Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 5  luglio  2012  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
 
(GU n. 35 del 05.09.2012 )  
 
 
 
    Ricorso n. 102 depositato il 5 luglio 2012 proposto dalla Regione
Veneto in persona del Presidente pro tempore della  Giunta  Regionale
dott. Luca Zaia, a cio' autorizzato con  deliberazione  della  Giunta
regionale n.1132 del 12 giugno 2012 (allegata sub1), rappresentato  e
difeso,  giusta  mandato  a  margine   del   presente   atto,   tanto
congiuntamente  quanto  disgiuntamente,  dagli  avv.ti   Ezio   Zanon
Coordinatore  dell'Avvocatura  regionale,   Daniela   Palumbo   della
Direzione regionale Affari Legislativi e Andrea  Manzi  del  Foro  di
Roma, con domicilio eletto presso lo Studio di quest'ultimo in  Roma,
Via Confalonieri n. 5 (per eventuali comunicazioni:  fax  ...,
posta  elettronica  certificata ...),
nei confronti del Presidente pro tempore del Consiglio dei  Ministri,
per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'articolo 3,
comma 10 del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 recante  "Disposizioni
urgenti in materia di semplificazione tributarie, di  efficientamento
e potenziamento delle procedure di accertamento" nel testo risultante
dalla conversione della legge 26 aprile 2012, n. 44 pubblicato  nella
G.U. n. 99 del 28 aprile 2012 - S.O.  n.  85,  per  violazione  degli
artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione nonche' del principio  di
leale collaborazione  di  cui  all'articolo  120  della  medesima  ed
altresi', quale parametro interposto, dell'articolo  11  del  decreto
legislativo  6  maggio  2011,  n.  68,  con  istanza  di  sospensione
dell'esecuzione della disposizione impugnata ai  sensi  dell'articolo
35 della legge n. 87 del 1953, come sostituito dall'articolo 9  della
legge n. 131 del 2003. 
Premessa. 
    Con legge 26 aprile 2012, n. 44 e' stato convertito in legge, con
modificazioni,  il  decreto-legge  2  marzo  2012  n.   16,   recante
"Disposizioni urgenti in materia di  semplificazione  tributarie,  di
efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento".  Il
decreto convertito prevede una pluralita' di disposizioni riferite al
settore tributario sia per quanto concerne la disciplina  sostanziale
di alcune  tipologie  di  tributi  statali,  sia  relativamente  alle
procedure   di   accertamento,   riscossione   e   correlato   regime
sanzionatorio,    nonche'    puntuali    disposizioni     finalizzate
all'introduzione di una fiscalizzazione particolare  a  favore  delle
imprese.  In  particolare,   nell'ambito   del   Titolo   I   recante
"Semplificazioni in  materia  tributaria",  l'articolo  3,  rubricato
"Facilitazioni per imprese e contribuenti", raggruppa una pletora  di
commi per lo piu' riferiti ai contribuenti di  determinate  tipologie
di tributo, nonche'  puntuali  modifiche  alla  legislazione  vigente
necessarie  per  la  copertura  di  oneri  sostenuti  per  interventi
variamente finalizzati. 
    In tale contesto, in dettaglio, viene previsto al comma 10 quanto
di seguito riportato: "A decorrere dal 1° luglio 2012, non si procede
all'accertamento, all'iscrizione  a  ruolo  e  alla  riscossione  dei
crediti relativi ai tributi erariali,  regionali  e  locali,  qualora
l'ammontare  dovuto,  comprensivo  di   sanzioni   amministrative   e
interessi non superi, per ciascun credito, l'importo di euro 30,  con
riferimento  ad  ogni  periodo  di   imposta."   Il   comma   citato,
innanzitutto, appare ultroneo  rispetto  all'ambito  di  applicazione
proprio  dell'articolo  3,   poiche'   a   differenza   delle   altre
disposizioni evidenzianti  un  connotato  transitorio,  si  configura
quale  norma  a  regime,  poiche'  si  rivolge  alla  totalita'   dei
contribuenti che concorrono alla  spesa  pubblica  in  ragione  della
propria capacita' contributiva, in conformita' al  principio  sancito
dall'articolo   53   della   Costituzione,   con   cio'   modificando
sostanzialmente la normativa vigente, in  quanto  vieta,  secondo  un
criterio generalizzato e permanente,  la  possibilita'  di  procedere
alla riscossione di tributi di  importo  inferiore  alla  soglia  ivi
indicata. 
    L'effetto regolatorio di tale novella, inoltre, si  estende,  per
espressa volonta' legislativa inequivocabilmente dichiarata, anche ai
tributi regionali e locali. L'attrazione  autoritativa,  nel  divieto
cosi sancito, anche dei tributi regionali, si pone in  contrasto  con
una  pluralita'  di  prerogative  regionali  riconducibili  sia  alla
potesta' legislativa regionale concorrente sussistente nella  materia
"coordinamento della finanza pubblica e del  sistema  tributario"  di
cui  al  comma  terzo  dell'articolo  117  della  Costituzione,   sia
all'autonomia  finanziaria   regionale   consacrata   dalla   novella
dell'articolo 119 della Costituzione, per cui le risorse  finanziarie
delle Regioni, oltre ad essere autonome, devono essere  in  grado  di
finanziare integralmente le funzioni  pubbliche  attribuite  all'ente
medesimo ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione. 
