Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria  il  22  novembre  2011  (della  Regione   Friuli-Venezia Giulia).

 

 

 (GU n. 53 del 21.12.2011)

 

    Ricorso della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  in  persona  del Presidente della Giunta  regionale  pro-tempore  dott.  Renzo  Tondo, autorizzato con deliberazioni della Giunta regionale n. 1980  del  21 ottobre 2011 (doc. 1) e n. ... del 10  novembre  2011  (doc.  2), rappresentata e difesa - come da procura a margine del presente  atto

- dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma presso l'ufficio di rappresentanza della Regione,  in  piazza Colonna, 355,

    Contro  il Presidente del Consiglio dei ministri

    Per   la   dichiarazione   di    illegittimita'    costituzionale dell'articolo  1,  comma  8,  e  dell'art.  2,  commi  3  e  36,  del decreto-legge 13 agosto 2011,  n.  138,  convertito  nella  legge  14 settembre 2011, n. 148, Conversione in legge, con modificazioni,  del decreto-legge 13  agosto  2011,  n.  138,  recante  ulteriori  misure

urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo.  Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  n.  216 del 16 settembre 2011;

    Per violazione:

        degli articoli 116 e 119 della Costituzione;

        degli articoli  48,  49,  63  e  65  dello  Statuto  speciale adottato con legge costituzionale n. 1 del 1963;

        dell'art. 4, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 114/1965 e dell'art. 6, comma 2, d.lgs. n. 8/1997;

        del principio di leale collaborazione,

        per i profili e nei modi di seguito illustrati.

 

                           Fatto e Diritto

 

    Il  presente  ricorso  riguarda   due   distinti   ambiti   delle

disposizioni  di  cui  al  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,

convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148: da un  lato  l'art.

1, comma 8, che ha modificato  una  disposizione  gia'  impugnata  da

questa Regione, dall'altro - se ritenute applicabili alla  Regione  -

le disposizioni dell'art. 2, comma 3, ultimo  periodo,  e  comma  36,

relative alla  riserva  all'erario  statale  delle  maggiori  entrate

derivanti dal decreto stesso.

1) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  8,  d.-l.  n.

138/2011.

    L'art. 20, comma 5, d.-l.  n.  98/2011  aveva  previsto  che  «le

regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province e i

comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, alla realizzazione

degli obiettivi di finanza pubblica, per gli anni 2013  e  successivi

concorrono con le seguenti ulteriori misure in termini di  fabbisogno

e di indebitamento netto: ... b) le regioni a statuto speciale  e  le

province autonome di Trento e Bolzano per 1.000 milioni di  euro  per

l'anno 2013 e per 2.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014».

    L'art. 1, comma 8, d.-l. n. 138/2011 modifica l'art. 20, comma 5,

d.-l. n. 98/2011, nel seguente  modo:  «a)  nell'alinea,  le  parole:

''per gli anni 2013 e successivi'', sono sostituite  dalle  seguenti:

''per gli anni 2012 e  successivi'';  ...  c)  alla  lettera  b),  le

parole: ''per  1.000  milioni  di  euro  per  l'anno  2013  e''  sono

soppresse; nella medesima lettera, le parole: ''a decorrere dall'anno

2014'', sono  sostituite  dalle  seguenti:  ''a  decorrere  dall'anno

2012''».

    Dunque, l'art. 1, comma 8, d.-l. n. 138/2011 peggiora  in  misura

rilevante, per la Regione Friuli-Venezia Giulia, le misure gia' assai

restrittive previste dal d.-l.  n.  98/2011.  Infatti,  non  solo  il

concorso alla  realizzazione  degli  obiettivi  di  finanza  pubblica

previsto dall'art. 20, comma 5, d.-l. n.  98/2011  e'  anticipato  al

2012, ma esso viene applicato sin  dal  2012  nella  misura  di  2000

milioni di euro, che doveva operare a decorrere dal 2014.

    La ricorrente Regione Friuli-Venezia  Giulia  ritiene  che,  allo

stesso modo di quelle previste dal d.-l. n. 98  del  2011,  anche  le

nuove restrizioni introdotte dall'art. 1, comma 8, decreto  legge  n.

138/2011 - nelle parti ad  essa  riferibili  -  ledano  la  autonomia

finanziaria ad essa assicurata dagli artt. 48 Statuto, e  119,  commi

1, 2, e 4, Cost.; ritiene inoltre che le  restrizioni  ledano  l'art.

116, comma 1, Cost., e l'art. 49 Statuto.

    Per meglio inquadrare le questioni di costituzionalita',  occorre

precisare che le misure indicate si  aggiungono  non  solo  a  quelle

previste dal d.-l. n. 78/2010, ma anche a quelle  disposte  dall'art.

1, comma 156, primo periodo, della legge n. 220/2010.

    L'art. 14 del decreto legge n. 78 del  2010  ha  disposto  -  per

quanto riguarda le Regioni speciali  -  che  «ai  fini  della  tutela

dell'unita'  economica  della  Repubblica»  esse   «concorrono   alla

realizzazione degli obiettivi di finanza  pubblica  per  il  triennio

20112013» per 500 milioni di euro per l'anno 2011 e 1.000 milioni  di

euro annui a decorrere dall'anno 2012, «in termini  di  fabbisogno  e

indebitamento  netto»  (comma  1,  lettera  b).  Successivamente,  la

Tabella 1, allegata alla legge 13 dicembre 2010,  n.  220  (legge  di

stabilita' 2011: v. l'art. 1, comma 131) ha precisato che il concorso

alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica consiste nella

riduzione delle spese, e  ha  ripartito  tra  le  autonomie  speciali

l'obiettivo complessivo: la Regione Friuli-Venezia Giulia e' chiamata

a concorrere per 77.216.900 euro nel 2011, e per 154.433.800 euro  in

ciascuno degli anni 2012 e 2013.

    In base all'art. 1, comma 156,  primo  periodo,  della  legge  n.

220/2010, poi, «la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  garantisce

un effetto positivo sull'indebitamento netto,  ulteriore  rispetto  a

quello  previsto  dalla  legislazione  vigente,   ivi   comprese   le

disposizioni introdotte dal decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78,

convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, di

150 milioni di euro nel 2011, di 200 milioni di euro nel 2012, di 250

milioni di euro nel 2013, di 300 milioni di euro  nel  2014,  di  350

milioni di euro nel 2015, di 340 milioni di euro  nel  2016,  di  350

milioni di euro annui dal 2017 al 2030 e di 370 milioni di euro annui

a decorrere dal 2031».

    L'art. 20, comma 4, d.-l. n. 98/2011 ha  stabilizzato  le  misure

temporanee previste dall'art. 14 d.-l. n. 78/2010 ed il  comma  5  ha

previsto «ulteriori misure», sopra esposte.

    Assumendo che la ripartizione tra le Regioni a  statuto  speciale

delle misure introdotte con il d.-l. n. 98/2011, come modificato  dal

d.-l. n. 138/2011, segua gli stessi criteri utilizzati per  le  norme

precedenti di analogo contenuto, per effetto di tale cumulo il peso a

carico della Regione Friuli-Venezia Giulia ammonterebbe a  circa  762

milioni di euro dal 2012.

    La Regione e' consapevole che  la  autonomia  finanziaria  intesa

come disponibilita' di risorse sufficienti ad esercitare  le  proprie

attribuzioni costituzionali, e come effettiva capacita' di spesa,  va

valutata nel complesso, e che «contenimenti» transitori  delle  spese

non sono necessariamente incostituzionali (secondo quanto risulta  ad

esempio, in ordine ai vincoli  derivanti  dal  patto  di  stabilita',

dalla sent. N. 284/2009). Tuttavia, se non si  vuole  privare  l'art.

