Ricorso n. 110 del 31 dicembre 2009 (Regione Toscana)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 31 dicembre 2009 , n. 110
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 31 dicembre 2009 (della Regione Toscana).
(GU n. 5 del 3-2-2010)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro-tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 1098 del 30 novembre 2009 rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto, dall'avvocato Lucia Bora, domiciliato in Roma, presso lo studio dell'avv. Pasquale Mosca in Corso d'Italia n. 102; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: dell'art. 40 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nella parte in cui introduce il comma 6-ter all'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001; dell'art. 49, comma 1 dello stesso decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nella parte in cui, modificando l'art. 30, comma 1 del decreto legislativo n. 165 del 2001, dispone che le amministrazioni, prima di bandire un concorso pubblico devono «rendere pubbliche le disponibilita' dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento e' disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale e' o sara' assegnato sulla base della professionalita' in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire»; per violazione degli articoli 76, 97, 117, terzo e quarto comma Cost., nonche' per violazione del principio della leale collaborazione. Sulla Gazzetta Ufficiale n. 254 del 31 ottobre 2009 e' stato pubblicato il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, recante «Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15 in materia di ottimizzazione della produttivita' del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni». Le due norme impugnate contengono disposizioni che interferiscono in ambiti materiali riservati alla potesta' legislativa regionale e che quindi vengono contestate per i seguenti motivi di D i r i t t o 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 40, nella parte in cui introduce il comma 6-ter all'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, per violazione dell'art. 117, quarto comma Cost., degli artt. 117, terzo comma e 119 Cost.; dell'art. 76 Cost. anche sotto il profilo della violazione del principio della leale collaborazione. L'art. 40 modifica l'art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, concernente gli incarichi per l'esercizio di funzioni dirigenziali; detto art. 19 e' collocato nel titolo II, capo II del decreto n. 165/2001, capo che, per espressa previsione dell'art. 13, si applica solo alle Amministrazioni dello Stato. Percio' le regioni hanno sino ad ora disciplinato, nell'ambito della propria competenza residuale in materia di organizzazione amministrativa, anche tale profilo del conferimento di incarichi per lo svolgimento di funzioni dirigenziali, ovviamente rispettando i principi generali di trasparenza, efficienza e competenza professionale, che costituiscono cardini generali dell'azione amministrativa in relazione all'organizzazione di ogni pubblica amministrazione. In particolare l'amministrazione ricorrente si e' dotata, da ultimo, della legge regionale 8 gennaio 2009, n. 1 «Testo unico in materia di organizzazione e ordinamento del personale» che agli articoli 8, 9, 11 e, specificatamente, 13 ha disciplinato l'affidamento degli incarichi dirigenziali. L'art. 40 del decreto n. 150/2009 inserisce il comma 6-ter nel citato art. 19; in base a detto comma 6-ter: «Il comma 6 ed il comma 6-bis si applicano alle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2». Cosi', con l'introduzione del suddetto comma 6-ter, si estende anche alle regioni (che sono Amministrazioni previste dall'art. 1, comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001), la disciplina del comma sesto dell'art. 19, come modificato dall'art. 40 e, quindi, la disciplina del conferimento degli incarichi dirigenziali. In particolare verra' ad applicarsi anche alle regioni la previsione per cui detti incarichi possono essere conferiti a tempo determinato solo entro il limite del 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e dell'8% a quelli della seconda fascia dei ruoli dirigenziali (la norma regionale citata prevede invece il limite del 15% della dotazione organica della qualifica dirigenziale della giunta regionale). L'art. 40, nella parte in cui introduce il comma 6-ter all'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e' incostituzionale per diversi motivi. 