N. 14 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 gennaio 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 30 gennaio 2004 (della Regione Campania)
(GU n. 7 del 18-2-2004)

Ricorso della Regione Campania, in persona del presidente della
giunta regionale pro tempore, on. Antonio Bassolino, rappresentato e
difeso, giusta mandato a margine ed in virtu' delle deliberazioni
della giunta regionale n. 3875 del 30 dicembre 2003 e n. 25 del 10
gennaio 2004, dal prof. avv. Vincenzo Cocozza e dall'avv. Vincenzo
Baroni dell'Avvocatura regionale, insieme con i quali elettivamente
domicilia in Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione
Campania alla Via Poli n. 29;

Contro: il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 24
novembre 2003, n. 326, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del
25 novembre 2003, nella parte in cui converte con modifiche l'art. 32
del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, e quindi dell'art. 32
del d.l. medesimo, convertito e come modificato, che prevede il
«condono edilizio», sia nel suo complesso che in particolare i commi
1, 2, 3 e 5, da 14 a 23 e da 25 a 50 in parte qua.

F a t t o

1. - Con d.l. 30 settembre 2003, n. 269 recante «Disposizioni
urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento
dei conti pubblici» sono state adottate disposizioni relative a
diversi ambiti settoriali.
In tale contesto e' stato inserito l'art. 32, concernente una
nuova «sanatoria» edilizia, che ha riaperto, per la seconda volta in
pochi anni, i termini concessi per l'ottenimento del condono, con un
espresso rinvio, per quanto non previsto dal decreto, alla disciplina
della legge n. 47/1985.
Avverso l'art. 32 del d.l. n. 269/2003, sia in riferimento
all'intero intervento sia con specifico riferimento ai commi nn. 1,
2, 3 e 5, da 14 a 23 e da 25 a 50 in parte qua, la Regione Campania
ha promosso ricorso in via principale deducendo la lesione della
propria sfera di autonomia.
In data 24 novembre 2003 e' stata approvata la legge di
conversione n. 326 del citato decreto-legge, con cui sono state
apportate limitate modifiche a singole disposizioni, ma
sostanzialmente e' stato confermato l'impianto complessivo
dell'intervento legislativo e il contenuto normativo della
disciplina.
Avendo riguardo al testo legislativo integrato dalle modifiche
apportate dalla legge di conversione, si evidenzia che lo stesso
risulta confermativo dell'intervento normativo introdotto dal decreto
legge sia nei principi ispiratori, sia, sostanzialmente, anche nel
dato testuale.
La disciplina e' caratterizzata dalla introduzione di un condono
edilizio, che si vuole in qualche maniera «giustificare» con regole
tese a prefigurare, in assoluta antitesi con tale reale carattere,
interventi di riqualificazione.
La Regione Campania propone impugnativa nei confronti dell'intero
art. 32 del decreto legge convertito, in quanto contrastante con le
pronunce della Corte costituzionale, contraddittorio, invasivo delle
competenze regionali ed incoerente nelle sue ampie articolazioni
normative, e, in modo specifico, nei confronti di tutte quelle
disposizioni che contribuiscono nel loro collegamento, in modo piu'
immediato, ad introdurre «di nuovo» il condono e a tracciarne le
modalita' di svolgimento.
Sono, pertanto, specificamente indicati nell'oggetto di
impugnativa, i commi 1, 2, 3 e 5 che danno conto dell'impianto
generale; i commi da 14 a 23 che contemplano ipotesi particolari; i
commi da 25 a 31 che si occupano di individuare i modi di
operativita' della disposta sanatoria; e quelli da 32 e ss. che
delineano i procedimenti funzionali alla realizzazione e attuazione
del condono medesimo.
Si deve precisare che lo schema riassuntivo appena proposto tiene
conto dei contenuti essenziali funzionali alla configurazione
dell'intervento di sanatoria che la regione contrasta, in quanto
l'impugnativa e' proposta dalla Regione Campania per contestare anche
l'ammissibilita' di una regolamentazione legislativa statale in un
ambito che afferisce a proprie attribuzioni, predeterminando
condizioni per una vistosa alterazione dei margini di tutela e una
vanificazione del corretto esplicarsi della competenza regionale
della programmazione del territorio.
In particolare si segnalano, perche' significative, alcune
previsioni per cogliere in maniera immediata l'invasione della
competenza regionale denunciata ed i vizi complessivi dell'atto.
L'art. 32 intende disciplinare la «sanatoria delle opere
esistenti non conformi alla disciplina vigente» assumendo di voler,
cosi', pervenire alla regolarizzazione del settore (comma 1) e, in
particolare, l'adeguamento della «disciplina regionale ai principi
contenuti nel Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380» (comma 2). Mentre, come si dira', un'esigenza di tal
tipo non e' per nulla ipotizzabile.
Nel consentire la sanatoria di ampliamenti e realizzazioni di
nuove costruzioni, si prevede un limite di volumetria «per singola
richiesta di titolo abilitativo in sanatoria» (comma 25) e per le
piu' disparate tipologie di abusi, compresi quelli commessi non solo
in assenza di titolo ma anche in violazione delle norme e delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 26 e all. 1).
