Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 18 gennaio 2012 (della Provincia autonoma di Trento).
(GU n. 9 del 29.02.2012 )
Ricorso della Provincia autonoma di Trento (cod. fisc.
...), in persona del Presidente della Giunta provinciale
pro-tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della
Giunta provinciale 23 dicembre 2011, n. 2929 (doc. 1), rappresentata
e difesa, come da procura speciale n. rep. 27666 del 27 dicembre 2011
(doc. 2), rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, Ufficiale rogante
della Provincia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod. fisc.
...) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc...)
dell'Avvocatura della Provincia di Trento e
dall'avv. Luigi Manzi (cod. fisc...) di Roma, con domicilio eletto
in Roma nello studio di questi in via Confalonieri, n. 51;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 4,
comma 90; 8, comma 3, secondo e terzo periodo, e comma 4; 14, commi
da 1 a 6; 32, commi 1, 10, 12, 13, 16, 17, 19, 22, 24, 25 e 26 della
legge 12 novembre 2011, n. 183, disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita'
2012), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 14 novembre
2011, suppl. ord. n. 234;
Per violazione:
dell'art. 8, n. 1), n. 9), n. 12), n. 14), n. 20); dell'art.
9, n. 3), n. 7), n. 8); degli articoli 16, 74, 87, 88, 103, 104 e 107
del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale), nonche' delle
correlative norme di attuazione;
del titolo VI dello statuto speciale, in particolare degli
articoli 79, 80 e 81, e delle relative norme di attuazione (in
particolare decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268);
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare
articoli 2 e 4;
degli articoli 3, 97, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione
in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3;
del principio di leale collaborazione, per i profili di
seguito illustrati.
Fatto e diritto
Premessa
Il presente ricorso si riferisce ad alcune disposizioni della
legge 12 novembre 2011, n. 183, disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita'
2012). Tale legge, conformemente alla sua natura, ha contenuto
eterogeneo, e contenuto eterogeneo hanno anche le disposizioni qui
impugnate.
E' risultato percio' preferibile evitare una illustrazione
generale in fatto, ed affrontare invece direttamente le singole
disposizioni impugnate, esponendo in relazione a ciascuna di esse sia
il contenuto che le censure e gli argomenti in diritto.
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 90.
L'art. 4 della legge 12 novembre 2011, n. 183, e' intitolato
riduzioni delle spese non rimodulabili dei Ministeri.
Il comma 89 di tale disposizione stabilisce che «a decorrere
dall'anno 2013 le competenze in materia di assistenza sanitaria al
personale navigante ed aeronavigante, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 31 luglio 1980, n. 620, sono trasferite
alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano».
Corrispondentemente, il comma 91 dispone l'abrogazione, a decorrere
dal 1° gennaio 2013, del d.P.R. 31 luglio 1980, n. 620.
E' dunque previsto, in termini generali, il trasferimento delle
competenze sia alle autonomie ordinarie che alle speciali. In
relazione a queste, il comma 93 correttamente statuisce che "al
trasferimento delle funzioni di cui al comma 89, per le regioni a
statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano si
provvede con apposite norme di attuazione in conformita' ai
rispettivi statuti di autonomia» (enfasi aggiunta).
Sennonche', in piena contraddizione con la norma specifica ora
citata, il precedente comma 90, dispone esso stesso che «al
trasferimento delle funzioni assistenziali di cui al comma 89 dal
Ministero della salute alle regioni ed alle province autonome di
Trento e di Bolzano si provvede con regolamento da adottare ai sensi
dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, ... su
proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano» (enfasi aggiunta), con l'osservanza dei principi
e criteri direttivi di seguito elencati.
Ed anche tali principi direttivi menzionano in piu' punti
menzionano le province autonome. Si tratta in particolare dei
seguenti punti:
«b) prevedere il conferimento alle regioni e province autonome
delle funzioni in materia di pronto soccorso aeroportuale attribuite
al Ministero della salute con contestuale trasferimento delle
relative risorse»;
«d) disciplinare il trasferimento alle regioni e alle province
autonome di Trento e di Bolzano del personale dipendente di ruolo del
Ministero della salute attualmente in servizio presso gli ambulatori
del servizio di assistenza sanitaria ai naviganti, con contestuale
trasferimento delle relative risorse finanziarie e corrispondente
riduzione delle strutture e delle dotazioni organiche del medesimo
Ministero»;
«e) disciplinare il trasferimento alle regioni e alle province
autonome di Trento e di Bolzano dei rapporti convenzionali relativi
al personale convenzionato interno appartenente alle categorie dei
medici, chimici biologi e psicologi, infermieri, fisioterapisti,
tecnici sanitari di radiologia medica e tecnici di laboratorio
biomedico con contestuale trasferimento delle relative risorse
finanziarie»;
«f) disciplinare il trasferimento alle regioni e alle province
autonome di Trento e di Bolzano dei vigenti rapporti convenzionali
con i medici generici fiduciari con contestuale trasferimento delle
relative risorse finanziarie»;
«g) disciplinare il conferimento alle regioni e province autonome
delle relative risorse strumentali»;
«h) i criteri per la ripartizione, fra le regioni e le province
autonome, delle risorse finanziarie complessive destinate alle
funzioni assistenziali disciplinate dal presente comma».
Ora, e' evidente che i due metodi di trasferimento - mediante
norme di attuazione dello statuto e mediante regolamento - sono
diversi ed incompatibili. Ed e' altresi' evidente - pur se di seguito
sara' compiutamente illustrato - che mentre la disposizione del comma
93 e' pienamente corretta e legittima, quella del comma 90 e', in
relazione alla ricorrente provincia, del tutto illegittima.
Il presente intervento statale ricade chiaramente in una materia
di competenza provinciale, e cio' sia che la si guardi in una
prospettiva meramente statutaria, facendo riferimento alla competenza
spettante alla Provincia in base all'art. 9, n. 10, dello statuto
(«igiene e sanita', ivi compresa l'assistenza sanitaria e
ospedaliera»), sia che la si consideri nella prospettiva del titolo V
dopo la riforma del 2001, cioe' nella prospettiva della «tutela della
salute» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.: materia che e' stata
ritenuta da codesta Corte - ai sensi dell'art. 10 legge Cost. n.
3/2001 - piu' ampia della competenza statutaria (v., ad es., le
sentt. 162/2007 e 240/2007).
Trattandosi di una materia (a doppio titolo) di competenza
provinciale, correttamente l'art. 4, comma 93, legge n. 183/2011
prevede che il trasferimento delle funzioni sia operato con norme di
attuazione, in conformita' - per quel che riguarda le province
autonome - all'art. 107 dello statuto speciale; ma, come noto, la
necessita' di usare le norme di attuazione per il trasferimento delle
funzioni e' stata ribadita, anche «in relazione alle ulteriori
materie spettanti alla loro [delle regioni speciali] potesta'
legislativa» ai sensi dell'art. 10 legge Cost. n. 3/2001, dall'art.
