Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 18 gennaio 2012 (della Regione Veneto). 
 
    (GU n. 9 del 29.02.2012 ) 



    Ricorso della Regione  Veneto,  in  persona  del  Presidente  pro tempore della Giunta regionale,  autorizzato  mediante  deliberazione della Giunta stessa del 20 dicembre 2011, n.  2256,  rappresentata  e difesa, come da procura speciale a margine del presente  atto,  dagli avvocati prof. Mario  Bertolissi  del  Foro  di  Padova,  Ezio  Zanon Coordinatore  dell'Avvocatura  regionale,   Daniela   Palumbo   della Direzione affari legislativi regionale e  Luigi  Manzi  del  Foro  di Roma, presso quest'ultimo domiciliata  in  Roma,  alla  via  Federico Confalonieri n. 5, contro il Presidente del  Consiglio  dei  Ministri pro tempore, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, alla via  dei Portoghesi   n.   12,   per   la   declaratoria   di   illegittimita' costituzionale:
        a) dell'art. 33, comma 16, della legge 12 novembre  2011,  n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2012)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 14 novembre 2011 -  S.O.  n.  234,  per violazione degli artt. 3, 97, 30, 33, 34, 117, 118, 119,  120  Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli artt.  5  e 120, comma 2 Cost., e, per quanto di competenza e  ove  occorra,  dei seguenti parametri interposti: art. 138  del  d.lgs.  1998,  n.  112;  legge 5 maggio 2009, n. 42; legge 10 marzo  2000,  n.  62;  legge  28 marzo 2003, n. 53; d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59; d.lgs.  16  aprile 1994, n. 297.
        b) dell'art. 30, comma 5, della legge 12  novembre  2011,  n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2012)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 14 novembre 2011 -  S.O.  n.  234,  per violazione degli artt. 117, 119, 123 Cost.

                           Fatto e Diritto

    1. In data 14 novembre 2011 e' stata pubblicata,  nella  Gazzetta ufficiale n.  234,  la  legge  12  novembre  2011,  n.  183,  recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale dello Stato (Legge  di  stabilita'  2012)».  Nell'ambito  del  citato provvedimento  normativo,  la  Regione  Veneto  ha  individuato   due disposizioni lesive di proprie prerogative costituzionalmente sancite e tutelate, nonche'  numerosi  altri  profili  di  contrasto  con  il dettato  costituzionale,  che  ridondano   in   altrettante   lesioni
dell'autonomia regionale.
    Per questo la  ricorrente  si  rivolge  a  codesta  ecc.ma  Corte costituzionale   affinche'   intervenga   ripristinando   la    piena conformita' a Costituzione.
    2. Profili di illegittimita' costituzionale dell'art.  33,  comma 16, della legge 12 novembre 2011, n. 183.
    2.1. Dispone l'art. 33, comma 16, legge cit. n. 183/2011 che «per le finalita' di  cui  all'articolo  1,  comma  635,  della  legge  27 dicembre 2006, n. 296 [i.e. «al fine di dare il  necessario  sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell'ambito  del
sistema nazionale di istruzione»], e all'articolo 2, comma 47,  della legge 22 dicembre  2008,  n.  203  [i.e.  per  la  realizzazione  del «programma di interventi in materia di istruzione], e' autorizzata la spesa di 242 milioni di euro per l'anno 2012» e che un tanto  e'  «da destinare prioritariamente alle scuole dell'infanzia»".
    Sennonche' e' con riferimento in generale alla scuola paritaria e soprattutto con riguardo alle scuole paritarie dell'infanzia operanti nel   territorio   veneto   che   tale   disposizione   appalesa   le illegittimita' di cui al prosieguo.
    2.2. La disposizione gravata, come si e' rammentato,  prevede  un (recte: «il») finanziamento  a  favore  della  scuola  paritaria,  da destinarsi prioritariamente alle scuole dell'infanzia.
    Si e', dunque, nell'ambito di un settore, quello  dell'istruzione (ed in particolare del grado di istruzione dell'infanzia), in cui  si intersecano una pluralita' di competenze legislative. 
    Il  riferimento  e',  innanzitutto,  alla  potesta'   legislativa statale esclusiva in materia di «norme generali sull'istruzione»,  di cui all'art. 117, comma 2,  lett.  n),  Cost.,  nell'esercizio  della quale il Parlamento nazionale definisce «la  struttura  portante  del
sistema   nazionale   di   istruzione»   da   applicarsi   «in   modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la  sostanziale parita' di trattamento tra gli  utenti  che  fruiscono  del  servizio d'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale),  nonche' la liberta' di istituire scuole e la parita' tra le scuole statali  e non statali in possesso dei requisiti di  legge»  (cfr.  Corte  cost. sent. n. 200 del 2009).
    Competenza legislativa che, poi, e'  quella  gia'  evocata  nella prima parte della Carta, all'art. 33, comma 2, laddove si impegna  la Repubblica  a  dettare  le  «norme  generali  sull'istruzione»  e  ad «istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi», e, ai  commi 3 e 4, attribuendo nel contempo ai privati il  diritto  di  istituire scuole paritarie aventi  pari  dignita'  con  quelle  di  istituzione statale.
    Conformemente, codesta Corte ha puntualmente  rilevato  «come  il legislatore costituzionale abbia inteso individuare gia' negli  artt. 33 e 34 della Costituzione le caratteristiche  basilari  del  sistema scolastico, relative: a) alla istituzione di  scuole  per  tutti  gli ordini e gradi (art. 33, secondo comma, Cost.); b) al diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione,  senza  oneri per lo Stato (art. 33, terzo comma Cost.); c) alla parita' tra scuole statali e non statali sotto gli aspetti della loro piena  liberta'  e dell'uguale trattamento degli alunni (art. 33, quarto comma,  Cost.);
d) alla necessita' di un esame di  Stato  per  l'ammissione  ai  vari ordini e gradi di scuola o per  la  conclusione  di  essi  (art.  33, quinto comma, Cost); e) all'apertura delle scuola a tutti  (art.  34, primo  comma,   Cost.);   f)   alla   obbligatorieta'   e   gratuita' dell'istruzione inferiore (art. 34,  secondo  comma,  Cost.);  g)  al diritto degli alunni capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi piu' alti degli  studi  (art.  34,  terzo  comma,
Cost.); h) alla necessita' di rendere effettivo quest'ultimo  diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre  provvidenze,  che devono essere attribuite per concorso (art. 34, quarto comma, Cost.)» (v. sent. ult.  cit.  punto  21  del  Considerato  in  diritto).  Per
concludere  che  «dalla  lettura  del   complesso   delle   riportate disposizioni costituzionali si ricava, dunque, una chiara definizione vincolante - ma ovviamente non tassativa - degli ambiti riconducibili al 'concetto' di 'norme generali sull'istruzione'. In altri  termini, il  legislatore  costituzionale  ha   assegnato   alle   prescrizioni contenute nei citati artt. 33 e 34 valenza  necessariamente  generale ed unitaria che identifica un  ambito  di  competenza  esclusivamente statale».