119 cost. e, per il Friuli-Venezia Giulia, l'art. 48  Statuto,  della

capacita' di  fungere  da  parametri  di  costituzionalita',  occorre

riconoscere che singoli provvedimenti normativi (gli unici  contro  i

quali - ex art. 127 Cost. - la Regione puo' reagire, ed entro termini

tassativi) possano essere sindacati e, se del caso, censurati,  anche

alla luce di altri singoli  provvedimenti,  l'insieme  dei  quali  si

dimostra lesivo dell'autonomia finanziaria regionale.

    Nel caso, la Regione si trova nella condizione di  affermare  che

l'ulteriore   aggravamento   ed   anticipazione   delle   misure   di

contenimento, in una  con  le  riduzioni  della  legge  n.  220/2010,

determinano la incostituzionalita' dell'art. 1, comma 8, del  decreto

legge n. 138/2011, in quanto  impongono  riduzioni  consistenti  alla

spesa, tali da pregiudicare l'assolvimento delle  funzioni  pubbliche

ad essa attribuite, in violazione dell'art. 119 Cost. (v. soprattutto

il principio di corrispondenza tra risorse e funzioni di cui al comma

4: «Le risorse derivanti dalle  fonti  di  cui  ai  commi  precedenti

consentono ai Comuni, alle Province, alle Citta' metropolitane e alle

Regioni  di  finanziare  integralmente  le  funzioni  pubbliche  loro

attribuite») e dell'art. 48 Statuto, la cui portata si precisa  anche

attraverso  la  considerazione  sistematica   di   tutte   le   norme

costituzionali  e  statutarie  rilevanti   ai   fini   dell'autonomia

finanziaria. In questo senso, la lesione di  altri  parametri  -  che

subito si illustra -concorre a dimostrare anche la  violazione  degli

art. 119 Cost. e 48 Statuto.

    Violato e' in primo luogo l'art. 116, comma 1,  Cost.,  il  quale

riconosce alle Regioni speciali forme  e  condizioni  particolari  di

autonomia, che non possono non  riguardare  -  data  la  formulazione

della  disposizione  -  anche  la  autonomia  finanziaria  (sent.  N.

82/2007).

    L'art. 1, comma 8, lede la disposizione in  quanto  riserva  alle

Regioni  speciali  -  e,  per  quanto  interessa  qui,  alla  Regione

Friuli-Venezia Giulia - un trattamento deteriore  rispetto  a  quanto

vale per le  Regioni  ordinarie.  L'insieme  di  queste  concorre  al

risanamento per 1.600 milioni di euro  a  decorrere  dall'anno  2012,

mentre le sole Regioni a statuto speciale e le Province  autonome  di

Trento e Bolzano concorrono per 2.000 milioni  di  euro  a  decorrere

dall'anno 2012.

    L'irragionevolezza  del   trattamento   deteriore   si   apprezza

considerando che  queste  differenziazioni  operano  in  un  contesto

normativo stabile, quanto alle funzioni, per  le  Regioni  ordinarie,

mentre   e'   aumentato   il   concorso   specifico   della   Regione

Friuli-Venezia   Giulia   al   conseguimento   degli   obiettivi   di

perequazione e di  solidarieta'  e  all'assolvimento  degli  obblighi

derivanti dall'ordinamento europeo e dal patto di stabilita' interno.

Si rammenta qui il comma 152 dell'art. 1 della  legge  di  stabilita'

per il 2011 (legge  n.  220/2010),  secondo  cui  «nel  rispetto  dei

principi indicati nella legge 5  maggio  2009,  n.  42,  a  decorrere

dall'anno   2011,   la   regione   autonoma   Friuli-Venezia   Giulia

contribuisce all'attuazione del federalismo fiscale, nella misura  di

370 milioni di euro annui, mediante: a) il pagamento di una somma  in

favore dello Stato; b) ovvero la rinuncia alle  assegnazioni  statali

derivanti dalle leggi di settore, individuate nell'ambito del  tavolo

di confronto di cui all'art. 27, comma 7, della citata  legge  n.  42

del  2009;  c)  ovvero  l'attribuzione  di  funzioni   amministrative

attualmente esercitate dallo Stato, individuate mediante accordo  tra

il Governo e la regione, con oneri a carico  della  regione.  Con  le

modalita' previste dagli articoli 10  e  65  dello  Statuto  speciale

della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale

31 gennaio 1963, n. 1, lo Stato e la regione definiscono le  funzioni

da attribuire».  Il  trattamento  gravoso  riservato  alle  autonomie

speciali, e  tra  esse  alla  ricorrente  Regione,  non  puo'  essere

giustificato sulla base della considerazione della relativa  maggiore

ampiezza - rispetto alle Regioni ordinarie - delle  risorse  ad  esse

riservate.

    Tale maggiore ampiezza infatti e'  il  frutto  delle  valutazioni

dell'ordinamento  costituzionale  dello  Stato,  e  non  puo'  essere

alterata se non seguendo le  vie  costituzionalmente  prescritte:  le

quali, del resto, esistono, come tra breve verra' illustrato.

    L'art. 49 Statuto garantisce alla Regione  certezza  di  entrate,

finalizzate ad assicurarle la possibilita' di esercizio delle proprie

funzioni.  Ad  avviso  della  ricorrente  Regione   le   disposizioni

censurate ledono - in via indiretta ma sicura - anche tale parametro:

non ha senso logico che vi sia per la Regione garanzia costituzionale

di determinate entrate (una garanzia che  la  ricorrente  Regione  ha

potuto far  valere  con  successo,  ad  esempio,  nella  controversia

definita con la sent. n. 74/2009), se poi fosse consentito allo Stato

di imporre con legge ordinaria massicce riduzioni della  spesa,  alla

quale le entrate garantite sono finalizzate!

    Di  fronte  a   tali   sostanziali   violazioni   dei   parametri

costituzionali, non varrebbe certo obiettare che tutte  le  autonomie

territoriali - Regioni speciali comprese - sono soggette ai  principi

di coordinamento della finanza pubblica,  inevitabilmente  fissati  a

livello nazionale, anche in adempimento di obblighi europei (sent. n.

82/2007); che la attribuzione di quote fisse di tributi erariali puo'

condurre ad un incremento delle risorse  regionali,  in  funzione  di

manovre tributarie statali, senza che vi sia necessita'  -  da  parte

della Regione - di  nuove  risorse  per  nuove  funzioni,  o  per  un

migliore assolvimento di compiti precedenti (ma le entrate potrebbero

anche diminuire, per l'andamento negativo del ciclo  economico  ...);

che lo stesso art. 49 Statuto, nel  momento  in  cui  riconosce  alla

Regione autonomia finanziaria, aggiunge subito che essa si svolge (si

deve  svolgere)  «in  armonia  con  i  principi  della   solidarieta'

nazionale».

    Infatti, la  considerazione  di  tali  valori  deve  essa  stessa

manifestarsi  mediante   strumenti   costituzionalmente   ammissibili

nell'ordinamento.

