Ricorso n.13 del 5 febbraio 2019 (della Regione Marche)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 5 febbraio 2019 (della Regione Marche).
(GU n. 12 del 2019-03-20)
Ricorso della Regione Marche, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazioni della giunta regionale n. 39 del 22 gennaio 2019 e n. 85 del 28 gennaio 2019, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi (codice fiscale GRSSFN45T05D612X; indirizzo pec stefanograssi@pec.ordineavvocatifirenze.it) e dall'avv. Gabriella De Berardinis (codice fiscale DBRGRL60S43E783L; indirizzo pec avv.gabrielladeberardinis@legalmail.it), ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. prof. Stefano Grassi, in Roma, piazza Barberini 12, come da procura speciale in calce al presente atto;
Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 («Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata»), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 3 dicembre 2018, n. 281, sia in toto sia con particolare riferimento agli articoli 1 e 13, in relazione ai principi ed alle norme di cui agli articoli 2, 3, 4, 10, 11, 32, 77, 114, 117, 118 e 119 Cost.; degli articoli 2, 15 e 18 della direttiva 2011/95/UE; degli articoli 4, 14, 15, 16, 17, 18 e 19 della direttiva 2013/33/UE; degli articoli 6, 10, 17, 23 e 24 del Patto Internazionale di New York sui diritti civili e politici; degli articoli 2, 3 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, anche in riferimento alle altre convenzioni internazionali e direttive europee richiamate nei motivi di ricorso.
Premesse.
1. - Il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132 («Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata»), incide profondamente sulla disciplina della protezione internazionale degli stranieri.
1.1. - Tale disciplina costituisce attuazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 2, 3 e 10 Cost. e di molteplici convenzioni internazionali e direttive eurounitarie, tra cui, in particolare:
la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e il Protocollo di New York del 1967, che per primi definiscono lo status del «rifugiato» e riconoscono a questi il diritto alla protezione internazionale;
le direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE, contenenti norme sull'attribuzione della qualifica di rifugiato nonche' della protezione sussidiaria e/o umanitaria (attuate in Italia con i decreti legislativi 19 novembre 2007, n. 251, e 21 febbraio 2014, n. 18);
le direttive 2003/9/CE e 2013/33/UE, recanti l'indicazione delle misure di accoglienza da garantire ai richiedenti la protezione internazionale (attuate con i decreti legislativi 30 maggio 2005, n. 140, e 18 agosto 2015, n. 142);
le direttive 2005/85/CE e 2013/32/UE, regolanti le procedure di riconoscimento e di revoca dello status di rifugiato e/o della protezione sussidiaria (attuate con i decreti legislativi 28 gennaio 2008, n. 25, e 18 agosto 2015, n. 142).
1.2. - Il sistema della protezione internazionale previsto dal legislatore italiano in esecuzione degli atti sopra citati e' incentrato su tre istituti:
a) lo status di rifugiato (articoli 7-13 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, come modificato dal decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 18, attuativo delle direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE);
b) la protezione sussidiaria (articoli 14-17 del suddetto decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251);
c) il permesso di soggiorno per motivi umanitari (previsto dal decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 a completamento del suddetto quadro di tutele ed in linea con quanto previsto dall'art. 2 della direttiva 2011/95/UE e dall'art. 4 della direttiva 2013/33/UE).
Le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 113 del 2018 (c.d. «decreto sicurezza») riguardano prevalentemente il permesso di soggiorno per motivi umanitari e le misure di accoglienza in favore dei soggetti richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiati.
1.3. - Con specifico riferimento al permesso di soggiorno per motivi umanitari, la disciplina oggetto della modifica introdotta dal decreto-legge n. 113 del 2018 era contenuta nell'art. 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
Questa disposizione, in particolare, prevedeva che - al soggetto richiedente un titolo di permanenza nel territorio dello Stato in base ad accordi o convenzioni internazionali resi esecutivi in Italia, ma privo delle «condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti» - potesse essere negato il rilascio del permesso salvo che ricorressero «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano» (art. 5, comma 6, decreto legislativo cit.).
Tale ultimo inciso imponeva all'amministrazione di rilasciare allo straniero richiedente un titolo di permanenza nel territorio nazionale (c.d. «permesso di soggiorno per motivi umanitari») anche laddove le norme sulla protezione internazionale non consentissero all'istante di accedere alle forme tipiche di protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria). Cio' a condizione che fosse accertata la sussistenza di «seri motivi» aventi carattere umanitario ovvero risultanti da obblighi costituzionali o internazionali.
Il permesso di soggiorno per motivi umanitari assumeva natura residuale rispetto alle altre forme di protezione internazionale, perche' poteva ricomprendere le istanze di tutela ad esse non riconducibili, ma pur sempre connotate dall'esigenza di salvaguardare fondamentali valori di carattere umanitario e/o di rilevanza sovranazionale e costituzionale.
La consolidata giurisprudenza di legittimita' aveva ritenuto che l'istituto del c.d. «permesso umanitario» completasse il quadro delle misure attuative dell'art. 10, terzo comma, Cost. (Cass. civ., Sez. VI, 12 aprile 2018, n. 9169; id., Sez. VI, 26 giugno 2012, n. 10686) e che le ipotesi di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari costituissero un «catalogo aperto», estensibile ad ogni ipotesi di accettata vulnerabilita' del soggetto richiedente e di verificata natura umanitaria delle ragioni poste a fondamento dell'istanza (Cass. civ., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 4455; Cassazione civ., Sez. VI, 27 novembre 2013, n. 26566).
La natura residuale del permesso umanitario era ribadita dall'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 («Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato»), che coordinava la procedura di riconoscimento della protezione internazionale con quella di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Si prevedeva, infatti, che la Commissione di cui all'art. 4 dello stesso decreto legislativo n. 25 del 2008, anche in caso di rigetto dell'istanza di concessione della protezione internazionale, dovesse trasmettere gli atti al questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nel caso che avesse ritenuto sussistenti «gravi motivi di carattere umanitario» (art. 32, comma 3, decreto legislativo n. 25 del 2008); ovvero «nel caso di decisione di revoca o cessazione degli status di protezione internazionale» (art. 33, comma 3, decreto legislativo n. 25 del 2008).
Nella prassi amministrativa e giurisprudenziale, la protezione umanitaria era stata estesa a tutti gli stranieri che - in caso di ritorno al paese di origine - si sarebbero trovati in condizioni di vulnerabilita' sotto il profilo dei «diritti umani fondamentali protetti a livello costituzionale e internazionale» (ex multis, Cassazione civ., Sez. I, 24 maggio 2018, n. 12978).
Erano state valorizzate, ad esempio, le condizioni di salute del richiedente, il quale poteva ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari qualora si fosse trovato in cattivo stato di salute ovvero fosse affetto da patologie tali da esporlo a un pericolo per la propria integrita' psicofisica in caso di rimpatrio (Cass. civ. SU, 11 dicembre 2018, n. 32046; id., Sez. VI, n. 26566 del 2013, cit.).
Fra le ragioni umanitarie idonee a determinare il rilascio di un permesso di soggiorno ai sensi del testo dell'art. 5, comma 6, decreto legislativo n. 286 del 1998, veniva attribuito rilievo anche al diritto alla vita privata e familiare protetto dall'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (purche', all'esito di una valutazione comparativa delle condizioni di vita dello straniero nello stato ospitante e in quello di provenienza, il medesimo risultasse effettivamente esposto al rischio «della violazione o dell'impedimento all'esercizio dei diritti umani inalienabili»: v. Cassazione civ., Sez. I, n. 4455, cit.).
1.4. - Accanto alla fattispecie generale di protezione umanitaria di cui al citato art. 5, comma 6, il decreto legislativo n. 286 del 1998 aveva enucleato alcune ipotesi tipiche di permesso di soggiorno per motivi umanitari, con particolare riguardo ai casi in cui:
«nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all'art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall'art. 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali» fossero accertate «situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumita', per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un'associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio» (art. 18, comma 1, decreto legislativo n 286 del 1998, rubricato «Soggiorno per motivi di protezione sociale»);
«nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti previsti dagli articoli 572, 582, 583, 583-bis, 605, 609- bis e 612-bis del codice penale o per uno dei delitti previsti dall'art. 380 del codice di procedura penale, commessi sul territorio nazionale in ambito di violenza domestica» fossero accertate «situazioni di violenza o abuso nei confronti di uno straniero» ed emergesse «un concreto ed attuale pericolo per la sua incolumita', come conseguenza della scelta di sottrarsi alla medesima violenza o per effetto delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio» (art. 18-bis, comma 1, decreto legislativo n. 286 del 1998, rubricato «Permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica»);
lo straniero potesse essere «oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali» ovvero potesse rischiare «di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione» (art. 19, comma 1 decreto legislativo n. 286 del 1998, rubricato «Divieti di espulsione e di respingimento»); ovvero ancora vi fossero fondati motivi per temere la sottoposizione dello straniero a tortura in caso di rimpatrio (art. 19, comma 1.1, decreto legislativo n. 286 del 1998); in questi casi, l'art. 28, comma 1, lettera d) , decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, prevedeva il rilascio di un permesso di soggiorno «per motivi umanitari»..., salvo che [potesse] disporsi l'allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare una protezione analoga contro le persecuzioni di cui all'art. 19, comma 1 del testo unico»;
venisse accertata una situazione di particolare sfruttamento lavorativo dello straniero ai sensi del comma 12-bis dell'art. 22 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e tale soggetto presentasse denuncia e cooperasse nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro (art. 22, comma 12-quater, decreto legislativo n. 286 del 1998).
1.5. - I titolari di permessi di soggiorno per motivi umanitari rilasciati in base al decreto legislativo n. 286 del 1998 erano considerati come stranieri regolarmente soggiornanti ed erano pertanto ammessi a fruire di tutti i servizi di accoglienza previsti dal legislatore nazionale (talora anche in condizioni di parita' rispetto ai cittadini italiani).
A questo proposito, l'art. 34, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 286 del 1998 stabiliva che gli «stranieri regolarmente soggiornanti», ovvero quelli che avessero «chiesto il rinnovo del titolo di soggiorno.. per asilo umanitario», avevano «l'obbligo di iscrizione al Servizio sanitario nazionale», nonche' il diritto alla «parita' di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all'obbligo contributivo, all'assistenza erogata in Italia dal Servizio sanitario nazionale e alla sua validita' temporale».
L'art. 38, comma 5, dal canto suo, consentiva alle istituzioni scolastiche di organizzare, in favore degli stranieri adulti regolarmente soggiornanti, interventi di accoglienza (lett. a), corsi di alfabetizzazione e scolarizzazione di base (lettera b e lettera d) nonche' corsi di formazione anche integrativi degli studi svolti nel paese di provenienza (lettera c e lettera e).
Sotto altro profilo, l'art. 39, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998 prescriveva che fosse «comunque consentito l'accesso ai corsi di istruzione tecnica superiore o di formazione superiore e alle scuole di specializzazione delle universita', a parita' di condizioni con gli studenti italiani, agli stranieri titolari di permesso di soggiorno... per motivi umanitari».
Tale previsione era rafforzata dall'art. 22, comma 15, che consentiva ai lavoratori extracomunitari di partecipare «a tutti i corsi di formazione e di riqualificazione programmati nel territorio della Repubblica». Ancora, l'art. 40, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del 1998 prescriveva (e prescrive tuttora) che il diritto di accedere alle procedure di assegnazione di un alloggio popolare, nonche' ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali in materia di edilizia residenziale pubblica spetta soltanto agli «stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale».