11 legge n. 131/2003.
Non si comprende, dunque, come il comma 90, in totale
contraddizione con il comma 93, stabilisca che «al trasferimento
delle funzioni assistenziali di cui al comma 89 dal Ministero della
salute alle regioni ed alle province autonome di Trento e di Bolzano
si provvede con regolamento». Il fatto che i principi direttivi di
seguito fissati menzionino piu' volte le province autonome rende
difficile ipotizzare un'interpretazione «correttiva» del comma 90,
alla luce del comma 93 e dello statuto speciale.
E' dunque necessario che sia dichiarata l'illegittimita'
costituzionale del comma 90, in quanto esso viola la competenza della
provincia in materia di sanita' derivante sia dall'art. 117, terzo
comma, Cost., che dall'art. 9, n. 10, St., e la sfera di competenza
riservata dall'art. 107 St. alla speciale fonte rappresentata dalle
norme di attuazione dello statuto.
Inoltre, il comma 90 prevede un regolamento statale in materia
provinciale, cosi' violando il principio di esclusione dei
regolamenti statali nelle materie regionali, risultante - oltre che
da risalente giurisprudenza costituzionale - dall'art. 117, sesto
comma, Cost. e, per quel che riguarda le province autonome, dall'art.
2 d.lgs. n. 266/1992, che menziona solo gli «atti legislativi dello
Stato» come fonti idonee a vincolare le leggi provinciali.
2) Illegittimita' dell'art. 8, comma 3, secondo e terzo periodo, e
comma 4.
L'art. 8 contiene disposizioni in materia di debito pubblico
degli enti territoriali. Sono qui impugnati il comma 3, secondo e
terzo periodo, ed il comma 4. Per la comprensione del ricorso,
tuttavia, e' in primo luogo necessario espone il contenuto dei commi
1, 3 e 3, primo periodo, che pure non sono direttamente impugnati.
Il comma 1 modifica l'art. 204, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000,
riducendo il limite massimo degli oneri che gli enti locali possono
assumere, dal 2012 in poi, per interessi sui mutui e altre
fattispecie analoghe.
Dopo la modifica, l'art. 204, comma 1, dispone che, «oltre al
rispetto delle condizioni di cui all'art. 203, l'ente locale puo'
assumere nuovi mutui e accedere ad altre forme di finanziamento
reperibili sul mercato solo se l'importo annuale degli interessi
sommato a quello dei mutui precedentemente contratti, a quello dei
prestiti obbligazionari precedentemente emessi, a quello delle
aperture di credito stipulate ed a quello derivante da garanzie
prestate ai sensi dell'art. 207, al netto dei contributi statali e
regionali in conto interessi, non supera il 12 per cento per l'anno
2011, l'8 per cento per l'anno 2012, il 6 per cento per l'anno 2013 e
il 4 per cento a decorrere dall'anno 2014 delle entrate relative ai
primi tre titoli delle entrate del rendiconto del penultimo anno
precedente quello in cui viene prevista l'assunzione dei mutui».
Poiche' il comma l dell'art. 8 modifica il t.u. enti locali,
l'innovazione introdotta ha lo stesso ambito di operativita' del
testo unico: e dunque anche per essa opera la clausola di
salvaguardia di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 267/2000, secondo
cui «le disposizioni del presente testo unico non si applicano alle
regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di
Bolzano se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e
dalle relative norme di attuazione».
Il comma 2 dell'art. 8 modifica l'art. 10, comma 2, legge n.
281/1970, riducendo «l'importo complessivo delle annualita' di
ammortamento per capitale e interesse dei mutui e delle altre forme
di indebitamento in estinzione nell'esercizio considerato», che ora
«non puo' comunque superare il 20 per cento dell'ammontare
complessivo delle entrate tributarie non vincolate della regione»
(prima il limite era il 25). Poiche' la legge n. 281/1970 e'
espressamente rivolta alle sole regioni ordinarie, anche tale
disposizione non riguarda la ricorrente provincia.
Il comma 3, primo periodo, dispone che «ai fini della tutela
dell'unita' economica della Repubblica a decorrere dall'anno 2013 gli
enti territoriali riducono l'entita' del debito pubblico» (primo
periodo). Tale disposizione non contiene espliciti riferimenti alle
autonomie speciali o alle province autonome, e dunque verosimilmente
non si riferisce ad esse. Ma se pure fosse ad esse riferibile, per il
suo carattere di principio fondamentale e per il suo contenuto gia'
riconducibile alla logica dell'equilibrio della finanza pubblica e
del patto di stabilita', essa non costituisce per la provincia
autonoma di Trento ragione di contestazione.
Diversamente stanno le cose - in caso di riferibilita' alla
ricorrente provincia - per le disposizioni che subito seguono: i
rimanenti due periodi del comma 3 ed il comma 4. In effetti, il
secondo periodo del comma 3 stabilisce che «le disposizioni di cui ai
commi 1, 2, 3 e 4 costituiscono principi fondamentali di
coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117,
terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione», mentre il
terzo periodo addirittura prescrive che con «decreto di natura non
regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la
conferenza unificata, ... sono stabilite le modalita' di attuazione
del presente comma».
Il comma 4, a sua volta, prevede che «agli enti che non adempiono
a quanto previsto nel comma 3 del presente articolo, si applicano le
disposizioni contenute nell'art. 7, comma 1, lettere b) e d), e comma
2, lettere b) e d), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.
149»: le quali disposizioni a loro volta prevedono limiti alle spese
e alle assunzioni di personale a carico delle regioni e degli enti
locali che non hanno rispettato il patto di stabilita' interno.
Per vero, il riferimento all'art. 117, terzo comma, e all'art.
119 Cost. suggerirebbe che anche i commi 3 e 4 dell'art. 8 siano
rivolti alle sole regioni ordinarie.
La presente impugnazione e' dunque proposta per la contraria
ipotesi che, per il loro tenore generale, le disposizioni in
questione siano applicabili anche alla provincia ed agli enti locali
del relativo territorio.
In questo caso, infatti, il secondo ed il terzo periodo del comma
3 ed il comma 4 risulterebbero illegittimi e lesivi delle prerogative
costituzionali della Provincia di Trento sotto diversi profili.
Quanto al secondo periodo del comma 3, va rilevato che i commi 1
e 2 non contengono affatto «principi fondamentali» di coordinamento
della finanza pubblica e, dunque, risultano violati gli stessi
articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione
richiamati nell'art. 8, comma 3.
Cio' risulta chiaramente dal tenore dell'art. 204, comma 1,
d.lgs. n. 267/2000 e dall'art. 10, comma 2, legge n. 281/1970, come
modificati dall'art. 8 legge n. 183/2011 e sopra riportati: si tratta
di norme che fissano limiti precisi e rigidi alla possibilita' di
indebitamento degli enti locali e delle regioni, limiti che non sono
suscettibili di autonomo ulteriore svolgimento da parte delle
regioni. Risulta assente, dunque, il fondamentale carattere indicato
anche da codesta Corte come necessario affinche' una norma possa
qualificarsi come un principio fondamentale di coordinamento della
finanza pubblica (v. le sentt. n. 390 del 2004, n. 417 del 2005, n.
