Ricorso n. 12 del 4 marzo 2014 (Regione Campania)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
Cancelleria il 4 marzo 2014 (della Regione Campania).
(GU n. 16 del 9.4.2014)
Ricorso della Regione Campania (codice fiscale n. ...),
in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, on.
dott. Stefano Caldoro, rappresentata e difesa, giusta delibera della
Giunta regionale n. 37/2014- e giusta procura a margine del presente
atto, unitamente e disgiuntamente, dal Prof. Avv. Beniamino Caravita
di Toritto (codice fiscale …), del libero foro, e
dall'avv. Maria D'Elia (codice fiscale …),
dell'Avvocatura regionale, e elettivamente domiciliata presso
l'Ufficio di rappresentanza della Regione Campania sito in Roma in
via Poli n. 29 (fax: ..; pec abilitata: …);
Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
422, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilita' 2014)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 27 dicembre
2013, n. 302, per violazione degli artt. 119, 118, 117, comma 3, 81,
3 e 97 della Costituzione, nonche' del principio di ragionevolezza.
Fatto
Con legge n. 147 del 27 dicembre 2013, il Parlamento ha adottato
la legge di stabilita' 2014, il cui art. 1 al comma 422 cosi'
statuisce: «Alla scadenza dello stato di emergenza, le
amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti, individuati
anche ai sensi dell'art. 5 commi 4-ter e 4-quater della legge 24
febbraio 1992, n. 225, subentrano in tutti i rapporti attivi e
passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi
dell'art. 110 del codice di procedura civile, nonche' in tutti quelli
derivanti dalle dichiarazioni di cui all'art. 5 bis, comma 5, del
decreto legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, gia' facenti capo
ai soggetti nominati ai sensi dell'articolo 5 della citata legge 225
del 1992. Le disposizioni di cui al presente comma trovano
applicazione nelle sole ipotesi in cui i soggetti nominati ai sensi
dell'articolo 5 della medesima legge n. 225 del 1992 siano
rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente
competenti ovvero soggetti dagli stessi designati».
La disposizione sopra richiamata prevede dunque che alla chiusura
delle gestioni commissariali di cui alla legge 24 febbraio 1992 n.
225, comprese quelle relative ai grandi eventi, ricada sulle
amministrazioni e sugli enti ordinariamente competenti l'intera
gestione delle posizioni attive e passive riferibili alla medesima
gestione commissariale, nonche' la responsabilita' di parte
processuale nei procedimenti giurisdizionali pendenti.
Il subentro nel contenzioso, per espressa previsione normativa,
dovrebbe avvenire anche ai sensi dell'art. 110 C.P.C. (che regola la
successione nel processo), in virtu' del quale «Quando la parte viene
meno per morte o per altra causa, il processo e' proseguito dal
successore universale o in suo confronto».
La norma della legge di stabilita', peraltro, trova applicazione
nelle sole ipotesi in cui i soggetti nominati, ai sensi delle
ordinanze previste dall'articolo 5 della legge n. 225/1992, siano
rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente
competenti ovvero soggetti dagli stessi designati.
L'art. 1, comma 422 della legge n. 147/2013 risulta lesivo delle
prerogative della Regione Campania e viziato da manifesta
illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di
Diritto
Premessa.
Prima di passare in rassegna le singole censure di
costituzionalita', appare opportuno esaminare il sistema di
protezione civile, cosi' come delineato dalla legge n. 225/1992.
Tale sistema e' improntato su una ripartizione delle competenze e
delle responsabilita' tra diversi livelli istituzionali di governo in
relazione alle tipologie di eventi emergenziali che vengono in
rilievo (art. 2 della legge n. 225/1992).
In particolare, l'art. 2 comma 1 della citata legge distingue tre
diverse tipologie di eventi: (i) quelli che richiedono interventi
attuabili da singoli enti o amministrazioni competenti in via
ordinaria (lett. a); (ii) quelli che richiedono l'intervento
coordinato di piu' enti o amministrazioni competenti in via ordinaria
(lett. b); (iii) quelli che devono essere fronteggiati con mezzi o
poteri straordinari (lett. c: «calamita' naturali o connesse con
l'attivita' dell'uomo che in ragione della loro intensita' ed
estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere
fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante
limitati e predefiniti periodi di tempo»).
