N. 11 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 gennaio 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 29 gennaio 2004 (della Regione Umbria)
(GU n. 7 del 18-2-2004)

Ricorso della Regione Umbria, in persona della presidenza della
giunta regionale pro tempore dott.ssa Maria Rita Lorenzetti,
autorizzata con deliberazione della giunta regionale n. 1 dell'8
gennaio 2004, rappresentata e difesa, come da procura notarile del 21
gennaio 2004, n. rep. 95831, rogata dal dott. Giuseppe Brunelli del
Collegio di Perugina, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova,
con domicilio eletto in Roma presso l'avv. Luigi Manzi, via
Confalonieri n. 5;

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 24
novembre 2003, n. 326, «Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti
per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 25 novembre
2003 - Supplemento ordinario n. 181, nella parte in cui converte, con
modificazioni, l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269,
ed in particolare i commi:
1, 2, 3, 25, 26, lett. a), in quanto prevedono un nuovo
condono edilizio;
25, in quanto non eccettua dal condono gli abusi per i quali
il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato;
26, lett. a) in quanto subordina la sanabilita' alla legge
regionale per gli abusi minori in zone non vincolate, sottraendo a
questo regime gli abusi maggiori e gli abusi minori in zone
vincolate;
3, 25, 26, lett: a), 28, 32, 35, lett. a) e b), 37, 38, 40 e
Allegato 1, in quanto, con disciplina dettagliata ed autoapplicativa,
stabiliscono le condizioni, le modalita', i termini e le procedure
relative al condono edilizio;
25 e 35, in quanto consentono di «far passare» per gia'
costruite opere in corso di costruzione o ancora da costruire;
37, in quanto prevede un meccanismo di silenzio-assenso;
25, in quanto prevede un limite di volume per ogni singola
richiesta;
1, 2, 3, 25, 26, lett. a), per mancato coinvolgimento delle
regioni, in violazione degli articoli 3, comma primo, 5, 9, 97, comma
primo, 114, comma primo, 117, comma secondo, 117 comma terzo, 118,
comma primo, Cost. nonche' del principio di ragionevolezza, di
indisponibilita' dei valori costituzionalmente tutelati, del
principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni e
dell'art. 2 d.lgs. n. 28l/1997.

F a t t o

La Regione Umbria ha gia' impugnato l'art 32 del decreto-legge
n. 269/2003 con ricorso n. 87/2003, pendente avanti a codesta Corte.
La legge 24 novembre 2003, n. 326, ha convertito il decreto-legge
n. 269/2003, lasciando nella sostanza inalterate quasi tutte le
disposizioni censurate con il ricorso n. 87/2003. La legge
n. 326/2003 e' dunque affetta dai medesimi vizi di costituzionalita'
denunciati in relazione al decreto-legge.
Pare opportuno non riprodurre per esteso nel presente ricorso
tutte le considerazioni svolte nel ricorso n. 87/2003, ma limitarsi a
sintetizzare i motivi di impugnazione, valendo per la loro
illustrazione piu' analitica le argomentazioni svolte nella parte in
Fatto e nella parte in Diritto del ricorso n. 87, alle quali
integralmente si rinvia.
Si puo' qui aggiungere, pero', una considerazione che mette
ulteriormente in luce quale sia la considerazione che il legislatore
statale ha delle esigenze della tutela del territorio.
