Ricorso n. 10 del 3 marzo 2014 (Regione Friuli-Venezia Giulia)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 3 marzo 2014 (della Regione Friuli-Venezia Giulia).
(GU n. 15 del 2.4.2014)
Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia (cod. fisc.
…; P. IVA …), in persona del Presidente della
Giunta regionale pro tempore avv. Debora Serracchiani, autorizzata
con deliberazione della Giunta regionale n. 322 del 21 febbraio 2014
(doc. 1), rappresentata e difesa - come da procura a margine del
presente atto - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod. fisc.
…) di Padova, con domicilio eletto in Roma presso
l'Ufficio di rappresentanza della Regione, in Piazza Colonna, 355;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, commi
427, 429, 481, 487, 499, 508, 526, 711, 712, 715, 723, 725, 727, 729,
732 e 733 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di
stabilita' 2014), pubblicata nella G.U. 27 dicembre 2013, n. 302,
Suppl. ord., per violazione:
dello Statuto speciale adottato con legge cost. 1 del 1963;
degli articoli 3, 81, 97, 116, 117, 118 e 119 della
Costituzione;
delle norme di attuazione (dPR 902/1975, dPR 114/1965, d.lgs
9/1997, d.lgs. 265/2001, d.lgs. 111/2004);
della l. 220/2010 e della l. 243/2012;
del principio dell'accordo in materia finanziaria e del
principio di leale collaborazione,
per i profili e nei modi di seguito illustrati.
Fatto e diritto
Premessa.
Il presente ricorso si riferisce ad alcune disposizioni della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita'
2014).
Tale legge ha contenuto eterogeneo e contenuto eterogeneo hanno
anche le diverse disposizioni qui impugnate.
E' risultato percio' preferibile evitare una illustrazione
generale in fatto, e trattare invece direttamente delle singole
disposizioni impugnate, esponendo in relazione a ciascuna di esse sia
il contenuto che le censure e gli argomenti in diritto.
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 427, primo
periodo, del comma 429 e del comma 499, lett. b) e c).
Il comma 427, primo periodo, dispone che "sulla base degli
indirizzi indicati dal Comitato interministeriale di cui all'articolo
49-bis, comma 1, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito,
con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, in
considerazione delle attivita' svolte dal Commissario straordinario
di cui al comma 2 del medesimo articolo e delle proposte da questi
formulate, entro il 31 luglio 2014 sono adottate misure di
razionalizzazione e di revisione della spesa, di ridimensionamento
delle strutture, di riduzione delle spese per beni e servizi, nonche'
di ottimizzazione dell'uso degli immobili tali da assicurare, anche
nel bilancio di previsione, una riduzione della spesa delle pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 31
dicembre 2009, n. 196, in misura non inferiore a 488,4 milioni di
euro per l'anno 2014, a 1.372,8 milioni di euro per l'anno 2015, a
1.874,7 milioni di euro per gli anni 2016 e 2017 e a 1.186,7 milioni
di euro a decorrere dall'anno 2018".
Il richiamato art. 49-bis, co. 1, d.l. 69/2013 istituisce un
comitato interministeriale "al fine di coordinare l'azione del
Governo e le politiche volte all'analisi e al riordino della spesa
pubblica e migliorare la qualita' dei servizi pubblici offerti". Il
comma 2 dispone che, "ai fini della razionalizzazione della spesa e
del coordinamento della finanza pubblica, il Presidente del Consiglio
dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze,
puo' nominare con proprio decreto un Commissario straordinario, con
il compito di formulare indirizzi e proposte, anche di carattere
normativo, nelle materie e per i soggetti di cui al comma 1, terzo
periodo".
Fra le amministrazioni individuate ai sensi dell'articolo 1, co.
2, l. 196/2009 rientrano anche le Regioni, le Province autonome, gli
enti locali ed i rispettivi enti strumentali.
Il comma 429 si occupa della misura in cui le Regioni, le
Province autonome e gli enti locali debbono contribuire al risparmio
complessivo, ed a questo scopo stabilisce che "a seguito delle misure
di cui al comma 427, per gli anni 2015, 2016 e 2017 le regioni e le
province autonome, a valere sui risparmi connessi alle predette
misure, assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a
complessivi 344 milioni di euro, mediante gli importi di cui ai commi
449-bis e 454 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228,
come modificato dai commi 497 e 499 del presente articolo".
Parimenti, per gli anni 2016 e 2017 gli enti locali, mediante le
percentuali recate ai commi 2 e 6 dell'articolo 31 della legge 12
novembre 2011, n. 183, come modificate dai commi 532 e 534 del
presente articolo, assicurano un contributo di 275 milioni di euro
annui per i comuni e di 69 milioni di euro annui per le province".
Il comma 499 modifica il comma 454 dell'articolo 1 della legge n.
228 del 2012. La lett. a) prolunga i vincoli posti dallo stesso comma
454 al 2017. La lett. b) del comma 499 inserisce nel comma 454 una
tabella che prevede una riduzione di spese, da parte di questa
Regione, di 56 milioni per il 2014 e di 75 milioni per gli anni
2015-2017; e la lett. c), pure impugnata, aggiunge nel comma 454 la
lett. d-bis), che prevede "ulteriori contributi disposti a carico
delle autonomie speciali".
Conviene inoltre ricordare che le percentuali recate dai commi 2
e 6 dell'articolo 31 l. 183/2011, come modificate dai commi 532 e 534
dell'art. 1 l. 147/2013, sono stabilite ai fini della determinazione
dell'obbiettivo di saldo finanziario degli enti locali e sono
applicate alla media della spesa corrente dei predetti enti riferita
ad un determinato periodo; le modificazioni introdotte dalla l.
147/2013 consistono nella diversificazione delle predette percentuali
stabilendo una variazione a cadenza biennale a decorrere dal 2014.
In sintesi, il comma 427, primo periodo, determina l'importo
complessivo annuo della riduzione delle spese di tutte le pubbliche
amministrazioni (riduzione operata sulla base degli indirizzi
indicati dal Comitato interministeriale), mentre il comma 429 (in
collegamento con il comma 499) determina l'importo a carico degli
enti territoriali e ripartisce l'onere fra di essi, prevedendo un
ulteriore contributo alla finanza pubblica, che si aggiunge ai
numerosi contributi gia' previsti da diverse leggi in questi anni. Il
comma 499, poi, prevede ulteriori contributi (mediante la tabella
inserita nel comma 454 dell'art. 1 l. 228/2012) e prolunga i vincoli
gia' posti al 2017.
Tali norme, in sostanza, introducono nuovi obblighi in termini di
indebitamento netto a carico delle Regioni speciali; si tratta di una
rilevante riduzione della capacita' di spesa della Regione
Friuli-Venezia Giulia, che si aggiunge alle analoghe misure gia'
previste da diversi atti legislativi statali.
Poiche' le norme qui impugnate rinviano al comma 454 dell'art. 1
l. 228/2012, aggravando la lesione da esso prodotta (in quanto
prevedono un ulteriore contributo e prolungano i vincoli al 2017), si
possono qui, in primo luogo, riportare e far valere le argomentazioni
svolte nel ricorso n. 32/2013, proposto da questa Regione contro la
l. 228/2012:
"il comma 454 prevede in teoria l'accordo tra la Regione ed
il Ministro dell'economia e delle finanze per il patto di stabilita',
ma in realta' stabilisce unilateralmente che il saldo programmatico
e' "determinato riducendo il complesso delle spese finali in termini
di competenza eurocompatibile risultante dal consuntivo 2011" degli
importi previsti da alcune leggi. Il comma 456 conferma il carattere
illusorio della determinazione concordata del patto, in quanto rende
facoltativo l'accordo.
In questi termini, i commi 454 e 456 violano, in primo luogo,
l'art. 1, co. 155, l. 220/2010, che e' norma adottata sulla base di
un accordo tra Stato e Regione Friuli-Venezia Giulia e codifica, in
relazione al patto di stabilita', il gia' citato principio
consensuale che domina i rapporti finanziari tra Stato e Regioni
speciali (sentenze n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 39 del 1984,
n. 98 del 2000 e n. 133 del 2010), stabilendo che, "a decorrere
dall'esercizio finanziario 2011, l'accordo annuale relativo al patto
di stabilita' interno della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e'
costruito considerando il complesso delle spese finali, al netto
delle concessioni di crediti, valutate prendendo a riferimento le
corrispondenti spese considerate nell'accordo per l'esercizio
precedente".
E' da ricordare che, in base alla sent. 118/2012, "l'accordo e'
lo strumento, ormai consolidato (in quanto gia' presente nella legge
27 dicembre 1997, n. 449 ... e poi confermato da tutte le
disposizioni che si sono occupate successivamente della materia) per
conciliare e regolare in modo negoziato il doveroso concorso delle
Regioni a statuto speciale alla manovra di finanza pubblica e la
tutela della loro autonomia finanziaria, costituzionalmente
rafforzata (ex plurimis sentenza n. 353 del 2004)". La Corte ha
sottolineato che "nel solco di questo indirizzo normativo l'art. 1,
comma 132, della legge n. 220 del 2010, ha stabilito che per gli
esercizi 2011, 2012 e 2013, le Regioni a statuto speciale, escluse la
Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di
Bolzano, concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze le
concrete modalita' attuative del patto di stabilita' e del concorso
alla manovra di finanza pubblica".
Inoltre, la sent. 3/2013 (punto 7.3 del Diritto) ha annullato una
norma legislativa di questa Regione, per violazione del principio di
leale collaborazione, in quanto contrastava con una norma della l.
220/2010, adottata in resezione del Protocollo d'intesa firmato a
Roma il 29.10.2010.
E' poi da sottolineare che, mentre l'art. 1, co. 155, l. 220/2010
considerava come punto di partenza per il patto di stabilita' le
"spese considerate nell'accordo per l'esercizio precedente", il comma
454 fa riferimento al "complesso delle spese finali in termini di
competenza eurocompatibile risultante dal consuntivo 2011", cioe'
alle spese effettivamente sostenute anziche' a quelle sostenibili nei
termini dell'accordo. Il tetto di competenza eurocompatibile per il
2013 e' pertanto piu' basso di quasi 600 milioni di euro rispetto al
previgente tetto di cassa 2013, il tutto anteriormente
all'applicazione delle manovre statali previste per gli anni 2013 e
seguenti: il che rende il limite reale ancora inferiore, ed in
termini assai rilevanti.
Infatti, per un effetto cumulato delle manovre e della
ridefinizione della base di partenza, la Regione Friuli-Venezia
Giulia si trovera' a dover osservare nell'anno 2013 un limite ai
propri impegni di spesa di 1,4 miliardi inferiore rispetto al tetto
2011, con un'incidenza percentuale del 23,55%.
L'entita' della riduzione comporta il gravissimo rischio, per non
dire la certezza, che sia compromesso l'esercizio di funzioni
fondamentali esercitate dalla Regione e risulti secondo calcoli
oggettivi effettuati dai competenti uffici regionali - insostenibile
qualora rapportato alle grandezze rappresentate dai dovuti
trasferimenti al sistema sanitario, alle autonomie locali ed alle
spese obbligatorie cui far fronte. Tale distorsione e' determinata
dalla utilizzazione quale base di partenza delle risultanze finali di
un esercizio finanziario, scelto in base a criteri non esplicitati e
senza tenere in considerazione alcuna le peculiarita' che possono
aver segnato l'andamento della spesa e non averne permesso il
perfezionamento, talora anche per importi rilevanti e magari
dipendenti dalla stessa dinamica dei trasferimenti statali. Cio'
conduce alla grottesca conclusione che l'essersi mantenuti al di
sotto dei tetti di spesa per l'anno 2011 abbia indotto delle
conseguenti ben piu' serie di quelle che avrebbe comportato, nel
medesimo esercizio, l'inosservanza del patto per sfioramento dei
tetti in questione. Le spese effettivamente sostenute sono spesso
condizionate da eventi specificamente ascrivibili all'esercizio di
riferimento, che non e' congruo possano condizionare l'accordo degli
esercizi successivi.
Il comma 454 e' dunque irragionevole (con violazione dell'art. 3
Cost.) e viola altresi' l'autonomia finanziaria regionale (art. 48
ss. St. e art. 119 Cost.) ed il principio di corrispondenza tra
funzioni regionali e risorse (art. 119, co. 4, Cost.).
Un ulteriore aspetto di irragionevolezza insito nell'aprioristica
applicazione delle risultanze di un esercizio quale base di partenza
per l'obiettivo del patto di stabilita' rappresentato dal fatto che
la minore spesa puo' essere stata determinata, anche solo in parte,
dalla decisione di avvalersi di una specifica previsione statale
(precisamente l'art. 1, comma 138, l. 220/2010, secondo il quale "a
decorrere dall'anno 2011, le regioni, escluse la regione
Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano,
possono autorizzare gli enti locali del proprio territorio a
peggiorare il loro saldo programmatico attraverso un aumento dei
pagamenti in conto capitale e contestualmente e per lo stesso importo
procedono a rideterminare il proprio obiettivo programmatico in
termini di cassa o di competenza"), che consente alle Regioni di
abbassare volontariamente i propri obiettivi di spesa, al fine di
cedere spazi finanziari agli enti locali del proprio territorio, per
un importo definito annualmente e con esclusivo riferimento
all'esercizio in corso.