Con riferimento agli eventi indicati alla lettera c) dell'art. 2
della legge n. 225/1992, le funzioni di intervento sono attribuite
alla competenza statale; ne' potrebbe essere diversamente,
trattandosi di funzioni «che hanno rilievo nazionale, data la
sussistenza di esigenze di unitarieta', coordinamento e direzione»
(Corte cost. sentenza n. 284 del 14 luglio 2006).
Lo Stato e' dunque titolare di una specifica competenza a
disciplinare gli eventi di cui all'art. 2 comma 1 lettera c) della
legge n. 225/1992, che si sostanzia, tra l'altro, nel potere di
deliberare e revocare lo stato di emergenza, determinandone la durata
e l'estensione territoriale, in stretto riferimento alla qualita' e
alla natura degli accadimenti.
Il predetto potere puo' essere esercitato anche mediante
l'adozione di ordinanze, in deroga ad ogni disposizione vigente e nel
rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico (art. 5,
comma 2 legge n. 225/1992).
E' possibile inoltre che, per l'attuazione degli interventi di
emergenza, lo Stato si avvalga di commissari delegati, nominati dal
Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 5, comma 4 legge n.
225/1992).
Il commissario delegato agisce nella veste di organo statale,
essendo appunto lo Stato l'unico soggetto titolare della gestione
dello stato emergenziale; ne discende che, indipendentemente
dall'ambito territoriale di efficacia, i provvedimenti posti in
essere dai commissari devono essere considerati atti
dell'amministrazione centrale dello Stato, finalizzati a soddisfare
interessi che trascendono quelli delle comunita' locali coinvolte
nella situazione d'emergenza.
In tal senso e' chiara la sentenza di Codesta Corte, secondo cui:
«... indipendentemente dal loro (piu' o meno determinato) ambito
territoriale di efficacia, i provvedimenti posti in essere dai
commissari delegati sono atti dell'amministrazione centrale dello
Stato (in quanto emessi da organi che operano come longa manus del
Governo) finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli
delle comunita' locali coinvolte dalle singole situazioni di
emergenza, e cio' in ragione tanto della rilevanza delle stesse,
quanto della straordinarieta' dei poteri necessari per farvi fronte.
Difatti, la dichiarazione della situazione di emergenza - ai sensi
del citato art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992 - ha quale
suo presupposto il verificarsi di taluno degli eventi «di cui
all'art. 2 comma 1 lettera c» della medesima legge, e cioe', non
quelli naturali o connessi con l'attivita' dell'uomo suscettibili di
essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e
amministrazioni competenti in via ordinaria» (o attraverso un
coordinamento degli stessi), bensi' solo «calamita' naturali,
catastrofi o altri eventi che, per intensita' ed estensione, debbono
essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari» (sentenza Corte
cost. n. 237 del 26 giugno 2007; cfr. anche Corte cost. n. 417 del 5
dicembre 2007 e Corte cost. n. 92 del 4 aprile 2008).
La predetta conclusione e' stata peraltro costantemente ribadita
anche da autorevole giurisprudenza amministrativa, la quale in piu'
occasioni ha avuto modo di affermare che il Commissario Delegato di
cui si avvale la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento
della protezione civile, per l'esecuzione dei compiti di cui alla
legge 24 febbraio 1992 n. 225 e' dotato, rispetto al delegante di
autonomia amministrativa, finalizzata strettamente ed esclusivamente
al raggiungimento degli obiettivi assentitigli per il superamento
dello stato emergenziale alle condizioni e nei termini previsti ai
sensi dell'art. 5 commi 1 e 2 della legge n. 225 del 1992: «Gli atti
assunti nell'esercizio delle funzioni delegate sono, pertanto,
riferibili alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, autorita' che
esercita nei confronti del commissario delegato attivita' di
supervisione e di indirizzo» (cfr. ex plurimis Tar Lazio, 18 ottobre
2012, n. 8595 e 9 agosto 2010 n. 30425); e ancora: «L'ufficio del
Commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Sicilia e' un ufficio
che, sebbene autonomo, fa capo alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, per cui e' evidente che gli atti assunti da tale organo
sono riferibili alla stessa Presidenza del Consiglio, che ha nei
confronti del commissario delegato un carattere di supervisione e di
indirizzo» (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 gennaio 2013, n. 10).