    Non trascurabile e', poi, ovviamente, la  competenza  legislativa concorrente in punto di «istruzione», prevista all'art. 117, comma 3, Cost. In relazione ad essa, come codesta ecc.ma Corte ha  avuto  modo di  chiarire  di  recente,  allo  Stato  spetta  dettare  i  principi fondamentali, ossia le «norme che, nel  fissare  criteri,  obiettivi, direttive  o  discipline,  pur  tese  ad  assicurare  l'esistenza  di elementi di base comuni  sul  territorio  nazionale  in  ordine  alle modalita' di fruizione del servizio di istruzione, da  un  lato,  non sono  riconducibili  a  quella  struttura  essenziale   del   sistema d'istruzione che  caratterizza  le  norme  generali  sull'istruzione, dall'altro, necessitano per la loro attuazione (non gia' per la  loro semplice esecuzione) dell'intervento  del  legislatore  regionale  il quale deve conformare  la  sua  azione  all'osservanza  dei  principi fondamentali stessi» (sempre in Corte cost. sent. n. 200 del 2009).
    E' evidente, inoltre, che la disposizione impugnata puo'  trovare collocazione  anche  nell'ambito  materiale  dell'armonizzazione  dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica, prevista quale competenza concorrente dall'art. 117, comma 3,  Cost.  Infatti, ai  sensi  della   giurisprudenza   di   codesta   Corte,   ai   fini dell'identificazione  della  materia  nella  quale  si   colloca   la normativa volta per volta impugnata e' «necessario  fare  riferimento all'oggetto della disciplina (...) tenendo conto  della  sua  ratio», qui evidentemente quella di finanziare  un  servizio  pubblico  (cfr. Corte cost. sent. n. 326 del 2010).
     
    Senza dire, infine, che la materia dei contributi alle scuole non statali, gia' prima della novella costituzionale del 2001, era  stata delegata dallo Stato alla Regioni dal d.lgs. n. 112/1998  (cfr.  art. 138, primo comma, lett. e).
    Tanto rappresentato sul piano delle  competenze  legislative,  e' necessario evidenziare che l'istruzione  conta  su  un  finanziamento plurimo   al   quale   concorrono,   ciascuno   secondo    competenze differenziate e con dotazioni  finanziarie  afferenti  ai  rispettivi bilanci, lo Stato, le Regioni e gli enti locali.
    Si  focalizzi  l'attenzione  sul  finanziamento  proveniente  dal livello di governo centrale.
    Nonostante un processo  -  lento  negli  anni  -  di  tendenziale decentramento  della  materia  «istruzione»,  dallo  Stato  verso  le Regioni (dapprima avvenuto  con  la  delega  e  il  trasferimento  di funzioni  amministrative  e  poi  con  la  previsione  di  competenze
normative in capo  alle  Regioni),  al  quale  ha  fatto  seguito  la previsione, in ambito  regionale,  di  stanziamenti  al  settore,  il servizio dell'istruzione e'  da  sempre  finanziato  dallo  Stato.  A quest'ultimo, infatti, compete il finanziamento  delle  funzioni  sue proprie (di cui si e' detto poco sopra e a cui vanno aggiunte  quelle specifiche di programmazione, come chiarito da Corte cost.  sent.  n. 200 del 2009), oltre che la predisposizione di risorse finanziarie in grado di sostenere - ove non implementare - il sistema (appositamente definito) «nazionale» di  istruzione,  che  costituisce  un  servizio
pubblico  essenziale  (cfr.  Corte  cost.  sent.  n.  13  del   2004, riprendendo la definizione contenuta, «non a caso», nell'art. 1 della legge n. 146 del 1990).
    E' la stessa Corte (tra  l'altro  proprio  con  riferimento  alle scuole dell'infanzia)  a  definire  i  finanziamenti  regionali  come «aggiuntivi» rispetto a quelli statali (cosi' Corte cost. sent. n. 34 del  2005),  che,  dunque,  costituiscono  la  principale  fonte   di
sostentamento del sistema.
    2.3. Come si e' anticipato, l'interesse della Regione  Veneto  al ricorso riguarda in generale tutte le scuole paritarie di ogni ordine e grado presenti  sul  suo  territorio,  con,  tuttavia,  particolare riferimento al tipo della scuola paritaria dell'infanzia.
    Con riguardo, in generale, al ruolo della  scuola  paritaria  nel sistema nazionale di educazione-istruzione e al suo rapporto  con  la scuola statale, ovviamente, i presupposti giuridici  da  assumere  in premessa sono: a) che le  scuole  paritarie,  private  e  degli  enti locali, costituiscono,  insieme  alle  scuole  statali,  il  servizio nazionale di istruzione; b) che esse svolgono un servizio qualificato come oggettivamente pubblico (v. art. 1, legge 10 marzo 2000, n. 62).
In breve le scuole paritarie non potrebbero «non concorrere,  con  le scuole statali e degli enti locali, al perseguimento di quello che la stessa legge definisce 'obiettivo prioritario della Repubblica', vale a  dire  'l'espansione  della  offerta  formativa  e  la  conseguente
generalizzazione della domanda d'istruzione dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita'» (cosi' in Corte cost. sent. n. 42 del 2003).
    Quanto, specificamente, alla scuola paritaria dell'infanzia,  non residua  oramai  alcun  dubbio  circa  la  sua  natura   propriamente «scolastica» (e  non  assistenziale)  e,  quindi,  la  sua  afferenza all'ambito competenziale dell'istruzione.
    Ed invero, l'evoluzione della scuola dell'infanzia  (gia'  scuola materna), da istituzione con finalita' caritativo-assistenziali e  di custodia (i cosiddetti asili d'infanzia) ad istituzione di  carattere scolastico-educativo, si  e'  svolta  sotto  l'influenza  delle  piu' attente teorie pedagogiche ed e'  stata  progressivamente  registrata dal legislatore: a partire dalla riforma Gentile,  si  abbandono'  il termine «asilo» per il termine «scuola»; successivamente, si colloco' la scuola materna  nell'alveo  dell'istruzione,  qualificandola  come scuola di grado preparatorio (v. artt. 99 e 331 del t.u. n. 297/1994, che riproducono disposizioni del 1968);  infine,  e  sono  le  ultime riforme, si e' previsto che con la scuola dell'infanzia abbia  inizio la  prima  articolazione  del  sistema  educativo  di  istruzione   e
formazione (v. l'abrogata legge n. 30/2000 sub artt. 1 e 2  e  l'art. 2, comma 1, lett.  e)  legge  n.  53/2003,  secondo  cui  «la  scuola dell'infanzia, di durata triennale, concorre  all'educazione  e  allo sviluppo affettivo,  psicomotorio,  cognitivo,  morale,  religioso  e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialita' di relazione, autonomia, creativita', apprendimento ...»).
    Dunque, la scuola dell'infanzia, ai  sensi  di  legge,  e'  parte integrante del sistema d'istruzione nazionale, costituendo  la  prima occasione davvero formativa dei fanciulli.
    2.4. Qualche dato relativo alla presenza della  scuola  paritaria nel Veneto sara' utile a calare l'ordine delle questioni nel corretto contesto giuridico-fattuale.
    Stando alla relazione dell'Ufficio scolastico regionale (doc.  2) nell'a.s. 2010/2011 «funzionano nel Veneto 1.459 scuole paritarie  di ogni ordine e grado». Esse sono frequentate  da  124.288  alunni.  «A costituire la popolazione di alunni 'paritari'  concorrono  in  larga misura le scuole dell'infanzia, che  formano  la  grande  maggioranza nell'insieme delle istituzioni  scolastiche  paritarie.  Tali  scuole sono infatti 1.183 e da sole `pesano'(come unita' scolastiche) per il 76,37 nell'ambito dell'istruzione non statale  veneta...  Esse  sono diffuse capillarmente sul territorio, tanto da costituire in parecchi comuni del Veneto l'unico servizio presente  per  l'infanzia;  ma  si ritrova, di converso, che in alcuni Comuni e' presente solo la scuola dell'infanzia statale, cosicche' le due scuole,  la  paritaria  e  la statale,  trovano  nel  nostro  territorio   regionale   un'effettiva integrazione quali  strumenti  a  servizio  di  un  medesimo  sistema educativo pubblico. I bambini sono 93.802 e costituiscono  il  75,47 di tutti gli alunni delle scuole paritarie, nell'arco  dai  3  ai  19 anni. Le scuole dell'infanzia paritarie accolgono i 2/3  (67,03)  di tutta la popolazione scolastica in eta' 3-6 anni del Veneto,  che  e' di 139.950 bambini» (v. il gia' citato doc. 2).   
