Ricorso n. 14 del 7 marzo 2007 (Regione Lombardia)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 marzo 2007 , n. 14
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 7 marzo 2007 (della Regione Lombardia)
(GU n. 15 dell'11-4-2007)
Ricorso della Regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, on. dott. Roberto Formigoni, autorizzato con delibera di giunta regionale n. VIII/004172 del 21 febbraio 2007, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, dagli avv. Pio Dario Vivone e prof. Beniamino Caravita di Toritto e presso lo studio del secondo elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana n. 6; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dei commi 362, 363, 364, 365; 389; 853; 892, 893, 894, 895; 1121, 1122, 1123; 1227, 1228; 1252; 1261; 1267; 1284; 583, 584, 585; 610, 611; 622, 624, 631; 1226, dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)", pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006, n. 299 - Serie generale per violazione degli artt. 117, 118, 119 della Costituzione, nonche' dei principi costituzionali di leale collaborazione (art. 120), di buon andamento (art. 97) e di ragionevolezza (art. 3). La legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)", pubblicata nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006, n. 299 - Serie generale, e' composta da un articolo unico suddiviso in 1364 commi. Si tratta, come e' ormai prassi per i provvedimenti legislativi relativi alla manovra finanziaria, di un ampio complesso di disposizioni variegate ed eterogenee, molte delle quali, a loro volta, ulteriormente sottoarticolate. La legge n. 296 del 2006 e' completata infine da una serie di documenti cosi' denominati: Tabelle 1, 2, 3, Elenco 1, Allegati 1, 2, Prospetto di copertura, Tabelle A, B, C, D, E, F, Lavori preparatori. Nell'effettuare tale complessa manovra finanziaria, Governo e Parlamento non hanno tuttavia tenuto nel debito conto i profili, cosi' come evidenziati nella giurisprudenza costituzionale, dell'autonomia regionale, specie sotto il profilo della disciplina dei finanziamenti. Cosi', nel coacervo delle disposizioni contenute nella legge n. 296 del 2006, la Regione Lombardia ha individuato una serie di previsioni direttamente e immediatamente lesive della propria autonomia, che qui di seguito vengono impugnate. 1. - Violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' dei principi di leale collaborazione (art. 120), di buon andamento dell'amministrazione (art. 97) e di ragionevolezza (art. 3), da parte dell'art. 1, commi 362, 363, 364, 365; 389; 853; 892, 893, 894, 895; 1121, 1122, 1123; 1227, 1228; 1252; 1261; 1267; 1284 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)". 1.1. - Le citate disposizioni sono relative all'istituzione e all'implementazione di fondi statali in materie di competenza regionale ed evidenziano comuni aspetti di illegittimita' costituzionale, che saranno esposti e circostanziati al termine della sintetica illustrazione dei contenuti dei commi stessi. 1.1.1. - Fondo per la copertura di interventi di efficienza energetica e di riduzione dei costi della fornitura energetica per finalita' sociali (commi 362, 363, 364, 365). I commi 362, 363, 364 e 365 sono relativi alla costituzione e implementazione di un fondo "per la copertura di interventi di efficienza energetica e di riduzione dei costi della fornitura energetica per finalita' sociali". Il comma 362, nel prevedere la costituzione del fondo, stabilisce che esso e' alimentato dal "maggior gettito fiscale derivante dall'incidenza dell'imposta sul valore aggiunto sui prezzi di carburanti e combustibili di origine petrolifera, in relazione ad aumenti del prezzo internazionale del petrolio greggio, rispetto al valore di riferimento previsto nel Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2007-2011". L'ammontare dell'incremento di gettito destinato al Fondo e' limitato ad un massimo di 100 milioni di euro annui. Il comma 363 chiarisce poi che il Fondo e' istituito nell'ambito dello "stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico" e che, "per il triennio 2007-2009, ha una dotazione iniziale di 50 milioni di euro annui". Il comma 364 stabilisce che le condizioni, le modalita' e i termini per l'utilizzo del Fondo sono determinate con "decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico" entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007). La dotazione del Fondo, specifica ancora il comma 364, e' destinata al "finanziamento di interventi di carattere sociale, da parte dei comuni, per la riduzione dei costi delle forniture di energia per usi civili a favore di denti economicamente disagiati, anziani e disabili", oltre che, per una somma di 11 milioni di euro annui per il biennio 2008-2009, agli interventi di efficienza energetica di cui ai commi da 353 a 361. Il successivo comma 365 precisa infine che per implementare le norme di attuazione per l'utilizzo del Fondo "sono stipulati accordi tra il Governo, le regioni e gli enti locali che garantiscano la individuazione o la creazione, ove non siano gia' esistenti, di strutture amministrative, almeno presso ciascun comune capoluogo di provincia, per la gestione degli interventi di cui al comma 364, i cui costi possono in parte essere coperti dalle risorse del Fondo di cui al comma 362". 1.1.2. - Fondo per l'abbattimento delle barriere architettoniche (comma 389). Il comma 389 istituisce presso il Ministero dello sviluppo economico un "fondo con una dotazione di 5 milioni di euro destinato all'erogazione di contributi ai gestori di attivita' commerciali per le spese documentate e documentabili sostenute entro il 31 dicembre 2007 per l'eliminazione delle barriere architettoniche nei locali aperti al pubblico". La disposizione impugnata prevede inoltre che entro settanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007) "il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, adottato d'intesa con i Ministri dello sviluppo economico e della solidarieta' sociale, definisce modalita', limiti e criteri per l'attribuzione dei contributi", previsti dalla stessa disposizione. 1.1.3. - Fondo a sostegno delle imprese: individuazione dei requisiti delle imprese destinatarie degli interventi (comma 853). Il comma 853 dispone che gli interventi relativi al "Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficolta" (fondo previsto dall'art. 11, comma 3, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80), sono disposti sulla base di criteri e modalita' fissati con delibera del CIPE, su proposta del Ministro dello sviluppo economico. Il comma 853 stabilisce inoltre che tale delibera "determina, in conformita' agli orientamenti comunitari in materia, le tipologie di aiuto concedibile, le priorita' di natura produttiva, i requisiti economici e finanziari delle imprese da ammettere ai benefici e per l'eventuale coordinamento delle altre amministrazioni interessate". La norma precisa inoltre che per l'attuazione degli interventi "il Ministero dello sviluppo economico puo' avvalersi, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato, di Sviluppo Italia S.p.A." e dispone infine l'abrogazione della precedente disciplina sul punto (in particolare dei commi 5 e 6 dell'art. 11 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80). 1.1.4. - Contributo per la realizzazione dei progetti per la societa' dell'informazione e fondo per il sostegno agli investimenti per l'innovazione negli enti locali (commi 892, 893, 894, 895). I commi 892, 893, 894, 895 adottano misure finalizzate alla realizzazione di progetti "per la societa' dell'informazione" e dispongono l'istituzione di un fondo per il sostegno agli investimenti per l'innovazione negli enti locali. In particolare, il comma 892 autorizza una spesa annuale di 10 milioni di euro per il triennio 2007-2009 e dispone che, entro quattro mesi dall'entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali per gli interventi relativi alle regioni e agli enti locali, individua, con decreto di natura non regolamentare, le azioni da realizzare sul territorio nazionale, le aree destinatarie della sperimentazione e le modalita' operative e di gestione di tali progetti. Il seguente comma 893 istituisce un fondo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, denominato "Fondo per il sostegno agli investimenti per l'innovazione negli enti locali". La dotazione finanziaria prevista e' pari a 15 milioni di euro annuali per il triennio 2007-2009. Il fondo e' destinato al finanziamento di "progetti degli enti locali relativi agli interventi di digitalizzazione dell'attivita' amministrativa", con particolare attenzione ai procedimenti di diretto interesse dei cittadini e delle imprese (comma 893). Il comma 894 stabilisce poi che i criteri di distribuzione delle risorse stanziate attraverso tale Fondo sono definiti con "successivo decreto dei Ministri per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e per gli affari regionali e le autonomie locali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze". Il decreto e' adottato sentita la Conferenza unificata Stato citta' regioni e previo "parere della Commissione permanente per l'innovazione tecnologica nelle regioni e negli enti locali", prevista dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 ("Codice dell'amministrazione digitale" e in particolare dall'art. 14, comma 3-bis). Infine, il comma 895 dispone che "nella valutazione dei progetti da finanziare, di cui al comma 892" (relativi cioe' alla cosiddetta "societa' dell'informazione"), sono privilegiati "quelli che utilizzano o sviluppano applicazioni software a codice aperto". La stessa norma prevede inoltre che gli elementi costitutivi dei software elaborati nell'ambito di tali progetti ("i codici sorgente, gli eseguibili e la documentazione") sono mantenuti in un "ambiente" che ne consenta lo sviluppo, secondo modalita' di tipo "cooperativo". A tal fine e' disposto che i programmi informatici vengano situati su un "web individuato dal Ministero per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione al fine di poter essere visibili e riutilizzabili". 1.1.5. - Istituzione del Fondo per la mobilita' sostenibile nelle aree urbane (commi 1121, 1122, 1123). I commi 1121, 1122 e 1123 sono relativi alla istituzione di un "Fondo per la mobilita' sostenibile nelle aree urbane" e alla determinazione delle relative destinazioni. Secondo quanto previsto dal comma 1121, il Fondo e' istituito nell'ambito dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Esso consiste in uno stanziamento annuale di 90 milioni di euro per il triennio 2007-2009. Lo scopo del Fondo e' il finanziamento di "interventi finalizzati al miglioramento della qualita' dell'aria nelle aree urbane e al potenziamento del trasporto pubblico". Ai sensi del comma 1122 le risorse del Fondo sono destinate, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei trasporti, all'adozione di numerose misure, gia' individuate ed enumerate dalla disposizione stessa: potenziamento dei mezzi pubblici, soprattutto dei meno inquinanti e nell'ambito dei comuni "a maggiore crisi ambientale"; incentivi per l'intermodalita' e per la mobilita' sostenibile; valorizzazione degli strumenti del mobility managment e del car sharing; percorsi vigilati protetti casa-scuola; miglioramento della logistica per la consegna e la distribuzione delle merci; realizzazione e potenziamento di forme di distribuzione di carburante alternativo (gas metano, gpl, energia elettrica, idrogeno); promozione di reti urbane di percorsi destinati alla mobilita' ciclistica. Il comma 1123 dispone infine la destinazione di una quota non inferiore al 5 per cento del fondo in favore di uno specifico fondo preesistente, e cioe' del fondo per la mobilita' ciclistica previsto dalla legge 19 ottobre 1998, n. 366. 1.1.6. - Autorizzazioni di spesa per interventi a sostegno del settore turistico (commi 1227, 1228). I commi 1227 e 1228 recano misure per il sostengo del settore turistico. In particolare, il comma 1227 autorizza la spesa annua di 10 milioni di euro per il triennio 2007-2009, secondo un regolamento da emanare su proposta della "Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per lo sviluppo e la competitivita' del turismo". Il successivo comma 1228 autorizza invece una spesa annua di 48 milioni per il triennio 2007-2009 per interventi finalizzati all'incentivazione dell'offerta delle imprese turistico-ricettive e alla promozione del turismo ecocompatibile; la stessa disposizione stabilisce inoltre che il Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adotta, entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, un "decreto recante l'individuazione dei criteri, delle procedure e delle modalita' di attuazione" delle previsioni contenute neI citato comma 1228. 1.1.7. - Ripartizione del fondo per le politiche per la famiglia (comma 1252). Al comma 1252 la legge finanziaria per il 2007 prevede che la ripartizione degli stanziamenti relativi al Fondo delle politiche per la famiglia sia operata dal "Ministro delle politiche per la famiglia" con proprio decreto. 1.1.8. - Incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunita'; Fondo e Osservatorio contro la violenza sessuale e di genere (comma 1261). Il comma 1261 prevede poi l'incremento delle risorse per il "Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunita" (gia' previsto dall'art. 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248). Tale incremento e' fissato in misura di 40 milioni di euro annui per il triennio 2007-2009, "di cui una quota per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, da destinare al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere". Analogamente a quanto previsto per la ripartizione del fondo per le politiche per la famiglia, e' previsto che i criteri di ripartizione del Fondo sono stabiliti dal "Ministro per i diritti e le pari opportunita', con decreto emanato di concerto con i Ministri della solidarieta' sociale, del lavoro e della previdenza sociale, della salute e delle politiche per la famiglia". E' altresi' disposto che i criteri determinati dal Ministro dovranno prevedere "una quota parte da destinare all'istituzione di un Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere e una quota parte da destinare al piano d'azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere". 