N. 10 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 gennaio 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 29 gennaio 2004 (della Regione Toscana)
(GU n. 7 del 18-2-2004)

Ricorso della Regione Toscana, in persona del presidente pro
tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 1378
del 29 dicembre 2003, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente atto, dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale n. 43;

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 14,
commi 1 e 2 e dell'articolo 32, commi 1, 3, 5; da 14 a 20; da 25 a 43
e 49-ter della legge 24 novembre 2003, n. 326 di conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269
recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la
correzione dell'andamento dei conti pubblici.
Sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 274 del
25 novembre 2003 e' stata pubblicata la legge n. 326/2003 che ha
convertito il d.l. n. 269/2003, il cui articolo 32 e' gia' stato
impugnato da questa amministrazione.
Le disposizioni sopra indicate, riguardanti la disciplina dei
servizi pubblici locali e del condono edilizia, sono lesive delle
attribuzioni regionali per i seguenti motivi di

D i r i t t o

1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 1 e 2, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
L'art. 14 modifica sia l'art. 113 del decreto legislativo
n. 267/2000 - come a sua volta gia' modificato dall'art. 35 della
legge 28 dicembre 2001, n. 448 - in tema di servizi pubblici locali
di rilevanza economica, sia l'art. 113-bis dello stesso decreto
legislativo n. 267/2000, introdotto dall'art. 35 della legge
n. 448/2001, sui servizi pubblici locali privi di rilevanza
economica.
Schematicamente e' previsto:
1) le disposizioni dell'articolo che disciplinano le
modalita' di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali
attengono alla tutela della concorrenza e sono inderogabili ed
integrative delle specifiche normative di settore;
2) e' sostituita la distinzione fra servizi industriali (la
cui individuazione era demandata ad un regolamento ministeriale ora
non piu' previsto) con la distinzione tra servizi di rilevanza
economica e non economica;
3) rimane la separazione della proprieta' e gestione delle
reti, impianti ed altre dotazioni (con la previsione che gli enti
locali non possono cedere la proprieta' di tali reti ed impianti,
mentre possono conferire detta proprieta' a S.p.a. a capitale
interamente pubblico, che e' incedibile), dall'erogazione del
servizio;
4) la gestione del servizio a rilevanza industriale puo'
essere affidata a societa' di capitali individuate con gara ad
evidenza pubblica, a societa' miste, i cui soci privati sono scelti
con gara ad evidenza pubblica, a societa' a capitale interamente
pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del
capitale sociale esercitino sulla societa' un controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi e che la societa' realizzi la
parte piu' importante della propria attivita' con l'ente o gli enti
pubblici che la controllano (cd. societa' «in house»);
5) e' prevista la disciplina della scadenza del periodo di
affidamento, in esito alla successiva gara di affidamento al nuovo
gestore;
6) e' disciplinato il periodo di transizione per il passaggio
delle esistenti gestioni a quelle da affidarsi con le nuove regole.
In tale contesto si fissa il termine del 31 dicembre 2006 come data
di cessazione delle concessioni rilasciate con procedure diverse
dall'evidenza pubblica, e poi si prevedono condizioni che consentono
il differimento del suddetto termine;
7) per i servizi privi di rilevanza economica e' prevista la
gestione con affidamento diretto ad istituzioni e aziende speciali;
mentre si esclude il possibile affidamento della gestione a privati e
a societa' miste: la scelta del modulo societario per tali servizi
presuppone sempre il ricorso a societa' a capitale interamente
pubblico «in house».
Le impugnate disposizioni sono costituzionalmente illegittime in
quanto dettano una disciplina, dettagliata ed autoapplicativa, dei
servizi pubblici locali che l'art. 117 Cost. non contempla tra le
materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato.
Conseguentemente compete alle regioni disciplinare l'organizzazione e
le modalita' di gestione dei servizi pubblici locali, nel rispetto
della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali.
Tale conclusione resta ferma anche esaminando quelle competenze
di natura c.d. «trasversale» che l'art. 117 secondo comma Cost.
riserva allo Stato in via esclusiva.
Ci si riferisce, per quanto qui rileva, alla «determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»
(art. 117, lett. m) e alle «funzioni fondamentali dei comuni,
province e citta' metropolitane» (art. 117, lett. p).
Non e' pertinente il riferimento all'art. 117, lett. m) che non
riguarda i servizi aventi rilevanza economica ma solo quelli sociali.