Le scuole dell'infanzia paritarie operano in 464  Comuni  su  581 totali del Veneto. Sono presenti in modo esclusivo in 269 Comuni.  Le scuole dell'infanzia statali sono presenti in modo  esclusivo  in  99 Comuni.
    Nel panorama nazionale tutto cio' costituisce un unicum.
    Secondo i dati rielaborati dalla F.I.S.M.  (Federazione  italiana scuole materne), nessun'altra Regione puo' vantare  un  rapporto  fra scuole dell'infanzia paritarie e statali di  simili  proporzioni  (v. doc. 3). Basti pensare che la media nazionale evidenzia che «solo» il 39,31  dei  bambini  in  eta'  3-6   anni   frequenta   una   scuola dell'infanzia  paritaria,  assestandosi  su  percentuali  del  20-30 soprattutto nell'Italia centro meridionale e  abbondantemente  al  di sotto del 60 anche in Lombardia ed Emilia-Romagna,  le  due  Regioni piu' vicine all'esperienza veneta.
    Se, infine, si tiene presente che il costo  bambino/anno  che  lo Stato sostiene  e'  di  euro 2.934,10  per  la  frequenza  della  scuola paritaria gestita  dai  privati,  di   5.120,00  per  la  paritaria comunale e di 7.504,00 per la scuola statale,  e'  facile  concludere che per le casse dello Stato vi sarebbe un aggravio di spesa di quasi 6 miliardi di euro se dovesse farsi carico  integralmente  dell'oltre un milione di studenti che ha scelto la scuola paritaria in luogo  di quella statale.
    Con riguardo alla scuola dell'infanzia,  lo  Stato,  grazie  alla presenza delle istituzioni paritarie, risparmia, solo in Veneto,  544 milioni di euro l'anno (cfr. doc. 3).
    Si tratta evidentemente di dati che, nella drammatica contingenza economico-finanziaria  in  cui  versa  la  Repubblica,  non   possono continuare  ad  essere  pretermessi  misconoscendo  il  loro  rilievo essenziale per un corretto ragionamento, non solo economico, ma anche giuridico.
    Va, infatti, osservato, fin d'ora,  che  i  cittadini  «hanno  il diritto a che i proventi del prelievo fiscale vengano  impiegati,  in ragione della loro scarsita', per esigenze effettive; il che  non  si verificherebbe di certo nell'ipotesi di duplicazione delle  strutture pubbliche rispetto a  quelle  private  esistenti  (...).  Una  simile espansione della spesa nel campo  dell'istruzione  comporterebbe  una contrazione automatica di altre voci di spesa relative ad  interventi comunque satisfattivi di diritti  costituzionalmente  garantiti»  (M. Bertolissi, Scuola privata e finanziamento pubblico: un  problema  da riconsiderare, in diritto e societa', 1985, 555).
    2.5. Passando a considerare l'aspetto piu' strettamente economico del fenomeno, fino al 2010 i contributi posti in bilancio  in  favore delle scuole paritarie (in un unico capitolo e sempre da  distribuire secondo  un   criterio   di   poziorita'   favorevole   alle   scuole dell'infanzia), ammontavano a 539 milioni di  euro  (pari  allo  0,6 dell'intera  spesa  per  l'istruzione),   sostanzialmente   invariati nell'importo da una decina d'anni (da undici anni  per  l'esattezza).
Tale assenza di flessibilita'  e  adeguamento  al  costo  della  vita accollava,  gia'  di  per  se  stessa,  al  gestore  non  statale  il progressivo  incremento  dei  costi  fissi  di  gestione  conseguente all'inflazione.
    Nel bilancio preventivo per  il  2011  (legge  n.  221/2010),  le risorse venivano quantificate in 245 milioni  di  euro  a  titolo  di «rifinanziamento del programma di interventi di cui all'art. 2, comma 47, della legge 22 dicembre 2008, n. 203» (v. allegato 1 alla  legge, elenco 1), in aggiunta allo stanziamento di 281 milioni di euro  gia' previsto nel programma di bilancio triennale 2009-2011.
    Tale somma, dunque, per  un  verso,  risultava  inferiore  di  13 milioni di euro rispetto a quella «storica»  degli  anni  precedenti, per l'altro - circostanza quest'ultima ancor piu'  destabilizzante  - veniva  subordinata  alla  vendita  delle  frequenze  televisive  del digitale terrestre. Essa veniva  esposta,  cosi',  alla  possibilita' (contemplata dall'art. 1, comma 13, e,  in  concreto  poi  inverata), che, in ipotesi di scostamenti rispetto alla  previsione  di  entrata alla data del 30 settembre 2011, il «Ministro dell'economia  e  delle finanze [provvedesse], con proprio decreto, alla  riduzione  lineare, fino alla  concorrenza  dello  scostamento  finanziario  riscontrato, delle dotazioni finanziarie ... nell'ambito delle spese  rimodulabili ...». In altre parole, il contributo,  gia'  ridotto  di  13  milioni rispetto agli anni precedenti, veniva ulteriormente tagliato del 10, facendo cosi' mancare alle scuole paritarie (il 10 dei  281  milioni di euro cioe') altri 28.304.555,00 di euro.
    Per altro verso, va ricordato che, al momento in cui  si  scrive, dei contributi iscritti a bilancio, nel  corso  del  2011,  solo  una parte e' stata concretamente  versata  (ad  aprile  veniva,  infatti, disposta la ripartizione  di  167.917.727,00,  pari  a  8/12  dello
stanziamento: cfr. decreto n. 5 del 1° aprile 2011  e  nota  MIUR  n. 2453 del 7 aprile 2011 sub. doc. 4) e solo ad ottobre si  e'  risolta positivamente la querelle sulla stessa debenza, per il 2011, dei  245 milioni iscritti a bilancio, senza tuttavia  che  si  sia  provveduto alla loro erogazione (il 13 ottobre si e' appreso che  la  Conferenza Stato-Regioni ha espresso parere favorevole allo  schema  di  decreto relativo allo «sblocco» dei 245 milioni di euro assegnati al capitolo del MIUR per l'anno scolastico  2010-2011:  cfr.  circ.  min.  del  7 settembre a firma del direttore generale).
    Ebbene, l'anodina formulazione del qui gravato art. 33, comma 16, legge cit. n. 183/2011 e' fatalmente destinata a rinnovare, se non ad aggravare, le incertezze del precedente anno scolastico e a diventare il nuovo teatro di lotte fra il mondo della scuola  paritaria  ed  il Ministero, con la prima costretta a  «elemosinare»  il  dovuto  e  il secondo a concederlo a  data  incerta  e  quasi  fosse  un  beneficio ottriato: con buona pace dei principi del pluralismo e della  parita' scolastica, del servizio (oggettivamente)  pubblico  declinato  dalle scuole paritarie in genere, del servizio in grande  parte  (non  gia' alternativo,   bensi')   sostitutivo   che   le   scuole    paritarie dell'infanzia svolgono in Veneto a colmare piu' di quaranta  anni  di latitanza statale.