169 del 2007, n. 159 del 2008 e n. 297 del 2009). Inoltre, tali
limiti non sono neppure caratterizzati da quella transitorieta' o
temporaneita' che in alcuni casi ha costituito una giustificazione
per limiti precisi, in vista del conseguimento di un risultato
costituzionalmente necessario (v. in particolare sent. n. 300 del
2004).
Anche il terzo periodo del comma 3 viola la logica dell'art. 117,
terzo comma, Cost.
Esso, infatti, invece di lasciare alle regioni l'attuazione del
primo periodo del comma 3, affida ad un d.m. il compito di dettare le
norme di dettaglio attuative: anch'esso, dunque, non puo' essere
considerato un principio fondamentale.
Infine, dall'illegittimita' - appena illustrata - del comma 3,
secondo e terzo periodo, discende l'illegittimita' (sempre per
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.) dell'art. 8, comma 4:
infatti, le sanzioni possono essere legittimamente previste dallo
Stato, in base alla giurisprudenza costituzionale, per la violazione
di principi fondamentali di coordinamento della finanza, non per la
violazione di norme di dettaglio presenti (v. l'art. 8, commi 1 e 2)
o future (cioe', quelle del d.m. previsto nel comma 3).
Inoltre, per quanto riguarda la finanza della stessa provincia
autonoma, e' violato l'art. 74 dello statuto speciale, ai sensi del
quale «la regione e le province possono ricorrere all'indebitamento
solo per il finanziamento di spese di investimento, per una cifra non
superiore alle entrate correnti». Lo statuto, dunque, disciplina
specificamente la possibilita' di indebitamento delle province
autonome, stabilendone anche il limite massimo. Risulta dunque in
contrasto con esso l'art. 8, comma 3, che pretende di aggiungere
altri limiti, mediante illegittima diversa norma puntuale (art. 8,
comma 2) e mediante illegittimo rinvio ad un decreto ministeriale per
la riduzione del debito. In via conseguenziale, anche il comma 4 - in
quanto norma sanzionatoria - si pone in contrasto con l'art. 74 St.
Ancora, i commi 3 (secondo e terzo periodo) e 4 violano l'art. 79
dello statuto di autonomia.
Infatti, questo regola in modo preciso, esaustivo ed esclusivo i
modi in cui le province assolvono gli «obblighi di carattere
finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di
stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della
finanza pubblica stabilite dalla normativa statale», espressamente
disponendo che «le misure di cui al comma 1 possono essere modificate
esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104 e fino
alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli
obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1».
Inoltre, nel comma 3 l'art. 79 stabilisce le regole per la
definizione del patto di stabilita' e prevede espressamente che «non
si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti
nel restante territorio nazionale»; il comma 4 ribadisce che «le
disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di
perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione
con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso
sostituite da quanto previsto dal presente articolo».
Dunque, appare chiara l'illegittimita' dei commi 3, secondo e
terzo periodo, e 4 dell'art. 8: essi dettano norme di coordinamento
della finanza pubblica e hanno scopi di stabilizzazione finanziaria,
richiamando a fini sanzionatori le norme previste per la violazione
del patto di stabilita': ma la Provincia di Trento e' soggetta al
regime speciale di cui all'art. 79 St., con espressa esclusione
dell'applicabilita' delle norme valevoli per le regioni ordinarie e,
in particolare, di quelle relative al patto di stabilita'. Come piu'
volte confermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale, l'art.
79 ha pieno rango di statuto speciale, ed il legislatore ordinario
non puo' alterare unilateralmente l'assetto dei rapporti in materia
finanziaria disegnato dallo Statuto, assimilando la posizione delle
province autonome - regolate da disciplina speciale - a quella delle
regioni ordinarie.
Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e
regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente
riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale: v. le sentt.
82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010.
Con riferimento specifico agli enti locali, le norme impugnate
violano l'art. 79, comma 3, St., in base al quale «spetta alle
province stabilire gli obblighi relativi al patto di stabilita'
interno e provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento
agli enti locali», mentre «non si applicano le misure adottate per le
regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale».
Inoltre, lo stesso articolo dispone che «le province vigilano sul
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli
enti di cui al presente comma ed esercitano sugli stessi il controllo
successivo sulla gestione». Le norme impugnate, dunque,
interferiscono illegittimamente con il potere di coordinamento della
finanza locale spettante alla ricorrente provincia.
Ancora, poiche' l'art. 8, comma 3, secondo e terzo periodo,
pretende di vincolare gli enti locali della provincia di Trento con
norme dettagliate in materia di indebitamento, risulta violato l'art.
80, comma 1, dello statuto, in base al quale «le province hanno
competenza legislativa, nei limiti stabiliti dall'art. 5, in materia
di finanza locale», e risulta violata altresi' la relativa norma di
attuazione che assegna alla provincia il potere di provvedere a
definire i limiti dell'indebitamento degli enti locali (art. 17,
comma 3, decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268: «Nel rispetto
delle competenze regionali in materia di ordinamento dei comuni, le
province disciplinano con legge i criteri per assicurare un
equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi compresi i limiti
all'assunzione di personale, le modalita' di ricorso
all'indebitamento, nonche' le procedure per l'attivita'
contrattuale»).
In via conseguenziale, anche il comma 4 - in quanto norma
sanzionatoria - si pone in contrasto con tali disposizioni e risulta
dunque ugualmente illegittima.
Il terzo periodo del comma 3, infine, e' affetto da ulteriori,
specifiche illegittimita'. Infatti, benche' esso parli di «decreto di
natura non regolamentare», l'atto cui si rinvia ha carattere
sostanzialmente normativo (e' generale, astratto ed innovativo), per
cui la norma impugnata contempla una fonte secondaria statale in
materie provinciali (coordinamento della finanza pubblica e finanza
locale), in contrasto con il principio di esclusione dei regolamenti
statali nelle materie regionali, risultante - oltre che da risalente
giurisprudenza costituzionale - dall'art. 117, comma 6, Cost. e, per
quel che riguarda le province autonome, dall'art. 2 d.lgs. n.
266/1992, che menziona solo gli «atti legislativi dello Stato» come
fonti idonee a vincolare le leggi provinciali. Qualora si ritenesse
che il d.m. in questione sia un atto non normativo, il terzo periodo
del comma 3 si porrebbe in contrasto con l'art. 4 d.1gs. n. 266/1992,
che esclude l'esercizio di funzioni amministrative statali in materie
di competenza provinciale. E come atto di indirizzo sarebbe
ugualmente illegittimo per difetto del parere provinciale previsto
dall'art. 3 del medesimo decreto legislativo.