    Cosi', anzitutto, le stesse  norme  di  attuazione  statutaria  -

radicate direttamente nel principio di solidarieta' nazionale  (sent.

n. 75/1967)  -  consentono  di  eccettuare  dalla  attribuzione  alla

Regione le nuove  entrate  tributarie  statali  il  cui  gettito  sia

destinato

    con apposite leggi alla copertura di oneri diretti  a  soddisfare

particolari  finalita'  contingenti  o  continuative   dello   Stato,

specificate nelle leggi medesime (v. l'art. 4 decreto del  Presidente

della Repubblica  23  gennaio  1965,  n.  114).  Ma  la  legittimita'

costituzionale della riserva e'  subordinata  alla  presenza  di  una

apposita clausola di destinazione, che  vale,  come  si  legge  nella

sent. 61/1987, «a rendere possibile il controllo politico sull'esatto

e  corretto  esercizio  della   deroga»   al   sistema   normale   di

finanziamento:   norma   funzionale,   quindi,   al   principio    di

responsabilita'.

    Le stesse disposizioni  statutarie  sulla  autonomia  finanziaria

(art. 49 compreso) possono sempre essere modificate (come varie volte

e'  gia'  accaduto)  senza  ricorrere  alla   revisione   con   legge

costituzionale, purche' vi sia il coinvolgimento della Regione  (art.

63, comma 5, Statuto).

    In termini generali, poi,  i  rapporti  finanziari  Stato-Regione

sono  ispirati  al  principio   della   determinazione   consensuale.

L'«obbligo generale  di  partecipazione  di  tutte  le  Regioni,  ivi

comprese quelle a statuto speciale, all'azione di  risanamento  della

finanza pubblica» - puntualizza la Corte con la sent. 82/2007 - «deve

essere contemperato e coordinato con la speciale autonomia in materia

finanziaria di cui godono le predette  Regioni,  in  forza  dei  loro

statuti. In tale prospettiva, come questa Corte ha avuto occasione di

affermare, la previsione normativa del  metodo  dell'accordo  tra  le

Regioni a statuto speciale  e  il  Ministero  dell'economia  e  delle

finanze, per la  determinazione  delle  spese  correnti  e  in  conto

capitale,  nonche'  dei   relativi   pagamenti,   deve   considerarsi

un'espressione  della   descritta   autonomia   finanziaria   e   del

contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei  limiti

alla spesa imposti dal cosiddetto ''patto di stabilita'' (sentenza n.

353 del 2004)».

    Questo principio, sul  piano  della  legislazione  ordinaria,  ha

trovato fino ad ora varie concretizzazioni. E' sufficiente richiamare

qui, per la sua portata sistematica, l'art. 27, legge n. 42/2009, che

rimette  alle  norme  di  attuazione  statutaria  la  attuazione  dei

principi del c.d. federalismo fiscale (tra i quali vi e' il  rispetto

del patto di stabilita' e dei vincoli  finanziari  europei),  tenendo

«conto della dimensione della finanza delle [...] regioni e  province

autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva,  delle  funzioni

da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri.».  Le  stesse

misure particolari dei ricordati commi 152 e 156 dell'art. 1 legge n.

220/2010,  specificamente   concernenti   l'apporto   della   Regione

Friuli-Venezia Giulia al risanamento delle  finanze  pubbliche,  sono

state oggetto di confronto e discussione tra Governo e Regione.

    Con il principio costituzionale di collaborazione si  pongono  in

contrasto le disposizioni impugnate.

    Sembra alla Regione opportuno sottolineare che  dall'annullamento

dell'art. 1,  comma  8,  d.-l.  n.  138/2011  non  deriverebbe  alcun

necessario pregiudizio alla «unita' economica della Repubblica»,  ne'

ai  principi  di  solidarieta'  nazionale,  ne'  agli  obiettivi   di

risanamento finanziario. Lo Stato - come  si  e'  appena  indicato  -

continua infatti ad avere tutti gli  strumenti  per  perseguire  tali

obiettivi, nel  rispetto  dell'autonomia  Regionale,  secondo  quanto

sopra esposto.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 3 e 36, d.-l.  n.

138/2011.

    a. Illegittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  3,  ultimo

periodo, e comma 36, primo periodo.

    Come sopra gia' illustrato, il Titolo IV dello  Statuto  speciale

(1egge cost. n. 1/1963) riconosce alla Regione Friuli-Venezia  Giulia

una speciale autonomia finanziaria. In particolare, l'art. 49 dispone

che  «spettano  alla  Regione   le   seguenti   quote   fisse   delle

sottoindicate entrate tributarie  erariali  riscosse  nel  territorio

della Regione stessa: 1) sei  decimi  del  gettito  dell'imposta  sul

reddito delle persone fisiche; 2) quattro decimi e mezzo del  gettito

dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche; 3) sei decimi  del

gettito delle ritenute alla fonte di cui agli artt. 23, 24, 25  e  29

del decreto del Presidente della Repubblcia  29  settembre  1973,  n.

600, ed all'art. 25-bis aggiunto allo stesso decreto  del  Presidente

della Repubblica con l'art. 2, primo comma,  del  d.-l.  30  dicembre

1982, n. 953, come modificato con legge di  conversione  28  febbraio

1983, n. 53; 4)  9,1  decimi  del  gettito  dell'imposta  sul  valore

aggiunto, esclusa  quella  relativa  all'importazione  ...;  5)  nove

decimi del  gettito  dell'imposta  erariale  sull'energia  elettrica,

consumata nella regione; 6) nove decimi del gettito dei canoni per le

concessioni idroelettriche; 7) nove decimi del  gettito  della  quota

fiscale dell'imposta erariale di consumo  relativa  ai  prodotti  dei

monopoli dei tabacchi consumati nella regione; 7-bis)  il  29,75  per

cento del gettito dell'accisa sulle benzine ed il 30,34 per cento del

gettito dell'accisa sul  gasolio  consumati  nella  regione  per  uso

autotrazione».

    L'art. 63 dello Statuto prevede  che,  per  le  modificazioni  di

esso, si applica la procedura  prevista  dalla  Costituzione  per  le

leggi costituzionali. Il quinto comma dell'art. 63, pero',  introduce

una speciale procedura per la modificazione delle  norme  del  Titolo

IV:  «Le  disposizioni  contenute  nel  titolo  IV   possono   essere

modificate con leggi ordinarie, su proposta di ciascun  membro  delle

Camere, del Governo e della Regione, e,  in  ogni  caso,  sentita  la

Regione».

    L'art. 65 St. dispone che «con decreti legislativi,  sentita  una

Commissione paritetica di sei membri, nominati tre dal Governo  della

Repubblica e tre dal Consiglio regionale, saranno stabilite le  norme

di attuazione del presente Statuto e quelle relative al trasferimento

all'Amministrazione  regionale   degli   uffici   statali   che   nel

Friuli-Venezia Giulia adempiono a funzioni attribuite alla Regione».

    Dunque, e' escluso  che  una  fonte  primaria  «ordinaria»  possa

incidere sull'assetto dei rapporti finanziari quali  delineati  nello

Statuto e nelle norme di attuazione.

    L'art. 2 d.-l. n. 138/2011, oggetto della presente  impugnazione,

e'  inserito  nel  Titolo  I,  Disposizioni  per  la  stabilizzazione

finanziaria, e detta Disposizioni in materia di entrate.

    Il comma 3 riguarda le entrate derivanti da giochi pubblici.