1.a) Innanzitutto esso lede le competenze regionali costituzionalmente garantite ai sensi dell'art. 117, quarto comma Cost., in relazione all'ordinamento del personale e all'organizzazione amministrativa regionale, ambito in cui rientra la normativa volta a stabilire le modalita' organizzative attraverso le quali e' svolta l'azione pubblica. L'art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione riserva alla potesta' legislativa esclusiva statale la materia dell'ordinamento ed organizzazione amministrativa unicamente con riferimento allo Stato e agli enti pubblici nazionali; la legge dello Stato pertanto puo' intervenire in materia, limitatamente alle amministrazioni statali. Per contro la materia dell'ordinamento delle regioni, degli enti e delle aziende regionali e' attribuita in via residuale alle regioni stesse: la materia in esame infatti non e' ricompresa nell'elenco di materie di competenza esclusiva dello Stato, ne' in quello per cui e' prevista - ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. - la potesta' legislazione concorrente; conseguentemente compete alle regioni disciplinare, nell'esercizio della potesta' legislativa residuale ex art. 117, quarto comma, Cost., l'organizzazione amministrativa e l'ordinamento del personale della regione, degli enti ed aziende regionali, nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. In ordine ai profili inerenti il modello ed i principi di organizzazione degli apparati, e' stato infatti evidenziato che, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, «Il nuovo testo costituzionale comporta con riguardo alle regioni il venir meno dei vincoli prima indicati (rectius le norme fondamentali della legislazione statale di riforma economico-sociale, i principi generali dell'ordinamento giuridico e per la competenza legislativa concorrente, i principi fondamentali posti in materia della legge dello Stato). La materia della organizzazione degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione non compare nell'elenco di cui al terzo comma dell'art. 177 e, dunque, e' rimessa alla potesta' legislativa esclusiva delle regioni. Ne' dal catalogo di materie ed oggetti sul secondo comma e' dato trarre alcun titolo in base al quale il legislatore statale possa interferire sul punto. Conclusione del resto confermata dalla circostanza che in quel catalogo l'ordinamento e l'organizzazione amministrativa e' contemplata con limitato riguardo allo Stato e agli enti pubblici nazionali. Si deve per tanto ritenere che entro la cornice dei precetti costituzionali ciascuna regione sia libera di adottate il modello e le regole di organizzazione amministrativa che credera'» (cfr. A. Corpaci, Revisione del Titolo V della Parte seconda della costituzione e sistema amministrativo, in Le Regioni, n. 6, dicembre 2001, p. 1305 e ss.). Alla luce del rinnovato quadro costituzionale, la regione gode quindi di piena autonomia nella gestione ed organizzazione dei propri uffici e del relativo personale. A questo proposito si osserva che gia' secondo l'indirizzo giurisprudenziale della Corte costituzionale consolidatosi sotto il regime del previgente art. 117 Cost., inaugurato con la sentenza n. 10/1980, le regioni, in materia di ordinamento degli uffici e di stato giuridico dei rispettivi dipendenti, erano titolari della piu' ampia autonomia legislativa (cfr. in tal senso: sent. n. 10/1980; sent. n. 277/1983; sent. n. 278/1983; sent. n. 219/1984; sent. n. 290/1984; sent. n. 99/1986; ord. n. 10/1988; sent. n. 217/1987; sent. n. 772/1988). In particolare, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha piu' volte sottolineato «l'autonomia, costituzionalmente garantita, che caratterizza la legislazione regionale in ordine a quella componente dell'ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla regione, rappresentata dallo stato giuridico e dal trattamento economico del corrispondente personale. Senza di che si renderebbe impossibile un'autonoma ed organica disciplina dello stato giuridico dei dipendenti regionali, che verrebbe ridotta ''ad una composita e poliedrica legislazione di risulta, inevitabilmente modellata sui vari stati giuridici delle varie amministrazioni e istituzioni di provenienza del personale trasferito'': il che finirebbe per comportare notevole pregiudizio all'autonomo assetto ed al funzionamento degli uffici regionali» (Corte costituzionale sent. n. 278/1983 che ripercorre, nei passi qui riprodotti, alcune importanti sequenze della precedente sentenza n. 10/1980 gia' citata). In conclusione, la competenza riconosciuta dall'art. 117 Cost. alle regioni a statuto ordinario in materia di ordinamento dei propri uffici e' attribuita alle «medesime proprio al fine di organizzare gli uffici regionali secondo le peculiarita' dell'amministrazione di cui sono parte (...)» (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 772/1988). Tale orientamento e' tanto piu' valido oggi, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, che ha ridefinito in termini di forte autonomia il ruolo delle regioni all'interno dell'ordinamento ed ha riconosciuto la piu' piena potesta' legislativa delle regioni in materia di ordinamento degli uffici e del personale, materia in cui rientra evidentemente anche la disciplina