L'art. 41 del medesimo decreto legislativo stabiliva (con prescrizione a tutt'oggi vigente) che «gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonche' i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti».
L'art. 42 prevedeva (e prevede tuttora) l'effettuazione di interventi, da parte delle amministrazioni centrali e locali, di sostegno a:
attivita' educative sulla lingua e la cultura di origine, organizzate da istituti di formazione esteri operanti in Italia in favore degli stranieri ivi regolarmente soggiornanti (comma 1, lettera a);
iniziative volte alla conoscenza e alla valorizzazione delle espressioni culturali, ricreative, sociali, economiche e religiose degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, nonche' all'informazione sulle cause dell'immigrazione e alla prevenzione delle discriminazioni razziali (comma 1, lettera b);
la stipula di convenzioni volte all'impiego di stranieri (titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni all'interno delle proprie strutture) all'interno delle strutture amministrative centrali e territoriali, in qualita' di mediatori interculturali (comma 1, lettera d).
Con previsione di carattere generale, l'art. 3, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998 stabilisce (e tuttora prevede) che «nell'ambito delle rispettive attribuzioni e dotazioni di bilancio, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti locali adottano i provvedimenti concorrenti al perseguimento dell'obiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con particolare riguardo a quelli inerenti all'alloggio, alla lingua, all'integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana».
Infine, l'art. 34, comma 5, del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, estendeva (ed estende tuttora) ai titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all'art. 5, comma 6 del decreto legislativo n. 286 del 1998 «i medesimi diritti stabiliti dal [suddetto] decreto a favore dei titolari dello status di protezione sussidiaria», concernenti - in particolare - l'accesso all'occupazione (art. 25) e all'istruzione (art. 26), nonche' l'assistenza sanitaria e sociale (art. 27).
2. - Le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge, hanno anzitutto riguardato la fattispecie generale di protezione umanitaria prevista dall'art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del 1998.
2.1. - L'art. 1, comma 1, lettera b), n. 2, del decreto-legge n. 113 del 2018 modifica la disciplina nei seguenti termini: «il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresi' adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti».
Viene cosi' eliminata la previsione derogatoria fondata su «seri motivi ... di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano», in grado di attribuire al permesso di soggiorno per motivi umanitari natura generale e residuale rispetto alle altre forme di protezione internazionale.
2.2. - La nuova disciplina dettata dal decreto-legge n. 113 del 2018 ha inoltre inciso sulle ipotesi tipiche di protezione umanitaria di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, in particolare stabilendo che:
i permessi di soggiorno umanitari di cui agli articoli 18, comma 1, 18-bis, comma 1, e 22, comma 12-quater, del decreto legislativo n. 286 del 1998, sono sostituiti da un permesso di soggiorno «per casi speciali», con durata e disciplina differenziate a seconda dei casi (art. 1, comma 1, lettera e, lettera f, numeri 1 e 2, e lettera i, numeri 1 e 2, del decreto-legge n. 113 del 2018); in particolare:
a) il titolo di cui all'art. 18 («Soggiorno per motivi di protezione sociale») «ha la durata di sei mesi e puo' essere rinnovato per un anno, o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia» (art. 18, comma 4, decreto legislativo n. 286 del 1998);
b) il permesso di cui all'art. 18-bis («Permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica») «ha la durata di un anno e consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio nonche' l'iscrizione nell'elenco anagrafico previsto dall'art. 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442, o lo svolgimento di lavoro subordinato e autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di eta'. Alla scadenza, il permesso di soggiorno di cui al presente articolo puo' essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo, secondo le modalita' stabilite per tale permesso di soggiorno ovvero in permesso di soggiorno per motivi di studio qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi» (art. 1, comma 1, lettera f, numeri 1 e 2, decreto-legge n. 113 del 2018);
c) il permesso di soggiorno per particolare sfruttamento lavorativo ex art. 22, comma 12-quater, «ha la durata di sei mesi e puo' essere rinnovato per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale ... consente lo svolgimento di attivita' lavorativa e puo' essere convertito, alla scadenza, in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo» (art. 22, comma 12-quinquies, decreto legislativo n. 286 del 1998; art. 1, comma 1, lettera i, n. 2, del decreto-legge n. 113 del 2018);
e' abrogata la lettera d) del comma 1 dell'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, che consentiva il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari nelle ipotesi di cui all'art. 19 commi 1 e 1.1, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (art. 1, comma 6, lettera d, del decreto-legge n. 113 del 2018); residua tuttavia la possibilita' che la Commissione territoriale investita di una richiesta di concessione della protezione internazionale - ove non ravvisi i presupposti di quest'ultima, ma ritenga sussistenti le condizioni di cui ai citati commi 1 e 1.1 dell'art. 19 - rilasci un permesso di soggiorno per protezione speciale», salvo che possa disporsi l'allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare una protezione analoga (art. 1, comma 2, lettera a, decreto-legge n. 113 del 2018, che modifica l'art. 32, comma 3, n. 28 del 2005);
2.3 - L'art. 1 del decreto-legge n. 113 del 2018 ha, infine, previsto delle nuove tipologie di permessi di soggiorno speciali, connesse a singole esigenze di carattere umanitario. Piu' precisamente:
e' introdotto un «permesso di soggiorno per cure mediche» in favore degli «stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravita', accertate mediante idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi in caso di rientro nel Paese di origine o di provenienza» (art. 1, comma 1, lettera g, decreto-legge n. 113 del 2018, che ha introdotto la lettera d-bis all'interno dell'art. 19, comma 2, del decreto legislativo n. 286 del 1998, norma che prevede, piu' precisamente, le ipotesi di divieto di espulsione e di respingimento), con validita' pari al «tempo attestato dalla certificazione sanitaria, comunque non superiore ad un anno, rinnovabile finche' persistono le condizioni di salute di particolare gravita' debitamente certificate, valido solo nel territorio nazionale»;
viene istituito il «permesso di soggiorno per calamita'», rilasciabile «quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in una situazione di contingente ed eccezionale calamita' che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza» (art. 1, comma 1, lettera h, di n. 113 del 2018, che ha introdotto l'art. 20-bis, nel decreto legislativo n. 286 del 1998);
e', infine, previsto un permesso di soggiorno «per atti di particolare valore civile» dello straniero (art. 1, comma 1, lettera q, decreto-legge n. 113 del 2018, che ha introdotto l'art. 42-bis nel decreto legislativo n. 286 del 1998).
2.4 - Da quanto sopra, emerge in termini evidenti una complessiva riduzione dell'ambito della protezione umanitaria precedentemente accordata agli stranieri dal decreto legislativo n. 286 del 1998, poiche':
a) risulta abrogata la fattispecie generale di «motivo umanitario» suscettibile di essere tutelata mediante il rilascio allo straniero del permesso di permanenza sul territorio nazionale (di cui all'art. 5, cometa 6 del decreto legislativo n. 286 del 1998);
b) le uniche esigenze umanitarie idonee a giustificare la concessione di tale permesso sono tipizzate dal legislatore e ancorate a stringenti presupposti normativi che - come si dira' meglio infra - escludono la tutela di alcune fattispecie in passato ricondotte all'alveo dell'art. 5, comma 6, cit. ovvero ne riducono l'ampiezza.
2.5. - La contrazione delle ragioni umanitarie tutelate dal legislatore nazionale opera anche nei confronti dei soggetti che in passato hanno ottenuto il riconoscimento di un permesso di soggiorno ai sensi dei previgenti articoli 5, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del 1998 e 32, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2005.
L'art. 1, comma 8, decreto-legge n. 113 del 2018 prevede, infatti, che «fermo restando i casi di conversione, ai titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari gia' riconosciuto ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, in corso di validita' alla data di entrata in vigore del presente decreto, e' rilasciato, alla scadenza, un permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, come modificato dal presente decreto, previa valutazione della competente Commissione territoriale sulla sussistenza dei presupposti di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
La norma, in altri termini, preclude il rinnovo a condizioni invariate del permesso di soggiorno per motivi umanitari rilasciato in forza della normativa previgente. Viceversa, essa impone che - alla scadenza del suddetto titolo - la situazione dell'istante venga rivalutata alla luce delle nuove (e piu' stringenti) fattispecie di permesso di soggiorno previste dal decreto legislativo n. 286 del 1998 (come modificato dal decreto-legge n. 113 del 2018). Con la conseguenza che Io straniero non rientrante in una di tali nuove fattispecie finira' per essere ricompreso fra i soggetti irregolarmente soggiornanti nel territorio nazionale.
E' stato anche soppresso il meccanismo di trasmissione ufficiosa al questore degli atti della procedura di riconoscimento della protezione internazionale pendente dinanzi alla Commissione territoriale (anteriormente previsto dall'art. 32, comma 3, del decreto legislativo n. 25 del 2008 con riguardo a tutte le ipotesi di accertata sussistenza di «gravi motivi di carattere umanitario»). Tale meccanismo opera oggi con esclusivo riferimento ai casi in cui siano verificate le condizioni di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (art. 1, comma 2, lettera a, decreto-legge n. 113 del 2018).
2.6. - Mediante il ridimensionamento delle ipotesi di tutela umanitaria, il legislatore nazionale, da un lato, ha irrigidito il sistema di riconoscimento della protezione internazionale, creando i presupposti per un rilevante aumento degli stranieri privi di permesso di soggiorno e, dall'altro lato, ha escluso tali soggetti da quelli ammessi a fruire dei servizi concernenti la sanita', l'istruzione superiore e la formazione professionale, che gli articoli 34, comma 1, e 39, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (nella versione anteriore al decreto-legge n. 113 del 2018) riconoscevano anche agli stranieri titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
L'art. 1, comma 1, lettere o) e p) , n. 1, del decreto-legge n. 113 del 2018, infatti, attribuisce il diritto alla fruizione dei suddetti servizi ai soli titolari di permessi di soggiorno «per casi speciali», «per protezione speciale», «per cure mediche», nonche' (limitatamente alle prestazioni di cui all'art. 39, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998) «per atti di particolare valore
civile».
I soggetti in stato di vulnerabilita' sotto il profilo umanitario - che non abbiano i requisiti per accedere a una delle forme tipiche di permesso di soggiorno previste oggi dal decreto legislativo n. 286 del 1998 (come modificato dal decreto-legge n. 113 del 2018) - sono considerati stranieri irregolarmente soggiornanti sul suolo nazionale. Essi, dunque, beneficiano delle sole prestazioni sanitarie minime previste dall'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998 e non possono fruire dei servizi di formazione professionale e istruzione superiore previsti dall'art. 39 del medesimo decreto legislativo.
Tali soggetti sono parimenti esclusi dalle prestazioni in materia di edilizia residenziale pubblica, assistenza sociale, nonche' integrazione sociale, che gli articoli 40, comma 6, 41 e 42, comma 2, del decreto legislativo n. 286 del 1998 riservano agli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio nazionale (talora prescrivendo anche una durata minima del relativo permesso di soggiorno).
3. - Il decreto-legge n. 113 del 2018 ha altresi' modificato il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, nella parte in cui disciplina le misure di accoglienza a favore dei soggetti titolari dello status di rifugiati ovvero della protezione sussidiaria.
In particolare, il «decreto sicurezza» ha stabilito che il permesso di soggiorno «per richiesta di asilo» - attribuito temporaneamente (ai sensi dell'art. 4, comma 1, decreto legislativo n. 142 del 2015) ai soggetti la cui domanda di asilo non sia ancora stata definita dall'amministrazione - «non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» (art. 13, comma 1, lettera a, n. 2, decreto-legge n. 113 del 2018, che ha introdotto il comma 1-bis nell'art. 4 del decreto legislativo n. 142 del 2015; art. 13, comma 1, lettera c, decreto-legge cit., che ha abrogato l'art. 5-bis del decreto legislativo n. 142 del 2015, in materia di iscrizione anagrafica del richiedente asilo).
