Ricorso n. 11 del 18 gennaio 2012 (Regione Veneto)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 18 gennaio 2012 (della Regione Veneto).
(GU n. 9 del 29.02.2012 )
Ricorso della Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della Giunta stessa del 20 dicembre 2011, n. 2256, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avvocati prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Ezio Zanon Coordinatore dell'Avvocatura regionale, Daniela Palumbo della Direzione affari legislativi regionale e Luigi Manzi del Foro di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, alla via Federico Confalonieri n. 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale:
a) dell'art. 33, comma 16, della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2012)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 14 novembre 2011 - S.O. n. 234, per violazione degli artt. 3, 97, 30, 33, 34, 117, 118, 119, 120 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, comma 2 Cost., e, per quanto di competenza e ove occorra, dei seguenti parametri interposti: art. 138 del d.lgs. 1998, n. 112; legge 5 maggio 2009, n. 42; legge 10 marzo 2000, n. 62; legge 28 marzo 2003, n. 53; d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59; d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297.
b) dell'art. 30, comma 5, della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2012)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 14 novembre 2011 - S.O. n. 234, per violazione degli artt. 117, 119, 123 Cost.
Fatto e Diritto
1. In data 14 novembre 2011 e' stata pubblicata, nella Gazzetta ufficiale n. 234, la legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2012)». Nell'ambito del citato provvedimento normativo, la Regione Veneto ha individuato due disposizioni lesive di proprie prerogative costituzionalmente sancite e tutelate, nonche' numerosi altri profili di contrasto con il dettato costituzionale, che ridondano in altrettante lesioni
dell'autonomia regionale.
Per questo la ricorrente si rivolge a codesta ecc.ma Corte costituzionale affinche' intervenga ripristinando la piena conformita' a Costituzione.
2. Profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 16, della legge 12 novembre 2011, n. 183.
2.1. Dispone l'art. 33, comma 16, legge cit. n. 183/2011 che «per le finalita' di cui all'articolo 1, comma 635, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 [i.e. «al fine di dare il necessario sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell'ambito del
sistema nazionale di istruzione»], e all'articolo 2, comma 47, della legge 22 dicembre 2008, n. 203 [i.e. per la realizzazione del «programma di interventi in materia di istruzione], e' autorizzata la spesa di 242 milioni di euro per l'anno 2012» e che un tanto e' «da destinare prioritariamente alle scuole dell'infanzia»".
Sennonche' e' con riferimento in generale alla scuola paritaria e soprattutto con riguardo alle scuole paritarie dell'infanzia operanti nel territorio veneto che tale disposizione appalesa le illegittimita' di cui al prosieguo.
2.2. La disposizione gravata, come si e' rammentato, prevede un (recte: «il») finanziamento a favore della scuola paritaria, da destinarsi prioritariamente alle scuole dell'infanzia.
Si e', dunque, nell'ambito di un settore, quello dell'istruzione (ed in particolare del grado di istruzione dell'infanzia), in cui si intersecano una pluralita' di competenze legislative.
Il riferimento e', innanzitutto, alla potesta' legislativa statale esclusiva in materia di «norme generali sull'istruzione», di cui all'art. 117, comma 2, lett. n), Cost., nell'esercizio della quale il Parlamento nazionale definisce «la struttura portante del
sistema nazionale di istruzione» da applicarsi «in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parita' di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio d'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonche' la liberta' di istituire scuole e la parita' tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti di legge» (cfr. Corte cost. sent. n. 200 del 2009).
Competenza legislativa che, poi, e' quella gia' evocata nella prima parte della Carta, all'art. 33, comma 2, laddove si impegna la Repubblica a dettare le «norme generali sull'istruzione» e ad «istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi», e, ai commi 3 e 4, attribuendo nel contempo ai privati il diritto di istituire scuole paritarie aventi pari dignita' con quelle di istituzione statale.
Conformemente, codesta Corte ha puntualmente rilevato «come il legislatore costituzionale abbia inteso individuare gia' negli artt. 33 e 34 della Costituzione le caratteristiche basilari del sistema scolastico, relative: a) alla istituzione di scuole per tutti gli ordini e gradi (art. 33, secondo comma, Cost.); b) al diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato (art. 33, terzo comma Cost.); c) alla parita' tra scuole statali e non statali sotto gli aspetti della loro piena liberta' e dell'uguale trattamento degli alunni (art. 33, quarto comma, Cost.);
d) alla necessita' di un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuola o per la conclusione di essi (art. 33, quinto comma, Cost); e) all'apertura delle scuola a tutti (art. 34, primo comma, Cost.); f) alla obbligatorieta' e gratuita' dell'istruzione inferiore (art. 34, secondo comma, Cost.); g) al diritto degli alunni capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi piu' alti degli studi (art. 34, terzo comma,
Cost.); h) alla necessita' di rendere effettivo quest'ultimo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso (art. 34, quarto comma, Cost.)» (v. sent. ult. cit. punto 21 del Considerato in diritto). Per
concludere che «dalla lettura del complesso delle riportate disposizioni costituzionali si ricava, dunque, una chiara definizione vincolante - ma ovviamente non tassativa - degli ambiti riconducibili al 'concetto' di 'norme generali sull'istruzione'. In altri termini, il legislatore costituzionale ha assegnato alle prescrizioni contenute nei citati artt. 33 e 34 valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale».
Non trascurabile e', poi, ovviamente, la competenza legislativa concorrente in punto di «istruzione», prevista all'art. 117, comma 3, Cost. In relazione ad essa, come codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di chiarire di recente, allo Stato spetta dettare i principi fondamentali, ossia le «norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare l'esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalita' di fruizione del servizio di istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d'istruzione che caratterizza le norme generali sull'istruzione, dall'altro, necessitano per la loro attuazione (non gia' per la loro semplice esecuzione) dell'intervento del legislatore regionale il quale deve conformare la sua azione all'osservanza dei principi fondamentali stessi» (sempre in Corte cost. sent. n. 200 del 2009).
E' evidente, inoltre, che la disposizione impugnata puo' trovare collocazione anche nell'ambito materiale dell'armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica, prevista quale competenza concorrente dall'art. 117, comma 3, Cost. Infatti, ai sensi della giurisprudenza di codesta Corte, ai fini dell'identificazione della materia nella quale si colloca la normativa volta per volta impugnata e' «necessario fare riferimento all'oggetto della disciplina (...) tenendo conto della sua ratio», qui evidentemente quella di finanziare un servizio pubblico (cfr. Corte cost. sent. n. 326 del 2010).