    Alla luce di tale esperienza passata  e  della  specificita'  del proprio tessuto scolastico,  di  tale  disposizione  in  particolare, soprattutto con riguardo, fra  tutte,  alla  posizione  delle  scuole paritarie dell'infanzia, la Regione Veneto lamenta:
        a)  l'assenza  di  un  diretto  raccordo  con  la  previsione iscritta nel bilancio di previsione triennale, cosi' che da essa  non e' dato evincere con chiarezza (o, se si preferisce, cosi' che vi  e' assoluta incertezza) se  si  tratti  di  somma  aggiuntiva  rispetto,
appunto, allo stanziamento previsto nella manovra triennale  (di  281 milioni di euro) oppure dello stanziamento complessivo  previsto  per tutto il 2012;
        b) nella denegata  ipotesi  che  essa  rappresenti  la  cifra complessiva, l'assoluta  irragionevolezza  del  taglio,  che  non  ha eguali in nessun altro comparto pubblico (sarebbe pari al 55,1 dello stanziamento storico!);
        c)  l'assenza  di  tempi  certi  in  ordine  all'effettiva  e tempestiva erogazione dei fondi onde evitare l'altrimenti  necessario ricorso all'indebitamento da parte delle scuole paritarie o  la  loro definitiva chiusura;
        d) il mancato riconoscimento, nella destinazione delle somme, della specificita' delle scuole dell'infanzia  paritarie  del  Veneto laddove  esse  costituiscono  le  uniche  strutture  scolastiche  per l'infanzia presenti sul territorio in assenza di quelle statali.
    Tutto cio' in spregio a precisi valori costituzionali nei termini di cui alle censure di seguito esposte.
    2.6.  -  La  disposizione,  cosi'  come  e'   formulata,   viola, anzitutto, gli articoli 33  e  34  Cost.  e,  quoad  effectus,  anche l'articolo 30 Cost.
    Come noto,  l'art.  33  Cost.,  mentre,  da  un  lato,  onera  la Repubblica di istituire «scuole statali per  tutti  gli  ordini  e  i gradi», dall'altro, attribuisce ai privati il  diritto  di  istituire proprie scuole e il diritto di  ottenere  la  parita'  e,  con  essa, l'equipollenza del trattamento scolastico fra gli alunni delle scuole paritarie e gli alunni delle scuole statali. E', questo, il cuore del principio pluralistico della liberta' della scuola. La scuola privata
(paritaria e non paritaria) ha il diritto di  esistere  accanto  alla scuola pubblica: e un tanto decreta la fine  della  legittimita'  del monopolio statale  in  campo  scolastico  e  l'inizio  della  parita' giuridica delle scuole, indipendentemente dal  soggetto,  pubblico  o privato, che le istituisce e le gestisce.
    Codesta Corte, fin dal 1958,  ha  precisato,  ed  in  seguito  ha ribadito, che con l'art. 33 «il Costituente ha  inteso  consentire  a privati e ad enti di perseguire quella stessa finalita' cui lo  Stato indirizza attraverso l'istituzione di scuole statali di ogni ordine e grado: vale a dire  l'istruzione,  mediante  il  libero  insegnamento dell'arte e della scienza» (sent. n. 180 del 1988: si  tratta  di  un orientamento da far risalire gia' alla sentenza n. 36 del 1958).
    Secondo la dottrina, non e' piu'  esatto  parlare  di  istruzione pubblica o privata, perche' «pubbliche o private invero sono soltanto le scuole a seconda che ad esse provveda lo Stato ovvero  i  privati, mentre l'istruzione resterebbe sempre la stessa: un'attivita' che  ha
una sua utilita' sociale (...), che soddisfa in  ogni  caso  un  fine sociale» (U. Pototschnig, Insegnamento, istruzione, scuola, in  Giur. cost., 1961, 420-421), al cui  raggiungimento  sono  interessati  non solo lo Stato, ma tutti i  soggetti  dell'ordinamento,  «un'attivita' che e' servizio pubblico» (G. B. Verbari, Momenti di autorita'  nella liberta' di istituire  scuole,  in  Giur.  cost.,  1966,  2004),  che «rappresenta una funzione  dello  Stato  sociale»  (Cosi'  G.  Rolla, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1992, 334); anche la  scuola privata puo' svolgere il servizio della pubblica istruzione dove  per «pubblica» non si intende di Stato, ma servizio  reso  nell'interesse della  collettivita',  ordinato,  attraverso  norme  generali,  dalla Repubblica (S. De Simone, Sistema del diritto scolastico,  op.  cit.,
175).
    La  giurisprudenza  non  ha  tardato  ad  allinearsi  su   queste posizioni:  la  cassazione  ha  presto  consolidato  l'opinione   che «l'istruzione scolastica  non  costituisce  una  finalita'  riservata esclusivamente allo Stato, stando  il  disposto  dell'art.  33  della Costituzione, che attribuisce  il  diritto  di  istituire  scuole  ed istituti di educazione a privati ed enti»  (v.  Cass.,  ss.  uu.,  22 dicembre 1962, n. 3424, in Riv. giur. scuola, 1963, 866 e Cass.,  ss. uu., 6 maggio 1963, n. 1105, ivi, 1965, 215).
    E, finalmente, tale  percorso  ermeneutico  e'  stato  portato  a compimento anche dal legislatore ordinario con la legge sulla parita' scolastica, la legge n. 62/2000. A proposito di tale  legge,  codesta Corte,  in  sede  di  giudizio  di  ammissibilita'   della   proposta referendaria diretta a manipolarne il contenuto  cosi'  da  espungere dal sistema nazionale le scuole paritarie private (non  quelle  degli enti  locali),  ha  messo   in   luce   l'intima   contraddittorieta' dell'iniziativa, posto che «le scuole paritarie, che, per effetto  di
una pronuncia popolare, si vorrebbero escludere dal sistema nazionale di  istruzione,  ne  costituirebbero  invece  parte  integrante  alla stregua della disciplina piu' dettagliata  che  non  e'  toccata  dal quesito referendario» (cosi' sent. n. 42 del 2003).
    Cio' significa che, alla luce di quanto dispongono il secondo  ed il terzo comma dell'art. 33, e' necessaria la presenza sul territorio tanto della scuola  statale  quanto  di  quella  paritaria  cosi'  da rendere possibile  «l'opposizione  costituzionalmente  garantita  tra modelli [pubblico e  privato]  che  realizzano  il  pluralismo  delle istituzioni e il pluralismo nella istituzione» (A.  Mattioni,  Scuola pubblica e scuola privata, in Dig. disc. pubbl., VIII, Torino,  1997, 634; E. Minnei, Scuola pubblica e scuola privata. Gli  oneri  per  lo Stato, II, Torino, 467-480).
    D'altronde, il  concorso  fra  la  scuola  statale  e  la  scuola paritaria e' necessario (e non puo' essere meramente eventuale) anche perche'   sia   concretamente   garantito   il    diverso    precetto costituzionale della liberta' di scelta del modello di  educazione  e
di istruzione espressamente riconosciuto  ai  genitori  (v.  art.  30 Cost.): il  diritto  di  scelta  della  scuola,  appunto,  presuppone l'esistenza di un sistema scolastico pluralista che dia vita  ad  una varieta' di opzioni sulle quali possa cadere la preferenza e rispetto alle quali il diritto possa essere in concreto esercitato.
