RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 marzo 2007 , n. 13
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 6 marzo 2007 (della Provincia autonoma di Trento)

(GU n. 13 del 28-3-2007) 
 
    Ricorso  della  Provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona del
Presidente  della  provincia  dott.  Lorenzo  Dellai, autorizzato con
deliberazione  della  giunta  provinciale n. 325 del 15 febbraio 2007
(doc.  1),  rappresentata  e  difesa  come da procura speciale del 21
febbraio  2007,  n. rep.  26689, rogata dal dott. Tommaso Sussarellu,
ufficiale  rogante  della  provincia,  dall'avv.  Nicolo'  Pedrazzoli
dell'Avvocatura   della   Provincia   di   Trento,   dal  prof.  avv.
Giandomenico  Falcon  di  Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con
domicilio  eletto  presso  lo  studio  di  quest'ultimo, in Roma, via
Confalonieri n. 5;

    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  del  ministri  per  la
dichiarazione   di   illegittimita'   costituzionale  delle  seguenti
disposizioni  della  legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria  2007), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27
dicembre  2006  -  supplemento ordinario n. 244/L: art. 1, commi 560,
588,  589,  590, 1221 e 1226, per violazione dello statuto speciale e
delle  relative  norme di attuazione, come meglio si specifichera' in
prosieguo,  nonche'  degli  artt. 3,  24,  97,  113,  117 e 119 della
Costituzione,  in  collegamento con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001,
nonche'  dei  principi di certezza del diritto, di ragionevolezza, di
proporzionalita' e di leale collaborazione.

                              F a t t o

    Con  la  legge  27  dicembre 2006, n. 296 sono state approvate le
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale pluriennale dello
Stato (Legge finanziaria 2007).
    Tale legge contiene all'art. 1, comma 1363, una espressa clausola
di  salvaguardia  per le regioni a statuto speciale e per le province
autonome  di Trento e di Bolzano, in base alla quale "le disposizioni
della  presente  legge  sono  applicabili  nelle  Regioni  a  statuto
speciale   e   nelle   Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
compatibilmente  con le norme dei rispettivi statuti e delle relative
norme  di  attuazione". In generale, dunque, la non compatibilita' di
una  disposizione  della  legge  n. 296  del  2006  con  la  speciale
autonomia   della   Provincia   di   Trento   ne   determina  la  non
applicabilita'.
    Tuttavia,  questo  meccanismo  non  puo' valere in relazione alle
disposizioni  della  legge  che  espressamente  -  o  implicitamente,
mediante  riferimenti  inclusivi - dispongano la propria applicazione
alla  provincia  autonoma di Trento, in pratica "autoqualificando" la
propria  compatibilita'  con  lo  statuto  speciale e con le norme di
attuazione.  Sennonche',  alcune di tali disposizioni, e precisamente
quelle  oggetto  del  presente giudizio, si pongono invece, ad avviso
della   ricorrente   provincia,   in   violazione   delle  competenze
riconosciute  alle  Province  autonome dallo Statuto e dalle relative
norme  di attuazione, nonche' dal nuovo Titolo V, parte seconda della
Costituzione.
    Tali   disposizioni   si   rivelano   dunque   costituzionalmente
illegittime per i motivi ed i profili di seguito indicati.

                            D i r i t t o

    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 560.
    Il comma 557 - che non forma oggetto di impugnazione - stabilisce
che,  "ai  fini  del  concorso  delle autonomie regionali e locali al
rispetto degli obiettivi di finanza pubblica di cui ai commi da 655 a
695, gli enti sottoposti al patto di stabilita' interno assicurano la
riduzione  delle spese di personale, garantendo il contenimento della
dinamica   retributiva   e   occupazionale,   anche   attraverso   la
razionalizzazione delle strutture burocratico-amministrative", e che,
"a  tale  fine,  nell'ambito  della  propria  autonomia, possono fare
riferimento ai prinicpi desumibili dalle seguenti disposizioni ...".
    Tra le seguenti disposizioni vi e' il comma 560, il quale dispone
che  "per  il  triennio  2007-2009 le amministrazioni di cui al comma
557,  che  procedono all'assunzione di personale a tempo determinato,
nei  limiti  e  alle condizioni previste dal comma 1-bis dell'art. 36
del  decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n. 165,  nel  bandire le
relative  prove selettive riservano una quota non inferiore al 60 per
cento  del totale dei posti programmati ai soggetti con i quali hanno
stipulato  uno  o  piu'  contratti  di  collaborazione  coordinata  e
continuativa, esclusi gli incarichi di nomini politica, per la durata
complessiva  di  almeno  un anno raggiunta alla data del 29 settembre
2006".
    Il  comma  560, dunque, sembra rivolgersi anche alla Provincia di
Trento,  quale  ente  soggetto  al  patto  di  stabilita'  interno, e
disciplina  con  norme  direttamente  applicabili  e  per  giunta  di
dettaglio  (talora  estremo, come mostra il curioso riferimento al 29
settembre  2006)  le  procedure  di  assunzione  di personale a tempo
determinato  che  avvengano  nel  triennio  2007-2009,  imponendo una
riserva di posti a favore dei collaboratori coordinati o continuativi
della provincia. La finalita' della norma pare quella di agevolare la
trasformazione dei lavoratori parasubordinati (non necessariamente di
quelli  che  lo  sono  nel  momento  della  selezione,  essendo  solo
necessario il requisito di un un anno di lavoro al 29 settembre 2006)
in  lavoratori  subordinati.  Non  vi  e'  invece  una  finalita'  di
stabilizzazione,  dato  che  la  norma  si  applica alle procedure di
assunzione di personale a tempo determinato.
