Ricorso n. 139 del 22 novembre 2011 (Regione Friuli-Venezia Giulia)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 22 novembre 2011 (della Regione Friuli-Venezia Giulia).
(GU n. 53 del 21.12.2011)
Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore dott. Renzo Tondo, autorizzato con deliberazioni della Giunta regionale n. 1980 del 21 ottobre 2011 (doc. 1) e n. ... del 10 novembre 2011 (doc. 2), rappresentata e difesa - come da procura a margine del presente atto
- dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma presso l'ufficio di rappresentanza della Regione, in piazza Colonna, 355,
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri
Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 8, e dell'art. 2, commi 3 e 36, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure
urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 216 del 16 settembre 2011;
Per violazione:
degli articoli 116 e 119 della Costituzione;
degli articoli 48, 49, 63 e 65 dello Statuto speciale adottato con legge costituzionale n. 1 del 1963;
dell'art. 4, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 114/1965 e dell'art. 6, comma 2, d.lgs. n. 8/1997;
del principio di leale collaborazione,
per i profili e nei modi di seguito illustrati.
Fatto e Diritto
Il presente ricorso riguarda due distinti ambiti delle
disposizioni di cui al decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138,
convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148: da un lato l'art.
1, comma 8, che ha modificato una disposizione gia' impugnata da
questa Regione, dall'altro - se ritenute applicabili alla Regione -
le disposizioni dell'art. 2, comma 3, ultimo periodo, e comma 36,
relative alla riserva all'erario statale delle maggiori entrate
derivanti dal decreto stesso.
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 8, d.-l. n.
138/2011.
L'art. 20, comma 5, d.-l. n. 98/2011 aveva previsto che «le
regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province e i
comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, alla realizzazione
degli obiettivi di finanza pubblica, per gli anni 2013 e successivi
concorrono con le seguenti ulteriori misure in termini di fabbisogno
e di indebitamento netto: ... b) le regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e Bolzano per 1.000 milioni di euro per
l'anno 2013 e per 2.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014».
L'art. 1, comma 8, d.-l. n. 138/2011 modifica l'art. 20, comma 5,
d.-l. n. 98/2011, nel seguente modo: «a) nell'alinea, le parole:
''per gli anni 2013 e successivi'', sono sostituite dalle seguenti:
''per gli anni 2012 e successivi''; ... c) alla lettera b), le
parole: ''per 1.000 milioni di euro per l'anno 2013 e'' sono
soppresse; nella medesima lettera, le parole: ''a decorrere dall'anno
2014'', sono sostituite dalle seguenti: ''a decorrere dall'anno
2012''».
Dunque, l'art. 1, comma 8, d.-l. n. 138/2011 peggiora in misura
rilevante, per la Regione Friuli-Venezia Giulia, le misure gia' assai
restrittive previste dal d.-l. n. 98/2011. Infatti, non solo il
concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica
previsto dall'art. 20, comma 5, d.-l. n. 98/2011 e' anticipato al
2012, ma esso viene applicato sin dal 2012 nella misura di 2000
milioni di euro, che doveva operare a decorrere dal 2014.
La ricorrente Regione Friuli-Venezia Giulia ritiene che, allo
stesso modo di quelle previste dal d.-l. n. 98 del 2011, anche le
nuove restrizioni introdotte dall'art. 1, comma 8, decreto legge n.
138/2011 - nelle parti ad essa riferibili - ledano la autonomia
finanziaria ad essa assicurata dagli artt. 48 Statuto, e 119, commi
1, 2, e 4, Cost.; ritiene inoltre che le restrizioni ledano l'art.
116, comma 1, Cost., e l'art. 49 Statuto.
Per meglio inquadrare le questioni di costituzionalita', occorre
precisare che le misure indicate si aggiungono non solo a quelle
previste dal d.-l. n. 78/2010, ma anche a quelle disposte dall'art.
1, comma 156, primo periodo, della legge n. 220/2010.
L'art. 14 del decreto legge n. 78 del 2010 ha disposto - per
quanto riguarda le Regioni speciali - che «ai fini della tutela
dell'unita' economica della Repubblica» esse «concorrono alla
realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio
20112013» per 500 milioni di euro per l'anno 2011 e 1.000 milioni di
euro annui a decorrere dall'anno 2012, «in termini di fabbisogno e
indebitamento netto» (comma 1, lettera b). Successivamente, la
Tabella 1, allegata alla legge 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di
stabilita' 2011: v. l'art. 1, comma 131) ha precisato che il concorso
alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica consiste nella
riduzione delle spese, e ha ripartito tra le autonomie speciali
l'obiettivo complessivo: la Regione Friuli-Venezia Giulia e' chiamata
a concorrere per 77.216.900 euro nel 2011, e per 154.433.800 euro in
ciascuno degli anni 2012 e 2013.
In base all'art. 1, comma 156, primo periodo, della legge n.
220/2010, poi, «la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia garantisce
un effetto positivo sull'indebitamento netto, ulteriore rispetto a
quello previsto dalla legislazione vigente, ivi comprese le
disposizioni introdotte dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, di
150 milioni di euro nel 2011, di 200 milioni di euro nel 2012, di 250
milioni di euro nel 2013, di 300 milioni di euro nel 2014, di 350
milioni di euro nel 2015, di 340 milioni di euro nel 2016, di 350
milioni di euro annui dal 2017 al 2030 e di 370 milioni di euro annui
a decorrere dal 2031».
L'art. 20, comma 4, d.-l. n. 98/2011 ha stabilizzato le misure
temporanee previste dall'art. 14 d.-l. n. 78/2010 ed il comma 5 ha
previsto «ulteriori misure», sopra esposte.
Assumendo che la ripartizione tra le Regioni a statuto speciale
delle misure introdotte con il d.-l. n. 98/2011, come modificato dal
d.-l. n. 138/2011, segua gli stessi criteri utilizzati per le norme
precedenti di analogo contenuto, per effetto di tale cumulo il peso a
carico della Regione Friuli-Venezia Giulia ammonterebbe a circa 762
milioni di euro dal 2012.
La Regione e' consapevole che la autonomia finanziaria intesa
come disponibilita' di risorse sufficienti ad esercitare le proprie
attribuzioni costituzionali, e come effettiva capacita' di spesa, va
valutata nel complesso, e che «contenimenti» transitori delle spese
non sono necessariamente incostituzionali (secondo quanto risulta ad
esempio, in ordine ai vincoli derivanti dal patto di stabilita',
dalla sent. N. 284/2009). Tuttavia, se non si vuole privare l'art.