    Inoltre, parimenti violato, in  assenza  di  tale  meccanismo  di
copertura degli oneri, risulta il principio di buon andamento di  cui
all'articolo 97 della Costituzione, che non puo' essere  diversamente
assicurato, qualora venga a mancare un'adeguata dotazione finanziaria
propria. 
    Infine  si  lamenta   la   lesione   del   principio   di   leale
collaborazione per l'omessa fase di concertazione preventiva  con  la
Regione, atteso che i tributi c.d.  "regionali"  in  quanto  riscossi
dall'ente territoriale, anche se istituiti con leggi statali,  devono
essere, in pendenza della completa attuazione dell'articolo 119 della
Costituzione, oggetto di idonea concertazione mediante gli  strumenti
di  collaborazione  interistituzionale  espressamente  previsti   nel
vigente tessuto ordinamentale. 
    Il patrocinio regionale, per  ragioni  di  chiarezza  espositiva,
analizzera' la norma impugnata  illustrando  partitamente  i  singoli
profili  di  illegittimita'  costituzionale  denunciati,  come  sopra
sinteticamente proposti. 
 
                               Diritto 
 
1. Violazione dell'articolo 117, comma terzo, della Costituzione. 
    Il comma 10  dell'articolo  3,  oggetto  del  presente  giudizio,
innalza la soglia dei crediti tributari per cui sorge il  divieto  di
procedere all'accertamento,  iscrizione  a  ruolo  e  riscossione  in
ragione, pare, del principio  di  economicita'  della  spesa  che  si
realizza  pienamente  allorquando  l'ammontare  dell'entrata  risulti
superiore all'onere delle operazioni di riscossione e versamento. 
    Orbene, tale disposizione,  come  si  evince  dalla  lettura  del
Dossier Studi del Senato, si sovrappone alla  previgente  disciplina,
peraltro non abrogata, contenuta nell'articolo  16,  comma  2,  della
legge  8  maggio  1998,  n.  146   recante   "Disposizioni   per   la
semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario  e  per
il   funzionamento    dell'Amministrazione    finanziaria,    nonche'
disposizioni varie di carattere  finanziario".  La  norma  da  ultimo
citata, infatti, prevedeva  l'adozione  di  un  apposito  regolamento
ministeriale finalizzato a stabilire,  tenuto  conto  dei  costi  per
l'accertamento e la riscossione, gli importi minimi, al di sotto  dei
quali i  versamenti  non  erano  dovuti  e  non  erano  effettuati  i
rimborsi. 
    In attuazione del predetto disposto, il DPR n. 129 del 16  aprile
1999  "Regolamento  recante  disposizioni  in  materia   di   crediti
tributari di modesta entita', a  norma  dell'articolo  16,  comma  2,
della L. 8 maggio 1998, n. 146" all'articolo 1 stabiliva che  non  si
procedeva all'accertamento dei tributi erariali, regionali e  locali,
qualora l'ammontare dovuto, per ciascun credito, con  riferimento  ad
ogni periodo di imposta, non superasse l'importo stabilito,  fino  al
31 dicembre 1997, di lire trentaduemila, somma che  rappresentava  la
soglia al di sotto della quale l'importo poteva essere qualificato di
modesta entita' e, come tale, non esigibile. 
    Il comma 10 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 16 del 2012, nel
testo risultante dalla conversione, innalza la soglia  della  modesta
entita' dei crediti tributari dalle "lire trentaduemila" previgenti -
cioe' pari ad ? 16,53 - ad attuali "? 30". 
    Deve  essere  preliminarmente  evidenziato  il   fatto   che   la
disciplina menzionata nel summenzionato Dossier e, si ribadisce,  non
abrogata espressamente, e' ovviamente risalente nel tempo,  per  cui,
in  linea  di  principio,  potrebbe  apparire  alquanto   ragionevole
l'innalzamento  dei  limiti  di  cui  si   tratta,   avuto   riguardo
all'incremento dei costi relativi all'attivita'  di  controllo  e  di
riscossione. Tuttavia e' la legittimazione dello Stato ad operare  un
simile intervento a non apparire altrettanto chiara. 
    Il presente patrocinio e' indotto a supporre  che  forse  non  e'
stato adeguatamente  considerato  il  diverso  ambito  di  competenza
legislativa costituzionale derivante dalla  modifica  introdotta  nel
Titolo V della Carta fondamentale con la legge  costituzionale  n.  3
del 2001. 
    In altri termini, la circostanza  che  nel  1999  al  legislatore
statale  fosse  consentito  disciplinare  tale  particolare   profilo
introducendo una disposizione  legislativa  e  correlato  regolamento
attuativo, non puo'  e  non  deve  reputarsi  evento  automaticamente
generatore di una competenza che, per converso, deve essere  valutata
alla  luce  dei  profondi  mutamenti  costituzionali  successivamente
intervenuti. 
    A conferma di quanto appena rilevato, si richiama la decisione di
codesta Ecc.ma Corte, datata 26 gennaio 2005, n. 30, con la quale  e'
stata riconosciuta la  fondatezza  della  questione  di  legittimita'
dell'articolo 25 della  legge  27  dicembre  2002,  n.  289  (  legge
finanziaria 2003) nella parte in cui era stata ritenuta applicabile a
tutte le amministrazioni pubbliche - di cui all'articolo 1,  comma  2
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 -, nella parte  in  cui
prevedeva che, con appositi decreti ministeriali, fosse  regolata  la
riscossione dei crediti di modesto ammontare e di  qualsiasi  natura,
anche  tributaria,  benche'  di   competenza,   appunto,   di   altre
amministrazioni. 
