RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 marzo 2007 , n. 14
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 7 marzo 2007 (della Regione Lombardia)

(GU n. 15 dell'11-4-2007)
 
    Ricorso  della Regione Lombardia, in persona del presidente della
giunta   regionale   pro   tempore,   on.  dott.  Roberto  Formigoni,
autorizzato  con  delibera  di giunta regionale n. VIII/004172 del 21
febbraio  2007, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del
presente atto, dagli avv. Pio Dario Vivone e prof. Beniamino Caravita
di  Toritto  e presso lo studio del secondo elettivamente domiciliato
in Roma, via di Porta Pinciana n. 6;

    Contro  il  Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dei commi 362, 363,
364, 365; 389; 853; 892, 893, 894, 895; 1121, 1122, 1123; 1227, 1228;
1252; 1261; 1267; 1284; 583, 584, 585; 610, 611; 622, 624, 631; 1226,
dell'art. 1   della   legge   27   dicembre   2006,  n. 296,  recante
"Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato  (legge  finanziaria  2007)", pubblicata nel supplemento
ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006, n. 299
-  Serie  generale  per  violazione  degli  artt. 117, 118, 119 della
Costituzione,   nonche'   dei   principi   costituzionali   di  leale
collaborazione   (art. 120),   di   buon  andamento  (art. 97)  e  di
ragionevolezza (art. 3).
    La  legge  27 dicembre 2006, n. 296, recante "Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e  pluriennale dello Stato (legge
finanziaria   2007)",   pubblicata  nel  Supplemento  ordinario  alla
Gazzetta  Ufficiale  n. 299  del  27  dicembre  2006,  n. 299 - Serie
generale,  e'  composta da un articolo unico suddiviso in 1364 commi.
Si  tratta,  come  e'  ormai  prassi  per i provvedimenti legislativi
relativi   alla   manovra  finanziaria,  di  un  ampio  complesso  di
disposizioni  variegate  ed  eterogenee,  molte  delle  quali, a loro
volta,  ulteriormente  sottoarticolate.  La  legge n. 296 del 2006 e'
completata infine da una serie di documenti cosi' denominati: Tabelle
1,  2, 3, Elenco 1, Allegati 1, 2, Prospetto di copertura, Tabelle A,
B, C, D, E, F, Lavori preparatori.
    Nell'effettuare  tale  complessa  manovra  finanziaria, Governo e
Parlamento  non  hanno  tuttavia  tenuto  nel debito conto i profili,
cosi'   come   evidenziati   nella   giurisprudenza   costituzionale,
dell'autonomia  regionale,  specie  sotto il profilo della disciplina
dei  finanziamenti.  Cosi', nel coacervo delle disposizioni contenute
nella  legge n. 296 del 2006, la Regione Lombardia ha individuato una
serie  di  previsioni  direttamente  e  immediatamente  lesive  della
propria autonomia, che qui di seguito vengono impugnate.
    1.  -  Violazione  degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione,
nonche'  dei  principi  di  leale  collaborazione (art. 120), di buon
andamento   dell'amministrazione   (art. 97)   e   di  ragionevolezza
(art. 3),  da  parte dell'art. 1, commi 362, 363, 364, 365; 389; 853;
892,  893,  894, 895; 1121, 1122, 1123; 1227, 1228; 1252; 1261; 1267;
1284  della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante "Disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2007)".
    1.1.  -  Le  citate  disposizioni sono relative all'istituzione e
all'implementazione   di  fondi  statali  in  materie  di  competenza
regionale   ed   evidenziano   comuni   aspetti   di   illegittimita'
costituzionale, che saranno esposti e circostanziati al termine della
sintetica illustrazione dei contenuti dei commi stessi.
    1.1.1.  -  Fondo  per  la  copertura  di interventi di efficienza
energetica  e  di  riduzione dei costi della fornitura energetica per
finalita' sociali (commi 362, 363, 364, 365).
    I  commi 362,  363,  364  e 365 sono relativi alla costituzione e
implementazione  di  un  fondo  "per  la  copertura  di interventi di
efficienza  energetica  e  di  riduzione  dei  costi  della fornitura
energetica  per  finalita'  sociali".  Il comma 362, nel prevedere la
costituzione  del  fondo,  stabilisce  che  esso  e'  alimentato  dal
"maggior  gettito  fiscale  derivante dall'incidenza dell'imposta sul
valore  aggiunto  sui  prezzi di carburanti e combustibili di origine
petrolifera,  in  relazione  ad aumenti del prezzo internazionale del
petrolio  greggio,  rispetto  al  valore  di riferimento previsto nel
Documento   di  programmazione  economico-finanziaria  per  gli  anni
2007-2011". L'ammontare dell'incremento di gettito destinato al Fondo
e'  limitato ad un massimo di 100 milioni di euro annui. Il comma 363
chiarisce  poi  che il Fondo e' istituito nell'ambito dello "stato di
previsione  del  Ministero  dello  sviluppo economico" e che, "per il
triennio  2007-2009,  ha una dotazione iniziale di 50 milioni di euro
annui".  Il  comma 364 stabilisce che le condizioni, le modalita' e i
termini  per  l'utilizzo  del Fondo sono determinate con "decreto del
Ministro  dell'economia  e delle finanze, di concerto con il Ministro
dello  sviluppo  economico"  entro  tre mesi dalla data di entrata in
vigore  della  legge  n. 296  del  2006  (legge finanziaria 2007). La
dotazione  del  Fondo, specifica ancora il comma 364, e' destinata al
"finanziamento  di  interventi  di  carattere  sociale,  da parte dei
comuni, per la riduzione dei costi delle forniture di energia per usi
civili   a  favore  di  denti  economicamente  disagiati,  anziani  e
disabili",  oltre  che, per una somma di 11 milioni di euro annui per
il biennio 2008-2009, agli interventi di efficienza energetica di cui
ai commi da 353 a 361. Il successivo comma 365 precisa infine che per
implementare  le  norme  di attuazione per l'utilizzo del Fondo "sono
stipulati  accordi  tra  il Governo, le regioni e gli enti locali che
garantiscano  la  individuazione  o  la creazione, ove non siano gia'
esistenti,  di strutture amministrative, almeno presso ciascun comune
capoluogo  di  provincia,  per la gestione degli interventi di cui al
comma 364,  i cui costi possono in parte essere coperti dalle risorse
del Fondo di cui al comma 362".