Il Commissario Delegato e', dunque, organo dell'apparato statale
e i suoi atti sono sempre riferibili alla Presidenza del Consiglio
dei Ministri, cio' indipendentemente dalla circostanza che questi
rivesta o meno anche un ruolo di rappresentanza dell'amministrazione
e dell'ente ordinariamente competente: «l'attivita' svolta dal
Sindaco non implica automatica responsabilita' del Comune per
l'adempimento delle conseguenti obbligazioni ... al fine
dell'imputazione della suddetta responsabilita' occorre verificare di
volta in volta ed in base alla disciplina normativa di riferimento
l'appartenenza dello specifico interesse pubblico perseguito,
risultando riferibile l'attivita' svolta allo Stato o al Comune a
seconda della titolarita' dell'interesse medesimo» (Cass. Civ., Sez.
II^, 6 dicembre 2005, n. 26691; nella specie, la Suprema Corte
confermava la sentenza di merito e il difetto di legittimazione
passiva del Comune, avendo il Sindaco agito nella qualita' di
Commissario Straordinario di Governo); e ancora: «In ipotesi di
impugnativa di atti del sindaco adottati nella qualita' di
commissario delegato giusta ordinanza della presidenza del consiglio,
quest'ultima e' soggetto legittimato passivo» (TAR Lazio, Sez. I, 18
ottobre 2012, n. 8598).
Dalle considerazioni sin qui svolte se ne deduce dunque che:
lo stato di emergenza di cui alla lett. c dell'art. 2 della
legge n. 225/1992 rende necessario l'uso di un potere straordinario,
di tipo anche gestionale, di cui e' titolare soltanto lo Stato quale
autorita' centrale;
il Commissario delegato e' organo dello Stato centrale, di cui
si avvale il competente apparato statale per lo svolgimento dei
compiti attribuiti dalla legge n. 225/1992.
Delineato come sopra il quadro di riferimento ed in ragione di
esso appare evidente che l'art. 1, comma 422, della legge di
stabilita' 2014 presenti manifesti profili di illegittimita'
costituzionale.
1. Illegittimita' dell'art. 1, comma 422, della legge n.
147/2013, per contrasto con gli artt. 119, commi 1, 4 e 5, Cost.
1.1. La norma in esame viola, in primo luogo, l'autonomia
finanziaria regionale, garantita dall'art. 119 Cost., comma 1.
Come e' noto, l'articolo 119 della Costituzione prevede che le
Regioni e gli enti locali finanzino le proprie spese di
funzionamento, di intervento e di amministrazione, con i mezzi
prelevati dalla propria collettivita', salva naturalmente l'esigenza
di perequazione delle situazioni meno avvantaggiate.
Le Regioni sono dunque titolari di autonomia finanziaria, intesa
sia come autonomia di entrata, sia come autonomia di spesa e piu' in
generale come potesta' di stabilire e gestire in modo autonomo le
risorse finanziarie di cui necessitano per la realizzazione delle
funzioni loro affidate.
Orbene, la disposizione di cui al comma 422 dell'art. 1 della
legge di stabilita' 2014, in primo luogo, pregiudica l'autonomia
finanziaria di spesa delle Regioni poiche', prevedendo un meccanismo
automatico di subentro in tutti i giudizi in corso di cui sono parte
i commissari delegati, impone alle Regioni (e agli altri enti
territoriali ordinariamente competenti) di farsi carico della
gestione di tutto il contenzioso pendente riferibile ai Commissari
delegati, e dunque le obbliga ad utilizzare le proprie risorse per
sostenere oneri finanziari (quali spese di giudizio o conseguenti ad
eventuali condanne risarcitorie), non preventivati e non
autonomamente decisi.