Il decreto-legge n. 113 del 2018 ha anche riformato il disposto del decreto-legge n. 416 del 1989 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolari azione dei cittadini extracomunitari ed apolidi gia' presenti nel territorio dello Stato) nonche' del decreto legislativo n. 142 del 2015, prevedendo che:
i servizi di accoglienza erogati dagli enti locali rientranti nella rete SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e finanziati dal fondo nazionale per le politiche e i servizi per l'asilo di cui all'art. 1-septies del decreto legislativo n. 416 del 1989 - prima garantiti anche ai richiedenti asilo e agli stranieri titolari della protezione umanitaria - siano erogati si soli soggetti gia' «titolari di protezione internazionale», ai minori stranieri non accompagnati ovvero ai «titolari dei permessi di soggiorno di cui agli articoli 19, comma 2, lettera d-bis), 18, 18-bis, 20-bis, 22, comma 12-quater e 42-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286», purche' non gia' destinatati di sistemi di protezione specificamente dedicati (art. 12, comma 1, lettera a, lettera b, lettera c, decreto-legge n. 113 del 2018, che modifica l'art. 1-sexies, commi 1, 4 e 5 del decreto legislativo n. 416 del 1989; art. 12, comma 2, lettera f, n. 1, che ha novellato l'art. 14, comma 1 del decreto legislativo n. 142 del 2015, negando ai richiedenti asilo l'accesso al sistema SPRAR);
i servizi di formazione professionale e gli interventi di inclusione sociale basati sulla partecipazione a lavori di utilita' sociale - anteriormente garantiti anche ai richiedenti la protezione internazionale - sono invece oggi esclusi nei confronti di tali soggetti (cfr. art. 12, comma 2, lettera 1, decreto-legge n. 113 del 2018, che abroga l'art. 22, comma 3 del decreto legislativo n. 142 del 2015, in tema di formazione professionale dei richiedenti asilo; cfr. anche art. 12, comma 2, lettera m, decreto-legge cit., che emenda l'art. 22-bis, commi 1 e 3 del decreto legislativo n. 142 del 2015, limitando ai soli «titolari di protezione internazionale» la possibilita' di partecipare ai lavori di utilita' sociale organizzati dalle Prefetture e dagli enti territoriali, d'intesa fra loro).
Con tali interventi normativi, il legislatore statale - da un lato -ha precluso a tutti gli stranieri in attesa di una decisione sulla loro domanda di protezione internazionale di accedere ai servizi, la cui fruizione presuppone l'iscrizione anagrafica del richiedente; e, d'altro lato, ha complessivamente riformato l'organizzazione dei servizi di accoglienza previsti a favore dei richiedenti asilo, pressoche' eliminando la possibilita' che tali servizi siano erogati direttamente dagli enti locali a livello decentrato e, comunque, rideterminando l'ampiezza delle prestazioni di accoglienza fruibili dai richiedenti la protezione internazionale.
4. - La nuova disciplina della protezione internazionale introdotta dal decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge dalla legge n. 132 del 2018, incide sulle potesta' normative, amministrative e organizzative nelle materie che l'art. 117, commi terzo e quarto, Cost. affida alla competenza legislativa concorrente o residuale delle regioni.
Alle regioni e' attribuita dalla Costituzione la competenza a regolare e organizzare lo svolgimento di funzioni essenziali per la gestione del fenomeno migratorio, implicanti l'erogazione di molteplici servizi in favore della popolazione straniera stabilitasi nel proprio territorio.
Si tratta in particolare di servizi per la tutela della salute, la tutela del lavoro e le politiche attive del lavoro, la formazione professionale, l'istruzione inferiore e superiore, l'assistenza sociale, residenziale pubblica e, in generale, riferiti a tutte le prestazioni volte a garantire l'inclusione e l'integrazione degli immigrati nel tessuto socio-economico regionale.
Sono tutti settori di intervento che rientrano nelle materie di competenza legislativa concorrente o residuale delle regioni ai sensi dell'art. 117, commi terzo e quarto, Cost. e sono oggetto di una distribuzione multilivello - tra Stato, regioni ed enti locali - delle corrispondenti funzioni amministrative (ai sensi dell'art. 118, primo comma, Cost.).
La Regione Marche ha esercitato le competenze sopra richiamate sia con atti legislativi sia con attivita' amministrative.
Si possono citare:
a) la legge regionale 26 maggio 2009, n. 13, recante «Disposizioni a sostegno dei diritti e dell'integrazione dei cittadini stranieri immigrati», la quale detta misure volte a garantire agli immigrati formazione, riqualificazione e aggiornamento professionale (art. 11), assistenza sanitaria (art. 12), difesa civica (art. 13), diritto all'abitazione (art. 16), protezione sociale (art. 17);
b) la legge regionale 1° dicembre 2014, n. 32, recante «Sistema regionale integrato dei servizi sociali e tutela della persona e della famiglia», la quale contempla, tra le sue esplicite finalita', quelle dell'«inclusione sociale e culturale dei cittadini stranieri immigrati e assistenza alle popolazioni nomadi, attraverso i comuni singoli e associati (Ambiti territoriali sociali)» (art. 1, comma 1, lettera h);
c) i programmi, progetti e piani regionali per l'integrazione dei migranti, attivati per l'erogazione di servizi e la realizzazione di progetti di integrazione sociale, lavorativa e linguistica.
L'attuazione di tali interventi risulta di fondamentale rilievo, non solo per garantire il rispetto dei diritti inviolabili degli stranieri, ma anche per assicurare l'ordinata e pacifica convivenza della popolazione residente nel territorio regionale, evitando i costi sociali ed economici che si produrrebbero a carico della comunita' intera in caso di soppressione degli interventi medesimi.
E' sufficiente considerare - a titolo di esempio - le conseguenze per la salute pubblica che si verificherebbero in caso di esclusione della popolazione straniera stabilmente presente nella regione dai programmi di vaccinazione e dalle campagne di informazione sulle profilassi e sulle modalita' di diagnosi e cura delle malattie infettive (prestazioni che certamente esulano da quelle di natura emergenziale, che l'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998 riconosce anche agli stranieri irregolarmente soggiornanti in Italia).
Ancora, l'eliminazione dei servizi di assistenza sociale, di istruzione ed educazione (specie in eta' giovanile) e delle politiche attive per l'inserimento lavorativo e la formazione professionale degli immigrati determinerebbe la totale estraniazione di questi soggetti dal tessuto economico-sociale proprio dell'area in cui essi si sono stabiliti, con il conseguente rischio di incremento di fenomeni di delinquenza -individuale o associata - connessi al suddetto stato di emarginazione.
Le disposizioni del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge, rischiano di vanificare del tutto gli interventi regionali volti a garantire l'ordinata gestione degli effetti sul territorio e sulla convivenza sociale dei fenomeni migratori, con conseguente grave pregiudizio per le regioni e gli enti locali, chiamati a far fronte alle situazioni di disagio sociale ed economico, degrado urbano ed emarginazione che si verificherebbero laddove venissero meno le suddette misure di mitigazione.
In contrasto con tali esigenze, la nuova disciplina abroga l'istituto generale del permesso di soggiorno per motivi umanitari e pertanto determina il rischio concreto di un notevole incremento della popolazione straniera irregolarmente presente sul territorio nazionale. Si riducono, infatti, le esigenze di protezione umanitaria idonee a giustificare il rilascio di un titolo di permanenza nel territorio nazionale al richiedente; e, contestualmente, si impedisce agli stranieri gia' possessori di un permesso di soggiorno per motivi umanitari di ottenerne il rinnovo a condizioni invariate (posto che l'art. 1, comma 8, del decreto-legge n. 113 del 2018 impone - alla scadenza del titolo - una nuova valutazione amministrativa sulla situazione del richiedente, onde verificare i presupposti per il rilascio di uno dei permessi di soggiorno tipizzati dalla nuova normativa). In un breve lasso di tempo, molti stranieri - oggi regolarmente presenti nel territorio regionale - perderanno i requisiti di permanenza legittima nel territorio nazionale e diventeranno percio', a tutti gli effetti, immigrati non piu' regolarmente soggiornanti; con conseguente preclusione dell'erogazione di tutti quei servizi cui prima avevano legittimamente accesso (salvi i rari casi in cui ricorrano i presupposti dei permessi di soggiorno tipici previsti dal decreto-legge n. 113 del 2018).
Gli stranieri divenuti irregolari a seguito della riforma si troveranno in una situazione di assoluta incertezza; poiche', da un lato, saranno considerati - a tutti gli effetti - soggiornanti irregolari (e conseguentemente esclusi dalle prestazioni pubbliche sopra descritte), ma, d'altro lato, vi saranno sicuramente difficolta' perche' possano essere espulsi dal territorio nazionale, data la necessita' di specifici accordi per il rimpatrio con i principali Paesi di provenienza degli stranieri: in assenza dell'operativita' di tali accordi l'espulsione e' estremamente difficile (ne' il decreto-legge n. 113 del 2018 disciplina in alcun modo il rientro in patria degli irregolari o garantisce che questo avvenga, in quanto non prevede una tempistica per detta finalita' e neppure specifica quale sia la disciplina - anche transitoria - da applicare a queste persone una volta divenute non piu' regolarmente soggiornanti).
A seguito della riforma, i legislatori regionali sono obbligati a introdurre modifiche rilevanti nella legislazione e nell'organizzazione amministrativa riferita all'erogazione dei servizi di accoglienza agli stranieri.
A causa del rilevante aumento del numero degli immigrati non piu' in possesso di un valido titolo di soggiorno presenti sul territorio, le regioni e gli altri enti locali devono, infatti, far fronte alle conseguenze negative che le previsioni del decreto-legge n. 113 del 2018 produrranno nello svolgimento dei servizi erogati a favore della popolazione presente nella regione, affrontando le conseguenti problematiche organizzative e sostenendone i relativi costi (ivi compresa la perdita degli effetti positivi delle misure fin qui adottate).
In quest'ottica - oltre alle attribuzioni regionali in tema di tutela del lavoro, politiche attive del lavoro, formazione professionale, istruzione inferiore e superiore, assistenza e inclusione sociale, edilizia residenziale pubblica - verra' altresi' in rilievo la competenza regionale in materia di «polizia amministrativa locale», con particolare riguardo alla sicurezza urbana (che il combinato disposto dei commi secondo, lettera h, e quarto dell'art. 117 Cost. affida senz'altro alla. potesta' legislativa residuale della regione; cfr. anche Corte costituzionale n. 407/2002), nonche' al contrasto dei fenomeni di degrado urbano che, in prospettiva, l'attuazione della riforma e' in grado di produrre.
5. - Per tali motivi, le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 113 del 2018 - inficiate, come si vedra', da molteplici vizi di illegittimita' costituzionale - possono essere impugnate dall'odierna ricorrente davanti a questa ecc.ma Corte, posto che i profili di incostituzionalita' che saranno puntualmente indicati in ciascuno dei motivi di ricorso «ridondano» senz'altro in lesione delle competenze costituzionali attribuite alla regione e che quest'ultima ha fino ad oggi concretamente esercitato con la sua attivita' legislativa e con l'organizzazione dei servizi predisposti a favore degli stranieri titolari dei relativi permessi di soggiorno.