Per questi ultimi, poi, la competenza statale e' limitata alla
determinazione dei livelli essenziali e quindi degli standard minimi
delle prestazioni, e cio' non preclude quindi la competenza regionale
a disciplinare gli aspetti concernenti l'organizzazione del servizio
e le modalita' di gestione del medesimo.
Non rileva neppure la citata lettera p) dell'art. 117 Cost., in
quanto la gestione del servizio pubblico non costituisce una funzione
fondamentale dell'ente locale, ma un'attivita' di regola esercitata
in regime di concorrenza e quindi sottratta ad una gestione
effettuata con gli strumenti del potere pubblico.
Lo Stato, per tentare di giustificare la disciplina in questione,
alla luce del Titolo quinto della Costituzione, ha affermato che la
disciplina dei servizi pubblici concerne «la tutela della
concorrenza» cosi' assumendo la competenza ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, lett. e) Cost. Naturalmente, pero', non e' sufficiente
questa mera qualificazione formale a legittimare l'intervento
statale: dovrebbe essere, nella sostanza, vero che la disciplina dei
servizi pubblici riguardi la tutela della concorrenza.
Ma cosi' non e'.
Infatti, come ha chiarito la dottrina, la nozione di «tuteIa
della concorrenza» e' diversa da quella di «promozione della
concorrenza»: la prima si sostanzia nella valutazione dell'impatto
concorrenziale di comportamenti degli operatori economici; la seconda
nella definizione di regole a favore della competizione.
Attraverso regole imposte agli operatori, la promozione della
concorrenza e' volta a conseguire la parita' di trattamento tra i
medesimi e a correggere le carenze del mercato.
In sostanza, e' necessario distinguere tra la concorrenza nel
mercato e la concorrenza per il mercato.
La concorrenza nel mercato riguarda i casi nei quali un'attivita'
economica non presenta situazioni di fallimento del mercato tali da
rendere necessarie normative amministrative di settore volte a
correggerle e richiede soltanto un'attivita' di vigilanza di tipo
generale affidata all'autorita' garante della concorrenza e del
mercato dalla legge n. 287 del 1990. Si tratta cioe' di tutelare la
concorrenza, in mercati naturalmente concorrenziali, contro il
rischio di intese restrittive, di abusi di posizione dominante, di
operazioni di concentrazione con effetti restrittivi e distorsivi
della concorrenza.
In tale contesto il compito dell'autorita' e' quello di valutare,
ex post gli impatti sul mercato di certe azioni e di prescrivere agli
operatori dei comportamenti.
La concorrenza per il mercato, invece, riguarda i casi nei quali
il mercato non appare concorrenziale per natura, specie in presenza
di situazioni di monopolio naturale. E' richiesto pertanto
l'intervento di una regolazione pubblica aggiuntiva rispetto a quella
generale di tutela della concorrenza, tale da creare in modo
artificiale i presupposti perche' il meccanismo della concorrenza
possa comunque operare. Per esempio, il regolatore pubblico puo'
introdurre meccanismi d'asta per il rilascio della concessione a
svolgere l'attivita'.
Si tratta in buona sostanza di promuovere la concorrenza
attraverso il ricorso a regole e a procedure di tipo pubblicistico.
Alla luce di tutte queste considerazioni, la regolazione dei
servizi pubblici locali, caratterizzati com'e' noto in molti casi da
situazioni di monopolio naturale (impossibilita' di duplicare, per
esempio, le reti di distribuzione dell'energia elettrica e dei gas)
richiede interventi di «promozione della concorrenza».
Stante la attribuzione allo Stato della sola materia della
«tutela della concorrenza» non v'e' dubbio che spetta alla regione
tutto quanto attiene invece alla materia, diversa e distinta, di
«promozione della concorrenza».
Percio' la tutela della concorrenza riservata allo Stato e'
quella di cui alla legge n. 287 del 1990, la cui applicazione e'
riservata alla autorita' garante della concorrenza e del mercato.
Ne consegue che la regione ha potesta' in tema di servizi
pubblici locali che si estende, tanto per semplificare, anche al
regime delle gare. Queste ultime infatti costituiscono, anche nella
eccezione piu' volte ripetuta dall'autorita' garante della
concorrenza e del mercato, strumenti non di tutela, ma di promozione
della concorrenza.