Senza dire, infine, che la materia dei contributi alle scuole non statali, gia' prima della novella costituzionale del 2001, era stata delegata dallo Stato alla Regioni dal d.lgs. n. 112/1998 (cfr. art. 138, primo comma, lett. e).
Tanto rappresentato sul piano delle competenze legislative, e' necessario evidenziare che l'istruzione conta su un finanziamento plurimo al quale concorrono, ciascuno secondo competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci, lo Stato, le Regioni e gli enti locali.
Si focalizzi l'attenzione sul finanziamento proveniente dal livello di governo centrale.
Nonostante un processo - lento negli anni - di tendenziale decentramento della materia «istruzione», dallo Stato verso le Regioni (dapprima avvenuto con la delega e il trasferimento di funzioni amministrative e poi con la previsione di competenze
normative in capo alle Regioni), al quale ha fatto seguito la previsione, in ambito regionale, di stanziamenti al settore, il servizio dell'istruzione e' da sempre finanziato dallo Stato. A quest'ultimo, infatti, compete il finanziamento delle funzioni sue proprie (di cui si e' detto poco sopra e a cui vanno aggiunte quelle specifiche di programmazione, come chiarito da Corte cost. sent. n. 200 del 2009), oltre che la predisposizione di risorse finanziarie in grado di sostenere - ove non implementare - il sistema (appositamente definito) «nazionale» di istruzione, che costituisce un servizio
pubblico essenziale (cfr. Corte cost. sent. n. 13 del 2004, riprendendo la definizione contenuta, «non a caso», nell'art. 1 della legge n. 146 del 1990).
E' la stessa Corte (tra l'altro proprio con riferimento alle scuole dell'infanzia) a definire i finanziamenti regionali come «aggiuntivi» rispetto a quelli statali (cosi' Corte cost. sent. n. 34 del 2005), che, dunque, costituiscono la principale fonte di
sostentamento del sistema.
2.3. Come si e' anticipato, l'interesse della Regione Veneto al ricorso riguarda in generale tutte le scuole paritarie di ogni ordine e grado presenti sul suo territorio, con, tuttavia, particolare riferimento al tipo della scuola paritaria dell'infanzia.
Con riguardo, in generale, al ruolo della scuola paritaria nel sistema nazionale di educazione-istruzione e al suo rapporto con la scuola statale, ovviamente, i presupposti giuridici da assumere in premessa sono: a) che le scuole paritarie, private e degli enti locali, costituiscono, insieme alle scuole statali, il servizio nazionale di istruzione; b) che esse svolgono un servizio qualificato come oggettivamente pubblico (v. art. 1, legge 10 marzo 2000, n. 62).
In breve le scuole paritarie non potrebbero «non concorrere, con le scuole statali e degli enti locali, al perseguimento di quello che la stessa legge definisce 'obiettivo prioritario della Repubblica', vale a dire 'l'espansione della offerta formativa e la conseguente
generalizzazione della domanda d'istruzione dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita'» (cosi' in Corte cost. sent. n. 42 del 2003).
Quanto, specificamente, alla scuola paritaria dell'infanzia, non residua oramai alcun dubbio circa la sua natura propriamente «scolastica» (e non assistenziale) e, quindi, la sua afferenza all'ambito competenziale dell'istruzione.
Ed invero, l'evoluzione della scuola dell'infanzia (gia' scuola materna), da istituzione con finalita' caritativo-assistenziali e di custodia (i cosiddetti asili d'infanzia) ad istituzione di carattere scolastico-educativo, si e' svolta sotto l'influenza delle piu' attente teorie pedagogiche ed e' stata progressivamente registrata dal legislatore: a partire dalla riforma Gentile, si abbandono' il termine «asilo» per il termine «scuola»; successivamente, si colloco' la scuola materna nell'alveo dell'istruzione, qualificandola come scuola di grado preparatorio (v. artt. 99 e 331 del t.u. n. 297/1994, che riproducono disposizioni del 1968); infine, e sono le ultime riforme, si e' previsto che con la scuola dell'infanzia abbia inizio la prima articolazione del sistema educativo di istruzione e
formazione (v. l'abrogata legge n. 30/2000 sub artt. 1 e 2 e l'art. 2, comma 1, lett. e) legge n. 53/2003, secondo cui «la scuola dell'infanzia, di durata triennale, concorre all'educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialita' di relazione, autonomia, creativita', apprendimento ...»).
Dunque, la scuola dell'infanzia, ai sensi di legge, e' parte integrante del sistema d'istruzione nazionale, costituendo la prima occasione davvero formativa dei fanciulli.
2.4. Qualche dato relativo alla presenza della scuola paritaria nel Veneto sara' utile a calare l'ordine delle questioni nel corretto contesto giuridico-fattuale.
Stando alla relazione dell'Ufficio scolastico regionale (doc. 2) nell'a.s. 2010/2011 «funzionano nel Veneto 1.459 scuole paritarie di ogni ordine e grado». Esse sono frequentate da 124.288 alunni. «A costituire la popolazione di alunni 'paritari' concorrono in larga misura le scuole dell'infanzia, che formano la grande maggioranza nell'insieme delle istituzioni scolastiche paritarie. Tali scuole sono infatti 1.183 e da sole `pesano'(come unita' scolastiche) per il 76,37 nell'ambito dell'istruzione non statale veneta... Esse sono diffuse capillarmente sul territorio, tanto da costituire in parecchi comuni del Veneto l'unico servizio presente per l'infanzia; ma si ritrova, di converso, che in alcuni Comuni e' presente solo la scuola dell'infanzia statale, cosicche' le due scuole, la paritaria e la statale, trovano nel nostro territorio regionale un'effettiva integrazione quali strumenti a servizio di un medesimo sistema educativo pubblico. I bambini sono 93.802 e costituiscono il 75,47 di tutti gli alunni delle scuole paritarie, nell'arco dai 3 ai 19 anni. Le scuole dell'infanzia paritarie accolgono i 2/3 (67,03) di tutta la popolazione scolastica in eta' 3-6 anni del Veneto, che e' di 139.950 bambini» (v. il gia' citato doc. 2).
Le scuole dell'infanzia paritarie operano in 464 Comuni su 581 totali del Veneto. Sono presenti in modo esclusivo in 269 Comuni. Le scuole dell'infanzia statali sono presenti in modo esclusivo in 99 Comuni.