119 cost. e, per il Friuli-Venezia Giulia, l'art. 48 Statuto, della
capacita' di fungere da parametri di costituzionalita', occorre
riconoscere che singoli provvedimenti normativi (gli unici contro i
quali - ex art. 127 Cost. - la Regione puo' reagire, ed entro termini
tassativi) possano essere sindacati e, se del caso, censurati, anche
alla luce di altri singoli provvedimenti, l'insieme dei quali si
dimostra lesivo dell'autonomia finanziaria regionale.
Nel caso, la Regione si trova nella condizione di affermare che
l'ulteriore aggravamento ed anticipazione delle misure di
contenimento, in una con le riduzioni della legge n. 220/2010,
determinano la incostituzionalita' dell'art. 1, comma 8, del decreto
legge n. 138/2011, in quanto impongono riduzioni consistenti alla
spesa, tali da pregiudicare l'assolvimento delle funzioni pubbliche
ad essa attribuite, in violazione dell'art. 119 Cost. (v. soprattutto
il principio di corrispondenza tra risorse e funzioni di cui al comma
4: «Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti
consentono ai Comuni, alle Province, alle Citta' metropolitane e alle
Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro
attribuite») e dell'art. 48 Statuto, la cui portata si precisa anche
attraverso la considerazione sistematica di tutte le norme
costituzionali e statutarie rilevanti ai fini dell'autonomia
finanziaria. In questo senso, la lesione di altri parametri - che
subito si illustra -concorre a dimostrare anche la violazione degli
art. 119 Cost. e 48 Statuto.
Violato e' in primo luogo l'art. 116, comma 1, Cost., il quale
riconosce alle Regioni speciali forme e condizioni particolari di
autonomia, che non possono non riguardare - data la formulazione
della disposizione - anche la autonomia finanziaria (sent. N.
82/2007).
L'art. 1, comma 8, lede la disposizione in quanto riserva alle
Regioni speciali - e, per quanto interessa qui, alla Regione
Friuli-Venezia Giulia - un trattamento deteriore rispetto a quanto
vale per le Regioni ordinarie. L'insieme di queste concorre al
risanamento per 1.600 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012,
mentre le sole Regioni a statuto speciale e le Province autonome di
Trento e Bolzano concorrono per 2.000 milioni di euro a decorrere
dall'anno 2012.
L'irragionevolezza del trattamento deteriore si apprezza
considerando che queste differenziazioni operano in un contesto
normativo stabile, quanto alle funzioni, per le Regioni ordinarie,
mentre e' aumentato il concorso specifico della Regione
Friuli-Venezia Giulia al conseguimento degli obiettivi di
perequazione e di solidarieta' e all'assolvimento degli obblighi
derivanti dall'ordinamento europeo e dal patto di stabilita' interno.
Si rammenta qui il comma 152 dell'art. 1 della legge di stabilita'
per il 2011 (legge n. 220/2010), secondo cui «nel rispetto dei
principi indicati nella legge 5 maggio 2009, n. 42, a decorrere
dall'anno 2011, la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
contribuisce all'attuazione del federalismo fiscale, nella misura di
370 milioni di euro annui, mediante: a) il pagamento di una somma in
favore dello Stato; b) ovvero la rinuncia alle assegnazioni statali
derivanti dalle leggi di settore, individuate nell'ambito del tavolo
di confronto di cui all'art. 27, comma 7, della citata legge n. 42
del 2009; c) ovvero l'attribuzione di funzioni amministrative
attualmente esercitate dallo Stato, individuate mediante accordo tra
il Governo e la regione, con oneri a carico della regione. Con le
modalita' previste dagli articoli 10 e 65 dello Statuto speciale
della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale
31 gennaio 1963, n. 1, lo Stato e la regione definiscono le funzioni
da attribuire». Il trattamento gravoso riservato alle autonomie
speciali, e tra esse alla ricorrente Regione, non puo' essere
giustificato sulla base della considerazione della relativa maggiore
ampiezza - rispetto alle Regioni ordinarie - delle risorse ad esse
riservate.
Tale maggiore ampiezza infatti e' il frutto delle valutazioni
dell'ordinamento costituzionale dello Stato, e non puo' essere
alterata se non seguendo le vie costituzionalmente prescritte: le
quali, del resto, esistono, come tra breve verra' illustrato.
L'art. 49 Statuto garantisce alla Regione certezza di entrate,
finalizzate ad assicurarle la possibilita' di esercizio delle proprie
funzioni. Ad avviso della ricorrente Regione le disposizioni
censurate ledono - in via indiretta ma sicura - anche tale parametro:
non ha senso logico che vi sia per la Regione garanzia costituzionale
di determinate entrate (una garanzia che la ricorrente Regione ha
potuto far valere con successo, ad esempio, nella controversia
definita con la sent. n. 74/2009), se poi fosse consentito allo Stato
di imporre con legge ordinaria massicce riduzioni della spesa, alla
quale le entrate garantite sono finalizzate!
Di fronte a tali sostanziali violazioni dei parametri
costituzionali, non varrebbe certo obiettare che tutte le autonomie
territoriali - Regioni speciali comprese - sono soggette ai principi
di coordinamento della finanza pubblica, inevitabilmente fissati a
livello nazionale, anche in adempimento di obblighi europei (sent. n.
82/2007); che la attribuzione di quote fisse di tributi erariali puo'
condurre ad un incremento delle risorse regionali, in funzione di
manovre tributarie statali, senza che vi sia necessita' - da parte
della Regione - di nuove risorse per nuove funzioni, o per un
migliore assolvimento di compiti precedenti (ma le entrate potrebbero
anche diminuire, per l'andamento negativo del ciclo economico ...);
che lo stesso art. 49 Statuto, nel momento in cui riconosce alla
Regione autonomia finanziaria, aggiunge subito che essa si svolge (si
deve svolgere) «in armonia con i principi della solidarieta'
nazionale».
Infatti, la considerazione di tali valori deve essa stessa
manifestarsi mediante strumenti costituzionalmente ammissibili
nell'ordinamento.