Pertanto le disposizioni impugnate sono incostituzionali, perche'
stabiliscono una dettagliata ed esaustiva disciplina delle modalita'
di gestione, affidamento ed organizzazione dei servizi pubblici
locali che l'art. 117 Cost. non riserva in via esclusiva allo Stato.
Le stesse disposizioni non possono essere ritenute legittime
neppure alla luce dell'art. 118 Costi in primo luogo non si indicano
i presupposti per l'intervento legislativo statale «in sussidiarieta»
inoltre non e' comunque prevista l'intesa con la regione che sarebbe
invece imprescindibile a fronte dell'interferenza della disciplina in
ambiti materiali di competenza regionale.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 32, commi 1, 3, 5;
da 14 a 20;L da 25 a 43 e 49-ter per violazione degli articoli 3, 97,
117 e 118 della Costituzione.
L'art. 32 della legge e' intitolato «Misure per la
riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per
l'incentivazione dell'attivita' di repressione dell'abusivismo
edilizio, nonche' per la definizione degli illeciti edilizi e delle
occupazioni di aree demaniali». La disposizione, gia' contenuta nel
d.l. n. 269/2003, e' stata impugnata dalla regione per illegittimita'
costituzionale. L'impugnativa viene riproposta, tenendo conto delle
modificazioni apportate dalla legge di conversione n. 326/2003 e
dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350, il cui art. 2, 70 comma, ha
abrogato i commi 6, 9, 11 e 24 dell'art. 32 in esame.
Per quanto qui interessa, il quinto comma dell'articolo 32
individua il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti quale
dicastero di riferimento, d'intesa con la regione interessata, per il
supporto ai comuni ai fini dell'applicazione della normativa in
questione.
I commi da 14 a 20 dello stesso articolo disciplinano la
sanatoria degli abusi realizzati su aree di proprieta' dello Stato o
facenti parte del demanio statale: si prevede che il condono sia
ammissibile ove lo Stato esprima la disponibilita' a cedere a titolo
oneroso la proprieta' dell'area ovvero a riconoscere il diritto a
mantenere l'opera sul suolo appartenente al demanio o al patrimonio
indisponibile; tale disponibilita' e' espressa dall'agenzia del
demanio territorialmente competente, previo parere delle autorita'
preposto alla tutela del vincolo, nel solo caso di aree soggette a
vincolo ambientale e paesaggistico.
I commi primo e terzo, nonche' i commi da 25 a 43 operano una
riapertura, per gli interventi edilizi realizzati abusivamente sino a
tutto il 31 marzo 2003, del condono edilizio introdotto come misura
eccezionale con la legge n. 47/1985, come modificata dalla legge
n. 724/1994, stabilendo che le condizioni, i limiti e le modalita'
del condono sono stabilite dal presente articolo e dalle normative
regionali. Alla legge regionale si consente di definire il
procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo in
sanatoria e di aumentare l'oblazione sino ad un massimo del 10%
(comma 33); si consente altresi' di determinare la possibilita', le
condizioni e le modalita' per l'ammissibilita' a sanatoria di alcune
tipologie di abuso e precisamente di quelle minori, mentre e'
preclusa tale facolta' per gli abusi piu' rilevanti (comma 26).
L'adempimento da parte dell'interessato del pagamento e delle denunce
previste, la presentazione della documentazione indicata, unitamente
al decorso di 24 mesi dal 30 settembre 2004 senza l'adozione di un
provvedimento negativo del comune equivalgono a titolo abilitativo
edilizio in sanatoria.
Infine il comma 49-ter accentra in capo al Prefetto l'esecuzione
della demolizione delle opere abusivamente realizzate.
Va premesso che la Regione Toscana si e' da tempo dotata di un
sistema legislativo organico, volto a disciplinare le conseguenze
degli abusi edilizi e ad arginare i medesimi, per garantire
nell'ambito regionale un ordinato e corretto sviluppo urbanistico ed
edilizio. In particolare, prima con la legge regionale 24 agosto
1977, n. 60, poi con la successiva 30 giugno 1984, n. 41 sono state
dettate norme per l'attuazione nel territorio regionale della legge
n. 10/1977 sull'edificabilita' dei suoli; quindi con la piu' recente
legge regionale 14 ottobre 1999, n. 52 sono state dettate norme sulle
concessioni, le autorizzazioni e le denunce di inizio attivita'. Tale
legge (gia' modificata con l.r. n. 13/2002 a seguito dell'entrata in
vigore del nuovo Titolo V della Costituzione) e' stata di recente
modificata ed integrata con la legge regionale 5 agosto 2003, n. 43,
per adeguare il sistema normativo edilizio regionale ai principi
contenuti nel Testo unico sull'edilizia di cui al d.P.R. n. 380/2001;
tale legge regionale n. 43/2003 ha ridisciplinato complessivamente
anche l'aspetto del sanzionamento amministrativo.