Le Regioni, in definitiva, si vedranno spogliate di risorse
finanziarie che avrebbero potuto utilizzare per lo svolgimento dei
loro compiti istituzionali e che invece dovranno essere destinate per
scopi differenti imposti dalla legge statale.
Le scelte di spesa compiute dall'ente territoriale risulteranno
pertanto inevitabilmente alterate, dovendosi la Regione sobbarcare i
costi e ogni altra conseguenza economica di un contenzioso intrapreso
e deciso non dall'ente, bensi' da un organo statale.
L'applicazione della disposizione in questione compromette
altresi' l'autonomia finanziaria di entrata delle Regioni.
In particolare, per quel che concerne la Regione Campania, la
portata del contenzioso nel quale l'ente territoriale dovrebbe
subentrare e' davvero ingente.
Si pensi che gia' solo l'ordinanza n. 17 del 27 dicembre 2013 del
Commissario De Biase individua ben 76 giudizi pendenti.
Dal predetto contenzioso non possono che scaturire per la Regione
spese per la difesa in giudizio ed eventuali condanne risarcitorie in
caso di soccombenza di notevole entita', a fronte delle quali si
paleserebbe la carenza delle necessarie risorse finanziarie per
provvedere alla loro copertura.
Si prefigura cosi' la possibilita' concreta che la Regione,
trovandosi nell'impossibilita' finanziaria di far fronte alle nuove
spese attraverso le dotazioni previste a legislazione vigente, sia
costretta a deliberare aumenti fiscali o comunque a perseguire
politiche di entrata, che altrimenti non avrebbe posto in essere.
Peraltro, l'eventuale nuova imposizione fiscale a cui la Regione
sarebbe costretta per far fronte alle spese conseguenti al subentro
di cui al comma 422 dell'art. 1 della legge n. 147/2013 peserebbe
irragionevolmente proprio sull'ente nel cui territorio si e'
verificato l'evento calamitoso, con la conseguenza che le popolazioni
colpite dal disastro subirebbero un pregiudizio aggiuntivo rispetto a
quello gia' sopportato a causa dell'evento emergenziale.
1.2. La disposizione in esame contrasta altresi' con gli artt.
119, commi 4 e 5 della Costituzione.
Nel dettaglio, il quarto comma dell'art. 119 Cost. stabilisce che
«le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti (tributi
ed entrate propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e
quote di spettanza del fondo perequativo) consentono ai Comuni, alle
Province, alle citta' metropolitane e alle Regioni di finanziarie
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite».
Il quinto comma dell'art. 119 Cost. prevede inoltre che, in
deroga al principio di corrispondenza tra funzioni esercitate ed
entrate ordinarie, lo Stato destini risorse aggiuntive a singoli enti
territoriali per garantire la realizzazione di alcuni valori
fondamentali della Repubblica, nonche' per provvedere a scopi che
esulano dal normale esercizio delle funzioni spettanti agli enti
territoriali.
In definitiva le citate norme costituzionali consacrano un
principio di corrispondenza fra risorse e funzioni, il quale non solo
non consente che le funzioni di un ente territoriale possano essere
finanziate mediante ricorso ad entrate diverse da quelle che, in via
ordinaria, competono al suo bilancio, ma presuppongono altresi' le
risorse ordinarie degli enti territoriali siano destinate soltanto
alle funzioni da essi svolte e non certamente al finanziamento di
funzioni svolte dallo Stato o da organi statali.
Ebbene il suddetto principio di corrispondenza tra risorse
finanziarie degli enti territoriali e funzioni proprie di ciascun
ente risulta inevitabilmente compromesso dal comma 422 dell'art. 1
della legge n. 147/2013.
Come dedotto in premessa, infatti, lo Stato «ha una specifica
competenza» a disciplinare gli eventi di cui all'art. 2 comma 1
lettera c) della legge n. 225/1992.