Nel panorama nazionale tutto cio' costituisce un unicum.
Secondo i dati rielaborati dalla F.I.S.M. (Federazione italiana scuole materne), nessun'altra Regione puo' vantare un rapporto fra scuole dell'infanzia paritarie e statali di simili proporzioni (v. doc. 3). Basti pensare che la media nazionale evidenzia che «solo» il 39,31 dei bambini in eta' 3-6 anni frequenta una scuola dell'infanzia paritaria, assestandosi su percentuali del 20-30 soprattutto nell'Italia centro meridionale e abbondantemente al di sotto del 60 anche in Lombardia ed Emilia-Romagna, le due Regioni piu' vicine all'esperienza veneta.
Se, infine, si tiene presente che il costo bambino/anno che lo Stato sostiene e' di euro 2.934,10 per la frequenza della scuola paritaria gestita dai privati, di 5.120,00 per la paritaria comunale e di 7.504,00 per la scuola statale, e' facile concludere che per le casse dello Stato vi sarebbe un aggravio di spesa di quasi 6 miliardi di euro se dovesse farsi carico integralmente dell'oltre un milione di studenti che ha scelto la scuola paritaria in luogo di quella statale.
Con riguardo alla scuola dell'infanzia, lo Stato, grazie alla presenza delle istituzioni paritarie, risparmia, solo in Veneto, 544 milioni di euro l'anno (cfr. doc. 3).
Si tratta evidentemente di dati che, nella drammatica contingenza economico-finanziaria in cui versa la Repubblica, non possono continuare ad essere pretermessi misconoscendo il loro rilievo essenziale per un corretto ragionamento, non solo economico, ma anche giuridico.
Va, infatti, osservato, fin d'ora, che i cittadini «hanno il diritto a che i proventi del prelievo fiscale vengano impiegati, in ragione della loro scarsita', per esigenze effettive; il che non si verificherebbe di certo nell'ipotesi di duplicazione delle strutture pubbliche rispetto a quelle private esistenti (...). Una simile espansione della spesa nel campo dell'istruzione comporterebbe una contrazione automatica di altre voci di spesa relative ad interventi comunque satisfattivi di diritti costituzionalmente garantiti» (M. Bertolissi, Scuola privata e finanziamento pubblico: un problema da riconsiderare, in diritto e societa', 1985, 555).
2.5. Passando a considerare l'aspetto piu' strettamente economico del fenomeno, fino al 2010 i contributi posti in bilancio in favore delle scuole paritarie (in un unico capitolo e sempre da distribuire secondo un criterio di poziorita' favorevole alle scuole dell'infanzia), ammontavano a 539 milioni di euro (pari allo 0,6 dell'intera spesa per l'istruzione), sostanzialmente invariati nell'importo da una decina d'anni (da undici anni per l'esattezza).
Tale assenza di flessibilita' e adeguamento al costo della vita accollava, gia' di per se stessa, al gestore non statale il progressivo incremento dei costi fissi di gestione conseguente all'inflazione.
Nel bilancio preventivo per il 2011 (legge n. 221/2010), le risorse venivano quantificate in 245 milioni di euro a titolo di «rifinanziamento del programma di interventi di cui all'art. 2, comma 47, della legge 22 dicembre 2008, n. 203» (v. allegato 1 alla legge, elenco 1), in aggiunta allo stanziamento di 281 milioni di euro gia' previsto nel programma di bilancio triennale 2009-2011.
Tale somma, dunque, per un verso, risultava inferiore di 13 milioni di euro rispetto a quella «storica» degli anni precedenti, per l'altro - circostanza quest'ultima ancor piu' destabilizzante - veniva subordinata alla vendita delle frequenze televisive del digitale terrestre. Essa veniva esposta, cosi', alla possibilita' (contemplata dall'art. 1, comma 13, e, in concreto poi inverata), che, in ipotesi di scostamenti rispetto alla previsione di entrata alla data del 30 settembre 2011, il «Ministro dell'economia e delle finanze [provvedesse], con proprio decreto, alla riduzione lineare, fino alla concorrenza dello scostamento finanziario riscontrato, delle dotazioni finanziarie ... nell'ambito delle spese rimodulabili ...». In altre parole, il contributo, gia' ridotto di 13 milioni rispetto agli anni precedenti, veniva ulteriormente tagliato del 10, facendo cosi' mancare alle scuole paritarie (il 10 dei 281 milioni di euro cioe') altri 28.304.555,00 di euro.
Per altro verso, va ricordato che, al momento in cui si scrive, dei contributi iscritti a bilancio, nel corso del 2011, solo una parte e' stata concretamente versata (ad aprile veniva, infatti, disposta la ripartizione di 167.917.727,00, pari a 8/12 dello
stanziamento: cfr. decreto n. 5 del 1° aprile 2011 e nota MIUR n. 2453 del 7 aprile 2011 sub. doc. 4) e solo ad ottobre si e' risolta positivamente la querelle sulla stessa debenza, per il 2011, dei 245 milioni iscritti a bilancio, senza tuttavia che si sia provveduto alla loro erogazione (il 13 ottobre si e' appreso che la Conferenza Stato-Regioni ha espresso parere favorevole allo schema di decreto relativo allo «sblocco» dei 245 milioni di euro assegnati al capitolo del MIUR per l'anno scolastico 2010-2011: cfr. circ. min. del 7 settembre a firma del direttore generale).
Ebbene, l'anodina formulazione del qui gravato art. 33, comma 16, legge cit. n. 183/2011 e' fatalmente destinata a rinnovare, se non ad aggravare, le incertezze del precedente anno scolastico e a diventare il nuovo teatro di lotte fra il mondo della scuola paritaria ed il Ministero, con la prima costretta a «elemosinare» il dovuto e il secondo a concederlo a data incerta e quasi fosse un beneficio ottriato: con buona pace dei principi del pluralismo e della parita' scolastica, del servizio (oggettivamente) pubblico declinato dalle scuole paritarie in genere, del servizio in grande parte (non gia' alternativo, bensi') sostitutivo che le scuole paritarie dell'infanzia svolgono in Veneto a colmare piu' di quaranta anni di latitanza statale.
