RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 febbraio 2008 , n. 12
  Ricorso  per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria  il  19  febbraio  2008 (del Presidente del Consiglio dei
ministri)

  
(GU n. 12 del 12-3-2008) 
 
   Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato
e  difeso  per  mandato ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato,
presso i cui uffici ha domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
ricorrente;
   Contro  Regione  Calabria,  in persona del Presidente della Giunta
regionale  attualmente  in carica, resistente per la dichiarazione di
illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  commi  5,  6  e  9,  e
dell'art.  11, comma 1, della legge della Regione Calabria 7 dicembre
2007,  n. 26,  pubblicata  sul  B.U.R.  n. 22  del  12 dicembre 2007,
recante  «Istituzione  dell'Autorita'  regionale  denominata Stazione
Unica Appaltante e disciplina della trasparenza in materia di appalti
pubblici di lavori, servizi e forniture».
   Nell'esercizio  della  propria  competenza legislativa, la Regione
Calabria  ha  emanato  la  legge regionale n. 26/2007 per dettare una
disciplina  ispirata  al  rispetto  dei  principi  di trasparenza nel
settore   delle   commesse  pubbliche,  il  cui  principale  elemento
informatore  e'  la  creazione  di  una stazione appaltante unica per
tutte le ammministrazione committenti del territorio regionale, sotto
la  forma  di  autorita'  regionale per i procedimenti e la vigilanza
nella materia dei contratti pubblici.
   Il  ricorso  alla attivita' di committenza prestata dalla Stazione
Unica  Appaltante, secondo la legge regionale, e' obbligatorio per la
Regione  Calabria  e  per  gli  enti,  le aziende, gli organismi e le
agenzie  da  essa  dipendenti,  ad essa collegati o da essa vigilati,
nonche'  per gli enti appartenenti al sistema sanitario regionale; e'
invece  facoltativo  per tutti gli altri enti pubblici calabresi, che
possono su base volontaria avvalersi del servizio stipulando apposita
convenzione.
   L'idea  di  fondo  perseguita  dalla legge regionale, senza dubbio
virtuosa in un panorama nazionale caratterizzato dalla automizzazione
dei  centri  decisionali  e dalla conseguente abnorme moltiplicazione
del  numero  delle stazioni appaltanti - spesso piccole e male dotate
delle necessarie competenze - e' soprattutto opportuna in un contesto
territoriale del quale sono noti gli enormi rischi di condizionamento
e  di alterazione, viene attuata tuttavia attraverso alcune norme che
ad  avviso  del  Governo non sono conformi ai principi costituzionali
che presiedono al riparto delle competenze legislative nella materia.
   Ora,   e'   noto  che  la  questione  del  riparto  di  competenza
legislativa  fra  Stato  e  regioni  in  materia  di  affidamento  ed
esecuzione di commesse pubbliche aveva gia' avuto un primo contributo
interpretativo ad opera delle sentenze n. 303 e 304 del 2003 e n. 345
del  2004  della  Corte  costituzionale,  che ebbero ad affermare una
prima  volta  il principio per cui - pur in un sistema costituzionale
profondamente  innovato sotto il profilo delle competenze legislative
fra   Stato  e  regioni  -  la  mancata  esplicita  previsione  della
materia«lavori  pubblici»  tra gli oggetti della competenza esclusiva
statale  non  comporta  l'automatica  attrazione della materia stessa
(che  in  realta'  non  e'  una  materia  in senso proprio, bensi' un
coacervo  di materie che di volta in volta devono essere identificate
per  la relativa attribuzione alla sfera legislativa soggettiva) alla
competenza legislativa regionale.
   La   precisa  regolamentazione  ad  opera  del  c.d.  «codice  dei
contratti» di cui al decreto legislativo n. 163/2006 ha concretamente
tradotto  il  principio  in  questione,  rivendicando alla competenza
normativa  dello  Stato  interi  settori  di disciplina della materia
delle  commesse  pubbliche,  dal punto di vista della programmazione,
quello  delle  procedure  di scelta del contraente, di esecuzione dei
contratti e di risoluzione del contenzioso.