delle assunzioni. Ed infatti, fin dalle prime pronunce, successive alla riforma del Titolo V, la Corte costituzionale ha chiarito che la materia dell'ordinamento e dell'organizzazione amministrativa delle regioni spetta alla potesta' legislativa residuale regionale prevista dall'art. 117, quarto comma, della Costituzione (in tal senso, le sentenze n. 274/2003; n. 3/2004; n. 4/2004 e n. 17/2004). In particolare, cio' e' affermato espressamente dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 274/2003 e nella pronuncia n. 17/2004, ove e' rilevato che «nell'assetto delle competenze costituzionali configurato dal nuovo titolo V, parte II, della Costituzione, l'autofinanziamento delle funzioni attribuite a regioni ed enti locali non costituisce altro che un corollario della potesta' legislativa regionale esclusiva in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa.... ». Ed ancora, la Corte costituzionale, con riferimento all'art. 19, comma 14, della legge n. 448/2001 (c.d. legge finanziaria 2002), ha avuto modo di precisare che tale articolo, nella parte in cui prevede che le amministrazioni pubbliche promuovono iniziative di alta formazione del personale e finanziano borse di studio per l'iscrizione dei dipendenti ai corsi di laurea triennali, costituisce si' una norma permissiva nei confronti delle richiamate pubbliche amministrazioni, tuttavia, «cio' non e' ancora sufficiente per escludere la lesione delle prerogative regionali, in quanto pure una norma permissiva presuppone una rivendicazione di competenza statale, per cui se la norma dovesse trovare applicazione anche nei confronti delle amministrazioni non statali si porrebbe il problema della esorbitanza di essa dall'ambito della disciplina ''dell'ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali'', riservata in via esclusiva alla legislazione statale». Continua pertanto la sentenza che «occorre sottolineare che l'art. 19 della legge finanziaria per il 2002, che riguarda le assunzioni di personale, si apre al comma 1, con un espresso riferimento alle ''amministrazioni dello Stato'' e si svolge in modo da far ritenere che il generico richiamo alle amministrazioni pubbliche, contenuto nel comma 14, non possa essere letto altro che come sinonimo di statali (...)» (sentenza della Corte costituzionale n. 3/2004, e nello stesso senso anche la sentenza n. 17/2004). Pertanto e' legittimo che sia il legislatore regionale a definire le modalita' ed i limiti di conferimento degli incarichi dirigenziali, nell'ambito della regione, nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento, e quindi della trasparenza, dell'imparzialita', del giusto procedimento. La disposizione contestata, che estende anche alle regioni il limite del 10% per il conferimento degli incarichi dirigenziali a tempo determinato e con esso tutta la disciplina del sesto comma dell'art. 19 del decreto legislativo n. 165, non e' giustificata da alcun titolo di competenza statale. Non puo' infatti sostenersi che essa sia finalizzata a garantire l'osservanza dei richiamati principi di trasparenza e di efficacia: in primo luogo perche' il limite a priori del 10% non garantisce di per se' il rispetto dei canoni suddetti e, poi, perche', laddove si affermasse il potere dello Stato di intervenire direttamente nell'organizzazione interna degli uffici regionali per il buon andamento dell'amministrazione, l'autonomia regionale sancita dalla Costituzione verrebbe svilita, in quanto ogni disciplina dell'organizzazione amministrativa deve essere diretta attuazione dell'art. 97 Cost. Dunque, nell'ambito dell'organizzazione dei propri uffici, spetta al legislatore regionale dettare le norme in modo che l'organizzazione rispetti le regole del buon andamento, imparzialita' ed efficienza. Infatti la Regione Toscana ha normato il conferimento degli incarichi nel pieno rispetto dei suddetti principi. Di qui l'eccepita violazione dell'art. 117, quarto comma Cost. in relazione alla competenza regionale in materia di ordinamento del personale ed organizzazione amministrativa. 1.b) La norma contestata non puo' ritenersi legittima neanche invocando il coordinamento della finanza pubblica. Infatti il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato non provoca un aumento di spesa, perche' ad esso si ricorre per far fronte ad esigenze straordinarie e temporanee, ovvero a fronte di carenze di organico per garantire la continuita' dell'azione amministrativa nel tempo necessario ad espletare i concorsi. Non vi sono percio' esigenze di coordinamento finanziario. In denegata ipotesi, ove si ravvisasse nell'articolo una finalita' di contenimento della spesa, il medesimo sarebbe comunque incostituzionale, perche' non esprime un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica. Questo ricorre infatti in quelle norme statali che fissano limiti generali di spesa alle regioni, che pongono