Pertanto vige una compiuta normativa edilizia che disciplina le
conseguenze degli illeciti; in particolare si consente la
regolarizzazione di violazioni formali (come l'integrazione degli
elaborati con conseguente regolarizzazione della denuncia di inizio
attivita': art. 34-ter della l.r. n. 43/2003) ed anche di illeciti
sostanzialmente non rilevanti, in quanto gli interventi, seppure
realizzati senza titolo o in difformita' dal medesimo, sono comunque
conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al
momento della realizzazione dell'opera che al momento della
presentazione della domanda. Viceversa non e' consentita alcuna
sanatoria per gli illeciti sostanzialmente rilevanti, ovverosia
compiuti in difformita' dalla disciplina urbanistica ed edilizia
(art. 37, come sostituito dalla recente, l.r. n. 43/2003).
In base alla soprarichiamata normativa e' stato, negli anni,
realizzato a cura degli enti locali toscani un efficace sistema di
controlli che ha permesso un ordinato sviluppo edilizia.
Pertanto appare incontestabile che in Toscana le impugnate
disposizioni non trovano applicazione, posto che il secondo comma
dell'art. 32 stabilisce che la normativa e' disposta nelle more della
disciplina regionale ai principi contenuti nel testo unico di cui al
d.P.R. n. 380/2001: poiche' tale adeguamento e' gia' stato disposto
dalla ricorrente Regione con la citata l.r. n. 43/2003, l'impugnativa
avverso l'art. 32 dovra' essere dichiarata inammissibile per carenza
di interesse, non applicandosi la normativa dell'art. 32 in ambito
regionale toscano.
Ma se tale tesi non dovesse essere accolta, le disposizioni
impugnate andrebbero dichiarate costituzionalmente illegittime e
lesive delle prerogative costituzionali delle regioni, per violazione
degli artt. 3, 97, 117 e 118 per i motivi che si enunciano.
2.A) Illegittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 5, per
violazione degli articoli 117 e 118 Cost.
Il quinto comma affida al Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti un ruolo di coordinamento per l'applicazione della
normativa sul condono che non trova alcuna giustificazione in base ai
parametri costituzionali di cui agli artt. 117 e 118 Cost., perche'
non viene giustificato in nome di esigenze unitarie e cio' in una
materia - il governo del territorio - attribuita alla competenze
regionale.
2.B) Illegittimita' costituzionale dell'art. 32, commi 1, 3, da
25 a 43 per violazione degli articoli 117 e 118 Cost., anche in
rapporto agli artt. 3 e 97 Cost.
2.B.a) La disciplina contenuta nelle impugnate disposizioni
riapre i termini del condono edilizio (sarebbe dunque il terzo
condono edilizia, dopo il primo del 1985 ed il secondo del 1994 per
sanare gli abusi compiuti sino al 31 marzo 2003. Alle regioni si
consente (commi 26 e 33) di determinare la possibilita', le
condizioni e le modalita' del condono solo per gli abusi minori
(restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria
realizzate in assenza o difformita' del titolo edilizia), mentre si
preclude la stessa possibilita' (lasciando alla potesta' legislativa
regionale solo l'aumento dell'oblazione e la disciplina del
procedimento di condono, peraltro del tutto inutile, vista che il
medesimo e' gia' dettagliatamente normato dall'allegato 1) per gli
abusi piu' rilevanti e piu' incidenti sul territorio (nuove
costruzioni e ristrutturazione edilizia realizzate in assenza o in
difformita' del titolo abilitativo e non conformi alle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici). Tali
previsioni vanno esattamente nel senso opposto rispetto a quanto
stabilito dalla citata l.r. n. 43/2003: la Regione Toscana infatti ha
previsto la sanatoria degli abusi minori, mentre l'ha drasticamente
esclusa per gli illeciti piu' gravi e che in modo sostanziale
alterano l'ordinato assetto del territorio.