   Tale  impostazione  ha  di  recente  ricevuto  conferma pressoche'
integrale   da   parte   della  Corte,  costituzionale,  che  con  la
fondamentale  sentenza n. 401/2007 ha riconosciuto la correttezza del
riparto  di  competenze derivante dal decreto legislativo n. 163/2006
affermando  la  competenza esclusiva dello Stato nella regolazione di
praticamente  tutto  il  processo  di  acquisizione di lavori, beni e
servizi pubblici.
   In  altri  termini,  la Corte ha giustamente avvertito e condivisa
l'esigenza  di  evitare  che  il mercato e le sue regole non soffrano
della   frantumazione   conseguente   alla  pluralita'  di  possibili
discipline,  articolate  secondo  le  differenziazioni del territorio
regionale  e  ciascuna  rispondente a finalita' politiche diverse, ed
abbiano  viceversa  una  disciplina  omogenea ed unitaria su tutto il
territorio nazionale.
   Sulla  base  degli  ormai  chiari  principi  di cui sopra, sono da
ritenere  illegittimi  sotto  il  profilo  costituzionale, secondo la
Presidenza del Consiglio ricorrente, le seguenti norme.
Articolo 2, comma 2 in relazione all'art. 117 della Costituzione.
   La   disposizione  della  legge  regionale  demanda  a  successivo
regolamento    organizzativo    della   Stazione   Unica   Appaltante
l'istituzione  presso  l'Ufficio territoriale  di  Governo di un albo
ufficiale  contenente  l'elenco  delle  aziende  che  possono  essere
destinatarie di subappalti di lavori e forniture.
   La  norma,  cosi'  concepita,  non  pare  in  linea con i principi
fissati dalla legge statale.
   L'articolo  118 del decreto legislativo n. 163/2006 prevede che la
individuaziane  del  subappaltatore  (che  rientra  nella  piu' ampia
diserezionalita'  imprenditoriale  dell'appaltatore) sia sottoposta a
due   sole  condizioni  soggettive:  la  qualificazione  in  caso  al
subappaltatore   in   relazione   alla  prestazione  subappaltata,  e
l'inesistenza  in  capo al medesimo subappaltatore dei divieti di cui
all'art. 10 della legge n. 575/1965.
   In   sostanza,   le   condizioni  per  l'accesso  al  mercato  del
subappaltatore sono le stesse previste per l'appaltatore. Ogni albo o
elenco   legittimante   in  via  generale  detto  accesso,  di  fuori
dell'elenco  regionale delle imprese qualificate per l'esecuzione dei
lavori  pubblici  (articolo  40,  comma 4, lettera h del codice), che
tuttavia e' meramente dichiarativo e non costitutivo, o degli elenchi
ufficiali  di  fornitori  e  servizi (art. 45 del codice stesso), che
ugualmente  funziona solo come titolo agevolante la dimostrazione dei
requisiti,  e' da ritenersi vietato perche' ovviamente contrario alla
cancorrenza.
   Ne  e'  palese  dimostrazione la previsione dell'art. 45, comma 4,
del   decreto   lcgislativo   n. 163/2006  che  testualmente  recita:
«L'iscrizione  in  elenchi  ufficiali  di  fornitori  o prestatori di
servizi  non  puo'  essere  imposta agli operatori economici in vista
della partecipazione ad un pubblico appalto». E cio' vale, per quanto
detto,  sia  per  gli  appaltatori che per i subappaltatori, entrambi
partecipando ad un pubblico appalto.
   Evidentemente  urta  contro  questo  sistema  la norma della legge
regionale  che  prevede  un  elenco  di soggetti che «possono» essere
subappaltatori,  in  quanto l'iscrizione in detto elenco, per di piu'
tenuto    da    soggetto    terzo   rispetto   alle   amministrazioni
aggiudicatrici,  si  traduce  ex  se  in  un  requisito  legittimante
l'eccesso al mercato delle commesse pubbliche.
   Peraltro,  le  condizioni  di  ammissione  all'elenco neppure sono
specificate  in  una  fonte di rango legislativo, ma sono demandate a
successiva  norma  regolarnentare  senza  alcuna  fissazione da parte
della legge, neppure in via di massima, dei criteri e dei presupposti
per l'iscrizione.
   Quindi,  non  e'  ammissibile l'istituzione priva di criteri di un
numero  chiuso  di  imprese  che  possono essere ammesse agli appalti
pubblici  (ancorche'  nel ruolo di subappaltatori), perche' l'accesso
al  mercato  non puo' essere casi' condizionato: fino a dimostrazione
contraria  -  che pero' non puo' che attenere al mancato possesso dei
requisiti  di  legge  - tutte le imprese possono essere appaltatori o
subappaltatori.