In via subordinata, la norma de qua sarebbe comunque illegittima
perche' prevede il solo parere della conferenza unificata invece
dell'intesa, che - in virtu' del principio di leale collaborazione -
si rende necessaria data la chiara incidenza del d.m. su una materia
(coordinamento della finanza pubblica) di competenza concorrente.
3) Illegittimita' dell'art. 14, commi da 1 a 6.
L'art. 14 e' intitolato riduzione degli oneri amministrativi per
imprese e cittadini.
Il comma 1 stabilisce che, «in via sperimentale, fino al 31
dicembre 2013, sull'intero territorio nazionale si applica la
disciplina delle zone a burocrazia zero prevista dall'articolo 43»
d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
122/2010.
Il comma 2 dispone poi che, «a tale scopo, fino al 31 dicembre
2013, i provvedimenti di cui al primo periodo della lettera a) del
comma 2 dell'art. 43 del citato decreto-legge n. 78 del 2010 [cioe' i
"provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi di
qualsiasi natura ed oggetto avviati su istanza di parte" e relativi a
"nuove iniziative produttive", "fatta eccezione per quelli di natura
tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumita' pubblica"] sono
adottati, ferme restando le altre previsioni ivi contenute, in via
esclusiva e all'unanimita', dall'ufficio locale del Governo,
istituito in ciascun capoluogo di provincia, su richiesta della
regione, d'intesa con gli enti interessati e su proposta del Ministro
dell'interno, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri».
In base al comma 3, «l'ufficio locale del Governo e' presieduto
dal prefetto e composto da un rappresentante della regione, da un
rappresentante della provincia. e da un rappresentante del comune
interessato». Il dissenso di uno o piu' dei componenti, «a pena di
inammissibilita', deve essere manifestato nella riunione convocata
dal prefetto, deve essere congruamente motivato e deve recare le
specifiche indicazioni delle modifiche e delle integrazioni
eventualmente necessarie ai fini dell'assenso». Si considera
acquisito «l'assenso dell'amministrazione il cui rappresentante non
partecipa alla riunione medesima, ovvero non esprime definitivamente
la volonta' dell'amministrazione rappresentata».
Il comma 4 precisa che «resta esclusa l'applicazione dei commi 1,
2 e 3 ai soli procedimenti amministrativi di natura tributaria, a
quelli concernenti la tutela statale dell'ambiente, quella della
salute e della sicurezza pubblica, nonche' alle nuove iniziative
produttive avviate su aree soggette a vincolo».
In base al comma 5, «fatto salvo quanto previsto dal decreto del
Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160» (cioe' dal
regolamento sullo sportello unico per le attivita' produttive), «nel
caso di mancato rispetto dei termini dei procedimenti, di cui
all'art. 7 del medesimo decreto, da parte degli enti interessati,
l'adozione del provvedimento conclusivo e' rimessa all'ufficio locale
del Governo».
Infine, il comma 6 dispone che «le previsioni dei commi da 1 a 5
non comportano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica
e la partecipazione all'ufficio locale del Governo e' a titolo
gratuito e non comporta rimborsi».
La disposizione pone innanzi tutto rilevanti problemi
interpretativi. Quando e' stata approvata, era gia' intervenuta la
sentenza di codesta Corte n. 232 del 2011, (pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale il 27 luglio 2011), che ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale dell'articolo 43 d.l. n. 78/2010, nella parte in cui
e' destinato «ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che
si svolgono entro l'ambito delle materie di competenza regionale
concorrente e residuale».
Dunque, poiche' l'art. 43 non si applica a tali materie, anche
l'art. 14, che ad esso fa riferimento per definire il proprio ambito
di applicazione, non puo' riferirsi ad esse.
In questi termini, non vi sarebbe interesse ne' ragione di
impugnazione, non avendo la ricorrente provincia titolo per sindacare
il modo nel quale lo Stato regola i procedimenti di propria
competenza.
Nonostante l'art. 14, comma 1, legge n. 183/2011 rinvii alla
«disciplina delle zone a burocrazia zero prevista dall'art. 43» d.l.
n. 78/2010, che ora ha il contenuto risultante dalla sent. n.
232/2011 appena citata, il complesso dei primi sei commi dell'art. 14
potrebbe indurre a ritenere che la legge n. 183/2011 intenda
riproporre la disciplina dell'art. 43 anche in relazione alle materie
di competenza regionale.
Ed in questo caso, anche se l'art. 14 non menziona espressamente
le autonomie speciali, il suo tenore (soprattutto il riferimento allo
«intero territorio nazionale») non consente di escludere che esso
pretenda di applicarsi anche nelle regioni speciali.
La presente impugnazione viene dunque qui proposta in via
tuzioristica, per l'ipotesi che l'art. 14 si riferisca anche a
procedimenti di competenza della ricorrente provincia. In tal caso, i
primi sei commi dell'art. 14 risulterebbero illegittimi e lesivi
delle sue prerogative costituzionali.
Non vi e' dubbio infatti che, come emerge anche dalla sent. n.
232/2011, le norme censurate intervengono in svariate materie di
competenza provinciale, come l'urbanistica (art. 8, n. 5 St.),
l'artigianato (art. 8, n. 9), le fiere e i mercati (art. 8, n. 12),
le miniere, cave e torbiere (art. 8, n. 14), il turismo e l'industria
alberghiera (art. 8. n. 20), l'agricoltura (art. 8, n. 21), il
commercio (art. 9, n. 3), gli esercizi pubblici (art. 9, n. 7),
l'incremento della produzione industriale (art. 9, n. 8). In tutte
queste materie la provincia dispone anche della potesta'
amministrativa (art. 16 St.).
Peraltro, in queste materie, a parte l'urbanistica, e' da
verificare l'operativita' della «clausola di maggior favore» di cui
all'art. 10 legge Cost. n. 3/2001, in quanto si tratta di materie che
rientrano nella competenza residuale delle regioni ordinarie (in
particolare, queste hanno ormai competenza primaria in generale in
materia di «industria»).
Iniziative produttive potrebbero poi aversi in materie di
competenza provinciale ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.:
«sostegno all'innovazione per i settori produttivi», «ordinamento
della comunicazione», «porti e aeroporti civili», «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», «promozione e
organizzazione di attivita' culturali».
Inoltre, e' da tener conto anche del potenziale impatto della
nuova disciplina statale sulla normativa organica gia' vigente in
questa provincia in materia di procedimenti amministrativi, contenuta
in generale nella legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23 (Principi
per la democratizzazione, la semplificazione e la partecipazione
all'azione amministrativa provinciale e norme in materia di
procedimento amministrativo), che disciplina anche lo sportello unico
per le attivita' produttive (art. 16-sexies), nonche' nelle leggi di
settore.
Poiche' le nonne censurate regolano in modo dettagliato i
procedimenti amministrativi relativi alle iniziative produttive,
affidando la competenza a deciderli ad un ufficio statale (seppur
comprendente anche rappresentanti degli enti territoriali), esse
ledono chiaramente le competenze legislative ed amministrative nelle
materie sopra elencate ed in quella dell'organizzazione
amministrativa (art. 8, n. 1 St. o art. 117, quarto comma, Cost., se
ritenuto piu' favorevole), dato che il procedimento amministrativo
non e', in realta', una materia autonoma ma e' connesso - da un lato
- alle singole materie, dall'altro appunto all'organizzazione
amministrativa dei vari enti (v. sent. n. 465/1991).