    Il ricorso, peraltro promosso proprio dall'odierna ricorrente, e'
risultato fondato per  violazione  dell'articolo  117,  comma  terzo,
della Costituzione in quanto introduceva una normativa  di  dettaglio
nell'alveo materiale del "coordinamento della finanza  pubblica".  La
medesima decisione ha, altresi', riconosciuto  valenza  di  principio
fondamentale,  nella  materia  di  potesta'  concorrente  menzionata,
soltanto,  e  limitatamente,  a  quelle   previsioni   positive   che
presentassero le specifiche caratteristiche di seguito elencate: 
        a) doveva trattarsi di periodi di imposta precedenti; 
        b) non dovevano intendersi come franchigia; 
        c) gli importi  dovevano  essere  arrotondati  all'unita'  di
euro; 
        d) l'importo minimo non poteva essere  inferiore  a  12  euro
solo in sede di prima applicazione; 
        e) non potevano esservi ricompresi corrispettivi per  servizi
resi dalle pubbliche amministrazioni a pagamento. 
    Non  si  vede  quale  ragione  giuridicamente  apprezzabile   non
consenta di applicare anche  alla  disciplina  oggetto  del  presente
giudizio quanto precisato in quell'occasione da codesta Ecc.ma Corte.
Invece,  nel  contesto  normativo  in  esame,  manca  la   necessaria
enucleazione dei principi fondamentali riconosciuti come essenziali a
proposito dell'articolo 25 della legge n. 289 del  2002,  poiche'  la
norma oltre ad essere "a regime"  e'  immediatamente  precettiva  nei
confronti delle Regioni e degli enti locali e, come tale, integra  un
disposto di dettaglio autoapplicativo  non  consentito  negli  ambiti
appartenenti  all'alveo  delle  materie   di   potesta'   legislativa
concorrente  di  cui  al  comma   terzo   dell'articolo   117   della
Costituzione. 
2. Violazione dell'articolo 119, in combinato disposto con l'articolo
118 della Costituzione, e con l'articolo 11 del decreto legislativo 6
maggio 2011, n. 68, quale parametro interposto, nonche'  lesione  del
principio  di  buon  andamento   di   cui   all'articolo   97   della
Costituzione. 
    La norma  impugnata,  dunque,  preclude  anche  alla  Regione  la
possibilita' di introitare gli importi dovuti per  crediti  tributari
"regionali" di ammontare inferiore al limite stabilito, perche' detto
limite, peraltro autoritativamente imposto dallo  Stato,  laddove  ha
rideterminato la  soglia  individuante  quella  modesta  entita'  che
sottrae alla riscossione crediti inferiori a tale valore,  genera  un
effetto  impeditivo  indifferenziato  del  corretto  esercizio  delle
attribuzioni  regionali,  cosi'  invadendo  la  sfera  di   autonomia
finanziaria riconosciuta alle medesime, ai  sensi  dell'articolo  119
della  Costituzione.  Si  reputa  utile,  al  riguardo,   considerare
brevemente la piu' recente normativa statale in tema di decentramento
fiscale. Infatti, nella legge 5 maggio 2009, n. 42 recante "Delega al
Governo in materia di federalismo  fiscale",  proprio  l'articolo  7,
rubricato "Principi e criteri direttivi  relativi  ai  tributi  delle
regioni e alle compartecipazioni al gettito  dei  tributi  erariali",
fornisce espressamente gli elementi  indispensabili  ad  identificare
detti tributi. 
    I  tributi  regionali  sono  quindi,  per   l'espresso   disposto
normativo di cui al precitato art. 7, comma 1, lettera b): 
        1) i tributi propri derivati istituiti e  regolati  da  leggi
statali il cui gettito e' attribuito alle regioni; 
        2) le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali; 
        3) i tributi propri istituiti dalle regioni con proprie leggi
in relazione ai presupposti  non  gia'  assoggettati  ad  imposizione
erariale. Dunque l'ambito applicativo indifferenziato e generalizzato
caratterizzante   la   normativa   di   cui   si   discute,   include
necessariamente anche i tributi regionali come  sopra  individuati  e
normativamente ammessi. 
    Al riguardo, la difesa regionale e' chiaramente  consapevole  che
la novella costituzionale non ha ancora trovato, allo stato  attuale,
la dovuta attuazione e, conseguentemente, non  e'  ancora  consentito
alla Regione istituire tributi propri. Nondimeno, in  attesa  che  si
completi il percorso normativo che dovrebbe portare a  compimento  il
disegno di federalismo fiscale, consacrato  dall'articolo  119  della
Costituzione, la ricorrente non puo' esimersi dal tutelare gli  altri
profili  connotanti  la  fattispecie  integrante   i   c.d.   tributi
regionali, come sopra individuati nella norma richiamata  e,  a  tale
scopo, considerare gli effetti finanziari della disposizione  statale
impugnata, come cosi' concepita, sul bilancio regionale,  per  quanto
specificamente attiene appunto alle tipologie di tributi  di  cui  ai
numeri 1) e 2) dell'art. 7, comma 1, lettera b) della legge n. 42 del
2009 citato. 
