-371/05,
Commissione Ce c. Repubblica italiana). 
    Conseguentemente, non puo' invocarsi il principio di  concorrenza
-  che  invece  deve  necessariamente  conformare   l'operato   delle
amministrazioni una volta che le stesse abbiano deciso di  rivolgersi
al mercato delle imprese - nella ipotesi della scelta dell'in  house,
che  involge  piuttosto  profili  di  auto-organizzazione   dell'ente
pubblico. 
    Piu' precisamente, il ricorso alla societa' in house  costituisce
un  modulo  gestionale  non  concorsuale,  perche'  in  tal  caso  le
Amministrazioni realizzano  le  attivita'  di  competenza  attraverso
propri organismi, senza ricorrere al mercato. Nelle gestioni in house
non vi e' alcun coinvolgimento degli operatori economici, per cui  le
regole della concorrenza applicabili agli  appalti  pubblici  e  agli
affidamenti dei servizi pubblici a terzi non vengono in rilievo. 
    Come rilevato dalla Corte costituzionale nella  citata  pronuncia
n. 272/2004, con riferimento ai servizi pubblici locali di  rilevanza
economica, il  legislatore  statale  e'  titolare  di  un  titolo  di
legittimazione   trasversale   che   gli   consente    di    definire
esclusivamente quegli aspetti della disciplina dei  servizi  pubblici
locali, relativi  alle  modalita'  di  organizzazione  degli  stessi,
collegati alla tutela della concorrenza e con esclusivo riferimento a
quei profili di disciplina che appaiono strettamente  indispensabili,
proporzionati  e  adeguati  al   raggiungimento   dell'obiettivo   di
garantire  condizioni  concorrenziali   uniformi   nei   mercati   di
riferimento, in modo da garantire l'unita' e la coerenza del sistema:
fuori da detto specifico  ambito  va  riconosciuta  alle  regioni  la
competenza legislativa residuale ad esse  attribuita  dall'art.  117,
quarto comma, Cost., specificatamente per tutti  quegli  aspetti  che
esulano dalla materia di tutela della concorrenza e  da  esigenze  di
carattere unitario. 
    In altri  termini,  la  Corte  costituzionale  ha  affermato  con
chiarezza  che  l'intervento  legislativo  statale  a  tutela   della
concorrenza con riferimento ai servizi pubblici locali  di  rilevanza
economica viene in considerazione solo per quei profili di disciplina
strettamente  collegati  e  funzionali  (e   dunque   ragionevoli   e
proporzionati) all'esigenza  di  definire  condizioni  concorrenziali
uniformi   nei   vari   settori   economici.   Invece,   quando    le
Amministrazioni, nell'esercizio delle  valutazioni  discrezionali  di
competenza, decidono di gestire il servizio  attraverso  una  propria
longa manus (la societa' in  house)  non  ricorrono  le  esigenze  di
tutela della concorrenza e quindi, per tale profilo,  non  esiste  un
titolo legittimante la competenza statale. 
    La scelta in ordine  alle  modalita'  di  gestione  del  servizio
pubblico locale tra esternalizzazione  e  affidamento  in  house  del
servizio e' una  tipica  scelta  di  organizzazione,  che  in  quanto
organizzazione locale e non nazionale dei servizi non  rientra  nella
competenza statale, ma in quella regionale ai  sensi  dell'art.  117,
quarto comma, Cost. 
    La normativa  in  esame  lede  dunque  direttamente  la  potesta'
legislativa residuale delle regioni (art. 117, quarto  comma,  Cost.)
in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali (regionali e
degli  altri  enti  territoriali)  ove  preclude  alle  regioni  ogni
determinazione in ordine alla preliminare  scelta  se  rivolgersi  al
mercato  (quindi  tramite  procedure  ad  evidenza  pubblica)  oppure
gestire in proprio il servizio attraverso l'in house  providing  (che
e' fuori dal mercato). 
    E' pertanto illegittima la norma di cui all'art.  15  in  oggetto
nella  parte  in  cui   esprime   una   prevalenza   della   gestione
esternalizzata dei servizi  pubblici  locali,  in  quanto  interviene
nella materia dell'organizzazione della gestione  di  detti  servizi,
con una normativa di dettaglio, che non lascia margini  all'autonomia
del legislatore regionale, pur perseguendo finalita' che  esulano  da
profili strettamente connessi alla tutela della concorrenza. 