I commi 6, 9, 12 e 24 dell'art. 32 decreto-legge n. 269/2003,
come convertito, prevedevano il reperimento e la destinazione
vincolata di risorse preordinate alla effettuazione di interventi di
riqualificazione di nuclei edilizi ed urbani caratterizzati da
abusivismo edilizio. Il comma 6, in particolare, destinava 10 milioni
di euro per l'anno 2004 e 20 milioni di euro per ciascuno degli anni
2005 e 2006 al fine di concorrere alla partecipazione ad interventi e
politiche di riqualificazione dei nuclei interessati da fenomeni di
abusivismo, attivati dalla regione attraverso l'incremento della
oblazione, secondo quanto disposto dal comma 33. Parimenti, al comma
9 del decreto-legge, come convertito, erano previste risorse
finanziarie per attivare un programma nazionale di interventi di
riqualificazione delle aree per degrado economico-sociale (i cui
ambiti di rilevanza ed interesse nazionale erano da individuarsi con
decreti del Ministero per le infrastrutture, di concerto con i
Ministri dell'ambiente e d'intesa con la conferenza unificata) e, ai
successivi commi 11 e 24, rispettivamente per interventi di recupero
e riqualificazione paesaggistica, nonche' per la valorizzazione e il
miglioramento delle aree demaniali. Senonche' tali risorse
finanziarie - gia' ritenute palesemente insufficienti dalle regioni -
sono state completamente espunte dal testo legislativo ad opera della
legge Finanziaria 2004, che con il comma 70 dell'art 2 ha abrogato
seccamente i commi 6, 9, 11 e 24, del sopra citato art. 32 della
legge n. 326/2003, con cio' cancellando dal sistema di reimpiego di
parte dei fondi provenienti dal condono e dalla stessa ratio
dell'art. 32 qualsivoglia concreta possibilita' di attuazione degli
interventi di riqualificazione previsti, su un piano non certamente
marginale, dalle misure di condono edilizio. Si puo' quindi rilevare
la irragionevolezza e la scarsa attendibilita' del meccanismo
congegnato attraverso le varie disposizioni di cui all'art. 32 per
realizzare finalita' di reale e credibile intento di riqualificazione
del territorio.

D i r i t t o

1. - Illegittimita' costituzionale dei commi l, 2, 3, 25, 26,
lett. a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio, per
violazione dell'art. 117, comma 2 e 3, Cost.
Nel ricorso n. 87/2003 si e' osservato che le norme sul condono
edilizio intervengono in materia regionale, e che esse potrebbero
volersi giustificare, da parte dello Stato, o in quanto principi
fondamentali in materia di «governo del territorio», o in quanto
principi fondamentali nella materia del «coordinamento della finanza
pubblica» o in quanto esercizio di potesta' legislativa nella materia
dell'ordinamento penale.
In realta', tuttavia, le disposizioni che prevedono il condono
non possono essere considerate rientranti in alcuno dei tre titoli di
intervento ipotizzati, come analiticamente illustrato nel ricorso
n. 87 (v. pp. 11-16).
Tali censure sono ribadite attraverso il presente ricorso. Ne
risulta confermata la lesione delle potesta' legislativa ed
amministrativa regionale in materia urbanistica e l'illegittimita'
costituzionale delle disposizioni impugnate.
2. - Illegittimita' costituzionale degli stessi commi 1, 2, 3,
25, 26, lett a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio, per
violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza, dell'art.
97, comma primo, nonche' degli art. 117 e 118 Cost.
Oltre alle ragioni di illegittimita' costituzionale della
normativa impugnata collegate al riparto di poteri legislativi tra lo
Stato e la Regione Umbria, nel ricorso n. 87/2003 si sono riproposte
tutte le ragioni di doglianza gia' prospettate dalle regioni con il
ricorso rivolto avverso il condono attivato dalla legge n. 724 del
1994, consistenti nella violazione dei principi di ragionevolezza e
di uguaglianza, nella violazione dell'art. 97 (oltre che degli
artt. 117 e 118 Cost.): ragioni delle quali codesta stessa Corte
costituzionale ebbe ad affermare, nella sentenza n. 416 del 1995, che
- se pure non potevano in quell'occasione accogliersi - sarebbero
state pienamente valide e necessariamente da accogliere nell'ipotesi
«di altra reiterazione di una norma del genere, soprattutto con
ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di
riferimento del commesso abusivismo edilizio».
Le norme di cui sopra violano dunque il principio di
ragionevolezza, di buon andamento dell'amministrazione e di
eguaglianza (come illustrato nel ricorso n. 87, pp. 17 s.), e questi
vizi si traducono in una lesione delle competenze costituzionali
della regione, che - a causa del condono - vede illegittimamente
frustrata la propria attivita' legislativa ed amministrativa di
governo del territorio, in quanto gli abusi compiuti possono
sffiggire alle sanzioni amministrative e si incentivano abusi futuri.