    1.1.2.  - Fondo per l'abbattimento delle barriere architettoniche
(comma 389).
    Il  comma 389  istituisce  presso  il  Ministero  dello  sviluppo
economico  un "fondo con una dotazione di 5 milioni di euro destinato
all'erogazione  di contributi ai gestori di attivita' commerciali per
le  spese  documentate e documentabili sostenute entro il 31 dicembre
2007  per  l'eliminazione  delle  barriere architettoniche nei locali
aperti  al  pubblico".  La disposizione impugnata prevede inoltre che
entro  settanta  giorni  dalla  data di entrata in vigore della legge
n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007) "il Ministro dell'economia e delle
finanze,  con proprio decreto, adottato d'intesa con i Ministri dello
sviluppo economico e della solidarieta' sociale, definisce modalita',
limiti  e  criteri per l'attribuzione dei contributi", previsti dalla
stessa disposizione.
    1.1.3.  -  Fondo  a  sostegno  delle  imprese: individuazione dei
requisiti delle imprese destinatarie degli interventi (comma 853).
    Il comma 853 dispone che gli interventi relativi al "Fondo per il
finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti UE sugli
aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese
in   difficolta"   (fondo   previsto   dall'art. 11,   comma 3,   del
decreto-legge  14  marzo  2005, n. 35, convertito, con modificazioni,
dalla  legge  14  maggio  2005,  n. 80),  sono disposti sulla base di
criteri  e  modalita'  fissati con delibera del CIPE, su proposta del
Ministro  dello  sviluppo  economico. Il comma 853 stabilisce inoltre
che  tale  delibera  "determina,  in  conformita'  agli  orientamenti
comunitari   in  materia,  le  tipologie  di  aiuto  concedibile,  le
priorita'  di  natura  produttiva, i requisiti economici e finanziari
delle   imprese   da   ammettere   ai   benefici  e  per  l'eventuale
coordinamento delle altre amministrazioni interessate".
    La  norma  precisa  inoltre che per l'attuazione degli interventi
"il  Ministero  dello  sviluppo economico puo' avvalersi, senza oneri
aggiuntivi  per il bilancio dello Stato, di Sviluppo Italia S.p.A." e
dispone  infine  l'abrogazione  della precedente disciplina sul punto
(in  particolare  dei  commi 5  e 6 dell'art. 11 del decreto-legge 14
marzo  2005,  n. 35,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge 14
maggio 2005, n. 80).
    1.1.4.  -  Contributo  per  la  realizzazione dei progetti per la
societa'  dell'informazione e fondo per il sostegno agli investimenti
per l'innovazione negli enti locali (commi 892, 893, 894, 895).
    I  commi 892,  893,  894,  895  adottano  misure finalizzate alla
realizzazione  di  progetti  "per  la  societa'  dell'informazione" e
dispongono   l'istituzione   di   un   fondo  per  il  sostegno  agli
investimenti  per l'innovazione negli enti locali. In particolare, il
comma 892  autorizza  una  spesa annuale di 10 milioni di euro per il
triennio  2007-2009 e dispone che, entro quattro mesi dall'entrata in
vigore  della  legge n. 296 del 2006, il Ministro per le riforme e le
innovazioni  nella  pubblica  amministrazione,  di  concerto  con  il
Ministro  per  gli  affari  regionali  e  le autonomie locali per gli
interventi  relativi  alle regioni e agli enti locali, individua, con
decreto  di  natura  non  regolamentare,  le azioni da realizzare sul
territorio nazionale, le aree destinatarie della sperimentazione e le
modalita'  operative  e  di  gestione  di  tali progetti. Il seguente
comma 893  istituisce un fondo presso la Presidenza del Consiglio dei
ministri,  denominato  "Fondo  per  il sostegno agli investimenti per
l'innovazione  negli  enti locali". La dotazione finanziaria prevista
e'  pari  a  15 milioni di euro annuali per il triennio 2007-2009. Il
fondo  e'  destinato  al finanziamento di "progetti degli enti locali
relativi   agli   interventi   di   digitalizzazione   dell'attivita'
amministrativa",   con  particolare  attenzione  ai  procedimenti  di
diretto  interesse  dei  cittadini  e  delle  imprese (comma 893). Il
comma 894 stabilisce poi che i criteri di distribuzione delle risorse
stanziate attraverso tale Fondo sono definiti con "successivo decreto
dei   Ministri  per  le  riforme  e  le  innovazioni  nella  pubblica
amministrazione  e per gli affari regionali e le autonomie locali, di
concerto  con  il Ministro dell'economia e delle finanze". Il decreto
e'  adottato  sentita  la Conferenza unificata Stato citta' regioni e
previo   "parere   della  Commissione  permanente  per  l'innovazione
tecnologica  nelle regioni e negli enti locali", prevista dal decreto
legislativo   7   marzo  2005,  n. 82  ("Codice  dell'amministrazione
digitale"  e  in  particolare  dall'art. 14, comma 3-bis). Infine, il
comma 895  dispone che "nella valutazione dei progetti da finanziare,
di  cui  al  comma 892"  (relativi  cioe'  alla  cosiddetta "societa'
dell'informazione"),  sono  privilegiati  "quelli  che  utilizzano  o
sviluppano  applicazioni  software  a codice aperto". La stessa norma
prevede  inoltre  che gli elementi costitutivi dei software elaborati
nell'ambito di tali progetti ("i codici sorgente, gli eseguibili e la
documentazione")  sono  mantenuti in un "ambiente" che ne consenta lo
sviluppo,  secondo  modalita'  di  tipo  "cooperativo". A tal fine e'
disposto  che  i  programmi  informatici  vengano  situati su un "web
individuato  dal  Ministero  per  le  riforme  e le innovazioni nella
pubblica   amministrazione   al  fine  di  poter  essere  visibili  e
riutilizzabili".