Tale competenza e' esercitata anche attraverso i commissari
delegati, i quali rappresentano la longa manus dell'apparato statale,
essendo appunto lo Stato unico soggetto titolare della gestione della
situazione emergenziale e dunque l'unico legittimato ad adottare gli
interventi necessari al suo superamento.
I provvedimenti assunti dai commissari delegati sono dunque
emanazione delle funzioni emergenziali proprie dell'amministrazione
centrale dello Stato e pertanto sempre imputabili alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri.
Cio' posto, e' innegabile che l'applicazione del comma 422
dell'art. 1 della legge n. 147/2013 preveda un meccanismo di subentro
automatico dell'ente territoriale nella gestione del contenzioso
intrapreso da e nei confronti delle ex gestioni commissariali, che ha
come effetto immediato quello di far gravare sul bilancio dell'ente,
colpito dall'evento straordinario, il costo di interventi connessi
all'esercizio di funzioni rientranti, per espressa previsione di
legge, nella competenza esclusiva dello Stato ovvero di organi
statali.
Il venir meno del collegamento tra risorse finanziarie della
Regione e funzioni proprie dell'ente concretizza pertanto la
violazione dei commi 4 e 5 dell'art. 119 Cost.
La sussistenza di un contrasto tra la norma in esame e l'art.
119, commi 1, 4 e 5 Cost. trova peraltro conferma in una recente
pronuncia di Codesta Ecc.ma Code, la n. 22 del 16 settembre 2012,
avente ad oggetto l'art. 2 comma 2-quater del decreto legge 29
dicembre 2010 n. 225, nella parte in cui introduceva i commi 5-quater
e 5-quinquies primo periodo all'art. 5 della legge n. 225/1992.
Si trattava, in particolare, di disposizioni concernenti il
finanziamento delle spese relative ad eventi calamitosi di maggiore
gravita', che condizionavano l'intervento finanziario dello Stato
alla persistenza dell'insufficienza di risorse regionali anche dopo
l'attivazione di aumenti fiscali, ovvero al riconoscimento da parte
del Governo della «rilevanza nazionale» dell'emergenza.
Ebbene la Corte ne dichiarava l'illegittimita' costituzionale per
violazione dell'art. 119 Cost, atteso che «le norme impugnate, in
quanto impongono alle Regioni di deliberare gli aumenti fiscali in
esse indicati per poter accedere al Fondo nazionale della protezione
civile, in presenza di un persistente accentramento statale del
servizio, ledono l'autonomia di entrata delle stesse. Parimenti, le
suddette norme ledono l'autonomia di spesa, poiche' obbligano le
Regioni ad utilizzare le proprie entrate a favore di organismi
statali (Servizio nazionale di protezione civile), per l'esercizio di
compiti istituzionali di questi ultimi, corrispondenti a loro
specifiche competenze fissate nella legislazione vigente. Risulta
violato altresi' il quarto comma dell'art. 119 Cost., sotto il
profilo del legame necessario tra le entrate delle Regioni e le
funzioni delle stesse, poiche' lo Stato, pur trattenendo per se' le
funzioni in materia di protezione civile, ne accolla i costi alle
Regioni stesse».
2. Illegittimita' dell'art. 1, comma 422, della legge n. 147/2013
per contrasto con gli artt. 117 gomma 3 e 119 Cost.
L'art. 1, comma 422, della legge di stabilita' 2014, nel caricare
la Regione Campania di tutte le spese derivanti da scelte gestionali
operate dai commissari delegati e connesse ai contenziosi instaurati
da e nei confronti di questi ultimi, interviene pesantemente,
condizionandola e limitandola, sull'autonomia finanziaria regionale,
con violazione oltre che dell'art. 119, anche dell'art. 117, comma 3
della Costituzione.
L'ambito delineato dalla combinazione delle predette previsioni
costituzionali attiene alla materia della finanza pubblica, in
un'accezione che comprende sia la necessaria stabilita' di bilancio
in risposta all'esigenza di unita' economica dell'ordinamento, sia il
bisogno di garantire gli indispensabili spazi di autonomia alle
Regioni (e agli altri Enti minori) nelle scelte decisionali inerenti
le loro competenze.