Ora la regione ricorrente dovrebbe invece, in base all'art. 32,
subire gli abusi piu' rilevanti e lasciarli condonare, mentre
potrebbe disciplinare con la propria legge, ex art. 32, comma 26,
lettera b) la possibilita' di escludere il condono per gli abusi
minori!
Cio' dimostra come il legislatore statale abbia creato una
situazione paradossale, del tutto irrazionale, che incide
pesantemente sulle attribuzioni costituzionali delle regioni e che,
soprattutto, vanifica la legislazione che le regioni hanno emanato in
virtu' di dette attribuzioni.
La sanatoria degli illeciti edilizi incide sul governo del
territorio materia soggetta alla potesta' legislativa concorrente ex
art. 117, terzo comma Cost. Pertanto in tale materia allo Stato
compete unicamente dettare i principi fondamentali: come specificato
dalla Corte costituzionale, la nuova formulazione dell'art. 117
Cost., rispetto alla previgente, esprime l'intento di una piu' netta
distinzione fra la competenza regionale a legiferare e la competenza
statale, limitata alla sola determinazione dei principi fondamentali
(sentenza n. 282/2002).
Da cio' consegue che la disciplina sostanziale e procedimentale
deve essere determinata dal legislatore regionale, nel rispetto dei
principi regolatori determinati dallo Stato, per tali intendendosi,
secondo quanto spiegato dalla Corte costituzionale, «i nuclei
essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono
per i principi enunciati e da esse desumibili» (sentenze n. 482/1985
e n. 192/1987). Cio' non avviene nel caso in esame, in cui il
legislatore nazionale detta una disciplina procedimentale minuziosa,
dettagliata, autoapplicativa, direttamente operativa nei confronti
dei privati interessati (la' dove, invece, i principi fondamentali
della materia dovrebbero essere rivolti al legislatore regionale che
poi dovrebbe articolare la normativa applicabile ai terzi
interessati), con la conseguenza che si privano del tutto le regioni
del loro potere - costituzionalmente previsto - di disciplinare
organicamente la materia.
Ma, soprattutto, la sanabilita' delle opere edilizie abusive non
costituisce un principio fondamentale della materia.
Questo si ricava agevolmente dall'esame delle pronunce della
Corte costituzionale in tema di condono edilizio.
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 369/1988, ha rilevato
che il «potere di clemenza» va esercitato nel rispetto dei vincoli
costituzionali; pertanto, il condono puo' giustificarsi unicamente
come misura eccezionale necessaria per chiudere decenni di abusivismo
di massa, contestualmente all'emanazione della nuova normativa
urbanistica di cui alla legge n. 47/1985. In particolare la Corte
costituzionale ha rilevato la necessita' di tenere distinto nella
legge n. 47 «cio' che attiene al futuro, nel quale il legislatore nel
riordinare la materia non ammette in alcun modo sanatorie per le
opere contrastanti con gli strumenti urbanistici, da cio' che
riguarda il passato»; dunque il condono, irripetibile e
straordinario, e' giustificato solo in quanto punto di partenza di
una nuova legalita'.
Invece, afferma la Corte nella sentenza n. 416/1995, «ben diversa
sarebbe la situazione in caso di altra reiterazione di una norma del
genere, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei
termini temporali di riferimento del commesso abusivismo edilizio.
Conseguentemente differenti sarebbero i risultati della valutazione
sul piano della ragionevolezza, venendo meno il carattere contingente
e del tutto eccezionale della norma (con le peculiari caratteristiche
della singolarita' ed ulteriore irripetibilita) in relazione ai
valori in gioco, non solo sotto il profilo della esigenza di
repressione dei comportamenti che il legislatore considera illegali e
di cui mantiene la sanzionabilita' in via amministrativa e penale, ma
soprattutto sotto il profilo della tutela del territorio e del
correlato ambiente in cui vive l'uomo. La gestione del territorio
sulla base di una necessaria programmazione sarebbe certamente
compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o
ricorrente possibilita' di condono sanatoria con conseguente
convinzione di impunita', tanto piu' che l'abusivismo edilizio
comporta effetti permanenti (qualora non segua la demolizione o la
rimessa in pristino) di modo che il semplice pagamento di oblazione
non restaura mai l'ordine giuridico violato».
Dall'esame della giurisprudenza costituzionale si evince che la
Corte ha ribadito sempre il carattere eccezionale del condono.