    1.1.5. - Istituzione del Fondo per la mobilita' sostenibile nelle
aree urbane (commi 1121, 1122, 1123).
    I  commi 1121,  1122  e 1123 sono relativi alla istituzione di un
"Fondo  per  la  mobilita'  sostenibile  nelle  aree  urbane"  e alla
determinazione  delle  relative destinazioni. Secondo quanto previsto
dal  comma 1121,  il  Fondo  e'  istituito nell'ambito dello stato di
previsione  del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio
e  del  mare. Esso consiste in uno stanziamento annuale di 90 milioni
di  euro  per  il  triennio  2007-2009.  Lo  scopo  del  Fondo  e' il
finanziamento  di  "interventi  finalizzati  al  miglioramento  della
qualita' dell'aria nelle aree urbane e al potenziamento del trasporto
pubblico".  Ai  sensi  del  comma 1122  le  risorse  del  Fondo  sono
destinate,  con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio  e  del  mare,  di concerto con il Ministro dei trasporti,
all'adozione  di numerose misure, gia' individuate ed enumerate dalla
disposizione  stessa:  potenziamento  dei mezzi pubblici, soprattutto
dei  meno  inquinanti  e  nell'ambito  dei  comuni  "a maggiore crisi
ambientale";  incentivi  per  l'intermodalita'  e  per  la  mobilita'
sostenibile;  valorizzazione degli strumenti del mobility managment e
del    car   sharing;   percorsi   vigilati   protetti   casa-scuola;
miglioramento  della  logistica  per  la  consegna e la distribuzione
delle  merci; realizzazione e potenziamento di forme di distribuzione
di  carburante  alternativo  (gas  metano,  gpl,  energia  elettrica,
idrogeno);  promozione  di  reti  urbane  di  percorsi destinati alla
mobilita' ciclistica. Il comma 1123 dispone infine la destinazione di
una  quota  non  inferiore  al 5 per cento del fondo in favore di uno
specifico  fondo  preesistente,  e  cioe'  del fondo per la mobilita'
ciclistica previsto dalla legge 19 ottobre 1998, n. 366.
    1.1.6.  -  Autorizzazioni  di spesa per interventi a sostegno del
settore turistico (commi 1227, 1228).
    I  commi 1227  e  1228  recano misure per il sostengo del settore
turistico.  In particolare, il comma 1227 autorizza la spesa annua di
10  milioni di euro per il triennio 2007-2009, secondo un regolamento
da emanare su proposta della "Presidenza del Consiglio dei ministri -
Dipartimento  per  lo  sviluppo  e la competitivita' del turismo". Il
successivo  comma 1228 autorizza invece una spesa annua di 48 milioni
per    il    triennio    2007-2009    per    interventi   finalizzati
all'incentivazione  dell'offerta  delle imprese turistico-ricettive e
alla  promozione  del  turismo ecocompatibile; la stessa disposizione
stabilisce  inoltre  che  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
sentita  la  Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le
regioni  e le province autonome di Trento e di Bolzano, adotta, entro
trenta  giorni dall'entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, un
"decreto  recante  l'individuazione  dei  criteri,  delle procedure e
delle  modalita' di attuazione" delle previsioni contenute neI citato
comma 1228.
    1.1.7.  - Ripartizione del fondo per le politiche per la famiglia
(comma 1252).
    Al  comma 1252  la  legge  finanziaria per il 2007 prevede che la
ripartizione degli stanziamenti relativi al Fondo delle politiche per
la  famiglia  sia  operata  dal  "Ministro  delle  politiche  per  la
famiglia" con proprio decreto.
    1.1.8.  -  Incremento  del  Fondo  per  le  politiche relative ai
diritti  e  alle  pari  opportunita';  Fondo e Osservatorio contro la
violenza sessuale e di genere (comma 1261).
    Il  comma 1261  prevede  poi  l'incremento  delle  risorse per il
"Fondo  per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunita"
(gia'  previsto  dall'art. 19,  comma 3,  del  decreto-legge 4 luglio
2006,  n. 223,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge 4 agosto
2006,  n. 248). Tale incremento e' fissato in misura di 40 milioni di
euro  annui per il triennio 2007-2009, "di cui una quota per ciascuno
degli  anni 2007, 2008 e 2009, da destinare al Fondo nazionale contro
la violenza sessuale e di genere". Analogamente a quanto previsto per
la  ripartizione  del  fondo  per  le  politiche  per la famiglia, e'
previsto  che  i criteri di ripartizione del Fondo sono stabiliti dal
"Ministro  per  i diritti e le pari opportunita', con decreto emanato
di  concerto  con i Ministri della solidarieta' sociale, del lavoro e
della  previdenza  sociale,  della  salute  e  delle politiche per la
famiglia".
    E'  altresi'  disposto  che  i  criteri  determinati dal Ministro
dovranno  prevedere  "una quota parte da destinare all'istituzione di
un  Osservatorio  nazionale contro la violenza sessuale e di genere e
una  quota  parte  da destinare al piano d'azione nazionale contro la
violenza sessuale e di genere".