Cosi', anzitutto, le stesse norme di attuazione statutaria -
radicate direttamente nel principio di solidarieta' nazionale (sent.
n. 75/1967) - consentono di eccettuare dalla attribuzione alla
Regione le nuove entrate tributarie statali il cui gettito sia
destinato
con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare
particolari finalita' contingenti o continuative dello Stato,
specificate nelle leggi medesime (v. l'art. 4 decreto del Presidente
della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114). Ma la legittimita'
costituzionale della riserva e' subordinata alla presenza di una
apposita clausola di destinazione, che vale, come si legge nella
sent. 61/1987, «a rendere possibile il controllo politico sull'esatto
e corretto esercizio della deroga» al sistema normale di
finanziamento: norma funzionale, quindi, al principio di
responsabilita'.
Le stesse disposizioni statutarie sulla autonomia finanziaria
(art. 49 compreso) possono sempre essere modificate (come varie volte
e' gia' accaduto) senza ricorrere alla revisione con legge
costituzionale, purche' vi sia il coinvolgimento della Regione (art.
63, comma 5, Statuto).
In termini generali, poi, i rapporti finanziari Stato-Regione
sono ispirati al principio della determinazione consensuale.
L'«obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi
comprese quelle a statuto speciale, all'azione di risanamento della
finanza pubblica» - puntualizza la Corte con la sent. 82/2007 - «deve
essere contemperato e coordinato con la speciale autonomia in materia
finanziaria di cui godono le predette Regioni, in forza dei loro
statuti. In tale prospettiva, come questa Corte ha avuto occasione di
affermare, la previsione normativa del metodo dell'accordo tra le
Regioni a statuto speciale e il Ministero dell'economia e delle
finanze, per la determinazione delle spese correnti e in conto
capitale, nonche' dei relativi pagamenti, deve considerarsi
un'espressione della descritta autonomia finanziaria e del
contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei limiti
alla spesa imposti dal cosiddetto ''patto di stabilita'' (sentenza n.
353 del 2004)».
Questo principio, sul piano della legislazione ordinaria, ha
trovato fino ad ora varie concretizzazioni. E' sufficiente richiamare
qui, per la sua portata sistematica, l'art. 27, legge n. 42/2009, che
rimette alle norme di attuazione statutaria la attuazione dei
principi del c.d. federalismo fiscale (tra i quali vi e' il rispetto
del patto di stabilita' e dei vincoli finanziari europei), tenendo
«conto della dimensione della finanza delle [...] regioni e province
autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni
da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri.». Le stesse
misure particolari dei ricordati commi 152 e 156 dell'art. 1 legge n.
220/2010, specificamente concernenti l'apporto della Regione
Friuli-Venezia Giulia al risanamento delle finanze pubbliche, sono
state oggetto di confronto e discussione tra Governo e Regione.
Con il principio costituzionale di collaborazione si pongono in
contrasto le disposizioni impugnate.
Sembra alla Regione opportuno sottolineare che dall'annullamento
dell'art. 1, comma 8, d.-l. n. 138/2011 non deriverebbe alcun
necessario pregiudizio alla «unita' economica della Repubblica», ne'
ai principi di solidarieta' nazionale, ne' agli obiettivi di
risanamento finanziario. Lo Stato - come si e' appena indicato -
continua infatti ad avere tutti gli strumenti per perseguire tali
obiettivi, nel rispetto dell'autonomia Regionale, secondo quanto
sopra esposto.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 3 e 36, d.-l. n.
138/2011.
a. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3, ultimo
periodo, e comma 36, primo periodo.
Come sopra gia' illustrato, il Titolo IV dello Statuto speciale
(1egge cost. n. 1/1963) riconosce alla Regione Friuli-Venezia Giulia
una speciale autonomia finanziaria. In particolare, l'art. 49 dispone
che «spettano alla Regione le seguenti quote fisse delle
sottoindicate entrate tributarie erariali riscosse nel territorio
della Regione stessa: 1) sei decimi del gettito dell'imposta sul
reddito delle persone fisiche; 2) quattro decimi e mezzo del gettito
dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche; 3) sei decimi del
gettito delle ritenute alla fonte di cui agli artt. 23, 24, 25 e 29
del decreto del Presidente della Repubblcia 29 settembre 1973, n.
600, ed all'art. 25-bis aggiunto allo stesso decreto del Presidente
della Repubblica con l'art. 2, primo comma, del d.-l. 30 dicembre
1982, n. 953, come modificato con legge di conversione 28 febbraio
1983, n. 53; 4) 9,1 decimi del gettito dell'imposta sul valore
aggiunto, esclusa quella relativa all'importazione ...; 5) nove
decimi del gettito dell'imposta erariale sull'energia elettrica,
consumata nella regione; 6) nove decimi del gettito dei canoni per le
concessioni idroelettriche; 7) nove decimi del gettito della quota
fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei
monopoli dei tabacchi consumati nella regione; 7-bis) il 29,75 per
cento del gettito dell'accisa sulle benzine ed il 30,34 per cento del
gettito dell'accisa sul gasolio consumati nella regione per uso
autotrazione».
L'art. 63 dello Statuto prevede che, per le modificazioni di
esso, si applica la procedura prevista dalla Costituzione per le
leggi costituzionali. Il quinto comma dell'art. 63, pero', introduce
una speciale procedura per la modificazione delle norme del Titolo
IV: «Le disposizioni contenute nel titolo IV possono essere
modificate con leggi ordinarie, su proposta di ciascun membro delle
Camere, del Governo e della Regione, e, in ogni caso, sentita la
Regione».
L'art. 65 St. dispone che «con decreti legislativi, sentita una
Commissione paritetica di sei membri, nominati tre dal Governo della
Repubblica e tre dal Consiglio regionale, saranno stabilite le norme
di attuazione del presente Statuto e quelle relative al trasferimento
all'Amministrazione regionale degli uffici statali che nel
Friuli-Venezia Giulia adempiono a funzioni attribuite alla Regione».
Dunque, e' escluso che una fonte primaria «ordinaria» possa
incidere sull'assetto dei rapporti finanziari quali delineati nello
Statuto e nelle norme di attuazione.
L'art. 2 d.-l. n. 138/2011, oggetto della presente impugnazione,
e' inserito nel Titolo I, Disposizioni per la stabilizzazione
finanziaria, e detta Disposizioni in materia di entrate.
Il comma 3 riguarda le entrate derivanti da giochi pubblici.