La ricerca di un punto di equilibrio tra queste due esigenze
coinvolge numerosi livelli istituzionali, in particolare ove si
considerino altresi' i vincoli di natura comunitaria che comportano
l'obbligo di uniformazione a criteri di contenimento e
razionalizzazione della spesa pubblica.
L'intervento statale in materia di «armonizzazione dei bilanci
pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario» ex art. 117, comma 3, Cost. si e' spesso giustificato con
la difficolta' degli Enti locali e delle Regioni di far fronte agli
impegni assunti a livello europeo.
Tuttavia tale intervento statale, riguardando una materia
rientrante fra quelle a legislazione concorrente ex art. 117, comma
3, Cost. deve limitarsi alla determinazione dei principi
fondamentali, spettando invece alla Regione la disciplina di
dettaglio.
Orbene la norma in esame, imponendo alla Regione Campania dei
precisi vincoli di spesa, ovvero obbligandola a destinare risorse
proprie a spese di giudizio non preventivate e non decise in
autonomia, si pone in contrasto con la previsione di cui all'art.
117, comma 3 Cost.
All'uopo e' opportuno ribadire «il principio costantemente
affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui le norme che
fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci
delle regioni e degli enti locali non costituiscono principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi
dell'art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l'autonomia
finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost. Il legislatore
statale puo' legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle
politiche di bilancio (ancorche' si traducano, inevitabilmente, in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti), ma solo con
«disciplina di principio», «per ragioni di coordinamento finanziario
connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi
comunitari» (sentenza n. 36 del 2004; v. anche le sentenze n. 376 del
2003 e nn. 4 e 390 del 2004)» (Corte cost., sent. n. 417 del 2005).
E ancora, secondo Codesta Ecc.ma Corte, la legge statale «puo'
stabilire solo un "limite complessivo, che lascia agli enti stessi
ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e
obiettivi di spesa (sentenza n. 36 del 2004)", mentre, al contrario,
"la previsione da parte della legge statale di limiti all'entita' di
una singola voce di spesa non puo' essere considerata un principio
fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica, perche' pone un precetto
specifico e puntuale sull'entita' della spesa e si risolve percio'
«in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell'area
[...] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle
quali la legge statale puo' prescrivere criteri [...] ed obiettivi
(ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel
dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli
obiettivi" (sent. n. 390 del 2004)» (Corte cost., sent. n. 417 del
2005).
Ebbene, anche in ragione del contenuto delle decisioni di Codesta
Corte sopra citate, non sembra potersi ritenere che la disciplina di
cui all'art. 1, comma 422, della legge di stabilita' 2014 rechi
soltanto principi di coordinamento.
La norma in questione detta infatti una disciplina specifica e di
dettaglio, scollegata da qualsiasi obiettivo nazionale o comunitario
e totalmente lesiva delle prerogative regionali.
3. Illegittimita' dell'art. 1, comma 422, della legge n.
147/2013, per contrasto con gli artt. 118 e 119 cost. in combinato
disposto con gli artt. 81 e 97 cost.
Per tutto quanto detto sub 1 risulta innegabile che
l'applicazione del comma 422 dell'art. 1 della legge di stabilita'
2014 precluda alla Regione la libera disponibilita' di alcune somme,
le quali dovranno essere destinate alla copertura delle spese
scaturenti dal subentro, imposto dalla norma in esame, nel
contenzioso pendente.
La perdita della gestione diretta di liquidita', derivante
dall'applicazione della citata norma, non puo' che riflettersi anche
sulle capacita' operative della Regione: riducendo infatti le
disponibilita' finanziarie degli enti territoriali e sottraendo agli
stessi la possibilita' di gestire in modo libero e responsabile le
proprie risorse, si rende altresi' piu' difficoltoso fronteggiare i
costi connessi all'esercizio delle funzioni amministrative di
attribuzione regionale.