    1.1.9.   -   Fondo   per  l'inclusione  sociale  degli  immigrati
(comma 1267).
    Il  comma 1267  istituisce presso il Ministero della solidarieta'
sociale  il  "Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati" al fine
di favorire "l'inclusione sociale dei migranti e dei loro familiari".
Al  fondo  e'  assegnata  la somma di 50 milioni di euro per ciascuno
degli  anni  2007,  2008  e 2009. Secondo quanto previsto dalla norma
istitutiva,  il Fondo e' inoltre finalizzato alla realizzazione di un
"piano  per  l'accoglienza degli alunni stranieri, anche per favorire
il   rapporto  scuola-famiglia,  mediante  l'utilizzo  per  fini  non
didattici   di   apposite   figure  professionali  madrelingua  quali
mediatori culturali".
    1.1.10.  -  Fondo  di  solidarieta'  per  il maggior accesso alle
risorse idriche (comma 1284).
    Infine  il  comma 1284 istituisce un fondo di solidarieta' per il
maggior  accesso  alle risorse idriche: il fondo, stabilito presso la
Presidenza del Consiglio dei ministri, e' finalizzato a promuovere il
"finanziamento   esclusivo  di  progetti  ed  interventi,  in  ambito
nazionale  e  internazionale,  atti  a  garantire  il maggior accesso
possibile  alle  risorse  idriche secondo il principio del/a garanzia
dell'accesso  all'acqua a livello universale". La stessa disposizione
introduce inoltre, quale strumento di finanziamento del fondo stesso,
"un  contributo  pari a 0,1 centesimi di euro" "per ogni bottiglia di
acqua   minerale  o  da  tavola  in  materiale  plastico  venduta  al
pubblico".  Le  modalita'  di  funzionamento  e  di  erogazione delle
risorse   del   fondo   sono  "indicate"  con  decreto  del  Ministro
dell'ambiente  e  della  tutela del territorio e del mare di concerto
con  il  Ministro  degli  affari  esteri,  sentito  il  parere  delle
competenti  Commissioni  parlamentari  e  della  Conferenza unificata
Stato,  citta',  regioni.  Infine,  la  norma  autorizza il Ministero
dell'economia  e  delle  finanze  a  emanare  i regolamenti attuativi
necessari.
    1.2.   -   Dall'esposizione  del  contenuto  delle  norme  appena
richiamate si evince in maniera netta l'inesistente, ovvero del tutto
marginale,   coinvolgimento  della  regione  in  materie  di  propria
competenza   concorrente   o   residuale,  e  la  conseguente  palese
violazione  degli  artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, oltre che
dei  principi  di  leale collaborazione (art. 120), di buon andamento
dell'amministrazione (art. 97) e di ragionevolezza (art. 3).
    Il  testo  costituzionale  novellato  a seguito della riforma del
Titolo  V  del  2001  individua  una  stretta  correlazione  tra  gli
artt. 119  e  117:  in  particolare  le funzioni pubbliche relative a
materie  di  competenza  regionale piena o concorrente debbono essere
finanziate  con  le  risorse  proprie  cui  si  riferisce l'art. 119,
comma 4,  della  Costituzione  (tributi  propri, compartecipazioni al
gettito  di  tributi  erariali  e  quote  del fondo perequativo senza
vincolo di destinazione).
    E'  ben  noto  come a sei anni di distanza dall'entrata in vigore
del  nuovo  testo  del  Titolo  V,  il "federalismo fiscale" previsto
dall'art. 119  -  che, insieme agli artt. 117 e 118 opera come vero e
proprio  "distributore"  della sovranita' popolare tra le istituzioni
della Repubblica - non abbia ancora trovato attuazione. Il meccanismo
- complicato si, ma non impossibile, di finanziamento delle autonomie
non  e'  decollato,  rendendo  monco  ogni  discorso  sulla  corretta
attuazione  anche  degli  artt. 117  e  118. Cosi' la Corte ha dovuto
porre  dei  paletti  all'atteggiamento  statale  -  a prescindere dal
colore  dei  governi - di operare come se il nuovo Titolo V non fosse
mai entrato in vigore e, pur riconoscendo che l'attuazione e' compito
precipuo  del  legislatore, ha iniziato a fissare qualche vincolo, di
tipo  transitorio.  Cosi',  in particolare, la Corte ha stabilito che
dal  nuovo  Titolo  V  deriva  l'eliminazione o comunque la riduzione
dell'ambito  dei finanziamenti erariali vincolati, espressione tipica
della finanza c.d. derivata.
    Anche in attesa dell'attuazione dell'art. 119, in linea generale,
secondo  l'orientamento  di  codesta  ecc.ma  Corte,  deve  ritenersi
preclusa   la  possibilita'  di  interventi  finanziari  statali  non
coerenti  con  il  vigente riparto di competenze tra Stato e regioni.
Pertanto,  la  previsione di fondi a destinazione vincolata, relativi
ad   ambiti   di   competenza  regionale,  costituisce  strumento  di
interferenza  e di sovrapposizione agli indirizzi che la Costituzione
assegna all'autonoma determinazione delle regioni.
    La  Corte  e'  cosi' intervenuta in diverse occasioni tentando di
arginare  le  ingerenze  statali  in  materie  regionali  tramite  lo
strumento    dei    finanziamenti,    dichiarando    incostituzionali
trasferimenti  statali  vincolati  ovvero  l'istituzione  di fondi in
materia  di  competenza  regionale,  diretti a sostenere attivita' di
competenza  regionale,  ad  eccezione dei casi di interventi speciali
previsti dall'art. 119, comma 5, Cost.