Inoltre, e' espressamente prevista una ipotesi di
silenzio-assenso sulle domande presentate nei termini di legge (comma
37).
Insomma, non e' revocabile in dubbio l'ampiezza degli effetti sul
territorio di una tale regolamentazione che incide sulla complessiva
politica programmatoria dell'ente locale.
Notevole e', ancora, e piu' in generale, che nell'atto impugnato
vi sia una disciplina descrittiva assai dettagliata delle procedure
per la presentazione e per l'ottenimento della sanatoria.
Una regolamentazione cosi' puntuale da non lasciare alcun margine
di intervento, con la conseguenza che quanto previsto dal comma 2, in
ordine all'affermato rispetto delle competenze delle autonomie locali
sul governo del territorio si configura come una mera clausola di
stile.
Un siffatto intervento, sia per lo strumento normativo adottato,
sia per la portata e i contenuti della previsione, e quindi le reali
finalita' che persegue, lede in modo grave l'autonomia regionale
concretando una serie di vizi di legittimita' costituzionale che
inducono alla proposizione del presente ricorso per i seguenti

M o t i v i

1. - Violazione degli art. 114 e 117 della Costituzione, nonche'
del combinato disposto degli artt. 3, 9, 32, 97 e 117 della
Costituzione. Lesione della sfera di competenza delle regioni.
Violazione della Convenzione europea del paesaggio in data 20 ottobre
2000. Violazione degli accordi sottoscritti dal Ministero per i
BB.CC.AA. e le regioni del 19 aprile 2001. Violazione del d.lgs.
112/1998. Violazione del principio di leale cooperazione.
In via preliminare si deve ribadire che, nella prospettazione dei
vizi avverso l'atto impugnato, le sentenze di codesta ecc.ma Corte
costituzionale, in relazione alle precedenti esperienze normative di
condono edilizio (legge n. 47/1985 e art. 39 legge n. 724/1994), ha
una assoluta rilevanza.
In particolare, come si dira' nel successivo motivo, la Corte ha,
tra l'altro, fissato un principio chiaro con riferimento alle
precedenti esperienze: la necessaria singolarita' e irripetibilita'
della disciplina del condono. La riproposizione di un tale
provvedimento contrasta con il giudicato costituzionale ed e'
pertanto illegittima.
Difatti, sono proprio le argomentazioni che la Corte ha posto a
fondamento di dette pronunce a fornire il piu' valido dei supporti
per sostenere che l'intervento statale impugnato e' affetto da
insanabili vizi di costituzionalita'.
Quell'impianto argomentativo, ovviamente, va considerato tenendo
conto della attuale vigenza di un diverso quadro costituzionale che
ha ridisegnato i rapporti Stato-regione rafforzando il ruolo di
quest'ultima. In tal maniera risultano piu' chiari i vizi anche di
invasione diretta e indiretta della competenza regionale.
Procedendo con ordine.
Va contestato, in primo luogo, l'intervento nel suo complesso (in
quanto volto a porre in essere una generale sanatoria edilizia)
perche' si realizza in un settore di competenza regionale attraverso
disposizioni di rango legislativo che, per di piu', sostanzialmente
esauriscono la disciplina escludendo l'intervento della regione.
1.a. - Il novellato art. 117 Cost. ancora a materie espressamente
previste la potesta' esclusiva dello Stato e concorrente
Stato-regione.
Scomparsa l'urbanistica dagli elenchi di cui all'art. 117 Cost. e
tenuto conto che la disciplina impugnata e' volta a sanare le
condotte antigiuridiche di coloro che hanno realizzato manufatti in
assenza di titoli abilitativi, occorre considerare quanto si debba
desumere dalla (e quanto incide la) nuova formulazione costituzionale
«governo del territorio».
Delle due l'una.
O la disciplina del condono va riferita alla materia urbanistica,
sub specie edilizia - concernente, cioe', la disciplina della
costruzione e manutenzione degli edifici - e si ritiene che la stessa
non vada ricompresa in quella «governo del territorio» ed allora lo
Stato e' intervenuto in un settore affidato alla potesta' legislativa
residuale della regione con la conseguente, irrimediabile
illegittimita' dell'intervento. Ovvero l'urbanistica, come
regolamentazione incidente sulla utilizzazione e trasformazione del
territorio, non puo' non appartenere a tale nuova materia del
novellato art. 117 Cost.
Vi sono argomenti per sostenere la prima tesi.
Se, infatti, si pone l'accento sulla nuova formulazione
costituzionale, si deduce soprattutto che essa involge la
regolamentazione incidente sulla utilizzazione e trasformazione del
territorio; il mutamento della formula dell'art. 117 non puo' essere
priva di significato e, pertanto, il riferimento a una funzione di
«governo» deve comportare di porre in risalto i profili di
programmazione e pianificazione.
In tal modo l'edilizia vera e propria nell'indicato significato
tradizionale di disciplina della costruzione e manutenzione degli
edifici, alla quale potrebbe collegarsi il «condono», certamente
all'interno del «governo del territorio», potrebbe anche avere una
sua piu' specifica autonomia connotativa.