    La  materia  cosi'  incisa  dal  comma 560 e', naturalmente, gia'
disciplinata  nella  Provincia  di  Trento:  dapprima  con  la  legge
n. 7/1997  (Revisione  dell'ordinamento del personale della Provincia
autonoma  di  Trento) poi, di recente, con la legge 14 novembre 2006,
n. 10,  Procedure  di  assunzione  di  personale  presso la Provincia
autonoma di Trento e i relativi enti funzionali.
    Con  tutta  evidenza,  il  comma  560  interviene, con le proprie
regole    dettagliate   direttamente   applicabili,   nella   materia
dell'"ordinamento  degli  uffici  provinciali e del personale ad essi
addetto",  rientrante  nella  competenza  legislativa  primaria della
provincia  ex  art.  8,  n. 1,  d.P.R. n. 670/1972 e nella competenza
piena  delle  regioni  ordinarie  ex  art.  117,  quarto comma, della
Costituzione.
    L'art.  117,  quarto comma, risulta applicabile alla Provincia di
Trento  ex  art.  10,  legge  cost.  n. 3/2001, avendo la "Corte gia'
chiarito  che  il riconoscimento della competenza legislativa di tipo
residuale,  di  cui al quarto comma dell'art. 117 della Costituzione,
rappresenta,  ex  art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3   ...,  una  "forma  di  autonomia  piu'  ampia"  rispetto  alla
competenza  legislativa  esclusiva  attribuita dalle norme statutarie
(cfr. sentenza n. 274 del 2003)" (cosi' la sent. n. 397/2006, punto 3
del Diritto).
    In particolare, la Corte ha stabilito, in diverse sentenze, che -
se  la  materia di competenza provinciale piena ricade nell'art. 117,
quarto   comma,   della   Costituzione   -   non   operano  i  limiti
dell'interesse  nazionale  e  delle  norme fondamentali delle riforme
economico-sociali (v. sentt. nn. 328/2006, 308/2006 e 274/2003).
    Peraltro,  il  comma  560 risulterebbe lesivo anche applicando le
regole  ed  i  limiti  di  cui  all'art.  8  Statuto, e persino nella
prospettiva di una competenza concorrente.
    Esso, infatti, detta regole alle quali non potrebbe in alcun caso
essere  riconosciuto il rango di principi fondamentali (meno che mai,
ovviamente, di principi di riforma economico-sociale) entrando invece
in  scelte  specifiche  e  concrete  circa  la quota da eventualmente
riservare,  nella gestione di nuove assunzioni a tempo determinato, a
personale  che  abbia  gia' avuto occasioni di lavoro non subordinato
con la Provincia.
    Esse  impongono  una riserva di posti a favore di certi soggetti,
precisando  addirittura  l'entita'  minima della quota riservata ed i
requisiti   dei  collaboratori  coordinati  e  continuativi,  sino  a
stabilire, come detto, il giorno esatto entro il quale debbono essere
maturati!
    Si  tratta  dunque  di  norme di mero dettaglio nella materia del
reclutamento   del   personale   provinciale,   gia'   solo   percio'
radicalmente   illegittime  in  qualunque  prospettiva  esse  vengano
considerate:  sia in quella della competenza residuale, sia in quella
della  competenza primaria, sia in quella di una eventuale competenza
concorrente.
    Inoltre,  trattandosi  che non richiedono alcuna specificazione e
dunque  direttamente  applicabili,  risulta  violato  anche l'art. 2,
d.lgs.   n. 266/1992,   che   -  come  noto  -  preclude  la  diretta
applicabilita'  delle  leggi  statali  nelle  materie  di  competenza
provinciale:  con  palese  illegittimita'  costituzionale anche sotto
questo profilo.
    2. - Illegittimita' costituzionale dei commi 588, 589 e 590.
    Anche i commi 588, 589 e 590, oggetto della presente impugnazione
nei  termini  che subito saranno esposti, non menziona esplicitamente
le  autonomie  speciali  o  la  Provincia  di  Trento. Tuttavia, essa
ritiene  di  essere  inclusa nell'ambito di applicazione della norma,
stante il riferimento in pratica a tutte le amministrazioni pubbliche
territoriali.
    Il comma 587 - che non forma oggetto di impugnazione - stabilisce
che  "entro il 30 aprile di ciascun anno le amministrazioni pubbliche
statali,  regionali  e  locali  sono  tenute  a  comunicare,  in  via
telematica  o  su  apposito supporto magnetico, al dipartimento della
funzione  pubblica  l'elenco  dei consorzi di cui fanno parte e delle
societa'   a   totale   o  parziale  partecipazione  da  parte  delle
amministrazioni  medesime,  indicando  la  ragione sociale, la misura
della  partecipazione,  la durata dell'impegno, l'onere complessivo a
qualsiasi     titolo     gravante    per    l'anno    sui    bilancio
dell'amministrazione,      il      numero      dei     rappresentanti
dell'amministrazione   negli   organi   di  governo,  il  trattamento
economico complessivo a ciascuno di essi spettante".
    Come  detto, non viene in contestazione tale obbligo informativo.
Si  contesta invece la legittimita' costituzionale delle disposizioni
sanzionatorie   previste   per  il  caso  di  "mancata  o  incompleta
comunicazione  dei  dati  di  cui  al  comma  587  "o per il caso di"
inosservanza dello disposizioni di cui ai commi 587 e 588".
    Precisamente,  per  il caso di mancata o incompleta comunicazione
dei  dati  il  comma  588 vieta "l'erogazione di somme a qualsivoglia
titolo   da  parte  dell'amministrazione  interessata  a  favore  del
consorzio  o  della  societa',  o  a favore dei propri rappresentanti
negli organi di governo degli stessi".