    Ed  infatti,  gia'  a partire dalla prima pronuncia sul punto, la
sentenza  n. 370  del 2003 (in materia di asili nido), codesta ecc.ma
Corte ha affermato che, se il meccanismo di finanziamento predisposto
dalla  disposizione censurata "era coerente con il precedente assetto
legislativo,  ...non  e'  piu'  utilizzabile  a seguito dei rilevanti
mutamenti introdotti dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche  al  titolo  V  della  seconda parte della Costituzione)".
Difatti,    "Il    nuovo   art. 119   della   Costituzione,   prevede
espressamente, al quarto comma, che le funzioni pubbliche regionali e
locali  debbano  essere "integralmente" finanziate tramite i proventi
delle  entrate  proprie e la compartecipazione al gettito dei tributi
erariali  riferibili  al  territorio dell'ente interessato, di cui al
secondo comma, nonche' con quote del "fondo perequativo senza vincoli
di  destinazione",  di  cui  al  terzo  comma.  Gli  altri  possibili
finanziamenti  da  parte dello Stato, previsti dal quinto comma, sono
costituiti solo da risorse eventuali ed aggiuntive "per promuovere lo
sviluppo  economico,  la  coesione  e  la  solidarieta'  sociale, per
rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo
esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi
dal  normale  esercizio"  delle  funzioni,  ed  erogati in favore "di
determinati   comuni,  province,  citta'  metropolitane  e  regioni".
Pertanto, conclude la Corte, "nel nuovo sistema, per il finanziamento
delle  normali  funzioni di regioni ed enti locali, lo Stato puo' ero
gare   solo   fondi  senza  vincoli  specifici  di  destinazione,  in
particolare  tramite  il fondo perequativo di cui all'art. 119, terzo
comma,  della  Costituzione",  mentre  altri  possibili finanziamenti
(eventualmente   vincolati)   a  carico  del  bilancio  statale  sono
ammissibili  solo  nelle  ipotesi  e  per le finalita' tassativamente
previste nel citato comma 5 dell'art. 119 Cost.
    Nella  successiva  sent. n. 16 del 2004 (che censura il Fondo per
la  riqualificazione urbana dei comuni) la Corte e' stata ancora piu'
netta quando ha subordinato la validita' di un intervento finanziario
diretto  dello  Stato  al  caso  in  cui  si versi nell'attuazione di
discipline  dettate  dalla  legge  statale  nelle  materie di propria
competenza  ovvero  nella  disciplina  degli  speciali  interventi in
favore  di  determinati  comuni  (ex art. 119, comma 5). E cosi', nel
nuovo  contesto  delineato  dagli  artt. 117 e 119 Cost. "non possono
trovare  oggi  spazio  interventi  finanziari  diretti  dello Stato a
favore   dei   comuni,  vincolati  nella  destinazione,  per  normali
attivita' e compiti di competenza di questi ultimi, fuori dall'ambito
dell'attuazione  di  discipline  dettate  dalla  legge  statale nelle
materie  di  propria  competenza,  o  della disciplina degli speciali
interventi  finanziari  in favore di determinati comuni, ai sensi del
nuovo art. 119, quinto comma.
    Soprattutto  non  sono  ammissibili  siffatte forme di intervento
nell'ambito  di  materie  e  funzioni la cui disciplina spetta invece
alla  legge  regionale,  pur  eventualmente nel rispetto (quanto alle
competenze  concorrenti)  dei principi fondamentali della legge dello
Stato.  Gli interventi speciali previsti dall'art. 119, quinto comma,
a  loro  volta,  non  so/o  debbono  essere  aggiuntivi  rispetto  al
finanziamento  integra/e  (art. 119,  quarto  comma)  delle  funzioni
spettanti  ai comuni o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di
perequazione  e  di  garanzia enunciate nella norma costituzionale, o
comunque  a  scopi  diversi  dal normale esercizio delle funzioni, ma
debbono essere indirizzati a determinati comuni o categorie di comuni
(o province, citta' metropolitane, regioni).
    L'esigenza   di   rispettare   il  riparto  costituzionale  delle
competenze  legislative  fra  Stato  e regioni comporta altresi' che,
quando  tali  finanziamenti  riguardino  ambiti  di  competenza delle
regioni,   queste   siano   chiamate   ad   esercitare   compiti   di
programmazione  e  di  riparto  dei  fondi  all'interno  del  proprio
territorio".
    E'  di tutta evidenza, pertanto, come non rispondano al novellato
quadro   costituzionale   trasferimenti   statali   vincolati   nella
destinazione,  in  quanto  si  configurerebbero  come  "uno strumento
indiretto  ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle
funzioni  degli  enti  locali, e di sovrapposizione di politiche e di
indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle
regioni negli ambiti materiali di propria competenza".
    La   sentenza   n. 320  del  2004,  muovendosi  nel  solco  ormai
tracciato,  ha  aggiunto  ulteriori  elementi interessanti. In questa
occasione,  codesta  ecc.ma Corte ha censurato la previsione di fondi
statali  vincolati  finalizzati  all'erogazione di aiuti alle imprese
nell'ambito  di  materie  di  competenza  regionale  (nella specie si
trattava  di  incentivi alla promozione di servizi di asilo nido e di
"micro-nidi"  in  ambito  aziendale). E' stata, infatti, rigettata la
tesi  del Governo, che aveva sostenuto la sostanziale "neutralita" di
siffatti interventi finanziari rispetto all'autonomia di entrata e di
spesa  delle regioni attesi, da un lato, il loro carattere aggiuntivo
-   integrativo   rispetto  alle  ulteriori  risorse  (eventualmente)
stanziate   per   le   medesime  finalita'  a  livello  regionale  e,
dall'altro,  la  loro destinazione diretta ad appannaggio di soggetti
privati, senza alcun "transito" attraverso i bilanci regionali.