Sulla base di tale ragionamento, l'ammissibilita' di una sfera di
competenza residuale delle regioni, attesa l'assenza della stessa fra
gli elenchi del nuovo art. 117 Cost., con la conseguente illegittima
invasione da parte della disciplina statale.
1.b. - Comunque, il risultato in ordine alla dedotta
illegittimita' non cambia collocandosi nella seconda ipotesi.
Anche in questo caso, dovendosi assegnare al mutamento della
formula identificativa dell'ambito materiale d'intervento concorrente
Stato-regione il significato che ponga in risalto i profili di
programmazione e pianificazione regionale, se ne devono trarre le
conseguenze.
In verita', prima della riforma costituzionale sul Titolo V,
proprio codesta ecc.ma Corte, dovendo caratterizzare l'intervento in
materia di condono, ha adoperato frequentemente l'espressione
«governo del territorio». Questo per esprimere la peculiarita' di una
disciplina che finisce per coinvolgere in maniera ampia tutte le
funzioni che attengono alla gestione, controllo, programmazione,
tutela di un bene essenziale per l'ente pubblico.
In tale materia, in questa ottica, di potesta' concorrente, lo
Stato deve limitarsi a fissare i principi fondamentali e, come e'
assolutamente agevole verificare, le disposizioni introdotte dal
decreto-legge convertito non possono in alcun modo proporsi come tali
alla stregua di quanto, invece, imposto dal terzo comma dell'art. 117
Cost.
Gli elementi che inducono a una conclusione nel senso indicato
sono, invero, molteplici.
1.b.1. - In primo luogo e' la stessa previsione di un'ipotesi di
nuova sanatoria che esorbita dalla nozione di principio inteso,
questo, come «modo di esercizio della potesta' legislativa regionale»
(cfr. Corte cost. n. 482/1995).
Vizio confermato dall'intera disciplina per la quale neanche
soccorre il criterio di cedevolezza delle disposizioni statali.
La natura eccezionale dell'intervento, in primo luogo, e, piu' in
particolare, i tempi stabiliti, le caratteristiche delle previsioni
introdotte, l'aver riguardo a condotte gia' realizzate, escludono del
tutto la possibilita' di un successivo intervento regionale, e
l'intero quadro giuridico dei rapporti risulta definito. D'altra
parte, si e' di fronte ad una ipotesi di «contenuto provvedimentale»,
che regola comportamenti gia' posti in essere, quindi non ipotetici e
futuri, ma situazioni pregresse, storicamente verificatesi,
determinate e concrete che escludono ancor di piu' la
configurabilita' di un principio fondamentale. Come l'ecc.ma Corte ha
anche di recente evidenziato puo' atteggiarsi come principio anche
una disciplina piu' specifica purche' esprima un obiettivo quale, ad
esempio, quello di una semplificazione delle procedure affinche'
queste «non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e
siano dirette a semplificare le procedure e a evitare la duplicazione
di valutazioni sostanzialmente gia' effettuate dalla pubblica
amministrazione» (Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303). Ma
l'imposizione di una «rinuncia» alla tutela di una corretta
pianificazione, come nell'ipotesi in esame, sfugge a qualunque
possibilita' di inquadramento come principio.
1.b.2. - La disciplina dei procedimenti dell'intervento
legislativo statale e' puntuale ed esaustiva, prevedendosi tutte le
fasi: sono contemplati espressamente i limiti di volumetria (comma
25) che la legge di conversione ha solo limitatamente modificato sul
piano quantitativo, le tipologie di illecito (comma 26), le ipotesi
di esclusione (comma 27), la disciplina dei termini (comma 28),
l'influenza di fattispecie penali nella sanatoria (commi 29 e 30) con
solo formale modifica nei riferimenti normativi, i rapporti con i
terzi (comma 31), i termini per la proposizione dell'istanza (comma
32), la documentazione da allegare (comma 35), l'ipotesi del
silenzio-assenso (comma 37), l'oblazione da corrispondere (comma 38 e
all. 1). E' perfino allegato il modello di domanda da presentare alle
autorita' competenti.
I pochi rinvii, effettuati dal decreto, alla normativa della
regione e al rispetto delle competenze di quest'ultima, si riducono
ad una vuota formula senza conseguenze.
In definitiva, viene attribuita alla regione unicamente la
possibilita' di «attuazione della normativa per le ipotesi di minore
impatto» (comma 26), ovvero di «prevedere un incremento della
oblazione», ma solo nella misura del 10% (comma 33).
1.b.3. - Ancora, non puo' non considerarsi che la fissazione di
principi fondamentali, che la Costituzione attribuisce allo Stato, e'
evidentemente funzionale alla individuazione di orientamenti e
direttive per una coordinata programmazione degli interventi delle
regioni e perche' si consenta all'ente territoriale un razionale
governo del territorio.
1.b.3.a. - Al riguardo, sul piano sistematico e generale, e',
infatti, evidente l'esigenza unitaria sottesa alle previsioni
costituzionali che prevedono riserve di intervento per lo Stato.