3. - Illegittimita' costituzionale degli stessi commi 1, 2, 3,
25, 26, lett a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio, per
violazione dell'art 9 Cost. e del principio costituzionale di
indisponibilita' dei valori costituzionalmente tutelati.
Va poi denunciata (ancora come illustrato nel ricorso n. 87/03)
una ulteriore e piu' profonda violazione del principio implicito
nella Costituzione di non disponibilita', da parte del legislatore
ordinario (non importa se statale o regionale), dei valori
costituzionalmente tutelati, in base al quale il valore dell'ordinato
assetto del territorio (costituzionalmente tutelato come risulta
dall'art. 9, comma 2, Cost. e dalla stessa costruzione costituzionale
del governo del territorio come autonoma materia di legislazione) non
puo' essere scambiato con valori puramente finanziari. In questi
termini, il condono edilizio non e' in nessun modo paragonabile ad
altri condoni che pure comportino «clemenza» penale, quali i condoni
fiscali, in occasione dei quali una pretesa economica viene
rinunciata in vista di una diversa, e sia pure piu' ridotta, pretesa
economica, senza compromettere altri valori costituzionali (v. piu'
ampiamente pp. 18-21 del ricorso n. 87/03).
4. - In subordine: illegittimita' del comma 26, lett a), in
quanto subordina la sanabilita' alla legge regionale per gli abusi
minori in zone non vincolate, sottraendo alla decisione regionale gli
abusi maggiori e gli abusi minori in zone vincolate.
Nel ricorso n. 87 (p. 21) si e' censurato specificamente il comma
26, che determina la paradossale situazione per cui chi ha commesso
abusi piu' gravi puo' senz'altro usufruire della possibilita' del
condono, mentre chi ha commesso abusi meno gravi puo' usufruirne se
le regioni lo prevedono: il che implica chiaramente la violazione dei
principi di ragionevolezza e di eguaglianza (e mediatamente degli
articoli 117 e 118 Cost., per la ripercussione di quei vizi sulle
competenze regionali in materia di governo del territorio). E' stato
dunque impugnato il comma 26, lett. a), nella parte in cui non
condiziona la sanabilita' dell'illecito amministrativo all'intervento
di una legge regionale che la preveda.
Tale censura viene ribadita attraverso il presente ricorso.
5. - In subordine: illegittimita' del comma 25, in quanto non
eccettua dal condono gli abusi per i quali il procedimento
sanzionatorio sia gia' iniziato.
Nella denegata ipotesi che le censure sopra esposte non
risultassero da condividere, la regione ha poi lamentato, nel ricorso
n. 87/03 (p. 22 s.), che la disciplina impugnata non abbia escluso -
dall'ambito di applicazione del condono - gli abusi per i quali il
procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato. Infatti, in casi di
questo tipo, la possibilita' di condono risulta ancora piu'
irragionevole e maggiormente lesiva del principio di buon andamento
dell'amministrazione: perche', quando il procedimento sanzionatorio
e' gia' iniziato, il condono non arreca alcun vantaggio al pubblico
interesse, ne' in termini di «uscita allo scoperto» di chi ha
commesso l'abuso ne' in termini economici, dato che spesso le
sanzioni urbanistiche hanno carattere pecuniario.
Anche tale censura e' ribadita attraverso il presente ricorso.
6. - In subordine: illegittimita' costituzionale dei commi 3, 25,
26, lett. a), 28, 32, 35, lett a) e b), 37, 38, 40 e Allegato 1, in
quanto, con disciplina dettagliata ed autoapplicativa. stabiliscono
le modalita', i termini e le procedure relative al condono edilizio.