    Esso statuisce in primo luogo che «il Ministero  dell'economia  e

delle finanze-Amministrazione autonoma dei monopoli di  Stato.  emana

tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine  di

assicurare maggiori entrate, potendo  tra  l'altro  introdurre  nuovi

giochi,  indire  nuove  lotterie,  anche  ad  estrazione  istantanea,

adottare nuove modalita' di  gioco  del  Lotto,  nonche'  dei  giochi

numerici a totalizzazione  nazionale,  variare  l'assegnazione  della

percentuale della posta di gioco a montepremi  ovvero  a  vincite  in

denaro, la misura del prelievo erariale unico, nonche' la percentuale

del compenso per le attivita' di gestione ovvero per quella dei punti

vendita».

    Esso   stabilisce   inoltre   che    «il    Direttore    generale

dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato puo' proporre  al

Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  di  disporre  con  propri

decreti,  entro  il  30  giugno  2012,   tenuto   anche   conto   dei

provvedimenti di variazione delle tariffe dei prezzi  di  vendita  al

pubblico dei tabacchi lavorati eventualmente  intervenuti,  l'aumento

dell'aliquota di base dell'accisa sui tabacchi

    lavorati prevista  dall'allegato  I  al  decreto  legislativo  26

ottobre 1995, n. 504 e successive modificazioni».

    Infine, esso precisa che  «l'attuazione  delle  disposizioni  del

presente comma assicura maggiori entrate in misura  non  inferiore  a

1.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012» e di  seguito

dispone che «le maggiori entrate derivanti dal  presente  comma  sono

integralmente attribuite allo Stato».

    Dunque, quest'ultima norma riserva integralmente  allo  Stato  le

maggiori  entrate  derivanti  dall'aumento  dell'aliquota   di   base

dell'accisa sui tabacchi lavorati.

    Mentre il comma 3 ha lo specifico oggetto  sopra  illustrato,  il

comma 36 dell'art.  3  si  riferisce  a  tutte  le  maggiori  entrate

derivanti dalle disposizioni del d.lgs. n. 149 del 2011, quali quelle

derivanti dall'art. 1, comma 6, dall'art.  2  (che  -  ad  esempio  -

introduce il contributo di solidarieta' e aumenta l'aliquota  IVA  al

21%) e dall'art. 7.

    In termini generali,  infatti,  esso  dispone  che  «le  maggiori

entrate derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per

un periodo  di  cinque  anni,  per  essere  destinate  alle  esigenze

prioritarie di raggiungimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica

concordati in sede europea,  anche  alla  luce  della  eccezionalita'

della situazione economica internazionale»,  aggiungendo  in  termini

attuativi che «con apposito decreto  del  Ministero  dell'economia  e

delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata

in vigore della legge  di  conversione  del  presente  decreto,  sono

stabilite  le  modalita'  di  individuazione  del  maggior   gettito,

attraverso separata contabilizzazione».

    Ancora, il comma 36 prevede che, «a partire  dall'anno  2014,  il

Documento di economia  e  finanza  conterra'  una  valutazione  delle

maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita'  di

contrasto all'evasione», e di seguito  dispone  che  «dette  maggiori

entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento  del  pareggio

di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno  in  un  Fondo

per la  riduzione  strutturale  della  pressione  fiscale  e  saranno

finalizzate  alla  riduzione  degli  oneri  fiscali  e   contributivi

gravanti sulle famiglie e sulle imprese».

    Anche il comma 36, dunque, riserva allo Stato le maggiori entrate

di natura tributaria risultanti o dalle  nuove  norme  contenute  nel

decreto o dalla lotta all'evasione.

    Peraltro, l'art. 19-bis dello stesso d.-l.  n.  138/2011  dispone

che «l'attuazione  delle  disposizioni  del  presente  decreto  nelle

regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento  e  di

Bolzano avviene nel rispetto dei loro statuti e delle relative  norme

di attuazione e secondo quanto previsto dall'articolo 27 della  legge

5 maggio 2009, n. 42».

    Il comma  1  di  quest'ultima  disposizione  stabilisce  che  «le

regioni a statuto speciale e le province  autonome  di  Trento  e  di

Bolzano,  nel  rispetto  degli  statuti   speciali,   concorrono   al

conseguimento degli obiettivi di perequazione e  di  solidarieta'  ed

all'esercizio dei diritti e doveri  da  essi  derivanti,  nonche'  al

patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli  obblighi  posti

dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e  modalita'  stabiliti

da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da  definire,  con  le

procedure previste  dagli  statuti  medesimi,  entro  il  termine  di

ventiquattro mesi stabilito per l'emanazione dei decreti  legislativi

di cui all'art. 2 e secondo il principio del graduale superamento del

criterio della spesa storica di cui all'art. 2, comma 2, lettera m)».

    Non e' esclusa, dunque, un'interpretazione delle disposizioni  in

questione nel senso che la riserva all'erario non operi per le  somme

relative   alla   regione   Friuli-Venezia    Giulia.    Nel    senso

dell'interpretazione  «adeguatrice»  potrebbe   far   concludere   il

principio di specialita',  confortato  anche  da  quanto  considerato

nella sentenza di codesta Corte n. 152  del  2011,  che  ha  ritenuto

l'applicabilita' anche nella Regione  siciliana  di  norme  simili  a

quelle qui  impugnate,  che  riservavano  all'erario  il  gettito  di

tributi compartecipati dalla Regione Sicilia, «posto che il  d.l.  in

esame non  contiene  alcuna  formula  che  possa  configurarsi  quale

clausola  di  salvaguardia  delle  attribuzioni  delle   Regioni   ad

autonomia speciale»: clausola che invece, come ora esposto, in questo

caso esiste.

    Tuttavia, la drastica formulazione del comma 3  (secondo  cui  le

maggiori entrate derivanti  dal  presente  comma  sono  integralmente

attribuite allo Stato) induce a temere che l'art. 2, commi  3  e  36,

possa essere inteso nel senso della  riserva  allo  Stato  anche  nei

confronti della ricorrente Regione.

    Ove cosi' intese, le norme in questione sarebbero  illegittime  e

lesive delle prerogative della Regione.

    Come sopra esposto, l'art. 2, comma 3, d.-l. n. 138/2011  prevede

«l'aumento dell'aliquota di base dell'accisa  sui  tabacchi  lavorati

prevista dall'allegato I al decreto legislativo 26 ottobre  1995,  n.

504 e successive modificazioni», aggiungendo che «l'attuazione  delle

disposizioni del presente comma assicura maggiori entrate  in  misura

non inferiore a 1.500 milioni di euro  annui  a  decorrere  dall'anno

2012» e che «le maggiori entrate derivanti dal  presente  comma  sono

integralmente attribuite allo Stato».

    Si e' anche ricordato che l'art. 49, n. 7, dello Statuto  riserva

alla  Regione  i  «nove  decimi  del  gettito  della  quota   fiscale

dell'imposta erariale di consumo relativa ai  prodotti  dei  monopoli

dei tabacchi consumati nella regione».

    Risulta dunque illegittima la riserva allo Stato delle entrate in

questione.

    Infatti, come va subito precisato, l'accisa sui tabacchi lavorati

prevista dall'allegato I al decreto legislativo 26 ottobre  1995,  n.

504, coincide con l'imposta sul consumo dei tabacchi di cui  all'art.

75 dello Statuto. Infatti, l'art. 1 d.-l. n. 331/1993 stabilisce  che

i tabacchi lavorati sono sottoposti ad accisa (comma  1)  e  che  per

accisa si intende «l'imposizione indiretta  sulla  produzione  o  sui

consumi prevista, dalle vigenti disposizioni, con la denominazione di

imposta di fabbricazione o di consumo». Gli artt. 27 e  28  d.-l.  n.