Esso statuisce in primo luogo che «il Ministero dell'economia e
delle finanze-Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. emana
tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di
assicurare maggiori entrate, potendo tra l'altro introdurre nuovi
giochi, indire nuove lotterie, anche ad estrazione istantanea,
adottare nuove modalita' di gioco del Lotto, nonche' dei giochi
numerici a totalizzazione nazionale, variare l'assegnazione della
percentuale della posta di gioco a montepremi ovvero a vincite in
denaro, la misura del prelievo erariale unico, nonche' la percentuale
del compenso per le attivita' di gestione ovvero per quella dei punti
vendita».
Esso stabilisce inoltre che «il Direttore generale
dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato puo' proporre al
Ministro dell'economia e delle finanze di disporre con propri
decreti, entro il 30 giugno 2012, tenuto anche conto dei
provvedimenti di variazione delle tariffe dei prezzi di vendita al
pubblico dei tabacchi lavorati eventualmente intervenuti, l'aumento
dell'aliquota di base dell'accisa sui tabacchi
lavorati prevista dall'allegato I al decreto legislativo 26
ottobre 1995, n. 504 e successive modificazioni».
Infine, esso precisa che «l'attuazione delle disposizioni del
presente comma assicura maggiori entrate in misura non inferiore a
1.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012» e di seguito
dispone che «le maggiori entrate derivanti dal presente comma sono
integralmente attribuite allo Stato».
Dunque, quest'ultima norma riserva integralmente allo Stato le
maggiori entrate derivanti dall'aumento dell'aliquota di base
dell'accisa sui tabacchi lavorati.
Mentre il comma 3 ha lo specifico oggetto sopra illustrato, il
comma 36 dell'art. 3 si riferisce a tutte le maggiori entrate
derivanti dalle disposizioni del d.lgs. n. 149 del 2011, quali quelle
derivanti dall'art. 1, comma 6, dall'art. 2 (che - ad esempio -
introduce il contributo di solidarieta' e aumenta l'aliquota IVA al
21%) e dall'art. 7.
In termini generali, infatti, esso dispone che «le maggiori
entrate derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per
un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze
prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita'
della situazione economica internazionale», aggiungendo in termini
attuativi che «con apposito decreto del Ministero dell'economia e
delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono
stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito,
attraverso separata contabilizzazione».
Ancora, il comma 36 prevede che, «a partire dall'anno 2014, il
Documento di economia e finanza conterra' una valutazione delle
maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita' di
contrasto all'evasione», e di seguito dispone che «dette maggiori
entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento del pareggio
di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno in un Fondo
per la riduzione strutturale della pressione fiscale e saranno
finalizzate alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi
gravanti sulle famiglie e sulle imprese».
Anche il comma 36, dunque, riserva allo Stato le maggiori entrate
di natura tributaria risultanti o dalle nuove norme contenute nel
decreto o dalla lotta all'evasione.
Peraltro, l'art. 19-bis dello stesso d.-l. n. 138/2011 dispone
che «l'attuazione delle disposizioni del presente decreto nelle
regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di
Bolzano avviene nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme
di attuazione e secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge
5 maggio 2009, n. 42».
Il comma 1 di quest'ultima disposizione stabilisce che «le
regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di
Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' ed
all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al
patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli obblighi posti
dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalita' stabiliti
da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le
procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine di
ventiquattro mesi stabilito per l'emanazione dei decreti legislativi
di cui all'art. 2 e secondo il principio del graduale superamento del
criterio della spesa storica di cui all'art. 2, comma 2, lettera m)».
Non e' esclusa, dunque, un'interpretazione delle disposizioni in
questione nel senso che la riserva all'erario non operi per le somme
relative alla regione Friuli-Venezia Giulia. Nel senso
dell'interpretazione «adeguatrice» potrebbe far concludere il
principio di specialita', confortato anche da quanto considerato
nella sentenza di codesta Corte n. 152 del 2011, che ha ritenuto
l'applicabilita' anche nella Regione siciliana di norme simili a
quelle qui impugnate, che riservavano all'erario il gettito di
tributi compartecipati dalla Regione Sicilia, «posto che il d.l. in
esame non contiene alcuna formula che possa configurarsi quale
clausola di salvaguardia delle attribuzioni delle Regioni ad
autonomia speciale»: clausola che invece, come ora esposto, in questo
caso esiste.
Tuttavia, la drastica formulazione del comma 3 (secondo cui le
maggiori entrate derivanti dal presente comma sono integralmente
attribuite allo Stato) induce a temere che l'art. 2, commi 3 e 36,
possa essere inteso nel senso della riserva allo Stato anche nei
confronti della ricorrente Regione.
Ove cosi' intese, le norme in questione sarebbero illegittime e
lesive delle prerogative della Regione.
Come sopra esposto, l'art. 2, comma 3, d.-l. n. 138/2011 prevede
«l'aumento dell'aliquota di base dell'accisa sui tabacchi lavorati
prevista dall'allegato I al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n.
504 e successive modificazioni», aggiungendo che «l'attuazione delle
disposizioni del presente comma assicura maggiori entrate in misura
non inferiore a 1.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno
2012» e che «le maggiori entrate derivanti dal presente comma sono
integralmente attribuite allo Stato».
Si e' anche ricordato che l'art. 49, n. 7, dello Statuto riserva
alla Regione i «nove decimi del gettito della quota fiscale
dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli
dei tabacchi consumati nella regione».
Risulta dunque illegittima la riserva allo Stato delle entrate in
questione.
Infatti, come va subito precisato, l'accisa sui tabacchi lavorati
prevista dall'allegato I al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n.
504, coincide con l'imposta sul consumo dei tabacchi di cui all'art.
75 dello Statuto. Infatti, l'art. 1 d.-l. n. 331/1993 stabilisce che
i tabacchi lavorati sono sottoposti ad accisa (comma 1) e che per
accisa si intende «l'imposizione indiretta sulla produzione o sui
consumi prevista, dalle vigenti disposizioni, con la denominazione di
imposta di fabbricazione o di consumo». Gli artt. 27 e 28 d.-l. n.
331/1993 usano indifferentemente i termine «accisa» e «imposta di
consumo» e l'intero d.-l. n. 331/1993 prevede due sole imposte sui
tabacchi lavorati: l'Iva e l'accisa. Anche l'art. 1 del d.lgs. n.