Soprattutto alla luce del differente rapporto Stato-regione disegnato
dal legislatore costituzionale, le competenze dello Stato rinvengono
un limite, per cosi' dire, «interno» e di «essenza» nella necessita'
di individuare regole comuni, funzionali alla tutela di valori che
vanno garantiti pur nella diversita' delle discipline regionali.
Per cio' che qui interessa, di sicuro, costituiscono alti
riferimenti da assumere come guida per i contenuti della disciplina
affidata allo Stato, il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), la
tutela paesaggistica nel suo significato piu' ampio individuato dalla
giurisprudenza costituzionale (art. 9 Cost.), la tutela della salute
(art. 32 Cost.), il buon andamento dell'amministrazione (art. 97
Cost.).
Nel caso di specie, laddove lo Stato ha posto in essere un
intervento incoerente con tali valori, si e' posto al di fuori della
propria sfera di competenza, in quanto ha negato i presupposti stessi
e il fondamento della specifica attribuzione.
1.b.3.b. - D'altro canto, anche per una conferma (di carattere
storico-normativo) puo' essere utile ricordare la disciplina organica
delle funzioni posta dal d.lgs. n. 112/1998.
Il capo II, recante la disciplina di riparto relativa al
«territorio e urbanistica» fornisca in questo senso una significativa
lettura finalistica dei compiti riservati a ciascun soggetto pubblico
nel settore relativo al governo del territorio laddove sancisce che
(art. 52) spettano allo Stato solo i compiti relativi alla
identificazione delle «linee fondamentali dell'assetto del territorio
nazionale con riferimento ai valori naturale e ambientali» (comma 1)
che vengono esercitati «attraverso intese» (comma 2) con i soggetti
territoriali interessati.
In tale direzione l'accordo sottoscritto, in data 19 aprile 2001,
fra il Ministro BB.AA.CC. e le regioni e' specificamente finalizzato
alla individuazione di quelle «linee fondamentali» previste dal
citato art. 52 del d.lgs. n. 112/1998, fra l'altro sulla base della
Convenzione europea del paesaggio firmata a Firenze il 20 ottobre
2000.
I contenuti di tale accordo mirano in particolare ad orientare i
criteri di pianificazione, coordinare le funzioni di vigilanza,
tenuto conto che «la tutela, la buona conservazione, la
riqualificazione, la valorizzazione del paesaggio costituiscono un
obiettivo prioritario di interesse nazionale».
In tal modo si e' confermato il contenuto di valore dell'ambito
di competenza attribuito allo Stato.
Le esigenze di fondo che e' compito dello Stato salvaguardare -
garantendo l'unita' su cui si basa, e trova limite, la sua competenza
- derivanti da principi fondamentali della Carta costituzionale
(artt. 3, 9, 32, 97), ma anche da accordi internazionali (Convenzione
europea) attuati attraverso le previste intese dei soggetti titolari
delle competenze di programmazione territoriale (Accordo 19 aprile
2002 sottoscritto fra il Ministero BB.AA.CC. e le regioni), appaiono
tutte contraddette dall'attuale intervento volto a sottrarre agli
enti locali la loro funzione di controllo e repressione dell'abuso
nonche' ripristino e valorizzazione del loro territorio.
Insomma, la norma costituzionale, nel fissare il rapporto fra
principi fondamentali (individuati con legge statale) e legislazione
regionale, propone non solo un limite quantitativo e oggettivo
all'esercizio della potesta', ma anche funzionale al rispetto di un
obiettivo, e cioe', per l'ipotesi in esame, la razionale
pianificazione.
Un intervento di condono, di per se' si pone in evidente
contrasto con un tale obiettivo ed ostacola qualunque esplicazione
dell'autonomia regolativa regionale che lo Stato deve, invece,
rispettare, potendo soltanto individuare quanto e' necessario per
garantire l'unita' dell'intervento normativo per fini di salvaguardia
e tutela del territorio.
1.b.3.c. - Siffatta conclusione e', invero, confermata e
avvalorata dai contenuti dell'atto impugnato.
La sanatoria e' ampia coinvolgendo una articolata tipologia di
abusi. In particolare, si consente il rilascio del titolo non solo
per manufatti realizzati in assenza o in difformita' dello stesso, ma
anche per opere realizzate in violazione delle norme edilizie e delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 1 - 25 - 26 e all.
1), imponendo alle autonomie locali di subire gli illeciti
urbanistici compiuti in dispregio della programmazione territoriale
gia' vigente e dei piani di zona, laddove questi impediscano o
limitino l'edificabilita' ovvero la condizionino a determinate
finalita'. Coerenza urbanistica e territoriale, dunque, violata, e di
cui si impedisce il recupero attraverso la vanificazione di ogni
intervento repressivo e, soprattutto, di ripristino.
Quanto sopra e' ulteriormente aggravato dalla circostanza che il
limite di volumetria viene riferito alla «singola richiesta di titolo
abilitativo edilizio in sanatoria» (comma 25) e, nonostante la
modifica relativa al singolo fabbricato, continua a non esservi una
relazione con l'area.