    In proposito, non  puo'  essere  sottaciuto  come  l'impatto  sul
gettito  delle  entrate  tributarie  regionali   si   appalesi   come
particolarmente ingente. Infatti alcuni  tributi,  seppure  istituiti
con legge statale, generano un gettito di spettanza regionale, e sono
caratterizzati da una platea  incontrovertibilmente  molto  vasta  di
contribuenti, per i quali, pero', gli importi individualmente  dovuti
a tale titolo sono sensibilmente inferiori alla nuova  soglia  minima
come definita dallo Stato con la disposizione oggi censurata. 
    Il medesimo effetto straordinariamente  riduttivo  delle  entrate
dell'odierna ricorrente concerne le tasse di  concessione  regionale.
Si considerino, a titolo meramente esemplificativo,  quelle  relative
alla licenza di pesca di tipo B o alle farmacie rurali, per le  quali
la vigenza della disposizione impugnata,  con  decorrenza    luglio
2012, potrebbe comportare per la Regione del Veneto un minor  gettito
stimabile approssimativamente a circa  9  milioni  di  euro  su  base
annua. 
    La conseguenza immediata,  derivante  dalle  minori  entrate,  si
riflette inevitabilmente sull'impossibilita' di fronteggiare i  costi
connessi all'esercizio delle funzioni amministrative di  attribuzione
regionale,   con   correlata   lesione   dell'articolo   118    della
Costituzione,  laddove  l'intervento   legislativo,   incidendo   sul
meccanismo normativo che ancora le compensazioni  finanziare  appunto
all'effettivo esercizio delle funzioni amministrative,  interferisce,
pregiudicandola, con la garanzia di assicurare l'idoneo  assolvimento
dei compiti amministrativi a suo tempo conferiti alle Regioni proprio
in   attuazione   dei    principi    cardine    di    sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza, non piu' revocabili. 
    In proposito, pare difficile sostenere che la  valutazione  circa
l'adeguatezza di un ente territoriale a svolgere determinate funzioni
sia del tutto disgiunta dalla concreta possibilita'  di  reperire  le
risorse, spesso ingenti e comunque connesse alla qualita' e quantita'
delle funzioni  medesime,  indispensabili  ad  assolverle.  In  altri
termini,  escludendo  che  la  dotazione  finanziaria  regionale  sia
attualmente gestibile attraverso  la  totale  disponibilita'  di  una
capacita' impositiva piena, perche' invece risulta rimessa  a  flussi
connessi con meccanismi di fonte  statale,  e'  necessario  che  tali
strumenti non subiscano pregiudizio alcuno. La questione  non  e'  di
poco momento  se  si  associa  concettualmente  e  giuridicamente  la
necessita'  di  svolgere  adeguatamente  le  funzioni   istituzionali
regionali  al  rispetto  del  principio  di  buon  andamento  di  cui
all'articolo 97 della Costituzione. 
    Ed invero detto principio richiede,  anzi,  impone  che  ciascuna
amministrazione     provveda     rapidamente     ed     efficacemente
all'espletamento delle funzioni di cui e' tributaria  allo  scopo  di
realizzare la cura migliore degli  interessi  pubblici  affidati.  In
proposito,  non   pare   superfluo   rammentare   che   le   funzioni
amministrative di cui all'articolo 118 della Costituzione, proprio in
osservanza del principio di cui all'articolo 97  della  Costituzione,
per poter essere esercitate, devono essere adeguatamente sorrette  da
beni e risorse, anche finanziarie. 
    Gia' la legge 15 marzo 1997, n. 59  "Delega  al  Governo  per  il
conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali per la
riforma della  pubblica  amministrazione  e  per  la  semplificazione
amministrativa",  all'articolo  7,  nell'attuare  il  secondo  grande
processo di conferimento di funzioni dallo Stato a  Regioni  ed  enti
locali, condizionava l'effettivita' del  trasferimento  di  funzioni,
prodromico all'operativita' del decentramento,  all'effettivita'  del
trasferimento di beni e risorse che doveva "comunque  essere  congruo
rispetto alle competenze trasferite". 
    Il medesimo concetto e' stato altresi'  ripreso  dal  legislatore
nel 2003 che, proprio in attuazione del novellato articolo 118  della
Costituzione, all'articolo 7  della  legge  5  giugno  2003,  n.  131
"Disposizioni per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001,  n.  3",  ha  riconosciuto
esplicitamente che, ai fini del  trasferimento  di  funzioni,  devono
essere individuate le risorse umane, finanziarie, strumentali ad esse
strettamente necessarie per l'esercizio delle medesime. 
    Ma la ritenuta  lesione  dell'articolo  119  della  Costituzione,
operata dalla disposizione impugnata, si evince anche dalla  disamina
sistematica dell'articolo de quo con la norma di cui all'articolo  11
del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 "Disposizioni in materia
di autonomia di entrata delle regioni a  statuto  ordinario  e  delle
province, nonche'  di  determinazione  dei  costi  e  dei  fabbisogni
standard nel settore sanitario". Tale articolo, infatti, e' attuativo
della disposizione di cui all'articolo 2, comma 2, lettera  t)  della
gia' ricordata legge delega 5 maggio 2009, n. 42 "Delega  al  Governo
in materia di federalismo fiscale, in  attuazione  dell'articolo  119
della Costituzione", e si configura quale  norma  interposta  laddove
prevede misure compensative per gli  interventi  statali  sulle  base
imponibili e sulle aliquote dei tributi regionali. 