Come questa ecc.ma Corte ha da tempo chiarito, infatti, le regioni sono ammesse a promuovere il giudizio di legittimita' costituzionale in via principale avverso gli atti legislativi dello Stato non soltanto nelle ipotesi in cui sia lamentata una violazione delle norme sul riparto di competenze tra lo Stato e le regioni, ma anche nei casi in cui «la disposizione statale, pur conforme al riparto costituzionale delle competenze, obbliga le regioni - nell'esercizio di altre loro attribuzioni normative, amministrative o finanziarie - a conformarsi ad una disciplina legislativa asseritamente incostituzionale, per contrasto con parametri, appunto, estranei a tale riparto» (ex multis, Corte costituzionale, 10 giugno 2016, n. 145).
Con il presente ricorso, la Regione Marche impugna le disposizioni legislative indicate in epigrafe, deducendone l'illegittimita' costituzionale per le ragioni che di seguito si espongono.
Motivi di diritto
I. - Primo motivo.
Illegittimita' costituzionale del decreto-legge n. 113 del 2018, convertito in legge con legge n. 132 del 2018, ed in particolare degli articoli 1 e 13, per violazione dell'art. 77 Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni legislative in materia di «tutela della salute», «tutela del lavoro», «istruzione», «formazione professionale», «governo del territorio» con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, e in materia di «assistenza sociale», nonche' delle relative funzioni amministrative, che gli articoli 117, commi terzo e quarto, e 118 Cost. riconoscono in favore della Regione. Lesione indiretta dell'autonomia finanziaria regionale garantita dall'art. 119 Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni che l'art. 118 Cost. - anche in relazione agli articoli 114 e 117, comma sesto, Cost. - riconosce in favore dei comuni, in riferimento alle sopra indicate materie di competenza legislativa regionale.
I.1. - Il decreto-legge n. 113 del 2018, convertito in legge con legge n. 132 del 1° dicembre 2018, e' stato adottato in mancanza dei presupposti di straordinaria necessita' e urgenza prescritti dall'art. 77 Cost., con l'effetto di risultare radicalmente viziato da illegittimita' costituzionale e di rendere parimenti illegittima per vizio in procedendo anche la relativa legge di conversione.
Infatti:
a) manca nel preambolo del decreto un'adeguata motivazione in grado di giustificare l'ampiezza della riforma ordinamentale introdotta in relazione alla necessaria e specifica sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti di straordinaria necessita' e urgenza che dovrebbero costituire il legittimo fondamento della scelta della fonte concretamente utilizzata;
b) e' inammissibile l'adozione del decreto-legge con riferimento alla rilevante eterogeneita' delle materie disciplinate (immigrazione, protezione internazionale, cittadinanza, sicurezza, contrasto della corruzione e della criminalita' organizzata, organizzazione amministrativa delle autorita' nazionali e locali di pubblica sicurezza);
c) mancano i presupposti della necessita' e urgenza per un intervento normativo di immediata applicazione diretto a fronteggiare un fenomeno ormai «ordinario», quale quello della immigrazione, peraltro ridottosi fortemente proprio nel 2018.
Nel caso di specie, il vizio riferito alla fonte di produzione utilizzata ridonda senz'altro in lesione delle attribuzioni legislative, amministrative e finanziarie sia della Regione che dei comuni tenuti ad intervenire in svariate materie.
In particolare, le previsioni del decreto-legge n. 113 del 2018 incidono sull'esercizio delle funzioni proprie delle regioni nei settori della «tutela della salute», della «tutela del lavoro», dell'«istruzione», della «formazione professionale», del «governo del territorio» con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, e dell'«assistenza sociale», nonche' sulle corrispondenti funzioni amministrative regionali e locali, cosi' come precisate nelle premesse di fatto (v. par. 1.4.).
L'illegittimita' della fonte normativa adottata per introdurre la riforma costringe, infatti, regioni ed enti locali ad una riorganizzazione dei loro servizi, con tempi illogicamente stringenti ed oneri non preventivati.
La Regione e' quindi legittimata a dedurre la violazione dell'art. 77 Cost. con il ricorso in via principale innanzi a questa ecc.ma Corte, posto che la riforma della protezione internazionale operata dall'impugnato decreto-legge in assenza dei presupposti di necessita' e urgenza, nonche' dei requisiti di omogeneita' delle materie trattate configura un'ipotesi di illegittima ridondanza del vizio denunciato sulle sfere di competenza regionali (Corte cost. 4 ottobre 2016, n. 244), con particolare riferimento all'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria di cui alle norme costituzionali richiamate in rubrica.
II. - Secondo motivo.
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge con legge n. 132 del 2018, con particolare riferimento al combinato disposto di cui al comma 1, lettera b), n. 2, comma 2 e comma 8; nonche' con riferimento al comma 1, lettera e), lettera f), lettera g), lettera h) e lettera i);
nonche' con riferimento al comma 1, lettera o), e lettera p) , n. 1, per violazione degli articoli 2, 3, 10, commi secondo e terzo, 11, 117, primo comma, della Costituzione (anche con riferimento agli articoli 15, lettera c, e 18 della direttiva 2011/95/UE; agli articoli 6, 10, comma 1, 17, 23, 24, del Patto Internazionale di New York sui diritti civili e politici; agli articoli 2, 3 e 8 della CEDU). Lesione indiretta delle attribuzioni legislative in materia di «tutela della salute», «tutela del lavoro», «istruzione», «formazione professionale», «governo del territorio» con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, e in materia di «assistenza sociale», nonche' delle relative funzioni amministrative, che gli articoli 117, commi terzo e quarto, e 118 Cost. riconoscono in favore della Regione. Lesione indiretta dell'autonomia finanziaria regionale garantita dall'art. 119 Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni che l'art. 118 Cost. - anche in relazione agli articoli 114 e 117, comma sesto, Cost. - riconosce in favore dei comuni, in riferimento alle sopra indicate materie di competenza legislativa regionale.
II.1. - L'art. 1, commi 1, lettera b), n. 2, e 2, del decreto-legge n. 113 del 2018, modifica l'art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del 1998, riducendo i casi nei quali non e' consentito rifiutare o revocare il permesso di soggiorno agli stranieri, poiche' i motivi «di carattere umanitario» ammessi dal citato art. 5, comma 6, sono stati soppressi.
Come detto, il ridimensionamento della tutela umanitaria si applica non solo ai soggetti che formulano domanda di protezione umanitaria successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge n. 113 del 2018, ma anche a coloro che - prima di tale riforma - hanno ottenuto un titolo di permanenza sul territorio nazionale in forza dei previgenti articoli 5, comma 6, decreto legislativo n. 286 del 1998 e 32, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2005.
Infatti, ai sensi dell'art. 1, comma 8, decreto-legge n. 113 del 2018, i titolari di un «vecchio» permesso di soggiorno per motivi umanitari - giunti alla scadenza del periodo di validita' del titolo - non potranno ottenerne il rinnovo a condizioni invariate, ma dovranno superare il vaglio dell'amministrazione circa la sussistenza delle condizioni previste dall'art. 1, comma 8, citato: ossia, quelle previste dall'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo n. 286 del 1998.
Il combinato disposto del comma 1, lettera b) , n. 2, e del comma 8 dell'art. 1, decreto-legge n. 113 del 2018, ha quindi l'effetto di rendere irregolare (o al momento del rilascio del permesso, o del suo rinnovo, o nel caso di una sua revoca o rifiuto) la posizione degli stranieri che prima potevano godere del permesso di soggiorno per «motivi umanitari», ma che ora non rientrano nei casi di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo n. 286 del 1998, ne' nei casi speciali previsti dal decreto-legge n. 113 del 2018 (quali, ad esempio, quello per cure mediche relative a situazioni di salute di particolare gravita': cfr. art. 1, comma 1, lettera f).
II.2. - La nuova disciplina pregiudica gravemente i diritti inviolabili che la stessa Costituzione, le norme europee, nonche' i trattati internazionali impongono alle autorita' statali di garantire anche nei confronti dei cittadini stranieri. Di qui il contrasto della nuova disciplina con:
l'art. 2 Cost. e il connesso «principio di dignita' umana», poiche' esclude dal regime di protezione internazionale soggetti che, ove costretti al ritorno al Paese d'origine, si vedrebbero lesi nel godimento di diritti «fondamentalissimi» che concorrono a qualificare la dignita' dell'uomo in quanto tale, quali: i) soggetti che corrono il rischio di veder seriamente minacciata la propria vita e la propria incolumita' in ragione di disordini violenti o conflitti armati interni e internazionali che caratterizzino il Paese di origine, pur non avendo i requisiti per ottenere la protezione sussidiaria; ii) soggetti che, anche in ragione di instabilita' politiche e sociali, in caso di rientro nel Paese di origine si vedrebbero esposti a grave rischio di violazione dei propri diritti e liberta' democratiche, in ipotesi ulteriori rispetto a quelle disciplinate per i «casi speciali»; iii) soggetti che, a causa delle condizioni in cui versa il Paese di origine, si troverebbero inesorabilmente a mancare delle condizioni minime per soddisfare i loro bisogni primari, in ragione di fattori economici e/o ambientali; iv) soggetti esposti, in caso di rientro nel Paese d'origine, alla minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale; v) soggetti che, ove costretti ad abbandonare il territorio italiano, sarebbero lesi nel loro diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare; vi) soggetti caratterizzati da estrema indigenza nel Paese d'origine, poiche' tale condizione compromette in modo inesorabile il diritto a raggiungere gli standard minimi di una esistenza dignitosa (cfr. Cassazione n. 4455/2018); vii) i soggetti vertenti in cattivo stato di salute ovvero affetti da patologie invalidanti che non ottengano una certificazione di «particolare gravita'» del proprio quadro clinico (come oggi richiesto dall'art. 19, comma 2, lettera d-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998), ma che nondimeno che subirebbero un aggravamento delle proprie condizioni di salute in caso di ritorno in patria;
gli articoli 2 e 3 della Cost., sotto il profilo della irragionevole lesione della posizione acquisita dagli stranieri che in virtu' del precedente assetto normativa fruivano di un regolare permesso di soggiorno e che, senza adeguata disciplina transitoria, sono collocati in posizione di irregolarita'. La nuova disciplina introduce, inoltre, una disparita' di trattamento tra coloro i quali, a parita' di condizioni di rilascio, dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 113 del 2018 non potranno piu' godere del permesso di soggiorno e coloro i quali, invece, lo potranno mantenere; con conseguente discriminazione anche nel godimento dei diritti e delle prestazioni collegate al permesso di soggiorno;
l'art. 10, terzo comma, Cost., poiche' esclude dal regime di protezione ivi disciplinato soggetti che - secondo la ricostruzione della giurisprudenza di legittimita' (cfr., ad es., Cassazione, sentenze n. 10686 del 2012; n. 16362 del 2016; n. 4455 del 2018) - sono titolari del diritto di asilo riconosciuto dalla citata disposizione costituzionale, e in particolare coloro che: i) pur non essendo esposti a possibili attivita' «persecutorie» dirette nei loro confronti, corrono tuttavia il rischio di vedere seriamente minacciata la propria vita e la propria incolumita' in ragione di disordini violenti o conflitti armati interni e internazionali che caratterizzino il Paese di origine e non hanno i requisiti per vedersi riconosciuta la protezione sussidiaria; ii) anche in ragione di instabilita' politiche e sociali, in caso di rientro nel Paese di origine si vedrebbero esposti a grave rischio di violazione dei propri diritti e liberta' democratiche, quali il diritto a non essere discriminato (art. 3 Cost.), il diritto a non essere estradato per reati politici (art. 10 Cost.), la liberta' di religione (art. 19 Cost.), la liberta' di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), il diritto di agire e difendersi in giudizio (art. 24 Cost.), il diritto a un giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.); iii) a causa delle condizioni in cui versa il Paese di origine, si troverebbero inesorabilmente a mancare delle condizioni minime per soddisfare i bisogni primari, necessariamente presupposti dall'esercizio delle liberta' democratiche, in ragione di fattori economici e/o ambientali, quali carestie, siccita', poverta' inemendabile;
gli articoli 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli articoli 15, lettera c), e 18 della direttiva 2011/95/UE, poiche' esclude dal regime di protezione ivi disciplinato soggetti che, essendo esposti, in caso di rientro nel Paese d'origine, alla «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale», hanno diritto alla protezione sussidiaria;
gli articoli 10, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli articoli 6, 10, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP) - reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881 - e agli articoli 2, 3 e 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, poiche' esclude dal regime di protezione ivi disciplinato: i) soggetti che, in caso di rientro nel Paese d'origine, sarebbero esposti al serio rischio per la propria vita e la sicurezza alimentare in ragione dell'estrema poverta' e indigenza presente nel Paese di provenienza (articoli 6 e 10, comma 1, PIDCP; articoli 2 e 3 CEDU); ii) soggetti che, ove costretti ad abbandonare il territorio italiano, sarebbero lesi nel loro diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare (articoli 17, 23 e 24 PIDCP; art. 8 CEDU).