1.1.9. - Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati (comma 1267). Il comma 1267 istituisce presso il Ministero della solidarieta' sociale il "Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati" al fine di favorire "l'inclusione sociale dei migranti e dei loro familiari". Al fondo e' assegnata la somma di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. Secondo quanto previsto dalla norma istitutiva, il Fondo e' inoltre finalizzato alla realizzazione di un "piano per l'accoglienza degli alunni stranieri, anche per favorire il rapporto scuola-famiglia, mediante l'utilizzo per fini non didattici di apposite figure professionali madrelingua quali mediatori culturali". 1.1.10. - Fondo di solidarieta' per il maggior accesso alle risorse idriche (comma 1284). Infine il comma 1284 istituisce un fondo di solidarieta' per il maggior accesso alle risorse idriche: il fondo, stabilito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, e' finalizzato a promuovere il "finanziamento esclusivo di progetti ed interventi, in ambito nazionale e internazionale, atti a garantire il maggior accesso possibile alle risorse idriche secondo il principio del/a garanzia dell'accesso all'acqua a livello universale". La stessa disposizione introduce inoltre, quale strumento di finanziamento del fondo stesso, "un contributo pari a 0,1 centesimi di euro" "per ogni bottiglia di acqua minerale o da tavola in materiale plastico venduta al pubblico". Le modalita' di funzionamento e di erogazione delle risorse del fondo sono "indicate" con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata Stato, citta', regioni. Infine, la norma autorizza il Ministero dell'economia e delle finanze a emanare i regolamenti attuativi necessari. 1.2. - Dall'esposizione del contenuto delle norme appena richiamate si evince in maniera netta l'inesistente, ovvero del tutto marginale, coinvolgimento della regione in materie di propria competenza concorrente o residuale, e la conseguente palese violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, oltre che dei principi di leale collaborazione (art. 120), di buon andamento dell'amministrazione (art. 97) e di ragionevolezza (art. 3). Il testo costituzionale novellato a seguito della riforma del Titolo V del 2001 individua una stretta correlazione tra gli artt. 119 e 117: in particolare le funzioni pubbliche relative a materie di competenza regionale piena o concorrente debbono essere finanziate con le risorse proprie cui si riferisce l'art. 119, comma 4, della Costituzione (tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e quote del fondo perequativo senza vincolo di destinazione). E' ben noto come a sei anni di distanza dall'entrata in vigore del nuovo testo del Titolo V, il "federalismo fiscale" previsto dall'art. 119 - che, insieme agli artt. 117 e 118 opera come vero e proprio "distributore" della sovranita' popolare tra le istituzioni della Repubblica - non abbia ancora trovato attuazione. Il meccanismo - complicato si, ma non impossibile, di finanziamento delle autonomie non e' decollato, rendendo monco ogni discorso sulla corretta attuazione anche degli artt. 117 e 118. Cosi' la Corte ha dovuto porre dei paletti all'atteggiamento statale - a prescindere dal colore dei governi - di operare come se il nuovo Titolo V non fosse mai entrato in vigore e, pur riconoscendo che l'attuazione e' compito precipuo del legislatore, ha iniziato a fissare qualche vincolo, di tipo transitorio. Cosi', in particolare, la Corte ha stabilito che dal nuovo Titolo V deriva l'eliminazione o comunque la riduzione dell'ambito dei finanziamenti erariali vincolati, espressione tipica della finanza c.d. derivata. Anche in attesa dell'attuazione dell'art. 119, in linea generale, secondo l'orientamento di codesta ecc.ma Corte, deve ritenersi preclusa la possibilita' di interventi finanziari statali non coerenti con il vigente riparto di competenze tra Stato e regioni. Pertanto, la previsione di fondi a destinazione vincolata, relativi ad ambiti di competenza regionale, costituisce strumento di interferenza e di sovrapposizione agli indirizzi che la Costituzione assegna all'autonoma determinazione delle regioni. La Corte e' cosi' intervenuta in diverse occasioni tentando di arginare le ingerenze statali in materie regionali tramite lo strumento dei finanziamenti, dichiarando incostituzionali trasferimenti statali vincolati ovvero l'istituzione di fondi in materia di competenza regionale, diretti a sostenere attivita' di competenza regionale, ad eccezione dei casi di interventi speciali previsti dall'art. 119, comma 5, Cost. Ed infatti, gia' a partire dalla prima pronuncia sul punto, la sentenza n. 370 del 2003 (in materia di asili nido), codesta ecc.ma Corte ha affermato che, se il meccanismo di finanziamento predisposto dalla disposizione censurata "era coerente con il precedente assetto legislativo, ...non e' piu' utilizzabile a seguito dei rilevanti mutamenti introdotti dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della seconda parte della Costituzione)". Difatti, "Il nuovo art. 119 della Costituzione, prevede espressamente, al quarto comma, che le funzioni pubbliche regionali e locali debbano essere "integralmente" finanziate tramite i proventi delle entrate proprie e la compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio dell'ente interessato, di cui al secondo comma, nonche' con quote del "fondo perequativo senza vincoli di destinazione", di cui al terzo comma. Gli altri possibili finanziamenti da parte dello Stato, previsti dal quinto comma, sono costituiti solo da risorse eventuali ed aggiuntive "per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio" delle funzioni, ed erogati in favore "di determinati comuni, province, citta' metropolitane e regioni". Pertanto, conclude la Corte, "nel nuovo sistema, per il finanziamento delle normali funzioni di regioni ed enti locali, lo Stato puo' ero gare solo fondi senza vincoli specifici di destinazione, in particolare tramite il fondo perequativo di cui all'art. 119, terzo comma, della Costituzione", mentre altri possibili finanziamenti (eventualmente vincolati) a carico del bilancio statale sono ammissibili solo nelle ipotesi e per le finalita' tassativamente previste nel citato comma 5 dell'art. 119 Cost. Nella successiva sent. n. 16 del 2004 (che censura il Fondo per la riqualificazione urbana dei comuni) la Corte e' stata ancora piu' netta quando ha subordinato la validita' di un intervento finanziario diretto dello Stato al caso in cui si versi nell'attuazione di discipline dettate dalla legge statale nelle materie di propria competenza ovvero nella disciplina degli speciali interventi in favore di determinati comuni (ex art. 119, comma 5). E cosi', nel nuovo contesto delineato dagli artt. 117 e 119 Cost. "non possono trovare oggi spazio interventi finanziari diretti dello Stato a favore dei comuni, vincolati nella destinazione, per normali attivita' e compiti di competenza di questi ultimi, fuori dall'ambito dell'attuazione di discipline dettate dalla legge statale nelle materie di propria competenza, o della disciplina degli speciali interventi finanziari in favore di determinati comuni, ai sensi del nuovo art. 119, quinto comma. Soprattutto non sono ammissibili siffatte forme di intervento nell'ambito di materie e funzioni la cui disciplina spetta invece alla legge regionale, pur eventualmente nel rispetto (quanto alle competenze concorrenti) dei principi fondamentali della legge dello Stato. Gli interventi speciali previsti dall'art. 119, quinto comma, a loro volta, non so/o debbono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento integra/e (art. 119, quarto comma) delle funzioni spettanti ai comuni o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma debbono essere indirizzati a determinati comuni o categorie di comuni (o province, citta' metropolitane, regioni). L'esigenza di rispettare il riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e regioni comporta altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all'interno del proprio territorio". E' di tutta evidenza, pertanto, come non rispondano al novellato quadro costituzionale trasferimenti statali vincolati nella destinazione, in quanto si configurerebbero come "uno strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle regioni negli ambiti materiali di propria competenza". La sentenza n. 320 del 2004, muovendosi nel solco ormai tracciato, ha aggiunto ulteriori elementi interessanti. In questa occasione, codesta ecc.ma Corte ha censurato la previsione di fondi statali vincolati finalizzati all'erogazione di aiuti alle imprese nell'ambito di materie di competenza regionale (nella specie si trattava di incentivi alla promozione di servizi di asilo nido e di "micro-nidi" in ambito aziendale). E' stata, infatti, rigettata la tesi del Governo, che aveva sostenuto la sostanziale "neutralita" di siffatti interventi finanziari rispetto all'autonomia di entrata e di spesa delle regioni attesi, da un lato, il loro carattere aggiuntivo - integrativo rispetto alle ulteriori risorse (eventualmente) stanziate per le medesime finalita' a livello regionale e, dall'altro, la loro destinazione diretta ad appannaggio di soggetti privati, senza alcun "transito" attraverso i bilanci regionali. Secondo la Corte, viceversa, "il tipo di ripartizione delle materie fra Stato e regioni di cui all'art. 117 Cost. vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, in linea generale, si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati a soggetti privati, poiche' cio' equivarrebbe a riconoscere allo Stato potesta' legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze". La logica e' la stessa che emerge dai precedenti sopra richiamati, tuttavia estesa dall'area delle relazioni finanziarie interne al settore pubblico all'area delle relazioni finanziarie fra quest'ultimo ed il settore privato. Se questi appena riportati sono i principi affermati in materia dalla giurisprudenza costituzionale, si deve ora riportare l'attenzione di codesta ecc.ma Corte su quelli che sono gli specifici profili di incostituzionalita' dei commi qui censurati, precisando sin da subito che in nessuno dei finanziamenti ivi previsti, e' possibile rintracciare quei profili attinenti alla dimensione macroeconomica che sono i soli che potrebbero permettere di attrarre interventi finanziari statali nell'ambito di competenza esclusiva della tutela della concorrenza (vedi da ultimo ex multis, sentenza n. 134 del 2005 e la ivi richiamata n. 272 del 2004). 1.2.1. - Fondo per la copertura di interventi di efficienza energetica e di riduzione dei costi della fornitura energetica per finalita' sociali (commi 362, 363, 364, 365). Orbene, i commi 362, 363, 364, 365 dispongono la costituzione e implementazione di un fondo "per la copertura di interventi di efficienza energetica e di riduzione dei costi della fornitura energetica per finalita' sociali". Il comma 362 provvede alla creazione del fondo per mezzo della destinazione di quote prefissate di gettito fiscale secondo un modello di "finanza derivata", mentre il successivo comma 363 determina la consistenza della dotazione iniziale del Fondo. Tali previsioni sono, con ogni evidenza, incompatibili con il modello stabilito dall'art. 119 Cost., in particolare per quel che attiene l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa attribuito alle regioni dal comma 1 della norma costituzionale. Secondo l'orientamento espresso da codesta ecc.ma Corte, infatti, "sul piano finanziario, in base al nuovo testo dell'art. 119, le regioni - come gli enti locali - sono dotate di "autonomia finanziaria di entrata e di spesa" (primo comma) e godono di "risorse autonome" rappresentate da tributi ed entrate propri, nonche' dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio (secondo comma). E per i territori con minore capacita' fiscale per abitante, la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo "senza vincoli di destinazione" (terzo comma). Nel loro complesso tali risorse devono consentire alle regioni ed agli altri enti locali "di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite" (quarto comma). Non di meno, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali, di favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona o di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato puo' destinare "risorse aggiuntive" ed effettuare "interventi speciali" in favore "di determinati comuni, province, citta' metropolitane e regioni" (quinto comma)" (sentenza n. 423 del 2004 e le ivi richiamate sentt. nn. 370 del 2003, 16, 37, 49 e 320 del 2004). Il fondo istituito dal comma 362 e' relativo ad "interventi di efficienza energetica e di riduzione dei costi della fornitura energetica per finalita' sociali". Esso ricade dunque, in maniera inequivocabile, in un ambito di competenze riservato alla potesta' legislativa regionale concorrente, agevolmente riconducibile, secondo la lettera dell'art. 117, comma 3 della Costituzione, alla "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia". Nonostante questa evidente competenza regionale, i commi 362 e 363 dell'art. 1 della legge 296 del 2006 non contengono alcuna previsione relativa a forme di codeterminazione con la regione delle misure ivi contemplate. Peraltro, il seguente comma 364, mentre da un lato individua in un decreto ministeriale (emesso dal Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico) lo strumento per la determinazione di "condizioni, modalita' e termini per l'utilizzo della dotazione del Fondo", dall'altro dispone l'utilizzo della dotazione del fondo per il "finanziamento di