Per di piu', in base a una documentazione (tecnica e fotografica)
da presentarsi sino al 31 marzo 2004 (comma 35). Previsione inidonea
a certificare l'effettiva realizzazione dell'opera al 31 marzo 2003;
cio' determinera', come d'altronde hanno insegnato le pregresse
esperienze, un aumento dei fenomeni di abusivismo fino alla scadenza
del termine di presentazione delle domande.
A cio' si aggiunga, ancora, la previsione di ipotesi di
silenzio-assenso (comma 37), che permettera' di condonare anche
quegli abusi esclusi (pochi, in verita) dalla normativa impugnata.
2. - Violazione degli artt. 114 e 117 della Costituzione.
Violazione degli accordi sottoscritti dal Ministero per i BB.CC.AA. e
le regioni del 19 aprile 2001. Violazione dell'art. 77 Cost. e del
d.lgs. n. 281 del 28 agosto 1997, in particolare art. 2. Violazione
del principio di leale cooperazione.
Ne' un tale intervento puo' essere giustificato da esigenze di
carattere unitario.
Anche laddove queste ricorressero nel caso di specie (il che,
come si e' visto, non e), il legislatore statale avrebbe comunque
dovuto procedere secondo i canoni costituzionali di lealta' e
cooperazione che, nel caso di specie, trattandosi di un intervento
statale privo dei caratteri di normativa di principio in un ambito
materiale di potesta' legislativa concorrente, puo' realizzarsi solo
attraverso «una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il
dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento
orizzontale, ovverossia le intese che devono essere condotte in base
al principio di lealta» (Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303 cit.).
Al contrario, l'intervento e' caratterizzato, anche sotto il
profilo procedimentale, da evidenti vizi di illegittimita' sul piano
della leale cooperazione. Oltre a non aver perseguito le necessarie
intese, richieste dalla giurisprudenza costituzionale (sent.
303/2003), nonche' dalla normativa organica sulle funzioni (d.lgs.
n. 112/1998), l'utilizzo del meccanismo di decretazione d'urgenza ha
comportato l'esclusione della regione da qualsiasi possibilita' di
intervento.
Si ricorda che il d.lgs 28 agosto 1997, n. 281, art. 2 comma 3,
ha disposto che, nelle materie di competenza regionale, sia
«obbligatoriamente» sentita la Conferenza Stato-regioni e che tale
obbligo possa essere derogato solo in caso di urgenza (comma 4),
rinviando la consultazione in sede di esame delle leggi di
conversione dei decreti legge (comma 5). Ne consegue che, nel momento
in cui il Governo ha ritenuto di agire attraverso lo strumento
normativo di cui all'art. 77 Cost. in assenza dei presupposti
costituzionali, ha illegittimamente leso la sfera di competenza
garantita alle regioni. Illegittimita' non sanata dalla legge di
conversione.
3. - Ulteriore violazione degli art. 114 - 117 e 119 della
Costituzione. Lesione della sfera di competenza delle regioni.
3.1. - La dedotta, ulteriore, illegittimita' va riferita alla
mancanza, nell'intervento, di qualunque carattere che consenta allo
stesso di inserirsi nell'ambito della potesta' legislativa statale
relativa al «coordinamento della finanza pubblica».
In primo luogo la natura eccezionale dell'intervento contraddice
sia lo scopo della competenza (regolarizzazione del settore), sia,
ancora una volta, il carattere di principio che dovrebbe assumere
l'intervento legislativo in materia concorrente, ossia norma
fondamentale di governo dell'assetto finanziario pubblico. Ne' e'
consentito individuare la materia solo per lo scopo che il
legislatore intende perseguire. In tal senso l'indirizzo di codesta
ecc.ma Corte.
Ha chiarito, infatti, la Corte che la determinazione della
materia regionale deve farsi in modo obiettivo senza riferimento al
risultato da conseguire, cioe' senza riguardo all'influenza che su
essa puo' derivare dall'esercizio di poteri appartenenti a sfere
diverse (v. sentt. nn. 304/1987; 94 e 165 del 1986), in quanto cio'
che rileva primariamente, ai fini predetti, e' il contenuto e
l'oggetto specifico dell'atto normativo (Sentenza n. 433 del 1987).
Diversamente, soprattutto in tema di recupero erariale, sarebbe
sempre possibile per il potere centrale incidere nei settori di
spettanza regionale, giustificando ogni intervento non sugli aspetti
strutturali della normativa, ma sugli scopi (prettamente finanziari)
che si e' inteso perseguire.
E, naturalmente, la disciplina si mostra in contrasto con i
principi che il nuovo art. 119 Cost. ha fissato. I principi di
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario,
infatti, impongono una definizione dei ruoli con regole rispettose
dell'autonomia in un contesto di stabilita'.
I tratti dell'intervento, come piu' volte evidenziato, sono
irriducibili a tali principi.
3.2. - Analogo discorso va effettuato sulla potesta' legislativa
statale in materia di «tutela dell'ambiente». Anche in questo caso la
previsione impugnata tradisce la specifica ed espressa finalita'
connessa alla attribuzione di competenza legislativa. Sul punto
specifico, d'altra parte, la Corte ha gia' chiarito che l'intento del
legislatore costituzionale e' stato solo quello di «riservare allo
Stato il potere di fissare standard di tutela uniformi sull'intero
territorio nazionale» (sent. n. 07/2002).