Un istituto che, per essere valutato compatibile con la
Costituzione, deve essere eccezionale e straordinario non puo'
costituire un principio fondamentale dell'ordinamento e della materia
idoneo, ex art. 117 Cost., a vincolare il legislatore regionale; anzi
il condono edilizio scardina proprio tutti i principi fondamentali
della legislazione urbanistica, che il legislatore regionale deve
rispettare, quali quello della possibilita' di costruire solo nel
rispetto della normativa edilizia; della possibilita' di ottenere la
sanatoria solo in presenza di' certe condizioni (ai sensi
dell'art. 13 della legge n. 47/1985, come sviluppato dal legislatore
regionale); dell'obbligo di sanzionare gli abusi.
Inoltre nel caso in esame non si ravvisano assolutamente quei
caratteri di eccezionalita' dell'istituto sopra richiamati, perche'
si reitera il condono, in totale spregio ai principi enunciati dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 416/1995. Il condono edilizio
rende inevitabile apportare le varianti agli strumenti urbanistici e
cosi' la regione e gli enti locali sono costretti a subire, anziche'
governare, le destinazioni urbanistiche del territorio in base agli
abusi realizzati e sanati dal legislatore statale con norma non piu'
ragionevole, perche' ormai vige una diversa normativa urbanistica
certa che non ammette deroghe. Ne' puo' legittimarsi il condono in
nome di una generalizzata inefficacia delle regioni ad arginare gli
abusi con adeguati controlli: si e' infatti evidenziato come questa
inefficienza non sia affatto rinvenibile in Toscana, come, peraltro,
ormai in molte altre regioni.
Esaminando poi l'articolo come risultato dopo le modifiche
apportate dalla legge di conversione e dalla legge n. 350/2003,
emerge chiaramente che e' rimasto solo il condono edilizio, mentre
sono stati abrogati i fondi per la riqualificazione urbanistica ed
ambientale. La citata legge n. 350/2003, infatti, all'art. 2, comma
70, ha abrogato i commi sesto, nono, undicesimo e ventiquattresimo
dell'articolo in esame e quindi ha soppresso:
il fondo di 50 milioni di euro destinato a finanziare
politiche di riqualificazione urbanistica dei nuclei interessati
dall'abusivismo edilizio;
il fondo di 100 milioni di euro destinato ad attivare
interventi volti a riqualificare ambiti territoriali degradati
(economicamente e socialmente) a causa dell'abusivismo edilizio;
il fondo di 50 milioni di euro per interventi di ripristino e
riqualificazione di aree paesaggistiche;
il fondo di 100 milioni di euro finalizzato al miglioramento,
tutela e valorizzazione delle aree demaniali.
Il risultato della soppressione di tali fondi e', con tutta
evidenza, che il condono e' disposto unicamente per sopperire alle
esigenze finanziarie dello Stato, senza essere accompagnato neppure
da minime misure di riqualificazione ambientale ed urbana.
Per tutti i rilevati motivi la norma si pone in totale contrasto
con le prerogative costituzionali previste dagli artt. 117 e 118
Cost.
2.Bb) Le disposizioni contenute nell'art. 32, commi 1, 3 e da 25
a 43, violano gli artt. 117 e 118 Cost., anche in rapporto agli
artt. 3 e 97 Cost.
Infatti la reiterazione del condono edilizio scardina il sistema
della legalita', viola il principio di uguaglianza e contrasta con il
principio di buona amministrazione.
Anche se il legislatore regionale non tollera gli abusi
sostanziali ed anche se i controlli sono svolti efficacemente, come
puo' pretendersi che le regole siano rispettate quando il legislatore
nazionale ha condonato prima gli abusi commessi entro il 1985, poi
gli abusi commessi entro il 1993 ed ora gli abusi commessi entro il
marzo 2003?
Inevitabilmente si crea un affidamento sul futuro condono - che
da eccezionale e straordinario diventa strumento ricorrente - che
favorisce il compimento di abusi edilizi. Cosi' si premiano i
cittadini che non rispettano le regole (i quali dalle norme come
quella impugnata trovano una conferma al fatto che il loro
comportamento illegale sara', prima o poi, premiato e si penalizzano
invece i cittadini rispettosi delle norme che, da un lato, non hanno
realizzato opere abusive perche' le leggi non lo permettevano e
quindi ne sono rimasti privi e, al tempo stesso, sono costretti a
vivere nel degrado urbanistico prodotto dagli abusi realizzati da
altri e accettati dallo Stato con il condono.