Per le materie per le quali siano applicabili le norme
statutarie, sono violati gli artt. 8, 9 e 16 dello statuto, per
«l'esproprio» della competenza a regolare i procedimenti
amministrativi e della stessa funzione amministrativa; qualora,
invece, si ritenga operante l'art. 10 legge cost. n. 3/2001 o si
ricada in una «nuova» materia, risulteranno violati l'art. 117, terzo
e quarto, e l'art. 118 Cost., sempre per l'invasione della competenza
provinciale a regolare i procedimenti amministrativi nelle proprie
materie e per assenza dei presupposti della «chiamata in
sussidiarieta'», come evidenziato dalla sent. n. 232/2011.
Infatti, la disciplina contenuta nell'art. 14 si differenzia da
quella di cui all'art. 43 d.l. n. 78/2010 solo per il carattere
«sperimentale» e transitorio e per quel che riguarda l'ufficio locale
del Governo, ma non contiene nessun elemento di novita' idoneo a
superare le ragioni della sentenza di codesta Corte. Questa ha
dichiarato espressamente «assorbita» la censura relativa al mancato
coinvolgimento della Regione territorialmente interessata e si e'
fondata sulla sola violazione dell'art. 118, primo comma, Cost.:
dunque, le novita' relative all'ufficio locale del Governo non fanno
venir meno l'illegittimita' accertata dalla sent. n. 232/2011.
Quanto al percorso argomentativo delle censurate illegittimita',
sia consentito qui fare espresso richiamo a quanto gia' statuito da
codesta Corte nella citata sentenza.
In primo luogo, la Corte ha respinto la tesi difensiva secondo la
quale la norma andrebbe ricondotta alla competenza esclusiva statale
in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
ovvero - in via subordinata - a quella concorrente in materia di
coordinamento della finanza pubblica, osservando che l'art. 43
«prescrive una disciplina di dettaglio in tema di trattazione e
definizione di procedimenti amministrativi, del tutto estranea alla
evocata materia» del coordinamento finanziario (punto 5.2). La Corte
ha poi rilevato che «la disposizione impugnata - prevedendo una
attribuzione generalizzata ed astratta ad un organo statale di un
insieme indifferenziato di funzioni, individuate in modo generico e
caratterizzate anche da una notevole eterogeneita' quanto alla
possibile incidenza sulle specifiche attribuzioni di competenza - e'
destinata ad avere vigore in tutti i procedimenti amministrativi ad
istanza di parte o avviati d'ufficio concernenti le "nuove iniziative
produttive", a prescindere dalla materia nel cui contesto hanno
rilievo tali procedimenti, i quali possono essere destinati ad
esplicarsi nei piu' svariati ambiti materiali, sia di competenza
esclusiva statale (ad esempio, in materia di organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali), sia di
competenza concorrente ovvero residuale regionale (ad esempio, in
materia di governo del territorio, promozione ed organizzazione di
attivita' culturali, ovvero di industria, commercio, agricoltura,
artigianato, turismo etc.)». Appurato cio', la Corte ha ritenuto
fondata la censura fondata sull'art. 118, primo comma, Cost., «in
ragione della assenza nel contesto dispositivo di una qualsiasi
esplicitazione, sia dell'esigenza di assicurare l'esercizio unitario
perseguito attraverso tali funzioni, sia della congruita', in termini
di proporzionalita' e ragionevolezza, di detta avocazione rispetto al
fine voluto ed ai mezzi predisposti per raggiungerlo, sia della
impossibilita' che le funzioni amministrative de quibus possano
essere adeguatamente svolte agli ordinari livelli inferiori».
Per la disciplina statutaria propria della Provincia di Trento,
inoltre le norme censurate violano anche le norme di attuazione di
cui al d.lgs. n. 266/1992: da un lato con riferimento all'art. 2, il
quale nelle materie di potesta' legislativa provinciale vieta la
diretta operativita' della legislazione statale, prescrivendone
invece il recepimento nei sei mesi e nei limiti in cui esso risulti
dovuto, dall'altro con riferimento all'art. 4, il quale stabilisce
che la legge non puo' attribuire agli organi statali, nella materie
di competenza delle province autonome, funzioni amministrative
diverse da quelli spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e
le relative norme di attuazione.
Infatti, l'ufficio locale del Governo, pur comprendendo
rappresentanti degli enti territoriali, e' comunque un organo
statale, istituito «su richiesta della regione, d'intesa con gli enti
interessati e su proposta del Ministro dell'interno, con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri».
Inoltre, esse violano gli artt. 87, 88 e 107 St., in quanto
l'attuazione-integrazione delle norme statutarie disciplinanti le
funzioni del Commissario del Governo (che nella provincia svolge le
funzioni del prefetto) rientra nella competenza delle norme di
attuazione.
Infine, sono violati il principio di ragionevolezza e quello di
buona amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.), perche' la norma dichiara
di voler ridurre gli oneri amministrativi ma, in realta', li aggrava
dato che agli organi normalmente competenti sostituisce un ufficio
necessariamente composto dai rappresentanti dei quattro livelli
istituzionali (a prescindere dal tipo di procedimento), che devono
decidere all'unanimita'. L'art. 14 regola le modalita' di espressione
del dissenso ma non quelle di superamento di esso. Ne risulta,
dunque, una disciplina farraginosa, che verosimilmente renderebbe
piu' difficili nuove iniziative produttive. La provincia e'
legittimata a denunciare la violazione degli artt. 3 e 97 cost.
perche' essa si traduce in lesione delle competenze provinciali, dato
che l'irragionevolezza del nuovo procedimento incide negativamente
sulla tutela degli interessi facenti capo alla provincia stessa.
4) Illegittimita' dell'art. 32, commi 1, 10, 12, 13, 16, 17, 19, 22,
24, 25 e 26.
L'art. 32 disciplina il patto di stabilita' interno delle regioni
e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Il comma 1 stabilisce che, «ai fini della tutela dell'unita'
economica della Repubblica, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano concorrono alla realizzazione degli obiettivi di
finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui al presente
articolo, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento
della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e
119, secondo comma, della Costituzione».
Sennonche', come gia' ricordato sopra, l'art. 79 dello statuto di
autonomia disciplina ormai in modo preciso, esaustivo ed esclusivo le
regole secondo le quali le province assolvono gli «obblighi di
carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto
di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della
finanza pubblica stabilite dalla normativa statale». Tale articolo
dispone altresi' che «le misure di cui al comma 1 possono essere
modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104
e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso
agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1». Inoltre, nel
comma 3 l'art. 79 stabilisce le regole per la definizione del patto
di stabilita' e prevede espressamente che «non si applicano le misure
adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio
nazionale». Ed il comma 4 ribadisce che «le disposizioni statali
relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di
solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto
di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla
regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto
previsto dal presente articolo».