504/1995 (t.u. sulle accise) precisa che «ai fini del presente testo
unico si intende per: a) accisa: l'imposizione indiretta sulla
produzione o sul consumo dei prodotti energetici, dell'alcole etilico
e delle bevande alcoliche, dell'energia elettrica e dei tabacchi
lavorati».
Inoltre, i codici tributo sui quali, in base al decreto
ministeriale 17 ottobre 2008 attuativo del d.lgs. n. 137/2007, si
applica la compartecipazione regionale sono il 2839 e 2842, collegati
al capitolo 1601 del bilancio dello Stato, che e' denominato «IMPOSTA
SUL CONSUMO DEI TABACCHI» (doc. 2); i codici tributo 2839 e 2842 sono
stati appositamente istituiti per raccogliere il gettito spettante a
questa Regione e sono stati introdotti dalla risoluzione dell'Agenzia
delle entrate 15 febbraio 2008, n. 50/E (doc. 3), intitolata
Istituzione dei codici tributo per il versamento, tramite modello
F24-accise, delle accise sui tabacchi lavorati, degli interessi per
ritardato pagamento e dell'indennita' di mora di cui al decreto legge
30 agosto 1993, n. 331, di competenza della Regione Autonoma
Friuli-Venezia Giulia, ai sensi dell'art. 49, comma 7, della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1.
Stabilito cio', risulta chiaramente il contrasto fra l'art. 2,
comma 3, ultimo periodo (qualora ritenuto applicabile alla Regione) e
l'art. 49, n. 7, dello Statuto speciale. Mentre quest'ultima
disposizione riserva alla Regione i «nove decimi del gettito della
quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti
dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione», la norma
impugnata attribuisce «integralmente. allo Stato» le «maggiori
entrate derivanti dal presente comma». E' da notare che la norma
impugnata non contiene una delimitazione temporale della riserva ne'
una destinazione specifica delle risorse, dato che il suo carattere
di specialita' induce a ritenere che essa prevalga, in relazione
all'accisa sui tabacchi, sulla disciplina «generale» di cui all'art.
2, comma 36, primo periodo.
D'altronde anche il comma 36, primo periodo, seppur differente
rispetto al comma 3, ultimo periodo, risulta contrastante con l'art.
49 dello Statuto, che riserva alla Regione ben precise
compartecipazioni a determinati tributi erariali. L'art. 36, infatti,
riserva all'Erario, per un periodo di cinque anni, «le maggiori
entrate derivanti dal presente decreto», per destinarle «alle
esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza
pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della
eccezionalita' della situazione economica internazionale». Si rinvia
poi ad un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, per
stabilire «le modalita' di individuazione del maggior gettito,
attraverso separata contabilizzazione».
Il contrasto si ravvisa, in particolare, in relazione ai tributi
di seguito illustrati.
L'art. 2, comma 2, d.-l. n. 138/2011 introduce un contributo di
solidarieta', che puo' considerarsi un'imposta sul reddito: la
riserva di questa maggiore entrata all'erario, dunque, contrasta con
l'art. 49, n. 1, dello Statuto.
L'art. 2, comma 2-bis, eleva l'aliquota Iva al 21%: la riserva di
questa maggiore entrata all'erario contrasta con l'art. 49, n. 4,
dello Statuto.
L'art. 2, comma 6, fissa nella misura del 20 per cento le
ritenute e le imposte sostitutive sui redditi da capitale (interessi,
premi e altro provento di cui all'art. 44 del decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) e sui redditi diversi di
cui all'art. 67 comma 1, lettere da c-bis a c-quinquies, del medesimo
decreto (uniformando pertanto l'aliquota da applicarsi in relazione a
tale tipologia di redditi, prima differenziata in ragione delle
caratteristiche dello strumento finanziario impiegato).
In base al combinato disposto degli articoli 49 dello Statuto e
25, comma 6, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 - come risulta
dalla tabella B allegata al decreto del Ministero dell'economia e
delle finanze 17 ottobre 2008 - alla Regione spettano i sei decimi
dell'imposta sostitutiva di cui all'art. 2 del d.lgs. 1º aprile 1996,
n. 239 (imposta sostitutiva sugli interessi, premi ed altri frutti di
talune obbligazioni e titoli similari per i soggetti residenti) e i
4,965 decimi dell'imposta di cui all'art. 18 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 917/1986 (imposizione sostitutiva dei
redditi da capitale di fonte estera), sempreche' le somme siano
riscosse nel territorio della Regione. Si precisa che l'aliquota
delle imposte di cui agli articoli 2 e 18 citati era stabilita, prima
del descritto intervento normativo, nella misura del 12,5 per cento.
L'art. 2, commi 36-bis e 36-quater, reca norme in materia di
societa' cooperative, disponendo l'incremento della quota di utili
netti annuali destinati alla riserva obbligatoria che sono sottratti
al regime di esenzione previsto dall'art. 12 della legge 16 dicembre
1977, n. 904, e nel contempo escludendo dal regime di esenzione
anzidetto il 10 per cento di tali riserve. La modifica risulta
diretta ad un aumento del gettito dell'imposta sul reddito delle
societa' applicata alle societa' cooperative.
Sempre in materia di imposta sul reddito delle societa', l'art.
2, comma 36-quinquies, applica una maggiorazione d'aliquota pari a
10,5 punti percentuali a carico delle societa' di cui all'art. 30,
comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (cosi' dette «societa'
di comodo»). Analoga maggiorazione e' prevista dall'art. 2, comma
36-decies, per le societa' che presentano per tre periodi di imposta
sostitutivi dichiarazioni in perdita fiscale.
In base all'art. 49, n. 2, dello Statuto, alla Regione spettano
quattro decimi e mezzo del gettito dell'imposta sul reddito delle
societa' riscossa sul proprio territorio.
Appare dunque chiaro che l'art. 2, comma 36, primo periodo,
riservando all'erario «le maggiori entrate derivanti dal presente
decreto. per un periodo di cinque anni», per destinarle «alle
esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza
pubblica concordati in sede europea», viola le norme appena citate
dell'art. 49, che prevedono precise compartecipazioni ad alcuni dei
tributi oggetto del d.-l. n. 138/2011.