    Secondo  la  Corte,  viceversa,  "il  tipo  di ripartizione delle
materie  fra Stato e regioni di cui all'art. 117 Cost. vieta comunque
che  in  una  materia  di  competenza legislativa regionale, in linea
generale, si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati
a  soggetti  privati,  poiche'  cio'  equivarrebbe a riconoscere allo
Stato  potesta'  legislative  e  amministrative sganciate dal sistema
costituzionale  di riparto delle rispettive competenze". La logica e'
la stessa che emerge dai precedenti sopra richiamati, tuttavia estesa
dall'area  delle  relazioni  finanziarie  interne al settore pubblico
all'area  delle  relazioni finanziarie fra quest'ultimo ed il settore
privato.
    Se  questi  appena riportati sono i principi affermati in materia
dalla   giurisprudenza   costituzionale,   si   deve   ora  riportare
l'attenzione di codesta ecc.ma Corte su quelli che sono gli specifici
profili  di  incostituzionalita'  dei commi qui censurati, precisando
sin  da  subito  che  in  nessuno  dei finanziamenti ivi previsti, e'
possibile   rintracciare   quei  profili  attinenti  alla  dimensione
macroeconomica  che sono i soli che potrebbero permettere di attrarre
interventi  finanziari  statali  nell'ambito  di competenza esclusiva
della  tutela  della  concorrenza (vedi da ultimo ex multis, sentenza
n. 134 del 2005 e la ivi richiamata n. 272 del 2004).
    1.2.1.  -  Fondo  per  la  copertura  di interventi di efficienza
energetica  e  di  riduzione dei costi della fornitura energetica per
finalita' sociali (commi 362, 363, 364, 365).
    Orbene,  i  commi 362, 363, 364, 365 dispongono la costituzione e
implementazione  di  un  fondo  "per  la  copertura  di interventi di
efficienza  energetica  e  di  riduzione  dei  costi  della fornitura
energetica per finalita' sociali".
    Il  comma 362  provvede  alla creazione del fondo per mezzo della
destinazione  di  quote  prefissate  di  gettito  fiscale  secondo un
modello   di  "finanza  derivata",  mentre  il  successivo  comma 363
determina  la  consistenza  della  dotazione iniziale del Fondo. Tali
previsioni  sono,  con  ogni  evidenza,  incompatibili con il modello
stabilito  dall'art. 119  Cost.,  in particolare per quel che attiene
l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa attribuito alle regioni
dal comma 1 della norma costituzionale.
    Secondo l'orientamento espresso da codesta ecc.ma Corte, infatti,
"sul  piano  finanziario,  in  base  al nuovo testo dell'art. 119, le
regioni   -  come  gli  enti  locali  -  sono  dotate  di  "autonomia
finanziaria di entrata e di spesa" (primo comma) e godono di "risorse
autonome"   rappresentate  da  tributi  ed  entrate  propri,  nonche'
dispongono  di  compartecipazioni  al  gettito  di  tributi  erariali
riferibile  al  proprio territorio (secondo comma). E per i territori
con  minore  capacita'  fiscale  per  abitante,  la legge dello Stato
istituisce  un  fondo  perequativo  "senza  vincoli  di destinazione"
(terzo comma). Nel loro complesso tali risorse devono consentire alle
regioni  ed  agli  altri  enti locali "di finanziare integralmente le
funzioni pubbliche loro attribuite" (quarto comma).
    Non  di  meno,  al  fine  di promuovere lo sviluppo economico, la
coesione  e  la  solidarieta'  sociale,  di  rimuovere  gli squilibri
economici  e  sociali,  di favorire l'effettivo esercizio dei diritti
della  persona  o di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio
delle  loro funzioni, lo Stato puo' destinare "risorse aggiuntive" ed
effettuare  "interventi  speciali"  in favore "di determinati comuni,
province,  citta'  metropolitane e regioni" (quinto comma)" (sentenza
n. 423  del 2004 e le ivi richiamate sentt. nn. 370 del 2003, 16, 37,
49 e 320 del 2004).
    Il  fondo  istituito  dal comma 362 e' relativo ad "interventi di
efficienza  energetica  e  di  riduzione  dei  costi  della fornitura
energetica  per  finalita'  sociali".  Esso ricade dunque, in maniera
inequivocabile,  in  un  ambito di competenze riservato alla potesta'
legislativa regionale concorrente, agevolmente riconducibile, secondo
la   lettera   dell'art. 117,   comma 3   della   Costituzione,  alla
"produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia".
    Nonostante  questa  evidente  competenza regionale, i commi 362 e
363  dell'art. 1  della  legge  296  del  2006  non contengono alcuna
previsione  relativa a forme di codeterminazione con la regione delle
misure ivi contemplate. Peraltro, il seguente comma 364, mentre da un
lato  individua  in  un  decreto  ministeriale  (emesso  dal Ministro
dell'economia  e  delle  finanze  di  concerto  con il Ministro dello
sviluppo   economico)   lo   strumento   per   la  determinazione  di
"condizioni,  modalita'  e termini per l'utilizzo della dotazione del
Fondo",  dall'altro  dispone l'utilizzo della dotazione del fondo per
il  "finanziamento  di  interventi di carattere sociale, da parte dei
comuni, per la riduzione dei costi delle forniture di energia per usi
civili  a  favore  di  clienti  economicamente  disagiati,  anziani e
disabili  e, per una somma di 11 milioni di euro annui per il biennio
2008-2009,  agli  interventi  di  efficienza  energetica  di  cui  ai
commi da 353 a 361".
    E'  si'  vero  che  tale disposizione, nel riferirsi a numerosi e
variegati  interventi  sussumibili  nell'ambito  delle misure volte a
migliorare  l'efficienza  energetica  (quali  quelli  previsti  dalle
disposizioni  di  cui  ai  commi dal  353  al 361), parrebbe in parte
precisare   le   finalita'   del   fondo   stesso;   cio'  nondimeno,
l'approssimativa indicazione dei soggetti utilizzatori delle risorse,
individuati  genericamente  nella  generalita' dei "comuni", pone con
assoluta  sicurezza tale strumento di finanziamento al di fuori degli
"interventi speciali" autorizzati dal comma 5 dell'art. 119 Cost.