Con tali disposizioni l'enunciato comma I si pone in insanabile
conflitto. Dunque, ne risulta chiara l'illegittimita': la Provincia
di Trento e' soggetta al regime speciale di cui all'art. 79 St., con
espressa esclusione dell'applicabilita' delle norme valevoli per le
regioni ordinarie e, in particolare, di quelle relative al patto di
stabilita'.
Il legislatore ordinario non puo' alterare unilateralmente
l'assetto dei rapporti in materia finanziaria disegnato dallo
statuto, assimilando la posizione delle province autonome - regolate
da disciplina speciale - a quella delle regioni ordinarie. Del resto,
tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e regioni speciali
e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella
giurisprudenza costituzionale: v. le sentt. 82/2007, 353/2004,
39/1984, 98/2000, 133/2010.
Il comma 10 dell'art. 32 regola «il concorso alla manovra
finanziaria delle regioni a statuto speciale e delle province
autonome di Trento e di Bolzano» di cui all'art. 20, comma 5, d.l. n.
98/2011, come modificato dall'art. 1, comma 8, d.l. n. 138/2011,
aggiuntivo rispetto a quello disposto dall'art. 14, comma 1, lett. b)
d.l. n. 78/2010.
Esso precisa che, per il 2012, il concorso della Provincia di
Trento e' di ? 284.808.000 (59.345.000 ex d.l. n. 78/2010 e
225.462.000 ex d.l. n. 98/2011 e n. 138/2011), mentre per gli anni
2013 e successivi e' di ? 335.987.000 (59.346.000 ex d.l. n. 78/2010
e 276.641.000 ex d.l. n. 98/2011 e n. 138/2011).
Lo Stato definisce quindi unilateralmente con legge ordinaria il
riparto fra le autonomie speciali del concorso agli obiettivi di
finanza pubblica, violando il principio consensuale che domina i
rapporti tra Stato e regioni speciali in materia finanziaria (v. le
sentt. sopra citate).
Inoltre, il comma 10 viola part. 79 St. perche' i modi in cui la
provincia concorre al raggiungimento degli obiettivi di finanza
pubblica o sono fissati direttamente dallo stesso art. 79 o vanno
concordati tra Stato e provincia, sempre in base all'art. 79. Questo
prescrive, in particolare, che «la regione e le province concordano
con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi relativi
al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio
da conseguire in ciascun periodo», e che, «a decorrere dall'anno
2010, gli obiettivi del patto di stabilita' interno sono determinati
tenendo conto anche degli effetti positivi in termini di
indebitamento netto derivanti dall'applicazione delle disposizioni
recate dal presente articolo e dalle relative norme di attuazione
(art. 79, comma 3). Corrispondentemente, e' violato l'art. 104, che
richiede il consenso della provincia per la modifica delle norme del
titolo VI dello statuto.
La fissazione da parte del legislatore statale di una entita'
finanziaria predeterminata, quale misura del concorso di questa
Provincia autonoma agli obiettivi di finanza pubblica, determina che
detto obiettivo non risulti in alcun modo pariteticamente concordato,
come oggi stabilito nello statuto speciale e secondo un criterio
sempre seguito nelle precedenti leggi finanziarie dello Stato, ed a
parole anche nella stessa legge n. 183/2011 (si veda. infra, in
relazione all'art. 32, comma 12).
Il riparto previsto dal comma 10 appare altresi' privo di
qualsiasi enunciazione di criterio e quindi meramente «potestativo»
da parte dello Stato; si osserva che, se per quanto attiene il
concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui all'art. 14 d.l.
n. 78/2010, le autonomie speciali avevano comunque condiviso
autonomamente tra loro il riparto, un'analoga condivisione non vi e'
stata con riferimento al concorso aggiuntivo, ne' e' ravvisabile -
nel comma 10 - una semplice riproposizione del riparto interno allora
concordato tra le autonomie speciali.
Il comma 12 dell'art. 32 dispone che, «al fine di assicurare il
concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione Trentino-Alto
Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano concordano, entro
il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro
dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli anni 2012, 2013 e
successivi, il saldo programmatico calcolato in termini di competenza
mista, determinato migliorando il saldo programmatico dell'esercizio
2011 della somma degli importi indicati dalla tabella di cui al comma
10». A tale fine, «entro il 30 novembre di ciascun anno precedente,
il presidente dell'ente trasmette la proposta di accordo al Ministro
dell'economia e delle finanze»; con riferimento «all'esercizio 2012,
il presidente dell'ente trasmette la proposta di accordo entro il 31
marzo 2012»; infine, «in caso di mancato accordo, si applicano le
disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario».
Tale norma conferma indirettamente la fondatezza della censura
avanzata contro il comma 10, perche' lo stesso legislatore statale
prevede che il saldo programmatico vada concordato. Pero', poi,
contraddittoriamente, il comma 12 dispone che l'accordo deve avere un
contenuto vincolato, corrispondente alla somma indicata nel comma 10.
Dunque, in questa parte il comma 12 e' illegittimo per le stesse
ragioni esposte in relazione al comma 10, cui si rinvia.
La contraddittorieta' interna del comma 12 implica che esso,
oltre a violare il principio consensuale in materia di finanza delle
regioni speciali e l'art. 79 St., sia anche irragionevole (art. 3
Cost.), con ovvi riflessi negativi sull'autonomia finanziaria della
provincia, che in teoria viene chiamata a concludere un accordo ma in
realta' si vede imposta la misura del concorso agli obiettivi di
finanza pubblica.
E' poi illegittima la previsione secondo la quale, «in caso di
mancato accordo, si applicano le disposizioni stabilite per le
regioni a statuto ordinario»: anche in questo caso sono violati il
principio consensuale in materia di finanza delle regioni speciali e
gli artt. 79 e 104 St., oltre al principio di leale collaborazione.
Infatti, il legislatore statale non puo' prevedere che l'applicazione
delle norme relative alle regioni ordinarie scatti semplicemente «in
caso di mancato accordo», dato che cio' «vanifica la previsione
dell'intesa, in quanto attribuisce ad una delle parti, un ruolo
preminente, incompatibile con il regime dell'intesa, caratterizzata
[...] dalla paritaria codeterminazione dell'atto» (sent. 121/2010).
La norma in questione finisce per rimettere l'applicazione del regime
delle regioni ordinarie alla nuda volonta' del Ministro
dell'economia; e' invece necessario, come messo in luce dalla
giurisprudenza costituzionale, che il legislatore preveda meccanismi
paritetici volti a superare il dissenso (sent. n. 383/2005).