Ne risulta pertanto leso non solo l'art. 118 Cost. ma anche il
principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui
all'art. 97 Cost., il quale, richiedendo che ciascuna amministrazione
provveda rapidamente ed efficacemente all'espletamento delle proprie
funzioni, esige che l'esercizio di queste ultime sia adeguatamente
sorretto da beni e risorse, anche finanziarie.
A cio' si aggiunga inoltre che la disposizione di cui al comma
422 dell'art. 1 della legge di stabilita' 2014, attraverso
l'imposizione del subentro degli enti territoriali nel contenzioso in
corso facente capo ai Commissari Delegati e del conseguente onere di
spesa, avrebbe dovuto, anche ai sensi dell'art. 81 Cost., prevedere
adeguate misure compensative.
E' vero infatti che a seguito di manovre di finanza pubblica e'
possibile determinare riduzioni finanziarie delle Regioni.
Tuttavia, resta indispensabile che le predette manovre non
comportino uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze
di spesa finanziaria dell'ente territoriale e tale da rendere
insufficienti le risorse delle quali ciascuna regione dispone per
l'adempimento dei propri compiti (cfr. Corte costituzionale, sentenze
nn. 431 e 381 del 2004).
4. Illegittimita' dell'art. 1, comma 422, della legge n.
147/2013, per violazione degli articoli 3 e 97 e 117, comma terzo,
cost. e del principio di ragionevolezza.
4.1. La disposizione della legge di stabilita' all'esame di
Codesta Corte viola altresi' gli articoli 3 e 97 e 177, terzo comma,
della Costituzione.
Essa infatti presenta profili di irragionevolezza e incongruita'
che si riflettono in termini negativi anche sull'autonomia
costituzionalmente garantita della Regione Campania, nonche' sulla
stessa possibilita' per l'ente territoriale di erogare servizi alla
propria collettivita'.
Nel dettaglio la nuova disposizione, che impone
all'amministrazione regionale, alla data di cessazione dello stato
emergenziale, il subentro ai sensi dell'art. 110 C.P.C. nei rapporti
processuali gia' facenti capo al Commissario delegato, risulta non
coerente sia con la natura dei poteri esercitati dallo Stato in sede
emergenziale, sia con la natura giuridica dei Commissari delegati per
le emergenze.
In proposito si evidenzia che l'art. 110 C.P.C., in ragione dei
quale «Quando la parte viene meno per morte o per altra causa il
processo e' proseguito dal successore universale o in suo confronto»,
ha come necessario presupposto per la sua applicazione il «venir meno
della parte», che si verifica appunto o per morte o per eventi alla
morte assimilabili, come ad esempio l'estinzione della persona
giuridica.
Orbene il caso disciplinato dall'art. 1, comma 422, della legge
n. 147/2013, inerente alla cessazione dell'ufficio Commissariale per
scadenza dello stato di emergenza, del tutto irragionevolmente e'
ricondotto alla fattispecie di cui all'art. 110 C.P.C.
Come infatti dedotto in premessa, il Commissario Delegato,
nominato in virtu' di quanto previsto dall'art. 5, comma 4 della
legge n. 225/1992, agisce nella veste di organo a connotazione
«statale», essendo lo Stato l'unico soggetto a cui puo' essere
riconosciuta la titolarita' della gestione dello stato di emergenza
nelle ipotesi di cui all'art. 2 comma 1 lettera c) della legge n.
225/1992.
II Commissario e' longa manus del Governo (Corte Cost. sentenze
nn. 237 del 2007, n. 41/2007 e 92/2008) e i suoi provvedimenti devono
essere considerati quali atti dell'amministrazione centrale dello
Stato.
Da quanto sopra se ne deduce che la cessazione della gestione
commissariale per effetto della scadenza dello stato di emergenza non
puo' certamente essere considerata alla stregua della morte ovvero
dell'estinzione di persona giuridica.
Lo Stato, infatti, di cui il Commissario delegato e' organo ed
espressione, non viene certamente meno.