interventi di carattere sociale, da parte dei comuni, per la riduzione dei costi delle forniture di energia per usi civili a favore di clienti economicamente disagiati, anziani e disabili e, per una somma di 11 milioni di euro annui per il biennio 2008-2009, agli interventi di efficienza energetica di cui ai commi da 353 a 361". E' si' vero che tale disposizione, nel riferirsi a numerosi e variegati interventi sussumibili nell'ambito delle misure volte a migliorare l'efficienza energetica (quali quelli previsti dalle disposizioni di cui ai commi dal 353 al 361), parrebbe in parte precisare le finalita' del fondo stesso; cio' nondimeno, l'approssimativa indicazione dei soggetti utilizzatori delle risorse, individuati genericamente nella generalita' dei "comuni", pone con assoluta sicurezza tale strumento di finanziamento al di fuori degli "interventi speciali" autorizzati dal comma 5 dell'art. 119 Cost. Infatti, come codesta ecc.ma Corte ha motivato, un intervento finanziario statale non puo' certo configurarsi come appartenente alla sfera degli "interventi speciali" di cui al quinto comma dell'art. 119 della Costituzione, allorche' "esso e' disposto in favore non gia' di "determinati" comuni, ma della generalita' degli enti, sia pure - e non appare neanche questo il caso - con un criterio di preferenza a favore di comuni di dimensioni date, situati in alcune aree del paese, individua te a loro volta con un criterio assai generico" (sentenza n. 16 del 2004). Infine, il comma 365 prevede quale unico spazio di cooperazione con le regioni lo strumento degli "accordi tra il Governo, le regioni e gli enti locali". Tale strumento e' tuttavia previsto al solo scopo di dare "efficace attuazione a quanto previsto dal comma 364". Si tenta cosi' di relegare allo spazio di semplici accordi ex post la possibilita' della regione di incidere su materie di propria competenza concorrente. codesta ecc.ma Corte ha invece piu' volte riaffermato la necessita' di forme partecipative ben piu' intense, quali le "intese forti" richiamate a proposito di questioni rientranti nell'ambito della "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia", nelle sentenze n. 6 del 2004 e n. 383 del 2005. Inoltre, secondo quanto stabilito dal comma 365, gli accordi in esso previsti dovranno garantire "la individuazione o la creazione, ove non siano gia' esistenti, di strutture amministrative, almeno presso ciascun comune capoluogo di provincia, per la gestione degli interventi di cui al comma 364, i cui costi possono in parte essere coperti dalle risorse del Fondo di cui al comma 362". Tale disposizione si riferisce con tutta evidenza all'esercizio di funzioni amministrative di competenza regionale, in aperta lesione del riparto di competenze previsto dagli artt. 117 e 118 Cost. In ogni caso, l'illegittimita' della disposizione impugnata discende dalla violazione del principio di leale collaborazione, per la mancata previsione di un'intesa "forte" con la Conferenza Stato-regioni. Come codesta Corte ha avuto modo di motivare, "una eventuale chiamata in sussidiari eta" da parte dello Stato deve essere accompagnata dalla previsione di idonei moduli collaborativi nella forma dell'intesa in senso forte fra gli organi statali e la Conferenza unificata, rappresentativa dell'intera pluralita' degli enti regionali e locali" (sent. n. 383 del 2005). Tali previsioni si pongono in esplicita contraddizione, rilevante altresi' sotto il profilo del buon andamento dell'amministrazione e della ragionevolezza, con le disposizioni in tema di risparmio energetico che assegnano un ruolo cruciale alle regioni (vedi da ultimo, Corte cost. sentenza n. 133 del 2006). D'altra parte la tipologia degli interventi previsti esclude chiaramente che essi possano essere attratti nel titolo "tutela della concorrenza". 1.2.2. - Fondo per l'abbattimento delle barriere architettoniche (comma 389). Il comma 389 dell'art. 1 della legge finanziaria 2007 istituisce un fondo, consistente in 5 milioni di euro, destinato all'erogazione di contributi ai gestori di attivita' commerciali, per le spese "documentate e documentabili", sostenute entro il 31 dicembre 2007, per l'abbattimento delle barriere architettoniche. Le modalita' di erogazione dei contributi sono demandate a un decreto emanato dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con i Ministri dello sviluppo economico e della solidarieta' sociale, da emanarsi, secondo la norma istitutiva del fondo, entro settanta giorni dall'entrata in vigore della legge n. 296 del 2006. Nulla e' previsto, nella disposizione impugnata, in ordine ad una qualsivoglia forma di coinvolgimento delle regioni. A fronte dei gia' richiamati consolidati principi espressi da codesta ecc.ma Corte in ordine alla incompatibilita' con il quadro costituzionale vigente di strumenti di finanza cd. derivata per il finanziamento delle regioni, anche in attesa di una piena attuazione del dettato dell'art. 119 Cost., si sottolinea che il fondo previsto dal comma 389 riflette i suoi effetti in un'area di competenza relativa all'assistenza e ai servizi sociali, sicuramente ricadente fra le materie di competenza residuale delle regioni. Si tratta, invero, di una disposizione di carattere generico, che, con ogni evidenza, non possiede i requisiti che la Costituzione esige per giustificare "interventi speciali" di promozione della "solidarieta' sociale" in favore di determinati comuni, province, citta' metropolitane, regioni, in deroga al riparto di competenze fissato dagli artt. 117 e 118 Cost. Manca infatti del tutto l'individuazione puntuale degli enti locali beneficiari della disposizione; ne' tantomeno si puo' scorgere nella norma l'attitudine a definire ipotetici livelli essenziali di prestazioni concernenti diritti sociali, tali da radicare costituzionalmente l'intervento del legislatore statale in materia invece di competenza regionale. Giova peraltro ricordare come in un precedente giudizio di legittimita' costituzionale, che costituisce precedente in puncto rispetto alla vicenda qui portata in discussione, codesta ecc.ma Corte ha stabilito l'illegittimita' dell'art. 3, comma 116, della legge n. 350 del 2003 che individuava tra le finalita' di utilizzo del "Fondo nazionale per le politiche sociali" di cui all'art. 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, "l'abbattimento delle barriere architettoniche di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13 per un importo pari a 20 milioni di euro", motivando che "la previsione degli interventi di cui all'art. 3, comma 116, della legge n. 350 del 2003 - non costituendo determinazione di "livelli essenziali delle prestazioni" cui fa riferimento l'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione - viola le competenze regionali concernenti i "servizi sociali (sentenza n. 423 del 2004). 1.2.3. - Fondo a sostegno delle imprese: individuazione dei requisiti delle imprese destinatarie degli interventi (comma 853). Il comma 853 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006 individua nel Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) il soggetto competente a determinare "in conformita' agli orientamenti comunitari in materia, le tipologie di aiuto concedibile, le priorita' di natura produttiva, i requisiti economici e finanziari delle imprese da ammettere ai benefici" relativi al "Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficolta" (fondo previsto dall'art. 11, comma 3, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80). La previsione nulla prevede in ordine a forme di coinvolgimento delle regioni. Tra le funzioni attribuite a queste ultime, peraltro, il comma 1, dell'art. 19 del d.lgs. n. 112 del 1998 espressamente prevede "le funzioni amministrative concernenti l'attuazione di interventi dell'Unione europea". Se anche dovessero trovare spazio ambiti di competenza statale legati alla tutela della concorrenza, o la possibilita' di invocare la cd. "sussidiarieta' ascendente", appare evidente che la circostanza che vengano interessati ambiti di competenza regionale impone un necessario coinvolgimento delle regioni, pena la violazione del principio costituzionale di leale collaborazione. Giova richiamare come in occasione del vaglio di legittimita' costituzionale di norme relative al "Fondo per la capitalizzazione di imprese medio-grandi", previsto dalla legge n. 311 del 2004, codesta ecc.ma Corte ha dichiarato incostituzionale la norma che affida al CIPE la determinazione delle modalita' di funzionamento senza la previa intesa con la Conferenza Stato-regioni. Secondo tale giurisprudenza, "la "chiamata in sussidiarieta'"" di funzioni che costituzionalmente spettano alle regioni comporta anche la necessita' che lo Stato coinvolga sostanzialmente le regioni stesse, "poiche' l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta" (sentenze n. 242 del 2005 e n. 303 del 2003 ivi richiamata). Anche in questo caso va ricordato come proprio nella decisione n. 242 del 2005 codesta ecc.ma Corte abbia ridimensionato la portata del titolo di intervento statale della lettera e) dell'art. 117 Cost., agendo sugli aspetti quantitativi: nella misura in cui si assiste a scelte normative caratterizzate da "una ricaduta necessariamente limitata e solo indiretta sull'attivita' economica", non si e' nell'ambito dell'ampia materia-funzione della tutela della concorrenza (sentenza n. 242 del 2005). 1.2.4. - Contributo per la realizzazione dei progetti per la societa' dell'informazione e fondo per il sostegno agli investimenti per l'innovazione negli enti locali (commi 892, 893, 894, 895). I commi 892, 893, 894, 895 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006 prevedono misure per la realizzazione di progetti per la "Societa' dell'informazione" (comma 892), istituiscono un fondo per il sostegno agli investimenti per l'innovazione negli enti locali (comma 893), ne stabiliscono criteri di distribuzione (comma 894) e priorita' dei progetti da finanziare (comma 895). Il comma 892, nel far riferimento alla realizzazione "su tutto il territorio nazionale" di progetti "per la societa' dell'informazione", allude, con ogni evidenza, a taluni obiettivi di carattere generale gia' espressi nelle "Linee guida del Governo per lo sviluppo della Societa' dell'Informazione nella legislatura", emanate dal Consiglio dei ministri in data 31 maggio 2002, nonche' a quei progetti "di grande contenuto innovativo, di rilevanza strategica, di preminente interesse nazionale, con particolare attenzione per i progetti di carattere intersettoriale" di cui al comma 1, dell'art. 27, della legge n. 3 del 16 gennaio 2003 ("Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione"). Come codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di affermare, bisogna ritenere che "le procedure e i servizi telematici dalla stessa disposizione disciplinati - cioe' dal comma 1 dell'art. 27 della legge n. 3 del 2003 - abbiano quali unici destinatari le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici nazionali". (...) Tale interpretazione risulta conforme a Costituzione, in quanto l'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., attribuisce in via esclusiva alla competenza legislativa statale la materia dell'"organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali))" (sentenza n. 31 del 2005). La norma impugnata invece estende a tutto il territorio nazionale le azioni da realizzare. Queste, secondo la disposizione, saranno individuate con "decreto di natura non regolamentare emanato dal Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro degli affari regionali e le autonomie locali, per gli interventi relativi alle regioni e agli enti locali" (comma 892). Lo stesso decreto provvedera' a determinare le aree destinatarie della sperimentazione e le modalita' operative e di gestione dei tali progetti. Il successivo comma 893, in continuita' con la precedente disposizione, istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un "Fondo per il sostegno agli investimenti per l'innovazione negli enti locali", per il finanziamento di progetti relativi agli interventi per la "digitalizzazione dell'attivita' amministrativa, in particolare per quanto riguarda i procedimenti di diretto interesse dei cittadini e delle imprese". Nella prima delle due norme citate, la previsione di un accordo con il Ministro degli affari regionali e le autonomie locali rende manifesto come tra i destinatari delle previsioni della disposizione, vi siano ricomprese anche le regioni e gli enti locali; nel successivo comma 893 i destinatari degli stanziamenti sono invece esplicitamente individuati. L'obiettivo dei finanziamenti, e cioe' i "progetti degli enti locali relativi agli interventi di digitalizzazione dell'attivita' amministrativa in particolare per quanto riguarda i procedimenti di diretto interesse dei cittadini e delle imprese" (comma 893), rende chiaro, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, che il campo di operativita' delle norme abbraccia anche la materia dell'organizzazione amministrativa degli enti locali. D'altra parte, la definizione del decreto come "avente natura non regolamentare" e' spia di un atteggiamento ambiguo mirante ad evitare l'applicazione dell'art. 117, comma 6 che limita la potesta' regolamentare dello Stato alle sole materie di competenza esclusiva: se si ritiene di porre siffatta precisazione, appare evidente che si ricade in materia di competenza legislativa regionale e che non possono essere evitati coinvolgimenti del livello regionale nella destinazione delle risorse. In entrambi i casi, siamo in presenza di norme che non hanno previsto la benche' minima forma di collaborazione con i soggetti destinatari degli interventi. L'unica forma di parziale e "debole" coinvolgimento delle regioni e' costituita dalla semplice consultazione (non vincolante) con la Conferenza unificata, prevista dal comma 894 nel momento della definizione dei criteri di distribuzione ed erogazione del fondo, da effettuarsi per mezzo di decreto del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Orbene, in occasione di un giudizio sulla legittimita' costituzionale di disposizioni in materia di innovazione tecnologica recate dalla legge finanziaria per il 2003, codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di chiarire che le norme impugnate in quella occasione, pur se in parte riconducibili al differente ambito competenziale esclusivo dello Stato relativo al "coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale" previsto dalla lettera r), comma 2, dell'art. 117 Cost., "presentano tuttavia un contenuto precettivo idoneo a determinare una forte incidenza sull'esercizio concreto delle funzioni nella materia dell'"organizzazione amministrativa delle regioni e degli enti locali". Ne discende, secondo codesta ecc.ma Corte, che "la previsione del mero parere della Conferenza unificata non costituisce, nella specie, una misura adeguata a garantire il rispetto del principio di leale collaborazione". Nella medesima pronuncia e' stato altresi' affermato che e' necessario garantire "un piu' incisivo coinvolgimento di tali enti nella fase di attuazione delle disposizioni censurate mediante lo strumento dell'intesa" in assenza del quale disposizioni siffatte sono certamente incostituzionali (sentenza n. 31 del 2005). Se quanto esposto corrisponde al quadro costituzionale vigente, e' di tutta evidenza come anche il comma 895, dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006, sia illegittimo. Esso infatti stabilisce norme tecniche e di dettaglio sulle caratteristiche da privilegiare nella valutazione dei progetti da finanziare, operando scelte tecniche nette (ad esempio per progetti che sviluppino applicazioni software a "codice aperto"), idonee ad avere sicure ripercussioni sulle modalita' di organizzazione delle amministrazioni che le adotteranno. li tutto senza prevedere nessun tipo di intesa (neanche la semplice consultazione con la Conferenza unificata). 