Quindi una riduzione della spesa, autonomamente - e
provvisoriamente - determinata da una Regione per sopperire a gravi
esigenze di spesa dei propri enti locali, viene fatta propria ed
incamerata dallo Stato senza alcuna disamina della ratio sottostante
e delle conseguenze.
Ancora, le norme sono affette da irragionevolezza in quanto
internamente contraddittorie, perche' da un lato prevedono un accordo
e, dall'altro, lo vanificano tramite una definizione aprioristica del
suo contenuto. I commi 454 e 456 contraddicono anche il comma 458, in
base al quale "l'attuazione dei commi 454, 455 e 457 avviene nel
rispetto degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle
province autonome di Trento e di Bolzano e delle relative norme di
attuazione". La Regione e' legittimata a far valere il principio di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) perche' le norme impugnate rientrano in
materia regionale (coordinamento della finanza pubblica) e incidono
sull'autonomia finanziaria della Regione".
In sintesi, i commi 427, 429 e 499 ledono l'autonomia finanziaria
della Regione, ponendo unilateralmente ulteriori limiti alla spesa,
in violazione della l. 220/2010, che - nei commi 132, 136, 152-156 -
definisce in modo esaustivo il modo in cui la Regione concorre al
risanamento della finanza pubblica. La l. 220/2010 e' stata adottata
sulla base di un accordo tra Regione e Stato, cioe' del Protocollo
d'intesa firmato a Roma il 29.10.2010: essa, da un lato, ha
costituito applicazione del principio di leale collaborazione e,
dall'altro, l'ha codificato in relazione al patto di stabilita'
(commi 132 e 155). La Regione concorda il saldo di bilancio da
conseguire nei diversi anni, sicche' risulta poi del tutto assurdo,
prima ancora che costituzionalmente illegittimo, che essa si veda
imporre unilateralmente ulteriori riduzioni di spesa.
Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e
Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo: esso, oltre
a declinarsi nell'art. 1, co. 155 l. 220/2010 e nelle norme che
richiedono il consenso della Regione per la disciplina dei rapporti
finanziari con lo Stato (artt. 63, co. 5, e 65 Statuto speciale), e'
pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale.
Cosi' la sentenza n. 82/2007 ha cosi' deciso:
"L'obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni,
ivi comprese quelle a statuto speciale, all'azione di risanamento
della finanza pubblica deve essere contemperato e coordinato con la
speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette
Regioni, in forza dei loro statuti. In tale prospettiva, come questa
Corte ha avuto occasione di affermare, la previsione normativa del
metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto speciale e il Ministero
dell'economia e delle finanze, per la determinazione delle spese
correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti, deve
considerarsi un'espressione della descritta autonomia finanziaria e
del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei
limiti alla spesa imposti dal cosiddetto «patto di stabilita'»"; e
analogamente, sotto questo profilo, hanno deciso le sentt. 353/2004,
39/1984, 98/2000, 133/2010, che hanno tutte confermato
l'essenzialita' e la generalita' del principio consensuale nella
materia dei rapporti finanziari Stato-Regioni speciali.
Dunque, disposizioni come quelle dettate dai commi 427, primo
periodo, 429 e 499, che hanno chiaramente uno scopo di coordinamento
della finanza pubblica (tramite la limitazione della spesa pubblica),
non possono applicarsi a questa Regione perche' le regole della sua
partecipazione al risanamento della finanza pubblica sono definite in
termini precisi dalla l. 220/2010.
Inoltre, e' da sottolineare che il comma 499, lett. a) prolunga
al 2017 gli obblighi di questa Regione. La sent. 193/2012 di codesta
Corte ha affermato la necessaria temporaneita' degli obblighi aventi
ad oggetto riduzioni di spesa, ma ogni anno il legislatore statale
sistematicamente prolunga i vincoli, cosi' sostanzialmente - ed
illegittimamente - vanificando la temporaneita' e violando
l'autonomia finanziaria regionale (artt. 49 ss. St.) e l'art. 117,
co. 3, Cost.
Inoltre, il comma 429 ed il comma 499, lett. b), sono illegittimi
per disparita' di trattamento rispetto alle Regioni ordinarie. Il
riparto "interno" alle Regioni speciali dell'onere finanziario
previsto da queste norme e' stato operato sulla base del Pil
registrato nel loro territorio in base ai dati Istat 2011. Lo stesso
criterio, tuttavia, non e' stato utilizzato per ripartire gli oneri
tra Regioni ordinarie e Regioni speciali: cio' implica
un'irragionevole disparita' di trattamento e la violazione dell'art.
3 Cost., che chiaramente si riflette in una lesione dell'autonomia
finanziaria regionale, che viene penalizzata piu' di quanto dovrebbe
esserlo applicando lo stesso criterio anche al riparto fra Regioni
speciali e ordinarie.
Infine, i commi 427, primo periodo, e 429, nella parte in cui si
applicano agli enti locali della regione Friuli-Venezia Giulia e agli
enti strumentali della Regione, violano l'art. 1, commi 154 e 155, l.
220/2010. In base alla prima disposizione, "la regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, gli enti locali del territorio, i suoi enti e
organismi strumentali, le aziende sanitarie e gli altri enti e
organismi il cui funzionamento e' finanziato dalla regione medesima
in via ordinaria e prevalente costituiscono nel loro complesso il
«sistema regionale integrato»", e "gli obiettivi sui saldi di finanza
pubblica complessivamente concordati tra lo Stato e la regione sono
realizzati attraverso il sistema regionale integrato". In base al
comma 155, "spetta alla regione individuare, con riferimento agli
enti locali costituenti il sistema regionale integrato, gli obiettivi
per ciascun ente e le modalita' necessarie al raggiungimento degli
obiettivi complessivi di volta in volta concordati con lo Stato per
il periodo di riferimento, compreso il sistema sanzionatorio", e "le
disposizioni statali relative al patto di stabilita' interno non
trovano applicazione con riferimento agli enti locali costituenti il
sistema regionale integrato".
Lo Stato deve limitarsi a concordare con la Regione gli obiettivi
complessivi, mentre spetta poi alla Regione esercitare i poteri di
coordinamento finanziario con riferimento agli enti locali e agli
enti strumentali.
Inoltre, le norme impugnate ledono anche la competenza regionale
in materia di finanza locale, risultante dagli artt. 4, n. 1-bis, 51
e 54 St. e dall'art. 9 d.lgs. 9/1997, in base al quale "spetta alla
regione disciplinare la finanza locale, l'ordinamento finanziario e
contabile, l'amministrazione del patrimonio e i contratti degli enti
locali"; inoltre, "la regione finanzia gli enti locali con oneri a
carico del proprio bilancio, salvo il disposto di cui al comma 3".
E' dunque illegittima la sostituzione della legge ordinaria
statale nell'esercizio di una competenza propria del legislatore
regionale.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 481.
Il comma 481 dispone quanto segue: "Per effetto delle
disposizioni di cui ai commi 452, 453, 454, 455 e 456 il livello del
finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre
ordinariamente lo Stato e' ridotto di 540 milioni di euro per l'anno
2015 e 610 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016. La predetta
riduzione e' ripartita tra le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano secondo criteri e modalita' proposti in sede di
autocoordinamento dalle regioni e province autonome di Trento e di
Bolzano medesime, da recepire, in sede di espressione dell'intesa
sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per la
ripartizione del fabbisogno sanitario nazionale standard, entro il 30
giugno 2014. Qualora non intervenga la proposta entro i termini
predetti, la riduzione e' attribuita secondo gli ordinari criteri di
ripartizione del fabbisogno sanitario nazionale standard. Le regioni
a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, ad
esclusione della Regione siciliana, assicurano il concorso di cui al
presente comma mediante le procedure previste dall'articolo 27 della
legge 5 maggio 2009, n. 42. Fino all'emanazione delle norme di
attuazione di cui al predetto articolo 27, l'importo del concorso
alla manovra di cui al presente comma e' annualmente accantonato, a
valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali".
Dunque, il comma 481 regola il concorso delle Regioni speciali
alla riduzione del livello del fabbisogno del Servizio sanitario
nazionale e del correlato finanziamento. La norma e' corrispondente a
quelle contenute nell'art. 15, co. 22, d.l. 95/2012 (impugnato dalla
ricorrente Regione con il ricorso n. 159/2012) e nell'art. 1, co.
132, l. 228/2012 (impugnato dalla ricorrente Regione con il ricorso
n. 32/2013).
Data l'identita' delle disposizioni, anche il comma 481 risulta
illegittimo per le medesime ragioni svolte nel gia' citato ricorso
32/2013, che si possono qui richiamare. "Vanno premesse [...] alcune
considerazioni generali.
Lo statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia attribuisce alla
regione potesta' legislativa concorrente in materia di «igiene e
sanita', assistenza sanitaria ed ospedaliera» (art. 5, n. 16), e la
corrispondente potesta' amministrativa (art. 8 statuto). A tali norme
e' stata data attuazione con il decreto del Presidente della
Repubblica n. 869/1966 e con gli articoli 8 e 9 decreto del
Presidente della Repubblica n. 902/1975.
La competenza della regione in materia di sanita' si e' ampliata
a seguito della riforma del titolo V, in quanto ad essa si estende la
competenza di cui all'art. 117, comma 3, Cost., che, secondo codesta
Corte, e' «assai piu' ampia» di quella prevista dallo statuto
(sentenze nn. 240/2007, 162/2007 e 181/2006).
Tuttavia, l'autonomia della regione Friuli-Venezia Giulia in
campo sanitario ha ormai da piu' di 15 anni una caratteristica che la
differenzia radicalmente dalla condizione delle regioni ordinarie.
Infatti, in relazione all'assetto statutario delle competenze
sopra descritto e quale concorso della regione Friuli-Venezia Giulia
al riequilibrio della finanza pubblica nazionale, si deve rammentare
che «a decorrere dal 1997 sono soppresse le quote del Fondo sanitario
nazionale a carico del bilancio dello Stato a favore della regione
Friuli-Venezia Giulia che provvede al finanziamento dell'assistenza
sanitaria con i proventi dei contributi sanitari e con risorse del
proprio bilancio» (art. 1, comma 144, legge n. 662/1996). Lo Stato,
dunque, non puo' limitare direttamente una voce di spesa delle ASL
del Friuli-Venezia Giulia, dato che il finanziamento di queste e' a
carico del bilancio regionale (si veda la sentenza n. 341/09, punto
6: lo Stato non ha «ha titolo per dettare norme di coordinamento
finanziario che definiscano le modalita' di contenimento di una spesa
sanitaria che e' interamente sostenuta dalla provincia autonoma di
Trento» (alla cui situazione, sotto questo profilo, corrisponde
quella della ricorrente regione; vedasi anche sentenza n. 133/2010,
punto 3).
Del resto, questa specifica disposizione in tema di finanziamento
del servizio sanitario e' parte del piu' ampio sistema dell'autonomia
finanziaria regionale. In attuazione di un accordo stipulato tra
regione e Stato, la legge n. 220/2010 ha statuito che, «per gli
esercizi 2011, 2012 e 2013, le regioni a statuto speciale ...
concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il
Ministro dell'economia e delle finanze il livello complessivo delle
spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti,
in considerazione del rispettivo concorso alla manovra, determinato
ai sensi del comma 131» (comma 132).
In base al comma 152, «a decorrere dall'anno 2011, la regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia contribuisce all'attuazione del
federalismo fiscale, nella misura di 370 milioni di euro annui,
mediante: a) il pagamento di una somma in favore dello Stato; b)
ovvero la rinuncia alle assegnazioni statali derivanti dalle leggi di
settore, individuate nell'ambito del tavolo di confronto di cui
all'art. 27, comma 7, della citata legge n. 42 del 2009; c) ovvero
l'attribuzione di funzioni amministrative attualmente esercitate
dallo Stato, individuate mediante accordo tra il Governo e la
regione, con oneri a carico della regione».
Il comma 154 dispone quanto segue: «la regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, gli enti locali del territorio, i suoi enti e
organismi strumentali, le aziende sanitarie e gli altri enti e
organismi il cui funzionamento e' finanziato dalla regione medesima
in via ordinaria e prevalente costituiscono nel loro complesso il
«sistema regionale integrato». Gli obiettivi sui saldi di finanza
pubblica complessivamente concordati tra lo Stato e la regione sono
realizzati attraverso il sistema regionale integrato. La regione
risponde nei confronti dello Stato del mancato rispetto degli
obiettivi di cui al periodo precedente. Le disposizioni previste dal
presente comma si applicarlo successivamente all'adozione del
bilancio consolidato previsto dalle disposizioni relative
all'armonizzazione dei bilanci».