Pertanto alla cessazione delle funzioni commissariali avrebbe
dovuto conseguire l'applicazione dell'art. 111 C.P.C., in virtu' del
quale «il processo prosegue tra le parti originarie» e non invece
l'applicazione della diversa fattispecie di cui all'art. 110 C.P.C..
Sul punto peraltro si richiama la copiosa giurisprudenza della
Corte di Cassazione, secondo cui «proprio nel caso di successione di
diritti tra enti (anche pubblici) allorche' non vi sia stata
estinzione dell'ente cedente, si verifica un'ipotesi particolare di
successione nel diritto controverso, ai sensi dell'art. 111 cod.
proc. civ.: cio', si noti, anche quando si abbia una successione per
universitatem nel diritto dedotto in giudizio (purche', ripetesi, non
sia venuta meno la parte). In tali casi (e quindi anche ove si
ritenga che il trasferimento delle funzioni dal Ministero alle
agenzie fiscali configuri un'ipotesi di successione universale ...)
il processo prosegue tra le parti originarie» (Cassazione Civile,
sentenza n. 11979 dell'8 agosto 2003; in tal senso anche Cassazione
Civile n. 1558 del 1995; n. 4018 del 1998; n. 104 del 1999).
ll legislatore avrebbe dovuto, dunque, in coerenza con il sistema
e con il ruolo e la natura giuridica della figura del commissario
delegato, far conseguire alla scadenza dello stato emergenziale e
alla cessazione dell'ufficio commissariale la prosecuzione di tutti i
contenziosi pendenti «tra le parti originarie», ossia con la
Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L'art. 1 comma 422 della legge n. 147/2013, al contrario, impone
del tutto irrazionalmente il subentro, ex art. 110 C.P.C., degli enti
territoriali nelle posizioni processuali facenti capo alle ex
gestioni commissariali e pendenti alla data di scadenza dello stato
emergenziale; la statuizione consente cosi' allo Stato un'abdicazione
dei propri compiti e palesa una irragionevolezza che si riverbera
inevitabilmente - anche per tutto quanto dedotto supra - sulle
attribuzioni e sulle autonomie riconosciute alle Regioni (e dunque
anche alla Regione Campania) dagli artt. 117, 118 e 119 Cost.
4.2. Alla predetta incongruenza se ne aggiunge anche un'altra.
La norma in esame, infatti, difetta altresi' di ragionevolezza,
per la distinzione in essa contenuta fra le gestioni commissariali
facenti capo a soggetti rappresentanti delle amministrazioni e degli
enti ordinariamente competenti e gestioni commissariali svolte da
soggetti estranei agli enti territoriali (cfr. ultimo periodo del
comma 422 dell'art. 1 della legge n. 147/2013, secondo cui: «Le
disposizioni di cui al presente comma trovano applicazione nelle sole
ipotesi in cui soggetti nominati ai sensi dell'articolo 5 della
medesima legge n. 225 del 1992 siano rappresentanti delle
amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero
soggetti dagli stessi designati»).
La predetta differenziazione appare priva di giustificazione, in
ragione della circostanza che gli atti del Commissario delegato sono
comunque e sempre imputabili al Governo centrale, a prescindere dal
ruolo che questi possa rivestire nell'ente territoriale (cfr.
giurisprudenza sopra citata).
E' prospettabile pertanto la violazione da parte del comma 422,
dell'art. 1 della legge di stabilita' oltre che del principio di
ragionevolezza anche del principio di uguaglianza di cui all'art. 3
Cost., risultando la disposizione chiaramente e immotivatamente
iniqua nei confronti di quegli enti territoriali nel cui territorio
agiva un commissario delegato che rivestiva anche un ruolo di
rappresentanza nell'ente stesso.
P. Q. M.
La Regione Campania, come sopra rappresentata e difesa, chiede
che Codesta Ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso,
voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
422 della legge n. 147/2013 per violazione degli articoli 119, 117,
comma 3, 118, 81, 3 e 97 della Costituzione, nonche' del principio di
ragionevolezza.
Roma, 24 febbraio 2014
Prof. Avv. Caravita di Toritto - Avv. D'Elia