    Per  il  caso di "inosservanza delle disposizioni di cui ai commi
587 e 588" il comma 589 dispone poi che "una cifra pari alle spese da
ciascuna amministrazione sostenuta nell'anno viene detratta dai fondi
a  qualsiasi  titolo  trasferiti a quella amministrazione dallo Stato
nel medesimo anno".
    Infine,  il  comma  590  statuisce che "le disposizioni di cui ai
commi   587,  588  e  589  costituiscono  per  le  regioni  principio
fondamentale  di  coordinamento  della  finanza  pubblica, ai fini ei
rispetto  dei  parametri stabiliti dal patto di stabilita' e crescita
dell'Unione europea".
    Dunque,  se  una  regione  non  comunicasse,  o  comunica in modo
incompleto,  al dipartimento della funzione pubblica i dati di cui al
comma  587,  essa non potrebbe erogare somme a favore del consorzio o
della  societa', o a favore dei propri rappresentanti negli organi di
governo  degli  stessi;  e  se dovesse disattende questo divieto, una
cifra  corrispondente alle somme erogate verrebbe "detratta dai fondi
a  qualsiasi  titolo  trasferiti a quella amministrazione dallo Stato
nel medesimo anno".
    Come  detto, la provincia non contesta il dovere di comunicazione
di  cui  al comma 587, essendo i doveri di questo tipo rispondenti al
principio   di   leale   collaborazione.  Essa,  pero',  contesta  la
legittimita'  costituzionale  delle disposizioni di cui ai commi 588,
589 e 590.
    La  prima  di  tali  disposizioni  incide  inammissibilmente  sia
nell'organizzazione  interna  della provincia (quale si esprime anche
attraverso  i consorzi e le societa' partecipate dalla provincia) che
nell'autonomia finanziaria della provincia e degli enti locali.
    L'organizzazione provinciale rientra nella competenza legislativa
primaria  della  provincia  (art. 8, n. 1, dello Statuto), competenza
soggetta  solo  ai  limiti  di  cui  all'art. 117, primo comma, della
Costituzione  dato che la materie ricade nell'art. 117, quarto comma,
della  Costituzione,  applicabile  alle  regioni  speciali  in virtu'
dell'art. 10, legge costituzionale n. 3/2001 (su cio' v. anche quanto
esposto  nel punto 1). La finanza locale spetta, poi, alla competenza
provinciale  concorrente,  in  virtu'  dell'art, 80 dello Statuto. Il
comma  588,  dunque,  viola  i  parametri  appena  indicati  e  anche
l'art. 2,  d.lgs.  n. 266/1992,  in  quanto  esso  pretende  di avere
immediata  applicazione  nel territorio provinciale in una materia di
competenza  provinciale.  La  disposizione  del comma 588 preclude la
corretta  applicazione  delle leggi provinciali che disciplinano tali
materie  ed  interviene  a  disciplinare, in sostituzione della legge
provinciale,  i  rapporti  tra  la  provincia stessa e tali societa',
mediante norme di dettaglio e per giunta direttamente applicabili.
    Ne'  varrebbe replicare che il comma 588 rappresenta - secondo il
comma  590 - un principio di coordinamento della finanza pubblica. La
giurisprudenza   costituzionale   ha   piu'  volte  chiarito  che  le
"autoqualificazioni" operate dal legislatore (come nel caso del comma
590) non sono vincolanti: "la qualificazione di una legge o di alcune
sue   disposizioni  come  principi  fondamentali  della  legislazione
statale  o  come  norme fondamentali di riforma economico-sociale non
puo'  discendere soltanto da apodittiche affermazioni del legislatore
stesso,  ma deve avere ma puntuale rispondenza nella natura effettiva
delle  disposizioni  interessate,  quale si desume dal loro contenuto
normativo,  dal  loro  oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza
nei  confronti di altre norme dell'ordinamento o dei rapporti sociali
disciplinati"  (cosi'  la  sent.  n. 85/1991) punto 3 del Diritto; v.
anche  le sentt. nn. 219 del 1984, 192 del 1987 e 1002 del 1988). Del
resto,  ove  fossero  vincolanti,  sarebbero  esse stesse illegittime
quando non corrispondenti alla sostanza della normativa.
    Del  resto,  considerato  come  inerente  al  coordinamento della
finanza  pubblica,  il  comma 588 risulta comunque costituzionalmente
illegittimo.  Infatti,  il suo contenuto e' un contenuto puntuale, in
quanto va a vietate uno specifico tipo di spesa provinciale.
    La  norma  de qua, dunque, rappresenta proprio uno di quei limiti
puntuali  alle  spese  regionali  che codesta Corte costituzionale ha
piu'  volte  dichiarato  illegittimi,  in  quanto eccedenti il potere
statale  di  coordinamento  della  finanza pubblica. Basti ricordare,
qui, la sent. n. 4l7 del 2005: "le norme che fissano vincoli puntuali
relativi  a  singole  voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli
enti  locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento
della   finanza  pubblica,  ai  sensi  dell'art.  117,  terzo  comma,
Costituzione,  e  ledono  pertanto  l'autonomia  finanziaria di spesa
garantita    dall'art. 119    della   Costituzione".   Secondo   tale
giurisprudenza,  "il  legislatore statale puo' legittimamente imporre
agli  enti  autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorche' si
traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di
spesa  degli  enti),  ma  solo,  con  "disciplina di principio", "per
ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali,
condizionati  anche  dagli  obblighi  comunitari";  e  perche' "detti
vincoli  possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni
e  degli  enti  locali  debbono  avere  ad  oggetto  o  l'entita' del
disavanzo  di  parte corrente oppure - ma solo "in via transitoria ed
in  vista  degli  specifici  obiettivi  di riequilibrio della finanza
pubblica  perseguiti  dal  legislatore  statale"  - la crescita della
spesa  corrente  degli  enti  autonomi;  in  altri  termini, la legge
statale  puo'  stabilire solo un "limite complessivo, che lascia agli
enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi
ambiti e obiettivi di spesa (cosi' la sentenza n. 36 del 2004)".