Alla luce di tale esperienza passata e della specificita' del proprio tessuto scolastico, di tale disposizione in particolare, soprattutto con riguardo, fra tutte, alla posizione delle scuole paritarie dell'infanzia, la Regione Veneto lamenta:
a) l'assenza di un diretto raccordo con la previsione iscritta nel bilancio di previsione triennale, cosi' che da essa non e' dato evincere con chiarezza (o, se si preferisce, cosi' che vi e' assoluta incertezza) se si tratti di somma aggiuntiva rispetto,
appunto, allo stanziamento previsto nella manovra triennale (di 281 milioni di euro) oppure dello stanziamento complessivo previsto per tutto il 2012;
b) nella denegata ipotesi che essa rappresenti la cifra complessiva, l'assoluta irragionevolezza del taglio, che non ha eguali in nessun altro comparto pubblico (sarebbe pari al 55,1 dello stanziamento storico!);
c) l'assenza di tempi certi in ordine all'effettiva e tempestiva erogazione dei fondi onde evitare l'altrimenti necessario ricorso all'indebitamento da parte delle scuole paritarie o la loro definitiva chiusura;
d) il mancato riconoscimento, nella destinazione delle somme, della specificita' delle scuole dell'infanzia paritarie del Veneto laddove esse costituiscono le uniche strutture scolastiche per l'infanzia presenti sul territorio in assenza di quelle statali.
Tutto cio' in spregio a precisi valori costituzionali nei termini di cui alle censure di seguito esposte.
2.6. - La disposizione, cosi' come e' formulata, viola, anzitutto, gli articoli 33 e 34 Cost. e, quoad effectus, anche l'articolo 30 Cost.
Come noto, l'art. 33 Cost., mentre, da un lato, onera la Repubblica di istituire «scuole statali per tutti gli ordini e i gradi», dall'altro, attribuisce ai privati il diritto di istituire proprie scuole e il diritto di ottenere la parita' e, con essa, l'equipollenza del trattamento scolastico fra gli alunni delle scuole paritarie e gli alunni delle scuole statali. E', questo, il cuore del principio pluralistico della liberta' della scuola. La scuola privata
(paritaria e non paritaria) ha il diritto di esistere accanto alla scuola pubblica: e un tanto decreta la fine della legittimita' del monopolio statale in campo scolastico e l'inizio della parita' giuridica delle scuole, indipendentemente dal soggetto, pubblico o privato, che le istituisce e le gestisce.
Codesta Corte, fin dal 1958, ha precisato, ed in seguito ha ribadito, che con l'art. 33 «il Costituente ha inteso consentire a privati e ad enti di perseguire quella stessa finalita' cui lo Stato indirizza attraverso l'istituzione di scuole statali di ogni ordine e grado: vale a dire l'istruzione, mediante il libero insegnamento dell'arte e della scienza» (sent. n. 180 del 1988: si tratta di un orientamento da far risalire gia' alla sentenza n. 36 del 1958).
Secondo la dottrina, non e' piu' esatto parlare di istruzione pubblica o privata, perche' «pubbliche o private invero sono soltanto le scuole a seconda che ad esse provveda lo Stato ovvero i privati, mentre l'istruzione resterebbe sempre la stessa: un'attivita' che ha
una sua utilita' sociale (...), che soddisfa in ogni caso un fine sociale» (U. Pototschnig, Insegnamento, istruzione, scuola, in Giur. cost., 1961, 420-421), al cui raggiungimento sono interessati non solo lo Stato, ma tutti i soggetti dell'ordinamento, «un'attivita' che e' servizio pubblico» (G. B. Verbari, Momenti di autorita' nella liberta' di istituire scuole, in Giur. cost., 1966, 2004), che «rappresenta una funzione dello Stato sociale» (Cosi' G. Rolla, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1992, 334); anche la scuola privata puo' svolgere il servizio della pubblica istruzione dove per «pubblica» non si intende di Stato, ma servizio reso nell'interesse della collettivita', ordinato, attraverso norme generali, dalla Repubblica (S. De Simone, Sistema del diritto scolastico, op. cit.,
175).
La giurisprudenza non ha tardato ad allinearsi su queste posizioni: la cassazione ha presto consolidato l'opinione che «l'istruzione scolastica non costituisce una finalita' riservata esclusivamente allo Stato, stando il disposto dell'art. 33 della Costituzione, che attribuisce il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione a privati ed enti» (v. Cass., ss. uu., 22 dicembre 1962, n. 3424, in Riv. giur. scuola, 1963, 866 e Cass., ss. uu., 6 maggio 1963, n. 1105, ivi, 1965, 215).
E, finalmente, tale percorso ermeneutico e' stato portato a compimento anche dal legislatore ordinario con la legge sulla parita' scolastica, la legge n. 62/2000. A proposito di tale legge, codesta Corte, in sede di giudizio di ammissibilita' della proposta referendaria diretta a manipolarne il contenuto cosi' da espungere dal sistema nazionale le scuole paritarie private (non quelle degli enti locali), ha messo in luce l'intima contraddittorieta' dell'iniziativa, posto che «le scuole paritarie, che, per effetto di
una pronuncia popolare, si vorrebbero escludere dal sistema nazionale di istruzione, ne costituirebbero invece parte integrante alla stregua della disciplina piu' dettagliata che non e' toccata dal quesito referendario» (cosi' sent. n. 42 del 2003).
Cio' significa che, alla luce di quanto dispongono il secondo ed il terzo comma dell'art. 33, e' necessaria la presenza sul territorio tanto della scuola statale quanto di quella paritaria cosi' da rendere possibile «l'opposizione costituzionalmente garantita tra modelli [pubblico e privato] che realizzano il pluralismo delle istituzioni e il pluralismo nella istituzione» (A. Mattioni, Scuola pubblica e scuola privata, in Dig. disc. pubbl., VIII, Torino, 1997, 634; E. Minnei, Scuola pubblica e scuola privata. Gli oneri per lo Stato, II, Torino, 467-480).
D'altronde, il concorso fra la scuola statale e la scuola paritaria e' necessario (e non puo' essere meramente eventuale) anche perche' sia concretamente garantito il diverso precetto costituzionale della liberta' di scelta del modello di educazione e
di istruzione espressamente riconosciuto ai genitori (v. art. 30 Cost.): il diritto di scelta della scuola, appunto, presuppone l'esistenza di un sistema scolastico pluralista che dia vita ad una varieta' di opzioni sulle quali possa cadere la preferenza e rispetto alle quali il diritto possa essere in concreto esercitato.