    In punto, l'articolo 11 del decreto legislativo n.  68  del  2011
prevede  espressamente  che  "gli  interventi  statali   sulle   basi
imponibili  e  sulle  aliquote  dei  tributi  regionali  (...)   sono
possibili, a parita' di funzioni amministrative  conferite,  solo  se
prevedono  la  contestuale  adozione  di  misure  per   la   completa
compensazione tramite modifica di aliquota o  attribuzione  di  altri
tributi." 
    Conseguentemente, qualora  lo  Stato,  limitatamente  ai  tributi
derivati - e cioe'  istituiti  con  legge  statale,  ma  con  gettito
attribuito alle regioni - ed alle addizionali sulle  basi  imponibili
di tributi erariali, intervenisse con propria legge, modificando o le
basi imponibili o le aliquote tributarie, dovrebbe,  contestualmente,
prevedere misure  compensative  interessanti  altri  tributi,  sempre
regionali, al fine di  garantire  l'invarianza  dell'ammontare  delle
entrate regionali. 
    Il disposto normativo contenuto nell'articolo  11,  ed  attuativo
dell'articolo 2, comma 2, lettera t) della legge  delega  n.  42  del
2009, garantisce appunto il rispetto del principio  della  necessaria
compensazione tra i tributi regionali, in  ossequio  all'orientamento
gia' espresso da codesta Ecc.ma 
    Corte per cui deve "escludersi che possa  essere  effettuata  una
atomistica considerazione di isolate  disposizioni  modificative  del
tributo, senza considerare nel suo complesso la manovra fiscale entro
la quale esse trovano collocazione, ben potendosi verificare che, per
effetto  di  plurime  disposizioni  (...)  il   gettito   complessivo
destinato alla finanza regionale non subisca riduzioni" (ex plurimis,
si rinvia alle sentenze n. 298 del 2009; n. 155 del 2006; n. 431  del
2004). Nel medesimo tracciato argomentativo, codesta Ecc.ma Corte  ha
affermato altresi' che, pure potendosi  determinare  riduzioni  nella
disponibilita' finanziaria delle Regioni  a  seguito  di  manovre  di
finanza pubblica, e' comunque indispensabile che esse non siano  tali
da  comportare  uno  squilibrio  incompatibile  con  le   complessive
esigenze di spesa regionale e, in definitiva, rendano insufficienti i
mezzi  finanziari  dei  quali   la   Regione   stessa   dispone   per
l'adempimento dei propri compiti (cfr. le sentenze n. 145  del  2008,
n. 431 e 381 del 2004). 
    Tanto  premesso,  ad  avviso   del   patrocinio   regionale,   il
decreto-legge n. 16  del  2012  non  costituisce  un  atto  normativo
finalizzato ad una manovra fiscale nel senso prospettato  e  ritenuto
il solo giuridicamente ammissibile, ovvero quale  legge  connessa  al
bilancio  statale,  ma   solo   un   intervento   necessitato   dalla
straordinarieta' ed urgenza derivante dalla contingente, senza dubbio
difficile, situazione economica globale  e  persegue,  evidentemente,
quale  scopo   prioritario   l'intensificazione   dell'attivita'   di
accertamento,  riscossione  e  controllo  da  parte  delle  autorita'
deputate a svolgere funzioni di vigilanza  ed  ispezione  tributaria,
nel tentativo di intercettare ed incamerare la maggiore quantita'  di
risorse finanziarie possibile. 
    Per di piu', considerato l'insieme delle  disposizioni  contenute
nel  decreto  medesimo,  non  sembrano   rivenirsi   altri   analoghi
interventi su basi imponibili ed aliquote di tributi regionali,  tali
da introdurre misure compensative del gettito  finanziario  destinato
alle regioni, come decurtato. Va  adeguatamente  considerato  che  le
modifiche  legislative  apportate  alla  previgente  disciplina,   ad
esclusione di quelle  oggetto  di  imposizione  sanzionatoria  e  del
regime  regolante  il  contenzioso  tributario,  nonche'  quelle   di
contrasto  all'evasione  fiscale,  si  riferiscono  esclusivamente  a
tributi statali, ovvero istituiti e riscossi dallo Stato. Si  tratta,
a  titolo  esemplificativo,  dell'accisa  sul   carburante   per   la
produzione combinata di energia elettrica e calore  e  delle  imposte
sui voli e sugli aeromobili, oltre ai tributi riscossi  dai  monopoli
di Stato. 
    Laddove, invece, il gettito e' destinato  alle  regioni,  l'unica
manovra  possibile  per  bilanciare  una   minor   entrata   consiste
esclusivamente in un incremento di aliquota, che pero' si traduce  in
un'imposizione aggiuntiva, decisa dalla regione  medesima  nell'alveo
dei principi fondamentali esistenti in materia. 