Tutto cio' viola gli artt. 3 e 97 della Costituzione che la
regione ricorrente e' legittimata a far valere in relazione alle
proprie competenze sul governo del territorio che vengono gravemente
compromesse e vanificate dal condono per i motivi esposti.
2.C) Illegittimita' costituzionale dell'art. 32, commi da 14 a
20, per violazione degli articoli 117 e 118 Cost.
I vizi eccepiti ai precedenti punti riguardano anche i commi da
14 a 20 dell'art. 32, che ammettono la sanatoria degli abusi sulle
aree di proprieta' statale.
In particolare e' disposta l'ammissibilita' del condono ove lo
Stato sia disponibile a cedere l'area ovvero a mantenere l'opera
abusiva: tale disponibilita' alla cessione dell'area o al
mantenimento dell'opera abusiva viene espressa dall'agenzia del
demanio territorialmente competente, con il parere dell'autorita'
preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ed ambientale solo per
le aree vincolate.
La denunciata illegittimita' deriva dal fatto che la sanatoria e'
rimessa unicamente alla volonta' ed alla decisione dello Stato
proprietario e non viene data alcuna rilevanza a quanto in merito
stabilito dal legislatore regionale cui, invece, l'art. 117 Cost.
affida la competenza a disciplinare l'ammissibilita' urbanistica
degli interventi anche sulle aree di proprieta' dello Stato.
In via subordinata l'illegittimita' sussiste comunque perche' non
si prevede che l'agenzia del demanio acquisisca l'intesa con le
regioni che invece sono titolari di competenze in merito al governo
del territorio e che quindi, in tale loro qualita', dovrebbero quanto
meno essere coinvolte con l'intesa nella verifica urbanistica della
sanatoria riguardante anche gli abusi sulle aree statali.
2.D) Illegittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 49-ter per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
Le censure sopra formulate valgono anche nei confronti del comma
49-ter dell'art. 32, il quale sostituisce l'art. 41 del d.P.R.
n. 380/2001 concernente la demolizione delle opere abusive. Si
dispone che entro il mese di dicembre di ogni anno il responsabile
del servizio trasmette al Prefetto l'elenco delle opere non sanabili
per le quali il responsabile dell'abuso non abbia proceduto alla
demolizione; entra lo stesso termine le amministrazioni statali e
regionali trasmettono al prefetto l'elenco delle demolizioni da
eseguire. Il Prefetto dispone l'esecuzione delle demolizioni.
E' quindi accentrata la competenza alla demolizione in capo al
Prefetto, con obbligo per le amministrazioni, compresa quella
regionale, di segnalare al medesimo prefetto gli illeciti esistenti.
La disposizione viola la competenza legislativa regionale in
materia di governo del territorio: nell'esercizio della potesta'
legislativa concorrente spetta infatti alla regione disciplinare le
modalita' del controllo sugli illeciti realizzati e delle demolizioni
da disporre. Cosa che peraltro la Regione Toscana - giova ripeterlo -
ha gia' provveduto a disciplinare, da ultimo con la compiuta l.r.
n. 43/2003, con un sistema di controlli che non presenta disfunzioni
o inefficienze e quindi non si capisce perche' debba essere
scardinato e sostituito con quello allocato a livello centrale dalla
norma qui contestata.
L'art. 49-ter, d'altra parte, non introduce un principio della
materia: il principio e' infatti quello per cui il controllo deve
essere effettuato e l'abuso demolito e a tale principio, gia'
espresso dal legislatore nazionale nella legge n. 47/1985, si e'
attenuta sempre la legislazione della Regione Toscana; ma non e'
certo considerabile un principio fondamentale quello per cui la
demolizione deve essere disposta dal Prefetto.
Ne' la norma puo' essere ritenuta legittima in base all'art. 118
Cost. In primo luogo non sono evidenziate le esigenze che
imporrebbero l'esercizio unitario; inoltre l'amministrazione statale
non dispone nemmeno dei dati per effettuare il controllo degli
interventi edilizi, tanto che si pongono a carico delle
amministrazioni locali pesanti oneri burocratici di trasmissione al
Prefetto degli elenchi degli illeciti. In ogni caso - come affermato
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 303/2003 - ove lo Stato
intervenga legislativamente in applicazione del principio di
sussidiarieta' in ambiti materiali affidati alla competenza residuale
o concorrente regionale ( come il governo del territorio) e'
imprescindibile la previsione dell'intesa per salvaguardare le
competenze riconosciute alle regioni, intesa che nella fattispecie
non e' invece contemplata.