331/1993 usano indifferentemente i termine  «accisa»  e  «imposta  di

consumo» e l'intero d.-l. n. 331/1993 prevede due  sole  imposte  sui

tabacchi lavorati: l'Iva e l'accisa. Anche l'art.  1  del  d.lgs.  n.

504/1995 (t.u. sulle accise) precisa che «ai fini del presente  testo

unico si  intende  per:  a)  accisa:  l'imposizione  indiretta  sulla

produzione o sul consumo dei prodotti energetici, dell'alcole etilico

e delle bevande alcoliche,  dell'energia  elettrica  e  dei  tabacchi

lavorati».

    Inoltre,  i  codici  tributo  sui  quali,  in  base  al   decreto

ministeriale 17 ottobre 2008 attuativo del  d.lgs.  n.  137/2007,  si

applica la compartecipazione regionale sono il 2839 e 2842, collegati

al capitolo 1601 del bilancio dello Stato, che e' denominato «IMPOSTA

SUL CONSUMO DEI TABACCHI» (doc. 2); i codici tributo 2839 e 2842 sono

stati appositamente istituiti per raccogliere il gettito spettante  a

questa Regione e sono stati introdotti dalla risoluzione dell'Agenzia

delle  entrate  15  febbraio  2008,  n.  50/E  (doc.  3),  intitolata

Istituzione dei codici tributo per  il  versamento,  tramite  modello

F24-accise, delle accise sui tabacchi lavorati, degli  interessi  per

ritardato pagamento e dell'indennita' di mora di cui al decreto legge

30  agosto  1993,  n.  331,  di  competenza  della  Regione  Autonoma

Friuli-Venezia Giulia, ai sensi dell'art. 49, comma  7,  della  legge

costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1.

    Stabilito cio', risulta chiaramente il contrasto  fra  l'art.  2,

comma 3, ultimo periodo (qualora ritenuto applicabile alla Regione) e

l'art.  49,  n.  7,  dello  Statuto  speciale.  Mentre   quest'ultima

disposizione riserva alla Regione i «nove decimi  del  gettito  della

quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa  ai  prodotti

dei  monopoli  dei  tabacchi  consumati  nella  regione»,  la   norma

impugnata  attribuisce  «integralmente.  allo  Stato»  le   «maggiori

entrate derivanti dal presente comma». E'  da  notare  che  la  norma

impugnata non contiene una delimitazione temporale della riserva  ne'

una destinazione specifica delle risorse, dato che il  suo  carattere

di specialita' induce a ritenere  che  essa  prevalga,  in  relazione

all'accisa sui tabacchi, sulla disciplina «generale» di cui  all'art.

2, comma 36, primo periodo.

    D'altronde anche il comma 36, primo  periodo,  seppur  differente

rispetto al comma 3, ultimo periodo, risulta contrastante con  l'art.

49  dello   Statuto,   che   riserva   alla   Regione   ben   precise

compartecipazioni a determinati tributi erariali. L'art. 36, infatti,

riserva all'Erario, per un  periodo  di  cinque  anni,  «le  maggiori

entrate  derivanti  dal  presente  decreto»,  per  destinarle   «alle

esigenze prioritarie di raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza

pubblica  concordati  in  sede  europea,  anche   alla   luce   della

eccezionalita' della situazione economica internazionale». Si  rinvia

poi ad un decreto del Ministero dell'economia e  delle  finanze,  per

stabilire  «le  modalita'  di  individuazione  del  maggior  gettito,

attraverso separata contabilizzazione».

    Il contrasto si ravvisa, in particolare, in relazione ai  tributi

di seguito illustrati.

    L'art. 2, comma 2, d.-l. n. 138/2011 introduce un  contributo  di

solidarieta',  che  puo'  considerarsi  un'imposta  sul  reddito:  la

riserva di questa maggiore entrata all'erario, dunque, contrasta  con

l'art. 49, n. 1, dello Statuto.

    L'art. 2, comma 2-bis, eleva l'aliquota Iva al 21%: la riserva di

questa maggiore entrata all'erario contrasta con  l'art.  49,  n.  4,

dello Statuto.

    L'art. 2, comma 6,  fissa  nella  misura  del  20  per  cento  le

ritenute e le imposte sostitutive sui redditi da capitale (interessi,

premi e altro provento di cui all'art. 44 del decreto del  Presidente

della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) e sui redditi  diversi  di

cui all'art. 67 comma 1, lettere da c-bis a c-quinquies, del medesimo

decreto (uniformando pertanto l'aliquota da applicarsi in relazione a

tale tipologia di  redditi,  prima  differenziata  in  ragione  delle

caratteristiche dello strumento finanziario impiegato).

    In base al combinato disposto degli articoli 49 dello  Statuto  e

25, comma 6, della legge 28 dicembre 2001,  n.  448  -  come  risulta

dalla tabella B allegata al decreto  del  Ministero  dell'economia  e

delle finanze 17 ottobre 2008 - alla Regione spettano  i  sei  decimi

dell'imposta sostitutiva di cui all'art. 2 del d.lgs. 1º aprile 1996,

n. 239 (imposta sostitutiva sugli interessi, premi ed altri frutti di

talune obbligazioni e titoli similari per i soggetti residenti)  e  i

4,965  decimi  dell'imposta  di  cui  all'art.  18  del  decreto  del

Presidente della Repubblica n. 917/1986 (imposizione sostitutiva  dei

redditi da capitale di  fonte  estera),  sempreche'  le  somme  siano

riscosse nel territorio della  Regione.  Si  precisa  che  l'aliquota

delle imposte di cui agli articoli 2 e 18 citati era stabilita, prima

del descritto intervento normativo, nella misura del 12,5 per cento.

    L'art. 2, commi 36-bis e 36-quater,  reca  norme  in  materia  di

societa' cooperative, disponendo l'incremento della  quota  di  utili

netti annuali destinati alla riserva obbligatoria che sono  sottratti

al regime di esenzione previsto dall'art. 12 della legge 16  dicembre

1977, n. 904, e nel  contempo  escludendo  dal  regime  di  esenzione

anzidetto il 10 per  cento  di  tali  riserve.  La  modifica  risulta

diretta ad un aumento del  gettito  dell'imposta  sul  reddito  delle

societa' applicata alle societa' cooperative.

    Sempre in materia di imposta sul reddito delle  societa',  l'art.

2, comma 36-quinquies, applica una maggiorazione  d'aliquota  pari  a

10,5 punti percentuali a carico delle societa' di  cui  all'art.  30,

comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (cosi' dette  «societa'

di comodo»). Analoga maggiorazione e'  prevista  dall'art.  2,  comma

36-decies, per le societa' che presentano per tre periodi di  imposta

sostitutivi dichiarazioni in perdita fiscale.

    In base all'art. 49, n. 2, dello Statuto, alla  Regione  spettano

quattro decimi e mezzo del gettito  dell'imposta  sul  reddito  delle

societa' riscossa sul proprio territorio.

    Appare dunque chiaro che  l'art.  2,  comma  36,  primo  periodo,

riservando all'erario «le maggiori  entrate  derivanti  dal  presente

decreto. per  un  periodo  di  cinque  anni»,  per  destinarle  «alle

esigenze prioritarie di raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza

pubblica concordati in sede europea», viola le  norme  appena  citate

dell'art. 49, che prevedono precise compartecipazioni ad  alcuni  dei

tributi oggetto del d.-l. n. 138/2011.