4. - Violazione degli artt. 3, 9, 117, 118, 119 e 127 della
Costituzione. Violazione del principio di ragionevolezza. Violazione
del principio di leale cooperazione. Violazione del giudicato
costituzionale, in part. sentenze 416/1995 - 427/1995 - 369/1988 -
302/1988 e 231/1993.
La normativa e', inoltre, viziata per irragionevolezza sotto
molteplici aspetti.
Aiuta a dimostrarlo la giurisprudenza costituzionale cui
all'inizio si e' fatto riferimento.
4.a. - Il comma 2 dell'art. 32, come detto, reca una sorta di
motivazione a sostegno dell'intervento giacche' prevede che «la
normativa e' disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina
regionale ai principi contenuti nel testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con d.P.R.
6 giugno 2001, n. 380 ...».
In realta', pero', non vi e' stata alcuna innovazione normativa
nel settore (il testo unico n. 380/2001, tra l'altro, non ha
modificato l'impianto normativo complessivo in materia) e, in ogni
caso, pur laddove vi fosse stata, si applicherebbero comunque i nuovi
principi in attesa della loro attuazione. Ma soprattutto, non si
riesce in alcun modo a comprendere in qual maniera si possa collegare
questa terza sanatoria edilizia con una eventuale, gia' intervenuta,
modifica legislativa di settore. E quale sia il rapporto fra questa
disciplina e la successiva di livello regionale.
Sotto tale profilo, l'atto impugnato e', pero', ulteriormente
viziato perche' irragionevole anche rispetto agli scopi di carattere
economico (che comunque non possono giustificare ne' l'invasione di
competenza, ne' i danni arrecati al territorio), in quanto non tiene
conto degli effetti ulteriori e deleteri che tali previsioni
comportano anche solo in termini economici per gli enti territoriali.
Questi ultimi, infatti, dovranno far fronte a spese per
l'urbanizzazione e il recupero ambientale che gli oneri di
urbanizzazione, a carico di coloro che si avvantaggeranno della
sanatoria, non copriranno se non in maniera del tutto limitata.
Insomma, pur se non si volesse considerare come vizio la dedotta
difformita' tra il fine reale e quello dichiarato e volendo limitare
la valutazione al solo aspetto economico, la normativa si mostra
comunque viziata nel fine in quanto non in grado di raggiungerlo.
Anzi, proprio sul piano finanziario, si rinvengono ulteriori
elementi di vizio per l'illegittima compressione dell'autonomia
finanziaria regionale garantita dal novellato art. 119 Cost.:
attraverso il meccanismo contemplato dalla normativa impugnata si
toglie in termini economici alle autonomie locali (attesa la
necessita' da parte delle stesse di sopportare i costi prima
indicati) piu' di quanto non intenda recuperare l'erario. In tal
modo, si impone, fra l'altro, agli Enti territoriali l'impegno di
somme per determinate finalita' piuttosto che per altre ovvero la
necessita' di recuperare entrate ulteriori per far fronte alle nuove
spese.
4. - Ancora, va eccepita, in uno con il costo in termini di
legalita', l'ulteriore illegittimita' perche' si determina la
vanificazione degli interventi di programmazione e controllo locale.
Il condono edilizio, infatti, si caratterizza in quanto, come
osservato da codesta ecc.ma Corte, la possibilita' di tali sanatorie
comporta «effetti permanenti, di modo che il semplice pagamento di
oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato» (Corte
costituzionale 21-28 luglio 1995, n. 416), incidendo su beni - il
territorio e l'ambiente - che costituiscono risorse limitate,
rendendo irreversibili le conseguenze del danno e compromettendo la
corretta gestione e programmazione del territorio affidate alla
regione.
In tal senso, come e' noto, il Giudice costituzionale aveva
giustificato, pur nell'ambito di un diverso quadro costituzionale dei
rapporti Stato-regione, meccanismi di sanatoria, solo in quanto
destinati a non piu' ripetersi.
Come la Corte costituzionale ha chiarito, si e' trattato,
infatti, di «norme del tutto eccezionali» connesse a ragioni
«contingenti e straordinarie» (sent. 28 luglio 1995, n. 416), che
hanno attribuito al regime di sanatoria il carattere episodico e
delimitato temporalmente.
Con la sentenza del 28 luglio 1995, n. 416 la Corte ha
chiaramente affermato che, laddove vi fosse stato un «ulteriore e
persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del
commesso abusivismo edilizio ..., differenti sarebbero i risultati
della valutazione sul piano della ragionevolezza, venendo meno il
carattere contingente e del tutto eccezionale della norma (con le
peculiari caratteristiche della singolarita' ed ulteriore
irripetibilita) in relazione ai valori in gioco, non solo sotto il
profilo delle esigenze di repressione dei comportamenti che il
legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita'
in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della
tutela del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo» e
ha rilevato ancora che «la gestione del territorio sulla base di una
necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano
della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di
condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunita' ...» (cfr.
anche sentt. 427/1995; 369/1988; 302/1988; 231/1993).