In base al comma 155, «a decorrere dall'esercizio finanziario
2011, l'accordo annuale relativo al patto di stabilita' interno della
regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e' costruito considerando
complesso delle spese filiali, al netto delle concessioni di crediti,
valutate prendendo a riferimento le corrispondenti spese considerate
nell'accordo per l'esercizio precedente. L'obiettivo e' determinato
tenendo conto distintamente dell'andamento tendenziale della spesa
sanitaria regionale. in coerenza con quello nazionale. In attuazione
di quanto previsto dall'art. 17, comma 1, lettera c), della legge 5
maggio 2009, n. 42, in merito agli obiettivi sui saldi di finanza
pubblica, spetta alla regione individuare, con riferimento agli enti
locali costituenti il sistema regionale integrato, gli obiettivi per
ciascun ente e le modalita' necessarie al raggiungimento degli
obiettivi complessivi di volta in volta concordati con lo Stato per
il periodo di riferimento, compreso il sistema sanzionatorio. Qualora
la regione non provveda ad individuare le predette modalita' entro il
31 maggio, si applicano le disposizioni previste a livello nazionale.
Salvo quanto previsto dal periodo precedente, le disposizioni
statali relative al patto di stabilita' interno non trovano
applicazione con riferimento agli enti locali costituenti il sistema
regionale integrato».
Infine, in base al comma 156, «la regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia garantisce un effetto positivo sull'indebitamento netto,
ulteriore rispetto a quello previsto dalla legislazione vigente, ...
di 150 milioni di euro nel 2011, di 200 milioni di euro nel 2012, di
250 milioni di euro nel 2013, di 300 milioni di euro nel 2014, di 350
milioni di euro nel 2015, di 340 milioni di euro nel 2016, di 350
milioni di euro annui dal 2017 al 2030 e di 370 milioni di euro annui
a decorrere dal 2031».
Da tali norme risulta che lo Stato - nel quadro dei vincoli
finanziari che esso concorda con la regione (vedasi l'art. 1, comma
132, legge n. 220/2010) - deve lasciare a questa il compito di
regolare i rispettivi obblighi finanziari propri e dei propri enti
strumentali.
Ne' varrebbe replicare che anche le regioni speciali devono
concorrere al risanamento della finanza pubblica. Infatti, lo Stato
ha gia' definito - con le norme appena citate, che hanno recepito
l'accordo di Roma del 29 ottobre 2010 - i modi in cui la regione
Friuli-Venezia Giulia concorre al risanamento della finanza pubblica.
Puo' essere anche utile ricordare che codesta stessa Corte
costituzionale ha pronunciato sentenze recenti nelle quali ha
stabilito che altre regioni ad autonomia speciale non sono soggette
ai vincoli finanziari posti da atti legislativi statali, sulla base
di norme ed argomenti che ben si adattano anche alla situazione della
regione Friuli-Venezia Giulia.
Cosi' le sentenze nn. 215/2012, 151/2012 e 173/2012, hanno
stabilito che i vincoli di cui al decreto-legge n. 78/2010 non si
applicano alla regione Valle d'Aosta dopo la gia' citata legge n.
220/2010, dato che essa concorre all'assolvimento degli obblighi
finanziari nei modi previsti dalla stessa legge n. 220/2010. Nella
decisione ha assunto particolare rilievo l'art. 1, comma 132, legge
n. 220/2010 (secondo cui «per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le
regioni a statuto speciale, escluse la regione Trentino-Alto Adige e
le province autonome di Trento e di Bolzano, concordano, entro il 31
dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell'economia e
delle finanze il livello complessivo delle spese correnti e in conto
capitale, nonche' dei relativi pagamenti, in considerazione del
rispettivo concorso alla manovra, determinato ai sensi del comma
131»), che vale sia per la Valle d'Aosta sia per il Friuli-Venezia
Giulia.
Ed il comma 136, poi, dispone che «le regioni a statuto speciale
e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al
riequilibrio della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti dai
commi 132, 133 e 134, anche con misure finalizzate a produrre un
risparmio per il bilancio dello Stato, mediante l'assunzione
dell'esercizio di funzioni statali, attraverso l'emanazione, con le
modalita' stabilite dai rispettivi statuti, di specifiche norme di
attuazione statutaria».
Tenuto conto della speciale autonomia finanziaria della regione,
sia nel settore sanitario che in generale, la legge ordinaria dello
Stato non puo' limitare le spese regionali in campo sanitario.
Poiche', come sopra esposto, la regione Friuli-Venezia Giulia
provvede al finanziamento del Servizio sanitario nei rispettivi
territori, senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato, ne
deriva che «lo Stato, quando non concorre al finanziamento della
spesa sanitaria, neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento
finanziario» (sentenze n. 341 del 2009 e n. 133 del 2010).
Inoltre, le limitazioni sarebbero incongrue anche se commisurate
alla generale autonomia finanziaria regionale, quale definita dalle
disposizioni sopra illustrate e dal principio dell'accordo, che
domina il regime dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie
speciali (Corte costituzionale, sentenze n. 82 del 2007, n. 353 del
2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000 e n. 133 del 2010): da tali
norme e principi risulta che lo Stato deve concordare con la regione
gli obiettivi relativi ai saldi di finanza pubblica, mentre spetta
alla regione il potere di coordinamento finanziario sulle proprie
ASL.
In definitiva, e' illegittima l'assimilazione della regione
Friuli-Venezia Giulia alle regioni ordinarie, dato che essa finanzia
con proprie risorse il Servizio sanitario nazionale ed e' dotata di
uno speciale regime per quel che riguarda il concorso agli obiettivi
di finanza pubblica, regime che prevede espressamente, tra l'altro,
il potere della regione di raggiungere gli obiettivi concordati con
lo Stato «attraverso il sistema regionale integrato» (art. 1, comma
154, legge n. 220/2010), cioe' anche attraverso le ASL.
Premesso cio', valgono anche avverso l'art. 1, comma 132, della
legge n. 228/2012 le seguenti argomentazioni, gia' svolte nel ricorso
n. 159/2012 contro l'art. 15, comma 22, decreto-legge n. 95/2012:
«Dunque, nella disciplina cosi' stabilita le norme di
razionalizzazione della spesa contenute nell'art. 15 costituiscono la
premessa di un minor fabbisogno e di un minore "correlato
finanziamento", cioe' di una minore dimensione del Fondo sanitario
nazionale: che poi si traduce, ovviamente, in un minor trasferimento
di risorse dallo Stato alle regioni che partecipano di tale fondo.
Sin qui il meccanismo e' logico.
Non si puo' dire ugualmente della applicazione delle disposizioni
sopra descritte alle autonomie speciali nelle quali la sanita' e' a
carico della regione stessa: come accade appunto per la regione
Friuli-Venezia Giulia.
In esse non esiste un separato finanziamento per il servizio
sanitario, che e' invece finanziato con il bilancio generale. La
regione, che finanzia in proprio il servizio, rivendica - come
esposto ai punti precedenti - di non essere soggetta alle forzose
riduzioni dei livelli delle prestazioni sopra descritti. Ma ove tali
riduzioni si verificassero - e con esse un minore livello di spesa -
si tratterebbe pur sempre di una minore incidenza della spesa
sanitaria sull'autonomo bilancio complessivo della regione, come
definito dalle entrate che lo statuto attribuisce ad essa e dalle
spese necessarie o opportune.
Nel meccanismo ideato dalle norme qui contestate, invece, la
violazione dell'autonomia della regione nella organizzazione e
gestione del servizio sanitario, con la forzosa riduzione dei suoi
livelli, si traduce addirittura in una forzosa acquisizione allo
Stato delle risorse che lo statuto di autonomia garantisce alla
regione Friuli-Venezia Giulia. Tale, e non altro, e' infatti il
significato del passaggio di risorse da tali autonomie speciali allo
Stato. La lesione si raddoppia: alla violazione dell'autonomia nelle
funzioni si somma l'illegittima sottrazione di risorse. E' dunque
costituzionalmente illegittimo - per diretta violazione dell'art. 49
dello statuto e del principio di leale collaborazione - il principio
stesso di tale acquisizione. Infatti l'art. 49 statuto, attribuisce
alla regione quote del gettito di determinate entrate tributarie
dello Stato, percepite nel rispettivo territorio, affinche' queste
vengano spese nell'esercizio delle funzioni e competenze
costituzionali della regione stessa, e non affinche' lo Stato ne
possa disporre a suo piacimento. In pratica, il comma 22 determina
unilateralmente un contributo straordinari permanente, a carico della
regione, al risanamento della finanza pubblica statale.
E' opportuno ricordare che la sentenza n. 133/2010 ha annullato,
per violazione del principio di leale collaborazione, l'art. 22,
comma 3, decreto-legge n. 78/2009, nella parte in cui si applicava
alla Valle d'Aosta e alle province autonome, in quanto "l'art. 22,
commi 2 e 3, incide ... in modo unilaterale sull'autonomia
finanziaria di entrambe le ricorrenti, imponendo loro di riversare
nel bilancio dello Stato le somme ricavate dalle economie sulla spesa
farmaceutica. La specialita' dell'autonomia finanziaria delle stesse
ricorrenti sarebbe vanificata se fosse possibile variare l'assetto
dei rapporti finanziari con lo Stato con una semplice legge
ordinaria, in assenza di un accordo bilaterale che la preceda".
In effetti, le norme del comma 22 alterano unilateralmente
l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e regione Friuli-Venezia
Giulia, violando il principio dell'accordo che domina tali rapporti
(anche su cio' vedasi sopra) e l'art. 63, commi 1 e 5, dello statuto,
che regolano la procedura di revisione dello statuto e la particolare
procedura di modifica delle norme finanziarie di esso.
Inoltre, lo Stato ha gia' definito (con la legge n. 220/2010) i
modi in cui la regione Friuli-Venezia Giulia concorre al risanamento
della finanza pubblica, con norme che hanno recepito l'accordo di
Roma del 29 ottobre 2010: si rinvia, su cio', al punto precedente.
Il quomodo del concorso e' definito nei modi previsti dal quarto
e quinto periodo: il quarto periodo effettua un rinvio alle norme di
attuazione dello statuto, mentre il quinto prevede che, fino
all'emanazione di esse, lo Stato trattenga ogni anno, sulle quote di
compartecipazione ai tributi erariali previste dallo statuto,
l'importo del concorso della regione Friuli-Venezia Giulia alla
riduzione della spesa sanitaria.
Ora, il rinvio alle norme di attuazione (quarto periodo) e'
comunque illegittimo, in quanto la norma in questione determina
(illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme di
attuazione, per cui il rinvio alla fonte "concertata" appare fittizio
e contrasta con l'art. 65 statuto.
Infine, la previsione dell'accantonamento di un importo
imprecisato su tali quote autonomamente viola l'art. 49 statuto, dato
che le somme da esso garantite alla regione vengono indebitamente
ridotte.
Sono dunque lesivi e costituzionalmente illegittimi sia il
principio stesso del trasferimento di risorse regionali allo Stato,
sia le modalita' applicative, nei termini sopra esposti».
Come detto, tutte tali considerazioni valgono puntualmente
avverso l'art. 1, comma 481, della l. n. 147 del 2013.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 526.
Il comma 526 dispone quanto segue:
"Per l'anno 2014, con le procedure previste dall'articolo 27
della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e di Bolzano assicurano un ulteriore
concorso alla finanza pubblica per l'importo complessivo di 240
milioni di euro. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui
al predetto articolo 27, l'importo del concorso complessivo di cui al
primo periodo del presente comma e' accantonato, a valere sulle quote
di compartecipazione ai tributi erariali, secondo gli importi
indicati, per ciascuna regione a statuto speciale e provincia
autonoma, nella tabella seguente: [...]". La tabella prevede, per la
Regione Friuli-Venezia Giulia e per il 2014, un accantonamento di
€ 44.445.000.
Dunque, il comma 526, come il comma 481, prevede una riduzione di
spesa a carico delle Regioni speciali ed un rinvio alle norme di
attuazione per l'attuazione di tale previsione; inoltre, il comma
526, come il comma 481, dispone - in attesa delle norme di attuazione
- un accantonamento sulle quote di compartecipazione ai tributi
erariali. La differenza tra le due norme sta solo nel fatto che,
mentre il comma 481 non precisa l'importo dell'accantonamento, il
comma 526 reca una tabella che determina la somma da accantonare.
Il contenuto lesivo delle due norme e', pero', comune, ragion per
cui anche il comma 526 viola gli arti. 49 e 63, commi 1 e 5 dello
statuto, il principio di leale collaborazione ed il principio
dell'accordo in materia finanziaria per le stesse ragioni gia'
esposte al motivo n. 2 del presente ricorso, che qui si intendono
richiamate.
Oltre ai profili ora indicati, il comma 526 non precisa il
criterio di riparto dell'ulteriore concorso tra le diverse autonomie
speciali e, in tal modo, non consente una verifica di
proporzionalita' del riparto stesso. In subordine alle censure
principali va percio' rilevato che, cosi' operando, il comma 526
viola l'art. 3 Cost. (principio di ragionevolezza) e che tale
violazione si traduce in una lesione dell'autonomia finanziaria della
Regione.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 487.