    Ne' e' possibile sostenere  che  le  norme  censurate  (comma  3,

ultimo periodo, e comma 36, prima parte) sono giustificate in  virtu'

di altre clausole contenute nelle norme di attuazione. Esse, infatti,

non rispettano affatto  i  requisiti  posti  dall'art.  4,  comma  1,

decreto del Presidente della Repubblica n. 114/1965  per  la  riserva

all'erario del «gettito derivante da maggiorazioni di aliquote  o  da

altre modificazioni in ordine ai tributi devoluti alla regione». Tali

requisiti sono: a) la destinazione per legge «alla copertura di nuove

specifiche spese di carattere non  continuativo,  che  non  rientrano

nelle materie  di  competenza  della  regione,  ivi  comprese  quelle

relative a calamita' naturali»»; b) la  delimitazione  temporale  del

gettito; c) la contabilizzazione distinta nel bilancio statale  e  la

quantificabilita'. L'assenza di  tali  requisiti  e'  chiara  per  il

gettito di cui all'art. 2, comma 3, dato che mancano la  destinazione

a  «nuove  specifiche  spese  di  carattere  non  continuativo»,   la

delimitazione temporale e la contabilita' distinta.

    Inoltre, anche la riserva di cui al comma 36, primo periodo,  non

rispetta le condizioni poste dall'art. 4 decreto del Presidente della

Repubblica n. 114/1965.

    Infatti, la prima parte  del  comma  36  riserva  all'Erario  «le

maggiori entrate derivanti dal presente decreto» (per un  periodo  di

cinque anni, attraverso separata  contabilizzazione)  per  destinarle

«alle esigenze  prioritarie  di  raggiungimento  degli  obiettivi  di

finanza pubblica concordati in sede europea, anche  alla  luce  della

eccezionalita' della situazione economica internazionale».

    Dunque, e' assente il primo requisito sopra indicato,  in  quanto

il comma 36 non destina  le  maggiori  entrate  a  «nuove  specifiche

spese»: e' da ricordare che la sent. n. 182/2010 fece salva la  norma

impugnata  in  quell'occasione   (l'art.   13-bis,   comma   8,   del

decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78) proprio in quanto essa destinava

il gettito dell'imposta «al finanziamento  della  ripresa  economica,

quali: il sostegno alle imprese, anche  attraverso  il  finanziamento

del fondo di garanzia e l'alleggerimento del carico fiscale ...;  gli

interventi sul mercato del lavoro, anche attraverso il  finanziamento

del fondo per l'occupazione ...; il finanziamento degli  investimenti

pubblici,  con  particolare  riguardo  alle  infrastrutture  e   alle

attivita' di ricerca e sviluppo ...; il supporto alle  famiglie,  con

misure di salvaguardia del potere d'acquisto, di tutela  dei  piccoli

risparmiatori,  di   risposta   all'emergenza   abitativa   ...;   il

finanziamento della cooperazione internazionale allo sviluppo ...; il

finanziamento delle opere di ricostruzione dell'Abruzzo». Si  tratta,

come si puo' vedere, di spese e finalita'  ben  diverse  dal  mero  e

generale  «raggiungimento  degli  obiettivi   di   finanza   pubblica

concordati in sede europea».

    Escluso che il comma 36, primo periodo, possa trovare  fondamento

nell'art. 4 decreto dele Presidente della Repubblica n. 114/1965,  e'

anche da escludere che esso possa ricondursi  all'art.  6,  comma  2,

d.lgs. n. 8/1997, in base al quale, «nelle more del completamento del

processo di trasferimento e di delega di funzioni  dallo  Stato  alla

regione, qualora la quota delle spese  relative  all'esercizio  delle

funzioni delegate eventualmente  a  carico  della  regione  ai  sensi

dell'art. 4, comma  2,  lettera  b)  [decreto  del  Presidente  della

Repubblica n. 114/1965], fosse insufficiente al raggiungimento  degli

obiettivi di  risanamento  della  finanza  pubblica,  una  quota  del

previsto incremento del gettito tributario spettante alla  regione  -

ad esclusione in ogni caso degli incrementi derivanti dall'evoluzione

tendenziale ed al netto delle eventuali previsioni  di  riduzioni  di

gettito - derivante dalle  manovre  correttive  di  finanza  pubblica

previste  dalla  legge  finanziaria  e  dai  relativi   provvedimenti

collegati, nonche' dagli altri provvedimenti  legislativi  aventi  le

medesime finalita', non  considerati  ai  fini  della  determinazione

dell'accordo  relativo  all'esercizio  finanziario  precedente,  puo'

essere destinata al raggiungimento degli  obiettivi  di  riequilibrio

della finanza pubblica previsti dai  predetti  provvedimenti,  tenuto

conto altresi' delle  spese  a  carico  della  regione  per  funzioni

trasferite in data successiva al 1° gennaio 1997».

    Ad  avviso  della  ricorrente  Regione  questa   norma   non   e'

applicabile alla disciplina qui contestata, in  quanto  essa  non  ha

portata  generale  ma  opera  in  relazione  allo  specifico  accordo

annuale, tra Governo e Regione, che  determinava  «l'eventuale  quota

che rimane a carico del bilancio  della  regione  -  per  l'esercizio

oggetto dell'accordo - delle  spese  derivanti  dall'esercizio  delle

funzioni statali delegate alla medesima, in  relazione  alle  manovre

correttive di finanza pubblica previste dalla legge finanziaria e dai

relativi provvedimenti collegati, nonche' dagli  altri  provvedimenti

legislativi aventi le medesime finalita', da determinarsi nei  limiti

del  previsto  incremento  del  gettito  tributario  derivante  dalle

manovre  medesime,  ad  esclusione  in  ogni  caso  degli  incrementi

derivanti dall'evoluzione tendenziale ed  al  netto  delle  eventuali

previsioni di riduzione del gettito»  (art.  4,  comma  2,  lett.  b)

decreto del Presidente della Repubblica n. 114/1965).

    In ogni modo, anche qualora la disposizione di  cui  all'art.  6,

comma 2, d.lgs. n. 8/1997 fosse ritenuta applicabile,  il  comma  36,

primo periodo, non vi corrisponderebbe sia per l'unilateralita' della

riserva (essendo chiaro che l'art. 6, comma 2, presuppone  l'accordo:

v. anche l'art. 6, comma 3) sia perche' riserva all'Erario  tutte  le

maggiori entrare e non solo «una quota del  previsto  incremento  del

gettito tributario spettante alla regione».

    Dunque, nella denegata ipotesi dell'applicabilita'  dell'art.  6,

comma 2, d.lgs. n. 8/1997, lo Stato avrebbe pur sempre dovuto cercare

l'accordo con la Regione, non  potendo  unilateralmente  alterare  le

regole sulle compartecipazioni. Il comma 36, dunque,  violerebbe  pur

sempre il principio di leale collaborazione  e,  in  particolare,  il

principio consensuale che domina  le  relazioni  finanziarie  fra  lo

Stato e le Regioni speciali.

    Infatti, tutto il regime dei  rapporti  finanziari  fra  Stato  e

Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo.  Cosi',  ad

es., la sent. n. 82 del  2007  ha  riconosciuto  che  «la  previsione

normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto speciale e

il Ministero dell'economia e delle  finanze,  per  la  determinazione

delle spese correnti  e  in  conto  capitale,  nonche'  dei  relativi

pagamenti,  deve   considerarsi   un'espressione»   della   «speciale

autonomia in materia finanziaria di cui godono le  predette  Regioni,

in forza dei loro statuti» (punto 6 del Diritto); e  nella  sent.  n.