1.2.5. - Istituzione del Fondo per la mobilita' sostenibile nelle aree urbane (commi 1121, 1122, 1123). Con i commi 1121, 1122, 1123, la legge finanziaria per il 2007 provvede alla Istituzione di un fondo per la mobilita' sostenibile nelle aree urbane (comma 1121), ne individua le destinazioni prioritarie (comma 1122), designa una quota specifica di esso allo sviluppo della mobilita' ciclistica (comma 1123). Anche in questo caso, i commi impugnati violano il riparto di competenze disegnato dalla Costituzione, nella misura in cui intervengono in una materia, quale e' quella del trasporto pubblico locale, di competenza residuale regionale. L'inclusione della materia nel novero delle competenze regionali non puo' essere messa ragionevolmente in dubbio, alla luce di dati legislativi e di pronunce della giurisprudenza costituzionale non contestabili. Come codesta ecc.ma Corte ha affermato, "non vi e' dubbio che la materia del trasporto pubblico locale rientra nell'ambito delle competenze residuali delle regioni di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost., come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) aveva ridisciplinato l'intero settore, conferendo alle regioni ed agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i "servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi forma affidati" ed escludendo solo i trasporti pubblici di interesse nazionale (cfr., in particolare, gli artt. 1 e 3)". E' si' vero che la norma impugnata, tra le finalita' dell'intervento, fa riferimento, oltre che al "potenziamento del trasporto pubblico" anche al "miglioramento della qualita' dell'aria" e che colloca lo strumento finanziario nell'ambito dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; tuttavia la semplice lettura delle disposizioni (in particolare del comma 1122) evidenzia inequivocabilmente le finalita' degli stanziamenti; vi si ritrovano infatti: "potenziamento e aumento dell'efficienza dei mezzi pubblici", "incentivazione dell'intermodalita", "mobilita' sostenibile", strumenti di pianificazione e ottimizzazione delle gestioni delle politiche e dei sistemi di trasporto pubblico quali il mobility management e il car sharing, senza tralasciare il settore del "trasporto e consegna merci" con la previsione di centri direzionali di smistamento che possano migliorare l'organizzazione logistica, e infine lo sviluppo della mobilita' ciclistica (oggetto di specifica previsione al comma 1123). Che queste scelte politiche possano avere una connessione con tematiche ambientali non lo si vuole certo contestare; quel che appare totalmente censurabile e' il tentativo di escludere completamente il soggetto regione dalla determinazione delle politiche relative a temi di propria competenza, vista la incontestabile attinenza tematica del fondo in questione con la materia dei trasporti pubblici locali. In realta', il fondo in questione presenta una fortissima analogia con un precedente fondo previsto dall'art. 4, comma 157 della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria per il 2004): la disposizione prevedeva la costituzione di "un apposito fondo presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti" per il generico fine di assicurare il conseguimento di "risultati di maggiore efficienza e produttivita' dei servizi di trasporto pubblico locale" e la sua ripartizione tramite "decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281". Come codesta ecc.ma Corte ha chiarito in occasione dell'impugnazione della disposizione appena richiamata, richiamandosi alla propria giurisprudenza, sul punto ormai consolidata: "proprio perche' tale finanziamento interviene in un ambito di competenza regionale, la necessita' di assicurare il rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle regioni impone di prevedere che queste ultime siano pienamente coinvolte nei processi decisionali concernenti il riparto dei fondi (sentenze numeri 49 e 16 del 2004); cio' tenendo altresi' conto del "limite discendente dal divieto di procedere in senso inverso a quanto oggi prescritto dall'art. 119 della Costituzione, e cosi' di sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di autonomia gia' riconosciuti dalle leggi statali in vigore alle regioni e agli enti locali, o di procedere a configurare un sistema finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119" (sentenza n. 37 del 2004)" (sentenza n. 222 del 2005). Codesta ecc.ma Corte, in quella occasione, ritenne insufficiente il meccanismo previsto dalla disposizione censurata che si limitava a richiedere una mera consultazione con la Conferenza unificata e defini' invece "costituzionalmente necessario, al fine di assicurare in modo adeguato la leale collaborazione fra le istituzioni statali e regionali", che il provvedimento con cui si istituiva il fondo (nel caso di specie un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) fosse adottato "sulla base di una vera e propria intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997" (sentenza n. 222 del 2005). Giova, a tal punto, sommessamente richiamare che le disposizioni qui impugnate non fanno riferimento nemmeno ad una forma di intesa (ne' debole, ne' tanto meno forte) quale potrebbe essere la mera consultazione non vincolante con organi esponenziali delle prerogative costituzionali delle regioni e degli enti locali, (forma di intesa, come visto, ritenuta comunque insufficiente a salvare le norme dalla censura di illegittimita' costituzionale); semplicemente escludono totalmente la regione da ogni forma di codeterminazione delle misure in esse previste, non prevedendo nessuna forma di coinvolgimento o di intesa (ne' "debole" ne' tantomeno "forte"). Palese dunque e' la violazione del principio di leale collaborazione in materia di chiara competenza residuale regionale. E' di tutta evidenza, inoltre, come la mancata partecipazione dei soggetti piu' da vicino interessati alla corretta ed efficiente attuazione di funzioni di propria competenza, finisce con il comprimere illegittimamente un generale parametro di ragionevolezza (anche nella sua specifica accezione di razionalita) e determina sicuri effetti negativi sulla possibilita' di perseguire con successo, nell'ambito delle azioni amministrative relative alla mobilita' e al trasporto pubblico, quegli obiettivi generali verso cui ogni buona pratica amministrativa deve orientarsi, obiettivi relativi all'economicita', alla rapidita', all'efficacia, all'efficienza, al miglior contemperamento dei vari interessi, tutti riassumibili nel principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.). Sia detto solo per inciso: non basta certo lo spostamento di un fondo da un Ministero all'altro, ferme rimanendo le stesse finalita', a giustificare la totale esclusione delle regioni dal circuito delle decisioni e dei finanziamenti in materia di trasporto pubblico locale. 1.2.6. - Autorizzazioni di spesa per interventi a sostegno del settore turistico (commi 1227, 1228). I commi 1227 e 1228 della legge n. 296 del 2006 dispongono misure in sostegno del settore turistico. Si tratta, in particolare, dello stanziamento di un finanziamento annuo di 10 milioni di euro per il triennio 2007-2009, in base ad un regolamento da emanare su proposta della "Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per lo sviluppo e la competitivita' del turismo", secondo quanto previsto dal comma 1227. La successiva disposizione autorizza invece un'ulteriore spesa annua di 48 milioni per il triennio 2007-2009 finalizzata ad interventi di incentivazione delle imprese turisticoricettive e alla promozione del turismo ecocompatibile. Il "decreto recante l'individuazione dei criteri, delle procedure e delle modalita' di attuazione", secondo quanto previsto dal comma 1228, e' adottato entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Anche in questo caso, ci si trova dinanzi a norme che sconfinano in un ambito di chiara competenza regionale: gia' la legge n. 217 del 1983 ("legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica"), imperniata sul modello delle aziende di promozione turistica, attribuiva un grande spazio al ruolo della regione, ad esempio per la costituzione delle aziende di promozione turistica, ma anche per l'individuazione degli ambiti territoriali turisticamente rilevanti. In tempi successivi, ma ancora anteriori alla riforma del Titolo V della Costituzione, le funzioni relative al "turismo ed industria alberghiera (cioe', ai sensi dell'art. 56 del d.P.R. n. 616 del 1977, "tutti i servizi, le strutture e le attivita' pubbliche e private riguardanti l'organizzazione e lo sviluppo del turismo regionale, anche nei connessi aspetti ricreativi, e dell'industria alberghiera, nonche' gli enti e le aziende pubbliche operanti nel settore sul piano locale"), sono state attribuite alle regioni e agli enti locali dall'art. 43 del d.lgs. n. 112 del 1998. Tale norma, peraltro specifica, che nell'ambito della attivita' attinenti al turismo sono incluse "le agevolazioni, le sovvenzioni, i contributi, gli incentivi, comunque denominati, anche se per specifiche finalita', a favore delle imprese turistiche". La successiva legge n. 135 del 2001 recante la "Riforma della legislazione nazionale del Turismo" non ha di certo messo in discussione questa competenza, pur se tuttavia ha demandato alla regolamentazione statale, da stabilirsi mediante decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, talune materie, come, ad esempio, l'individuazione delle tipologie delle imprese turistiche, nonche' i requisiti e le modalita' di esercizio delle professioni turistiche (comma 4, dell'art. 2 della legge n. 135 del 2001). Tale scelta e' stata fatta derivare dall'art. 44 del d.lgs. n. 112 del 1998, che, in controtendenza con lo scopo del decreto legislativo, ha conservato allo Stato "la definizione, in accordo con le regioni, dei principi e degli obiettivi per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico locale", ma non ha mancato di stabilire un coinvolgimento forte dei soggetti locali prevedendo che "le connesse linee guida sono contenute in un documento approvato, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri". Peraltro anche i commi 4 e 5 dell'art. 2 della legge n. 135 del 2001 nell'attribuire la fissazione di principi ed obiettivi per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, non hanno messo in discussione la necessita' di un pregnante coinvolgimento delle regioni, richiedendo, per l'adozione del relativo decreto di attuazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'intesa con la Conferenza Stato-regioni. Codesta ecc.ma Corte, peraltro, in occasione del giudizio sulla legittimita' costituzionale della legge n. 135 del 2001 (legge, com'e' noto, appena anteriore al varo della riforma costituzionale approdata nell'attuale titolo V della Costituzione), ne ha dichiarato la legittimita' (rispetto peraltro ad un parametro che si riferiva al testo costituzionale previgente), ma ha riaffermato che "a decorrere dall'entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione, le regioni ben possono esercitare in materia di turismo tutte quelle attribuzioni di cui ritengano di essere titolari, approvando una disciplina legislativa, che puo' anche essere sostitutiva di quella statale" (sentenza n. 197 del 2003). Orbene, norme come quelle recate dalla legge finanziaria per il 2007 e in particolare dai commi 1227 e 1228, violano il riparto di competenze vigente: in particolare, il comma 1227 "ristatalizza" politiche e funzioni attribuite ai soggetti regionali dalla Costituzione, nulla prevedendo in ordine al necessario coinvolgimento delle regioni nell'adozione delle misure di sostegno al settore turistico; il comma 1228 opera invece una diminuzione del grado di coinvolgimento dei soggetti locali alla definizione delle politiche di settore, prevedendo la semplice consultazione con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, in luogo della necessaria intesa. Che in materia di turismo, la partecipazione delle regioni non possa prescindere da un livello minimo identificabile almeno con l'intesa e' dato sulla quale la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di pronunciarsi: infatti con la decisione n. 320 del 2004 il "fondo di offerta turistica" e' stato ritenuto legittimo, ma le procedure ad esso relative prevedevano tuttavia l'intesa in sede di Conferenza unificata. In altra occasione inoltre codesta ecc.ma Corte, ragionando di un caso in cui appariva "evidente l'interferenza rispetto alla politica di sostegno al turismo di cui sono responsabili le regioni" ha pure affermato che "interventi finanziari "speciali" dello Stato in materie di competenza regionale (vuoi residuale, vuoi concorrente) non possono attuarsi senza un coinvolgimento "forte" delle regioni, come e' stato riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale" (sentenza n. 107 del 2005 e le ivi richiamate sentenze n. 370 del 2003, n. 16 e n. 49 del 2004). 