    Infatti,  come  codesta  ecc.ma  Corte ha motivato, un intervento
finanziario  statale  non  puo'  certo configurarsi come appartenente
alla   sfera   degli   "interventi   speciali"   di   cui  al  quinto
comma dell'art. 119  della  Costituzione, allorche' "esso e' disposto
in  favore  non  gia'  di  "determinati" comuni, ma della generalita'
degli  enti,  sia pure - e non appare neanche questo il caso - con un
criterio di preferenza a favore di comuni di dimensioni date, situati
in  alcune  aree del paese, individua te a loro volta con un criterio
assai generico" (sentenza n. 16 del 2004).
    Infine,  il  comma 365 prevede quale unico spazio di cooperazione
con le regioni lo strumento degli "accordi tra il Governo, le regioni
e gli enti locali". Tale strumento e' tuttavia previsto al solo scopo
di  dare  "efficace  attuazione  a quanto previsto dal comma 364". Si
tenta  cosi'  di  relegare allo spazio di semplici accordi ex post la
possibilita'   della  regione  di  incidere  su  materie  di  propria
competenza  concorrente.  codesta  ecc.ma  Corte ha invece piu' volte
riaffermato  la  necessita'  di forme partecipative ben piu' intense,
quali   le   "intese  forti"  richiamate  a  proposito  di  questioni
rientranti  nell'ambito  della "produzione, trasporto e distribuzione
nazionale  dell'energia",  nelle  sentenze n. 6 del 2004 e n. 383 del
2005.
    Inoltre,  secondo  quanto stabilito dal comma 365, gli accordi in
esso  previsti  dovranno garantire "la individuazione o la creazione,
ove  non  siano  gia'  esistenti, di strutture amministrative, almeno
presso  ciascun  comune capoluogo di provincia, per la gestione degli
interventi  di  cui al comma 364, i cui costi possono in parte essere
coperti   dalle   risorse  del  Fondo  di  cui  al  comma 362".  Tale
disposizione   si  riferisce  con  tutta  evidenza  all'esercizio  di
funzioni  amministrative  di  competenza regionale, in aperta lesione
del riparto di competenze previsto dagli artt. 117 e 118 Cost.
    In  ogni  caso,  l'illegittimita'  della  disposizione  impugnata
discende  dalla violazione del principio di leale collaborazione, per
la   mancata  previsione  di  un'intesa  "forte"  con  la  Conferenza
Stato-regioni.  Come  codesta  Corte  ha avuto modo di motivare, "una
eventuale  chiamata  in  sussidiari  eta"  da  parte dello Stato deve
essere  accompagnata  dalla previsione di idonei moduli collaborativi
nella  forma  dell'intesa  in senso forte fra gli organi statali e la
Conferenza  unificata,  rappresentativa  dell'intera pluralita' degli
enti regionali e locali" (sent. n. 383 del 2005).
    Tali previsioni si pongono in esplicita contraddizione, rilevante
altresi'  sotto  il profilo del buon andamento dell'amministrazione e
della  ragionevolezza,  con  le  disposizioni  in  tema  di risparmio
energetico  che  assegnano  un  ruolo  cruciale alle regioni (vedi da
ultimo, Corte cost. sentenza n. 133 del 2006).
    D'altra  parte  la  tipologia  degli  interventi previsti esclude
chiaramente che essi possano essere attratti nel titolo "tutela della
concorrenza".
    1.2.2.  - Fondo per l'abbattimento delle barriere architettoniche
(comma 389).
    Il  comma 389 dell'art. 1 della legge finanziaria 2007 istituisce
un  fondo, consistente in 5 milioni di euro, destinato all'erogazione
di  contributi  ai  gestori  di  attivita'  commerciali, per le spese
"documentate  e  documentabili", sostenute entro il 31 dicembre 2007,
per  l'abbattimento  delle  barriere architettoniche. Le modalita' di
erogazione  dei  contributi  sono  demandate a un decreto emanato dal
Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con i Ministri dello
sviluppo economico e della solidarieta' sociale, da emanarsi, secondo
la  norma istitutiva del fondo, entro settanta giorni dall'entrata in
vigore della legge n. 296 del 2006.
    Nulla e' previsto, nella disposizione impugnata, in ordine ad una
qualsivoglia forma di coinvolgimento delle regioni. A fronte dei gia'
richiamati  consolidati  principi espressi da codesta ecc.ma Corte in
ordine  alla incompatibilita' con il quadro costituzionale vigente di
strumenti di finanza cd. derivata per il finanziamento delle regioni,
anche  in  attesa  di  una piena attuazione del dettato dell'art. 119
Cost.,  si  sottolinea che il fondo previsto dal comma 389 riflette i
suoi  effetti  in  un'area di competenza relativa all'assistenza e ai
servizi  sociali,  sicuramente ricadente fra le materie di competenza
residuale delle regioni.
    Si  tratta,  invero,  di  una disposizione di carattere generico,
che,  con ogni evidenza, non possiede i requisiti che la Costituzione
esige  per  giustificare  "interventi  speciali"  di promozione della
"solidarieta'  sociale"  in  favore  di determinati comuni, province,
citta'  metropolitane,  regioni,  in  deroga al riparto di competenze
fissato   dagli  artt. 117  e  118  Cost.  Manca  infatti  del  tutto
l'individuazione   puntuale   degli  enti  locali  beneficiari  della
disposizione; ne' tantomeno si puo' scorgere nella norma l'attitudine
a  definire  ipotetici  livelli essenziali di prestazioni concernenti
diritti sociali, tali da radicare costituzionalmente l'intervento del
legislatore statale in materia invece di competenza regionale.