353 del 2004 la Corte ha affermato che il metodo dell'accordo (sempre

per la determinazione delle spese), introdotto  per  la  prima  volta

dalla legge finanziaria per il 1998 e riprodotto in  tutte  le  leggi

finanziarie successivamente  adottate,  deve  essere  tendenzialmente

preferito ad altri, dato che «la necessita'  di  un  accordo  tra  lo

Stato e  gli  enti  ad  autonomia  speciale  nasce  dall'esigenza  di

rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi».

    Si puo' ricordare anche la sent. n. 39 del 1984, che ha annullato

un atto ministeriale che aveva  unilateralmente  modificato  l'elenco

delle imposte ai fini dell'art. 49 dello Statuto, precisando che  «il

legislatore  statale  ben  potrebbe  intervenire,  se  lo   ritenesse

opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia:  ma

dovrebbe farlo, comunque, dopo  aver  sentito  la  Regione  (art.  65

Statuto Friuli-Venezia Giulia) e avendo i poteri per  mettere  ordine

nella complessa vicenda senza turbare i delicati  rapporti  coll'Ente

Regione».

    Pertinente e' anche il richiamo alla sent. n. 98 del 2000, che ha

giudicato di alcune norme  legislative  statali  che  disponevano  la

riserva  a  favore  dell'erario  delle  entrate  derivanti  da  altre

disposizioni e che erano  contestate  per  violazione  dello  Statuto

siciliano  e  delle  relative  norme  di  attuazione.  La  Corte   ha

riconosciuto l'esistenza del «principio. di  leale  cooperazione  fra

Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la'

dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze  fra

le  rispettive  sfere  e  i  rispettivi  ambiti  finanziari»,  e   ha

sottolineato che «sono espressioni significative di tale esigenza  le

norme di attuazione di  altri  statuti  speciali,  le  quali,  a  tal

proposito, contemplano procedimenti cui sono chiamate  a  partecipare

le Regioni». La Corte ha, dunque, statuito  che  le  norme  impugnate

dovevano prevedere «procedimenti non unilaterali, ma che  contemplino

una partecipazione della Regione direttamente interessata».

    Il principio consensuale  e'  stato  ribadito  piu'  di  recente,

proprio in relazione alla Regione Friuli-Venezia Giulia, dalla  sent.

n. 74/2009, con cui la Corte costituzionale ha  annullato  l'art.  2,

comma 5,  legge  n.  244/2007  (finanziaria  2008),  che  limitava  i

maggiori introiti  a  favore  del  bilancio  della  Regione  autonoma

Friuli-Venezia  Giulia  derivanti  dall'applicazione  del   comma   4

dell'art. 1 del decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137. La  Corte

ha ritenuto che la norma impugnata, ponendo un  limite  all'ammontare

annuo statutariamente  spettante  alla  Regione  delle  ritenute  sui

redditi da pensione, violasse il combinato disposto degli artt. 48  e

49  dello  Statuto  e  dell'art.  1,  comma  4,  del  citato  decreto

legislativo di attuazione dello statuto.  Dunque,  codesta  Corte  ha

gia'  escluso  il  potere  del  legislatore  ordinario  di   incidere

direttamente sulla disciplina della compartecipazione introducendo un

tetto massimo al gettito spettante. Sarebbe stata  semmai  necessaria

una nuova norma di attuazione,  fondata  essa  stessa  sul  principio

consensuale.

    Si puo' ricordare, infine, la sent. n. 133/2010. La Provincia  di

Trento aveva impugnato l'art. 9-bis, comma 5, d.-l. n.  78/2009,  che

attribuiva al Presidente del Consiglio  dei  ministri  il  potere  di

fissare «i criteri per la  rideterminazione,  a  decorrere  dall'anno

2009, dell'ammontare dei proventi  spettanti  a  regioni  e  province

autonome, compatibilmente con gli statuti di autonomia delle  regioni

ad autonomia speciale e delle citate province autonome, ivi  compresi

quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi erariali statali».

La Corte ha accolto le questioni sollevate nel ricorso, ritenendo che

tale norma incidesse sui rapporti  finanziari  intercorrenti  tra  lo

Stato, la Regione e le Province autonome,  e  che  «pertanto  avrebbe

dovuto essere approvata con il procedimento previsto dal citato  art.

104 dello statuto speciale, ove e' richiesto  il  necessario  accordo

preventivo di Stato e Regione».

    In effetti, e' chiaramente illegittimo  che  lo  Stato,  con  una

fonte  primaria  unilateralmente  adottata,  alteri  in  modo   cosi'

rilevante l'assetto dei rapporti  finanziari  tra  Stato  e  Regione,

laddove il principio consensuale e' da tempo riconosciuto  in  questa

materia.

    Inoltre, la norma  impugnata  non  rispetta  l'art.  6,  comma  2

(sempre nella denegata ipotesi che esso  sia  ritenuto  applicabile),

anche perche' riserva all'erario tutte «le maggiori entrate»,  mentre

la norma di attuazione limita ad «una quota del  previsto  incremento

del  gettito  tributario»  la  possibilita'   di   destinazione   «al

raggiungimento  degli  obiettivi  di   riequilibrio   della   finanza

pubblica».

    Infine, proprio perche' agli artt. 48 e 49 St. si e' derogato con

una  fonte  primaria  «ordinaria»  (nella  specie,  un  decreto-legge

convertito), l'art. 2, commi 3 e 36, prima parte, violano  anche  gli

artt. 63, commi 1 e 5 (che prevedono  il  procedimento  di  revisione

costituzionale per le modifiche dello Statuto e  la  possibilita'  di

modificare «le  disposizioni  contenute  nel  titolo  IV.  con  leggi

ordinarie, su proposta di ciascun membro delle Camere, del Governo  e

della Regione, e, in ogni caso, sentita la Regione») e l'art. 65 (che

disciplina la  speciale  procedura  per  l'adozione  delle  norme  di

attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale.

    Le norme  impugnate  alterano  gravemente  e  unilateralmente  la

relazione strutturale che intercorre tra il  tributo  erariale  e  la

compartecipazione statutaria regionale. Il legislatore costituzionale

ha posto a  presidio  dell'autonomia  finanziaria  della  Regione  il

meccanismo della compartecipazione ai tributi erariali che garantisce

l'approvvigionamento  finanziario  dell'ente   in   via   del   tutto

automatica.  L'attribuzione  del   gettito   e'   rimessa,   infatti,

esclusivamente   all'operare   della   percentuale    di    spettanza

statutariamente  prevista,  applicata   al   gettito   riscosso   nel

territorio regionale.

    L'art. 2, commi 3, ultimo periodo, e 36, primo  periodo,  violano

la struttura automatica della compartecipazione escludendo che talune

innovazioni fiscali possano tradursi in beneficio per l'entrata della

Regione, con cio' incidendo sull'autonomia che  di  tale  automatismo

costituisce il portato.

    La sent. n. 155/2006 di codesta Corte ha statuito che la  Regione

Friuli-Venezia Giulia non  puo'  contestare  nuove  norme  tributarie

statali che, incidendo  su  tributi  erariali  ai  quali  la  Regione

compartecipa, comportino una riduzione del gettito  per  la  Regione.