1.2.7. - Ripartizione del fondo per le politiche per la famiglia (comma 1252). Al comma 1252 la legge finanziaria per il 2007 prevede che la ripartizione degli stanziamenti relativi al Fondo delle politiche per la famiglia sia operata dal "Ministro delle politiche per la famiglia" con proprio decreto. Anche in questo caso, individuando nel decreto ministeriale nella determinazione di criteri e modalita' di ripartizione non sono previste procedure di partecipazione della regione, in una materia riservata alla propria competenza, come e' quella attinente alle "politiche sociali". Come codesta ecc.ma Corte ha precisato, nelle materie riservate alla competenza esclusiva o concorrente delle regioni "non e' consentita (...) l'istituzione di fondi speciali o comunque la destinazione, in modo vincolato, di risorse finanziarie, senza lasciare alle regioni e agli enti locali un qualsiasi spazio di manovra. E cio' anche nell'ipotesi in cui siano previsti interventi finanziari statali, nelle medesime materie, destinati direttamente a soggetti privati. Diversamente, attraverso l'imposizione di precisi vincoli di destinazione nell'utilizzo delle risorse da assegnare alle regioni, si violerebbero i "criteri e limiti che presiedono all'attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo ad. 119 della Costituzione, che non consentono finanziamenti di scopo per finalita' non riconducibili a funzioni di spettanza statale" (sentenza n. 118 del 2006 e la ivi richiamata sentenza n. 423 del 2004). In questo caso, cosi' come negli altri portati al giudizio di codesta ecc.ma Corte, non vi e' alternativa - se non quella della dichiarazione di illegittimita' "secca" del finanziamento - al coinvolgimento delle regioni nella gestione del fondo tramite un meccanismo di "intesa forte"; e cio' fin quando non verra' attuato il dettato dell'art. 119. 1.2.8. - Incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunita'; Fondo e Osservatorio contro la violenza sessuale e di genere (comma 1261). Il comma 1261 prevede un incremento di 40 milioni annui per il triennio 2007-2009 delle risorse per il "Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunita" (gia' previsto dall'art. 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248). Parte di tale incremento e' destinato, per lo stesso triennio, al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere. I criteri di ripartizione del Fondo sono stabiliti dal "Ministro per i diritti e le pari opportunita', con decreto emanato di concerto con i Ministri della solidarieta' sociale, del lavoro e della previdenza sociale, della salute e delle politiche per la famiglia". Tra le misure adottate con tale decreto dovra' essere previsto "una quota parte da destinare all'istituzione di un Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere e una quota parte da destinare al piano d'azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere". Non puo' non stupire l'esclusione delle regioni da ogni coinvolgimento nella gestione della destinazioni di tali fondi. Certo, nessuno potra' sostenere l'estraneita' delle regioni dal tema delle pari opportunita', se solo si tiene a mente il dettato costituzionale, laddove attribuisce alle leggi regionali il compito di rimuovere "ogni ostacolo che impedisce la piena parita' degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica" e di promuovere "la parita' di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive" (art. 117 Cost., comma 7). Peraltro il d.lgs. n. 198 del 2006 "Codice delle pari opportunita' tra uomo e donna", nel solco gia' tracciato a partire dalla legge n. 125 del 1991, ha attribuito alle regioni il compito di designare i "Consiglieri di parita' regionali e provinciali", (nominati poi con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro per le pari opportunita): queste figure hanno rilevanti compiti relativi al rispetto della normativa nazionale e regionale antidiscriminatoria e di promozione della parita' e delle pari opportunita'. Infatti, come si desume dall'art. 15 del d.lgs. n. 198 del 2006, tali figure istituzionali: rilevano le discriminazioni di genere, anche mediante l'intervento del servizio Ispettivo del lavoro; promuovono le "Azioni Positive" e ne verificano i risultati; promuovono il coordinamento tra politiche del lavoro e formazione locale con gli indirizzi comunitari e nazionali in materia di pari opportunita' anche mediante il collegamento con gli assessorati al lavoro e con gli organismi di parita' degli Enti locali; promuovono l'attuazione delle politiche di pari opportunita' da parte dei soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro; diffondono le conoscenze e lo scambio di buone prassi e attivita' di informazione e formazione culturale su problemi delle pari opportunita' e sulle varie forme di discriminazione. Tale quadro normativo richiede, con ogni evidenza, procedure concertative e di coordinamento delle politiche adottate a livello centrale con i soggetti regionali: evidente e' infatti il riverbero che le politiche, e i relativi strumenti finanziari, previste dalle leggi dello Stato presentano con ambiti competenziali regionali che spaziano dagli interventi mirati all'ottenimento di piu' pieni livelli di integrazione sociale, alle politiche del lavoro idonee a rimuovere elementi di discriminazione basati sul genere sessuale. Escludere la regione significherebbe ledere il generale principio di leale collaborazione, in piu' occasioni da codesta ecc.ma Corte riaffermato ogni qual volta l'esercizio di funzioni statali si incontra con quelle proprie delle regioni (sentenze n. 133 del 2006 nn. 422 del 2002, 96 e 308 del 2003). Escludere le regioni dalla gestione di tali fondi significherebbe pensare che alle regioni possano essere attribuiti compiti costituzionali, mentre la gestione delle risorse relative possa rimanere in capo allo Stato. 1.2.9. - Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati (comma 1267). Il comma 1267 dell'art. 1 della legge finanziaria per il 2007 istituisce un fondo presso il Ministero della solidarieta' sociale, al fine di favorire "l'inclusione sociale dei migranti e dei loro familiari" nonche' per la realizzazione di politiche di integrazione scolastica, anche prevedendo l'utilizzo "per fini non didattici di apposite figure professionali madre lingua quali mediatori culturali". La disposizione appare, soprattutto nella sua seconda parte, afflitta da un elevatogrado di genericita' e indeterminatezza, ma soprattutto non riserva nessuno spazio a forme di partecipazione e di collaborazione nella determinazione di interventi sulle quali le regioni hanno indubbia competenza. Non valga a contestare la competenza regionale in materia, la considerazione della riserva esclusiva in materia di immigrazione operata dalla lettera b), comma 2 dell'art. 117 Cost. In realta', in armonia con il riparto costituzionale previsto dalla Costituzione, il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero) prevede numerose competenze regionali e, piu' in generale, forme di cooperazione tra lo Stato e le regioni. L'art. 2-bis, introdotto dalla legge n. 189 del 2002, nell'istituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il "Comitato per il coordinamento e il monitoraggio" delle disposizioni del testo unico, al comma 2 prevede che di esso faccia parte anche "un presidente di regione o di provincia autonoma designato dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome", e che "per l'istruttoria delle questioni di competenza del Comitato, e' istituito un gruppo tecnico di lavoro presso il Ministero dell'interno", che e' composto, tra gli altri, da tre esperti designati dalla Conferenza unificata Stato, citta', regioni. L'art. 42 dello stesso decreto legislativo (Misure di integrazione sociale), prevede che lo Stato, le regioni, le province e i comuni, nell'ambito delle proprie competenze, anche in collaborazione con le associazioni di stranieri e con le organizzazioni stabilmente operanti in loro favore, nonche' in collaborazione con le autorita' o con enti pubblici e privati dei Paesi di origine, favoriscono una serie di attivita' di tipo sociale e assistenziale volte, tra l'altro, all'effettuazione di corsi della lingua e della cultura di origine, alla diffusione di ogni informazione utile al loro positivo inserimento nella societa' italiana, alla conoscenza e alla valorizzazione delle espressioni culturali, ricreative, sociali, economiche e religiose degli stranieri regolarmente soggiornanti. Non vi e' dubbio quindi che la necessita' di un coinvolgimento forte delle regioni discenda dall'incidenza dell'intervento statale in materia di immigrazione con numerosi altri ambiti di competenza regionale, e sia peraltro chiaramente prevista dal quadro normativo vigente. Come codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di motivare: "La stessa legge statale (...) disciplina la materia dell'immigrazione e la condizione giuridica degli stranieri proprio prevedendo che una serie di attivita' pertinenti la disciplina del fenomeno migratorio e degli effetti sociali di quest'ultimo vengano esercitate dallo Stato in stretto coordinamento con le regioni, ed affida alcune competenze direttamente a queste ultime; cio' secondo criteri che tengono ragionevolmente conto del fatto che l'intervento pubblico non si limita al doveroso controllo dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, ma riguarda necessariamente altri ambiti, dall'assistenza all'istruzione, dalla salute all'abitazione, materie che intersecano ex Costituzione, competenze dello Stato con altre regionali, in forma esclusiva o concorrente" (sentenza n. 300 del 2005). Il comma 1267, in violazione di un basilare principio di leale collaborazione fra soggetti istituzionali, non prevede nessuna forma di accordo o di intesa con i soggetti regionali. 1.2.10. - Fondo di solidarieta' per il maggior accesso alle risorse idriche (comma 1284). Il comma 1284 istituisce un fondo di solidarieta' per il maggior accesso alle risorse idriche: il fondo viene stabilito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ed ha come obiettivo la promozione del "finanziamento esclusivo di progetti ed interventi, in ambito nazionale e internazionale, atti a garantire il1 maggior accesso possibile alle risorse idriche secondo il principio della garanzia dell'accesso all'acqua a livello universale". Nell'ambito della stessa disposizione viene inoltre previsto, quale strumento di finanziamento del fondo stesso, "un contributo pari a 0,1 centesimi di euro" "per ogni bottiglia di acqua minerale o da tavola in materiale plastico venduta al pubblico". Modalita' di funzionamento e di erogazione del fondo sono stabilite con "decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concedo con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata Stato, citta', regioni". La norma infine autorizza il Ministero dell'economia e delle finanze a emanare i regolamenti attuativi necessari. Deve rilevarsi come la semplice previsione di una consultazione ("sentito il parere") con la Conferenza unificata Stato citta' regioni non soddisfa la necessita' di un forte coinvolgimento delle regioni, che ai sensi del comma 4 dell'art. 117 della Costituzione e' titolare di potesta' legislativa residuale in materia di acque minerali. La materia trova, come e' noto, un primo quadro di riferimento normativo nel regio decreto n. 1443 del 1927 che tuttavia si riferisce unitariamente a tutti i "beni minerari". I trasferimenti alle regioni di funzioni amministrative riguardanti le acque minerali e termali si sono poi succeduti nel tempo, in particolare ad opera dell'art. 1 del d.P.R. n. 2 del 1972, dell'art. 61 del d.P.R. n. 616 del 1977, e quindi con l'art. 22 della legge n. 59 del 1997. Con il riformato titolo V della Costituzione e in particolare con l'art. 117, le regioni hanno acquisito competenza legislativa residuale in materia. codesta ecc.ma Corte, in occasione del giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 21, lettera c), della legge della regione Lombardia n. 1 del 1998, nella parte in cui, modifica l'art. 22 della legge della regione Lombardia n. 44 del 1980, che stabilisce un'indennita' accessoria per lo sfruttamento in concessione di acque minerali, ha avuto modo di riaffermare una competenza delle regioni che trova limiti da intendersi in senso meno stringente ("ad un livello di maggior astrattezza") rispetto alla disciplina risultante da un'interpretazione letterale dell'art. 25 del r.d. n. 1443 del 1927 (sentenza n. 65 del 2001). Dalla medesima pronuncia, vigente un quadro costituzionale che concedeva alle regioni il piu' limitato spazio di una competenza legislativa concorrente, gia' emergeva, peraltro, l'ampliato ruolo delle regioni, rispetto al quale non si poteva invocare, la necessita' di un'astratta "uniformita' di regime economico a livello nazionale e sovranazionale, onde impedire che autonomi interventi regionali producano sfasature nella libera concorrenza e nella circolazione dei beni e delle merci nel mercato europeo" (sentenza n. 65 del 2001). La disposizione impugnata incide in un'area su cui legittimamente