I profili di incostituzionalita' sopra indicati risultano ancor piu' gravi se si considera che le novita' introdotte - in particolare dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge - intervengono su un sistema di protezione internazionale attuato per dare seguito necessario ai principi di cui all'art. 10 Cost. Si deve, infatti considerare che le disposizioni impugnate nel presente ricorso abrogano una disciplina «costituzionalmente obbligatoria», in quanto sistema normativo che, anche nell'interpretazione giurisprudenziale, ha avuto la funzione di rendere effettivi i diritti fondamentali della persona. Si tratta di norme che «una volta venute ad esistenza possono essere dallo stesso legislatore modificate o sostituite con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate, cosi' da eliminare la tutela precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel medesimo precetto costituzionale della cui attuazione costituiscono strumento» (cfr. Corte cost., sentenza n. 49 del 2000).
Le disposizioni impugnate, in quanto viziate di illegittimita' costituzionale, incidono illegittimamente sulle attribuzioni legislative regionali ex art. 117, terzo comma, Cost., riguardanti i servizi erogati a favore degli stranieri in materia di «tutela della salute», «tutela del lavoro», «istruzione», «formazione professionale», «governo del territorio» con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, nonche' su quelle concernenti i servizi erogati in materia di «assistenza sociale» di cui all'art. 117, quarto comma, Cost., e sulle relative funzioni amministrative ex art. 118, primo comma, Cost.
Come si e' anticipato, infatti, la riforma della protezione umanitaria operata dal decreto-legge n. 113 del 2018 e' destinata ad aumentare il numero degli stranieri cui risulta preclusa la possibilita' di acquisire un valido titolo di soggiorno sul territorio nazionale e la conseguente possibilita' di fruire dei molteplici servizi predisposti in loro favore dalle regioni in virtu' della previgente normativa.
Cio' comporta la necessita' di una rimodulazione delle funzioni regionali - sia dal punto di vista della relativa disciplina, che del loro concreto esercizio - in modo tale da escludere il godimento delle prestazioni concernenti i servizi sopra elencati da parte degli stranieri che non potranno piu' ottenere il rilascio o il rinnovo (o potranno subire la revoca) del permesso di soggiorno, in forza delle norme di cui al decreto-legge n. 113 del 2018.
In particolare, la nuova normativa introdotta dal legislatore statale imporra' alla Regione di negare agli stranieri non piu' qualificabili come «regolarmente soggiornanti» una molteplicita' di prestazioni previste dal decreto legislativo n. 286 del 1998 ed essenziali per la corretta gestione degli effetti sul territorio e sociali del fenomeno migratorio, quali: l'assistenza sanitaria (art. 34); i corsi di alfabetizzazione e scolarizzazione di base degli stranieri adulti (art. 38, comma 5, lettera a e b); l'istruzione superiore e la formazione professionale (art. 39, comma 5); l'accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali per facilitare l'accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia; (art. 40, comma 6); i servizi di assistenza sociale (art. 41).
Le disposizioni citate prevedono - quale requisito generale di accesso alle prestazioni - il possesso, da parte del richiedente, di un valido titolo di soggiorno nel territorio nazionale; dal che deriva l'esclusione di tutti gli immigrati che - a seguito della riforma - non saranno piu' qualificati (ne' qualificabili) come regolarmente soggiornanti.
Inoltre, la disciplina di molti dei servizi erogati dagli enti territoriali prescrive che - per accedervi - l'interessato deve essere iscritto nei registri anagrafici del comune di residenza. La riduzione delle ipotesi di protezione umanitaria e il conseguente aumento degli stranieri non piu' regolarmente soggiornanti si ripercuoteranno dunque anche sulle prestazioni che esigono tale presupposto, considerato che l'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998 riconosce ai soli stranieri regolarmente soggiornanti il diritto di ottenere l'iscrizione anagrafica a parita' di condizioni rispetto ai cittadini italiani.
II.3. - Risultano evidenti sia l'illegittimita' costituzionale sotto molteplici profili delle previsioni contenute nel decreto-legge n. 113 del 2018, sia la concreta «ridondanza» di tale illegittimita' costituzionale in lesione delle attribuzioni che la Costituzione riconosce alle regioni.
Le norme legislative censurate - pur essendo espressione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nelle materie, c.d. «trasversali», del «diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea» (art. 117, secondo comma, lettera a) nonche' dell'«immigrazione» (art. 117, secondo comma, lettera b) - incidono palesemente (e con contenuti illegittimi) sulle competenze regionali concernenti la «tutela della salute», la «tutela del lavoro», l'«istruzione», la «formazione professionale», il «governo del territorio» con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, e l'«assistenza sociale».
La «ridondanza» dei profili di illegittimita' costituzionale di una normativa statale in lesione delle attribuzioni regionali, come si e' detto, si configura proprio laddove le norme adottate dal legislatore nazionale non contrastino con le regole costituzionali in tema di riparto di competenze tra lo Stato e gli enti territoriali, ma nondimeno obblighino le regioni a conformarsi ad una disciplina legislativa incostituzionale (sotto altri profili) nell'esercizio delle loro attribuzioni normative, amministrative o finanziarie (v. la citata sentenza di questa Corte, n. 145/2016).
Cio' e' per l'appunto quel che accade nel caso di specie, dal momento che le censurate norme - del decreto-legge n. 113 del 2018, mediante l'introduzione di vincoli costituzionalmente illegittimi, vincolano le regioni nella regolamentazione e nell'erogazione dei servizi di accoglienza in favore degli stranieri.
II.4. - In particolare, la disciplina legislativa impugnata preclude alle regioni - con specifico riferimento al servizio sanitario e alle prestazioni concernenti l'istruzione superiore e la formazione professionale - di esercitare la facolta', ad esse costituzionalmente garantita, di dettare autonomamente il volume e le modalita' organizzative dei servizi a favore degli stranieri che rientrano nella loro competenza legislativa.
In proposito, occorre ricordare i principi sanciti dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui - ferme le attribuzioni statali in tema di regolazione dei flussi di ingresso nel territorio nazionale - le regioni hanno piena facolta' di intervenire per «assicurare anche agli stranieri irregolari le fondamentali prestazioni sanitarie ed assistenziali atte a garantire il diritto all'assistenza sanitaria, nell'esercizio della propria competenza legislativa»; prestazioni che spettano ai suddetti soggetti «qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l'ingresso ed il soggiorno nello Stato» (Corte cost. 22 ottobre 2010, n. 299; in termini, Corte costituzionale 22 luglio 2010, n. 269).
Anche le direttive europee in materia di protezione internazionale contemplano espressamente la possibilita' che i legislatori nazionali introducano «disposizioni piu' favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonche' in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale» (art. 2 della direttiva 2011/95/UE).
Piu' precisamente, la direttiva 2013/33/UE - concernente i servizi di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale - prevede che «gli Stati membri possono stabilire o mantenere in vigore disposizioni piu' favorevoli sulle condizioni di accoglienza dei richiedenti e dei parenti stretti dei richiedenti presenti nello stesso Stato membro, quando siano a loro carico oppure per motivi umanitari...» (art. 4).
In base ai suddetti principi giurisprudenziali e tenuto conto del potere del legislatore regionale di concorrere all'attuazione del diritto europeo negli ambiti di rispettiva competenza (art. 117, quinto comma, Cost.), le regioni hanno facolta' di approvare norme di maggior favore nei confronti degli stranieri, con riguardo alla «tutela della salute» ed alla «formazione professionale».
Sennonche', l'art. 1, comma 1, lettere o) e p), n. 1, del decreto-legge n. 113 del 2018 ha modificato gli articoli 34, comma 1, e 39, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998, riducendo il novero dei soggetti ammessi a fruire dei servizi sanitari, di istruzione superiore e di formazione professionale ai soli titolari di permessi di soggiorno «per casi speciali», «per protezione speciale», «per cure mediche», nonche' (limitatamente alle prestazioni di cui all'art. 39, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998) «per atti di particolare valore civile».
In tal modo, il legislatore statale ha precluso alle regioni di optare autonomamente per il riconoscimento dei suddetti servizi in favore degli stranieri che, in passato, erano titolari (o potevano conseguire il rilascio) di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Anche sotto questo profilo, dunque, i vizi di illegittimita' costituzionale che affliggono le indicate norme del decreto-legge n. 113 del 2018 ridondano illegittimamente in lesione delle competenze regionali in tema di servizi di accoglienza in favore degli stranieri.
II.5. - La nuova normativa statale, in quanto illegittima costituzionalmente, incide negativamente anche sull'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119 Cost., particolarmente sotto il profilo dell'autonomia di spesa in materia sanitaria (ma anche in riferimento agli oneri che la Regione deve sostenere nell'esercizio delle altre competenze sopra richiamate).
In particolare, l'art. 35, comma 3, decreto legislativo n. 286 del 1998, individua le prestazioni sanitarie comunque assicurate agli stranieri non in regola con le norme relative all'ingresso e al soggiorno in Italia.
Tale norma, letta alla luce della circolare Ministero della salute n. 5 del 24 marzo 2000 e dell'Accordo Stato Regioni n. 255 del 20 dicembre 2012, comporta che gli oneri economici derivanti dall'erogazione delle «prestazioni ospedaliere urgenti o comunque essenziali, per malattia ed infortunio, e cioe' quelle urgenti erogate tramite pronto soccorso e quelle essenziali, ancorche' continuative, erogate in regime di ricovero, compreso il ricovero diurno (day hospital), od in via ambulatoriale» debbano essere sostenuti dallo Stato, mentre spetta alla Regione sostenere gli oneri relativi alle prestazioni indicate alle lettere a), b), c), d), e) del comma 3 del citato art. 35.
La combinazione tra quest'ultima norma e quelle discendenti dall'art. 1, commi 1, lettera b), n. 2, 2 e 8, decreto-legge n. 113 del 2018, comporta che all'aumento del numero degli stranieri irregolarmente soggiornanti nel territorio italiano corrispondera' necessariamente l'aumento delle spese sostenute dalle regioni per l'erogazione delle prestazioni sanitarie a loro carico di cui all'art. 35, comma 3, lettere a), b), c), d), e).
Analoga conseguenza si deve segnalare con riferimento anche agli oneri da sostenere per i servizi sociali e assistenziali per la formazione professionale e per l'edilizia residenziale pubblica.