Ne' e' possibile sostenere che le norme censurate (comma 3,
ultimo periodo, e comma 36, prima parte) sono giustificate in virtu'
di altre clausole contenute nelle norme di attuazione. Esse, infatti,
non rispettano affatto i requisiti posti dall'art. 4, comma 1,
decreto del Presidente della Repubblica n. 114/1965 per la riserva
all'erario del «gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o da
altre modificazioni in ordine ai tributi devoluti alla regione». Tali
requisiti sono: a) la destinazione per legge «alla copertura di nuove
specifiche spese di carattere non continuativo, che non rientrano
nelle materie di competenza della regione, ivi comprese quelle
relative a calamita' naturali»»; b) la delimitazione temporale del
gettito; c) la contabilizzazione distinta nel bilancio statale e la
quantificabilita'. L'assenza di tali requisiti e' chiara per il
gettito di cui all'art. 2, comma 3, dato che mancano la destinazione
a «nuove specifiche spese di carattere non continuativo», la
delimitazione temporale e la contabilita' distinta.
Inoltre, anche la riserva di cui al comma 36, primo periodo, non
rispetta le condizioni poste dall'art. 4 decreto del Presidente della
Repubblica n. 114/1965.
Infatti, la prima parte del comma 36 riserva all'Erario «le
maggiori entrate derivanti dal presente decreto» (per un periodo di
cinque anni, attraverso separata contabilizzazione) per destinarle
«alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della
eccezionalita' della situazione economica internazionale».
Dunque, e' assente il primo requisito sopra indicato, in quanto
il comma 36 non destina le maggiori entrate a «nuove specifiche
spese»: e' da ricordare che la sent. n. 182/2010 fece salva la norma
impugnata in quell'occasione (l'art. 13-bis, comma 8, del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78) proprio in quanto essa destinava
il gettito dell'imposta «al finanziamento della ripresa economica,
quali: il sostegno alle imprese, anche attraverso il finanziamento
del fondo di garanzia e l'alleggerimento del carico fiscale ...; gli
interventi sul mercato del lavoro, anche attraverso il finanziamento
del fondo per l'occupazione ...; il finanziamento degli investimenti
pubblici, con particolare riguardo alle infrastrutture e alle
attivita' di ricerca e sviluppo ...; il supporto alle famiglie, con
misure di salvaguardia del potere d'acquisto, di tutela dei piccoli
risparmiatori, di risposta all'emergenza abitativa ...; il
finanziamento della cooperazione internazionale allo sviluppo ...; il
finanziamento delle opere di ricostruzione dell'Abruzzo». Si tratta,
come si puo' vedere, di spese e finalita' ben diverse dal mero e
generale «raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
concordati in sede europea».
Escluso che il comma 36, primo periodo, possa trovare fondamento
nell'art. 4 decreto dele Presidente della Repubblica n. 114/1965, e'
anche da escludere che esso possa ricondursi all'art. 6, comma 2,
d.lgs. n. 8/1997, in base al quale, «nelle more del completamento del
processo di trasferimento e di delega di funzioni dallo Stato alla
regione, qualora la quota delle spese relative all'esercizio delle
funzioni delegate eventualmente a carico della regione ai sensi
dell'art. 4, comma 2, lettera b) [decreto del Presidente della
Repubblica n. 114/1965], fosse insufficiente al raggiungimento degli
obiettivi di risanamento della finanza pubblica, una quota del
previsto incremento del gettito tributario spettante alla regione -
ad esclusione in ogni caso degli incrementi derivanti dall'evoluzione
tendenziale ed al netto delle eventuali previsioni di riduzioni di
gettito - derivante dalle manovre correttive di finanza pubblica
previste dalla legge finanziaria e dai relativi provvedimenti
collegati, nonche' dagli altri provvedimenti legislativi aventi le
medesime finalita', non considerati ai fini della determinazione
dell'accordo relativo all'esercizio finanziario precedente, puo'
essere destinata al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio
della finanza pubblica previsti dai predetti provvedimenti, tenuto
conto altresi' delle spese a carico della regione per funzioni
trasferite in data successiva al 1° gennaio 1997».
Ad avviso della ricorrente Regione questa norma non e'
applicabile alla disciplina qui contestata, in quanto essa non ha
portata generale ma opera in relazione allo specifico accordo
annuale, tra Governo e Regione, che determinava «l'eventuale quota
che rimane a carico del bilancio della regione - per l'esercizio
oggetto dell'accordo - delle spese derivanti dall'esercizio delle
funzioni statali delegate alla medesima, in relazione alle manovre
correttive di finanza pubblica previste dalla legge finanziaria e dai
relativi provvedimenti collegati, nonche' dagli altri provvedimenti
legislativi aventi le medesime finalita', da determinarsi nei limiti
del previsto incremento del gettito tributario derivante dalle
manovre medesime, ad esclusione in ogni caso degli incrementi
derivanti dall'evoluzione tendenziale ed al netto delle eventuali
previsioni di riduzione del gettito» (art. 4, comma 2, lett. b)
decreto del Presidente della Repubblica n. 114/1965).
In ogni modo, anche qualora la disposizione di cui all'art. 6,
comma 2, d.lgs. n. 8/1997 fosse ritenuta applicabile, il comma 36,
primo periodo, non vi corrisponderebbe sia per l'unilateralita' della
riserva (essendo chiaro che l'art. 6, comma 2, presuppone l'accordo:
v. anche l'art. 6, comma 3) sia perche' riserva all'Erario tutte le
maggiori entrare e non solo «una quota del previsto incremento del
gettito tributario spettante alla regione».
Dunque, nella denegata ipotesi dell'applicabilita' dell'art. 6,
comma 2, d.lgs. n. 8/1997, lo Stato avrebbe pur sempre dovuto cercare
l'accordo con la Regione, non potendo unilateralmente alterare le
regole sulle compartecipazioni. Il comma 36, dunque, violerebbe pur
sempre il principio di leale collaborazione e, in particolare, il
principio consensuale che domina le relazioni finanziarie fra lo
Stato e le Regioni speciali.
Infatti, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e
Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo. Cosi', ad
es., la sent. n. 82 del 2007 ha riconosciuto che «la previsione
normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto speciale e
il Ministero dell'economia e delle finanze, per la determinazione
delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi
pagamenti, deve considerarsi un'espressione» della «speciale
autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni,
in forza dei loro statuti» (punto 6 del Diritto); e nella sent. n.