    Dunque,   se   il   coordinamento   della  finanza  pubblica  non
rappresenta  un  idoneo  titolo giustificativo del comma 588, risulta
confermato  che  esso  viola  -  oltre  all'autonomia organizzativa -
l'autonomia  finanziaria  della  provincia  e  le  sue  competenze in
materia  di  finanza  locale,  quali  risultano  dal  Titolo VI dello
Statuto  e  dal  d.lgs.  n. 268/1992  e,  nella  misura  in cui siano
considerati  piu'  favorevoli, dagli artt. 117, comma 3 (in relazione
al  coordinamento  della  finanza  pubblica),  e  119,  primo  comma,
Costituzione, la' dove garantisce autonomia di spesa.
    Puo' essere anche utile ricordare che, in base all'art. 17, comma
3,  d.lgs. n. 268/1992, "le province disciplinano con legge i criteri
per  assicurare  un  equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi
compresi  i  limiti  all'assunzione  di  personale,  le modalita' del
ricorso  all'indebitamento,  nonche'  le  procedure  per  l'attivita'
contrattuale":  ne  risulta  confermato  che  non  spetta  allo Stato
dettare norme di dettaglio limitatrici delle spese degli enti locali.
    Per   le   medesime  ragioni,  il  comma  588  viola  l'autonomia
finanziaria  degli  enti  locali  e  codesta Corte ha riconosciuto la
legittimazione  delle  regioni  ad  agire a difesa di tale autonomia.
Infatti,  sempre  la sent. n. 417/2005 ha "rilevato che le ricorrenti
sono  legittimate  a denunciare la legge statale per la violazione di
competenze   degli  enti  locali";  la  Corte  "ha  infatti  ritenuto
sussistente  in  via  generale  una  tale legittimazione in capo alle
regioni,  perche'  "la stretta connessione, in particolare in tema di
finanza  regionale  e  locale, tra le attribuzioni regionali e quelle
delle  autonomie  locali  consente  di  ritenere che la lesione delle
competenze   locali  sia  potenzialmente  idonea  a  determinare  una
vulnerazione delle competenze regionali" (sentenza n. 196 del 2004)".
    Oltre  alla  violazione  diretta  dell'autonomia  organizzativa e
finanziaria  della  provincia  e  degli  entilocali, nei temini sopra
esposti, la norma posta dal comma 588 risulta illegittima anche sotto
un  altro  profilo.  Essa infatti persegue lo scopo del coordinamento
della  finanza  pubblica  con  una misura sviata, irragionevole e non
proporzionata,  in  quanto  il divieto di spesa e' collegato non alla
situazione  finanziaria  dell'ente,  ma  alla  incompletezza  o  alla
mancanza della comunicazione di taluni dati informativi.
    La  norma  sostanziale,  infatti,  non  limita  affatto  le spese
regionali  e locali a favore dei consorzi e delle societa' pubbliche,
ma  solo  richiede  la  comunicazione  di dati ritenuti rilevanti dal
punto  di'  vista  finanziario.  E'  chiaro,  dunque,  che  non vi un
obbiettivo  di  limitazione, e che, in particolare, la limitazione di
tali  spese  non  o'  necessaria  ai "fini del rispetto dei parametri
stabiliti  dal  patto  di  stabilita' e crescita dell'Unione europea"
(secondo l'espressione del comma 590).
    In  caso  di  incompletezza della comunicazione, pero', scatta il
divieto  di  erogare somme ai consorzi e alle societa' partecipate, a
prescindere   dalla   ragione   dell'omissione   e  dalla  situazione
finanziaria dell'ente. Pare chiara l'irragionevolezza di tale vincolo
in  relazione  alla  finalita'  di  limitare  la  spesa  pubblica, il
carattere    non   proporzionato   che   tale   "sanzione"   rispetto
all'omissione  in  cui  sia  incorso  l'ente  e la non pertinenza del
divieto  rispetto  al  fine "del rispetto dei parametri stabiliti dal
patto  di  stabilita'  e  crescita  dell'Unione europea", dato che il
divieto  scatta  in  relazione  ad  una  condotta  che  non evidenzia
necessariamente, e neppure in modo peculiare, situazioni di eccessiva
esposizione finanziaria.
    La  provincia legittimata a far valere anche le lesioni indirette
della  propria sfera di competenza, cioe' le lesioni che si producono
attraverso  la  violazione  di  parametri  di per se non attinenti al
riparto  delle  competenze,  in  quanto  anche  la violazione di tali
parametri si traduce in una compressione della propria autonomia.