    Si richiama, al riguardo, il disposto dell'articolo 77-ter, comma
19, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112  "Disposizioni  urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione  tributaria"
che cosi' prevedeva: "resta confermata  per  il  triennio  2009-2011,
ovvero sino all'attuazione  del  federalismo  fiscale  se  precedente
all'anno 2011, la sospensione del potere delle regioni di  deliberare
aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote  ovvero  delle
maggiorazioni di aliquote di tributi ad  esse  attribuiti  con  legge
dello Stato di cui all'articolo 1,  comma  7,  del  decreto-legge  27
maggio 2008, n. 93, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  24
luglio 2008, n. 126. Poiche' tale  articolo  e'  stato  abrogato,  si
riespande  il  potere  riconosciuto  alla  Regione  di  procedere  ad
eventuali aumenti di aliquote, qualora necessitati  dalla  situazione
economica e  purche'  compatibili  con  la  politica  regionale  gia'
determinata  in  occasione  della  predisposizione  degli   strumenti
finanziari fondamentali. 
    Tuttavia, nelle decisioni di codesta  Ecc.ma  Corte,  come  sopra
richiamate,  non  pare  potersi  rinvenire  l'affermazione   di   una
legittimazione statale a trasformare in obbligo, secondo  una  specie
di   automatismo   difficilmente   collocabile   sotto   il   profilo
sistematico,  cio'  che  si  propone  normativamente  come  una  mera
facolta'. 
    In altri termini delle due l'una: o lo Stato  deve  prevedere  le
indispensabili misure compensative, in occasione di rimodulazione  di
meccanismi idonei  ad  influire  sul  gettito  tributario  regionale,
indipendentemente   dalle   determinazioni    consentite    a    tali
amministrazioni  che  rimangono  mere  facolta',   oppure   l'obbligo
esistente in capo  allo  Stato,  come  supra  stigmatizzato,  atto  a
garantire l'equilibrio  finanziario  dell'ente  territoriale,  e'  un
enunciato vuoto privo di rilevanza concreta. 
    Se  cosi'  fosse,  pero',  devono  essere  riveduti   i   criteri
interpretativi tanto dell'art. 117, comma terzo, della  Costituzione,
in tema di coordinamento della finanza pubblica, quanto  dell'art.119
della  Carta  Fondamentale,  poiche'  le  Regioni,   per   compensare
continuamente  ed  autonomamente  i  minori  gettiti   derivanti   da
interventi statali estemporanei e  disorganici,  si  troverebbero  in
grave e talvolta  insuperabile  difficolta'  a  perseguire  i  propri
obiettivi di governo, perdendo cosi'  un  tratto  determinante  della
propria autonomia costituzionalmente tutelata e garantita. 
    Cio' e' a dire che  ammettere  il  trasferimento  soggettivo  del
predetto obbligo  compensativo  dallo  Stato  alla  Regione,  risulta
irragionevole,  oltre  che  giuridicamente   inammissibile,   poiche'
equivarrebbe a costringere la Regione a subire tanto rilevanti quanto
inaccettabili  condizionamenti  nelle  proprie  scelte  di   politica
finanziaria  anche  di  carattere  fiscale,   ritenendo   la   stessa
apoditticamente  tenuta  ad  apportare   i   poderosi   aggiustamenti
necessitati  da  interventi  statali  autoritativamente  imposti  sui
tributi di competenza. 
    Ad avviso del patrocinio  regionale,  in  sostanza,  ritenere  la
legittimita'  della  norma   impugnata,   implicherebbe   il   palese
disconoscimento  delle  potesta'  regionali  sussistenti  in  materia
tributaria, poiche' assurgerebbero al rango di principi  fondamentali
anche disposizioni prive  delle  caratteristiche  proprie  di  questi
ultimi. 
    Infatti, la norma censurata, oltre a non potersi  configurare  in
alcun caso quale principio  fondamentale,  non  integra  neppure  una
novella incidente sulla base imponibile o sulle  aliquote  di  alcuni
tributi  regionali,  perche'  laddove  introduce  "a  regime"  e  non
temporaneamente - considerata la nota situazione emergenziale che  si
sta indefinitamente protraendo -, il divieto  di  accertare  tutti  i
tributi regionali esponenti importi qualificabili di modesta entita',
preclude alla Regione la possibilita'  di  intervenire  efficacemente
nella propria politica tributaria, ovvero relativamente ai tributi di
propria spettanza. 
    Nel contesto specifico riguardante la normativa regionale veneta,
si rammenta che l'art. 7 della legge regionale 2006,  n.  27  recante
"Disposizioni in materia di tributi regionali", avendo individuato la
soglia di modesta entita' nell'importo pari ad euro  16,  53,  dovra'
necessariamente essere disapplicato a decorrere dal 1°  luglio  2012,
con  gravissimo   pregiudizio   finanziario   per   l'amministrazione
regionale, considerato anche che i  tempi  necessari  ad  intervenire
legislativamente sono  chiaramente  inconciliabili  con  la  scadenza
imposta. 
3.  Violazione  del  principio  di  leale   collaborazione   di   cui
all'articolo 120 della Costituzione. 
    Infine, per  completezza  di  trattazione,  a  conclusione  della
prospettazione  proposta,   di   cui   si   ribadiscono   i   profili
evidentemente lesivi, si ritiene di valutare anche l'ipotesi  che  il
decremento apportato dallo Stato alla soglia del credito  di  modesta
entita' possa integrare un principio fondamentale,  ascrivibile  alla
materia di "coordinamento della finanza pubblica"  di  cui  al  comma
terzo dell'articolo 117 della Costituzione.  In  tal  caso,  anche  a
voler ritenere condivisibile  una  simile  posizione  interpretativa,
quantomeno risulterebbe violato il principio di leale collaborazione,
per quanto di seguito precisato. 