Donde l'incostituzionalita' in parte qua della legge di stabilita' che, a causa dell'entita' del taglio dei contributi e dell'assoluta incertezza sulle modalita' della loro erogazione (nell'an, nel quantum, nel quando, nel quomodo), lungi dal favorire
la vita delle scuole paritarie presenti sul territorio, la mette, invece, seriamente a rischio.
E cio' e' tanto piu' grave ove si osservi che la previsione di legge riguarda anche (senza differenziarne la posizione) le scuole dell'infanzia paritarie, le quali, oltre a dover esistere costituzionalmente accanto alle scuole statali, spesso nel Veneto sono in realta' le uniche a svolgere il servizio che lo Stato dovrebbe garantire e non garantisce nella perdurante inattuazione della legge n. 444/1968, con la quale avrebbero dovuto essere istituite le scuole materne statali.
Cio' in patente contraddizione, non solo logica ma anche giuridica, rispetto all'istituto ab immemorabili della c.d. «scuola a sgravio».
Le scuole a sgravio erano, infatti, nate proprio per alleggerire la Repubblica dal dovere di provvedere all'organizzazione scolastica sul territorio, consentendo alla stessa di servirsi delle strutture istituite dai privati «a sgravio totale o parziale degli obblighi
delle amministrazioni scolastiche o dei comuni» (v. art. 95, r.d. n. 577/1928 e artt. 156-161, r.d. n. 1297/1928).
In quest'ottica la norma gravata e' incostituzionale sia nella parte in cui denuncia l'inerzia dello Stato, sia nella parte in cui determina l'interruzione del servizio essenziale svolto, in supplenza, dalle scuole dell'infanzia paritarie.
D'altro canto, la disposizione impugnata, per gli effetti concreti che essa produce nel territorio veneto, impedisce l'attuazione del principio costituzionale che vuole che la scuola sia «aperta a tutti» (art. 34 Cost). L'assenza, il ritardo, l'incertezza, o la modestia del contributo pubblico costringono all'imposizione di rette di frequenza che si traducono in altrettante barriere d'ingresso al servizio. Con inaccettabili effetti discriminatori.
2.7. Risulta, poi, violato, l'art. 117 Cost.
E' evidente che le previsioni legislative statali che stabiliscono finanziamenti di tal fatta si pongono in contrasto con le precise disposizioni costituzionali che rimettono allo Stato una responsabilita' in materia di istruzione per nulla secondaria
rispetto a quella delle Regioni.
Il riferimento e', ovviamente, come gia' ricordato, alla competenza statale esclusiva in punto di «norme generali sull'istruzione» (art. 117, comma 2, lett. n), Cost.) e a quella concorrente in materia di «istruzione» (art. 117, comma 3, Cost.); ma
anche a quella, del pari ripartita tra Stato e Regioni, per l'«armonizzazione dei bilanci pubblici e la finanza pubblica» (sempre art. 117, comma 3, Cost.).
Non trascurabile, infine, appare la responsabilita' del livello di governo centrale come garante ultimo dell'erogazione effettiva dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e a cui rimanda l'art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
L'inattuazione dei citati obblighi costituzionali e' particolarmente evidente ove si consideri specificamente il caso della scuola paritaria dell'infanzia nel Veneto. Riconosciuto che le «norme generali sull'istruzione» (v. legge n. 53/2003 e d.lgs. n.
59/2004) prevedono che la scuola dell'infanzia costituisca il primo «ordine» del sistema nazionale d'istruzione e che le scuole dell'infanzia paritarie concorrono con pari dignita' rispetto alle statali a costituire il sistema nazionale d'istruzione (v. legge n.
62/2000), la disposizione impugnata e' illegittima nella parte in cui non garantisce le condizioni minime di esistenza di un servizio pubblico essenziale.
2.8. Il sopra descritto sistema di erogazione di risorse statali in favore delle scuole paritarie (per l'infanzia in particolare), inoltre, si pone in diretto contrasto con i principi di cui all'art. 119 Cost.
Sancita l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa di Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni (comma 1), e chiarito che detti enti possono contare su risorse autonome, tributi ed entrate propri e compartecipazioni al gettito di tributi erariali (comma 2), nonche' su un fondo perequativo dello Stato (comma 3), l'art. 119 cost. pone il principio dell'integrale finanziamento delle funzioni pubbliche attribuite a detti enti (comma 4, in primis, e comma 5).
In sostanza, la previsione di cui all'art. 119 cost. impone che le funzioni attribuite (per quanto qui interessa) alle Regioni si finanzino mediante le entrate di cui queste possono contare ai sensi dell'art. 119, comma 1, 2 e 3, Cost. Il che presuppone la
«corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche all'esercizio delle quali esse sono preordinate» (per riprendere codesta ecc.ma Corte nella sent. n. 326 del 2010). Nel caso di specie, quindi, le Regioni dovrebbero essere dotate di risorse tali da riuscire ad erogare le prestazioni in ambito di istruzione, se non altro, per la parte riferibile alla propria competenza (cfr. art. 138 del d.lgs. n. 112/1998).
Nella perdurante inattuazione dell'art. 119 Cost., pero', le Regioni non hanno mezzi sufficienti e, dunque, diventa ancor piu' importante che il finanziamento di competenza statale sia in grado di intervenire non lasciando scoperto un settore in cui sono implicati
«diritti costituzionali incomprimibili» (cosi' in Corte cost. n. 13 del 2004, ma il medesimo concetto e' espresso nelle sentt. n. 370 del 2003 e n. 34 del 2005. Sulla relazione tra norme generali sull'istruzione e diritti inviolabili della persona, v. gia' Corte cost., sent. n. 215 del 1987).
E' lo Stato ad averne contezza, tanto che con legge dispone i contributi, pur tenendo «fermo il rispetto delle prerogative regionali in materia di istruzione scolastica» (cfr. art. 1, comma 47, legge 203/2008 - legge finanziaria per il 2009).
La disposizione normativa impugnata, inoltre, come gia' esposto, si presenta, sotto piu' profili, non chiara. Non e' dato, infatti, evincere con certezza: a) se si tratti di un finanziamento aggiuntivo rispetto alla posta prevista nel bilancio pluriennale; b) come mai non vengano differenziate le realta' regionali nelle quali la scuola paritaria svolge un servizio sostitutivo della scuola statale (secondo il tradizionale criterio della scuola a sgravio); e, in considerazione del fatto, che si tratta di un'unica e indistinta voce di finanziamento, c) sulla base di quali criteri tali somme saranno ripartite tra le Regioni; d) quale priorita' sara' effettivamente data alle scuole dell'infanzia, ossia quale quota sara' loro destinata. E tutto questo senza neppure paventare problemi e ritardi nella concreta erogazione delle somme, che piu' che una probabilita' costituiscono, stante l'esperienza degli ultimi anni, un'assoluta certezza.