    E'  ben  nota  la  giurisprudenza  di  codesta  Corte che ammette
l'invocazione  di  parametri di questo tipo, qualora la violazione di
essi  si  traduca  in  lesione  delle  competenze  costituzionalmente
garantite.  Si  puo'  ricordare,  da ultimo, la sentenza n. 116/2006,
secondo  la  quale  le  Regioni  "possono far valere il contrasto con
norme  costituzionali  diverse  da  quelle  attributive di competenza
legislativa   soltanto  se  esso  si  risolva  in  una  esclusione  o
limitazione  dei  poteri  regionali".  Si  tratta  di  giurisprudenza
consolidata  e pacifica (si vedano, ad esempio, le seguenti sentenze:
n. 503/2000;   n. 206/2001,   punti   15,   16   e  34,  n. 110/2001;
n. 303/2003,  punto  35; n. 280/2004, punto 5, n. 355/1993, punti 4 e
12;  n. 87/1996;  n. 338/1994, punti 5 e 6; n. 412/2001; n. 302/1988;
n. 6/2004,  punto 3; n. 196/2004, punto 18). E' poi da ricordare che,
in  relazione alla materia della "tutela della concorrenza", la Corte
si  e'  espressamente  riservata  di  sindacare la proporzionalita' e
l'adeguatezza  delle misure statali (v. sentt. n. 175/2005, punto 3.1
del  Diritto,  n. 14/2004  e  n. 272/2004), e tali canoni di giudizio
potrebbero  estendersi  alla  valutazione degli interventi statali in
materia di coordinaniento della finanza pubblica.
    Ora,   come  detto,  il  vincolo  posto  dal  comma  588  risulta
irragionevole, non proporzionato e non pertinente al fine enunciato e
tale  irragionevole condizionamento lede le prerogative provinciali e
degli enti locali, dato che la provincia e gli enti locali si trovano
a  non poter finanziare i propri consorzi e le proprie societa' senza
che cio' sia giustificato da un'esigenza di riequilibno finanziario.
    Il  comma 589 reca una "sanzione" per la violazione dei commi 587
e 588. Ove l'amministrazione territoriale erogasse ugualmente somme a
favore  del  consorzio  o  della  societa',  o  a  favore  dei propri
rappresentanti  negli  organi  di  governo  degli  stessi, tali somme
verrebbero   "recuperati"   dallo  Stato  detraendole  "dai  fondi  a
qualsiasi  titolo trasferiti a quella amministrazione dallo Stato nel
medesimo anno".
    L'illegittimita'  di  tale  disposizione deriva in primo luogo da
quanto  fin  qui  esposto:  essendo costituzionalmente illegittimo il
divieto, non puo' che risultare altrettanto illegittimo il meccanismo
sanzionatorio predisposto per farlo valere.
    In  secondo  luogo, tale meccanismo illegittimo anche considerato
in se stesso, ed anche ove fosse legittimo il divieto posto dal comma
588.
    Si tratta infatti di un meccanismo privo di una specifica ragione
finanziaria  - non essendovi alcuna violazione delle regole del patto
di  stabilita'  o  di  altra regola relativa alle spese - e del tutto
estraneo  al  sistema  dei  rapporti  finanziari  tra  lo  Stato e al
provincia  autonoma,  quali  difiniti  dallo statuto e dalle norme di
attuazione.
    Non  vi  e'  alcun fondamento costituzionale per la previsione di
una  "trattenuta"  erariale  sulle  somme  che  a  termini di statuto
spettano alla provincia autonoma.
    Non  tocca  certo  alla Provincia autonoma di Trento esaminare in
quale  modo possa essere legittimamente assicurata l'effettivita' del
dovere informativo posto dal comma 587. Di sicuro, tuttavia, esistono
molti  modi  possibili:  ma  quelli previsti dai commi 588 e 589 sono
invece, per le ragioni indicate, costituzionalmente illegittimi.
    Quanto  al comma 590, l'illegittimita' dell'autoqualificazione da
esso  operata deriva dal fatto che, per le ragioni sopra enunciate, i
commi   588  e  589  non  "costituiscono  per  le  regioni  principio
fondamentale  di  coordinamento  della  finanza pubblica, ai fini del
rispetto  dei  parametri stabiliti dal patto di stabilita' e crescita
dell'Unione europea".
    3. - Illegittimita' costituzionale del comma 121.
    Il  comma  1221,  oggetto  della  presente impugnazione, fa parte
della  normativa  recata  a  partire  dal  comma  1213, relativa alla
prevenzione  ed alle conseguenze delle procedure di infrazione di cui
agli  artt.  226  e  seguenti del Trattato istitutivo della Comunita'
europea.  Tali  ulteriori norme del sistema non costituiscono oggetto
di impugnazione, ma devono comunque essere illustrate per poi passare
alle ragioni di impugnazione del comma 1221.
    Ribadito  al  comma  1213  il  dovere  di ogni amministrazione di
rimediare   ad  eventuali  violazioni  di  obblighi  derivanti  dalla
normativa  comunitaria,  ed  in particolare di dare pronta esecuzione
alle  sentenze  della  Corte di giustizia, il comma 1214 assegna allo
Stato  il  compito  di  esercitare  i  poteri  sostitutivi necessari,
secondo il diritto gia' vigente.
    I  commi  da  1215  a  1217  prevedono  il diritto dello Stato di
rivalersi  nei confronti delle amministrazioni che abbiano causato la
violazione  di  cui lo Stato o' stato chiamato a rispondere sul piano
comunitario.
    Il  comma  1215 prevede la rivalsa "nei confronti dei soggetti di
cui   al   comma   1213  indicati  dalla  Commissione  europea  nelle
regolazioni  finanziarie  operate a carico dell'Italia a valere sulle
risorse  del  Fondo  europeo  agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo
europeo  agricolo  per lo sviluppo rurale (FEASR) e degli altri Fondi
aventi  finalita' strutturali"; il comma 1216 prevede la rivalsa "sui
soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma
1213 degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese
dalla  Corte  di  giustizia"; il comma 1217 prevede la rivalsa "sulle
regioni,  le  Province  autonome  di  Trento  e  di Bolzano, gli enti
territoriali,  gli  altri  enti  pubblici  e i soggetti equiparati, i
quali  si  siano  resi  responsabili di violazioni delle disposizioni
della  Convenzione  per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali ..., degli oneri finanziari sostenuti per dare
esecuzione  alle  sentenze  di  condanna rese dalla Corte europea dei
diritti  dell'uomo  nei  confronti  dello  Stato in conseguenza delle
suddette violazioni".