    Cio' in violazione dell'art. 117, secondo e quarto  comma,  della
Costituzione. 
    Inoltre la norma si  pone  in  contrasto  anche  con  il  diritto
comunitario, in violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    Il citato primo comma dell'art. 117 Cost. prevede che la potesta'
legislativa in  Italia  sia  esercitata  «nel  rispetto  dei  vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario», cio' e' tanto piu' vero  con
riferimento alla materia della concorrenza, in relazione  alla  quale
lo Stato si uniforma necessariamente ai principi comunitari. 
    Ebbene,  nessuna  disposizione  comunitaria  vigente  limita   il
ricorso all'in house a casi  eccezionali,  in  presenza  di  rigorose
condizioni previste dalla legge e  previo  assolvimento  di  puntuali
regole procedimentali, cosi' come  invece  previsto  dal  legislatore
statale del 2009. 
    Al contrario, l'ordinamento comunitario ammette espressamente  la
possibilita' di fornire  i  servizi  pubblici  con  un'organizzazione
propria, in alternativa all'affidamento ad imprese terze. La forma di
gestione   in    house    si    giustifica    proprio    alla    luce
dell'interpretazione  della   giurisprudenza   comunitaria   che   ha
espressamente riconosciuto un'ulteriore ipotesi di  organizzazione  a
fianco dell'organismo di diritto pubblico,  qualificando  l'in  house
quale  espressione  del  potere  d'organizzazione   delle   pubbliche
amministrazioni in virtu' del  legame  che  unisce  l'amministrazione
territoriale  alla  societa'  in  house.   Per   detta   ragione   la
giurisprudenza della Corte di giustizia europea esclude l'esperimento
di procedure ad evidenza pubblica ed  ammette  l'affidamento  diretto
dei servizi alla societa' in house che,  seppur  formalmente  esterna
rispetto all'amministrazione  controllante,  e'  dall'amministrazione
strettamente «dipendente» in ragione  del  requisito  del  «controllo
analogo»  e   della   destinazione   prevalente   all'amministrazione
controllante dell'attivita' svolta dalla controllata. 
    Per contro, l'art. 15 in esame limita il ricorso alla gestione in
house - ancorche' dichiaratamente  (per  espressa  indicazione  dello
stesso legislatore nazionale nell'art.  15  in  parola)  conforme  ai
principi comunitari - e quindi legifera ben  al  di  la'  dei  limiti
legittimamente  riconosciuti  per  le  finalita'  di   tutela   della
concorrenza: cio' sia nella parte in cui inserisce il  nuovo  secondo
comma nell'art. 23-bis, perche' esso non  contempla  la  gestione  in
house come ordinaria, sia nella parte in cui si introducono  i  nuovi
terzo e quarto commi, perche'  questi  sanciscono  il  carattere  del
tutto  eccezionale  delle   gestioni   in   house,   invece   ammesse
dall'ordinamento comunitario. 
    Pertanto, l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/ 2008,  cosi'  come
modificato  dall'art.15,  decreto-legge   n.   135/2009   non   trova
fondamento ne' nella riserva costituzionale alla legislazione statale
esclusiva della materia tutela della concorrenza (art.  117,  secondo
comma, lettera e) Cost.), ne' nella disciplina comunitaria,  cio'  in
violazione  dell'art.  117,  primo,  secondo  e  quarto  comma  della
Costituzione. 
    Non potrebbe, infine, essere utilmente  invocata  -  al  fine  di
fondare la legittimita' costituzionale delle disposizioni in esame  -
la competenza esclusiva statale: 
        nella  materia  dei  livelli  essenziali  delle   prestazioni
concernenti i diritti civili e  sociali  (art.  117,  secondo  comma,
lett. m), Cost.),  in  quanto  le  disposizioni  impugnate  hanno  ad
oggetto unicamente le  forme  di  gestione  dei  servizi  pubblici  a
rilevanza economica e non le prestazioni che dette  gestioni  debbono
assicurare agli utenti (Corte cost., sent.  n.  272  del  2004,  gia'
citata); 
        ovvero, nella materia relativa alle funzioni fondamentali  di
comuni, province e citta'  metropolitane,  ai  sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera  p),  in  quanto  «la  gestione  dei  predetti
servizi non puo' certo  considerarsi  esplicazione  di  una  funzione
propria ed indefettibile dell'ente locale»  (Corte  cost.,  sent.  n.