Come illustrato nel motivo n. 6 del ricorso n. 87/03, va poi
osservato che, qualora, in denegata ipotesi, si ritenesse che la
previsione di un nuovo condono sia, per qualunque e qui imprevedibile
ragione, legittima, si dovrebbe perlomeno ammettere l'illegittimita'
di quelle norme di dettaglio che stabiliscono le modalita', i termini
e le procedure relative al condono edilizio, e cioe', in particolare,
dei commi 28 (concernente i termini), 32 (concernente la
presentazione della domanda), 35, lett. a) e b) (concernente la
documentazione da allegare alla domanda), 37 (che prevede il
meccanismo del silenzio-assenso), 38 (quanto meno nella parte in cui
fa riferimento alla misura degli oneri concessori e alle relative
modalita' di versamento) e 40 (concernente i diritti e gli oneri
previsti per l'istruttoria della domanda di sanatoria). Infatti, la
presenza di norme di dettaglio potrebbe giustificarsi solo sulla base
di una competenza statale esclusiva: ma non si vede quale titolo di
competenza statale possa comprendere le norme sulle modalita', sui
termini e sulle procedure relative al condono edilizio: per il resto,
v. le pp. 23-26 del ricorso n. 87/03.
7. - In subordine: ulteriore illegittimita' dei commi 25 e 35, in
quanto consentono di «far passare» per gia' costruite opere in corso
di costruzione o ancora da costruire. Violazione degli artt. 3, 9,
97, 117 e 118 Cost.
Nel ricorso n. 87/03 si sono poi impugnati specificamente il
comma 25 dell'art. 32 (che estende il condono alle opere abusive
ultimate entro il 31 marzo 2003: dunque, solo sei mesi prima della
pubblicazione del decreto-legge, mentre l'art. 39 legge n. 724/1994
si applicava alle opere ultimate un anno prima e l'art. 31 legge
n. 47/1985 alle opere ultimate diciassette mesi prima) ed il comma
35, che definisce la documentazione da allegare alla domanda di
condono.
Tali norme, infatti, favoriscono la possibilita' che si «facciano
passare» per gia' costruite opere in corso di costruzione o ancora da
costruire, con conseguente violazione del principio di ragionevolezza
e lesione delle ragioni della buona amministrazione e della tutela
del territorio (e dunque degli artt. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost. v. p.
26-28).
Dunque, il comma 35 e' illegittimo nella parte in cui non prevede
in tutti i casi la necessita' che il costruttore o il direttore dei
lavori attesti, sotto la propria responsabilita' anche penale,
l'ultimazione dei lavori alla data prevista. Dal canto suo, il comma
25 e' illegittimo nella parte in cui fissa il termine del 31 marzo
2003 anziche' uno piu' risalente, che potrebbe essere individuato
considerando quale minimo intervallo ragionevole per la
condonabilita' di abusi passati quello fissato a suo tempo
dall'art. 31 legge n. 47/1985.
La censura in questione e' ribadita con il presente ricorso.
8. - In subordine: ulteriore illegittimita' del comma 37, in
quanto prevede un meccanismo di silenzio-assenso. Violazione degli
art. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost.
L'art. 32, comma 37, prevede il meccanismo del silenzio-assenso
in relazione alle domande di sanatoria, laddove tale istituto non e'
contemplato neppure dalla disciplina generale del permesso edilizio
(v. art. 20 d.P.R. n. 380/2001). E' del tutto irragionevole e
discriminatorio assoggettare le domande di permesso che si
riferiscono ad opere sicuramente abusive (perche' dichiarate tali dai
richiedenti) ad un regime di verifica meno severo di quello vigente
per le domande di permesso che vengono dichiarate dagli interessati
conformi alla disciplina urbanistica. Tale norma, inoltre, viola gli
artt. 9, 97, 117 e 118 Cost. perche' rende eventuale il controllo dei
comuni sull'ammissibilita' delle domande di condono, ledendo
ulteriormente le competenze regionali in materia di governo del
territorio (v. piu' ampiamente il ricorso n. 87/03, pp. 28-30).
9. - In subordine: ulteriore illegittimita' del comma 25, in
quanto prevede un limite di volume per ogni singola richiesta.
Violazione degli articoli 3, 9, 97, 117 e 118 Cost.
L'art. 32, comma 25, decreto-legge n. 269/2003, come gia'
l'art. 39 legge n. 724/1994, prevedeva, prima della conversione, che
fossero sanabili le «opere abusive... relative a nuove costruzioni
residenziali non superiori a 750 mc per ogni singola richiesta di
titolo abilitativo edilizio in sanatoria».