obiettivi di riequilibrio della spesa regionale e che non prevedono in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 289 e n. 120 del 2008; n. 412 e 169 del 2007). Quindi la legge statale non puo' fissare vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni, perche' altrimenti sarebbe lesa l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost. (sentenze n. 297 del 2009; n. 120 del 2008; n. 169 del 2007). Come e' evidente, la norma impugnata non si presta in alcun modo, per il suo livello di dettaglio, ad individuare un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica quale limite complessivo della spesa corrente, ma, in ipotesi, incide sull'indicata singola voce di spesa, introducendo un vincolo puntuale e specifiche modalita' di contenimento della spesa medesima. Percio', ove ritenuta giustificata da esigenze finanziarie, la norma determinerebbe un'inammissibile ingerenza nell'autonomia finanziaria regionale. Di qui, la sua illegittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 117, terzo comma e 119 Cost. La fondatezza di quanto esposto trova conferma nel fatto che, sino ad oggi, l'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001 non si applicava alle regioni; in merito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 412 del 2007, ha ritenuto non lesiva dell'ordinamento regionale la disciplina dei criteri per l'individuazione dei trattamenti accessori dovuti per gli incarichi dirigenziali di cui all'art. 24 del decreto n. 165, perche' tale norma e' contenuta nel capo II del titolo II del decreto n. 165 (esattamente come l'art. 19) che si applica solo alle amministrazioni statali, cosi' che i criteri per l'individuazione dei trattamenti accessori dovuti per gli incarichi dirigenziali «si applicheranno esclusivamente agli incarichi di direzione di uffici dirigenziali di livello generale delle amministrazioni statali e le regioni non saranno vincolate a quei criteri». 1.c) Infine la norma lede il principio di leale collaborazione ed i principi e criteri direttivi della legge delega. Infatti, ai sensi dell'art. 2, comma 2, della legge 4 marzo 2009, n. 15 (legge delega) il decreto delegato avrebbe dovuto essere adottato previa intesa con la Conferenza unificata Stato - Regioni - Autonomie locali (intesa richiesta per la disciplina della dirigenza di cui all'art. 6 e, quindi anche per il conferimento degli incarichi dirigenziali) o, quanto meno, con il parere della suddetta Conferenza, richiesto per i restanti profili. Invece la disposizione impugnata non e' stata oggetto ne' di parere ne' di intesa con la Conferenza unificata, ma e' stata inserita nel decreto dopo il parere espresso dal Senato, senza alcun coinvolgimento regionale. Percio' sussiste la violazione della leale collaborazione, nonche' dei principi e criteri posti dalla legge delega, e quindi dell'art. 76 Cost. che puo' essere fatto valere dalla regione perche' tale violazione determina una menomazione delle competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di organizzazione amministrativa ed ordinamento del personale. Per tutti i suddetti motivi appare incostituzionale l'estensione alle regioni della percentuale massima per l'affidamento degli incarichi dirigenziali a tempo determinato. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49, primo comma, ove introduce l'obbligo di rendere pubbliche le disponibilita' dei posti per la mobilita' volontaria, per violazione degli articoli 117, quarto comma e 97 Cost. L'art. 49 modifica l'art. 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001 sulla mobilita' volontaria tra le pubbliche amministrazioni, con passaggio diretto di personale tra enti diversi. L'originario art. 30 prevedeva la mobilita' volontaria, come forma di copertura di posti vacanti, in caso di domanda di trasferimento di personale di altra amministrazione, in possesso dei necessari requisiti tecnico-professionali richiesti per il posto da ricoprire. Viene censurata quella modifica introdotta dall'art. 49 che consiste nell'obbligo, imposto a tutte le amministrazione, e dunque anche alle regioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali necessarie per coprire il posto vacante, di «rendere pubbliche le disponibilita' dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento e' disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale e' o sara' assegnato sulla base della professionalita' in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire». In sostanza, prima di bandire un concorso la regione dovra' pubblicare un avviso che indichi le disponibilita' di posti in organico, attivare una procedura di ricevimento delle domande di mobilita', fissare preventivamente i criteri di scelta, esaminare le domande pervenute, valutare i curricula, effettuare un colloquio con gli aspiranti, considerando che non si puo' ipotizzare di assumere un dipendente senza neanche