Il comma 486 stabilisce che, "a decorrere dal 1° gennaio 2014 e
per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti
pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza
obbligatorie complessivamente superiori a quattordici volte il
trattamento minimo INPS, e' dovuto un contributo di solidarieta' a
favore delle gestioni previdenziali obbligatorie, pari al 6 per cento
della parte eccedente il predetto importo lordo annuo fino
all'importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS,
nonche' pari al 12 per cento per la parte eccedente l'importo lordo
annuo di venti volte il trattamento minimo INPS e al 18 per cento per
la parte eccedente l'importo lordo annuo di trenta volte il
trattamento minimo INPS" (primo periodo). E' inoltre disposto che "le
somme trattenute vengono acquisite dalle competenti gestioni
previdenziali obbligatorie, anche al fine di concorrere al
finanziamento degli interventi di cui al comma 191 del presente
articolo".
Dunque, tale disposizione stabilisce in via generale un concorso
al finanziamento delle gestioni previdenziali obbligatorie a carico
dei trattamenti pensionistici erogati dagli "enti gestori" (sempre
nell'ambito di forme di previdenza obbligatoria) per importi
superiori a quattordici volte il trattamento minimo INPS. Il sistema
opera nel senso di devolvere una quota parte del trattamento erogato,
quantificata in via proporzionale, secondo tre scaglioni crescenti, a
vantaggio delle predette gestioni previdenziali obbligatorie.
Tale disposizione non riguarda le regioni, e non forma dunque
oggetto di impugnazione nel presente ricorso.
Tuttavia, al comma 486 si connette il successivo comma 487,
prevedendo un particolare meccanismo di penalizzazione delle finanze
regionali.
Precisamente, il comma 487 dispone che "i risparmi derivanti
dalle misure di contenimento della spesa adottate, sulla base dei
principi di' cui al comma 486, dagli organi costituzionali, dalle
regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano,
nell'esercizio della propria autonomia, anche in riferimento ai
vitalizi previsti per coloro che hanno ricoperto funzioni pubbliche
elettive, sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per
essere destinati al Fondo di cui al comma 48".
In altre parole - mentre in linea di principio le trattenute
operate ai sensi del comma 486 sono destinate a beneficiare lo stesso
ente erogatore del trattamento previdenziale obbligatorio -
nell'ipotesi in cui, per effetto dell'applicazione dei principi del
comma 486, derivino alla Regione dei risparmi di spesa, essa sarebbe
tenuta a riversare tali risparmi a favore dello Stato e,
specificamente, a vantaggio del "Fondo di cui al comma 48".
Ad avviso della ricorrente Regione, tale previsione risulta
incostituzionale in quanto lesiva della sua autonomia finanziaria
garantita dallo Statuto.
Si noti che la lesione non consiste tanto nella previsione che vi
debbano essere "risparmi derivanti dalle misure di contenimento della
spesa adottate, sulla base dei principi di cui al comma 486",
circostanza che il comma 487 non sembra considerare un vero e proprio
obbligo della Regione, dal momento che essa deve operare
"nell'esercizio della propria autonomia".
La lesione consiste invece nella circostanza che, ove la Regione
adotti, conformemente allo spirito della legge statale, ed alle
esigenze dei tempi, tali misure di contenimento della spesa,
beneficiario dei risparmi stessi non sarebbe la Regione ma lo Stato:
a causa del citato obbligo di trasferirli a vantaggio dello Stato.
In questi termini, la norma in questione dispone null'altro che
un ingiustificato trasferimento allo Stato di somme che ai sensi
dello Statuto spettano alla Regione.
A tale conclusione non osta quanto deciso da codesta ecc.ma Corte
nella sentenza n. 151 del 2012, in relazione a norme che pure
prevedevano la destinazione a Fondi statali dei risparmi per
riduzioni di spese volontariamente deliberate dalle Regioni con
riferimento ai trattamenti economici degli organi indicati nell'art.
121 della Costituzione (Consiglio regionale, Giunta e Presidente).
In tale occasione codesta Corte, accertato che la disposizione
statale oggetto del ricorso doveva "essere interpretata non nel senso
che le Regioni hanno l'obbligo di adottare deliberazioni di riduzione
di spesa, ma nel senso che, nel caso in cui dette Regioni,
nell'esercizio della loro autonomia, abbiano deliberato per il
triennio dal 2011 al 2013 tali riduzioni, i risparmi cosi' ottenuti
«sono riassegnati»" ai predetti fondi statali (nella specie si
trattava del Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato), ne ha
ritenuto la legittimita', affermando che tale trasferimento sarebbe
stato il frutto dello "esercizio di un atto di autonomia, con il
quale la Regione sceglie liberamente se e quanto ridurre la spesa.",
sicche' la limitazione all'autonomia di spesa era meramente ipotetica
e potenziale".
Ad avviso della ricorrente Regione tale argomentazione, che puo'
riferirsi alle regole della finanza delle Regioni a statuto
ordinario, non puo' invece valere in relazione alle regole statutarie
che governano le autonomie speciali, e segnatamente quella della
Regione Friuli-Venezia Giulia.
Infatti, in relazione alle Regioni a statuto ordinario - fermo
restando il dovere dello Stato di porle in condizione di esercitare
le proprie funzioni, e di contribuire alla loro finanza nei modi
stabiliti dall'art. 119 Cost. - non vi e' a livello costituzionale
una indicazione precisa delle entrate ad esse spettanti. In queste
condizioni, puo' essere comprensibile che, a fronte delle
"eccezionali e contingenti esigenze di solidarieta' politica,
economica e sociale" evocate dalla stessa sentenza n. 151/2012, lo
Stato "assorba" per un determinato periodo il risparmio derivante da
scelte regionali, diminuendo cosi' di fatto i propri trasferimenti,
che non sono condizionati da alcuna specifica regola costituzionale.
Ma la finanza delle Regioni ad autonomia speciale (e fra esse -
in particolare - della Regione Friuli-Venezia Giulia) e' - per scelta
di rango costituzionale - regolata in modo del tutto differente.
Le attribuzioni finanziarie della Regione non sono determinate
"discrezionalmente" dal legislatore statale, secondo variabili
considerazioni di opportunita', ma trovano invece precisa e sicura
parametrazione direttamente negli articoli dello Statuto speciale,
essendo ivi previste come quote di compartecipazione, rigidamente
predeterminate, ai tributi erariali.
Specificamente, l'art. 48 dello Statuto speciale stabilisce che
"la Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello
Stato, in armonia con i principi della solidarieta' nazionale, nei
modi stabiliti dagli articoli seguenti".
Ai sensi del successivo art. 49 dello Statuto speciale, "spettano
alla Regione le seguenti quote fisse delle sottoindicate entrate
tributarie erariali riscosse nel territorio della Regione stessa:
1) sei decimi del gettito dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche;
2) quattro decimi e mezzo del gettito dell'imposta sul
reddito delle persone giuridiche;
3) sei decimi del gettito delle ritenute alla fonte di cui
agli artt. 23, 24, 25 e 29 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ed
all'art. 25-bis aggiunto allo stesso decreto del Presidente della
Repubblica con l'art. 2, primo comma, del D.L. 30 dicembre 1982, n.
953, come modificato con legge di conversione 28 febbraio 1983, n.
53;
4) 9,1 decimi del gettito dell'imposta sul valore aggiunto,
esclusa quella relativa all'importazione, al netto dei rimborsi
effettuati ai sensi dell'articolo 38-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 633, e successive modificazioni;
5) nove decimi del gettito dell'imposta erariale sull'energia
elettrica, consumata nella regione;
6) nove decimi del gettito dei canoni per le concessioni
idroelettriche;
7) 9,19 decimi del gettito della quota fiscale dell'imposta
erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi
consumati nella regione;
7-bis) il 29,75 per cento del gettito dell'uccisa sulle
benzine ed il 30,34 per cento del gettito dell'accisa sul gasolio
consumati nella regione per uso autotrazione.
La devoluzione alla regione Friuli-Venezia Giulia delle quote dei
proventi erariali indicati nel presente articolo viene effettuata al
netto delle quote devolute ad altri enti ed istituti".
Poste tali basi alla finanza regionale, sembra chiaro non solo
che ogni decisione su dove e come allocare le risorse e su dove e
come risparmiare e' riservata alla Regione (fermo ovviamente
l'adempimento dei propri doveri istituzionali, come la garanzia dei
livelli essenziali delle prestazioni e il rispetto di ogni altro
vincolo legittimamente posto), ma che tali scelte non possono dare
luogo a singole "restituzioni" di fondi allo Stato, in quanto tali
restituzioni si tradurrebbero in null'altro che in una decurtazione
delle risorse che lo Statuto richiede siano messe a disposizione
della Regione.
Non essendovi alcun fondamento per il passaggio allo Stato del
risparmio di spesa eventualmente ottenuto dalla Regione in
applicazione dei principi di cui al comma 486, la disposizione di cui
al comma 487 risulta illegittima e lesiva degli artt. 48 e dell'art.
49 dello Statuto speciale e in generale dell'autonomia finanziaria
regionale.
L'illegittimita' dell'interferenza nell'autonomia finanziaria
regionale risulta ulteriormente confermata e rafforzata ove si
consideri la destinazione che verrebbe data alle risorse risparmiate
dalla Regione. Infatti, tali risorse verrebbero semplicemente
destinate a scopi particolari di politica economica decisi dallo
Stato. Cio' e' quanto risulta dalla prescrizione che i risparmi
eventualmente ottenuti per effetto di "misure di contenimento della
spesa adottate, sulla base dei principi di cui al comma 486", debbano
essere obbligatoriamente riversati "al Fondo di cui al comma 48".
Ora, il richiamato comma 48 prevede in realta' due distinti e
specifici "Fondi":
il "Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui
all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996,
n. 662" (comma 48, lett. a)):
il "Fondo di garanzia per la prima casa, per la concessione
di garanzie, a prima richiesta, su mutui ipotecari o su portafogli di
mutui ipotecari, istituito presso il Ministero dell'economia e delle
finanze" (comma 48, lett. b)).
Comunque, a parte l'indeterminatezza della normativa che ne
risulta (non sapendosi a quale dei due fondi le risorse dovrebbero
essere attribuite), quello che qui conta e' che in entrambi i casi si
tratta semplicemente di forme di sostegno allo sviluppo economico, o
di forme di sostegno del bisogno abitativo, largamente corrispondenti
a quelle che la stessa Regione persegue nella propria attivita'
istituzionale e nella gestione delle proprie politiche. In altre
parole, la sottrazione di risorse che si vorrebbe operare neppure
trova giustificazione nel perseguimento di un obiettivo che solo lo
Stato potrebbe perseguire, ma si traduce nell'impiego di risorse
regionali per l'attuazione di politiche statali, negli stessi campi
di competenza regionale.
Di qui, l'ulteriore illegittimita' della previsione impugnata.
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 508.
Il comma 508 dispone che, "al fine di assicurare il concorso
delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento
e di Bolzano all'equilibrio dei bilanci e alla sostenibilita' del
debito pubblico, in attuazione dell'articolo 97, primo comma, della
Costituzione, le nuove e maggiori entrate erariali derivanti dal
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 [...] e dal decreto-legge 6
dicembre 2011, n. 201 [...] sono riservate all'Erario, per un periodo
di cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2014, per essere
interamente destinate alla copertura degli oneri per il servizio del
debito pubblico, al fine di garantire la riduzione del debito
pubblico stesso nella misura e nei tempi stabiliti dal Trattato sulla
stabilita', sul coordinamento e sulla governance nell'Unione
economica e monetaria, fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012, ratificato
ai sensi della legge 23 luglio 2012, n. 114" (primo periodo). Il
comma 508 prevede anche che, "con apposito decreto del Ministero
dell'economia e delle finanze, sentiti i Presidenti delle giunte
regionali interessati, da adottare entro sessanta giorni dalla data
di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le
modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata
contabilizzazione" (secondo periodo).
In questi termini, il comma 508, primo periodo, si riferisce a
tutte le maggiori entrate derivanti dal d.l. 138/2011 (come quelle
derivanti dall'art. 1, co. 6, dall'art. 2 - che ad esempio introduce
il contributo di solidarieta' e aumenta l'aliquota IVA al 21% - e
dall'art. 7) e dal d.l. 201/2011. Quanto a quest'ultimo decreto, esso
prevede maggiori entrate erariali, ad esempio, all'art. 10 (a seguito
dell'emersione della base imponibile), all'art. 15 (che aumenta le
aliquote di accisa sui carburanti), all'art. 16 (che aumenta la tassa
automobilistica per le auto di lusso e istituisce la tassa annuale di
stazionamento sulle imbarcazioni e l'imposta erariale sugli
aeromobili privati), all'art. 18 (che aumenta le aliquote Iva),
all'art. 19 (che aumenta l'imposta di bollo relativa a conti correnti
e strumenti finanziari, introduce un'imposta di bollo speciale
annuale sulle attivita' finanziarie che hanno beneficiato del c.d.
scudo fiscale e un'imposta straordinaria per le stesse attivita' se
gia' prelevate dal rapporto di deposito, istituisce un'imposta sul
valore degli immobili situati all'estero e istituisce un'imposta sul
valore delle attivita' finanziarie detenute all'estero dalle persone
fisiche residenti nel territorio dello Stato), all'art. 20 (in
materia di riallineamento delle partecipazioni) e all'art. 24 (il cui
comma 31 regola la tassazione delle indennita' di fine rapporto di
importo complessivamente eccedente euro 1.000.000 e dei compensi e
indennita' a qualsiasi titolo erogati agli amministratori delle
societa' di capitali, ed il cui comma 31-bis aumenta il contributo di
solidarieta' sulle c.d. pensioni d'oro).