E' evidente, dunque, che le citate norme contenute nel decreto-legge n. 113 del 2018 pongono un vincolo all'esercizio dell'autonomia finanziaria regionale, garantita dall'art. 119 Cost.
Di qui, l'illegittimita' costituzionale della disciplina impugnata anche in relazione ai parametri che definiscono l'autonomia finanziaria della Regione.
III. Terzo motivo.
In particolare, illegittimita' costituzionale dell'art. 1, decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge con legge n. 132 del 2018, con particolare riferimento al comma 1, lettera e), lettera f), numeri 1 e 2, lettera g), lettera h) e lettera i), numeri 1 e 2, per violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Lesione indiretta delle attribuzioni legislative in materia di «formazione professionale», «tutela del lavoro», «assistenza sociale», «edilizia residenziale pubblica», nonche' delle relative competenze amministrative, che l'art. 117, commi terzo e quarto, e l'art. 118, primo comma, Cost. riconoscono in favore della Regione. Lesione indiretta dell'autonomia finanziaria regionale garantita dall'art. 119 Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni che l'art. 118 Cost. -anche in relazione agli articoli 114 e 117, comma sesto, Cost. - riconosce in favore dei comuni, in riferimento alle sopra indicate materie di competenza legislativa regionale.
III.1. - Come accennato, l'art. 1, comma 1, lettera e, lettera f, numeri 1 e 2, lettera g, lettera h e lettera i, numeri 1 e 2, del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge, ha sostituito i permessi di soggiorno umanitari di cui agli articoli 18, comma 1, 18-bis, comma 1, e 22, comma 12-quater, del decreto legislativo n. 286 del 1998 con un permesso di soggiorno «per casi speciali» e ha previsto ulteriori ipotesi di permesso di soggiorno tipici aventi durata e disciplina differenziate a seconda dei casi.
Per quanto interessa in questa sede, occorre ricordare che:
a) il permesso di cui all'art. 18-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 (per le vittime di violenza domestica) «ha la durata di un anno e consente l'accesso ai [soli] servizi assistenziali e allo studio nonche' l'iscrizione nell'elenco anagrafico previsto dall'art. 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442, o lo svolgimento di lavoro subordinato e autonomo»;
b) il permesso di soggiorno per motivi sanitari ex art. 19, comma 2, lettera d-bis, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (recante, si ricorda, le ipotesi di divieto di espulsione e di respingimento) ha validita' «per il tempo attestato dalla certificazione sanitaria, comunque non superiore ad un anno, rinnovabile finche' persistono le condizioni di salute di particolare gravita' debitamente certificate»;
c) il permesso di soggiorno per calamita' di cui all'art. 20-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 «ha la durata di sei mesi, ed e' rinnovabile per un periodo ulteriore di sei mesi se permangono le condizioni di eccezionale calamita' di cui al comma 1; il permesso e' valido solo nel territorio nazionale e consente di svolgere attivita' lavorativa, ma non puo' essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro».
d) il permesso di soggiorno per particolare sfruttamento lavorativo ex art. 22, comma 12-quater, del decreto legislativo n. 286 del 1998 «ha la durata di sei mesi e puo' essere rinnovato per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale ... consente lo svolgimento di attivita' lavorativa e puo' essere convertito, alla scadenza, in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo».
III.2. - Le richiamate previsioni dell'art. 1, comma 1, decreto-legge n. 113 del 2018 non sono in grado di includere nel proprio campo di operativita' tutte le manifestazioni - almeno - del diritto all'alloggio e del diritto alla formazione, determinando cosi' l'esclusione di tali diritti per gli stranieri vittime di violenza domestica, per quelli vertenti in condizioni di salute particolarmente gravi e per quelli oggetto di particolare sfruttamento lavorativo.
Con particolare riguardo al diritto all'alloggio, infatti, l'art. 40, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del 1998 prescrive che l'accesso all'edilizia residenziale pubblica, nonche' ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali, spetti soltanto agli «stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale». Risultano, dunque, automaticamente esclusi dall'ambito applicativo di tale norma i soggetti che abbiano conseguito uno dei titoli di permanenza nel territorio nazionale «per casi speciali» ai sensi della nuova normativa.
L'esigua durata temporale di tali titoli esclude anche il diritto - per coloro che li abbiano ottenuti - a godere delle convenzioni per l'impiego all'interno delle strutture degli enti pubblici territoriali (che l'art. 42, comma 1, lettera d, del decreto legislativo n. 286 del 1998 consente di stipulare solo riguardo agli stranieri detentori di un permesso di soggiorno almeno biennale), nonche' - salva l'ipotesi di cui all'art. 18-bis - delle prestazioni di assistenza sociale (per cui l'art. 41 richiede un permesso di soggiorno con durata di almeno un anno).
La privazione dei suddetti servizi nei confronti dei titolari di permesso di soggiorno «per casi speciali» e', all'evidenza, incostituzionale perche' discrimina irragionevolmente la posizione di questi ultimi - comunque in possesso di un permesso di soggiorno speciale - rispetto a quella degli stranieri che sono titolari del permesso di soggiorno di cui all'art. 32, comma 3, decreto legislativo n. 28 del 2005: cosi' violando tanto l'art. 2, quanto l'art. 3 della Costituzione.
III.3. - Tale illegittimita' costituzionale si risolve, a sua volta, nella lesione indiretta delle attribuzioni regionali relative alle materie sulle quali incidono i diritti non contemplati - e, dunque, esclusi - dalle norme che qui si censurano, ovvero della competenza legislativa regionale in materia di «formazione professionale», «tutela del lavoro», «assistenza sociale», nonche' di quella relativa alla «edilizia residenziale pubblica» (la quale, per quel che concerne la «gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica», rientra nella competenza legislativa residuale regionale ex art. 117, quarto comma, Cost., e, quanto alla sua programmazione, rientra invece nella competenza concernente il «governo del territorio» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., nonche' delle relative competenze amministrative spettanti alla Regione in base all'art. 118, primo comma, Cost.: Corte costituzionale n. 273 del 2016).
Inoltre, la nuova normativa statale, in quanto illegittima costituzionalmente, incide negativamente anche sull'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119 Cost., particolarmente sotto il profilo dell'autonomia di spesa in relazione ai servizi erogati per l'integrazione degli immigrati.
Infine, il decreto-legge, in quanto contrario ai parametri costituzionali indicati in rubrica, ridonda in lesione anche delle competenze amministrative spettanti agli enti locali - ai sensi degli articoli 114 e 118 Cost. - nella materia dell'accoglienza in favore degli stranieri, perche' nell'esercizio di tali attribuzioni comuni e province saranno tenuti a conformarsi a unadisciplina incostituzionale.
IV. - Quarto motivo.
In particolare, illegittimita' costituzionale dell'art. 1, decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge con legge n. 132 del 2018, con particolare riferimento al comma 1, lettera g), in combinato disposto con l'art. 1, comma 2, del medesimo decreto, per violazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione. Lesione indiretta delle attribuzioni legislative in materia di «tutela della salute», nonche' delle relative competenze amministrative, che l'art. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., riconoscono in favore della Regione. Lesione indiretta dell'autonomia finanziaria regionale garantita dall'art. 119 Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni che l'art. 118 Cost. - anche in relazione agli articoli 114 e 117, comma sesto, Cost. - riconosce in favore dei comuni, in riferimento alle sopra indicate materie di competenza legislativa regionale.
IV.1. - L'art. 1, comma 1, lettera g), decreto-legge n. 113 del 2018, invece, introduce all'art. 19, comma 2, decreto legislativo n. 286 del 1998, la lettera d-bis), la quale prevede uno speciale permesso di soggiorno per cure mediche per gli «stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravita', accertate mediante idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi, in caso di rientro nel Paese di origine o di provenienza».
Tale disposizione, a prima lettura favorevole nei confronti degli stranieri, se esaminata alla luce della novita' introdotta dall'art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 113 del 2018 - che fa venir meno il permesso di soggiorno per motivi umanitari - comporta conseguenze rilevanti in relazione al diritto alla salute degli stranieri che si trovano sul nostro territorio.
Infatti, in virtu' del combinato disposto delle due norme sopra citate (art. 1, comma 2, e art. 1, comma 1, lettera g), un'ampia fascia di stranieri che prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 113 del 2018 soggiornava regolarmente in Italia e poteva fruire delle prestazioni sanitarie legate a tale status si verra' a trovare irragionevolmente privata di esse e discriminata rispetto ai pochi che presentano un quadro patologico di particolare gravita'.
In definitiva, chi si trovasse a non godere piu' del permesso di soggiorno precedente rilasciato per motivi umanitari e versasse in una situazione di salute grave ma non di particolare o eccezionale gravita', non avendo diritto neppure al permesso speciale di cui all'art. 1, comma 1, lettera g), vedrebbe oltremodo compresso il proprio diritto alla salute che prima dell'avvento del decreto-legge n. 113 del 2018 era pienamente tutelato: con conseguente violazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.
IV.2. - Anche in questo caso i profili di illegittimita' costituzionale della norma censurata comportano una lesione indiretta delle attribuzioni regionali relative alle materie «tutela della salute» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., nonche' delle relative competenze amministrative spettanti alla Regione in base all'art. 118, primo comma, Cost.
Infatti, la Regione si trovera' costretta ad escludere dai destinatari delle proprie prestazioni sanitarie (non ambulatoriali o d'urgenza) gli stranieri che pur versando in gravi situazioni di salute non rientrino nell'ambito di operativita' dell'art. 1, comma 1, lettera g), decreto-legge n. 113 del 2018. E il vincolo - che la Regione si vede imposto - ad attuare una disciplina incostituzionale o, comunque, ad adeguare la propria legislazione e la propria azione amministrativa a una disciplina incostituzionale, negando i servizi essenziali per la tutela di un diritto della persona che la Costituzione qualifica espressamente come «fondamentale», dimostra la sicura «ridondanza» dei vizi denunciati in lesione delle attribuzioni costituzionali dell'odierna ricorrente.
La nuova normativa statale, in quanto illegittima costituzionalmente, incide negativamente anche sull'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119 Cost., particolarmente sotto il profilo dell'autonomia di spesa in relazione ai servizi erogati per l'integrazione degli immigrati.
Infine, il decreto-legge impugnato in questa sede, in quanto contrario ai parametri costituzionali indicati in rubrica, ridonda in lesione delle competenze amministrative spettanti agli enti locali - ai sensi degli articoli 114 e 118 Cost. - nella materia dell'accoglienza in favore degli stranieri, poiche' costringe gli enti medesimi a negare prestazioni essenziali per il soddisfacimento dei bisogni connessi a diritti primari dell'individuo, incorrendo nelle medesime violazioni proprie del decreto-legge.
V. - Quinto motivo.
Illegittimita' costituzionale dell'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge con legge n. 132 del 2018, con particolare riferimento al comma 1, lettera a), n. 2 e al comma 1, lettera c), nella parte in cui debba interpretarsi nel senso di vietare e dunque escludere l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, per violazione degli articoli 3, 10, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione. Lesione indiretta delle attribuzioni legislative in materia di «tutela della salute», «tutela del lavoro», «istruzione», «formazione professionale», «governo del territorio» con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, e in materia di «assistenza sociale», nonche' delle relative funzioni amministrative che gli articoli 117, commi terzo e quarto, e 118 Cost. riconoscono in favore della Regione. Lesione indiretta dell'autonomia finanziaria regionale garantita dall'art. 119 Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni che l'art. 118 Cost. - anche in relazione agli articoli 114 e 117, comma sesto, Cost. - riconosce in favore dei comuni, in riferimento alle sopra indicate materie di competenza legislativa regionale.