    Il  comrna  1218 disciplina le modalita' di esercizio del diritto
di rivalsa, distinguendo:
        a)  gli  enti  territoriali, per i quali prevista la speciale
procedura di cui subito si dira';
        b) gli altri enti assoggettati al sistema di tesoreria unica,
per  i  quali e' previsto il "prelevamento diretto sulle contabilita'
speciali  obbligatorie  istituite  presso  le  sezioni  di  tesoreria
provinciale dello Stato";
        c)  i  soggetti  non  rientranti nelle lettere a) e b), per i
quali sono previste le "vie ordinarie" (cioe' il ricorso alle normali
vie della giurisdizione).
    Il  comma  1219  dispone che "la misura degli importi dovuti allo
Stato   a   titolo   di   rivalsa"   (in  ogni  modo  "non  superiore
complessivamente  agli  oneri finanziari di cui ai commi 1215, 1216 e
1217")  sia stabilita "con decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze",  il quale costituisce "titolo esecutivo nei confronti degli
obbligati  e  reca  la  determinazione dell'entita' del credito dello
Stato   nonche'   l'indicazione  delle  modalita'  e  i  termini  del
pagamento".
    Il   comma   1220  disciplina  in  modo  speciale  l'ipotesi  che
"l'obbligato  sia  un  ente  territoriale".  In questo caso i decreti
ministeriali  di cui al comma 1219, "sono emanati previa intesa sulle
modalita' di recupero con gli enti obbligati". L'intesa ha ad oggetto
"la   determinazione   dell'entita'   del   credito   dello  Stato  e
l'indicazione  delle  modalita'  e  dei  termini del pagamento". Tale
intesa e' da raggiungere entro un termine di quattro mesi.
    La  Provincia  di  Trento  non  impugna alcuna delle disposizioni
sopra   descritte,   in   considerazione  della  circostanza  che  la
previsione  dell'intesa  sia  sulla  entita'  (e  quindi sulla stessa
esistenza)  del  credito  statale,  sia  sulle modalita' e termini di
pagamento   fa  si  che  la  procedura  introdotta,  pur  decisamente
speciale, non sia lesiva delle prerogative della Provincia.
    La  Provincia  contesta invece la legittimita' costituzionale del
successivo   comma   1221,  che  disciplina  l'ipotesi  del  "mancato
raggiungimento dell'intesa".
    In   questo   caso,  "all'adozione  del  provvedimento  esecutivo
indicato  nel  comma  1220  provvede  il Presidente del Consiglio dei
Ministri,   nei   successivi  quattro  mesi,  sentita  la  Conferenza
unificata  di  cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281".
    Sembra   evidente,  infatti,  che  tale  previsione  vanifica  la
garanzia costituita dalla previsione dell'intesa, essendo sufficiente
il  decorso di quattro mesi per attivare la competenza unilaterale di
un organo statale.
    Il   mancato  raggiungimento  dell'intesa  costituisce  il  segno
evidente della mancanza di accordo o circa lo stesso sussistere della
responsabilita'  dell'ente territoriale (ed in ipotesi, dunque, della
Provincia  di  Trento), o circa la dimensione della responsabilita' o
sulle modalita' di pagamento.
    Ora,   sembra  evidente  che,  in  mancanza  ditale  accordo,  la
responsabilita'  dell'ente territoriale non puo' essere decisa con un
atto   unilaterale   dell'asserito  creditore,  ovvero  dello  Stato.
Infatti,  al  Presidente  del  Consiglio  dei ministri non puo' certo
essere   assegnato  il  carattere  di  un  organo  terzo,  cui  possa
presumersi  di  assegnare  il  ruolo  di  soluzione  imparziale di un
contrasto relativo a rapporti di debito e credito.
    Ne'  attenua  la  violazione dei diritti costituzionali dell'ente
territoriale la previsione del parere della Conferenza unificata: sia
per la natura meramente consultiva del ruolo cosi' ad essa assegnato,
sia  perche',  se  pure  il  suo  atto  avesse carattere vincolante e
condizionante, neppure la Conferenza unificata o abilitata a disporre
dei  diritti  del  singolo ente territoriale, ed in particolare della
ricorrente provincia.
    Risulta  qui  violata  in  modo  evidente l'autonomia finanziaria
garantita   dallo   Statuto  speciale  e,  qualora  piu'  favorevole,
dall'art. 119 della Costituzione, in virtu' della quale delle risorse
delle  regioni  e  province  autonome  non  si puo' disporre con atto
amministrativo statale.
    Risulta  ancora  violato  il  principio  di  imparzialita' e buon
andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97, comma primo, della
Costituzione,  che evidentemente vieta di affidare la soluzione della
controversia tra amministrazioni ad una delle due configgenti.
    Risulta  poi  violato, in aggiunta, l'art. 24 della Costituzione,
secondo  il  quale "tutti possono agire in giudizio per la difesa dei
propri  diritti e interessi legittimi". Infatti, la procedura che qui
si  contesta  porterebbe alla creazione di un titolo esecutivo contro
una regione o provincia autonoma formato direttamente, al di fuori di
ogni garanzia giurisdizionale, dall'asserito creditore.
    La violazione del diritto alla difesa consiste gia' nel venire in
essere  del  titolo  esecutivo. Ma va anche notato, ad aggravare tale
violazione,  che ne' il comma 1221 ne' altra disposizione della legge
n. 296  del  2006  prevede,  avverso  il  decreto  del Presidente del
Consiglio,  alcuna  via di sindacato giurisdizionale, lasciando cosi'
pensare  che in assoluto non ne esista alcuna, in violazione altresi'
dell'art.  113  della  Costituzione,  che  non ammette eccezioni alla
tutela  giurisdizionale  avverso gli atti dell'amministrazione (quale
e' ovviamente anche il decreto del Presidente del Consiglio).