un confronto diretto con il medesimo, predispone una eventuale graduatoria. E' facile capire che questa innovativa disposizione avra' due conseguenze negative: la prima consiste nel fatto che si e' previsto una procedura obbligatoria molto lunga ed onerosa per le amministrazioni che hanno bisogno di coprire un posto vacante; la seconda che, specie per le sedi territorialmente piu' ambite, ad eccezione di professionalita' particolari e rare, saranno sempre presenti domande di mobilita' volontaria, con la conseguenza che per quelle amministrazioni diventera' impossibile assumere mediante un pubblico concorso. Si sottolinea che i suddetti adempimenti sono dettati con riferimento alla mobilita' volontaria, che e' ben diversa dalla mobilita' di cui all'art. 34-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Quest'ultimo infatti dispone che tutte le amministrazioni pubbliche, prima di procedere all'avvio di procedure di assunzione di personale, sono tenute a darne comunicazione «ai soggetti di cui all'art. 34, commi 2 e 3» presso i quali sono tenuti gli elenchi del personale in disponibilita', specificando l'area, il livello e la sede di destinazione per i quali si intende bandire il concorso nonche', se necessario, le funzioni e le eventuali specifiche idoneita' richieste. Entro quindici giorni da tali comunicazioni, il Dipartimento della funzione pubblica ovvero le predette strutture provvedono, se possibile, ad assegnare, alle amministrazioni che hanno comunicato l'esigenza di assunzione, il personale collocato in disponibilita' ovvero interessato ai processi di mobilita' previsti dalle leggi e dai contratti collettivi. Se invece entro due mesi dalla comunicazione i soggetti preposti non provvedono ad alcuna assegnazione di personale in disponibilita' o interessato da processi di mobilita', le amministrazioni interessate possono procedere ad avviare le procedure di concorso per l'assunzione di personale. Tale norma, dunque, vuol consentire al personale - che rischia di perdere il lavoro in quanto «in disponibilita'» per mancanza di posti - di ritrovare una collocazione in altre amministrazioni. Data tale finalita', la Corte costituzionale ha ritenuto la disposizione non invasiva delle competenze regionali in materia di organizzazione ed ordinamento del personale, rilevando che la stessa «si limita a prevedere - come gia' faceva, ma in modo del tutto generico, l'art. 34, comma 6 - che le nuove assunzioni possano avvenire con procedure concorsuali solo dopo che sia stata verificata concretamente l'impossibilita' di valersi di personale proveniente da altre amministrazioni e destinato, ove non sia possibile il suo ricollocamento, al licenziamento..... Le considerazioni fin qui svolte escludono che la norma censurata possa considerarsi invasiva della competenza regionale: essa, lungi dal costituire ingerenza nella competenza legislativa residuale delle regioni ovvero norma di dettaglio in materia di ''tutela del lavoro'', promuove, nel settore del pubblico impiego, condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro di cui all'art. 4 Cost. e rimuove ostacoli all'esercizio di tale diritto in qualunque parte del territorio nazionale (art. 120 Cost.)» (sentenza n. 388 del 2004). Ben diversa e' la previsione della norma impugnata che si riferisce, come gia' rilevato, alla mobilita' volontaria e quindi alle domande di trasferimento volontarie che prescindono del tutto da un esubero del personale nell'ambito di un'amministrazione. Percio' in questo caso vi e' una forte incidenza sull'autonomia organizzativa delle amministrazioni regionali. Innanzitutto infatti si introduce un onere pesante ed impegnativo per l'amministrazione che ha necessita' di coprire il posto vacante: essa deve organizzare la procedura per la determinazione dei criteri di valutazione e per l'esame delle domande di mobilita', per l'effettuazione dei colloqui e per la redazione di una graduatoria. Sono procedure che richiedono tempo, personale e denaro e che non sono giustificate da un interesse dell'amministrazione - che avrebbe invece l'interesse ad assumere mediante il pubblico concorso - ne' da altri interessi pubblici, trattandosi come si e' gia' rilevato, di mobilita' volontaria e quindi non finalizzata alla ricollocazione di personale «in esubero» presso altri enti. Cio' determina una violazione delle competenze regionali in materia di ordinamento del personale ed organizzazione degli uffici di cui all'art. 117, quarto comma Cost., non consentendo alle amministrazioni di procedere con il pubblico concorso. Inoltre la disposizione limita la possibilita' per l'amministrazione di ricercare, scegliere ed assumere il personale piu' preparato, in osservanza dei canoni di buona amministrazione di cui all'art. 97 Cost. che richiede l'espletamento del concorso pubblico. A questo proposito la Corte costituzionale, nella recente