    Come codesta Ecc.ma Corte ha gia' avuto occasione di affermare in
una  pluralita'  di  occasioni,  infatti,  anche  nell'ambito   delle
potesta' esclusive statali, e quindi a fortiori  in  quelle  di  tipo
concorrente, si possono intrecciare profili di competenza regionale a
quelli di competenza esclusiva statale (cfr. sentenza 16 giugno 2005,
n.231).  Nel  quadro  normativo  in   esame   l'interconnessione   e'
innegabile,  in  quanto  la  decisione   di   vietare   accertamento,
iscrizione a ruolo e  riscossione  anche  dei  tributi  regionali  si
riflette  direttamente  sulla  potesta'  legislativa   di   dettaglio
riconosciuta alle regioni nel medesimo alveo materiale. 
    Con la disposizione in esame lo  Stato  ha  deciso  di  estendere
anche ai tributi  regionali  la  disciplina  modificativa  certamente
valevole per i tributi statali, inopinatamente e senza alcun raccordo
con la Regione, poiche' non  era  stato  previsto  alcun  momento  di
concertazione da formalizzare nelle sedi istituzionali proprie. 
    Che l'effetto esercitato dall'intervento  statale  censurato  sia
tutt'altro che marginale in un ambito, si ribadisce, appartenente  al
contesto della potesta' legislativa concorrente, e  che,  quindi,  la
determinazione in concreto della soglia integrante la modesta entita'
sia difficilmente ascrivibile al novero  dei  principi  di  spettanza
statale, si apprezza anche considerando la notevole varieta'  offerta
dalle modalita'  disciplinatorie  adottate  da  ciascuna  Regione  in
materia tributaria, per quanto specificamente attiene proprio i  c.d.
"crediti di modesta entita'". 
    In particolare, a titolo meramente esemplificativo, l'articolo 29
della legge della Regione Piemonte 11 aprile 2001, n. 7  "Ordinamento
contabile della  Regione  Piemonte"  prevede  che  "I  crediti  della
Regione, di modesto importo, compresi quelli derivanti dalla  mancata
riscossione di imposte e tasse nei limiti previsti dalle leggi  dello
Stato, possono essere annullati, entro il 31 gennaio di ciascun anno,
con provvedimento della Giunta su proposta del titolare del centro di
responsabilita' amministrativa competente. L'annullamento dei crediti
e' disposto quando il costo delle operazioni di riscossione  di  ogni
singola entrata risulti superiore all'ammontare della medesima.". 
    Inoltre la legge della Regione  Abruzzo  afferente  l'ordinamento
contabile  ha  previsto  una  disposizione  simile   a   quella   del
legislatore piemontese ed entrambe  tali  norme  rinviano  nel  testo
vigente alla normativa statale, atteso che nel 2001 si  legiferava  a
Costituzione invariata. 
    La Regione Marche, in attuazione dell'articolo 25 della legge  n.
289 del 2002 oggetto della decisione di codesta Ecc.ma  Corte  n.  30
del 2005, aveva stabilito, - all'articolo 42 della legge regionale 11
dicembre 2001, n. 31, nel testo modificato dall'articolo 26, comma  3
della legge regionale 11 ottobre 2005,  n.  24  -  che,  per  importi
inferiori a 12 euro, non si potesse  procedere  alla  riscossione  di
crediti di natura non tributaria e che, entro la medesima soglia, non
si dovesse procedere alla  riscossione  ed  al  rimborso  di  tributi
regionali. 
    Infine la Regione Toscana annovera nel  proprio  ordinamento  una
disposizione specifica e cioe' l'articolo 14 della legge regionale 18
febbraio 2005, n. 31 intitolata "Norme generali in materia di tributi
regionali relativa ai crediti tributari di modesto ammontare". 
    In  tale  ventaglio  delle  leggi  regionali  vigenti,  meramente
indicativo, si colloca anche la norma dell'odierna ricorrente che, si
noti, all'articolo 7  della  legge  regionale  2006,  n.  27  recante
"Disposizioni in materia di tributi regionali" aveva stabilito  quale
soglia di modesta entita' l'importo pari ad euro 16,53. 
    Poiche' a seguito della modifica del Titolo V della  Costituzione
e della decisione di codesta Ecc.ma Corte costituzionale  n.  30  del
2005, nelle leggi regionali e' scomparso ogni rinvio  alla  normativa
statale  di  riferimento,  l'intervento  operato  dalla  disposizione
censurata si qualifica come una grave ingerenza da parte dello  Stato
che ben poteva essere diversamente gestita, ricorrendo ai  meccanismi
di concertazione istituzionali. 
    Stante quanto argomentato, pare vertersi, piu' correttamente,  su
una questione di concorrenza di  competenze  che  non  di  competenza
ripartita o concorrente. Ma,  poiche'  la  Costituzione  non  prevede
criteri  specifici  per  la  composizione  di  tali   conflitti,   e'
necessario il ricorso a principi generali, quale e' quello  di  leale
collaborazione, che, proprio in ragione del carattere di  elasticita'
che lo connota, consente di' aver riguardo  alle  peculiarita'  delle
singole situazioni (cfr. sentenza n. 50 del 2005). 
