Ricorso n.12 del 4 febbraio 2019 (della Regione Basilicata)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 4 febbraio 2019 (della Regione Basilicata).
(GU n. 11 del 2019-03-13)
Ricorso per la Regione Basilicata (c.f. n. 80002950766), in persona del Vice Presidente della Giunta regionale e legale rappresentante p.t. dott.ssa Flavia Franconi (c.f.: FRNFLV47L62H109J), rappresentata e difesa, in virtu' di procura speciale, dall'avv. Anna Carmen Possidente (c.f.: PSSNCR65H70G942T) elettiva mente domiciliata in Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza dell'ente, alla via Nizza n. 56 - Pec: anpossid@cert.regione.basilicata.it - Fax: 0971/668173.
Contro: Presidenza del Consiglio dei ministri in persona del Presidente pro tempore; domiciliato per legge c/o l'Avvocatura generale dello Stato in Roma alla via dei Portoghesi n. 12, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle disposizioni contenute nel decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in legge 1° dicembre 2018, n. 132 recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 281 del 3 dicembre 2018, con particolare riferimento agli art. 1 «Disposizioni in materia di permessi di soggiorno per motivi umanitari e disciplina di casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario» e 13 «Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica» del su richiamato decreto-legge.
L'art. 1 comma primo lettera b) e lettera f) del cd. «Decreto sicurezza», modificando il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ha previsto l'eliminazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in favore di permessi di soggiorno temporaneo, limitati a casi speciali, da rilasciare agli stranieri in presenza di specifiche esigenze di carattere umanitario (condizioni di salute di eccezionale gravita'; casi di violenza, anche domestica, o di grave sfruttamento, specie lavorativo; situazioni contingenti di calamita' naturale nel Paese di origine; atti di particolare valore civile; pericolo di persecuzioni o torture in caso di non accoglimento della domanda di protezione internazionale).
La suddetta disposizione, eliminando il permesso di soggiorno per motivi umanitari e impedendo, altresi', al comma ottavo del medesimo art. 1, la possibilita' di rinnovo, a condizioni di rilascio invariate, dello stesso limita e riduce il novero dei diritti assistenziali, sociali e sanitari riconosciuti agii immigrati dai servizi regionali e locali, traducendosi, dunque, in una previsione non solo lesiva dei fondamentali diritti dell'uomo ma anche impattante, in maniera significativa, su competenze concorrenti e residuali regionali garantite dall'art. 117 terzo e quarto comma della Costituzione in materia di assistenza sociale, sanitaria, istruzione, formazione, politiche attive del lavoro, nonche' degli articoli 2, 3 e 10 della Costituzione perche' sono lesi i diritti essenziali della persona umana, con disparita' di trattamento tra i cittadini degli Stati membri e stranieri regolarmente soggiornanti e in violazioni delle convenzioni internazionali.
Anche la parte in cui si introduce la nuova disciplina del «permesso di soggiorno speciale» appare lesiva dell'autonomia regionale in quanto limita e riduce, per le medesime ragioni di cui sopra, il novero dei diritti che possono essere riconosciuti agli immigrati dai servizi regionali e locali.
Si evidenzia dunque la lesione delle competenze in materia di diritti assistenziali, sociali e sanitari, riconosciuti dalla legislazione regionale, cosi' come tutti i servizi di welfare che l'eliminazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari impedisce di erogare.
In particolare la legge regionale n. 4/2007 all'art. 1 prevede che la Regione Basilicata riconosce i diritti sociali e ne persegue tutela e promozione mediante l'attivazione di servizi ed interventi improntati a principi di universalita', selettivita', responsabilita' ed equita', assicurando unitarieta' e continuita' di risposta ai bisogni di sostegno, cura e assistenza, salute e benessere delle persone e delle famiglie. A tal fine organizza sul territorio regionale interventi aventi contenuto sociale, socio-sanitario, socio-assistenziale, socio-educativo e socio-lavorativo realizzati da enti locali, ASL e in collaborazione con altre istituzioni. Hanno di ritto ad usufruire delle prestazioni di questa rete regionale integrata dei servizi di cittadinanza sociale, ai sensi dell'art. 5, tutte le persone residenti o domiciliate nel territorio regionale, nonche' minori di qualsiasi nazionalita', donne straniere in gravidanza, stranieri, apolidi e profughi temporaneamente presenti sul territorio regionale che versino in condizioni contingenti di difficolta' e bisogno.
Ancora la legge regionale n. 26/2016 detta norme per l'accoglienza, la tutela e l'integrazione dei cittadini migranti e dei rifugiati e prevede all'arti che nell'ambito delle proprie competenze, in conformita' a quanto stabilito nella Costituzione, la Regione Basilicata concorre a garantire il rispetto dei diritti dei cittadini stranieri migranti e dei rifugiati presenti sul territorio regionale, garantendo, in particolare, accesso e fruibilita' dei servizi socio-assistenziali, socio-sanitari, di conciliazione ed istruzione. Promuove inoltre (art. 3) la realizzazione del SIRM (Sistema integrato regionale migranti) per l'inclusione e l'integrazione degli stranieri in attuazione delle convenzioni internazionali, impegnandosi a rimuovere ostacoli di ordine legislativo, economico, sociale e culturale.