272/2004, citata). 
2) - Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma  1,  lett.  d)
decreto-legge n.135/2009 conv. in legge n. 166/2009  che  sostituisce
l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112/2008, convertito nella  legge  n.
133/2008, con specifico riferimento all'ottavo  comma  del  novellato
art.  23-bis,  nella  parte  in  cui  introduce   un   nuovo   regime
transitorio, valido per tutti i servizi, compreso quello idrico;  per
violazione dell'art. 117, primo, secondo e quarto comma Cost. 
    Il comma 8 dell'art. 23-bis citato, cosi' come risulta  novellato
dall'art. 15, primo comma, lett. d) del  decreto-legge  n.  135/2009,
convertito in legge n. 166/2009,  e'  parimenti  illegittimo  laddove
prevede con una norma di estremo dettaglio la disciplina del  periodo
transitorio con riferimento alle gestioni in essere, che -  per  cio'
stesso - non rispondono  alle  prescrizioni  dei  novellati  secondo,
terzo e quarto comma dell'art. 23-bis. 
    La disposizione stabilisce infatti  che  «Il  regime  transitorio
degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai secondo e  terzo
comma e' il seguente: 
        a) le gestioni  in  essere  alla  data  del  22  agosto  2008
affidate  conformemente  ai  principi  comunitari   in   materia   di
cosiddetta ''in house'' cessano, improrogabilmente e senza necessita'
di deliberazione da parte  dell'ente  affidante,  alla  data  del  31
dicembre 2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal  contratto  di
servizio  a  condizione  che   entro   il   31   dicembre   2011   le
amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso
le modalita' di cui alla lettera b) del secondo comma; 
        b)  le  gestioni   affidate   direttamente   a   societa'   a
partecipazione mista pubblica e privata,  qualora  la  selezione  del
socio  sia  avvenuta  mediante  procedure  competitive  ad   evidenza
pubblica, nel rispetto dei  principi  di  cui  alla  lettera  a)  del
secondo comma, le quali  non  abbiano  avuto  ad  oggetto,  al  tempo
stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei  compiti  operativi
connessi alla gestione del  servizio,  cessano,  improrogabilmente  e
senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante,  alla
data del 31 dicembre 2011; 
        c)  le  gestioni   affidate   direttamente   a   societa'   a
partecipazione mista pubblica e privata,  qualora  la  selezione  del
socio  sia  avvenuta  mediante  procedure  competitive  ad   evidenza
pubblica, nel rispetto dei  principi  di  cui  alla  lettera  a)  del
secondo comma, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la
qualita' di socio e l'attribuzione  dei  compiti  operativi  connessi
alla gestione  del  servizio,  cessano  alla  scadenza  prevista  nel
contratto di servizio; 
        d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre
2003 a societa' a partecipazione pubblica gia'  quotate  in  borsa  a
tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo  2359
del codice civile, cessano alla scadenza prevista  nel  contratto  di
servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche
progressivamente, attraverso procedure ad  evidenza  pubblica  ovvero
forme  di  collocamento  privato  presso  investitori  qualificati  e
operatori industriali, ad una quota non superiore  al  40  per  cento
entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro  i1  31
dicembre 2015;  ove  siffatte  condizioni  non  si  verifichino,  gli
affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessita' di  apposita
deliberazione dell'ente affidante, rispettivamente, alla data del  30
giugno 2013 o del 31 dicembre 2015; 
        e) le gestioni affidate che non rientrano  nei  casi  di  cui
alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non  oltre  la  data
del 31 dicembre 2010,  senza  necessita'  di  apposita  deliberazione
dell'ente affidante». 
    E'  evidente  che  anche  detta  disposizione  non  si  limita  a
disciplinare, con norma  di  carattere  generale,  la  materia  della
gestione dei servizi pubblici sotto lo specifico profilo della tutela
della concorrenza e,  in  ogni  caso,  non  rispetta  i  principi  di
adeguatezza e di proporzionalita' dell'intervento normativo da  parte
dello Stato in ragione delle finalita' pro-concorrenziali. 
    Inoltre, con la gia' piu' volte citata  sentenza  n.  272/04,  la
Corte costituzionale ha evidenziato che  la  disciplina  del  periodo
transitorio ed in particolare l'individuazione dei casi di cessazione
delle  gestioni  assentite  deve   necessariamente   uniformarsi   al
principio di ragionevolezza. 