Proprio l'automatismo insito nella compartecipazione implica  che  la

Regione debba subire gli effetti - entro certi limiti - delle novita'

normative statali che hanno riflessi finanziari riduttivi (e  infatti

anche il  d.-l.  n.  138/2011  contiene  norme  che,  indirettamente,

incidono negativamente  sulla  finanza  regionale,  come  quella  che

prevede la deducibilita'  del  contributo  di  solidarieta'  ai  fini

Irpef). Se cosi' e', allora anche i vantaggi economici  che  derivano

dalla modifica di aliquote o da altre novita' normative concernenti i

tributi erariali devono andare, pro quota, a beneficio della Regione,

cosi' come prevede lo Statuto:  ove,  s'intende,  non  ricorrano  gli

specifici presupposti previsti  dalle  norme  di  attuazione  per  la

riserva allo Stato.

    b. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  36,  secondo

periodo.

    Il secondo periodo del comma 36  dell'art.  2  dispone  che  «con

apposito decreto del Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  da

emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in  vigore  della

legge  di  conversione  del  presente  decreto,  sono  stabilite   le

modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso  separata

contabilizzazione». Si tratta dunque di una norma  volta  a  regolare

l'attuazione del primo periodo : la quale, pertanto, e'  affetta  dai

medesimi vizi sopra illustrati.

    In  subordine,  essa  e'  poi   censurabile   specificamente   ed

autonomamente sotto  un  ulteriore  aspetto,  cioe'  per  la  mancata

previsione dell'intesa con questa Regione in relazione al decreto che

stabilisce  le  modalita'  di  individuazione  del  maggior  gettito.

Infatti, poiche' si tratta di intervenire in relazione a risorse  che

spetterebbero alla Regione, in una  materia  dominata  dal  principio

consensuale, risulta specificamente illegittima, per  violazione  del

principio di  leale  collaborazione,  la  previsione  di  un  decreto

ministeriale. senza intesa con questa Regione.

    c. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 36,  terzo  e

quarto periodo.

    Il  terzo  ed  il  quarto  periodo  del  comma  36  dell'art.   2

dispongono,  rispettivamente,  che  «a  partire  dall'anno  2014,  il

Documento di economia  e  finanza  conterra'  una  valutazione  delle

maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita'  di

contrasto all'evasione» e che «dette maggiori entrate,  al  netto  di

quelle necessarie al mantenimento del pareggio di  bilancio  ed  alla

riduzione del debito, confluiranno  in  un  Fondo  per  la  riduzione

strutturale  della  pressione  fiscale  e  saranno  finalizzate  alla

riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle  famiglie

e sulle imprese».

    Il quarto periodo risulta, ad avviso  della  ricorrente  Regione,

del tutto illegittimo, mentre il terzo periodo e' impugnato  solo  in

quanto l'attivita' di rilevazione in  esso  prevista  e'  finalizzata

all'attuazione del quarto periodo.

    Si  tratta,  infatti,  di  maggiori  entrate  che  non   derivano

dall'aumento delle aliquote o dall'introduzione di nuovi tributi,  ma

semplicemente dalla lotta all'evasione, cioe'  da  un  piu'  rigoroso

accertamento degli obblighi tributari preesistenti.

    Le maggiori entrate che  ne  derivano  sono  pur  sempre  entrate

connesse alle aliquote e ai tributi esistenti, per alcuni  dei  quali

l'art. 49 dello Statuto prevede la compartecipazione regionale.

    Manca dunque, in relazione ai tributi  per  i  quali  lo  Statuto

prevede la compartecipazione regionale, qualunque fondamento  per  la

destinazione ad un  Fondo  statale  di  tali  maggiori  entrate,  che

risulta pertanto totalmente illegittima.

    La fondatezza di tale censura e' confermata anche  dalla  recente

sent. n.152/2011, che ha dichiarato  «costituzionalmente  illegittimo

l'art. 1, comma 6, del d.-l. n. 40  del  2010,  nella  parte  in  cui

stabilisce  che  le  entrate  derivanti  dal  recupero  dei   crediti

d'imposta ''sono riversate all'entrata del  bilancio  dello  Stato  e

restano acquisite  all'erario'',  anche  con  riferimento  a  crediti

d'imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel

territorio della Regione siciliana». La sentenza stabilisce  che  «e'

alla Regione siciliana. che spetta,  non  solo  provvedere  al  detto

recupero, ma anche acquisire il gettito da esso derivante, posto  che

tale gettito, lungi  dal  costituire  frutto  di  una  nuova  entrata

tributaria erariale, non e' altro che l'equivalente del  gettito  del

tributo previsto (al di fuori dei  casi  nei  quali  e'  concesso  il

credito d'imposta), che compete alla Regione sulla base e nei  limiti

dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965».

    La medesima sent. n. 152/2011 ha poi annullato  l'art.  3,  comma

2-bis, d.-l. n. 40/2010, in quanto  «la  previsione  della  esclusiva

destinazione a fondi erariali del gettito derivante dalla definizione

agevolata di tali controversie inerenti alla contestazione di tributi

erariali  che  avrebbero  dovuto  essere  riscossi   nel   territorio

regionale si pone in contrasto con il principio  di  cui  all'art.  2

delle norme di attuazione, non potendo peraltro neppure ritenersi che

le entrate derivanti dalla  richiamata  definizione  agevolata  delle

controversie tributarie siano ''entrate nuove''».

    Per quanto riguarda poi il terzo periodo del comma  36,  esso  e'

affetto dagli stessi vizi  appena  illustrati  (essendo  strettamente

collegato al quarto periodo).

    Inoltre, ove in denegata ipotesi dovesse risultare  legittimo  il

trattenimento delle somme in questione al bilancio dello Stato,  esso

risulterebbe  illegittimo  per  violazione  del  principio  di  leale

collaborazione, perche' la  quantificazione  delle  maggiori  entrate

derivanti dalla lotta all'evasione viene  operata  senza  intesa  con

questa Regione, benche' tale quantificazione  incida  direttamente  e

negativamente  sulla  dimensione  delle  risorse  che  spettano  alla

Regione.

    Anche  in  questo  caso  si  tratta  di  una  previsione  dettata

unilateralmente dello Stato, che  sconvolge  l'assetto  dei  rapporti

finanziari Stato-Regione in  violazione  del  principio  consensuale,

dell'art. 4 decreto del Presidente della  Repubblica  n.  114/1965  e

dell'art. 6 d.lgs. n. 8/1997, dato che il comma 36,  ultimo  periodo,

non si occupa di risorse provenienti da «maggiorazioni di aliquote  o

da altre modificazioni in ordine ai tributi  devoluti  alla  regione»

(art. 4) o da «manovre correttive di finanza pubblica» (art.  6).  Da

cio' deriva anche la violazione degli artt.  63  e  65  St.,  per  le

medesime ragioni sopra viste.

 

                              P. Q. M.

 

    Voglia codesta Ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,

dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  8,  e

dell'art. 2, comma  3,  ultimo  periodo,  e  comma  36,  se  ritenuti

applicabili  alla  Regione,  del  d.-l.  13  agosto  2011,  n.   138,

convertito nella legge 14 settembre  2011,  n.  148,  Conversione  in

legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011,  n.  138,

recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e

per lo sviluppo. Delega al  Governo  per  la  riorganizzazione  della

distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, nelle arti, nei

termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso.

        Padova, 10 novembre 2011

 

                         Prof. avv.: Falcon

 

    ALLEGATI

        1) Deliberazione della Giunta regionale 21 ottobre  2011,  n.

1980.

        2) Deliberazione della Giunta regionale 10 novembre 2011,  n.

2070.

        3) Capitolo 1601 del bilancio dello Stato.

        4) Risoluzione dell'Agenzia delle entrate 15.2.2008, n. 50/E.

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