    Appunto la concertazione e' prevista  espressamente  a  proposito
del federalismo fiscale nella piu' volte menzionata legge  delega  n.
42  del  2009.  Si  tratta  della  Conferenza   permanente   per   il
coordinamento della finanza pubblica  di  cui  all'articolo  5  della
medesima legge delega, nella cui composizione, in forza dell'articolo
34 del  decreto  legislativo  n.  68  del  2011,  sono  presenti  sei
Presidenti o Assessori regionali. Che l'utilizzo di  tali  meccanismi
fosse doveroso, in ossequio anche  alla  delicatezza  della  materia,
trova un'ulteriore conferma espressa  nel  disposto  dell'articolo  2
comma 2, lettera t) della legge delega n. 42 del 2009, dove e'  stato
previsto,  inequivocabilmente,  che  le   compensazioni   finanziarie
statali debbano essere decise in sede di Conferenza permanente  quale
luogo deputato alla concertazione nella materia di cui si argomenta. 
 
                       Istanza di sospensione 
 
    La Regione del Veneto chiede che codesta Ecc.ma Corte, nelle more
del giudizio di legittimita'  costituzionale  della  disposizione  di
legge statale qui censurata, sospenda l'esecuzione  dell'articolo  3,
comma 10 del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 recante  "Disposizioni
urgenti in materia di semplificazione tributarie, di  efficientamento
e potenziamento delle procedure di accertamento" nel testo risultante
dalla conversione della legge 26 aprile 2012, n. 44 pubblicato  nella
G.U. n. 99 del 28 aprile 2012 S.O.  n.  85,  per  le  motivazioni  di
seguito riportate succintamente. 
    Incombenza del  rischio  di  pregiudizio  grave  ed  irreparabile
all'interesse pubblico o all'ordinamento giuridico della  Repubblica,
connesso alla necessita' che, prima del termine di decorrenza - ormai
prossimo - fissato dalla norma al 1°  luglio  2012,  la  Regione  sia
tenuta a disapplicare le proprie disposizioni relative ai crediti  di
modesta  entita'  rinunciando  cosi'  ad  una  risorsa   finanziaria,
peraltro dovuta,  con  grave  ripercussione  sul  bilancio  regionale
veneto al quale verrebbe a mancare una somma pari ad ? 9 milioni  per
l'esercizio   corrente,   con   riduzioni   di   gettito    stimabili
approssimativamente in ? 7 milioni  per  ciascuno  dei  due  esercizi
successivi. 
    Sussistenza del rischio di un pregiudizio grave  ed  irreparabile
per  i   diritti   dei   cittadini   veneti,   laddove,   a   seguito
dell'intervento  autoritativo  statale,  la  Regione  del  Veneto  si
trovasse nella necessita' di  adottare  misure  compensative  con  la
medesima  decorrenza  della  norma   censurata,   consistenti   nella
determinazione di incrementare  le  aliquote  vigenti  concernenti  i
tributi o le addizionali ad essa attribuiti dallo Stato. 
    Se e' pur vero che l'articolo 53 della  Costituzione  enuncia  il
principio che impone ai cittadini il concorso alla spesa pubblica  in
ragione  della  propria  capacita'  contributiva,  e'  appunto   tale
capacita' contributiva che  nell'attuale  fase  congiunturale  appare
fortemente compromessa, al punto da non poter  fronteggiare  continui
incrementi  tributari,  seppure  formalmente  legittimi,  come  nella
fattispecie sottoposta a codesta Ecc.ma Corte. 
    In tal senso l'eventuale, sperata, sospensione  potrebbe  evitare
un  pregiudizio  finanziario  per   la   cittadinanza   veneta   che,
altrimenti,  dovrebbe  sopportare   possibili,   odiosi,   interventi
correttivi finanziari forieri di un ulteriore,  quanto  insostenibile
aggravamento della propria posizione contributiva. 
 
 
                               P.Q.M. 
 
    Chiede che codesta Ecc.ma Corte, accogliendo l'istanza  proposta,
voglia  sospendere  l'esecuzione  dell'articolo  3,  comma   10   del
decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 recante  "Disposizioni  urgenti  in
materia  di  semplificazione   tributarie,   di   efficientamento   e
potenziamento delle procedure di accertamento" nel  testo  risultante
dalla conversione della legge 26 aprile 2012, n. 44 pubblicato  nella
G.U. n. 99 del 28 aprile 2012 S.O. n. 85. 
    In punto, voglia dichiarare l'illegittimita'  costituzionale,  in
relazione alle  disposizioni  costituzionali  indicate  in  epigrafe,
dell'articolo 3, comma 10 del  decreto-legge  2  marzo  2012,  n.  16
recante  "Disposizioni  urgenti   in   materia   di   semplificazione
tributarie, di efficientamento e  potenziamento  delle  procedure  di
accertamento" nel testo risultante dalla conversione della  legge  26
aprile 2012, n. 44 pubblicato nella G.U. n. 99  del  28  aprile  2012
S.O. n. 85. 
    Si depositano: 
        1. Copia conforme della Deliberazione di Giunta regionale  n.
1132 del 12 giugno 2012, di autorizzazione a proporre  il  ricorso  e
contestuale affidamento dell'incarico di  patrocinio  per  la  difesa
regionale. 
          Venezia-Roma, 20 giugno 2012 
 
               Avv. Zanon - Avv. Palumbo - Avv. Manzi 

 

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