    In  ogni  caso,  sarebbe  violato il principio della certezza del
diritto,  sia  per  il  dubbio  recato sull'esistenza di un qualunque
rimedio,  sia  -  ammesso che il rimedio esista, come deve csistere -
per  l'incertezza  su  quale  esso sia, se la via della giurisdizione
ordinaria  (come dovrebbe essere trattandosi alla fine di un giudizio
di    responsabilita'   civile),   o   quella   della   giurisdizione
amministrativa,   trattandosi   di   contestare   un  "provvedimento"
dell'amministrazione.
    Tutte queste violazioni si traducono in lesione delle prerogative
costituzionali della provincia, dato che incidono sulla sua autonomia
finanziaria e sulla possibilita' di difenderla.
    L'evidenza  di  tutte  tali  violazioni,  che  rendono  la  norma
costituzionalmente  illegittima  e  lesiva  delle  prerogative  e dei
diritti  costituzionali  della ricorrente provincia, fa si' che possa
aggiungersi   solo   in  subordine  e  per  puro  scrupolo  difensivo
l'ulteriore  censura  della  assegnazione  della  competenza  statale
decisoria  all'organo  monocratico  "Presidente"  anziche' all'organo
collegiale "Governo".
    La  competenza  governativa, infatti, non avrebbe mutato in nulla
la  fondatezza  di  tutte  le  censure sopra esposte, ne' alterato la
gravita' delle violazioni lamentate. Tuttavia, la sede collegiale del
Governo e' sempre stata considerata - nell'ambito dell'organizzazione
amministrativa - quella che maggiormente puo' equilibrare le esigenze
contrapposte.  Ed  in tale sede lo Statuto di autonomia assicura alla
provincia  autonoma  di  far  sentire  la propria voce, attraverso la
partecipazione  -  sia  pure  senza  diritto  di  voto  - del proprio
Presidente  (art. 52, comma 4, Statuto): per cui, in via subordinata,
si deduce anche la violazione di questa disposizione.
    4. - Illegittimita' del comma 1226.
    Il  comma  1226  stabilisce  che, "al fine di prevenire ulteriori
procedure  di infrazione, le regioni e le Province autonome di Trento
e  di Bolzano devono provvedere agli adempimenti previsti dagli artt.
4  e  6  del  regolamento  di  cui  al  decreto  del Presidente della
Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, o al
loro  completamento,  entro  tre mesi dalla data di entrata in vigore
della  presente legge, sulla base di criteri minimi uniformi definiti
con  apposito  decreto  del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio  e  del mare". Il d.P.R. n. 357/1997 cosi' richiamato reca
il  regolamento  attuativo  della  direttiva 92/43/CEE, relativa alla
conservazione degli babitat naturali.
    L'art. 4,  comma  2, di esso dispone che le regioni adottino "per
le  zone  speciali  di  conservazione ..., le misure di conservazione
necessarie",  mentre  l'art.  6,  comma  2, prevede che "gli obblighi
derivanti  dagli  artt.  4  e  5  si  applicano  anche  alle  zone di
protezione  speciale" di cui alla direttiva 79/409/CEE, in materia di
uccelli  selvatici.  La  provincia  ha dato attuazione alla normativa
comunitaria  (direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE) con legge provinciale
15  ottobre  2004,  n. 10  (artt.  9  e  10), recentemente modificata
dall'art.  55  della  legge provinciale 29 dicembre 2006, n. 1, ed ha
adottato   le  misure  di  salvaguardia  per  i  Siti  di  Importanza
comunitaria e le misure prima di salvaguardia ed ora di conservazione
per   le   Zone   di  Protezione  Speciale  individuate  nel  proprio
territorio,  rispettivamente  con  deliberazione n. 655 dell'8 aprile
2005 (SIC) e con deliberazioni n. 2956 del 30 dicembre 2005 e n. 2279
del 27 ottobre 2006 (ZPS).
    Il  comma  1226,  pero',  si  rivolge  espressamente  anche  alla
Provincia  di Trento, imponendo di provvedere agli adempimenti di cui
agli  artt.  4  e  6  d.P.R. n. 357/1997 sulla base di criteri minimi
uniformi  definiti  con apposito decreto ministeriale. Cosi' facendo,
tuttavia,  esso risulta lesivo delle prerogative costituzionali della
provincia sotto diversi profili.
    Innanzi  tutto,  e'  opportuno premettere che la competenza della
provincia  nella materia dell'ambiente e' pacifica, in quanto risulta
da  diverse  norme statutarie (art. 8, nn. 3, 5, 6, 7, 8, 11, 13, 14,
15,  16, 17, 20 e 21; art. 9, nn. 9 e 10, e art. 16 dello Statuto) ed
e'  stata  confermata  piu' volte dalla Corte costituzionale. Occorre
poi  ricordare  che,  proprio  in  relazione  al  d.P.R. n. 357/1997,
codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  ha avuto occasione di fissare
alcuni  principi  che  regolano i poteri dello Stato e delle province
autonome  in  relazione  all'attuazione  delle direttive comunitarie.