Il comma 13 dispone che «le regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e di Bolzano che esercitano in via
esclusiva le funzioni in materia di finanza locale definiscono per
gli enti locali dei rispettivi territori, nell'ambito degli accordi
di cui ai commi 11 e 12, le modalita' attuatine del patto di
stabilita' interno, esercitando le competenze alle stesse attribuite
dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di
attuazione e fermo restando l'obiettivo complessivamente determinato
in applicazione dell'articolo 31». Anche in questo caso, «in caso di
mancato accordo, si applicano, per gli enti locali di cui al presente
comma, le disposizioni previste in materia di patto di stabilita'
interno per gli enti locali del restante territorio nazionale». Anche
tale disposizione risulta illegittima, come puo' essere evidenziato
sotto tre profili.
In primo luogo, essa prevede che la provincia definisca il patto
di stabilita' per gli enti locali «nell'ambito degli accordi ci cui
ai commi 11 e 12», il che non e' conforme ne' allo statuto (art. 79,
comma 3, e artt. 80 e 81) ne' all'art. 17 d.lgs. n. 268/1992.
In tal modo il comma 13 si sovrappone anche all'art. 3 l.p. n.
36/1993, che - correttamente e legittimamente attuando le citate
disposizioni - precisa che "in sede di definizione dell'accordo
previsto dall'art. 81 dello statuto speciale sono stabilite, oltre
alla quantita' delle risorse finanziarie da trasferire ai comuni e
agli altri enti locali, le misure necessarie a garantire il
coordinamento della finanza comunale e quella provinciale, con
particolare riferimento alle misure previste dalla legge finanziaria
per il perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale
correlati al patto di stabilita' interno».
Inoltre, il comma 13 assoggetta anche gli enti locali del
territorio della provincia autonoma allo «obiettivo complessivamente
determinato in applicazione dell'articolo 31» per gli enti locali del
restante territorio nazionale.
Ma cio' si pone in primo luogo in contrasto che con la clausola
di salvaguardia di cui all'art. 32, comma 14 secondo la quale
«l'attuazione dei commi 11, 12 e 13 avviene nel rispetto degli
statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di
Trento e di Bolzano e delle relative norme di attuazione»: contrasto
che - data la puntualita' della disposizione impugnata - non sembra
possa essere superato in via di interpretazione dei commi 12 e 13.
Inoltre cio' si pone in contrasto con l'art. 79, comma 3, St.,
che attribuisce alle province, «fermi restando gli obiettivi
complessivi di finanza pubblica», il potere di «stabilire gli
obblighi relativi al patto di stabilita' interno e provvedere alle
funzioni di coordinamento con riferimento agli enti locali»,
precisando che «non si applicano le misure adottate per le regioni e
per gli altri enti nel restante territorio nazionale». Ne'
l'obiettivo complessivo del patto di stabilita' relativo agli enti
locali delle regioni ordinarie (art. 31 legge n. 183/2011),
richiamato nel comma 13, puo' essere confuso o identificato con gli
«obiettivi complessivi di finanza pubblica» di cui all'art. 79, comma
3, St., che attengono ai limiti definiti consensualmente per il
sistema provinciale.
Infine, il comma 13 e' illegittimo anche la' dove regola la
fattispecie del mancato accordo, stabilendo che in caso di mancato
accordo si applichino le regole stabilite per gli enti locali del
restante territorio nazionale. Da una parte, infatti, valgono le
medesime ragioni gia' illustrate a proposito dell'analoga norma
contenuta nel comma 12, che sia consentito qui di richiamare.
Dall'altra, la diretta applicazione agli enti locali della provincia
di norme statali contraddice la competenza legislativa provinciale in
materia di finanza locale e viola l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del
1992, che subordina la diretta applicazione di sopravvenute norme
statali all'accertamento da parte di codesta ecc.ma Corte
costituzionale del mancato adeguamento della legislazione
provinciale.
Il comma 16 statuisce che «le regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al riequilibrio
della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti dai commi 11, 12
e 13, anche con misure finalizzate a produrre un risparmio per il
bilancio dello Stato, mediante l'assunzione dell'esercizio di
funzioni statali, attraverso l'emanazione, con le modalita' stabilite
dai rispettivi statuti, di specifiche norme di attuazione
statutaria»; tali «norme di attuazione precisano le modalita' e
l'entita' dei risparmi per il bilancio dello Stato da ottenere in
modo permanente o comunque per annualita' definite».
Questa disposizione viola l'art. 79 per le ragioni gia' esposte
precedentemente in relazione all'art. 32, comma 1, che qui si
richiamano.
Si aggiunga che, ancor piu' specificamente, l'art. 79 dispone che
«le province concorrono... all'assolvimento degli obblighi di
carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto
di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della
finanza pubblica stabilite dalla normativa statale: .... c) con il
concorso finanziario ulteriore al riequilibrio della finanza pubblica
mediante l'assunzione di oneri relativi all'esercizio di funzioni
statali, anche delegate, definite d'intesa con il Ministero
dell'economia e delle finanze, nonche' con il finanziamento di
iniziative e di progetti, relativi anche ai territori confinanti,
complessivamente in misura pari a 100 milioni di euro annui a
decorrere dall'anno 2010 per ciascuna provincia». Nel comma 2 si
aggiunge che «le misure di cui al comma 1 possono essere modificate
esclusivamente con la procedura prevista dall'art. 104 e fino alla
loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi
di finanza pubblica di cui al comma 1».
Poiche' e' pacifico che il legislatore ordinario non puo'
sovrapporsi alla speciale disciplina dettata dallo Statuto, se non
con la procedura di cui all'art. 104 St., ne risulta in modo piano
l'illegittimita' della disposizione impugnata.
Il primo periodo del comma 17 dell'art. 32 stabilisce che «a
decorrere dall'anno 2013 le modalita' di raggiungimento degli
obiettivi di finanza pubblica delle singole regioni, esclusa la
componente sanitaria, delle province autonome di Trento e di Bolzano
e degli enti locali del territorio, possono essere concordate tra lo
Stato e le regioni e le province autonome, previo accordo concluso in
sede di consiglio delle autonomie locali e, ove non istituito, con i
rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI regionali».
Tale disposizione sembra puramente facoltizzante, e dunque priva
di effetto lesivo. Ove tuttavia essa potesse produrre per la
ricorrente provincia un qualunque effetto di vincolo, allora se ne
dovrebbe denunciare l'illegittimita' e l'incongruita'.
Quanto all'illegittimita', e' palese che una volta ancora la
disciplina posta dalla legge ordinaria si sovrappone a quella posta
dallo statuto di autonomia, ed in particolare dal piu' volte citato
art. 79, che specificamente regola per la provincia le modalita' di
stipulazione del patto di stabilita' ed il concorso agli obiettivi di
finanza pubblica. Quanto all'incongruita', non si vede perche' sul
contenuto dell'accordo tra lo Stato e le regioni (e le province
autonome) dovrebbe registrarsi un previo accordo concluso in sede di
consiglio delle autonomie, o con i rappresentanti delle associazioni
degli enti locali. Se pure per superare l'evidente illogicita' si
ritenesse (cosa che non risulta affatto dalla norma) che tale
ulteriore accordo sia richiesto soltanto sulla parte che riguarda gli
enti locali, ugualmente rimarrebbe illegittimo il vincolo a
concordare questa parte, in palese violazione - per quanto almeno
riguarda la Provincia di Trento - con le piu' volte richiamate regole
dell'art. 79 e con la potesta' legislativa ad essa spettante in
materia di finanza locale.