353 del 2004 la Corte ha affermato che il metodo dell'accordo (sempre
per la determinazione delle spese), introdotto per la prima volta
dalla legge finanziaria per il 1998 e riprodotto in tutte le leggi
finanziarie successivamente adottate, deve essere tendenzialmente
preferito ad altri, dato che «la necessita' di un accordo tra lo
Stato e gli enti ad autonomia speciale nasce dall'esigenza di
rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi».
Si puo' ricordare anche la sent. n. 39 del 1984, che ha annullato
un atto ministeriale che aveva unilateralmente modificato l'elenco
delle imposte ai fini dell'art. 49 dello Statuto, precisando che «il
legislatore statale ben potrebbe intervenire, se lo ritenesse
opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia: ma
dovrebbe farlo, comunque, dopo aver sentito la Regione (art. 65
Statuto Friuli-Venezia Giulia) e avendo i poteri per mettere ordine
nella complessa vicenda senza turbare i delicati rapporti coll'Ente
Regione».
Pertinente e' anche il richiamo alla sent. n. 98 del 2000, che ha
giudicato di alcune norme legislative statali che disponevano la
riserva a favore dell'erario delle entrate derivanti da altre
disposizioni e che erano contestate per violazione dello Statuto
siciliano e delle relative norme di attuazione. La Corte ha
riconosciuto l'esistenza del «principio. di leale cooperazione fra
Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la'
dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze fra
le rispettive sfere e i rispettivi ambiti finanziari», e ha
sottolineato che «sono espressioni significative di tale esigenza le
norme di attuazione di altri statuti speciali, le quali, a tal
proposito, contemplano procedimenti cui sono chiamate a partecipare
le Regioni». La Corte ha, dunque, statuito che le norme impugnate
dovevano prevedere «procedimenti non unilaterali, ma che contemplino
una partecipazione della Regione direttamente interessata».
Il principio consensuale e' stato ribadito piu' di recente,
proprio in relazione alla Regione Friuli-Venezia Giulia, dalla sent.
n. 74/2009, con cui la Corte costituzionale ha annullato l'art. 2,
comma 5, legge n. 244/2007 (finanziaria 2008), che limitava i
maggiori introiti a favore del bilancio della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia derivanti dall'applicazione del comma 4
dell'art. 1 del decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137. La Corte
ha ritenuto che la norma impugnata, ponendo un limite all'ammontare
annuo statutariamente spettante alla Regione delle ritenute sui
redditi da pensione, violasse il combinato disposto degli artt. 48 e
49 dello Statuto e dell'art. 1, comma 4, del citato decreto
legislativo di attuazione dello statuto. Dunque, codesta Corte ha
gia' escluso il potere del legislatore ordinario di incidere
direttamente sulla disciplina della compartecipazione introducendo un
tetto massimo al gettito spettante. Sarebbe stata semmai necessaria
una nuova norma di attuazione, fondata essa stessa sul principio
consensuale.
Si puo' ricordare, infine, la sent. n. 133/2010. La Provincia di
Trento aveva impugnato l'art. 9-bis, comma 5, d.-l. n. 78/2009, che
attribuiva al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di
fissare «i criteri per la rideterminazione, a decorrere dall'anno
2009, dell'ammontare dei proventi spettanti a regioni e province
autonome, compatibilmente con gli statuti di autonomia delle regioni
ad autonomia speciale e delle citate province autonome, ivi compresi
quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi erariali statali».
La Corte ha accolto le questioni sollevate nel ricorso, ritenendo che
tale norma incidesse sui rapporti finanziari intercorrenti tra lo
Stato, la Regione e le Province autonome, e che «pertanto avrebbe
dovuto essere approvata con il procedimento previsto dal citato art.
104 dello statuto speciale, ove e' richiesto il necessario accordo
preventivo di Stato e Regione».
In effetti, e' chiaramente illegittimo che lo Stato, con una
fonte primaria unilateralmente adottata, alteri in modo cosi'
rilevante l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e Regione,
laddove il principio consensuale e' da tempo riconosciuto in questa
materia.
Inoltre, la norma impugnata non rispetta l'art. 6, comma 2
(sempre nella denegata ipotesi che esso sia ritenuto applicabile),
anche perche' riserva all'erario tutte «le maggiori entrate», mentre
la norma di attuazione limita ad «una quota del previsto incremento
del gettito tributario» la possibilita' di destinazione «al
raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza
pubblica».
Infine, proprio perche' agli artt. 48 e 49 St. si e' derogato con
una fonte primaria «ordinaria» (nella specie, un decreto-legge
convertito), l'art. 2, commi 3 e 36, prima parte, violano anche gli
artt. 63, commi 1 e 5 (che prevedono il procedimento di revisione
costituzionale per le modifiche dello Statuto e la possibilita' di
modificare «le disposizioni contenute nel titolo IV. con leggi
ordinarie, su proposta di ciascun membro delle Camere, del Governo e
della Regione, e, in ogni caso, sentita la Regione») e l'art. 65 (che
disciplina la speciale procedura per l'adozione delle norme di
attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale.
Le norme impugnate alterano gravemente e unilateralmente la
relazione strutturale che intercorre tra il tributo erariale e la
compartecipazione statutaria regionale. Il legislatore costituzionale
ha posto a presidio dell'autonomia finanziaria della Regione il
meccanismo della compartecipazione ai tributi erariali che garantisce
l'approvvigionamento finanziario dell'ente in via del tutto
automatica. L'attribuzione del gettito e' rimessa, infatti,
esclusivamente all'operare della percentuale di spettanza
statutariamente prevista, applicata al gettito riscosso nel
territorio regionale.
L'art. 2, commi 3, ultimo periodo, e 36, primo periodo, violano
la struttura automatica della compartecipazione escludendo che talune
innovazioni fiscali possano tradursi in beneficio per l'entrata della
Regione, con cio' incidendo sull'autonomia che di tale automatismo
costituisce il portato.
La sent. n. 155/2006 di codesta Corte ha statuito che la Regione
Friuli-Venezia Giulia non puo' contestare nuove norme tributarie
statali che, incidendo su tributi erariali ai quali la Regione
compartecipa, comportino una riduzione del gettito per la Regione.