V.1. - Il comma 1, lettera a), n. 2 dell'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018 introduce all'art. 4, decreto legislativo n. 142 del 2015, il comma 1-bis, il quale dispone che «Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
La residenza rappresenta il principale criterio di collegamento tra cittadino e territorio, con rilevanti implicazioni nella definizione della platea dei potenziali beneficiari di misure socio-assistenziali, nonche' di quella rivolte a favorire l'autonomia del cittadino.
V.2. - La disposizione introdotta dal comma 1, lettera a), n. 2 dell'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018, per la parte in cui si debba intendere nel senso di vietate e dunque escludere l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo (sia, a maggior ragione, dei soggetti esclusi dalla possibilita' di ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari) si pone dunque in contrasto:
con gli articoli 3 e 10, terzo comma, Cost., dal momento che tratta in modo irragionevolmente differenziato e con una misura assolutamente sproporzionata rispetto al fine una particolare categoria di stranieri, i richiedenti asilo, che comunque risultano regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, applicando ad essi una irragionevole e sproporzionata disparita' di trattamento rispetto ad altri stranieri, pure regolarmente soggiornanti in condizioni del tutto analoghe, quali i titolari del permesso di soggiorno ex art. 32, comma 3, decreto legislativo n. 25 del 2008, o degli altri permessi speciali introdotti dal decreto-legge n. 113 del 2018;
con l'art. 117, primo comma, Cost., in riferimento sia all'art. 2, comma 1, del Protocollo 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, reso esecutivo in Italia con decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1982, n. 217, sia all'art. 12, comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881, i quali prevedono, rispettivamente, che «Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliervi liberamente la sua residenza» e che «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla liberta' di scelta della residenza in quel territorio». Alla luce delle citate norme internazionali, infatti, i richiedenti asilo, i quali sono titolari di un diritto all'ingresso nel territorio dello Stato, nonche' di quello ad accedere alla procedura di esame della domanda di asilo (cfr., tra le altre, Cassazione SS.UU., sentenza n. 4674 del 1997), e dunque si trovano legalmente nel territorio italiano, hanno il diritto di fissare all'interno di tale territorio la propria residenza: diritto violato dall'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018, nella parte in cui debba intendersi nel senso di vietare anagrafica e la conseguente fissazione della residenza per il richiedente asilo;
con l'art. 11 e l'art. 117, primo comma, Cost., con riferimento alla direttiva 2013/33/UE, nella parte in cui quest'ultima riconosce al richiedente asilo (per tale intendendosi «il cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non e' stata ancora adottata una decisione definitiva»: art. 2, lettera b) il diritto di fruire delle condizioni di accoglienza stabilite nella stessa direttiva, concernenti in particolare: la scolarizzazione e l'istruzione dei minori (art. 14); l'accesso al mercato del lavoro (art. 15); la formazione professionale (art. 16); l'assistenza sanitaria e l'alloggio (articoli 17, 18 e 19).
V.3. - L'interpretazione dell'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, del decreto-legge n. 113 del 2018 in senso preclusivo dell'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo incide senz'altro sulle attribuzioni regionali - legislative e amministrative - in materia di «tutela della salute», «tutela del lavoro», «istruzione», «formazione professionale», «governo del territorio» con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, nonche' in materia di «assistenza sociale», che gli articoli 117, commi terzo e quarto, e 118, primo comma, Cost. riconoscono in favore della Regione, nella misura in cui il divieto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo finisce per impedire alla Regione di considerare tali stranieri ai fini della disciplina e dell'erogazione di servizi e di prestazioni che, in base alla legislazione vigente, richiedano l'iscrizione anagrafica quale presupposto necessario, ovvero finisce comunque per imporre alla Regione di modificare la propria vigente legislazione al riguardo.
V.4. - Ugualmente, l'art. 13, comma 1, lettera a) , n. 2, decreto-legge n. 113 del 2018, laddove interpretato nel senso di imporre un divieto di iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo, potrebbe impedire anche ai comuni di erogare a tali soggetti molteplici servizi essenziali per garantire l'integrazione socio-economica dei migranti.
Infatti, l'iscrizione anagrafica costituisce presupposto necessario per l'accesso all'assistenza sociale, per la concessione di sussidi o agevolazioni basati sulle condizioni di reddito verificate mediante l'indicatore della situazione economica equivalente - ISEE, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013.
Trattasi di benefici di natura sociale e sociosanitaria del tutto centrali nella vita della comunita': quali, ad esempio, la priorita' di accesso ai servizi; l'applicazione di tariffe inferiori a quelle massime; la concessione di contributi a parziale o totale copertura delle rette; l'esenzione dalla contribuzione al costo dei servizi, ecc.
Ancora, la residenza anagrafica e' richiesta per poter usufruire del reddito di inclusione (REI), ai sensi del decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147. Infatti, secondo l'art. 3 di tale decreto legislativo, la misura e' rivolta (tra l'altro) a chi sia residente in Italia, in via continuativa, da almeno due anni al momento di presentazione della domanda. In tal modo, la norma presuppone che il soggetto richiedente la concessione del beneficio possa attestare la durata della sua residenza nel territorio nazionale mediante apposita certificazione anagrafica.
Infine, la mancanza di iscrizione anagrafica incide sulle politiche attive del lavoro e, in particolare, sulla possibilita' - per lo straniero - di ottenere il riconoscimento dello stato di disoccupazione ai sensi del decreto legislativo n. 150 del 2015. L'assenza dello stato di disoccupazione, a sua volta, preclude l'accesso a tutti i servizi di politica attiva del lavoro finanziati dal Fondo sociale europeo e, dunque, dotati di maggiore efficacia.
A cio' si aggiunge l'irragionevolezza del sistema normativo risultante dall'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018, posto che - da un lato - le norme vigenti, anche di rango sovranazionale (cfr. art. 18 della direttiva 2013/33/UE), riconoscono ai richiedenti asilo il diritto ad un alloggio; e, d'altro lato, il suddetto articolo nega ai medesimi soggetti la possibilita' di ottenere l'iscrizione anagrafica. Cosi' incidendo anche sul buon andamento nell'esercizio delle funzioni dei singoli comuni, i quali - per svolgere i loro compiti - necessitano di conoscere esattamente il numero dei soggetti stabilmente presenti nel proprio territorio (cio' che risulterebbe impossibile riguardo alla popolazione straniera, se - anziche' avvalersi di un sistema anagrafico basato sull'accertamento del luogo di residenza - i comuni dovessero verificare, di volta in volta, il luogo in cui lo straniero si trova abitualmente, ovvero quello in cui ha stabilito il domicilio).
V.5. - L'impossibilita' di accedere ai suddetti servizi vale - oltre che per i richiedenti asilo - anche per gli stranieri che mirino ad ottenere un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. Infatti, come sopra accennato, la riduzione delle ragioni umanitarie meritevoli di tutela in base alle norme del decreto-legge n. 113 del 2018 comportera' un aumento degli stranieri irregolarmente presenti nel territorio nazionale, i quali - stante il disposto dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998 - non avranno diritto all'iscrizione anagrafica in condizioni di parita' rispetto ai cittadini italiani e, pertanto, risentiranno delle suddette limitazioni in tema di prestazioni erogabili degli enti territoriali.
V.6. - Per queste ragioni, l'art. 1, comma 1, lettera a), n. 2 dell'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018 - nella parte in cui vieta l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo - incide sulle competenze legislative e amministrative regionali nelle materie dell'assistenza sociale, della tutela della salute e del lavoro, nonche' dell'istruzione e formazione professionale, che l'art. 117, commi terzo e quarto, e 118, primo comma, Cost. riconoscono in favore della Regione.
Le considerazioni sopra svolte circa la lesione delle attribuzioni della Regione valgono anche con riferimento ai comuni, ai quali e' devoluta la tenuta e la gestione dei registri anagrafici della popolazione residente sul territorio.
Con la conseguenza che le disposizioni del decreto-legge n. 113 del 2018 ridondano in lesione delle competenze amministrative spettanti agli enti locali ai sensi degli articoli 114 e 118 Cost.
La lesione indiretta delle attribuzioni costituzionali dei comuni ex art. 118 Cost., d'altronde, puo' senz'altro essere fatta valere da parte della Regione dinanzi alla Corte costituzionale qualora, come nel caso di specie, essa sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali (Corte cost., sentenza n. 196 del 2004).
La nuova normativa statale - in quanto introduce, con disposizioni illegittime costituzionalmente, obblighi di adeguamento e riorganizzazione dei servizi di accoglienza e di gestione dei rapporti con gli stranieri privi di permesso di soggiorno, dai quali derivano oneri finanziari non previsti - incide negativamente anche sull'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119 Cost., particolarmente sotto il profilo dell'autonomia di spesa in relazione ai servizi erogati per l'integrazione degli immigrati.
VI - Sesto motivo.
Illegittimita' costituzionale dell'art. 12, decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge con legge n. 132 del 2018, con particolare riferimento al disposto dell'art. 12, comma 1, lettera a), lettera b) e lettera c), nonche' dell'art. 12, comma 2, lettera f), n. 1, lettera l) e lettera m), per violazione degli articoli 2, 3, 10, commi secondo e terzo, 11, 117, primo comma, della Costituzione (anche con riferimento alle disposizioni della direttiva 2013/33/UE), con conseguente lesione indiretta delle attribuzioni legislative in materia di «tutela della salute», «tutela del lavoro», «istruzione», «formazione professionale», «governo del territorio» con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, e in materia di «assistenza sociale», nonche' delle relative funzioni amministrative, che gli articoli 117, commi terzo e quarto, e 118 Cost. riconoscono in favore della Regione. Lesione indiretta dell'autonomia finanziaria regionale garantita dall'art. 119 Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni che l'art. 118 Cost. - anche in relazione agli articoli 114 e 117, comma VI, Cost. - riconosce in favore dei comuni, in riferimento alle sopra indicate materie di competenza legislativa regionale.
VI.1. - L'art. 12, comma 1, del decreto-legge n. 113 del 2018, convertito in legge con legge n. 132 del 2018, ha modificato l'ambito applicativo dell'art. 1-sexies del decreto-legge n. 416 del 1989, prevedendo che i servizi di accoglienza erogati dalla rete SPRAR e finanziati dal fondo di cui all'art. 1-septies del medesimo decreto-legge n. 416 del 1989, siano erogati ai soli «titolari di protezione internazionale», ai minori stranieri non accompagnati, ovvero ai «titolari dei permessi di soggiorno di cui agli articoli 19, comma 2, lettera d-bis), 18, 18-bis, 20-bis, 22, comma 12-quater e 42-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
In questo modo, la norma ha escluso la possibilita' che la rete SPRAR eroghi i suddetti servizi ai soggetti che hanno formulato richiesta, ma sono ancora in attesa del pronunciamento dell'autorita' amministrativa sulla richiesta medesima.
VI.2. - Tale modifica normativa, per la parte in cui e' in contrasto con le norme eurounitarie e costituzionali che disciplinano, sotto il profilo organizzativo, l'erogazione delle prestazioni assistenziali in favore degli stranieri richiedenti asilo, lede indirettamente le competenze costituzionalmente riconosciute alla Regione nelle materie indicate nella rubrica del presente motivo.
In particolare, la direttiva 2013/33/UE stabilisce che - al fine di garantire il corretto funzionamento delle misure di accoglienza - «e' opportuno assicurare l'efficienza dei sistemi nazionali di accoglienza e la cooperazione tra gli Stati membri nel settore dell'accoglienza dei richiedenti» nonche' «incoraggiare un appropriato coordinamento tra le autorita' competenti per quanto riguarda l'accoglienza dei richiedenti, e pertanto promuovere relazioni armoniose tra le comunita' locali e i centri di accoglienza» (Considerando n. 26 e n. 27 direttiva cit.).