Dunque, il comma 508 riserva interamente all'erario maggiori
entrate che spettano, invece, pro quota a questa Regione, ai sensi
dell'art. 49 St.
Si rammenta che codesta Corte, su ricorso della Regione
Friuli-Venezia Giulia, ha gia' giudicato in contrasto con le garanzie
statutarie della Regione la clausola di riserva all'erario contenuta
del d.l. 138/2011 e finalizzata alle "esigenze prioritarie di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea" in quanto siffatti obiettivi sono erano "privi della
specificita' richiesta dall'indicata norma di attuazione statutaria
in materia di finanza regionale" (sent. n. 241/2012, punto 6.1 in
diritto).
Risulta invece ancora pendente il giudizio promosso dalla Regione
Friuli-Venezia Giulia avverso la clausola di riserva contenuta
nell'art. 48 d.l. 201/2011 (ricorso n. 50/2012).
Con la norma in oggetto lo Stato riformula la clausola sulla base
della quale vengono avocate le maggiori entrate ai sensi del d.l.
138/2011 e del di. 201/2011.
In particolare, l'originaria finalizzazione alle "esigenze
prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
concordati in sede europea" viene sostituita con la destinazione
"alla copertura degli oneri per il servizio del debito pubblico, al
fine di garantire la riduzione del debito pubblico stesso nella
misura e nei tempi stabiliti dal Trattato sulla stabilita', sul
coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria,
fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012, ratificato ai sensi della legge 23
luglio 2012, n. 114".
Anche tale rinnovata formulazione, tuttavia risulta lesiva delle
previsioni di cui all'art. 49 St., che prevede quote fisse di
compartecipazione della Regione ai tributi erariali riscossi nel
territorio regionale.
Infatti, va ricordato che l'art. 4 d.lgs. 114/1965, dispone che
"il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o da altre
modificazioni in ordine ai tributi devoluti alla regione, se
destinato per legge, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione,
per finalita' diverse da quelle di cui al comma 2, lettera h), alla
copertura di nuove specifiche spese di carattere non continuativo,
che non rientrano nelle materie di competenza della regione, ivi
comprese quelle relative a calamita' naturali, e' riservato allo
Stato, purche' risulti temporalmente delimitato, nonche'
contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi
quantificabile".
Nel caso specifico, e' palese che non si tratta affatto della
destinazione "alla copertura di nuove specifiche spese di carattere
non continuativo".
Al contrario, la "copertura degli oneri per il servizio del
debito pubblico" e' palesemente una spesa non nuova, ed e' invece di
carattere continuativo, in piena violazione della disposizione ora
citata.
Inoltre, rimane anche l'assenza del carattere della
.specificita', palesemente assente nella generica destinazione della
legge alla "copertura degli oneri per il servizio del debito
pubblico", e nei vaghi rinvii a vincoli europei, ai quali continua a
mancare la cogenza giuridica richiesta dalla sentenza n. 241/2012. Si
tratta, in definitiva, proprio di quelle generiche finalita' di
finanza pubblica che la norma di attuazione espressamente esclude dal
meccanismo della riserva, ammessa "per finalita' diverse da quelle di
cui al comma 2, lettera b)" del citato art. 4.
Insomma, nel complesso risulta palese che la norma di attuazione
identificava, ai fini della riserva allo Stato, tutt'altro tipo di
spese, e che la nuova formulazione non e' altro che una diversa
versione della precedente, gia' annullata da codesta ecc.ma Corte.
In ogni caso, il comma 508, primo periodo, viola anche il
principio dell'accordo che, come risulta dalla giurisprudenza
costituzionale (v. le sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000,
133/2010), governa il regime dei rapporti finanziari fra Stato e
Regioni speciali.
Esso contrasta pure con l'art. 12 l. 24.12.2012, n. 243, operante
quale norma-parametro giusta il richiamo operato dall'art. 81, co. 6,
Cost., e, conseguentemente, con il medesimo art. 81, co. 6, Cost.
La previsione di cui all'art. 12. co. 2, l. 243/2012, infatti,
subordina la possibilita' di porre a carico delle autonomie regionali
contributi al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato solamente
"nelle fasi favorevoli del ciclo economico".
Tale disposizione si applica con decorrenza 1° gennaio 2016 (art.
21, co. 3) e si sovrappone dunque con il comma 508 impugnato. il
quale esaurira' i propri effetti nel 2018.
Il secondo periodo del comma 508 dispone che "con apposito
decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentiti i
Presidenti delle giunte regionali interessali, da adottare entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge,
sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito,
attraverso separata contabilizzazione". Si tratta dunque di una norma
volta a regolare l'attuazione del primo periodo: la quale, pertanto,
e' affetta in via derivata dai medesimi vizi sopra illustrati.
In subordine, essa e' poi censurabile specificamente ed
autonomamente sotto un ulteriore aspetto, cioe' per la mancata
previsione dell'intesa con la Regione in relazione al decreto che
stabilisce le modalita' di individuazione del maggior gettito.
Infatti, poiche' si tratta di intervenire in relazione a risorse che
spetterebbero alla Regione, in una materia dominata dal principio
consensuale, risulta specificamente illegittima, per violazione del
principio di leale collaborazione, la previsione di un decreto
ministeriale senza intesa con la Regione Friuli-Venezia.
6) Illegittimita' costituzionale dei commi 732 e 733.
Le previsioni di cui all'art. 1, commi 732 e 733, introducono un
meccanismo di definizione anticipata dei procedimenti giudiziari
pendenti in tema di canoni di concessioni demaniali marittime. La
Regione impugna tali disposizioni non al fine di ottenerne
l'annullamento, ma al contrario al fine di ottenere - ove ve ne fosse
bisogno -, l'estensione della loro applicazione ai corrispondenti
beni demaniali gestiti dalla stessa Regione.
Di seguito si illustrano i termini della questione.
Il comma 732 prevede che i procedimenti pendenti al 30 settembre
2013 "concernenti il pagamento in favore dello Stato dei canoni e
degli indennizzi per l'utilizzo dei beni demaniali marittimi e delle
relative pertinenze" possano essere integralmente definiti - "previa
domanda all'ente gestore e all'Agenzia del demanio da parte del
soggetto interessato ovvero del destinatario della richiesta di
pagamento" - mediante il versamento di una percentuale delle somme
ritenute dovute (30% o 60%, a seconda delle modalita' di pagamento).
Il successivo comma 733 indica le modalita' per le definizione
anticipata di cui al comma 732, prevedendo la presentazione di una
domanda da parte dell'interessato ed il successivo perfezionamento
attraverso il versamento dell'importo dovuto.
Cio' premesso, e rilevato che la lettera del comma 732 fa
riferimento al solo Stato e alla sola Agenzia del demanio, va
innanzitutto ricordato che nell'ambito del Friuli-Venezia Giulia lo
Stato ha delegato alla Regione le funzioni in materia di demanio
marittimo, ivi compresa l'attribuzione del canone per le relative
concessioni. Cio' in forza dell'art. 9, co. 2°, del d.lgs. 1-4-2004
n. 111 (recante "Norme di attuazione dello statuto speciale della
regione Friuli-Venezia Giulia concernenti il trasferimento di
funzioni in materia di viabilita' e trasporti"), ai sensi del quale
sono trasferite alla Regione le funzioni amministrative "relative
alle concessioni dei beni [...] del demanio marittimo". Il successivo
comma 5 precisa poi che "i proventi e le spese derivanti dalla
gestione del demanio marittimo [...] spettano alla Regione".
Inoltre, lo Stato ha direttamente trasferito alla Regione
determinati beni del demanio marittimo statale, che sono divenuti di
proprieta' pubblica regionale. Viene in rilievo il d.lgs. 25 maggio
2001, n. 265 (rubricato "Norme di attuazione dello Statuto speciale
della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del
demanio idrico e marittimo, nonche' di funzioni in materia di risorse
idriche e di difesa del suolo"), il cui art. 1, co. 2°, stabilisce
che "sono trasferiti alla regione tutti i beni dello Stato e relative
pertinenze, di cui all'articolo 30, comma 2, della legge 5 marzo
1963, n. 366, situati nella laguna di Marano-Grado". Il successivo
comma 3 prescrive che "la regione esercita tutte le attribuzioni
inerenti alla titolarita' dei beni trasferiti ai sensi dei commi 1 e
2".
In tale contesto, non e' chiaro se i citati commi 732 e 733
consentano la definizione dei contenziosi che riguardano beni
demaniali marittimi:
appartenenti al demanio statale, ma le cui funzioni di
gestione amministrativa sono state trasferite alla Regione
Friuli-Venezia Giulia (art. 9, co. 2° e co. 5°, d.lgs. 1.4.2004 n.
111 cit.);
direttamente trasferiti al demanio regionale, come la Laguna
di Marano-Grado (art.1, co. 2° e co. 3°, d.lgs. 25 maggio 2001, n.
265 cit.).
La Regione ritiene che i procedimenti contenziosi ora indicati
debbano ritenersi inclusi nelle previsioni dei commi 732 e 733, e che
questi debbano essere interpretati, per tali contenziosi, con i
necessari adattamenti.
Sotto il profilo sostanziale, e' infatti naturalmente ragionevole
che situazioni di identica natura (controversie sull'uso di beni del
demanio marittimo i quali - al di fuori del caso della Laguna di
Marano-Grado e degli altri beni assegnati direttamente alla Regione -
addirittura appartengono al medesimo titolare, cioe' allo Stato)
trovino analoga regolamentazione, senza che possa rilevare la
circostanza - insignificante ai fini che qui rilevano - che la
gestione di tali beni sia attribuita allo Stato medesimo ovvero alla
Regione Friuli-Venezia Giulia.
Sotto il profilo formale, si osserva come il richiamo contenuto
nel comma 732 al pagamento in favore "dello Stato" possa essere
ritenuto un modo ellittico per indicare, al di la' dello Stato in
senso stretto, ogni amministrazione che sia titolare o comunque
gestisca beni del demanio marittimo: ivi compresa la ricorrente
Regione.
Tale interpretazione estensiva trova ulteriore spunto nel comma
733, che si riferisce agli effetti della definizione agevolata sui
procedimenti amministrativi avviati - con nozione omnicomprensiva -
"dalle amministrazioni competenti": fra le quali ben puo' rientrare
anche questa Amministrazione regionale posto che essa (secondo le
regole dinanzi citata) si trova a gestire direttamente (Laguna di
Marano-Grado) o per conto dello Stato (art. 9, co. 2° e co. 5°,
d.lgs. 1-4-2004 n. 111 cit.) beni del demanio marittimo.
Ove si dovesse al contrario ritenere che il meccanismo di
definizione introdotto dai commi 732 e 733 non riguardi i beni del
demanio marittimo in proprieta'/gestione della ricorrente Regione,
esso risulterebbe incostituzionale per violazione del principio di
uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., in quanto - come sopra esposto -
determinerebbe un'irragionevole differenziazione di situazioni
analoghe, precludendo la definizione agevolata di contenziosi
relativi a beni del demanio marittimo per la sola ragione che tali
beni siano in proprieta' ovvero in gestione alla Regione
Friuli-Venezia Giulia.
Al contempo, tale lesione del principio di uguaglianza - nella
misura in cui priva la Regione della possibilita' di beneficiare
degli introiti certi assicurati dal meccanismo di definizione
agevolata in questione - si riverbera, compromettendola, anche
sull'autonomia finanziaria regionale di cui agli art. 48 ss. dello
Stato speciale oltre a ledere le stesse citate norme di attuazione
statutaria che hanno attribuito alla Regione Friuli-Venezia Giulia la
proprieta' ovvero la gestione dei beni del demanio marittimo (art. 9,
co. 2° e co. 5°, d.lgs. 1.4.2004 n. 111; art.1, co. 2° e co. 3°,
d.lgs. 25 maggio 2001, n. 265). La regione e' dunque legittimata a
far valere la violazione dell'art. 3, nonostante che tale parametro
non riguardi direttamente il riparto di competenza. E' anche da
aggiungere che - trattandosi di procedure che incidono sulla funzione
giurisdizionale - la Regione non potrebbe provvedere autonomamente a
dettare norme corrispondenti a quelle previste dallo Stato.