Per tutti i suddetti motivi le disposizioni impugnate sono
incostituzionali.
Con riferimento all'art. 32 in questione, le argomentazioni sopra
addotte evidenziano la sussistenza nel caso in esame del rischio di
un pregiudizio irreparabile all'interesse pubblico che, ai sensi
dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 come sostituito
dall'art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131, consente alla Corte di
sospendere l'esecuzione delle disposizioni impugnate del citato art.
32.
Infatti l'esecuzione dell'impugnata normativa imporrebbe
l'attivazione delle procedure di condono da parte dei comuni, tra
l'altro con ingenti spese per far fronte all'organizzazione
dell'attivita', neppure coperte dagli introiti del condono, posto
che, ai sensi dell'art. 32, comma 41, la quota del 50% delle somme da
trasferire ai comuni da parte dello Stato non si riferisce all'intero
gettito delle oblazioni ma solo a quello riscosso a titolo di
conguaglio ed e' dunque eventuale, differita e sicuramente di poco
rilievo.
Ancora l'esecuzione della normativa richiederebbe l'adeguamento
degli strumenti di pianificazione territoriale regionali, provinciali
e comunali, in base agli abusi condonati, piegando cosi' le esigenze
pubbliche di corretta pianificazione territoriale alla volonta' di
alcuni che, pur avendo commesso illeciti, sono riusciti a incidere
sull'uso del territorio e ad imporre il degrado urbanistico ed
ambientale conseguente alle loro illegalita'.
Ancora l'esecuzione del provvedimento mina alla radice il ruolo
della regione quale ente di governo del territorio: perche' mai i
cittadini toscani dovrebbero «prendere sul serio» le leggi emanate
dal legislatore toscano ed il sistema di sanzioni dallo stesso
introdotte, quando poi il legislatore nazionale ha il potere di
travolgere a colpi di decreti legge tale articolata normativa? E'
evidente quindi non solo l'indebolimento, ma addirittura la
vanificazione del ruolo essenziale della regione.
A cio' va aggiunto, quale ulteriore irreparabile danno, la
situazione di incertezza che si crea, in attesa della definizione del
presente giudizio, per i cittadini destinatari della normativa.
Inoltre l'art. 32, comma 25, impugnato prevede l'applicabilita'
delle disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio
1985, n. 47, e successive modificazioni ed integrazioni alle opere
edilizie ultimate entro il 31 marzo 2003. L'art. 44 della citata
legge n. 47/1985 (compreso nel capo IV della medesima) comporta la
sospensione anche dei procedimenti amministrativi e della loro
esecuzione sino alla scadenza del termine previsto a pena di
decadenza per la presentazione della domanda relativa alla
definizione dell'illecito edilizio.
Quindi la mancata sospensione della norma impugnata determina un
blocco di tutta l'attivita' di controllo che le amministrazioni
comunali stanno eseguendo sul territorio regionale.
La mancata sospensione invocata determina altresi', per gli
stessi motivi appena evidenziati, anche la sospensione di tutti i
procedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto l'irrogazione di
sanzioni per abusi che possono rientrare nel nuovo condono, come
dimostrato dalle ordinanze emesse dai giudici amministrativi, che
stanno dando atto della sospensione dei giudizi sino al 31 marzo 2004
(ordinanza Tribunale amministrativo regionale, Toscana, II Sezione,
n. 5738/2003; ordinanza del Consiglio di Stato, Sezione V,
n. 9279/2003).
Tutte le suddette conseguenze non potrebbero essere ripristinate
dalla pronuncia definitiva e pertanto sussiste l'irreparabilita' del
pregiudizio.


P. Q. M.
Si confida che la Corte costituzionale:
quanto all'art. 14, commi 1 e 2: dichiara le disposizioni
costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 117 e 118
Cost.;
quanto all'art. 32, commi 1, 3, 5; da 14 a 20; da 25 a
43-ter, previa sospensione cautelare, dichiari l'impugnativa
inammissibile non trovando la normativa applicazione in ambito
regionale toscano, ovvero, in ipotesi, dichiari le disposizioni
incostituzionali per violazione degli artt. 3, 97, 117 e 118 Cost.
Firenze - Roma, addi' 22 gennaio 2004
Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni

Menu

Contenuti