Nella  sent. n. 425/1999, essa ha precisato che, se le province hanno
attuato   con  legge  la  direttiva,  si  applica  l'art.  7,  d.P.R.
n. 526/1987  ("La Regione e le Province di Trento e di Bolzano, nelle
materie  di  competenza  esclusiva, possono dare immediata attuazione
alle  raccomandazioni  e  direttive comunitarie, salvo adeguarsi, nei
limiti  previsti  dallo  statuto  speciale,  alle  leggi  statali  di
attuazione  dei  predetti  atti  comunitari"), in base al quale, come
risulta  dal  testo appena citato, le province sono vincolate solo da
leggi   statali   che   concretano  limiti  statutari,  non  da  atti
sublegislativi.
    Poiche'  la  Provincia,  di  Trento,  come  detto,  ha attuato le
direttive   92/43  e  79/409  sia  in  via  legislativa  sia  in  via
amministrativa,  lo Stato non puo' imporre ad essa di provvedere agli
adempimenti  previsti da un regolamento statale e, per di piu', sulla
base  di  criteri  fissati con decreto ministeriale. Dunque, il comma
1226  viola  sia  le  norme  -  sopra  citate - che garantiscono alla
provincia  competenza in materia di tutela dell'ambiente sia l'art. 7
d.P.R. n. 526/1987, in quanto si sovrappone ad un'attivita' attuativa
di direttive comunitarie gia' compiuta dalla provincia.
    Inoltre  esso,  imponendo  alla provincia determinati adempimenti
con  norme  direttamente  applicabili,  viola  anche l'art. 2, d.lgs.
n. 266/1992.
    In  particolare, poi, risulta lesiva la previsione che il decreto
ministeriale abbia competenza di fissare i "criteri minimi uniformi".
Infatti,  se  -  in presenza di attuazione legislativa da parte della
provincia  -  questa non puo' essere soggetta ad atti sublegislativi,
neppure  a  regolamenti  governativi  (cosi',  chiaramente,  la sent.
n. 425/1999), un decreto ministeriale non potrebbe comunque vincolare
l'attuazione  delle  direttive  da parte della provincia, perche', in
assenza  di  legge  provinciale,  l'attuazione  sublegislativa  delle
direttive deve avvenire con regolamento governativo, nel rispetto del
principio  di  legalita'  sostanziale  e  con il coinvolgimento delle
regioni (v. sent. n. 425/1999 e art. 111. n. 11/2005).
    Dunque,  la  previsione del decreto ministeriale viola i principi
che  regolano  i  rapporti  tra Stato e regioni nell'attuazione degli
obblighi  comunitari,  sia  perche'  non  si tratta di un regolamento
governativo  sia  perche' il comma 1226 non delimita in alcun modo la
discrezionalita'   ministeriale   e  non  prevede  la  necessita'  di
un'intesa   con   la  Conferenza  Stato-regioni,  in  violazione  del
principio di leale collaborazione.
    Inoltre,  l'ultima  parte  del  comma 1226 viola l'art. 2, d.lgs.
n. 266/1992,   perche'  il  decreto  ivi  previsti  sarebbe  un  atto
sostanzialmente  normativo  direttamente  applicabile  in tnateria di
competenza   provinciale.  Se,  invece,  il  predetto  decreto  fosse
ritenuto  un  atto di indirizzo e coordinamento, risulterebbe violato
l'art.  3  d.lgs. n. 266/1992 sotto tre distinti profili: perche' non
e'  prevista  la  competenza  del  Governo,  perche' il contenuto del
decreto  e'  tale  che  la  provincia  non sarebbe vincolata "solo al
conseguimento  degli  obiettivi  o  risultati" stabiliti dal decreto,
perche' non e' previsto il parere delle province.
    Infine, se esso fosse considerato un atto amministrativo, sarebbe
violato   l'art.  4,  comma  1,  d.lgs.  n. 266/1992,  in  quanto  si
attribuirebbe  una  funzione  amministrativa  ad un organo statale in
materia di competenza provinciale.
    Naturalmente,  non vi sarebbe lesione ove si potesse intendere la
norma  del comma 1226 nel senso che essa non si applichi alle regioni
che  hanno  gia' attuato le direttive comunitarie. Tuttavia, nulla di
cio'  e'  scritto  nella  disposizione, che cita anzi la Provincia di
Trento,  nonostante  che  essa  abbia gia' provveduto. Inoltre, essa,
parlando  di  "criteri minimi uniformi", lascia pensare che si tratti
degli standard ai quali tutte le regioni si debbano adeguare.
    Infine,  come visto, l'avere attivato una competenza ministeriale
risulterebbe  costituzionalmente  illegittimo  e  lesivo  anche nella
prospettiva  della suppletivita' della disposizione di legge, perche'
-   come  visto  -  in  assenza  di  legge  provinciale  l'attuazione
sublegislativa   delle   direttive   deve  avvenire  con  regolamento
governativo.  In  definitiva,  il  comma  1226,  impone  direttamente
adempimenti alla Provincia di Trento, pur avendo questa compiutamente
disciplinato  la  materia  e  benche'  la Corte costituzionale, nella
sent.  n. 425/1999,  abbia  espressamente  attribuito natura cedevole
alla  normativa  statale  nella  materia  in  questione.  Inoltre, la
provincia  verrebbe vincolata ad un decreto ministeriale, inidoneo ad
intervenire  in  materia,  privo  di  adeguata  base  legislativa  ed
adottato  in  violazione del principio di leale collaborazione (oltre
che contrastante con il d.lgs. n. 266/1992).
    Ne risulta una chiara violazione delle prerogative costituzionali
della Provincia di Trento.

        
      
                              P. Q. M.
    Chiede voglia codesta Corte costituzionale accogliere il ricorso,
diciarando  l'illegittimita'  delle  disposizioni sopra indicate, nei
termini sopra esposti.
        Padova - Trento - Roma, addi' 23 febbraio 2007
          Prof. Avv. Falcon - Avv. Pedrazzoli - Avv. Manzi

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