Proprio l'automatismo insito nella compartecipazione implica che la
Regione debba subire gli effetti - entro certi limiti - delle novita'
normative statali che hanno riflessi finanziari riduttivi (e infatti
anche il d.-l. n. 138/2011 contiene norme che, indirettamente,
incidono negativamente sulla finanza regionale, come quella che
prevede la deducibilita' del contributo di solidarieta' ai fini
Irpef). Se cosi' e', allora anche i vantaggi economici che derivano
dalla modifica di aliquote o da altre novita' normative concernenti i
tributi erariali devono andare, pro quota, a beneficio della Regione,
cosi' come prevede lo Statuto: ove, s'intende, non ricorrano gli
specifici presupposti previsti dalle norme di attuazione per la
riserva allo Stato.
b. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 36, secondo
periodo.
Il secondo periodo del comma 36 dell'art. 2 dispone che «con
apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da
emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le
modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata
contabilizzazione». Si tratta dunque di una norma volta a regolare
l'attuazione del primo periodo : la quale, pertanto, e' affetta dai
medesimi vizi sopra illustrati.
In subordine, essa e' poi censurabile specificamente ed
autonomamente sotto un ulteriore aspetto, cioe' per la mancata
previsione dell'intesa con questa Regione in relazione al decreto che
stabilisce le modalita' di individuazione del maggior gettito.
Infatti, poiche' si tratta di intervenire in relazione a risorse che
spetterebbero alla Regione, in una materia dominata dal principio
consensuale, risulta specificamente illegittima, per violazione del
principio di leale collaborazione, la previsione di un decreto
ministeriale. senza intesa con questa Regione.
c. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 36, terzo e
quarto periodo.
Il terzo ed il quarto periodo del comma 36 dell'art. 2
dispongono, rispettivamente, che «a partire dall'anno 2014, il
Documento di economia e finanza conterra' una valutazione delle
maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita' di
contrasto all'evasione» e che «dette maggiori entrate, al netto di
quelle necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla
riduzione del debito, confluiranno in un Fondo per la riduzione
strutturale della pressione fiscale e saranno finalizzate alla
riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie
e sulle imprese».
Il quarto periodo risulta, ad avviso della ricorrente Regione,
del tutto illegittimo, mentre il terzo periodo e' impugnato solo in
quanto l'attivita' di rilevazione in esso prevista e' finalizzata
all'attuazione del quarto periodo.
Si tratta, infatti, di maggiori entrate che non derivano
dall'aumento delle aliquote o dall'introduzione di nuovi tributi, ma
semplicemente dalla lotta all'evasione, cioe' da un piu' rigoroso
accertamento degli obblighi tributari preesistenti.
Le maggiori entrate che ne derivano sono pur sempre entrate
connesse alle aliquote e ai tributi esistenti, per alcuni dei quali
l'art. 49 dello Statuto prevede la compartecipazione regionale.
Manca dunque, in relazione ai tributi per i quali lo Statuto
prevede la compartecipazione regionale, qualunque fondamento per la
destinazione ad un Fondo statale di tali maggiori entrate, che
risulta pertanto totalmente illegittima.
La fondatezza di tale censura e' confermata anche dalla recente
sent. n.152/2011, che ha dichiarato «costituzionalmente illegittimo
l'art. 1, comma 6, del d.-l. n. 40 del 2010, nella parte in cui
stabilisce che le entrate derivanti dal recupero dei crediti
d'imposta ''sono riversate all'entrata del bilancio dello Stato e
restano acquisite all'erario'', anche con riferimento a crediti
d'imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel
territorio della Regione siciliana». La sentenza stabilisce che «e'
alla Regione siciliana. che spetta, non solo provvedere al detto
recupero, ma anche acquisire il gettito da esso derivante, posto che
tale gettito, lungi dal costituire frutto di una nuova entrata
tributaria erariale, non e' altro che l'equivalente del gettito del
tributo previsto (al di fuori dei casi nei quali e' concesso il
credito d'imposta), che compete alla Regione sulla base e nei limiti
dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965».
La medesima sent. n. 152/2011 ha poi annullato l'art. 3, comma
2-bis, d.-l. n. 40/2010, in quanto «la previsione della esclusiva
destinazione a fondi erariali del gettito derivante dalla definizione
agevolata di tali controversie inerenti alla contestazione di tributi
erariali che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio
regionale si pone in contrasto con il principio di cui all'art. 2
delle norme di attuazione, non potendo peraltro neppure ritenersi che
le entrate derivanti dalla richiamata definizione agevolata delle
controversie tributarie siano ''entrate nuove''».
Per quanto riguarda poi il terzo periodo del comma 36, esso e'
affetto dagli stessi vizi appena illustrati (essendo strettamente
collegato al quarto periodo).
Inoltre, ove in denegata ipotesi dovesse risultare legittimo il
trattenimento delle somme in questione al bilancio dello Stato, esso
risulterebbe illegittimo per violazione del principio di leale
collaborazione, perche' la quantificazione delle maggiori entrate
derivanti dalla lotta all'evasione viene operata senza intesa con
questa Regione, benche' tale quantificazione incida direttamente e
negativamente sulla dimensione delle risorse che spettano alla
Regione.
Anche in questo caso si tratta di una previsione dettata
unilateralmente dello Stato, che sconvolge l'assetto dei rapporti
finanziari Stato-Regione in violazione del principio consensuale,
dell'art. 4 decreto del Presidente della Repubblica n. 114/1965 e
dell'art. 6 d.lgs. n. 8/1997, dato che il comma 36, ultimo periodo,
non si occupa di risorse provenienti da «maggiorazioni di aliquote o
da altre modificazioni in ordine ai tributi devoluti alla regione»
(art. 4) o da «manovre correttive di finanza pubblica» (art. 6). Da
cio' deriva anche la violazione degli artt. 63 e 65 St., per le
medesime ragioni sopra viste.
P. Q. M.
Voglia codesta Ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 8, e
dell'art. 2, comma 3, ultimo periodo, e comma 36, se ritenuti
applicabili alla Regione, del d.-l. 13 agosto 2011, n. 138,
convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148, Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138,
recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e
per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della
distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, nelle arti, nei
termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso.
Padova, 10 novembre 2011
Prof. avv.: Falcon
ALLEGATI
1) Deliberazione della Giunta regionale 21 ottobre 2011, n.
1980.
2) Deliberazione della Giunta regionale 10 novembre 2011, n.
2070.
3) Capitolo 1601 del bilancio dello Stato.
4) Risoluzione dell'Agenzia delle entrate 15.2.2008, n. 50/E.