    Donde  l'incostituzionalita'  in  parte  qua   della   legge   di stabilita' che, a causa dell'entita'  del  taglio  dei  contributi  e dell'assoluta  incertezza  sulle  modalita'  della  loro   erogazione (nell'an, nel quantum, nel quando, nel quomodo), lungi  dal  favorire
la vita delle scuole paritarie presenti  sul  territorio,  la  mette, invece, seriamente a rischio.
    E cio' e' tanto piu' grave ove si osservi che  la  previsione  di legge riguarda anche (senza differenziarne la  posizione)  le  scuole dell'infanzia  paritarie,  le   quali,   oltre   a   dover   esistere costituzionalmente accanto alle scuole  statali,  spesso  nel  Veneto sono in realta' le  uniche  a  svolgere  il  servizio  che  lo  Stato dovrebbe garantire e non  garantisce  nella  perdurante  inattuazione della legge  n.  444/1968,  con  la  quale  avrebbero  dovuto  essere istituite le scuole materne statali.
    Cio'  in  patente  contraddizione,  non  solo  logica  ma   anche giuridica, rispetto all'istituto ab immemorabili della c.d. «scuola a sgravio».
    Le scuole a sgravio erano, infatti, nate proprio per  alleggerire la Repubblica dal dovere di provvedere all'organizzazione  scolastica sul territorio, consentendo alla stessa di servirsi  delle  strutture istituite dai privati «a sgravio totale  o  parziale  degli  obblighi
delle amministrazioni scolastiche o dei comuni» (v. art. 95, r.d.  n. 577/1928 e artt. 156-161, r.d. n. 1297/1928).
    In quest'ottica la norma gravata e'  incostituzionale  sia  nella parte in cui denuncia l'inerzia dello Stato, sia nella parte  in  cui determina  l'interruzione  del   servizio   essenziale   svolto,   in supplenza, dalle scuole dell'infanzia paritarie.
    D'altro  canto,  la  disposizione  impugnata,  per  gli   effetti concreti  che  essa  produce   nel   territorio   veneto,   impedisce l'attuazione del principio costituzionale che vuole che la scuola sia «aperta a tutti» (art. 34 Cost). L'assenza, il ritardo, l'incertezza, o la modestia del contributo pubblico costringono all'imposizione  di rette  di  frequenza  che  si  traducono  in   altrettante   barriere d'ingresso al servizio. Con inaccettabili effetti discriminatori.
    2.7. Risulta, poi, violato, l'art. 117 Cost.
    E'  evidente  che   le   previsioni   legislative   statali   che stabiliscono finanziamenti di tal fatta si pongono in  contrasto  con le precise disposizioni costituzionali che rimettono allo  Stato  una responsabilita'  in  materia  di  istruzione  per  nulla   secondaria
rispetto a quella delle Regioni.
    Il  riferimento  e',  ovviamente,  come  gia'   ricordato,   alla competenza  statale   esclusiva   in   punto   di   «norme   generali sull'istruzione» (art. 117, comma 2, lett.  n),  Cost.)  e  a  quella concorrente in materia di «istruzione» (art. 117, comma 3, Cost.); ma
anche  a  quella,  del  pari  ripartita  tra  Stato  e  Regioni,  per l'«armonizzazione dei bilanci pubblici e la finanza pubblica» (sempre art. 117, comma 3, Cost.).
    Non trascurabile, infine, appare la responsabilita'  del  livello di governo centrale come garante ultimo dell'erogazione effettiva dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio  nazionale e a cui rimanda l'art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
    L'inattuazione   dei   citati    obblighi    costituzionali    e' particolarmente evidente ove  si  consideri  specificamente  il  caso della scuola paritaria dell'infanzia nel Veneto. Riconosciuto che  le «norme generali sull'istruzione» (v. legge n.  53/2003  e  d.lgs.  n.
59/2004) prevedono che la scuola dell'infanzia costituisca  il  primo «ordine»  del  sistema  nazionale  d'istruzione  e  che   le   scuole dell'infanzia paritarie concorrono con pari  dignita'  rispetto  alle statali a costituire il sistema nazionale d'istruzione (v.  legge  n.
62/2000), la disposizione impugnata e' illegittima nella parte in cui non garantisce le condizioni  minime  di  esistenza  di  un  servizio pubblico essenziale.
    2.8. Il sopra descritto sistema di erogazione di risorse  statali in favore delle scuole paritarie  (per  l'infanzia  in  particolare), inoltre, si pone in diretto contrasto con i principi di cui  all'art. 119 Cost.
    Sancita l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa di  Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni (comma 1),  e  chiarito  che detti enti possono contare su risorse autonome,  tributi  ed  entrate propri e compartecipazioni al gettito di tributi erariali (comma  2), nonche' su un fondo perequativo dello Stato  (comma  3),  l'art.  119 cost. pone il principio dell'integrale finanziamento  delle  funzioni pubbliche attribuite a detti enti (comma 4, in primis, e comma 5).
    In sostanza, la previsione di cui all'art. 119 cost.  impone  che le funzioni attribuite (per quanto qui  interessa)  alle  Regioni  si finanzino mediante le entrate di cui queste possono contare ai  sensi dell'art.  119,  comma  1,  2  e  3,  Cost.  Il  che  presuppone   la
«corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche all'esercizio  delle quali esse sono preordinate» (per  riprendere  codesta  ecc.ma  Corte nella sent. n. 326 del 2010). Nel caso di specie, quindi, le  Regioni dovrebbero essere dotate di risorse tali da riuscire  ad  erogare  le prestazioni in ambito di istruzione,  se  non  altro,  per  la  parte riferibile alla propria competenza  (cfr.  art.  138  del  d.lgs.  n. 112/1998).
     
    Nella perdurante inattuazione  dell'art.  119  Cost.,  pero',  le Regioni non hanno mezzi sufficienti e,  dunque,  diventa  ancor  piu' importante che il finanziamento di competenza statale sia in grado di intervenire non lasciando scoperto un settore in cui  sono  implicati
«diritti costituzionali incomprimibili» (cosi' in Corte cost.  n.  13 del 2004, ma il medesimo concetto e' espresso nelle sentt. n. 370 del 2003  e  n.  34  del  2005.  Sulla  relazione  tra   norme   generali sull'istruzione e diritti inviolabili della persona,  v.  gia'  Corte cost., sent. n. 215 del 1987).
    E' lo Stato ad averne contezza, tanto che  con  legge  dispone  i contributi,  pur  tenendo  «fermo  il  rispetto   delle   prerogative regionali in materia di istruzione scolastica» (cfr.  art.  1,  comma 47, legge 203/2008 - legge finanziaria per il 2009).
    La disposizione normativa impugnata, inoltre, come gia'  esposto, si presenta, sotto piu' profili, non chiara. Non  e'  dato,  infatti, evincere con certezza: a) se si tratti di un finanziamento aggiuntivo rispetto alla posta prevista nel bilancio pluriennale;  b)  come  mai non vengano differenziate le realta' regionali nelle quali la  scuola paritaria  svolge  un  servizio  sostitutivo  della  scuola   statale (secondo il tradizionale criterio della  scuola  a  sgravio);  e,  in considerazione del fatto, che si tratta di un'unica e indistinta voce di finanziamento, c) sulla base di quali criteri tali  somme  saranno ripartite tra le Regioni; d)  quale  priorita'  sara'  effettivamente data  alle  scuole  dell'infanzia,  ossia  quale  quota  sara'   loro destinata. E tutto questo senza neppure paventare problemi e  ritardi nella concreta erogazione delle somme, che piu' che una  probabilita' costituiscono, stante l'esperienza  degli  ultimi  anni,  un'assoluta certezza.