   Se  la  norma  regionale  voleva la creazione di uno strumento che
consente la individuazione generale dei soggetti cui deve (non «puo»)
essere  preclusa  la  partecipazione agli appalti, e tale preclusione
nel  contesto  in  cui  essa  e'  concepita  non  puo'  che  derivare
dall'esistenza  dei  divieti  di cui alla legge penale - in quanto il
possesso   dei   requisiti   tecnici   ed   economico  finanziari  e'
disciplinato  da  tutt'altre regole - avrebbe ben diversamente dovuto
prevedere  un albo contenente l'elenco dei soggetti che sulla base di
presupposti  espressamente indicati non possono essere destinatari di
subappalti.
   In  questi  limiti, siffatta norma avrebbe potuto presentarsi come
attuativa  (con  speciali, ed anzi eccezionali, modalita) della norma
statale  che  impedisce  l'assunzione  di  subappalti  (ma  anche  di
appalti)  a  soggetti  nei  cui confronti funzionino i divieti di cui
all'art.  10  della  legge  n. 575/1965,  ed  in  questo  senso forse
superare il grave dubbio di legittimita' costituzionale.
   E'  appena  il caso di ricordare che la disciplina del subappalto,
come ribadito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 401/2007,
e'  materia  di competenza esclusiva dello Stato in quanto pertinente
alla materia della tutela della concorrenza e dei rapporti di diritto
civile.  E,  si  potrebbe  aggiungere  il  non meno rilevante aspetto
dell'assoggettamento  dell'isituto  in questione a normativa speciale
(la  legge  19  marzo  1990,  n. 55)  di chiara ispirazione di ordine
pubblico, pure espressamente ed esclusivamente riservata allo Stato.
   Quindi, non puo' considerarsi legittima una disciplina legislativa
regionale   che   regola   autonomamente  la  materia,  per  di  piu'
introducendo disposizioni di contenuto e di portata diverse da quelli
della corrispondente norma statale.
Articolo  2,  commi  5,  6  e 9,  in  relazione  all'art.  117  della
Costituzione.
   Le tre   norme   evidenziate  attribuiscono  alla  Stazione  Unica
Appaltante  la  funzione  di  vigilare  sulle  procedure di gara e di
comminare  sanzioni (cori modalita' definite dal solo regolamento) in
caso  di  violazioni  degli obblighi derivanti dalle clausole fissate
dalla legge.
   La   legge   regionale   insomma  crea,  con  quali  risultati  di
semplificazione  e  di  snellezza  non  e'  dato  sapere,  un  esatto
duplicato dell'Autorita' statale che vigila sui contratti pubblici ai
sensi dell'art. 6 del decreto legislativo n. 163/2006.
   A  parte  alcune  bizzarrie  che  emergono  a  prima  vista  dalla
disciplina regionale (fra tutte, l'attribuzione di una funzione terza
quale  la  vigilanza  ad  un  soggetto  che  dovrebbe essere il primo
vigilato  in  quanto  stazione appaltante, nonche' l'affidamento alla
sola   fonte  regolamentare  delle  modalita'  di  irrogazione  delle
sanzioni),  la Corte costituzionale ha affermato nella gia' ricordata
sentenza  n. 401/2007  che sono riservati alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato i poteri di vigilanza sul mercato degli appalti
come  affidati  all'Autorita' per la Vigilanza sui contratti pubblici
di   lavori,   servizi   o   forniture,   al   fine   di   conseguire
l'irrinunciabile  obiettivo  di  garantire  una omogenea tutela della
concorrenza  sul territorio nazionale, e quindi di perseguire un fine
la cui disciplina appartiene al legislatore statale.
   Con  cio'  non  si  vuol  dire  (anche  se  la  questione andrebbe
debitamente  approfondita)  che  alla  regione, nell'ambito della sua
autonomia organizzativa, non possano competere compiti di controllo e
vigilanza,  o  che  non  possa  istituire «autorita»; ma certo questi
compiti  -  e i correlati poteri - non possono essere gli stessi, per
contenuto  e  portata, di quelli esercitati dallo Stato, in modo tale
da  creare  una  sovrapposizione  che  finisce  per  tradursi  in una
invasione di competenza.