    Ebbene, non appare in alcun modo ragionevole l'aver stabilito una
puntuale articolazione temporale della disciplina transitoria, valida
indifferentemente  per  tutti  le  tipologie  di   servizi   pubblici
(gestione rifiuti, servizio idrico etc.) e riferita  genericamente  a
tutte le diverse situazioni presenti sul territorio nazionale. 
    Ne' puo' negarsi che  le  disposizioni  su  citate  delineino  in
maniera  puntuale  il  regime  transitorio,  ben   oltre   i   limiti
dell'adeguatezza e della proporzionalita' e non si limitino invece  -
secondo l'insegnamento della Corte costituzionale nella  gia'  citata
sentenza  n.  272/2004  -  a  dettare  una  disciplina  generale  che
garantisca spazi di intervento al legislatore regionale. 
    Inoltre, anche attraverso la disciplina del periodo  transitorio,
viene ribadito il disfavore del legislatore statale per  le  gestioni
in  house,  le  quali,  pur  affidate   conformemente   ai   principi
dell'ordinamento    comunitario,    sono    destinate    a    cessare
improrogabilmente alla data del  31  dicembre  2011  (cfr.  novellato
ottavo comma,  lett.  a)  dell'art.  23-bis  in  parola,  cosi'  come
modificato dall'art. 15 decreto-legge n. 135/2009). 
    Pertanto, per le ragioni gia' esposte al  punto  1  del  presente
ricorso, anche la norma in esame deve essere  dichiarata  illegittima
per contrasto con l'art. 117, primo, secondo  e  quarto  comma  della
Costituzione, in quanto: 
        il legislatore statale, con la disciplina in  esame,  non  ha
limitato  il  proprio  intervento  agli  aspetti  piu'   strettamente
connessi alla  tutela  della  concorrenza  ed  alla  regolazione  del
mercato, ma e' intervenuto, con una norma di dettaglio,  direttamente
sulla potesta' residuale delle regioni, che vedono  in  tal  modo  in
gran parte compresse le prerogative costituzionalmente  garantite  in
ordine alla libera determinazione se - ai  fini  della  gestione  del
servizio pubblico - ricorrere o meno al mercato. L'esercizio di detta
opzione - che e' evidentemente preliminare  rispetto  alle  ulteriori
problematiche  inerenti  la  regolazione  del  mercato  (questa   si'
spettante alla competenza statale ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lett. e) Cost.) - rientra evidentemente nell'ambito  del  buon
andamento dell'organizzazione dei servizi pubblici  che  spetta  alle
Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma:, Cost.; 
        inoltre la disposizione nella  parte  in  cui  impone  al  31
dicembre  2011  la  cessazione  di  tutte  le  gestioni  in  house  -
dichiaratamente conformi all'ordinamento comunitario -  si  pone  con
quest'ultimo in insanabile contrasto, cio'  in  violazione  dell'art.
117 primo comma, Cost; 
        neppure  con  riferimento   alla   disciplina   del   periodo
transitorio  possano  venire  in  rilievo   le   diverse   competenze
legislative riconosciute allo Stato, in via esclusiva, in ordine alla
definizione dei livelli essenziali  delle  prestazioni  ovvero  delle
funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane  (si
veda in tal senso la gia' citata sentenza n. 272/2004), posto che «la
gestione  dei  predetti   servizi   non   puo'   certo   considerarsi
esplicazione di  una  funzione  propria  ed  indefettibile  dell'ente
locale». 

        
      
 
                              P. Q. M. 
 
    Voglia dichiarare costituzionalmente illegittime le  disposizioni
qui impugnate dell'art. 15, del decreto-legge  n.  135/2009,  recante
«Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari  e  per
l'esecuzione di sentenze della Corte  di  giustizia  delle  Comunita'
europee»,  cosi'  come  modificato  dalla  legge  di  conversione  20
novembre 2009, n. 166, per le ragioni e sotto  i  profili  illustrati
nel presente ricorso. 
    Si deposita la delibera di autorizzazione della Giunta  regionale
toscana n. 36 del 18 gennaio 2010. 
        Firenze-Roma, addi' 21 gennaio 2010 
 
                         L'Avv.:  Lucia Bora 
 

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