In ragione del noto canone ermeneutico dell'interpretazione
conforme, la ricorrente Regione confida in una pronuncia che attesti
la corretta interpretazione dei commi 732 e 733, come riferentesi -
con i necessari adattamenti - anche alla definizione dei contenziosi
che riguardano beni demaniali marittimi in proprieta'/gestione della
Regione Friuli-Venezia Giulia.
Per il caso opposto essa chiede che venga dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dei commi 732 e 733, in quanto non
includono nella possibilita' di definizione agevolata le concessioni
demaniali marittime di competenza della Regione Friuli-Venezia
Giulia.
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 711, 712, 715,
723, 725, 727 e 729.
Vengono qui in considerazione i commi 711, 712, 723, 725, 727 e
729 i quali, con riferimento alla riserva allo Stato di quote di
tributi locali, e in particolare alla riserva prevista dall'art. 1,
co. 380, lett. f), l. 228/2012, ribadita dal comma 521, confermano il
meccanismo dell'accantonamento sulle quote spettanti alla Regione di
compartecipazione ai tributi erariali di cui al gia' impugnato art.
13, co. 17, d.l. 201/2011, gia' tenuto fermo dall'art. 1, co. 380,
lett. h), l. 228/2012.
Sia l'art. 13, co. 17, d.l. 201/2011 che l'art. 1, co. 380, lett.
f) l. 228/2012 sono stati impugnati da questa Regione con i ricorsi
n. 50 del 2012 e n. 32 del 2013, tuttora pendenti. Facendo
riferimento agli stessi meccanismi, i commi sopra citati sono dunque
affetti dagli stessi vizi denunciati con tali ricorsi, come meglio
ora si illustrera' per esigenze di chiarezza e completezza
dell'impugnazione.
Il comma 711 stabilisce che, "per i comuni delle regioni a
statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle
province autonome di Trento e di Bolzano a cui la legge attribuisce
competenza in materia di finanza locale, la compensazione del minor
gettito dell'imposta municipale propria, derivante dai commi 707,
lettera e), e 708, avviene attraverso un minor accantonamento per
l'importo di 5,8 milioni di euro a valere sulle quote di
compartecipazione ai tributi erariali, ai sensi del comma 17 del
citato articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011".
Il comma 712 dispone che, "a decorrere dall'anno 2014, per i
comuni ricadenti nei territori delle regioni Friuli-Venezia Giulia e
Valle d'Aosta, nonche' delle province autonome di Trento e di
Bolzano, ai fini di cui al comma 17 dell'articolo 13 del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ... non si tiene conto del
minor gettito da imposta municipale propria derivante dalle
disposizioni recate dal comma 707".
Il comma 715 sostituisce il comma 1 dell'art. 14 d.l. 23/2011 con
il seguente: "L'imposta municipale propria relativa agli immobili
strumentali e' deducibile ai lini della determinazione del reddito di
impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni
nella misura del 20 per cento. La medesima imposta e' indeducibile ai
fini dell'imposta regionale sulle attivita' produttive".
Il comma 723 statuisce che "per le somme concernenti gli anni di
imposta 2013 e seguenti, gli enti locali interessati comunicano al
Ministero dell'economia e delle finanze e al Ministero dell'interno
gli esiti della procedura del riversamento di cui al comma 722 al
fine delle successive regolazioni, ... per i comuni delle regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di
Trento e di Bolzano, in sede di attuazione del comma 17 dell'articolo
13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.201".
Il comma 725 dispone che, "a decorrere dall'anno di imposta 2012,
nel caso in cui sia stata versata allo Stato, a titolo di imposta
municipale propria, una somma spettante al comune, questo, anche su
comunicazione del contribuente, da' notizia dell'esito
dell'istruttoria al Ministero dell'economia e delle finanze e al
Ministero dell'interno il quale effettua le conseguenti regolazioni a
valere sullo stanziamento di apposito capitolo anche di nuova
istituzione del proprio stato di previsione". Relativamente "agli
anni di imposta 2013 e successivi, le predette regolazioni sono
effettuate per i comuni delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle
d'Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano, in sede di
attuazione del comma 17 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201".
Il comma 727 detta una norma simile per il caso opposto, cioe'
per il "caso in cui sia stata versata al comune, a titolo di imposta
municipale propria, una somma spettante allo Stato".
Il comma 729 apporta diverse modifiche all'art. 1, co. 380, l.
228/2012 e, tra l'altro, sostituisce la lett. h), nella quale si
ribadisce che "il comma 17 dell'articolo 13 del decreto-legge n. 201
del 2011 continua ad applicarsi nei soli territori delle regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di
Trento e di Bolzano".
I commi 711, 712, 715, 723, 725, 727 e 729 confermano il
meccanismo dell'accantonamento di cui al gia' impugnato art. 13, co.
17, d.l. 201/2011, gia' tenuto fermo dall'art. 1, co. 380, lett. h),
l. 228/2012. Poiche' tali norme di legge sono state a suo tempo
impugnate da questa Regione, si devono qui riproporre e rinnovare le
censure gia' formulate - da ultimo - con il ricorso 32/2013:
"A) Premessa. La disciplina dell'Imu e la sottrazione delle risorse
al sistema locale. Illegittimita' costituzionale delle lett. b), f),
h) e i).
Il comma 380 detta diverse norme "al fine di assicurare la
spettanza ai Comuni del gettito dell'imposta municipale propria, di
cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, [...]
per gli anni 2013 e 2014". Si tratta, in altre parole, della
disciplina e soprattutto della destinazione dell'IMU.
Converra' ricordare che l'art. 13 d.l. 201/2011 ha regolato
l'Anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria,
stabilendo (comma 1) che l'istituzione di tale imposta "e'
anticipata, in via sperimentale, a decorrere dall'anno 2012, ed e'
applicata in tutti i comuni del territorio nazionale fino al 2014 in
base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.
23, in quanto compatibili, ed alle disposizioni che seguono'', e che
conseguentemente, "l'applicazione a regime dell'imposta municipale
propria e' fissata al 20151
Il riferimento a "tutti i comuni del territorio nazionale" ha
indotto a ritenere che l'art. 13 intenda applicarsi anche nella
regione Friuli-Venezia Giulia, ed in relazione alla relativa
disciplina questa Regione ha introdotto il ricorso n. 50/2012 tuttora
pendente
Quanto al contenuto della disciplina, l'art. 8, co. 1, d.lgs.
23/2011, richiamato dall'art. 13, comma 1, del d.l. 201/11 ora
citato, stabilisce che l'imposta municipale propria istituita dallo
stesso articolo "sostituisce, per la componente immobiliare,
l'imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali
dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati,
e l'imposta comunale sugli immobili".
Dunque, l'Imu sostituisce - oltre all'ICI, gia' destinata ai
Comuni - imposte destinate alla Regione: o per sei decimi, come
l'Irpef relativa ai redditi fondiari degli immobili non locati (art.
49 Statuto) o interamente, come le addizionali regionale e comunale
relative ai redditi fondiari degli immobili non locali e l'Ici: va
infatti ricordato che, in base all'art. 51, co. 2, St., "il gettito
relativo a tributi propri e a compartecipazioni e addizionali su
tributi erariali che le leggi dello Stato attribuiscano agli enti
locali spetta alla Regione con riferimento agli enti locali del
proprio territorio, ferma restando la neutralita' finanziaria per il
bilancio dello Stato". Del resto, la Regione e' competente in materia
di finanza locale, ai sensi degli artt. 4, n. 1-bis, 51 e 54 St. e 9
d.lgs. 9/1997.
Ora, se lo Stato si fosse limitalo a rinunciare, in favore della
finanza comunale, a determinati tributi, non vi sarebbe nulla da
eccepire. Ma se, come avviene nel vigente disegno normativo dell
'IMU, il reddito dell'imposta "municipale" viene assegnato allo
Stato, ne risulta una violazione dello Statuto, che determina un
complessivo impoverimento del sistema locale: dietro la
"municipalizzazione", infatti, vi e' sempre l'imposta erariale,
soltanto che il suo gettito viene sottratto alla Regione, con
evidente sostanziale violazione degli artt. 49 e 51 dello Statuto.
Cio' e' avvenuto con le disposizioni dell'art. 13 d.l. 201/2011
(che percio', come detto, e' stato impugnato da questa Regione) e
accade ora con le disposizioni dell'art. 1, comma 380, del quale
tocca ora esaminare il contenuto specifico.
La lett. f) riserva "allo Stato il gettito dell'imposta
municipale propria di cui all'articolo 13 del citato decreto-legge n.
201 del 2011, derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati
nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per
cento".
La lett. h) abroga l'art. 13, comma 11, d.l. 201/2011 e l'art. 2,
commi 3 e 7, d l. 23/2011; inoltre, precisa che "per gli anni 2013 e
2014 non operano i commi 1, 2, 4, 5, 8 e 9 del medesimo articolo 2" e
che "il comma 17 dell'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011
continua ad applicarsi nei soli territori delle regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle Province autonome di
Trento e Bolzano".
Cosi' descritti i contenuti dell'art. 1, comma 380, occorre ora
esaminare in quali parti essi incidano sull'autonomia finanziaria.
Riguarda invece sicuramente la Regione Friuli-Venezia Giulia ed i
suoi comuni la disposizione di cui alla lett. f), che riserva "allo
Stato il gettito dell'imposta municipale propria di cui all'articolo
13 del citato decreto-legge n. 201 del 2011, derivante dagli immobili
ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad
aliquota standard dello 0,76 per cento". Ad avviso della Regione,
tale riserva e' illegittima per le ragioni che di seguito si
esporranno. Poiche' gli importi di cui (tra l'altro) alla lett. f)
possono essere modificati ai sensi della lett. i), anche questa e'
impugnata.
Inoltre, secondo la lett. h) "il comma 17 dell'articolo 13 del
decreto-legge n. 201 del 2011 continua ad applicarsi nei soli
territori delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle
Province autonome di Trento e Bolzano".
Si tratta della disposizione secondo la quale lo Stato si
appropria di tutto il maggior gettito, cioe' ogni importo eccedente
le entrate che affluivano ai comuni della regione Friuli-Venezia
Giulia in base alle norme previgenti: e lo fa acquisendo tali fondi
dalla Regione. Infatti, il comma 17, terzo periodo, dispone - in
relazione alle autonomie speciali competenti in materia di .finanza
locale - che "con le procedure previste dall'articolo 27 della legge
5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle
d'Aosta, nonche' le Province autonome di Trento e di Bolzano,
assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior
gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio territorio". Ed il
quarto periodo precisa che, "fino all'emanazione delle norme di
attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere sulle quote di
compartecipazione ai tributi erariali, e' accantonato un importo pari
al maggior gettito stimato di cui al precedente periodo". Il quinto
periodo, infine, prevede che "l'importo complessivo della riduzione
del recupero di cui al presente comma e' pari per l'anno 2012 a 1.627
milioni di euro, per l'anno 2013 a 1.762,4 milioni di euro e per
l'anno 2014 a 2.162 milioni di euro". E sembra da ritenere che - al
di la' dell'oscuro riferimento alla "riduzione del recupero" - i
numeri indicati rappresentino la quantificazione del "recupero" a
carico delle autonomie speciali.
Tale disposizione e' gia' stata contestata con il ricorso n.
50/2012, e per le corrispondenti ragioni deve essere impugnata anche
con il presente ricorso.
In sintesi, del comma 380 sono qui impugnati: la lett. h) in via
cautelativa; la lett. f) e - in quanto collegata ad essa - la lett.
i); la lett. h), in quanto confermativa del regime del comma 17
dell'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011.
Tutte le norme impugnate determinano una attribuzione allo Stato
- o in via diretta attraverso la riserva di cui alla lettera f),
[...] - di risorse devolute al sistema finanziario locale. [...]
Infine, come visto, la lett. h) tiene ferma l'applicazione
dell'art. 13, co. 17, d.l. 201/2011 in questa regione.
In relazione alla Regione Friuli-Venezia Giulia, dunque, la nuova
disciplina conserva le caratteristiche e il contenuto sostanziale
della precedente, gia' impugnata. Lo Stato ha provveduto a
ristrutturare le imposte "immobiliari" e a rideterminare le basi
imponibili, ma - nel periodo 2013-2014 - i maggiori incassi derivanti
da questa operazione sono interamente destinati allo Stato, il quale
in parte li riceve direttamente dai contribuenti in base alla riserva
di cui al comma 380, lett. f), in parte li riceve dalla Regione con i
meccanismi di "recupero" o "accantonamento" di cui all'art. 13, comma
17, d.l. 201/2011, e in parte dai comuni (per il Fondo di
solidarieta' di cui alla lett. b), ove questa risultasse
applicabile).