le regioni potrebbero esercitare forme di prelievo (e la regione Lombardia gia' si era mossa in questo senso, con un intervento ritenuto legittimo dalla sentenza citata); aggrava gli operatori privati e sottrae risorse alle regioni in funzione di genericissimi "progetti ed interventi in ambito nazionale e internazionale". Alla luce del riparto di competenze vigente e dell'orientamento piu' volte espresso da codesta ecc.ma Corte, la norma qui impugnata viola gli artt. 117, 118, 119 e il generale principio di "leale collaborazione" allorche', intervenendo in un settore di competenza residuale delle regioni, istituisce un prelievo, senza prevedere, ne' sull'an ne' sul quantum, ne' sulla destinazione delle risorse, un coinvolgimento forte, almeno nella forma della intesa preventiva con la Conferenza Stato citta' regioni, cosi' come richiesto da un'ormai copiosa giurisprudenza costituzionale sul punto (cfr. ex multis sentenza n. 424 del 2004; sentenze nn. 222, 231, 242 del 2005; sentenza n. 213 del 2006). Le pronunce citate, unite a numerose altre che hanno seguito il percorso da esse delineato (si vedano su tutte le sentt. n. 423 del 2004 e n. 118 del 2006), hanno inferto un duro colpo a meccanismi di trasferimento di risorse dal bilancio pubblico alle autonomie territoriali, imponendo, nell'attesa della completa attuazione del dettato dell'art. 119 Cost., un ripensamento dell'intero sistema di relazioni finanziarie tra livelli di governo. Per un verso hanno dichiarato l'incompatibilita' con il quadro costituzionale di riferimento di trasferimenti statali generalizzati in materie che non siano di competenza esclusiva statale; per un altro, hanno voluto impedire che l'ingerenza statale si manifesti anche attraverso trasferimenti particolari e una tantum. La strada del finanziamento delle istituzioni della Repubblica e' quella indicata dall'art. 119 Cost. (rispetto al quale nemmeno la recente riforma approvata dalle Camere e poi respinta dal referendum nel giugno 2006 proponeva modifiche): fino al momento dell'attuazione, e quindi alla completa responsabilizzazione delle istituzioni decentrate nell'attuazione delle politiche nelle materie e funzioni proprie con risorse proprie, lo Stato non puo' intervenire con finanziamenti nelle materie di competenza legislativa regionale, se non con un pieno coinvolgimento attraverso lo strumento dell'intesa. 2. - Violazione degli artt. 117, 118, 119 Cost., nonche' dei principi di leale collaborazione (art. 120), di buon andamento (art. 97) e di ragionevolezza (art. 3) da parte dell'art. 1, commi 583, 584, 585. 2.1. - Il comma 580 prevede, "al fine di contribuire all'ammodernamento delle amministrazioni pubbliche, di migliorare la qualita' delle attivita' formative pubbliche, di garantire una selezione rigorosa della dirigenza dello Stato e di fornire adeguato sostegno alle amministrazioni nella valutazione dei loro fabbisogni formativi e nella sperimentazione delle innovazioni organizzative e gestionali", l'istituzione dell'Agenzia per la formazione dei dirigenti e dipendenti delle amministrazioni pubbliche-Scuola nazionale della pubblica amministrazione, dotata di personalita' giuridica di diritto pubblico e di autonomia amministrativa e contabile e sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri. Tale Agenzia subentra nei rapporti attivi e passivi e nei relativi diritti ed obblighi della Scuola superiore della pubblica amministrazione, di cui e' disposta la soppressione a partire dal 31 marzo 2007. Tra le numerose funzioni riconosciute a codesta Agenzia dal successivo comma 581 (raccolta, elaborazione e sviluppo delle metodologie formative, ricerca, sviluppo, sperimentazione e trasferimento delle innovazioni di processo e di prodotto delle pubbliche amministrazioni, cooperazione europea ed internazionale in materia di formazione e innovazione amministrativa; supporto, consulenza e assistenza alle amministrazioni pubbliche nell'analisi dei fabbisogni formativi, nello sviluppo e trasferimento di modelli innovativi, nella definizione dei programmi formativi), vi e' anche quella di "accreditamento delle strutture di formazione". Si tratta di quelle strutture formative disciplinate nel successivo comma 583 a norma del quale "le pubbliche amministrazioni si avvalgono, per la formazione e l'aggiornamento professionale dei loro dipendenti, di istituzioni o organismi formativi pubblici o privati dotati di competenza ed esperienza adeguate, a tal fine inseriti in un apposito elenco nazionale tenuto dalla Agenzia per la formazione, che provvede alla relativa attivita' di accreditamento e codificazione". Per svolgere le attivita' di formazione e aggiornamento professionale dei loro dipendenti, prosegue il comma 583, "le pubbliche amministrazioni procedono alla scelta dell'istituzione formativa, mediante procedura competitiva tra le strutture accreditate". Nel comma 585 si provvede "con uno o piu' regolamenti adottati, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro degli affari esteri e con il Ministro dell'interno..." ad attuare quanto disposto nei commi precedenti, attenendosi a determinati criteri, tra cui sono menzionati espressamente: la "disciplina della missione e dell'attivita' della Agenzia per la formazione come struttura di governo e coordinamento unitario del sistema della formazione pubblica, in attuazione di quanto disposto dai commi 580 e 581; attribuzione all'Agenzia dei poteri necessari per assicurare la razionalizzazione delle attivita' delle strutture di cui al comma 580, la realizzazione delle sinergie possibili, la gestione unitaria e coordinata delle relative risorse finanziarie" (lettera c); la "definizione dell'organizzazione dell'Agenzia per la formazione, anche mediante la previsione di autonome strutture organizzative; definizione dei suoi organi di indirizzo, direzione e supervisione scientifica, assicurando una qualificata partecipazione di esperti della formazione e della innovazione amministrativa, italiani e stranieri, e di alti dirigenti pubblici, individuati anche su indicazione delle regioni, delle autonomie locali e delle parti sociali; istituzione di un comitato di coordinamento presieduto dal Presidente dell'Agenzia per la formazione e formato dai direttori delle Scuole speciali e delle strutture autonome" (lettera d). 2.2. - I commi sopra descritti sono illegittimi in quanto fortemente lesivi di due distinti ambiti materiali di competenza regionale: quello della organizzazione amministrativa della regione e quello della formazione professionale. 2.2.1. - Sul primo ambito, e' opportuno tener presente come, anteriormente alla riforma del Titolo V della Costituzione, la materia "ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla regione" (art. 117, comma 1 Cost., versione originaria), cui si riconduceva anche la materia del rapporto di lavoro del personale regionale, rientrasse nell'elenco di materie di competenza concorrente. Il pubblico impiego regionale, sia sotto il profilo del rapporto di lavoro che sotto quello strettamente organizzativo, era quindi soggetto al limite del rispetto dei principi fondamentali stabiliti nelle leggi dello Stato. Nella vigenza del vecchio testo costituzionale, quindi, per quel che attiene il modello ed i principi di organizzazione degli apparati, l'autonomia regionale era comunque circoscritta e soggetta ad una serie di limiti. Tuttavia, a fronte di questo dato normativo, nel settore dell'organizzazione degli uffici regionali e dell'impiego regionale, l'atteggiamento mostrato da codesta ecc.ma Corte e' stato tradizionalmente connotato da un solido favor nei confronti delle regioni. Si veda, ad esempio, la sentenza n. 40 del 1972 dove e' stato affermato che "la materia dello stato giuridico ed economico del personale regionale rientra in quella della organizzazione degli uffici, che l'art. 117, primo alinea, Cost. attribuisce alla potesta' legislativa delle regioni, entro il limite ... dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi statali", e, quindi, e' stata dichiarata l'incostituzionalita' di una legge statale nella parte in cui disponeva che le norme sullo stato giuridico ed il trattamento economico del personale di ruolo regionale avrebbero dovuto uniformarsi alle norme sullo stato giuridico ed il trattamento economico del personale statale; o la pronuncia n. 10 del 1980 dove si sottolinea l'importanza dell'"autonomia legislativa regionale sull'ordinamento degli uffici e sullo stato giuridico dei relativi dipendenti" (ma si vedano anche le successive sentenze nn. 277, 278 del 1983, nn. 219 e 290 del 1984); ovvero anche la sentenza n. 355 del 1993 dove codesta ecc.ma Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di alcuni articoli di una legge statale sul riordino della disciplina in materia sanitaria, nella parte in cui, nell'attribuire specifiche competenze alle regioni, individuavano l'organo interno regionale competente ad esercitare quelle funzioni, affermando chiaramente il principio in base al quale "la ripartizione delle funzioni regionali fra i vari organi interni della regione rientra nella materia dell'organizzazione interna, riservata alla regione stessa". Le ragioni di siffatto favor sono rintracciabili proprio nella gia' citata sent. n. 10 del 1980 allorquando la Corte ha evidenziato come e' dalle peculiarita' dell'amministrazione regionale che discende un "ordinamento degli uffici (che) si ponga - se non altro in sede logica - come un prius e non come un posterius": peculiarita', ha proseguito la Corte, "che rischierebbero di esser compromesse qualora la regione dovesse conformarsi all'apparato statale". E', allora, evidente che anche codesta ecc.ma Corte ha riconosciuto nell'organizzazione regionale e, per trascinamento, nell'impiego regionale, il nucleo duro, l'essenza dell'autonomia regionale. Se cio' era vero in un periodo in cui le regioni stentavano ancora ad emanciparsi completamente dallo Stato, non puo' non esserlo - e a maggior ragione - oggi che il quadro istituzionale dei rapporti tra Stato e regioni e' profondamente mutato. Il nuovo assetto costituzionale, infatti, ha comportato il venir meno dei vincoli preesistenti e la materia dell'organizzazione degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione, che non compare piu' nell'elenco di cui al comma 3 dell'art. 117 Cost., e' dunque rimessa alla potesta' legislativa esclusiva regionale. La riconduzione della materia riguardante l'organizzazione e il funzionamento della regione all'interno dello spazio del comma 4 dell'art. 117, e quindi alla competenza residuale regionale ha trovato piu' volte conferma da codesta ecc.ma Corte (si vedano tra le tante la sent. n. 17 del 2004, la 172 e 407 del 2005). Merita una nota la recentissima sentenza n. 233 del 2006 dove la Corte ha riconosciuto come la materia dell'organizzazione amministrativa della regione, comprensiva dell'incidenza della stessa sulla disciplina del relativo personale, "attribuita alla competenza residuale delle regioni (art. 117, quarto comma, Cost.)", sia "da esercitare nel rispetto dei "principi fondamentali di organizzazione e funzionamento" fissati negli statuti (art. 123 Cost.)". Ne', tra l'altro, dal catalogo di materie sub comma 2 dell'art. 117 Cost. e' dato trarre alcun titolo in base al quale il legislatore statale possa interferire sul punto. Conclusione del resto che trova conferma nella circostanza che in quel catalogo l'ordinamento e l'organizzazione amministrativa e' contemplata con limitato riguardo allo Stato e agli enti pubblici nazionali. Alla luce di quanto detto, si deve pertanto ritenere che entro la cornice dei precetti costituzionali ciascuna regione sia libera di adottare il modello, le regole e le modalita' di organizzazione amministrativa che ritiene piu' adeguate alle proprie specificita', in modo tale da informare tutta quella attivita' necessaria e prodromica al corretto esercizio delle funzioni di cui e' titolare, ai criteri dell'imparzialita' e del buon andamento dell'amministrazione, cosi' come prescritti dall'art. 97 Cost. I commi che qui si impugnano, al contrario, sembrano ignorare del tutto questo spazio garantito costituzionalmente all'autonomia regionale. Infatti, le regioni - non escluse dall'ambito di operativita' degli stessi atteso che alcuna specificazione e' fornita riguardo le pubbliche amministrazioni -, nel momento in cui dovessero (in autonomia?) decidere di attivare iniziative tese alla formazione e all'aggiornamento professionale dei loro dipendenti, devono (quindi sono costrette a rivolgersi esclusivamente a quelle strutture formative pubbliche o private che siano state accreditate e certificate dalla neo costituita Agenzia per la formazione). A ben vedere, i commi qui censurati, e in particolare il comma 583, disciplinano la procedura da seguire per predisporre le attivita' di aggiornamento e formazione professionale: si tratta cioe' di quelle attivita' volte a migliorare la competenza, la professionalita' e la produttivita' del personale dipendente dalle regioni in modo da evitare che le risorse umane dell'organizzazione regionale, non rispondendo agli standards minimi di qualita' e di aggiornamento, possano pregiudicare l'efficienza e il buon andamento dell'amministrazione stessa. Il profilo dell'organizzazione regionale deve essere inteso come un valore costituzionalmente tutelato teso ad assicurare alla regione stessa, nel superamento dell'esclusivita' dell'ordinamento statale, quelle strutture amministrative il piu' possibile decongestionate e in grado di soddisfare le domande con efficienza e flessibilita'. Se quindi e' il buon andamento del sistema regionale, da valutare anche in relazione all'indirizzo politico della regione stessa, l'interesse sotteso alla formazione professionale del personale, e' del tutto irragionevole affidare la responsabilita' di quest'ultima ad un ente, quale l'Agenzia per la formazione, estraneo, lontano e distaccato dalla realta' regionale. A nulla vale obiettare che non e' l'Agenzia l'ente erogatore del servizio di formazione professionale, ma le singole strutture o istituzioni formative pubbliche o private inserite nell'apposito elenco nazionale tenuto dall'Agenzia: nel momento in cui tali strutture, per poter esercitare la loro funzione, devono ricevere l'accreditamento presso l'Agenzia per la formazione (v. comma 581), e' di solare evidenza come, di fatto, l'unico soggetto capace di gestire ed indirizzare l'attivita' di formazione professionale diretta al personale delle pubbliche amministrazioni (anche regionali), sia la stessa Agenzia. 