Ora, dopo la conversione, esso stabilisce che sono sanabili le
«opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove
costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola
richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione
che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri
cubi». Dunque, ora la disposizione pone un limite non solo in
relazione alla singola opera da sanare ma anche in relazione alla
costruzione complessiva. Resta, pero', l'illegittimita' gia'
denunciata con il ricorso n. 87/03, in quanto la norma in questione
appare irragionevole e lesiva dei parametri indicati in epigrafe
nella parte in cui non precisa che non sono ammesse piu' richieste
riferite alla medesima area: e' chiaro, infatti, che, anche alla luce
di quanto previsto dall'art. 39 legge n. 724/1994, potrebbero essere
stati costruiti edifici attigui, ognuno dei quali rispettoso del
limite di volume sanabile, al fine di eludere il limite stesso. Cio'
arreca un ulteriore pregiudizio alle esigenze di tutela del
territorio e alle relative competenze regionali.
Poiche' gli emendamenti apportati al decreto-legge hanno
efficacia solo per il futuro (v. art. 15, comma 5, legge n. 400/1988,
che in realta' conferma il generale principio di irretroattivita), si
censura qui specificamente l'art. 32, comma 25, nella versione
originaria (che potrebbe essere stato gia' applicato, qualora una
domanda di condono sia stata accolta prima dell'entrata in vigore
della legge di conversione), in quanto non solo non precisa che non
sono ammesse piu' richieste riferite alla medesima area ma non pone
neppure un limite di volume complessivo per la nuova costruzione
abusiva: cosi' risultando ancora piu' irragionevole della norma
introdotta dalla legge n. 326/2003 e maggiormente lesivo delle
esigenze di tutela del territorio e delle relative competenze
regionali. Tale norma, pur se efficace solo in relazione al periodo
di vigenza del decreto-legge, e' stata «stabilizzata» dalla legge di
conversione, che l'ha modificata solo per il futuro.
10. - In subordine: illegittimita' costituzionale dei commi 1, 2,
3, 25, 26, lett. a), per mancato coinvolgimento delle autonomie
regionali.
Infine, nel ricorso n. 87/03 (p. 30 s.) si e' censurato il fatto
che, a quanto risulta, ne' in sede di adozione del decreto-legge ne'
in sede di adozione del disegno di legge di conversione ne' nel corso
dell'esame parlamentare della legge stessa le autonomie regionali
sono state consultate attraverso la Conferenza Stato-regioni.
Poiche', come visto, la disciplina qui impugnata riguarda materie di
competenza regionale, tale mancato coinvolgimento lede il principio
di leale collaborazione, espressamente sancito ora nel Titolo V della
Costituzione.
In particolare, risulta violato l'art. 2, comma 3, d.lgs.
n. 281/1997, ne' si puo' obiettare che, nel caso di specie, la
consultazione non era possibile, dato che l'art. 2, comma 5, d.lgs.
n. 281 disciplina espressamente i casi di urgenza: «quando il
Presidente del Consiglio dei ministri dichiara che ragioni di urgenza
non consentono la consultazione preventiva, la Conferenza
Stato-regioni e' consultata successivamente ed il Governo tiene conto
dei suoi pareri: a) in sede di esame parlamentare dei disegni di
legge o delle leggi di conversione dei decreti-legge». Dunque, la
mancata consultazione della Conferenza risulta comunque ilegittima
per violazione di regola attuativa del principio costituzionale di
leale cooperazione (v. anche la sent. della Corte costituzionale
n. 398/1998, punto 16 del Diritto).


P. Q. M.
Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiarare
costituzionalmente illegittima la legge 24 novembre 2003, n. 326,
nella parte in cui converte, con modificazioni, l'art. 32 del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 ed in particolare i commi 1,
2, 3, 25, 26, lett. a), 28, 32, 35, lett. a) e b), 37, 38, 40 e
Allegato 1, per le parti e sotto i profili illustrati nel presente
ricorso, anche in collegamento con quanto esposto nel ricorso
n. 87/2003.
Padova, addi' 20 gennaio 2004
Prof. avv. Giandomenico Falcon

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