    Come codesta ecc.ma Corte ha  avuto  modo  di  chiarire,  in  una vicenda  per  molti  aspetti  analoga  a  questa   (in   materia   di finanziamento  statale  alle  comunita'  montane),  una  disposizione normativa che non consente di verificare  l'ammontare  effettivo  del finanziamento e la destinazione concreta delle risorse statali  messe a disposizione «viola  i  principi  di  certezza  delle  entrate,  di affidamento e di corrispondenza  tra  risorse  e  funzioni  pubbliche all'esercizio  delle   quali   esse   sono   preordinate,   palesando un'intrinseca irragionevolezza della normativa  impugnata,  oltre  ad impedire una realistica valutazione  degli  effetti  della  normativa stessa sull'autonomia finanziaria delle Regioni»  (cfr.  Corte  cost. sent. n. 326 del 2010). Essa risulta - prosegue la Corte - in  palese «violazione dell'art. 119 Cost., in quanto  la  rilevata  genericita' della norma e' tale da impedire alle  Regioni,  nell'esercizio  della loro autonomia finanziaria,  di  riorganizzare,  in  modo  razionale, l'allocazione delle risorse disponibili e  pianificare  la  spesa  in sede locale» per permettere, nel caso  di  specie,  con  continuita', l'erogazione dei servizi di istruzione,  anche  e  soprattutto  della scuola dell'infanzia.
    Il pieno esercizio dell'autonomia finanziaria regionale, insomma, non puo' prescindere dall'individuazione certa dei finanziamenti  che lo Stato mette in campo per l'esercizio  delle  medesime  funzioni  e deve poter contare su una tendenziale stabilita'  del  quadro  stesso dello stanziamento, come e', per altro, oggi richiesto dalla legge di delega sul federalismo fiscale - legge 5 maggio 2009,  n.  42  -  che pone proprio la «certezza delle risorse e la  stabilita'  tendenziale del quadro di finanziamento» quale principio e criterio direttivo per il legislatore delegato (art. 2, comma 2, lett. ll)).
    Per mero tuziorismo, infine, si rileva che, se e'  vero  che  sul piano finanziario, in base al nuovo art. 119 Cost.,  di  regola,  non possano  trovare  spazio  interventi  dello  Stato  vincolati   nella destinazione  all'infuori  dall'ambito  delle  materie   di   propria competenza, e' altrettanto vero che il  predetto  divieto  non  opera quando sono comunque in gioco, o si sovrappongono a quelle regionali, competenze esclusive statali come nel caso de quo (v.  sentt.  n.  16 del 2004, n. 49 del 2004 e n. 33 del 2005).
    2.9. Ancora, la disposizione sub judice contrasta anche  con  gli art. 97 e 118 Cost.
    Una tale incertezza sul quadro dei finanziamenti non si limita  - a  tutta  evidenza  -   a   incidere,   menomandola,   sull'autonomia finanziaria della Regione, ma produce  invece  deleterie  conseguenze anche sotto il profilo  dell'organizzazione  e  dell'esercizio  delle
funzioni amministrative di competenza regionale.
    La Regione, infatti, non potendo contare su  un  quadro  certo  e tendenzialmente stabile di finanziamenti statali (e non potendo - ne' dovendo - far fronte in autonomia all'erogazione  di  prestazioni  in materia di istruzione), non e' in grado di programmare gli interventi per la scuola del proprio territorio.
    La situazione e' grave, al punto che, a seguito dell'approvazione della disposizione impugnata, Regione e  scuole,  soprattutto  quelle paritarie   dell'infanzia   (principalmente   mediante   le   proprie associazioni  di  categoria,  in  primis,  F.I.S.M.),  paventano   la chiusura di molte strutture e, dunque,  stante  la  peculiarita'  del Veneto, una significativa riduzione - per  alcune  zone  una  vera  e propria  interruzione  -  del  servizio  d'istruzione  offerto   alle famiglie. Riduzione o interruzione che puo' essere colmata solo da un finanziamento adeguato,  certo  e  stabile  proveniente  dal  livello centrale di governo, in attesa  dell'effettiva  attuazione  dell'art. 119 Cost., o dall'istituzione di scuole dell'infanzia dello Stato con tempi e costi inaccettabili.
    2.10. La disposizione legislativa impugnata  viola,  poi,  l'art. 118 Cost. sotto un altro e diverso profilo. Essa si pone, infatti, in contrasto con  i  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  ed adeguatezza che in esso sono espressi, ai quali  rimanda  l'art.  120
cost. (per il principio di sussidiarieta') e che sono,  tra  l'altro, funzionali al buon andamento della Pubblica amministrazione  ex  art. 97 Cost.
    L'attuazione di questi principi impone al  legislatore  nazionale di tenere in adeguato conto la peculiarita'  della  situazione  delle scuole paritarie, soprattutto per l'infanzia, del Veneto,  a  partire dalla  determinazione  in  ordine  alla  misura  e   alle   modalita' dell'erogazione delle risorse.
    Cosi', in effetti, non avviene normalmente e non e' avvenuto  nel caso di  specie.  La  previsione  normativa  impugnata  si  limita  a stanziare la somma di 242 milioni di euro per le scuole paritarie, in termini assoluti insufficiente allo  scopo,  e  a  dare  priorita'  a
quelle dell'infanzia,  senza  chiarire  come  queste  risorse  vadano distribuite e  senza  prendere  atto  delle  differenze  dei  diversi tessuti socio-economico-culturali delle Regioni destinatarie.
    2.11 Sembra  evidente,  infine,  che  la  previsione  legislativa impugnata, disponendo l'ennesimo finanziamento incerto e  inadeguato, sotto i diversi profili denunciati, si innesta e alimenta un contegno del  legislatore  statale,  in  punto  di  copertura  delle  esigenze finanziarie in materia di istruzione, che non  puo'  dirsi  in  alcun modo improntato a lealta' istituzionale  fra  i  livelli  di  governo implicati,  principio   questo   che   costituisce   una   differente declinazione del piu' noto  principio  di  leale  collaborazione,  al quale il legislatore ordinario stesso  si  e'  di  recente  vincolato approvando la legge 5 maggio 2009, n. 42 (il rimando e'  all'art.  2, comma 2, lett. b)).
    2.12. L'attribuzione ai privati di un  «vero  e  proprio  diritto soggettivo ad istituire  scuole  e  istituti  di  educazione»  (Corte cost., sent. n. 36 del 1958  relativamente  all'art.  33  Cost.);  il principio  della  liberta'  d'insegnamento  (art.  33,  primo  comma, Cost.); l'onere a carico della Repubblica di istituire scuole di ogni ordine e grado (art. 33 Cost.) l'aver figurato lo Stato come Stato di cultura (art. 9 Cost.)  e  rifiutato  l'imposizione  di  qualsivoglia educazione di regime con il conseguente impegno a promuovere tutte le
iniziative  pubbliche  e  private  che  contribuiscono  al  progresso formativo (V. E. Spagna Musso, Sulla legittimita'  costituzionale  di finanziamenti statali alle scuole  private,  in  Rass.  dir.  pubbl., 1965, 608); il riconoscimento dell'istruzione dei figli come  diritto dei genitori fondato sull'autonomia originaria della  famiglia  (art. 29 Cost.); il diritto di scelta della  scuola  (art.  30  Cost.);  il principio secondo cui la scuola deve essere «aperta a tutti» (art. 34 Cost.);  i  principi  dell'autonomia  legislativa,  amministrativa  e fiscale regionale (arti. 117, 118, 119),  uniti  al  generale  canone ragionevolezza e di buona amministrazione e al criterio  della  leale collaborazione   costituiscono   altrettanti   parametri   idonei   a dimostrare l'illegittimita' della disposizione impugnata:
        a)  nella  parte   in   cui   non   viene   raccordata   alla programmazione pluriennale e lascia il gestore della scuola paritaria in una condizione di oggettiva incertezza in ordine ai tempi  e  agli importi sui quali fare legittimo affidamento;
        b) laddove individui il contributo complessivo per il 2012 in appena 242 milioni di euro per tutta  la  scuola  paritaria,  perche' palesemente incongrua ed intrinsecamente irragionevole (disponendo un taglio lineare del 55,1  rispetto alla spesa storica);
        c) nella parte in cui misconosce lo sgravio di cui lo Stato e le altre Regioni beneficiano relativamente alle scuole  dell'infanzia paritarie venete che svolgono un servizio scolastico  sostitutivo  (e non alternativo) di quello statale di pari grado (totalmente  assente nonostante le previsioni di cui all'art. 33, comma 2,  Cost.  e  alla
legge n. 444/1968) con economie di sistema oggi irrinunciabili;
        d) nella parte in cui, disponendo la somma di 242 milioni  di euro in un unico e indistinto capitolo di spesa, non differenzia, nel trattamento economico le diverse realta' regionali. 