2.2.2. - Ma vi e' di piu': l'illegittimita' costituzionale dei commi in oggetto, come sopra preannunciato, e' aggravata dalla circostanza che la stessa attivita' che esse disciplinano, vale a dire la formazione professionale, e' di competenza esclusiva regionale. Sul punto, non certo controverso, e' sufficiente richiamare la sentenza n. 50 del 2005 nella quale codesta ecc.ma Corte ha limpidamente affermato che "la competenza esclusiva delle regioni in materia di istruzione e formazione professionale riguarda la istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a cio' destinati, sia mediante strutture proprie che le singole regioni possano approntare in relazione alle peculiarita' delle realta' locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi". A differenza di quanto avviene per la disciplina della istruzione e della formazione professionale che i privati datori di lavoro somministrano in ambito aziendale ai loro dipendenti che, "di per se' non e' compresa nell'ambito della suindicata competenza ne' in altre competenze regionali. La formazione aziendale rientra invece nel sinallagma contrattuale e quindi nelle competenze dello Stato in materia di ordinamento civile". 2.3. - In conclusione, non puo' che affiorare la duplice illegittimita' costituzionale dei commi 583-585. Essi per un verso affidano ad un ente statale un'attivita' strumentale (quella di formazione del personale dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni regionali) ad una finalita' che rientra in un ambito competenziale prettamente regionale (l'organizzazione ed il funzionamento regionale); per un altro, disciplinandone le modalita', incide palesemente su di una materia (la formazione professionale) in realta' affidata alla competenza esclusiva delle regioni. Il tutto e' reso ancora piu' inaccettabile dalla grave e colpevole assenza di qualsiasi forma di compartecipazione regionale, in spregio al basilare principio di leale collaborazione tra stato e regioni, sia per quel che attiene la composizione dell'Agenzia per la formazione, che per quanto concerne l'attivita' della stessa soprattutto nella fase di determinazione di quelli che dovrebbero essere i criteri da utilizzare per l'accreditamento delle strutture formative. 3. - Violazione degli artt. 117, 118, 119, 120 e 3 e 97 Cost. da parte dei commi 610 e 611. 3.1. - Al comma 610 e' stabilito che "Allo scopo di sostenere l'autonomia delle istituzioni scolastiche nella dimensione dell'Unione europea ed i processi di innovazione e di ricerca educativa delle medesime istituzioni, nonche' per favorirne l'interazione con il territorio, e' istituita, presso il Ministero della pubblica istruzione, ai sensi degli artt. 8 e 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, la "Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica",... avente sede a Firenze, articolata, anche a livello periferico, in nuclei allocati presso gli uffici scolastici regionali ed in raccordo con questi ultimi, con le seguenti funzioni: a) ricerca educativa e consulenza pedagogico-didattica; b) formazione e aggiornamento del personale della scuola; c) attivazione di servizi di documentazione pedagogica, didattica e di ricerca e sperimentazione; d) partecipazione alle iniziative internazionali nelle materie di competenza; e) collaborazione alla realizzazione delle misure di sistema nazionali in materia di istruzione per gli adulti e di istruzione e formazione tecnica superiore; f) collaborazione con le regioni e gli enti locali". 3.1.1. - Il successivo comma 611 incide sulla struttura organizzativa dell'Agenzia. Difatti, "l'organizzazione dell'Agenzia, con articolazione centrale e periferica, e' definita con regolamento adottato ai sensi dell'art. 8, comma 4, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. L'Agenzia subentra nelle funzioni e nei compiti attualmente svolti dagli Istituti regionali di ricerca educativa (IRRE) e dall'Istituto nazionale di documentazione per l'innovazione e la ricerca educativa (INDIRE), che sono contestualmente soppressi. Al fine di assicurare l'avvio delle attivita' dell'Agenzia, ... il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della pubblica istruzione, nomina uno o piu' commissari straordinari. Con il regolamento di cui al presente comma e' individuata la dotazione organica del personale dell'Agenzia e delle sue articolazioni territoriali nel limite complessivo del 50 per cento dei contingenti di personale gia' previsti per l'INDIRE e per gli IRRE, che in fase di prima attuazione, per il periodo contrattuale in corso, conserva il trattamento giuridico ed economico in godimento. Il predetto regolamento disciplina, altresi', le modalita' di stabilizzazione, attraverso prove selettive, dei rapporti di lavoro esistenti anche a titolo precario, purche' costituite mediante procedure selettive di natura concorsuale". 3.2. - Come e' noto, se sino al 2001 l'istruzione, quanto a elaborazione delle politiche e a conseguente organizzazione strutturale, e' stata materia prevalentemente statale, con la revisione dell'art. 117 Cost. il legislatore costituzionale ha profondamente modificato il precedente assetto che vedeva unicamente in capo alle regioni la competenza legislativa nell'ambito dell' "istruzione artigiana e professionale" e dell' "assistenza scolastica": difatti, a norma del comma 3 del nuovo testo dell'art. 117, Cost., le regioni hanno acquisito la competenza legislativa sull'intera materia dell'istruzione. Una competenza di tipo concorrente, quindi da esercitare nell'ambito del rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, e fatta salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche. Il passaggio dall'esercizio (o dalla delega) di funzioni amministrative - avvenuto gia' con il d.lgs. n. 112 del 1998, in particolare con gli artt. 134 e ss. - all'attribuzione del potere legislativo sulla materia, non e' certo di poco conto. Va da se', infatti, che il potere legislativo implica necessariamente la responsabilita' sulle piu' importanti scelte politiche attinenti il settore. Se a tutto cio' si aggiunge che l'art. 118 Cost., costituzionalizzando il principio di sussidiarieta', sia verticale che orizzontale, ha di fatto consegnato alle regioni il potere di attribuire, per la parte di loro competenza, funzioni amministrative agli enti territoriali e ai soggetti della societa' civile ex ult. comma dell'art. 118, emerge con chiarezza come il nuovo assetto istituzionale abbia voluto riconoscere alle regioni, un ruolo pregnante ed incisivo in materia di istruzione. L'incisivita' di tale ruolo ha trovato poi diverse conferme nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte che e' stata gia' chiamata a pronunciarsi sulle questioni piu' delicate del nuovo sistema dell'istruzione: in materia di finanziamento delle funzioni, la gia' citata sentenza n. 423 del 2004 ha dichiarato l'illegittimita' di fondi statali con vincoli di destinazione in materie che non competono piu' alla competenza statale; sulla programmazione, ma piu' in generale sul contenuto specifico della materia "istruzione" la Corte ha affermato che seppur l'esatta definizione delle rispettive competenze non potra' che essere oggetto di successivi affinamenti, dovuti alla oggettiva complessita' dell'intero sistema, "si puo' assumere per certo che il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio nella programmazione delle rete scolastica. E' infatti implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998" (Corte cost., sent. n. 13 del 2004). Merita, infine, una notazione a parte la sentenza n. 279 del 2005 che si e' rivelata fondamentale nel momento in cui ha offerto una decisiva chiave di lettura rispetto a due modalita' di intervento statale nell'ambito dell'istruzione, quella delle "norme generali sull'istruzione", spettanti alla potesta' esclusiva statale ex art. 117, comma 2, lettera n), e quella dei principi fondamentali in materia di istruzione ex art. 117, comma 3, Cost.: a detta di codesta ecc.ma Corte, infatti, le norme generali in materia di istruzione sono "quelle sorrette, in relazione al loro contenuto, da esigenze unitarie e, quindi, applicabili indistintamente al di la' dell'ambito propriamente regionale". Cosi' intese, ha proseguito la Corte, le norme generali si differenziano, nell'ambito della stessa materia, dai principi fondamentali "i quali, pur sorretti da esigenze unitarie, non esauriscono in se stessi la loro operativita', ma informano, diversamente dalle prime, altre norme, piu' o meno numerose". Questo breve quadro ricostruttivo della distribuzione di competenze in materia di istruzione costituisce una base solida per poter sostenere l'evidente illegittimita' dei commi sopra citati, per i motivi che qui di seguito si espongono. 3.3. - I commi 610 e 611 operano fingendo di non vedere le innovazioni sostanziali contenute nel comma 3 dell'art. 117 Cost.: qui, oltre al deciso spostamento dell'ago della bilancia nella distribuzione di funzioni legislative in materia di istruzione a favore delle regioni, si e' formalmente costituzionalizzata l'autonomia delle istituzioni scolastiche. Questa impostazione significa, nella sostanza, la chiara e decisa volonta' del legislatore costituzionale di destatalizzare il servizio dell'istruzione, in sintonia con l'autorevole posizione espressa da Pototschnig (cfr. il suo Insegnamento, istruzione, scuola, in Giur. cost., 1961, pp. 361 ss.) che gia' negli anni Sessanta aveva ricostruito il nuovo sistema costituzionale nel settore della formazione scolastica sottolineando che non spetta allo Stato istruire, ma e' la scuola come comunita' educante ad avere il compito dell'istruzione, nell'ambito di norme generali che sono della Repubblica e non dello Stato apparato. E invece, con questi commi, lo Stato istituisce in modo unilaterale un'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica, e sempre in modo unilaterale ne individua le funzioni (si vedano le lettere a), b), c), d), e), f) del comma 610), e ne determina l'organizzazione e la composizione: infatti, il comma 611, rinvia per l'organizzazione dell'Agenzia al regolamento ex art. 8, comma 4 del d.lgs. n. 300 del 1999 e cioe' ai regolamenti governativi; dopo aver disposto la soppressione contestuale degli Istituti regionali di ricerca educativa (IRRE) e dell'Istituto nazionale di documentazione per l'innovazione e la ricerca (INDIRE), dispone che sia il Presidente del Consiglio dei ministri a nominare, su proposta del Ministro della pubblica istruzione, uno o piu' commissari a cui e' affidato il compito di assicurare l'avvio delle attivita' dell'Agenzia; ed infine, sempre lo stesso regolamento governativo e' lo strumento per la composizione della dotazione organica del personale dell'Agenzia e delle sue articolazioni territoriali nonche' quello per le modalita' di stabilizzazione dei rapporti di lavoro esistenti. Se e' vero che, sia l'IRRE e l'INDIRE che la costituenda Agenzia per lo sviluppo dell'autonomia scolastica sono enti statali, e' allo stesso modo vero che il terreno entro il quale devono muoversi, vale a dire l'istruzione, e' un terreno la cui pertinenza spetta principalmente alle regioni e alle istituzioni scolastiche e solo per limitati e specifici profili, individuati dalle norme generali e dai principi fondamentali, allo Stato. Al contrario, la flebile considerazione che il legislatore statale mostra nei confronti delle regioni, trova palese riscontro nella lettera d) del comma 610 dove, tra le funzioni che l'Agenzia dovrebbe svolgere, vi sarebbe quella di "collaborazione con le regioni e gli enti locali": e' evidente che la regione e' percepita quale mero interlocutore dello Stato, da questi chiamato ad una vaga e generica attivita' di collaborazione, e non quale soggetto che, grazie al nuovo dettato costituzionale e alla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, e' titolare della funzione legislativa e vero protagonista dell'attivita' di gestione in materia di istruzione. In definitiva, il prezioso supporto delle numerose pronunce di codesta ecc.ma Corte (su tutte si richiamano ancora la 13 del 2004 e al 34 del 2005) ha fornito un contributo indispensabile per interpretare in modo corretto il nuovo quadro costituzionale nel settore dell'istruzione, concorrendo a chiarire in modo inequivocabile il superamento di un modello statocentrico e la necessita' di riconoscere in modo specifico anche alla legislazione (e all'amministrazione) regionale un ruolo significativo in materia. Gli effetti ricavabili da queste sentenze devono tra l'altro rimettere radicalmente in discussione la evidente tendenza, di cui sono espressione manifesta i commi che qui si censurano, a riproporre un'amministrazione ministeriale statale fortemente operativa che, al contrario, dovrebbe connotarsi della natura transitoria e supplente del suo operato, in attesa che si ridefinisca il sistema regionale locale di supporto all'autonomia delle istituzioni scolastiche. 4. - Violazione degli artt. 117, 118, 119, 120 e 3 e 97 Cost. da parte dei commi 622, 624 e 631. 