L'inciso normativo evidenzia la centralita' degli enti territoriali nella gestione del fenomeno migratorio, data la capacita' degli enti medesimi di rilevare le istanze delle popolazioni locali ospitanti e di coniugarle con le esigenze della comunita' di richiedenti asilo presente sul territorio, cosi' garantendo la pacifica convivenza reciproca.
In assenza dell'intermediazione dell'ente locale, sarebbe invero impossibile attuare l'inclusione degli stranieri nel delicato tessuto economico-sociale dei singoli territori regionali o subregionali, cosi' ponendo nel nulla le esigenze di convivenza armoniosa valorizzate dalla direttiva.
Tali assunti, peraltro, sono coerenti con le norme costituzionali che disciplinano il riparto delle competenze amministrative nell'ordinamento nazionale, le quali prescrivono che lo svolgimento delle funzioni e dei servizi pubblici avvenga al livello piu' vicino possibile rispetto al destinatario della funzione o del servizio medesimi, salvo che per ragioni di differenziazione, sussidiarieta' e adeguatezza risulti necessario lo svolgimento di tali attivita' ad un livello organizzativo superiore (art. 118 Cost.).
Del resto, l'art. 114 Cost. riconosce ai diversi enti rappresentativi delle comunita' territoriali (regioni, province, comuni e citta' metropolitane) una posizione costituzionale pariordinata rispetto allo Stato, cosi' implicando, non solo l'obbligo degli enti medesimi di osservare il diritto europeo, ma anche quello di provvedere alla sua attuazione negli ambiti di rispettiva competenza.
VI.3. - In netto contrasto con i principi sopra richiamati, il decreto-legge n. 113 del 2018 ha radicalmente precluso alle regioni e agli enti locali di esercitare le proprie competenze costituzionalmente garantite nel settore dei servizi di accoglienza in favore degli stranieri richiedenti asilo, sopprimendo drasticamente la rete di interventi precedentemente garantiti a tali soggetti dal sistema SPRAR e conseguentemente accentrando in capo allo Stato le relative competenze.
L'illegittimita' della nuova disciplina, per la parte in cui contrasta con i principi della direttiva 2013/33/UE e viola quindi gli articoli 10, 11 e 117 Cost., ridonda nella lesione delle competenze costituzionali riconosciute alla Regione e agli enti locali nei settori della «tutela della salute», della «tutela del lavoro», dell'«istruzione», della «formazione professionale», del «governo del territorio» con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, e dell'«assistenza sociale».
L'incidenza sulle competenze amministrative degli enti locali, operata dal decreto-legge n. 113 del 2018, non si accompagna, inoltre, a un'effettiva riduzione delle attivita' che le strutture amministrative di tali enti saranno chiamate a svolgere per partecipare a garantire l'ordinata gestione del fenomeno migratorio.
L'art. 8 della direttiva 2013/33/UE, infatti, non prevede alcuna limitazione della liberta' di circolazione dei richiedenti asilo in pendenza del procedimento di definizione della loro domanda (fanno eccezione solo i limiti necessari alla fase dell'identificazione): i richiedenti asilo saranno liberi di stabilirsi nel territorio regionale in attesa della definizione di tale procedimento e continueranno, dunque, ad essere diffusamente presenti nelle comunita' locali.
Cio' imporra' agli enti territoriali di attuare misure volte a garantire la salute pubblica, la sicurezza locale, limitando i fenomeni di emarginazione socio-economica dei migranti e favorendo la loro integrazione con la popolazione residente; pena il rischio di un incremento consistente della criminalita', nonche' il verificarsi di fenomeni di degrado urbano.
Sennonche', il decreto-legge n. 113 del 2018 rende impossibile l'attuazione di tali interventi, impedendo agli enti territoriali di realizzare progetti di integrazione dei richiedenti asilo e privandoli delle risorse finanziare del fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo di cui all'art. 1-septies del decreto-legge n. 416 del 1989. Con la conseguenza che ogni misura di sostegno agli stranieri dovra' essere attuata dalle amministrazioni locali mediante impiego di risorse proprie, cio' che, all'evidenza, mette in luce un'ulteriore lesione di competenze - da parte del legislatore statale - sotto il profilo dell'autonomia finanziaria garantita dall'art. 119 Cost.
La nuova normativa incide cosi' indirettamente, ma chiaramente, sulle competenze amministrative regionali e locali, per la parte in cui il decreto-legge n. 113 del 2018 provoca conseguenze gravissime sulla gestione amministrativa delle regioni e degli enti locali, che - se, da un lato, saranno tenuti ad astenersi da qualsiasi intervento di sostegno e integrazione nei confronti dei richiedenti la protezione internazionale - d'altro lato, dovranno comunque gestire le conseguenze per la salute pubblica, la sicurezza, l'ordine pubblico e il decoro derivanti dalla presenza di un consistente numero di soggetti privi di assistenza nell'ambito del proprio territorio.
Il risultato ultimo della riforma introdotta dal decreto-legge - in definitiva - sara' quello di moltiplicare il numero di stranieri non assistiti e non occupati presenti a livello locale, e conseguentemente di aumentare gli oneri che gli enti rappresentativi delle comunita' territoriali saranno chiamati a sostenere per ovviare a tali fenomeni.
Dal che risulta evidente la sicura incidenza del decreto-legge n. 113 del 2018 nelle competenze amministrative che la Costituzione attribuisce alle regioni e agli enti locali con riferimento all'assistenza degli stranieri.
VI.4. - L'art. 12 del decreto-legge n. 113 del 2018 ha eliminato la norma che consentiva di ricomprendere gli aspiranti alla protezione internazionale privi di occupazione, in programmi di formazione professionale volti all'inserimento lavorativo (art. 12, comma 2, lettera l, che abroga l'art. 22, comma 3, del decreto legislativo n. 142 del 2015). La stessa disposizione ha limitato gli interventi di inclusione basati sulla partecipazione degli stranieri a lavori di utilita' sociale, consentendone l'erogazione ai soli «titolari di protezione internazionale» (art. 12, comma 2, lettera m, che modifica l'art. 22-bis, commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 142 del 2015).
VI.5. - Tali previsioni sono illegittime per aver indebitamente ridotto il novero delle prestazioni di accoglienza che dovrebbero essere assicurate ai richiedenti asilo in base alla direttiva 2013/33/UE.
La direttiva cit. riconosce il diritto all'erogazione di svariate misure di accoglienza anche al «richiedente asilo», per tale intendendosi il «cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non e' stata ancora adottata una decisione definitiva» (art. 2, par. 1, lettera b della direttiva 2013/33/UE; in termini simili anche art. 2, comma 1, lettera a del decreto legislativo n. 142/2015).
In particolare, la citata direttiva prescrive che i soggetti proponenti istanza di protezione internazionale hanno diritto di accedere ai servizi educativi - quantomeno pubblici - per provvedere alla scolarizzazione dei propri figli minori (art. 14); di essere immessi nel mercato del lavoro entro un termine ragionevole dalla presentazione della domanda di protezione internazionale e senza incorrere in indebite limitazioni (art. 15); di fruire di un alloggio all'interno di strutture pubbliche o private (art. 18); di usufruire, all'occorrenza, di un'adeguata assistenza sanitaria (art. 19).
Si consente, inoltre, agli Stati membri dell'Unione europea di «autorizzare l'accesso dei richiedenti alla formazione professionale indipendentemente dal fatto che abbiano accesso al mercato del lavoro» (art. 16).
Secondo il legislatore eurounitario, tali misure di accoglienza devono assicurare una «qualita' di vita che garantisca il sostentamento dei richiedenti e ne tuteli la salute fisica e mentale» e che sia «adeguata alla specifica situazione delle persone vulnerabili, ai sensi dell'art. 21, nonche' alla situazione delle persone che si trovano in stato di trattenimento» (art. 17, par. 2 della direttiva cit.).
Per effetto della soppressione - ad opera del decreto-legge n. 113 del 2018 - degli interventi di formazione professionale e di inclusione sociale precedentemente garantiti ai richiedenti asilo dagli articoli 22, comma 3, e 22-bis decreto legislativo n. 142 del 2015, i livelli di adeguatezza imposti dalla disciplina eurounitaria sopra richiamata non saranno piu' assicurati.
Ne deriva la violazione degli articoli 2, 3, 10, commi secondo e terzo, 11, 117, primo comma, della Costituzione (anche con riferimento alle disposizioni della direttiva 2013/33/UE), i quali viceversa impongono che i suddetti livelli minimi di assistenza siano effettivamente erogati agli stranieri che attendono una decisione sulla loro domanda di protezione internazionale.
La scarsa integrazione lavorativa e la mancanza di mezzi economici, infatti, sono la prima causa di emarginazione degli stranieri e delle connesse problematiche sul piano della sanita', della sicurezza pubblica e della coesione sociale cui - come detto - gli enti territoriali sono chiamati a far fronte.
La compressione del contenuto delle prestazioni di assistenza erogate ai migranti che abbiano chiesto protezione internazionale contrasta - come detto - con le norme della direttiva 2013/33/UE e, per cio' stesso, incide illegittimamente sulle competenze che - nel settore dell'accoglienza degli stranieri - spettano agli enti territoriali (costretti ad adeguarsi ad una normativa incostituzionale e, dunque, a negare le suddette prestazioni ai richiedenti).
VI.6. - L'art. 12, comma 2, lettera l e lettera m del decreto-legge n. 113 del 2018 incide, in particolare, sulle attribuzioni della Regione in materie devolute alla sua potesta' legislativa concorrente (quanto alla «formazione professionale») ovvero esclusiva (con riferimento, invece, all'«assistenza sociale»).
Per effetto della nuova disposizione, infatti, risulta del tutto precluso alla Regione di disciplinare autonomamente il volume nonche' le condizioni di erogazione dei servizi di formazione professionale e assistenza sociale in favore dei richiedenti la protezione internazionale stanziati sul proprio territorio.
Cio' in palese contrasto con i principi enunciati da questa Corte, che riconosce alle regioni il potere di intervenire per assicurare le prestazioni indispensabili al soddisfacimento dei diritti inviolabili della persona anche agli stranieri che non rispettino appieno le norme che regolano l'ingresso ed il soggiorno nello Stato (cfr. le citate sentenze n. 299/2010 e n. 269/2010 di questa Corte) e, dunque, a maggior ragione nei confronti di coloro che (semplicemente) attendono una decisione sulla domanda di protezione internazionale.
Anche sotto questi profili, le disposizioni impugnate del decreto-legge n. 113 del 2018 ridondano illegittimamente in lesione delle competenze regionali in tema di servizi di accoglienza in favore degli stranieri.
I profili di illegittimita' del decreto-legge sopra riscontrati, inoltre, ridondano in lesione delle competenze amministrative spettanti agli enti locali - ai sensi degli articoli 114 e 118 Cost. - nella materia dell'accoglienza in favore degli stranieri, in quanto impediscono a comuni e province di erogare prestazioni essenziali per la tutela dei diritti garantiti dalla Costituzione e dal diritto eurounitario ai soggetti che richiedono la protezione internazionale.
P.Q.M.
La Regione Marche, come sopra rappresentata e difesa, chiede che questa ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, dichiari l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, come convertito in legge n. 132 del 1° dicembre 2018, per le ragioni e nei termini analiticamente indicati nei motivi sopra esposti.
Con ossequio.
Roma, 1° febbraio 2019
Avv. prof. Grassi - Avv. De Berardinis