    Per tali profili di illegittimita', si chiede pertanto alla Corte di voler acclarare e dichiarare l'illegittimita' in parte  qua  della disposizione impugnata.
    In via subordinata,  nella  denegata  ipotesi  in  cui  la  Corte ritenesse di non poter accogliere, in rito o nel merito, le richieste avanzate  dalla  ricorrente,  si  chiede  allora  di   voler   almeno utilizzare i poteri monitori suoi propri, al fine di  sollecitare  il Parlamento   a   farsi   carico   delle    precise    responsabilita' costituzionali in materia  di  istruzione  gravanti  sul  livello  di governo centrale e di eliminare le incongruenze evidenziate, presenti nell'attuale  disciplina.  Tutto   cio'   con   riserva   di   futuro accoglimento (cfr. tra le altre, sent. n. 61 del 2006 e  ord.  n.  18 del 2003).
    3. Profili di illegittimita' costituzionale dell'art.  30,  comma 5, della legge 12 novembre 2011, n. 183. 
    Il presente giudizio ha ad oggetto anche una  seconda  previsione della legge di stabilita' per il 2012: si tratta dell'art. 30,  comma 5.
    Giova,  anzitutto,  chiarire   il   contenuto   normativo   della disposizione impugnata e la sua posizione nel  quadro  ordinamentale, cosi' come tracciata dal legislatore nazionale negli ultimi mesi.
    Nell'ambito di un programma di  drastica  riduzione  della  spesa pubblica,  progettato  ed  attuato  al  fine   di   rispondere   alle drammatiche contingenze economiche e  finanziarie  di  cui  anche  il nostro Paese e' vittima, l'art. 14 del decreto-legge 13 agosto  2011, n. 138, recante «Ulteriori  misure  urgenti  per  la  stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», imponeva alle Regioni di  adeguare  i propri ordinamenti  quanto  a:  a)  numero  massimo  dei  Consiglieri regionali; b) numero massimo degli Assessori regionali; c)  riduzione degli  emolumenti   in   favore   dei   Consiglieri   regionali;   d) commisurazione   del   trattamento    economico    dei    Consiglieri all'effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio; e)  istituzione di un Collegio  di  revisori  dei  conti;  1)  passaggio  al  sistema previdenziale contributivo per i Consiglieri regionali.
    Tali misure, autoqualificatesi come  necessarie  nell'ambito  del «coordinamento   della   finanza   pubblica»,   erano   espressamente finalizzate alla collocazione della Regione adempiente ad esse «nella classe di enti territoriali piu' virtuosa di cui all'art.  20,  comma 3,  del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98,   convertito,   con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011,  n.  111».  Esse,  dunque, venivano poste  dal  legislatore  come  necessarie  per  ottenere  un riscontro in termini di premialita' (o, quanto meno, di esclusione di sanzioni).
     
    Ritenendo la  disposizione  normativa  citata  gravemente  lesiva dell'autonomia statutaria, legislativa e finanziaria  della  Regione, il Veneto proponeva ricorso a codesta ecc.ma Corte  (ricorso  n.  145 del 2011) e cosi' facevano numerose altre Regioni.
    Nel frattempo, l'art. 30, comma 5, della legge 12 novembre  2011, n. 183 interveniva sulla  disposizione  impugnata,  modificandone  il dettato e, piu' precisamente, sostituendo con la parola «adeguano» la piu' complessa locuzione: «ai fini della collocazione nella classe di enti territoriali piu' virtuosa di cui  all'art.  20,  comma  3,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, oltre al rispetto  dei  parametri gia' previsti dal predetto art. 20, debbono adeguare».
    E' evidente, quindi, che, ad opera del citato intervento,  quelle che potevano al piu' essere considerate facolta' o, per meglio  dire, oneri per le Regioni - invitate a ridurre numero e  retribuzione  dei propri Consiglieri ed  Assessori  e  a  controllare  le  spese  della politica al fine di ottenere  i  vitali  benefici  legati  alla  loro qualificazione come «Regioni virtuose» - sono oggi  puri  e  semplici obblighi.
    I motivi di illegittimita' proposti con l'originario ricorso alla Consulta, dunque, devono essere qui integralmente riproposti e  -  lo si auspica - trovare un piu' deciso accoglimento,  in  considerazione proprio del mutamento occorso.
    Si deve, anzitutto, contestare la qualificazione della disciplina impugnata come espressione del potere dello Stato di porre i principi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica».
    E'  evidente,  infatti,   che   il   dettato   normativo   incide direttamente ed in modo significativo sul piano  istituzionale  delle Regioni, al punto che il risparmio di spesa - che pure e' l'obiettivo posto dal legislatore - finisce con  l'essere  una  mera  conseguenza rispetto al portato della riforma a  livello  di  organi  di  governo regionale. Ora, non e' possibile  estendere  l'ambito  di  competenza legislativa  al  punto  da  considerare  ricompresa   nella   materia «armonizzazione dei bilanci pubblici e  coordinamento  della  finanza pubblica»  qualsiasi  previsione  dello  Stato  centrale  di   natura ordinamentale solo perche' in grado di conseguire tagli alla spesa.
    Inoltre, anche nella  denegata  ipotesi  in  cui  codesto  ecc.mo Giudice  dovesse  ritenere  di  sussumere  l'intervento   legislativo impugnato in un ambito di potesta' concorrente Stato-Regioni, ex art. 117, comma 3, Cost., nella fattispecie concreta,  non  si  rinvengono disposizioni di principio. «Nella giurisprudenza di questa  Corte  e' ormai  consolidato  l'orientamento  secondo  cui  norme  statali  che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti  locali  possono qualificarsi principi fondamentali  di  coordinamento  della  finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in  primo  luogo,  che  si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di  un  transitorio  contenimento  complessivo,  anche  se  non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che  non  prevedano in modo esaustivo strumenti o  modalita'  per  il  perseguimento  dei suddetti obiettivi» (cosi' in Corte cost.  sent.  n.  326  del  2010, riprendendo sent. n. 237 del 2009. I medesimi assunti,  tuttavia,  si ritrovano anche nelle sentt. n. 182 del 2011, n. 159 del  2008  e  n. 237 del 2009).
    La duplice condizione richiesta non e' stata rispettata.