Come codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di chiarire, in una vicenda per molti aspetti analoga a questa (in materia di finanziamento statale alle comunita' montane), una disposizione normativa che non consente di verificare l'ammontare effettivo del finanziamento e la destinazione concreta delle risorse statali messe a disposizione «viola i principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche all'esercizio delle quali esse sono preordinate, palesando un'intrinseca irragionevolezza della normativa impugnata, oltre ad impedire una realistica valutazione degli effetti della normativa stessa sull'autonomia finanziaria delle Regioni» (cfr. Corte cost. sent. n. 326 del 2010). Essa risulta - prosegue la Corte - in palese «violazione dell'art. 119 Cost., in quanto la rilevata genericita' della norma e' tale da impedire alle Regioni, nell'esercizio della loro autonomia finanziaria, di riorganizzare, in modo razionale, l'allocazione delle risorse disponibili e pianificare la spesa in sede locale» per permettere, nel caso di specie, con continuita', l'erogazione dei servizi di istruzione, anche e soprattutto della scuola dell'infanzia.
Il pieno esercizio dell'autonomia finanziaria regionale, insomma, non puo' prescindere dall'individuazione certa dei finanziamenti che lo Stato mette in campo per l'esercizio delle medesime funzioni e deve poter contare su una tendenziale stabilita' del quadro stesso dello stanziamento, come e', per altro, oggi richiesto dalla legge di delega sul federalismo fiscale - legge 5 maggio 2009, n. 42 - che pone proprio la «certezza delle risorse e la stabilita' tendenziale del quadro di finanziamento» quale principio e criterio direttivo per il legislatore delegato (art. 2, comma 2, lett. ll)).
Per mero tuziorismo, infine, si rileva che, se e' vero che sul piano finanziario, in base al nuovo art. 119 Cost., di regola, non possano trovare spazio interventi dello Stato vincolati nella destinazione all'infuori dall'ambito delle materie di propria competenza, e' altrettanto vero che il predetto divieto non opera quando sono comunque in gioco, o si sovrappongono a quelle regionali, competenze esclusive statali come nel caso de quo (v. sentt. n. 16 del 2004, n. 49 del 2004 e n. 33 del 2005).
2.9. Ancora, la disposizione sub judice contrasta anche con gli art. 97 e 118 Cost.
Una tale incertezza sul quadro dei finanziamenti non si limita - a tutta evidenza - a incidere, menomandola, sull'autonomia finanziaria della Regione, ma produce invece deleterie conseguenze anche sotto il profilo dell'organizzazione e dell'esercizio delle
funzioni amministrative di competenza regionale.
La Regione, infatti, non potendo contare su un quadro certo e tendenzialmente stabile di finanziamenti statali (e non potendo - ne' dovendo - far fronte in autonomia all'erogazione di prestazioni in materia di istruzione), non e' in grado di programmare gli interventi per la scuola del proprio territorio.
La situazione e' grave, al punto che, a seguito dell'approvazione della disposizione impugnata, Regione e scuole, soprattutto quelle paritarie dell'infanzia (principalmente mediante le proprie associazioni di categoria, in primis, F.I.S.M.), paventano la chiusura di molte strutture e, dunque, stante la peculiarita' del Veneto, una significativa riduzione - per alcune zone una vera e propria interruzione - del servizio d'istruzione offerto alle famiglie. Riduzione o interruzione che puo' essere colmata solo da un finanziamento adeguato, certo e stabile proveniente dal livello centrale di governo, in attesa dell'effettiva attuazione dell'art. 119 Cost., o dall'istituzione di scuole dell'infanzia dello Stato con tempi e costi inaccettabili.
2.10. La disposizione legislativa impugnata viola, poi, l'art. 118 Cost. sotto un altro e diverso profilo. Essa si pone, infatti, in contrasto con i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza che in esso sono espressi, ai quali rimanda l'art. 120
cost. (per il principio di sussidiarieta') e che sono, tra l'altro, funzionali al buon andamento della Pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.
L'attuazione di questi principi impone al legislatore nazionale di tenere in adeguato conto la peculiarita' della situazione delle scuole paritarie, soprattutto per l'infanzia, del Veneto, a partire dalla determinazione in ordine alla misura e alle modalita' dell'erogazione delle risorse.
Cosi', in effetti, non avviene normalmente e non e' avvenuto nel caso di specie. La previsione normativa impugnata si limita a stanziare la somma di 242 milioni di euro per le scuole paritarie, in termini assoluti insufficiente allo scopo, e a dare priorita' a
quelle dell'infanzia, senza chiarire come queste risorse vadano distribuite e senza prendere atto delle differenze dei diversi tessuti socio-economico-culturali delle Regioni destinatarie.
2.11 Sembra evidente, infine, che la previsione legislativa impugnata, disponendo l'ennesimo finanziamento incerto e inadeguato, sotto i diversi profili denunciati, si innesta e alimenta un contegno del legislatore statale, in punto di copertura delle esigenze finanziarie in materia di istruzione, che non puo' dirsi in alcun modo improntato a lealta' istituzionale fra i livelli di governo implicati, principio questo che costituisce una differente declinazione del piu' noto principio di leale collaborazione, al quale il legislatore ordinario stesso si e' di recente vincolato approvando la legge 5 maggio 2009, n. 42 (il rimando e' all'art. 2, comma 2, lett. b)).