Come gia' accennato, l'Imu sostituisce - oltre all'ICI, gia'
destinata ai Comuni - imposte destinate alla Regione in base allo
Statuto: o per sei decimi, come l'Irpef relativa ai redditi fondiari
degli immobili non locali (art. 49 Statuto) o interamente, come le
addizionali regionale e comunale relative ai redditi fondiari degli
immobili non locali e l'Ici (dopo la modifica dell'art. 51 St.
operata dalla l. 220/2010): va infatti ricordato che, in base
all'art. 51, co. 2, St., "il gettito relativo a tributi propri e a
compartecipazioni e addizionali su tributi erariali che le leggi
dello Stato attribuiscano agli enti locali spetta alla Regione con
riferimento agli enti locali del proprio territorio, ferma restando
la neutralita' finanziaria per il bilancio dello Stato". Del resto,
la Regione e' competente in materia di finanza locale, ai sensi degli
artt. 4, n. 1-bis, 51 e 54 St. ("Allo scopo di adeguare le finanze
delle Province e dei Comuni al raggiungimento delle finalita' ed
all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, il Consiglio
regionale puo' assegnare ad essi annualmente una quota delle entrate
della Regione ") e 9 d.lgs. 9/1997 ("Spetta alla regione disciplinare
la finanza locale, l'ordinamento finanziario e contabile,
l'amministrazione del patrimonio e i contratti degli enti locali. La
regione finanzia gli enti locali con oneri a carico del proprio
bilancio, salvo il disposto di cui al comma 3").
In questi termini, attraverso una nominalistica comunalizzazione
dei tributi immobiliari si realizza il transito delle corrispondenti
risorse dal bilancio regionale al bilancio statale, per effetto delle
norme di cui alle lett. b), f) e h). La Regione, che prima
"integrava" la finanza locale avvalendosi delle predette risorse, ora
ne e' priva ma dovra' comunque far fronte alle necessita' finanziarie
dei comuni, in base alle norme appena citate, e dovrebbe
contestualmente versare allo Stato proprie risorse in misura
corrispondente alle maggiori entrate dei Comuni, o comunque in misura
corrispondente a quella a priori determinata dall'art. 13, co. 17,
d.l. 201/2011.
Anche volendo prescindere dalla destinazione alla Regione anche
dei tributi comunali propri (dopo la modifica dell'art. 51 St.
operata dalla l. 220/2010), in un sistema nel quale la Regione ha la
responsabilita' complessiva della finanza locale, la sottrazione ai
comuni delle risorse derivanti dalle imposte ad essi destinate
costituisce contemporaneamente una lesione dell'autonomia finanziaria
regionale: in questi termini, la devoluzione di parte dell'Imu allo
Stato viola lo Statuto (artt. 4, n. 1-bis, 51 e 54) e l'art. 9 d.lgs.
9/1997 anche in relazione alle risorse sostitutive delinei, cioe'
dell'imposta che affluiva ai comuni.
Dunque, le lett. b), f) e h) (e la collegata lett. i) violano gli
artt. 4, n. 1-bis, 49, 51, co. 2, 54 St. e l'art. 9 d.lgs. 9/1997 in
quanto attribuiscono allo Stato risorse che spettano alla Regione
(per sei decimi, come l'Irpef relativa ai redditi fondiari degli
immobili non locali - art. 49 St. - o interamente, come le
addizionali provinciale e comunale relative ai redditi fondiari: art.
51, co. 2, St.) o che rappresentano una componente essenziale della
finanza comunale, con ripercussioni sulla responsabilita' regionale
in materia (art. 54 St. e art. 9 d.lgs. 9/1997).
Inoltre, la lett. f) e la lett. h) violano anche l'art. 4 dPR
114/1965 e l'art. 6, co. 2, d.lgs. 8/1997, perche' riservano allo
Stato parte del gettito Imu in assenza dei presupposti previsti dalle
succitate norme di attuazione (su cio' v. amplius infra, punto B).
Ancora, le norme impugnate violano il principio di "neutralita'
finanziaria" (riconosciuto dallo stesso legislatore statale all'art.
1, co. 159, l. 220/2010, cui deve attribuirsi valore interpretativo
dello Statuto: "Qualora con i decreti legislativi di attuazione della
legge 5 maggio 2009, n. 42, siano istituite sul territorio nazionale
nuove forme di imposizione, in sostituzione totale o parziale di
tributi vigenti, con le procedure previste dall'articolo 27 della
medesima legge n. 42 del 2009, e' rivisto l'ordinamento finanziario
della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia al fine di assicurare la
neutralita' finanziaria dei predetti decreti nei confronti dei vari
livelli di governo"), in quanto esse regolano un nuovo tributo,
sostituendolo a tributi preesistenti, con il risultato di spostare
risorse dal sistema regionale allo Stato.
La lett. b) e la lett. h) violano poi il principio di parita' di
trattamento tra Regioni e tra comuni delle diverse regioni (art. 3
Cost.), perche' solo i comuni del Friuli-Venezia Giulia (e di altre
due regioni speciali) non beneficiano del Fondo di solidarieta'
(lett. b) e solo il maggior gettito ad essi destinato viene avocato
allo Stato (lett. h): la Regione e' legittimata ad invocare tale
parametro dato che la discriminazione colpisce essa ed i comuni della
cui finanza e' responsabile.
Infine, tutte le norme impugnate violano il principio
dell'accordo che regola i rapporti fra Stato e Regioni speciali in
materia finanziaria (Corte costituzionale, sentenze nn. 133/2010,
74/2009, 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000). In effetti, e'
chiaramente illegittimo che lo Stato, con una fonte avente valore di
legge ordinaria unilateralmente adottata, alteri in modo cosi'
rilevante l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e Regione,
laddove il principio consensuale e' da tempo riconosciuto in questa
materia.
B) Specifica illegittimita' costituzionale del comma 380, lett. f) e
lett. i).
Come sopra esposto, il comma 380, lett. f) riserva "allo Stato il
gettito dell'imposta municipale propria..., derivante dagli immobili
ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad
aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma 6, primo
periodo, del citato articolo 13". In base al comma 380, lett. g), "i
comuni possono aumentare sino a 0,3 punti percentuali l'aliquota
standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma 6, primo periodo
del citato articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 per gli
immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D".
Dunque, l'Imu derivante dagli immobili produttivi e' versata
direttamente allo Stato, che regola anche la possibilita' dei comuni
di aumentare l'aliquota. L'art. 49 dello Statuto speciale dispone che
"spettano alla Regione le seguenti quote fisse delle sottoindicate
entrate tributarie erariali riscosse nel territorio della Regione
stessa: 1) sei decimi del gettito dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche". L'art. 51, co. 2, come gia' visto, stabilisce che
"il gettito relativo a tributi propri e a compartecipazioni e
addizionali su tributi erariali che le leggi dello Stato
attribuiscano agli enti locali spetta alla Regione con riferimento
agli enti locali del proprio territorio".
Dunque, alla Regione spettano i 6/10 dell'Irpef e le addizionali
Irpef (regionale e comunali). L'art. 13 d.l. 201/2011 sostituisce
l'Imu a tali imposte (per la quota fondiaria) ma l'operazione si
rivela elusiva, fittizia, perche' il comma 380, lett. f) in parte
riporta le somme in questione allo Stato. Non basta, pero', un
semplice cambio di "etichetta" del tributo per eludere il sistema
statutario. La lett. f) viola gli artt. 49, n. 1, e 51, co. 2,
perche' avoca allo Stato risorse riscosse a titolo di tributo
erariale e che sostanzialmente corrispondono a tributi spettanti alla
Regione (pro quota o interamente).
Qualora, invece, si volesse valorizzare lo status di tributo
locale dell'Imu, allora la lett. f) violerebbe l'art. 51, co. 2, la'
dove dispone che "il gettito relativo a tributi propri ... che le
leggi dello Stato attribuiscano agli enti locali spetta alla Regione
con riferimento agli enti locali del proprio territorio". L'Imu e' un
tributo attribuito agli enti locali ma la lett. f) riserva parte del
gettito allo Stato, in contrasto con l'art. 51, co. 2, St.
Ne' varrebbe replicare che, in base all'art. 4, co. 1, d.P.R.
114/1965, a certe condizioni e' ammessa la riserva all'erario del
"gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o da altre
modificazioni in ordine ai tributi devoluti alla regione".
Tali condizioni, infatti, non ricorrono nella norma di cui alla
lett. f).
Infatti, i requisiti sono: a) la destinazione per legge "alla
copertura di nuove specifiche spese di carattere non continuativo,
che non rientrano nelle materie di competenza della regione, ivi
comprese quelle relative a calamita' naturali"»; b) la delimitazione
temporale del gettito; c) la contabilizzazione distinta nel bilancio
statale e la quantificabilita'.
Ora, ad avviso della Regione ricorrente risulta evidente che e'
assente il primo requisito sopra indicato, in quanto la lett. f) non
destina le maggiori entrate a "nuove specifiche spese": nel caso in
questione, infatti, ne' si tratta di "spese", ne' le situazioni alle
quali si vuole far fronte sono "nuove" ne' "specifiche" (v. sul punto
la sent. 182/2010). Non puo' essere dubbio che i requisiti posti
dall'art. 4, co. 1, d.P.R. 114/1965, sono requisiti essenziali, il
cui rispetto non puo' essere legittimamente pretermesso.
Escluso che la lett. f) possa trovare fondamento nell'art. 4 dPR
114/1965, e' anche da escludere che esso possa ricondursi all'art. 6,
co. 2, d.lgs. 8/1997, in base al quale, "nelle more del completamento
del processo di trasferimento e di delega di funzioni dallo Stato
alla regione, qualora la quota delle spese relative all'esercizio
delle funzioni delegate eventualmente a carico della regione ai sensi
dell'articolo 4, comma 2, lettera b) [dPR 114/1965], fosse
insufficiente al raggiungimento degli obiettivi di risanamento della
finanza pubblica, una quota del previsto incremento del gettito
tributario spettante alla regione - ad esclusione in ogni caso degli
incrementi derivanti dall'evoluzione tendenziale ed al netto delle
eventuali previsioni di riduzioni di gettito - derivante dalle
manovre correttive di finanza pubblica previste dalla legge
finanziaria e dai relativi provvedimenti collegati, nonche' dagli
altri provvedimenti legislativi aventi le medesime finalita', non
considerati ai fini della determinazione dell'accordo relativo
all'esercizio finanziario precedente, puo' essere destinata al
raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica
previsti dai predetti provvedimenti, tenuto conto altresi' delle
spese a carico della regione per funzioni trasferite in data
successiva al 1° gennaio 1997".
Ad avviso della ricorrente Regione questa norma non e'
applicabile alla disciplina qui contestata, in quanto essa non ha
portata generale ma opera in relazione allo specifico accordo
annuale, tra Governo e Regione, che determinava "l'eventuale quota
che rimane a carico del bilancio della regione - per l'esercizio
oggetto dell'accordo - delle spese derivanti dall'esercizio delle
funzioni statali delegate alla medesima, in relazione alle manovre
correttive di finanza pubblica previste dalla legge finanziaria e dai
relativi provvedimenti collegati, nonche' dagli altri provvedimenti
legislativi aventi le medesime finalita', da determinarsi nei limiti
del previsto incremento del gettito tributario derivante dalle
manovre medesime, ad esclusione in ogni caso degli incrementi
derivanti dall'evoluzione tendenziale ed al netto delle eventuali
previsioni di riduzione del gettito" (art. 4, co. 2, lett. b) dPR
114/1965).
In ogni modo, anche qualora la disposizione di cui all'art. 6,
co. 2, d.lgs. 8/1997 fosse ritenuta applicabile, la lett. f) non vi
corrisponderebbe per l'unilateralita' della riserva (essendo chiaro
che l'art. 6, co. 2, presuppone l'accordo: v. anche l'art. 6, co. 3).
Dunque, nella denegata ipotesi dell'applicabilita' dell'art. 6,
co. 2, d.lgs. 8/1997, lo Stato avrebbe pur sempre dovuto cercare
l'accordo con la Regione, non potendo unilateralmente alterare le
regole statutarie. La lett. f), dunque, violerebbe pur sempre il
principio di leale collaborazione e, in particolare, il principio
consensuale che domina le relazioni finanziarie fra lo Stato e le
Regioni speciali (v. le sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000,
74/2009 e 133/2010).
In effetti, e' chiaramente illegittimo che lo Stato, con una
fonte primaria unilateralmente adottata, alteri in modo cosi'
rilevante l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e Regione,
laddove il principio consensuale e' da tempo riconosciuto in questa
materia. Inoltre, ed in subordine alla totale illegittimita' della
riserva allo Stato, la lett. f) sarebbe comunque illegittima nella
parte in cui individua la quota statale con riferimento ad una
particolare categoria di immobili, cioe' agli immobili "produttivi"
(gruppo catastale D), determinando forti sperequazioni tra comuni a
seconda della tipologia di immobili in essi presente, ne' vi e'
alcuna plausibile ragione per una simile differenziazione. Cio'
rappresenta violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.)
e produce gravi effetti negativi sui bilanci di taluni comuni, specie
di medio-piccole dimensioni, in contrasto con il principio di buon
andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.); a tali effetti non
rimedia il Fondo di solidarieta', dai quali i comuni del
Friuli-Venezia Giulia sono esclusi, con ovvia necessita' di
intervento perequativo della Regione. La Regione e' legittimata a far
valere tali parametri perche' la norma rientra in materia regionale
(finanza locale).