sentenza n. 239 del 2009, richiamando molteplici precedenti in merito, ha rilevato che il rispetto del concorso pubblico e' «condizione necessaria per assicurare che l'amministrazione pubblica risponda ai principi della democrazia, dell'efficienza e dell'imparzialita'. Il concorso pubblico e', innanzitutto, condizione per la piena realizzazione del diritto di partecipazione all'esercizio delle funzioni pubbliche da parte di tutti i cittadini, fra i quali oggi sono da includersi, per la maggior parte degli impieghi, anche quelli di altri Stati membri dell'Unione europea (sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee, del 2 luglio 1996, in cause 473/93, 173/94 e 290/94). In diretta attuazione degli articoli 3 e 51 Cost., il concorso consente infatti ai cittadini di accedere ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza e ''senza altra distinzione che quella delle loro virtu' e dei loro talenti'', come fu solennemente proclamato dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789. Il concorso, inoltre, e' ''meccanismo strumentale al canone di efficienza dell'amministrazione'' (sentenza n. 205 del 2004), cioe' al principio di buon andamento, sancito dall'art. 97, primo comma, Cost. Il reclutamento dei dipendenti in base al merito si riflette, migliorandolo, sul rendimento delle pubbliche amministrazioni e sulle prestazioni da queste rese ai cittadini. Infine, il concorso pubblico garantisce il rispetto del principio di imparzialita', enunciato dall'art. 97 e sviluppato dall'art. 98 Cost.» Se pure il legislatore puo' derogare al principio del concorso pubblico, pero' secondo l'orientamento progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza costituzionale «l'area delle eccezioni» al concorso deve essere «delimitata in modo rigoroso» (sentenza n. 363 del 2006). Sempre nella citata sentenza n. 293 del 2009, e' rilevato che «Le deroghe sono legittime solo in presenza di ''peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico'' idonee a giustificarle (sentenza n. 81 del 2006). .... Occorrono particolari ragioni giustificatrici, ricollegabili alla peculiarita' delle funzioni che il personale da reclutare e' chiamato a svolgere, in particolare relativamente all'esigenza di consolidare specifiche esperienze professionali maturate all'interno dell'amministrazione e non acquisibili all'esterno, le quali facciano ritenere che la deroga al principio del concorso pubblico sia essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione». La disposizione impugnata non e' conforme ai suddetti principi della giurisprudenza costituzionale, in quanto la deroga al pubblico concorso non e', nel caso in esame, giustificabile in base ad alcuna esigenza di interesse pubblico, posto che l'assunzione con la procedura di mobilita' risponde solo all'interesse dell'interessato al trasferimento per motivi personali. Ne' puo' essere sostenuto che la norma abbia una finalita' di contenimento della spesa pubblica. Infatti, in ipotesi, cosi' potrebbe essere se fosse previsto che all'amministrazione che ha acconsentito al trasferimento del dipendente e' poi precluso assumere altro personale in sostituzione, ma questo non e' stato sancito. In tal modo si avra' che alcune amministrazioni dovranno coprire i posti vacanti con la procedura di mobilita' volontaria ed altre potranno continuare a bandire concorsi e tutto cio' solo per motivi legati alle scelte personali del dipendente. Pertanto, oltre all'art. 117, quarto comma per la lesione dell'autonomia organizzativa regionale, la norma viola altresi' l'art. 97 Cost. perche' limita il reclutamento del personale mediante il concorso pubblico, e quindi non permette di osservare i criteri di efficienza, imparzialita' e buona amministrazione che il medesimo art. 97 Cost. vuole garantire nell'organizzazione degli uffici nell'espletamento delle funzioni pubbliche; la regione e' legittimata a far valere la violazione del citato art. 97 perche' essa determina una compromissione della propria autonomia organizzativa.
P. Q. M. Si confida che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 40 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nella parte in cui introduce il comma 6-ter all'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e dell'art. 49, comma 1, dello stesso decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nella parte in cui, modificando l'art. 30, comma 1 del decreto legislativo n. 165 del 2001, dispone che le amministrazioni, prima di bandire un concorso pubblico devono «rendere pubbliche le disponibilita' dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento e' disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale e' o sara' assegnato sulla base della professionalita' in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire», per i motivi indicati nel presente ricorso. Firenze - Roma, 29 dicembre 2009 Avv. Lucia Bora