2.12. L'attribuzione ai privati di un «vero e proprio diritto soggettivo ad istituire scuole e istituti di educazione» (Corte cost., sent. n. 36 del 1958 relativamente all'art. 33 Cost.); il principio della liberta' d'insegnamento (art. 33, primo comma, Cost.); l'onere a carico della Repubblica di istituire scuole di ogni ordine e grado (art. 33 Cost.) l'aver figurato lo Stato come Stato di cultura (art. 9 Cost.) e rifiutato l'imposizione di qualsivoglia educazione di regime con il conseguente impegno a promuovere tutte le
iniziative pubbliche e private che contribuiscono al progresso formativo (V. E. Spagna Musso, Sulla legittimita' costituzionale di finanziamenti statali alle scuole private, in Rass. dir. pubbl., 1965, 608); il riconoscimento dell'istruzione dei figli come diritto dei genitori fondato sull'autonomia originaria della famiglia (art. 29 Cost.); il diritto di scelta della scuola (art. 30 Cost.); il principio secondo cui la scuola deve essere «aperta a tutti» (art. 34 Cost.); i principi dell'autonomia legislativa, amministrativa e fiscale regionale (arti. 117, 118, 119), uniti al generale canone ragionevolezza e di buona amministrazione e al criterio della leale collaborazione costituiscono altrettanti parametri idonei a dimostrare l'illegittimita' della disposizione impugnata:
a) nella parte in cui non viene raccordata alla programmazione pluriennale e lascia il gestore della scuola paritaria in una condizione di oggettiva incertezza in ordine ai tempi e agli importi sui quali fare legittimo affidamento;
b) laddove individui il contributo complessivo per il 2012 in appena 242 milioni di euro per tutta la scuola paritaria, perche' palesemente incongrua ed intrinsecamente irragionevole (disponendo un taglio lineare del 55,1 rispetto alla spesa storica);
c) nella parte in cui misconosce lo sgravio di cui lo Stato e le altre Regioni beneficiano relativamente alle scuole dell'infanzia paritarie venete che svolgono un servizio scolastico sostitutivo (e non alternativo) di quello statale di pari grado (totalmente assente nonostante le previsioni di cui all'art. 33, comma 2, Cost. e alla
legge n. 444/1968) con economie di sistema oggi irrinunciabili;
d) nella parte in cui, disponendo la somma di 242 milioni di euro in un unico e indistinto capitolo di spesa, non differenzia, nel trattamento economico le diverse realta' regionali.
Per tali profili di illegittimita', si chiede pertanto alla Corte di voler acclarare e dichiarare l'illegittimita' in parte qua della disposizione impugnata.
In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui la Corte ritenesse di non poter accogliere, in rito o nel merito, le richieste avanzate dalla ricorrente, si chiede allora di voler almeno utilizzare i poteri monitori suoi propri, al fine di sollecitare il Parlamento a farsi carico delle precise responsabilita' costituzionali in materia di istruzione gravanti sul livello di governo centrale e di eliminare le incongruenze evidenziate, presenti nell'attuale disciplina. Tutto cio' con riserva di futuro accoglimento (cfr. tra le altre, sent. n. 61 del 2006 e ord. n. 18 del 2003).
3. Profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 30, comma 5, della legge 12 novembre 2011, n. 183.
Il presente giudizio ha ad oggetto anche una seconda previsione della legge di stabilita' per il 2012: si tratta dell'art. 30, comma 5.
Giova, anzitutto, chiarire il contenuto normativo della disposizione impugnata e la sua posizione nel quadro ordinamentale, cosi' come tracciata dal legislatore nazionale negli ultimi mesi.
Nell'ambito di un programma di drastica riduzione della spesa pubblica, progettato ed attuato al fine di rispondere alle drammatiche contingenze economiche e finanziarie di cui anche il nostro Paese e' vittima, l'art. 14 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», imponeva alle Regioni di adeguare i propri ordinamenti quanto a: a) numero massimo dei Consiglieri regionali; b) numero massimo degli Assessori regionali; c) riduzione degli emolumenti in favore dei Consiglieri regionali; d) commisurazione del trattamento economico dei Consiglieri all'effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio; e) istituzione di un Collegio di revisori dei conti; 1) passaggio al sistema previdenziale contributivo per i Consiglieri regionali.
Tali misure, autoqualificatesi come necessarie nell'ambito del «coordinamento della finanza pubblica», erano espressamente finalizzate alla collocazione della Regione adempiente ad esse «nella classe di enti territoriali piu' virtuosa di cui all'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111». Esse, dunque, venivano poste dal legislatore come necessarie per ottenere un riscontro in termini di premialita' (o, quanto meno, di esclusione di sanzioni).
Ritenendo la disposizione normativa citata gravemente lesiva dell'autonomia statutaria, legislativa e finanziaria della Regione, il Veneto proponeva ricorso a codesta ecc.ma Corte (ricorso n. 145 del 2011) e cosi' facevano numerose altre Regioni.
Nel frattempo, l'art. 30, comma 5, della legge 12 novembre 2011, n. 183 interveniva sulla disposizione impugnata, modificandone il dettato e, piu' precisamente, sostituendo con la parola «adeguano» la piu' complessa locuzione: «ai fini della collocazione nella classe di enti territoriali piu' virtuosa di cui all'art. 20, comma 3, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, oltre al rispetto dei parametri gia' previsti dal predetto art. 20, debbono adeguare».
E' evidente, quindi, che, ad opera del citato intervento, quelle che potevano al piu' essere considerate facolta' o, per meglio dire, oneri per le Regioni - invitate a ridurre numero e retribuzione dei propri Consiglieri ed Assessori e a controllare le spese della politica al fine di ottenere i vitali benefici legati alla loro qualificazione come «Regioni virtuose» - sono oggi puri e semplici obblighi.
I motivi di illegittimita' proposti con l'originario ricorso alla Consulta, dunque, devono essere qui integralmente riproposti e - lo si auspica - trovare un piu' deciso accoglimento, in considerazione proprio del mutamento occorso.
Si deve, anzitutto, contestare la qualificazione della disciplina impugnata come espressione del potere dello Stato di porre i principi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica».
E' evidente, infatti, che il dettato normativo incide direttamente ed in modo significativo sul piano istituzionale delle Regioni, al punto che il risparmio di spesa - che pure e' l'obiettivo posto dal legislatore - finisce con l'essere una mera conseguenza rispetto al portato della riforma a livello di organi di governo regionale. Ora, non e' possibile estendere l'ambito di competenza legislativa al punto da considerare ricompresa nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica» qualsiasi previsione dello Stato centrale di natura ordinamentale solo perche' in grado di conseguire tagli alla spesa.
Inoltre, anche nella denegata ipotesi in cui codesto ecc.mo Giudice dovesse ritenere di sussumere l'intervento legislativo impugnato in un ambito di potesta' concorrente Stato-Regioni, ex art. 117, comma 3, Cost., nella fattispecie concreta, non si rinvengono disposizioni di principio. «Nella giurisprudenza di questa Corte e' ormai consolidato l'orientamento secondo cui norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (cosi' in Corte cost. sent. n. 326 del 2010, riprendendo sent. n. 237 del 2009. I medesimi assunti, tuttavia, si ritrovano anche nelle sentt. n. 182 del 2011, n. 159 del 2008 e n. 237 del 2009).