C) Specifica illegittimita' costituzionale del comma 380, lett. h).
Come visto, il comma 380, lett. h) stabilisce che "il comma 17
dell'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 continua ad
applicarsi nei soli territori delle regioni Friuli-Venezia Giulia e
Valle d'Aosta e delle Province autonome di Trento e Bolzano". L'art.
13, co. 17, terzo periodo prevede che "con le procedure previste
dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome
di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale
del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio
territorio". Il quarto periodo aggiunge che, fino all'emanazione
delle norme di attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere
sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, e' accantonato
un importo pari al maggior gettito stimato di cui al precedente
periodo". In base al quinto periodo, "l'importo complessivo della
riduzione del recupero di cui al presente comma e' pari per l'anno
2012 a 1.627 milioni di euro, per l'anno 2013 a 1.762,4 milioni di
euro e per l'anno 2014 a 2.162 milioni di euro".
Come detto, tali norme sono state impugnate con il ricorso
50/2012.
Dunque, lo Stato non solo trattiene direttamente una parte
dell'Imu come entrata erariale (in base alla lett. f), ma vorrebbe
incamerare dalla Regione anche tutto l'importo eccedente le entrate
che affluivano ai comuni in base alle norme previgenti. Si noti che -
come gia' rilevato con il ricorso 50/2012 - il comma 17 e' formulato
in modo tale da poter essere inteso nel senso che l'importo Imu 2012
non debba essere confrontato con l'importo 2011 dei tributi
sostituiti ma solo con l'importo dei tributi sostituiti percepiti dai
Comuni (cioe', 2011). Se cosi' fosse, il taglio delle risorse
assumerebbe un carattere del tutto particolare rispetto alla Regione
Friuli-Venezia Giulia. Infatti, delle tre componenti sostituite
dall'Imu (cioe' l'Irpef fondiaria, le addizionali regionale e
comunali e l'ICI), era precedentemente riscossa direttamente dai
comuni (anche se destinata alla Regione, dopo le modifiche apportate
all'art. 51 St. dalla l. 220/2010), mentre sia le risorse derivanti
dall'Irpef fondiaria che quelle derivanti dalle addizionali
spettavano alla Regione. Ne risulta che - concentrata la fiscalita'
nell'Imu - il "maggior gettito stimato dei comuni" della Regione
sara' particolarmente elevato, comprendendo anche il gettito dei
tributi che prima costituivano entrate della Regione.
Se cosi' fosse, la Regione e i suoi enti locali risulterebbero
depauperati:
- dei sei decimi dell'Irpef sui redditi immobiliari,
soppressi;
- delle addizionali regionale e comunale precedentemente
previste (la seconda era destinata alla Regione in luogo dei comuni).
Inoltre, il comma 17 potrebbe essere interpretato anche nel senso
che dal gettito precedente sia esclusa la somma che perveniva ai
comuni (tramite la Regione) ai sensi dell'art. 1, co. 4, d.l.
98/2008, che aveva previsto un fondo sostituivo delle entrate
comunali relative all'ICI sull'abitazione principale (norma ora
abrogata dall'art. 13, comma 14, lett. a), del d.l. n. 201 del 2011).
Se cosi' fosse, ne risulterebbe un ulteriore rilevante depauperamento
del sistema regionale. Gia' questa incertezza delle disposizioni e'
irragionevole (art. 3 Cost.) e rappresenta una lesione dell'autonomia
finanziaria della Regione e dei comuni, perche' si riflette in
incertezza sulle risorse disponibili e in impossibilita' di
un'adeguata programmazione nelle diverse materie.
Il terzo e quarto periodo del comma 17 violano l'art. 49 St. e
gli artt. 4 dPR 114/1965 e 6, co. 2, d.lgs. 8/1997, perche'
pretendono di avocare allo Stato risorse di spettanza regionale, al
di fuori dei casi previsti.
Cio' e' vero sia nel caso in cui si ritenga che il comma 17
produca l'effetto di avocare allo Stato le risorse che prima
spettavano alla Regione a titolo di compartecipazione all'Irpef
fondiaria (art. 49 St.) e di addizionali regionale e comunale (art.
51, co. 2, St.), sia nel caso in cui si ritenga che la Regione
dovrebbe assicurare il recupero allo Stato del maggior gettito con le
proprie risorse ordinarie, per cui il comma 17 produce l'effetto di
''far tornare" nelle casse statali risorse spettanti alla Regione e
ad essa affluite in attuazione delle regole finanziarie poste dallo
Statuto e dalle norme di attuazione (co. 17, terzo periodo).
Ancora, il terzo e quarto periodo del comma 17 violano gli artt.
63 e 65 St., proprio perche' pretendono di derogare agli artt. 49 e
51 St. e al dPR 114/1965 con una fonte primaria "ordinaria".
L'art. 65 St. e' violato anche perche' il comma 17, terzo
periodo, pretende di vincolare unilateralmente il contenuto delle
norme di attuazione.
* Inoltre, il comma 17, terzo e quarto periodo, viola l'autonomia
finanziaria regionale (assicurata dagli articoli 48 e 49 Statuto, e
dall'art. 119, commi 1, 2, e 4, Cost.) in quanto produce l'effetto di
infliggere un nuovo, rilevante "taglio" di risorse al sistema
regionale.
Le norme in questione producono l'effetto di "espropriare" la
Regione e gli enti locali delle risorse corrispondenti ai 6/10
dell'Irpef fondiaria, alle addizionali regionale e comunali e a
quelle che l'art. 1 d.l. 93/2008 (ora abrogato) attribuiva ai comuni
(tramite la Regione) per compensare l'esenzione Ici sulla prima casa.
Si tratta di una quota rilevante di risorse, la cui eliminazione si
aggiunge ai tagli gia' operati con l'art. 14 d.l. 78/2010, l'art. 20,
co. 5, d.l. 98/2011, l'art. 1, co. 8, d.l. 138/2011 e l'art. 1, comma
156, primo periodo, della legge 220/2010.
Le risorse "avocate" dalle norme qui impugnate (soprattutto
quelle compensative dell'Ici sulla prima casa) erano dirette al
finanziamento delle "funzioni normali" dei comuni, per cui la loro
sottrazione produce gravi squilibri e incide sulla finanza regionale
(v. l'art. 54 St. e l'art. 9 d.lgs. 9/1997). Lo Stato non puo'
revocare quote cosi' rilevanti di risorse senza alcuna compensazione.
Il gia' citato principio di "neutralita' finanziaria" (art. 1, co.
159, l. 220/2010) e' stravolto dalle norme qui impugnate, che
regolano un nuovo tributo, sostituendolo a tributi preesistenti, con
il risultato di spostare risorse dal sistema regionale allo Stato.
E' anche violato il principio consensuale che domina i rapporti
finanziari tra Stato e Regioni speciali (v. le sentt. 82/2007,
353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010), perche' lo Stato ha proceduto
a sovvertire l'assetto della finanza regionale e comunale del tutto
unilateralmente, anzi violando le norme (come il succitato principio
di neutralita' finanziaria) concordate con la Regione (l'art. l, co.
159, l. 220/2010 recepisce l'art. 11 del Protocollo di intesa
Tondo-Tremonti).
Infine, e' da sottolineare che le norme impugnate colpiscono
essenzialmente le Regioni speciali, sia perche' solo esse dispongono
delle compartecipazioni e delle addizionali locali, sia perche' i
comuni delle regioni ordinarie non perdono la "compensazione"
dell'Ici sulla prima casa (che e' confluita nel fondo sperimentale di
riequilibrio). Di qui la violazione dell'art. 3 Cost., con ovvie
ripercussioni sull'autonomia finanziaria della Regione e degli enti
locali situati nel suo territorio.
Una menzione separata e specifica richiede l'illegittimita' del
quarto periodo del comma 17 che prevede lo "accantonamento" delle
quote di compartecipazione previste dall'art. 49 Statuto.
Va rilevato, infatti, che tale "accantonamento" contrasta
anch'esso frontalmente con l'art. 49 dello Statuto e con l'intero
sistema finanziario della Regione da esso istituito. E' evidente,
infatti, che le risorse che lo Statuto prevede come entrate regionali
sono cosi' stabilite perche' esse vengano utilizzate dalla Regione
per lo svolgimento delle sue funzioni costituzionali, e non perche'
esse vengano "accantonate". L'istituto dell'accantonamento non ha nel
sistema statutario cittadinanza alcuna.
Inoltre, l'illegittimita' del trasferimento previsto determina
anche l'illegittimita' dell'accantonamento disposto nella prospettiva
del trasferimento.
Specifica illegittimita' colpisce poi il quinto periodo del comma
17, che stabilisce in un ammontare fisso e determinato l'importo del
"recupero", stimandolo a priori con criteri del tutto oscuri. Si
tratta di una norma irragionevole, che prevede un importo fisso senza
contemplare alcun meccanismo di conguaglio o rimborso in caso di
inesattezza. L'irragionevolezza, naturalmente, si riflette
sull'autonomia finanziaria della Regione, tenuta ad assicurare il
"recupero".
Inoltre e' violato il gia' citato principio consensuale in
materia di finanza delle Regioni speciali, perche' la norma avrebbe
dovuto prevedere una determinazione concordata dell'importo in
questione".
Oltre a queste ragioni di illegittimita', che riguardano tutte le
norme sopra citate, alcuni specifici profili riguardano i commi 711 e
712.
Il comma 711 e' illegittimo in quanto, invece di prevedere un
effettivo trasferimento di risorse dal bilancio statale in favore
della Regione, pari all'importo dovuto ai comuni a titolo di rimborso
della minore entrata derivante dalla riduzione del gettito Imu,
prevede la diminuzione di un accantonamento di fondi che e' gia' di
per se' costituzionalmente illegittimo.
Tra l'altro, il comma 711 conferma anche ulteriormente la natura
"sottrattiva" e lesiva dello stesso accantonamento, che anche il
legislatore statale tratta come se fosse non un regime di temporanea
indisponibilita' ma una vera posta passiva, il cui ammontare puo'
venire diminuito da una iniezione di risorse.
Quanto al comma 712, esso potrebbe essere inteso nel senso che la
somma corrispondente al minor gettito non viene accantonata, oppure
nel senso che il minor gettito derivante dal comma 707 non viene
scomputato dall'accantonamento. In questa seconda ipotesi, esso
sarebbe illegittimo anche nella parte in cui non tiene conto, ai fini
dell'accantonamento, del minor gettito derivante dalle disposizioni
recate dal comma 107. In altri termini, se anche - in denegata
ipotesi - fosse legittimo il meccanismo dell'accantonamento. sarebbe
certamente lesivo dell'autonomia finanziaria regionale (come sopra
illustrata) non considerare una riduzione del gettito ai fini della
misura dell'accantonamento stesso.
Oltre a cio', e' da sottolineare che sarebbe palesemente
irragionevole un sistema in cui una norma (l'art. 13, co. 17) prevede
un accantonamento sulle compartecipazioni regionali corrispondente al
maggior gettito Imu dei comuni e un'altra norma (il comma 712 qui
impugnato) stabilisce che la misura dell'accantonamento debba restare
ferma nonostante il gettito in questione abbia subito una
diminuzione. Tale irragionevolezza, che implica violazione dell'art.
3 Cost., si ripercuote evidentemente sull'autonomia finanziaria della
Regione, che si vede sottratte risorse statutariamente spettanti ad
essa, senza alcuna base logica (oltre che giuridica).
In aggiunta a quanto fin qui indicato, si osserva anche come le
previsioni impugnate - sempre adottate unilateralmente dallo Stato,
in violazione del principio dell'accordo - vadano autonomamente ad
aggravare le lesione, in concreto, del principio di neutralita'
finanziaria (di cui pure, astrattamente, pretenderebbero di essere
rispettose).
Infatti, la specifiche regole relative alle operazioni di
neutralizzazione dovrebbero:
a) fondarsi su dati effettivi di gettito e non su dati di
stima, presunta iuris et de iure: come invece accadeva nel contesto
dell'art. 13, comma 17. d.l. 201/2011 e come ora accade nell'ambito
del comma 711;
b) tenere in considerazione il gettito di tutti i tributi
introdotti o soppressi dalla riforma e dunque anche il gettito della
TASI e dell'IMU sull'abitazione principale, contrariamente a quanto
pare disporre il comma 712;
c) tenere in considerazione l'effetto indiretto della novella
sul gettito degli altri tributi del sistema regionale e dunque anche
la contrazione del gettito IRES e Irpef per effetto del comma 715;
d) tenere in considerazione le maggiori spese tributarie che
la nuova disciplina determina a carico degli enti del sistema
regionale.
Anche in relazione a tali specifici motivi sono illegittimi i
commi ora citati.
P.Q.M.
Voglia codesta Ecc.ma Corte costituzionale dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 1 commi 427, 429, 481,
487, 499, 508, 526, 711, 712, 715, 723, 725, 727, 729, 732 e 733
della legge 27 dicembre 2013, n. 147, Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita'
2014) nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel presente
ricorso.
Padova, 24 febbraio 2014
Prof. avv. Falcon