    La disciplina  impugnata,  piu'  correttamente,  deve  sussumersi nell'ambito dell'autonomia statutuaria regionale in materia di «forma di  governo»   e   «principi   fondamentali   di   organizzazione   e funzionamento», di cui all'art. 123 Cost.
    In particolare, compete  certamente  allo  Statuto  regionale  la determinazione del  numero  massimo  di  consiglieri  regionali,  che l'impugnata lettera a) del primo comma dell'art. 14 del decreto-legge n. 138/2011 pretende, invece, di imporre in relazione al numero degli abitanti della  Regione.  Sul  punto  la  giurisprudenza  recente  di codesta Corte e' cristallina: nell'ambito della riserva normativa  di cui all'art. 123 Cost. «rientra  la  determinazione  del  numero  dei membri  del  Consiglio,  in  quanto   la   composizione   dell'organo legislativo regionale rappresenta  una  fondamentale'scelta  politica sottesa alla determinazione della forma di  governo  della  Regione'» (cosi' in Corte cost. sent. n. 188 del  2011,  riprendendo  anche  la sent. n. 3 del 2006).
    Le medesime considerazioni valgono per la  lettera  b)  impugnata con l'originario ricorso, dal momento che, con essa,  il  legislatore statale ha preteso nuovamente di intervenire sulla forma  di  governo regionale  e  sulle  scelte  discrezionali  che  la  riguardano,  con riferimento al numero di Assessori.
    Le disposizioni di cui alle lettere c), d)  e  f)  dell'art.  14, comma 1, del decreto-legge n. 138/2011, invece, si interessano  degli emolumenti e delle utilita' dei Consiglieri regionali e  del  sistema previdenziale  a  questi  applicabile.  Gli  obblighi  imposti   alle
Regioni, in  questo  caso,  oltre  ad  essere  lesivi  dell'autonomia statutaria  regionale,  si  pongono  in  contrasto  con  il   dettato dell'art. 119 Cost. dal momento che intervengono, limitandola,  sulla spesa regionale. Codesta ecc.ma Corte ha chiarito  piu'  volte  ormai che affinche' i vincoli all'autonomia di spesa propria delle  Regioni possano  dirsi  conformi  a  Costituzione  essi   devono   riguardare «l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo  'in  via transitoria ed in vista degli  specifici  obiettivi  di  riequilibrio della finanza pubblica  perseguiti  dal  legislatore  statale'  -  la crescita della spesa corrente». In altri termini, «la  legge  statale puo' stabilire solo un 'limite  complessivo,  che  lascia  agli  enti stessi ampia liberta' di allocazione  delle  risorse  fra  i  diversi ambiti e obiettivi di spesa'» (cosi', di recente in  Corte  cost.  n. 182 del 2011, riprendendo le sentt. n. 417 del 2005, n. 36 del  2004, n. 88 del 2006  e  n.  449  del  2005.  Con  precipuo  riguardo  agli interventi  sulle  indennita'  corrisposte   agli   organi   politici regionali, invece, si veda Corte cost. sent. n. 157  del  2007  punto
5.2 del Considerato in diritto).
    Particolare,  ma  non  meno   illegittima,   e'   la   previsione dell'istituzione, a decorrere dal  1°  gennaio  2012  scorso,  di  un Collegio dei revisori dei conti, «quale  organo  di  vigilanza  sulla regolarita'  contabile,  finanziaria  ed  economica  della   gestione dell'ente»,  operante  «in  raccordo  con  le  sezioni  regionali  di controllo della Corte dei conti», prevista  dall'art.  14,  comma  1, lett. e) del decreto-legge n. 138/2011 e divenuta obbligatoria grazie alla modifica  apportata  dall'art.  30,  comma  5,  della  legge  n. 183/2011, qui in esame.
    La  previsione  normativa  richiamata  si  pone   in   contrasto, innanzitutto,  con   il   riparto   costituzionale   della   potesta' legislativa, non solo con riferimento all'art. 117,  comma  3,  cost. (e, in  particolare,  all'ambito  del  «coordinamento  della  finanza pubblica», dal momento che non pone norme di  principio,  come  sopra denunciato), bensi' anche in relazione agli artt.  117,  comma  4,  e 123, comma 1, Cost.
    Spetta allo Statuto regionale, infatti, il compito  di  disegnare «i principi fondamentali di  organizzazione  e  funzionamento»  della Regione,  nell'ambito  dei  quali,  poi,  il  legislatore   regionale interverra' con  discipline  di  dettaglio,  esercitando  la  propria potesta'  esclusiva  in  materia  di  organizzazione   amministrativa regionale e controlli.
    Non si puo' dimenticare, infatti che  la  riforma  del  titolo  V della Costituzione, unitamente alla legge 5 giugno 2003, n. 131,  che le da' attuazione, ha  riconosciuto  l'avvenuta  emancipazione  delle Regioni dallo Stato, confermando  la  prevalente  linea  di  tendenza legislativa  che  riservava  e  riserva  all'autonomia  normativa   e organizzativa di detti enti la materia dei controlli.
    In effetti, si appalesa un vero contrasto  con  l'intero  sistema disegnato sul punto a seguito della legge  costituzionale  n.  3  del 2001.
    Non e' dato, infatti, comprendere quali poteri in concreto  siano rimessi al Collegio di revisione ne' quali siano  gli  effetti  delle pronunce di questo, ma la disposizione e' congegnata in modo tale  da far temere il ripristino di un sistema  di  controlli  preventivi  di legittimita'.
    Il contrasto con la Costituzione si estende, inoltre e  comunque, anche all'art. 119 Cost.: e' evidente che l'ulteriore controllo sulla gestione dell'ente posto in capo al Collegio dei revisori  dei  conti regionale si  tradurra'  in  una  compressione  dell'autonomia  della Regione anche e soprattutto in punto di spesa.
    Tutto cio' dimostra l'illegittimita' della disposizione normativa di cui all'art. 30, comma 5, della legge n. 183/2011  per  violazione degli artt. 117, 119 e 123 Cost.


                                P.Q.M.

    Si  chiede  che  codesto  ecc.  mo  Collegio  voglia   dichiarare l'illegittimita' costituzionale:
        a) dell'art. 33, comma 16, della legge 12 novembre  2011,  n. 183: un tanto per violazione degli artt. 3, 97, 30, 33, 34, 117, 118, 119, 120 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di  cui agli artt. 5 e 120, comma 2, Cost., e, per quanto di competenza e ove occorra, dei seguenti parametri interposti: art. 138 del d.lgs. 1998, n. 112; legge 5 maggio 2009, n. 42; legge 10 marzo 2000, n. 62; legge 28 marzo 2003, n. 53; d.lgs. 19  febbraio  2004,  n.  59;  d.lgs.  16 aprile 1994, n. 297.
        b) dell'art. 30, comma 5, della legge 12  novembre  2011,  n. 183: un tanto per violazione degli artt. 117, 119, 123 Cost.
    Si allega:
        1. deliberazione della Giunta della Regione  Veneto  n.  2256 del 20 dicembre 2011 recante l'autorizzazione alla  proposizione  del ricorso;
        2. relazione dell'Ufficio scolastico regionale per il  Veneto sui dati delle scuole paritarie e non paritarie nell'a.s. 2010/2011;
        3. relazione F.I.S.M. sui  dati  della  scuola  dell'infanzia veneta 2010-2011;
        4. decreto n. 5 del 1° aprile 2011 e nota Miur n. 2453 del  7
aprile 2011.

    Padova-Venezia-Roma, 10 gennaio 2012

Avv. prof. Bertolissi - Avv. prof. Zanon - Avv. prof. Palumbo -  Avv.
                             prof. Manzi

 

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