Pare quindi doveroso contestare la legittimita' costituzionale dell'art. 13 comma 2 del cd. «Decreto sicurezza» nella parte in cui, modificando quanto previsto dal decreto legislativo n. 142/2015 in materia di domiciliazione e iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, prevede che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non consenta piu' l'iscrizione all'anagrafe, pur valendo come documento di riconoscimento, specialmente se si considera l'art. 6 comma 7 del decreto legislativo n. 286/1998, che stabilisce che le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle stesse condizioni dei cittadini italiani, con le modalita' previste dal regolamento di attuazione, e considerato che il su richiamato art. 6 comma 7 non risulta espressamente abrogato dal decreto di che trattasi e che l'iscrizione anagrafica rappresenta ii presupposto per l'esercizio/fruizione di alcuni diritti contemplati dalla legislazione regionale negli ambiti dell'assistenza sociale, della formazione professionale, del lavoro, dell'istruzione e della tutela della salute. E' di chiara evidenza che la previsione di cui all'art. 13 sopra richiamato, precludendo di fatto ai soggetti ivi contemplati di usufruire degli interventi previsti dalla legislazione regionale ed impattando su ambiti di competenza concorrente e residuale regionali, determina la violazione degli articoli 2 e 117 terzo e quarto comma della Costituzione.
Si deve considerare, altresi', che l'eliminazione dell'iscrizione anagrafica determina una disparita' di trattamento tra cittadini degli Stati membri e stranieri regolarmente soggiornanti con violazione degli articoli 3 e 10 della Costituzione ed aggrava gli adempimenti amministrativi per la Regione e gli enti locali con conseguente violazione dell'art. 97 Costituzione.
Pare opportuno richiamare in proposito precedenti pronunce della giurisprudenza costituzionale che hanno riconosciuto alle regioni il potere di disporre in via autonoma l'estensione dei diritti sociali rientranti nelle proprie competenze, anche laddove la legislazione nazionale abbia proceduto ad operare limitazioni in ordine ai presupposti.
In particolare con la sentenza n. 61/2011 codesta Corte, conformemente ad altre precedenti pronunce (n. 300/2005, n. 156/2006, n. 10/2010, n. 247/2010, n. 269/2010 e soprattutto n. 299/2019), ha riconosciuto alle Regioni la possibilita' di interventi legislativi nelle materie di propria competenza come il diritto alla salute, allo studio o all'assistenza sociale attribuiti alla competenza concorrente e residuale delle stesse, nonche' l'estensione dei diritti sociali anche agli immigrati irregolari e cio' in quanto «...l'intervento pubblico concernente gli stranieri non puo' limitarsi al mero controllo dell'ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio nazionale, ma deve necessariamente considerare altri ambiti - dall'assistenza sociale all'istruzione, dalla salute all'abitazione - che coinvolgono molteplici competenze normative, alcune attribuite allo Stato, altre alle Regioni, tanto piu' che lo straniero e' titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona...». Peraltro mentre la lettera e la portata teleologica delle citate norme regionali, ove riferibili anche agli immigrati irregolari, non consentono di legittimarne la presenza nel territorio dello Stato, interferendo con le competenze esclusive dello Stato, e' vero invece il contrario, ovvero che gli articoli del decreto di che trattasi, oggetto della presente impugnativa, impediscono il perseguimento delle finalita' di cui alle norme regionali, violando peraltro fondamentali diritti della persona costituzionalmente garantiti. Le richiamate pronunce della giurisprudenza costituzionale hanno tutte riconosciuto il potere delle regioni di far valere di fronte alla Corte costituzionale anche competenze di spettanza degli enti locali: difatti alla Regione e' consentito di far valere con ricorso in via principale «competenze non solo proprie, ma anche degli enti locali» con la motivazione della «stretta connessione» con proprie materie, la quale «consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (Corte costituzionale, n. 196/2004).
Gli articoli 1 e 13 del suddetto decreto, dunque, rappresentano norme lesive dell'autonomia regionale e degli enti locali, impanando in maniera significativa su competenze, concorrenti e residuali, regionali garantite dall'art. 117 terzo e quarto comma della Costituzione in materia di assistenza sociale, sanitaria, istruzione, formazione, politiche attive del lavoro.
Inoltre configurano una palese violazione degli articoli 2, 3 e 10 della Costituzione perche' sono lesi i diritti essenziali della persona umana, con disparita' di trattamento tra i cittadini degli Stati membri e stranieri regolarmente soggiornanti e in violazioni delle convenzioni internazionali.
P.Q.M.
La Regione Basilicata, come sopra rappresentata e difesa, chiede che codesta Ecc.ma Corte, constatata la lesione ad opera degli articoli del decreto contestati di precise prerogative regionali a rilevanza costituzionale, nonche' la violazione di diritti essenziali della persona costituzionalmente garantiti, accolga il presente ricorso e conseguentemente dichiari l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1 e 13 decreto-legge n. 113/2018 convertito in legge n. 132/2018.
Potenza-Roma, 29 gennaio 2019
L'avvocato: Possidente