Vengono infine in considerazione il terzo periodo del comma 17 ed
i commi 19, 22, 24, 25 e 26, i quali prevedono le condizioni per
l'adempimento del patto di stabilita', i casi di inadempimento e le
relative sanzioni, anche in relazione alla Provincia di Trento.
Precisamente, il terzo periodo del comma 17 stabilisce che «le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano rispondono nei
confronti dello Stato del mancato rispetto degli obiettivi di cui al
primo periodo, attraverso un maggior concorso delle stesse nell'anno
successivo in misura pari alla differenza tra l'obiettivo complessivo
e il risultato complessivo conseguito».
Il comma 19 dispone quanto segue: «ai fini della verifica del
rispetto degli obiettivi del patto di stabilita' interno, ciascuna
regione e provincia autonoma e' tenuta ad inviare, entro il termine
perentorio del 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento,
al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della
Ragioneria generale dello Stato una certificazione, sottoscritta dal
rappresentante legale e dal responsabile del servizio finanziario,
secondo i prospetti e con le modalita' definite dal decreto di cui al
comma 18. La mancata trasmissione della certificazione entro il
termine perentorio del 31 marzo costituisce inadempimento al patto di
stabilita' interno. Nel caso in cui la certificazione, sebbene
trasmessa in ritardo, attesti il rispetto del patto, si applicano le
sole disposizioni di cui all'art. 7, comma 1, lettera d), del decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 149».
Il comma 22 prevede che «restano ferme le disposizioni di cui
all'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.
149», gia' contestato da questa provincia. Il comma 24 dispone che
«le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che si
trovano nelle condizioni indicate dall'ultimo periodo dell'art. 7,
comma 1, lettera a), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149
[cioe' che non sono soggette a sanzione pur in caso di violazione del
patto di stabilita'], si considerano adempienti al patto di
stabilita' interno, a tutti gli effetti, se, nell'anno successivo,
provvedono a: a) impegnare le spese correnti, al netto delle spese
per la sanita', in misura non superiore all'importo annuale minimo
dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio. b) non
ricorrere all'indebitamento per gli investimenti; c) non procedere ad
assunzioni di personale a qualsiasi titolo con qualsivoglia tipologia
contrattuale»; a tal fine, «il rappresentante legale e il
responsabile del servizio finanziario certificano trimestralmente il
rispetto delle condizioni di cui alle lettere a) e b) e di cui alla
presente lettera»; la certificazione e' trasmessa, «entro i dieci
giorni successivi al termine di ciascun trimestre, al Ministero
dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria
generale dello Stato»; in caso «di mancata trasmissione della
certificazione le regioni si considerano inadempienti al patto di
stabilita' interno». Lo stato di inadempienza e le sanzioni previste,
«ivi compresa quella di cui all'art. 7, comma 1, lettera a), del
decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, hanno effetto decorso
il termine perentorio previsto per l'invio della certificazione».
Il comma 25 statuisce che «alle regioni e alle province autonome
di Trento e di Bolzano per le quali la violazione del patto di
stabilita' interno sia accertata successivamente all'anno seguente a
quello cui la violazione si riferisce, si applicano, nell'anno
successivo a quello in cui e' stato accertato il mancato rispetto del
patto di stabilita' interno, le sanzioni di cui al comma 22».
Infine, in base al comma 26 «i contratti di servizio e gli altri
atti posti in essere dalle regioni e dalle province autonome di
Trento e di Bolzano che si configurano elusivi delle regole del patto
di stabilita' interno sono nulli».
Ad avviso della ricorrente provincia anche tali disposizioni sono
illegittime per violazione dell'art. 79 St., che pone le regole per
la definizione del patto di stabilita', precisando che «non si
applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel
restante territorio nazionale» (comma 3) e in particolare che «le
disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di
perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione
con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso
sostituite da quanto previsto dal presente articolo» (comma 4).
Lo Stato, dunque, non puo' definire unilateralmente le condizioni
perche' la provincia sia considerata adempiente al patto di
stabilita', le fattispecie di inadempimento e le sanzioni, in
violazione del gia' illustrato principio consensuale che domina i
rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali e degli artt. 103,
104 e 107 St., che richiedono o il procedimento di revisione
costituzionale o comunque un procedimento concertato per la modifica
o attuazione del titolo VI dello statuto.
Poiche' il primo periodo del comma 17 fa riferimento agli
«obiettivi di finanza pubblica delle singole regioni, ... delle
province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali del
territorio», le norme successive - sopra illustrate - potrebbero
essere intese come applicabili anche in relazione agli obblighi
concernenti il patto di stabilita' degli enti locali.
In questo caso, tali norme violerebbero l'art. 79, comma 4, dello
statuto (sopra citato) e l'art. 79, comma 3, in base al quale spetta
alle province stabilire gli obblighi relativi al patto di stabilita'
interno e provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento
agli enti locali, mentre «non si applicano le misure adottate per le
regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale»;
inoltre, viene stabilito che «le province vigilano sul raggiungimento
degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti di cui al
presente comma».
Inoltre, sarebbero violati l'art. 80 St., che garantisce
competenza legislativa alle province in materia di finanza locale, e
l'art. 17, comma 3, d.lgs. n. 268/1992, che attribuisce alle province
il potere di disciplinare «con legge i criteri per assicurare un
equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi compresi i limiti
all'assunzione di personale, le modalita' di ricorso
all'indebitamento, nonche' le procedure per l'attivita'
contrattuale». Tale potesta' legislativa e' stata attuata con la l.p.
n. 36/1993, il cui art. 3 - come visto - dispone che «in sede di
definizione dell'accordo previsto dall'art. 81 dello statuto speciale
sono stabilite ... le misure necessarie a garantire il coordinamento
della finanza comunale e quella provinciale, con particolare
riferimento alle misure previste dalla legge finanziaria per il
perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati al
patto di stabilita' interno».
Le norme in questione, dunque, pretendono di sovrapporsi con
diretta applicabilita' ad una disciplina gia' vigente in provincia,
con conseguente violazione dell'art. 2 d.1gs. n. 266/1992.
P. Q. M.
Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando l'illegittimita' costituzionale degli articoli 4, comma
90; 8, comma 3, secondo e terzo periodo, e comma 4; 14, commi da 1 a
6; 32, commi 1, 10, 12, 13, 16, 17, 19, 22, 24, 25 e 26 della legge
12 novembre 2011, n. 183, nelle parti, nei termini e sotto i profili
sposti nel presente ricorso.
Trento-Padova-Roma, addi' 11 gennaio 2012
Prof. avv. Falcon - Avv. Predazzoli - Avv. Manzi