   Si  osservi  infatti  come  dalla norma regionale risulti una mera
fotocopia  dell'Autorita' di Vigilanza statale, peraltro - come detto
-   senza  il  fondamentale  requisito  della  indipendenza  e  della
terzieta': anche l'organo di gestione regionale infatti «vigila sulle
procedure  di  gara ... al fine di garantire il rispetto dei principi
di correttezza e trasparenza ... di economia ed efficiente esecuzione
dei  contratti ... nonche' il rispetto delle regole della concorrenza
...   In   particolare,   vigila   sull'osservanza  della  disciplina
legislativa e regolamentare vigente, verificando la regolarita' delle
procedure di affidamento e l'economicita' di esecuzione dei contratti
pubblici,  accertando altresi' che dalla esecuzione dei contratti non
derivi pregiudizio per il pubblico erario».
   Si tratta delle stesse parole, copiate, che il legislatore statale
usa all'art. 6, commi 5 e 7, per definire i compiti dell'Autorita' di
Vigilanza   centrale.  Identici,  sostanzialmente,  gli  obblighi  di
comunicazione  in  capo  alle  amministrazioni  degli  atti  (bandi e
lettere di invito) delle proprie gare.
   Trattandosi  quindi di funzione di vigilanza sul mercato riservata
alla  disciplina  legislativa  dello  Stato  in  quanto finalizzata a
garantir  il rispetto della concorrenza, essa non puo' essere oggetto
di autonoma legge regionale.
Articolo 11, comma 1, in relazione all'art. 117 della Costituzione.
   La   norma   della   legge   regionale   ora  enucleata  prescrive
l'obbligatorieta'   della   redazione   del   piano  di  sicurezza  e
coordinamento  solamente  per  i  lavori  di importo superiore a euro
150.000.
   Tale  previsione  contrasta  con l'art. 12 del decreto legislativo
n. 163/2006  e con l'art. 131 del decreto legislative n. 163/2006 che
prevedono  che  il  piano  di  sicurezza  debba essere integrante del
contratto di appalto senza distinzioni imposte dal valore del singolo
contratto.
   Queste  norme  da  un  lato  costituiscono regole di redazione dei
progetti  di  lavori  pubblici  nella  misura  in  cui  ne fissano il
contenuto  documentale  e  ne  fanno oggetto di gara, dall'altro lato
costituiscono   regole  di  pattuizione  dei  contratti  di  appalto;
nell'uno  e  nell'altro  senso  esse  norme  sono  espressione  della
competenza  esclusiva dello Stato a disciplinare la progettazione, la
concorrenza  degli operatori, e il contenuto omogeneo dei rapporti di
diritto civile all'interno del territorio nazionale.
   Avendo  l'art.  4,  comma  3,  del decreto legislativo n. 163/2006
dichiarato  di  competenza esclusiva dello Stato la materia dei piani
di sicurezza, con disposizione non incisa dalla Corte costitizionale,
la norma della legge regionale si pone come indebitamente invasiva di
quella sfera e quindi risulta costituzionalmente non legittima.
   Anche se si ritenesse che la norma regionale interviene in materia
di  tutela  e  sicurezza  del  lavoro, che appartiene alla competenza
legislativa  concorrente,  essa  sarebbe comunque illegittima perche'
distonica  rispetto ai principi fondamentali (la contrattualizzazione
incondizionata  dei  piani  di sicurezza) desumibili dalle richiamate
norme  statali, necessari a garantire standard uniformi di tutela del
lavoratore su tutto il territorio nazionale.

        
      
                              P. Q. M.
   Il Presidente del Consiglio dei ministri, come sopra rappresentato
e  difeso, impugna le norme in epigrafe indicate e conclude affinche'
gli  articoli  2,  commi  2, 5, 6 e  9, 11, comma 1 della legge della
Regione  Calabria 7 dicembre 2007, n. 26, pubblicata sul B.U.R. n. 22
del  12  dicembre 2007, recante «Istituzione dell'autorita' regionale
denominata  Stazione  Unica Appaltante e disciplina della trasparenza
in  materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture» siano
dichiarati  costituzionalmente  illegittimi  per contrasto con l'art.
117 della Costituzione.
     Roma, addi' 8 febbraio 2008
                L'Avvocato dello Stato: Marco Corsini

      

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