La legalizzazione ex post di vere e proprie azioni antigiuridiche
determina (come gia' in passato) l'aspettativa di ulteriori
provvedimenti premiali.
Sotto tale profilo, fra l'altro, le pregresse esperienze offrono
elementi di giudizio anche sul piano degli effetti pratici
dell'intervento.
E i passati interventi di condono hanno inciso sulla relazione
centro-periferia, delegittimando il ruolo delle autorita' locali che,
con sempre maggiore determinazione, hanno dovuto impegnarsi per
arginare il fenomeno e recuperare il rapporto corretto con i
cittadini.
In tale direzione si segnala, soprattutto alla stregua della
riforma costituzionale introdotta dalla legge cost. 3/2001, un
notevole impegno normativo e amministrativo delle autonomie locali;
in particolare, per quanto qui da vicino ci riguarda, della Regione
Campania che si sta adoperando per un'efficace politica territoriale
che sarebbe del tutto compromessa dalla normativa impugnata.
Questa sanatoria (basata soltanto su esigenze di incasso che, in
quanto tali, sono sempre verificabili in futuro) vanificherebbe lo
sforzo delle amministrazioni in tal senso, frustrando, nel contempo,
i comportamenti legali dei soggetti privati.
In definitiva, dalle sentenze della Corte costituzionale discende
uno sbarramento insuperabile perche' il legislatore e' stato
avvertito che proprio per la eccezionalita' della circostanza, tale
strada non sarebbe stata piu' percorribile e, conseguentemente,
considerata legittima dalla Consulta, atteso anche il costo che ne
sarebbe derivato sul piano della legalita' e dell'efficace controllo
del territorio.
4.c. - La disciplina impugnata non sfugge ad una ulteriore
censura di illegittimita' costituzionale. E' evidente il contrasto di
un condono generale con l'art. 9 della Costituzione che pone quale
compito della Repubblica, quello di tutela del paesaggio e del
patrimonio artistico della Nazione e ancora dell'art. 117 terzo comma
che attribuisce alla regione la competenza legislativa relativa alla
valorizzazione dei beni ambientali.
Ed invero lo stesso termine adoperato dal Costituente nell'art. 9
(Repubblica) costituisce riprova di un impegno, nella direzione
indicata dalla norma costituzionale, imposto all'intera
organizzazione quale oggi risulta dall'art. 114 Cost. novellato,
ricomprendendovi l'articolazione territoriale.
Proprio questa notazione si mostra idonea ad evidenziare
ulteriormente la ricaduta del vizio di legittimita' dedotto sulle
competenze regionali, in quanto tale violazione si connette, fra
l'altro, a precise lesioni «dell'ordine delle competenze
costituzionalmente stabilito in vista dell'attuazione della predetta
tutela» (sent. n. 302/1988 cit.).
Tale «illegittimo uso» del potere legislativo da parte dello
Stato, comunque si voglia qualificare la materia oggetto della
disciplina censurata, incide in ogni caso sul governo del territorio
in quanto certamente inibisce scelte diverse di pianificazione e di
uso del territorio medesimo.
Ed ancora, consolidando situazioni illegali in aree cosi' estese,
comprime la competenza della regione nella «valorizzazione dei beni
ambientali», impedendo strategie complessive tese a scelte di
recupero ambientale e vanificando la regolazione regionale: risulta
violato cosi' «il principio costituzionale di concorrenza e
cooperazione delle competenze statali e di quelle regionali nella
tutela del paesaggio» (sent. n. 302/1988 cit.).
5. - Ulteriore violazione degli art. 114, 117 e 118 della
Costituzione. Violazione dell'art. 3 Cost. Irragionevolezza. Lesione
della sfera di competenza delle regioni. Violazione del principio di
leale cooperazione.
Come gia' precisato, tutto quanto sopra conduce alla
illegittimita' dell'intero intervento statale sul punto di cui
all'art. 32 come convertito, che si caratterizza per il prevedere,
con l'insieme dei suoi contenuti, una nuova sanatoria generalizzata.
Rispetto a cio' la disciplina contenuta nei commi poi specificati
nell'impugnativa, si pone come normativa che in modo ancor piu'
diretto e' funzionale alla previsione di condono, mostrando un
rapporto interno in relazione all'obiettivo.
Di qui i vizi di illegittimita' per violazione diretta e
indiretta dell'autonomia regionale.