4.1. - Al comma 622 viene stabilito che "l'istruzione impartita per almeno dieci anni e' obbligatoria ed e' finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di eta'. L'eta' per l'accesso al lavoro e' conseguentemente elevata da quindici a sedici anni. Resta fermo il regime di gratuita' ai sensi degli artt. 28, comma 1, e 30, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226. L'adempimento dell'obbligo di istruzione deve consentire, una volta conseguito il titolo di studio conclusivo del primo ciclo, l'acquisizione dei saperi e delle competenze previste dai curricula relativi ai primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore, sulla base di un apposito regolamento adottato dal Ministro della pubblica istruzione ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Nel rispetto degli obiettivi di apprendimento generali e specifici previsti dai predetti curricula, possono essere concordati tra il Ministero della pubblica istruzione e le singole regioni percorsi e progetti che, fatta salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche, siano in grado di prevenire e contrastare la dispersione e di favorire il successo nell'assolvimento dell'obbligo di istruzione. Le strutture formative che concorrono alla realizzazione dei predetti percorsi e progetti devono essere inserite in un apposito elenco predisposto con decreto del Ministro della pubblica istruzione. Il predetto decreto e' redatto sulla base di criteri prede finiti con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, in conformita' ai rispettivi statuti e alle relative norme di attuazione, nonche' alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. L'innalzamento dell'obbligo di istruzione decorre dall'anno scolastico 2007/2008". 4.1.2. - Piu' avanti, al comma 624, si dispone che "fino alla messa a regime di quanto previsto dal comma 622, proseguono i percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale di cui all'art. 28 del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226. Restano, pertanto, confermati i finanziamenti destinati dalla normativa vigente alla realizzazione dei predetti percorsi. Dette risorse per una quota non superiore al 3 per cento sono destinate alle misure nazionali di sistema ivi compreso il monitoraggio e la valutazione. Le strutture che realizzano tali percorsi sono accreditate dalle regioni sulla base dei criteri generali definiti con decreto adottato dal Ministro della pubblica istruzione di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. 4.1.3. - Infine, il comma 631 afferma che "a decorrere dall'anno 2007, il sistema dell'istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), di cui all'art. 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, e' riorganizzato nel quadro del potenziamento dell'alta formazione professionale e delle misure per valorizzare la filiera tecnico-scientifica, secondo le linee guida adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della pubblica istruzione formulata di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, ai sensi del medesimo decreto legislativo. 4.2. - Con la riforma del Titolo V della Costituzione l'assetto globale relativo alle competenze in materia di istruzione e', come noto, abbastanza complesso. In riferimento alle funzioni legislative, il quadro puo' cosi' sintetizzarsi: allo Stato compete la definizione delle "norme generali sull'istruzione", la determinazione dei "livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (LEP) e la fissazione dei "principi fondamentali"; alle regioni compete la potesta' legislativa concorrente in generale su tutta la materia dell'"istruzione" e la potesta' legislativa esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale. La natura esclusiva di tale ultima competenza emerge in modo chiaro dall'art. 117, comma 3, dove l'istruzione e' inserita tra le materie di competenza concorrente "ad esclusione dell'istruzione e formazione professionale", ed e' stata piu' volte riconosciuta da codesta ecc.ma Corte (v. Corte cost., sent. n. 50 del 2005). Sulla base di questo nuovo quadro costituzionale si e' mosso il successivo legislatore ordinario, attraverso la legge delega n. 53 del 2003 ("Delega in materia di norme generali sull'istruzione e di livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale") e i conseguenti decreti delegati che hanno delineato, attraverso ampie modalita' partecipative tra i soggetti istituzionali coinvolti, un sistema educativo di istruzione e di formazione che, oltre ad abbandonare il vecchio concetto di obbligo scolastico (sostituito da quello di diritto/dovere di istruzione assicurato a tutti per almeno dodici anni), si e' articolato nella scuola dell'infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell'istruzione e formazione professionale (sul quale e' stata rinnovata e rinforzata la competenza regionale, v. art. 2, comma 1, lettera h) delle legge n. 53 del 2003). 4.3. - I commi che qui si censurano sono chiara espressione di una volonta', incongruamente palesatasi per il tramite dello strumento della legge finanziaria, di modificare, con forte ricentralizzazione, il sistema dell'istruzione e dell'istruzione e formazione professionale. E invero, con il testo del comma 622, in spregio non solo delle nuove attribuzioni legislative individuate dall'art. 117 Cost., ma anche dei generali principi di buon andamento dell'amministrazione e di leale collaborazione, si stravolge il lavoro compiuto dal legislatore ordinario: difatti, si ripristina il concetto di obbligo scolastico; si prevedono dieci anni di istruzione obbligatoria e comune; nella sostanza, si introduce un biennio unitario tra sistema dei licei e sistema dell'istruzione e formazione professionale; viene innalzata l'eta' per l'accesso al lavoro con evidenti ricadute sul sistema dell'istruzione e formazione professionale; si incide sui primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore (e quindi in un segmento che gia' interessa l'istruzione e formazione professionale) attraverso lo strumento del regolamento governativo ex art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988; sono apposti, in modo marginale, strumenti eventuali e comunque molto deboli di coinvolgimento regionale (queste, infatti, "possono" essere chiamate a concordare con il Ministero della pubblica istruzione, percorsi e progetti tesi a contrastare la dispersione e a favorire il successo nell'assolvimento dell'obbligo di istruzione); vengono inserite in un apposito elenco, predisposto con decreto del Ministro della pubblica istruzione, le strutture formative che concorrono alla realizzazione di percorsi e progetti che attengono sia alla istruzione che alla istruzione e formazione professionale, sulla base di criteri nella sostanza definiti dal solo Ministro, vista la palese debolezza insita nel "sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano"). Il comma 624 entra in modo ancora piu' incisivo nella dimensione dell'istruzione e formazione professionale, instaurando una sorta di regime transitorio sino alla messa a regime di quanto stabilito nel precedente comma 622: e lo fa predisponendo il proseguimento dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale individuati dall'art. 28 del d.lgs. n. 226 del 2005, stabilendo i tetti di destinazione delle risorse gia' stanziate e, in modo del tutto irragionevole nonche' illegittimo, afferma che le strutture che realizzano i percorsi di istruzione e formazione professionale, invece di essere lasciate alla esclusiva e libera regolamentazione da parte delle regioni, debbano essere accreditate dalle regioni sulla base di criteri generali stabiliti anche dal Ministro della pubblica istruzione e dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Infine, l'illegittimita' del comma 631 e' ancora piu' manifesta: qui l'intervento statale e' volto a riorganizzare il sistema dell'istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) - previsto dall'art. 69 della legge n. 144 del 1999, cioe' un provvedimento legislativo anteriore sia alla riforma costituzionale, sia a quel processo di ristrutturazione dell'intero sistema di istruzione e formazione cui prima si e' accennato, - ancora nell'ambito della formazione professionale che e', invece, una dimensione appannaggio esclusivo delle regioni. In definitiva, il legislatore nazionale con i commi che qui si impugnano ha voluto ricostruire, riformare e riordinare aspetti del sistema dell'istruzione ignorando del tutto le nuove attribuzioni costituzionali in materia emerse dalla riforma del 2001 e cestinando altri punti essenziali che sono stati raggiunti con un lavoro faticoso e concertato dal successivo legislatore ordinario. Ma vi e' di piu': tutto cio' e' stato realizzato con uno strumento completamente inadeguato, alcuni isolati commi di una la legge finanziaria, improvvisato ed estemporaneo, approvato insieme ad un coacervo di altre disposizioni tra loro eterogenee, blindato in sede parlamentare e quindi del tutto privo di quell'indispensabile momento partecipativo che invece esigono le innovazioni in materia di istruzione, alla luce del nuovo riparto di funzioni, del principio di leale collaborazione e di buon andamento dell'amministrazione. 5. - Violazione degli artt. 117, 118, 120 e 3 e 97 Cost. da parte del comma 1226. 5.1. - Il comma 1226 recita: "Al fine di prevenire ulteriori procedure di infrazione, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano devono provvedere agli adempimenti previsti dagli artt. 4 e 6 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, o al loro completamento, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base di criteri minimi uniformi definiti con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare". 5.2. - Con il nuovo art. 117 Cost., l'attribuzione della "tutela dell'ambiente" alla competenza esclusiva dello Stato e il contestuale riconoscimento del "governo del territorio" e della "valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attivita' culturali", ha suscitato diverse perplessita' tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. Alcuni dubbi sorti circa l'art. 117, comma 2, lettera s) sono stati sciolti dalla nota sentenza n. 407 del 2002 nella quale la Corte, dopo aver individuato l'ambiente come valore costituzionalmente protetto, ha configurato la tutela dell'ambiente piu' che come materia in senso tecnico, come materia "trasversale" "in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale" A fronte di una giurisprudenza successiva che ha ampiamente confermato l'orientamento espresso nella 407 del 2002 (si vedano le sentenze nn. 536 del 2002, 222, 226, 227, 30 del 2003), e' possibile dunque affermare che la riforma del Titolo V ha conservato la preesistente pluralita' di titoli di legittimazione per interventi delle regioni diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze legislative concorrenti o residuali, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato. Non puo' dunque negarsi che nell'azione di tutela dell'ambiente siano concretamente coinvolti tutti i livelli territoriali in una logica di effettiva corresponsabilita' e che tale concorso di competenze sia guidato dal principio di "leale collaborazione". Se tradizionalmente la giurisprudenza di codesta Corte ha invocato il principio di leale collaborazione imponendo il ricorso a strumenti di raccordo che consentano ai soggetti istituzionali di agire secondo linee convergenti e sinergiche, in "ogni ipotesi in cui l'esercizio delle competenze spettanti allo Stato comporta interferenze con l'esercizio delle competenze spettanti alle regioni" (cfr. Corte cost., sentt. nn. 464 del 1991 e 127 del 1995), neI ventaglio dei raccordi possibili l'intesa costituisce senz'altro la forma piu' intensa di partecipazione, perche' modulata su formule collaborative di tipo paritario tra i soggetti chiamati a decidere. In materia ambientale, cosi', la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittime alcune disposizioni che non avevano previsto l'intesa tra lo Stato e le regioni in materia di procedure di adeguamento nella disciplina dei parchi (sent. 302 del 1994), di rilevamento degli incendi boschivi (sent. 157 del 1995), di programmazione degli interventi di protezione civile (sent. 127 del 1995); dopo l'entrata in vigore della riforma del titolo V, tale orientamento e' stato confermato e si e' insistito sulla centralita' del principio di leale collaborazione nei rapporti tra Stato e regioni (cfr. sent. 27 del 2002). 5.3. - Il comma qui censurato impone alle regioni di provvedere agli adempimenti previsti ex artt. 4 e 6 del d.P.R. n. 357 del 1997 - e cioe' alla predisposizione per i siti di importanza comunitaria e per le zone di protezione speciale, delle opportune misure atte ad evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonche' la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate - sulla base di criteri minimi uniformi definiti con solo decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Quindi, per la determinazione dei criteri minimi non solo non e' prevista l'intesa, ma manca del tutto qualsiasi forma e modalita' di coinvolgimento delle regioni. Diviene del tutto evidente come la determinazione di tali criteri, una volta rimessa alla esclusiva volonta' statale, si ponga in aperto contrasto con il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, estrometta dalle opportune valutazioni le regioni in un ambito materiale in cui queste esercitano funzioni legislative ed amministrative e sia pertanto da dichiarare incostituzionale per violazione degli artt. 117, 118, 120 e 97 della Costituzione.
P. Q. M. Chiede che codesta ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale: dei commi 362, 363, 364, 365; 389; 853; 892, 893, 894, 895; 1121, 1122, 1123; 1227, 1228; 1252; 1261; 1267; 1284, nei sensi e nei limiti specificati nel testo del ricorso, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' dei principi di leale collaborazione (art. 120 Cost.), buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.) e ragionevolezza (art. 3 Cost.); dei commi 583, 584, 585; 610, 611; 622, 624, 631; 1226, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' dei principi di leale collaborazione (art. 120 Cost.), buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.) e ragionevolezza (art. 3 Cost.). Roma-Milano, addi' 26 febbraio 2006 Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto - Avv. Pio Dario Vivone