La duplice condizione richiesta non e' stata rispettata.
La disciplina impugnata, piu' correttamente, deve sussumersi nell'ambito dell'autonomia statutuaria regionale in materia di «forma di governo» e «principi fondamentali di organizzazione e funzionamento», di cui all'art. 123 Cost.
In particolare, compete certamente allo Statuto regionale la determinazione del numero massimo di consiglieri regionali, che l'impugnata lettera a) del primo comma dell'art. 14 del decreto-legge n. 138/2011 pretende, invece, di imporre in relazione al numero degli abitanti della Regione. Sul punto la giurisprudenza recente di codesta Corte e' cristallina: nell'ambito della riserva normativa di cui all'art. 123 Cost. «rientra la determinazione del numero dei membri del Consiglio, in quanto la composizione dell'organo legislativo regionale rappresenta una fondamentale'scelta politica sottesa alla determinazione della forma di governo della Regione'» (cosi' in Corte cost. sent. n. 188 del 2011, riprendendo anche la sent. n. 3 del 2006).
Le medesime considerazioni valgono per la lettera b) impugnata con l'originario ricorso, dal momento che, con essa, il legislatore statale ha preteso nuovamente di intervenire sulla forma di governo regionale e sulle scelte discrezionali che la riguardano, con riferimento al numero di Assessori.
Le disposizioni di cui alle lettere c), d) e f) dell'art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 138/2011, invece, si interessano degli emolumenti e delle utilita' dei Consiglieri regionali e del sistema previdenziale a questi applicabile. Gli obblighi imposti alle
Regioni, in questo caso, oltre ad essere lesivi dell'autonomia statutaria regionale, si pongono in contrasto con il dettato dell'art. 119 Cost. dal momento che intervengono, limitandola, sulla spesa regionale. Codesta ecc.ma Corte ha chiarito piu' volte ormai che affinche' i vincoli all'autonomia di spesa propria delle Regioni possano dirsi conformi a Costituzione essi devono riguardare «l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo 'in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale' - la crescita della spesa corrente». In altri termini, «la legge statale puo' stabilire solo un 'limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa'» (cosi', di recente in Corte cost. n. 182 del 2011, riprendendo le sentt. n. 417 del 2005, n. 36 del 2004, n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005. Con precipuo riguardo agli interventi sulle indennita' corrisposte agli organi politici regionali, invece, si veda Corte cost. sent. n. 157 del 2007 punto
5.2 del Considerato in diritto).
Particolare, ma non meno illegittima, e' la previsione dell'istituzione, a decorrere dal 1° gennaio 2012 scorso, di un Collegio dei revisori dei conti, «quale organo di vigilanza sulla regolarita' contabile, finanziaria ed economica della gestione dell'ente», operante «in raccordo con le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti», prevista dall'art. 14, comma 1, lett. e) del decreto-legge n. 138/2011 e divenuta obbligatoria grazie alla modifica apportata dall'art. 30, comma 5, della legge n. 183/2011, qui in esame.
La previsione normativa richiamata si pone in contrasto, innanzitutto, con il riparto costituzionale della potesta' legislativa, non solo con riferimento all'art. 117, comma 3, cost. (e, in particolare, all'ambito del «coordinamento della finanza pubblica», dal momento che non pone norme di principio, come sopra denunciato), bensi' anche in relazione agli artt. 117, comma 4, e 123, comma 1, Cost.
Spetta allo Statuto regionale, infatti, il compito di disegnare «i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento» della Regione, nell'ambito dei quali, poi, il legislatore regionale interverra' con discipline di dettaglio, esercitando la propria potesta' esclusiva in materia di organizzazione amministrativa regionale e controlli.
Non si puo' dimenticare, infatti che la riforma del titolo V della Costituzione, unitamente alla legge 5 giugno 2003, n. 131, che le da' attuazione, ha riconosciuto l'avvenuta emancipazione delle Regioni dallo Stato, confermando la prevalente linea di tendenza legislativa che riservava e riserva all'autonomia normativa e organizzativa di detti enti la materia dei controlli.
In effetti, si appalesa un vero contrasto con l'intero sistema disegnato sul punto a seguito della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Non e' dato, infatti, comprendere quali poteri in concreto siano rimessi al Collegio di revisione ne' quali siano gli effetti delle pronunce di questo, ma la disposizione e' congegnata in modo tale da far temere il ripristino di un sistema di controlli preventivi di legittimita'.
Il contrasto con la Costituzione si estende, inoltre e comunque, anche all'art. 119 Cost.: e' evidente che l'ulteriore controllo sulla gestione dell'ente posto in capo al Collegio dei revisori dei conti regionale si tradurra' in una compressione dell'autonomia della Regione anche e soprattutto in punto di spesa.
Tutto cio' dimostra l'illegittimita' della disposizione normativa di cui all'art. 30, comma 5, della legge n. 183/2011 per violazione degli artt. 117, 119 e 123 Cost.
P.Q.M.
Si chiede che codesto ecc. mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale:
a) dell'art. 33, comma 16, della legge 12 novembre 2011, n. 183: un tanto per violazione degli artt. 3, 97, 30, 33, 34, 117, 118, 119, 120 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, comma 2, Cost., e, per quanto di competenza e ove occorra, dei seguenti parametri interposti: art. 138 del d.lgs. 1998, n. 112; legge 5 maggio 2009, n. 42; legge 10 marzo 2000, n. 62; legge 28 marzo 2003, n. 53; d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59; d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297.
b) dell'art. 30, comma 5, della legge 12 novembre 2011, n. 183: un tanto per violazione degli artt. 117, 119, 123 Cost.
Si allega:
1. deliberazione della Giunta della Regione Veneto n. 2256 del 20 dicembre 2011 recante l'autorizzazione alla proposizione del ricorso;
2. relazione dell'Ufficio scolastico regionale per il Veneto sui dati delle scuole paritarie e non paritarie nell'a.s. 2010/2011;
3. relazione F.I.S.M. sui dati della scuola dell'infanzia veneta 2010-2011;
4. decreto n. 5 del 1° aprile 2011 e nota Miur n. 2453 del 7
aprile 2011.
Padova-Venezia-Roma, 10 gennaio 2012
Avv. prof. Bertolissi - Avv. prof. Zanon - Avv. prof. Palumbo - Avv.
prof. Manzi