Per alcuni di essi (commi) si prospettano, poi, i seguenti vizi,
confermativi, per un verso, di quanto detto, specifici, per altro:
a) commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20: in violazione
dell'art. 117 Cost. non prevedono alcun intervento dell'ente locale;
b) comma 25: la disposizione si mostra irragionevole nella
parte in cui non collega la volumetria assentibile a un limite
riferito anche all'area su cui insiste il fabbricato. Infatti, pur
con l'integrazione posta in essere dalla legge di conversione che
condiziona il rilascio del titolo al limite dei 3000 mc. per
fabbricato, continua il legislatore statale a non tener conto
dell'esigenza di considerare la specifica ampiezza dell'area su cui
gli immobili sono stati costruiti. E' facile immaginare che, con un
semplice «frazionamento» delle istanze potrebbero essere sanate
intere zone residenziali abusive, essendo sufficiente - proprio
perche' non vi e' un limite connesso al territorio - la realizzazione
di tanti autonomi fabbricati adiacenti;
c) comma 26: la disposizione e' ancora illegittima - per
violazione dei dedotti artt. 117 e 118 Cost. - nella parte in cui
(lett. a) rende sanabile qualsiasi abuso, anche in violazione delle
norme urbanistiche e prescrizioni degli strumenti urbanistici, non
condizionando il rilascio del titolo ad alcuna partecipazione degli
enti locali che tali strumenti di pianificazione hanno adottato. Ed
ancora nella parte in cui condiziona all'adozione di una legge
regionale (da approvarsi, peraltro, in tempi strettissimi) solo le
ipotesi di minore impatto sulla gestione e la programmazione del
territorio, non rispettandosi alcun margine di autonomia regionale;
d) commi 32 e 35: tali disposizioni, relative al procedimento
di condono, dettano una disciplina di assoluto dettaglio e
pervasivita' in contrasto con l'art. 117 Cost. - tale da escludere
qualsiasi tipo di partecipazione dell'ente locale anche in tale fase
pur meramente procedimentale. Come ricordato, e' fin anche allegato
il modello di domanda da presentare.
Pur volendo ritenere le stesse di natura suppletiva, e dunque
cedevoli, le disposizioni in esame non riuscirebbero comunque a
superare il vizio di illegittimita' eccepito.
Si e' gia' segnalato il recente orientamento della Corte riguardo
la piu' netta distinzione fra competenze regionali e statali
nell'ambito della potesta' legislativa concorrente (sent.
n. 282/2002), piu' rigorosa nel limitare la competenza statale alla
individuazione dei soli principi della materia. A cio' si aggiunga la
piu' chiara indicazione nel senso della inammissibilita' di norme
statali di dettaglio cedevoli (sent. n. 303/2003), laddove non
necessaria per «assicurare l'immediato svolgersi di funzioni
amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze
unitarie e che non possono essere esposte al rischio della
ineffettivita» (ipotesi che, come e' evidente, non ricorre nel caso
in esame).
D'altronde, anche dal punto di vista meramente pratico, e'
evidente che per tale compressione della sfera regionale sarebbe
fuorviante parlare di norme cedevoli, tenuto conto che si tratta di
un intervento che si esaurisce in un periodo breve, per cui la
normativa determinerebbe un inammissibile definitivo esautoramento
delle competenze regionali;
e) comma 37: tale norma e' irragionevole nella parte in cui
introduce una ipotesi di silenzio-assenso, collegando al semplice
decorso del termine l'ottenimento del titolo in sanatoria per
qualsiasi ipotesi. E' evidente, infatti, che introducendo una
previsione di sanatoria generale si verifichera' un intasamento degli
uffici territorialmente competenti e un rallentamento dell'esame
delle relative pratiche. Cio' significa la possibilita' che,
attraverso tale meccanismo, siano condonate anche ipotesi in astratto
sottratte al beneficio che qui si contesta. Ne' a cio' potrebbe porsi
rimedio attraverso l'esercizio dell'autotutela, laddove tali
provvedimenti, come e' noto, necessitano di ulteriori presupposti
rispetto alla mera rilevazione della illegittimita' dell'atto
implicito.
Istanza ai sensi degli artt. 35 e 40 della legge n. 87/1953.
Si produce istanza a codesta ecc.ma Corte affinche' valuti il
ricorrere dei presupposti per la sospensione dell'atto impugnato alla
luce delle renti modifiche apportate dalla legge 5 giugno 2003,
n. 131 alla legge n. 87/1953, in part. artt. 35 e 40.
L'esperienza di passati condoni ha insegnato che simili
provvedimenti legislativi, producendo nella societa' una notevole
aspettativa di sanatoria, inevitabilmente determinano un aumento
vertiginoso, soprattutto nel primo periodo di attuazione della legge,
dei fenomeni di abusivismo. In tal senso vi e', dunque, quel rischio
di ulteriore irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico connesso
alla salvaguardia dell'ambiente e alla ordinata programmazione e
pianificazione urbanistica affidata alla Regione. L'eventuale
sospensione, nel mentre non comporterebbe alcuna conseguenza di
danno, costituirebbe un efficace baluardo per impedire ulteriori
compromissioni del territorio fino alla decisione nel merito
dell'ecc.ma Corte.


P. Q. M.
Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in
accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita'
costituzionale della legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in
cui converte con modifiche l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre
2003, n. 269, e quindi dell'art. 32 del decreto-legge medesimo, nei
termini indicati, per violazione degli artt. 3 - 9 - 32 - 77- 97 -
114 - 117 - 118 - 119 e 127 Cost. dei principi di ragionevolezza e di
leale cooperazione fra Stato e regione e per lesione della sfera di
competenza della regione.
Napoli-Roma, addi' 20 gennaio 2004
Prof. Avv. Vincenzo Cocozza - Avv. Vincenzo Baroni

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