    Giova  peraltro  ricordare  come  in  un  precedente  giudizio di
legittimita'  costituzionale,  che  costituisce  precedente in puncto
rispetto  alla  vicenda  qui  portata  in discussione, codesta ecc.ma
Corte  ha  stabilito  l'illegittimita'  dell'art. 3, comma 116, della
legge  n. 350  del  2003 che individuava tra le finalita' di utilizzo
del  "Fondo  nazionale  per le politiche sociali" di cui all'art. 59,
comma 44,   della  legge  27  dicembre  1997,  n. 449,  e  successive
modificazioni,  "l'abbattimento delle barriere architettoniche di cui
alla  legge 9 gennaio 1989, n. 13 per un importo pari a 20 milioni di
euro",   motivando   che  "la  previsione  degli  interventi  di  cui
all'art. 3,  comma 116, della legge n. 350 del 2003 - non costituendo
determinazione  di  "livelli  essenziali  delle  prestazioni"  cui fa
riferimento l'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione
-  viola  le  competenze  regionali  concernenti  i  "servizi sociali
(sentenza n. 423 del 2004).
    1.2.3.  -  Fondo  a  sostegno  delle  imprese: individuazione dei
requisiti delle imprese destinatarie degli interventi (comma 853).
    Il  comma 853  dell'art. 1  della legge n. 296 del 2006 individua
nel Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE)
il   soggetto   competente   a   determinare   "in  conformita'  agli
orientamenti   comunitari   in   materia,   le   tipologie  di  aiuto
concedibile, le priorita' di natura produttiva, i requisiti economici
e  finanziari  delle  imprese  da  ammettere ai benefici" relativi al
"Fondo   per  il  finanziamento  degli  interventi  consentiti  dagli
Orientamenti  UE  sugli  aiuti  di  Stato  per  il  salvataggio  e la
ristrutturazione   delle   imprese  in  difficolta"  (fondo  previsto
dall'art. 11,  comma 3,  del  decreto-legge  14  marzo  2005,  n. 35,
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80). La
previsione  nulla  prevede  in ordine a forme di coinvolgimento delle
regioni.  Tra  le  funzioni  attribuite a queste ultime, peraltro, il
comma 1,  dell'art. 19  del  d.lgs.  n. 112  del  1998  espressamente
prevede  "le  funzioni  amministrative  concernenti  l'attuazione  di
interventi dell'Unione europea".
    Se  anche  dovessero  trovare spazio ambiti di competenza statale
legati  alla  tutela della concorrenza, o la possibilita' di invocare
la   cd.   "sussidiarieta'   ascendente",   appare  evidente  che  la
circostanza  che  vengano  interessati ambiti di competenza regionale
impone un necessario coinvolgimento delle regioni, pena la violazione
del principio costituzionale di leale collaborazione.
    Giova  richiamare  come  in  occasione del vaglio di legittimita'
costituzionale di norme relative al "Fondo per la capitalizzazione di
imprese  medio-grandi", previsto dalla legge n. 311 del 2004, codesta
ecc.ma  Corte  ha  dichiarato incostituzionale la norma che affida al
CIPE  la  determinazione  delle  modalita'  di funzionamento senza la
previa   intesa   con   la  Conferenza  Stato-regioni.  Secondo  tale
giurisprudenza,  "la  "chiamata  in  sussidiarieta'"" di funzioni che
costituzionalmente spettano alle regioni comporta anche la necessita'
che  lo  Stato  coinvolga sostanzialmente le regioni stesse, "poiche'
l'esigenza  di  esercizio  unitario che consente di attrarre, insieme
alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare
a  superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza
di  una  disciplina  che  prefiguri un iter in cui assumano il dovuto
risalto  le  attivita'  concertative  e di coordinamento orizzontale,
ovverosia  le intese, che devono essere condotte in base al principio
di   lealta"  (sentenze  n. 242  del  2005  e  n. 303  del  2003  ivi
richiamata).  Anche  in  questo  caso va ricordato come proprio nella
decisione  n. 242  del 2005 codesta ecc.ma Corte abbia ridimensionato
la   portata  del  titolo  di  intervento  statale  della  lettera e)
dell'art. 117  Cost., agendo sugli aspetti quantitativi: nella misura
in  cui si assiste a scelte normative caratterizzate da "una ricaduta
necessariamente  limitata e solo indiretta sull'attivita' economica",
non  si e' nell'ambito dell'ampia materia-funzione della tutela della
concorrenza (sentenza n. 242 del 2005).
    1.2.4.  -  Contributo  per  la  realizzazione dei progetti per la
societa'  dell'informazione e fondo per il sostegno agli investimenti
per l'innovazione negli enti locali (commi 892, 893, 894, 895).
    I  commi 892,  893,  894,  895 dell'art. 1 della legge n. 296 del
2006  prevedono  misure  per  la  realizzazione  di  progetti  per la
"Societa'  dell'informazione"  (comma 892), istituiscono un fondo per
il  sostegno  agli  investimenti  per l'innovazione negli enti locali
(comma 893),  ne  stabiliscono criteri di distribuzione (comma 894) e
priorita' dei progetti da finanziare (comma 895).
    Il comma 892, nel far riferimento alla realizzazione "su tutto il
territorio     nazionale"    di    progetti    "per    la    societa'
dell'informazione",  allude, con ogni evidenza, a taluni obiettivi di
carattere  generale  gia' espressi nelle "Linee guida del Governo per
lo  sviluppo  della  Societa'  dell'Informazione  nella legislatura",
emanate  dal Consiglio dei ministri in data 31 maggio 2002, nonche' a
quei   progetti   "di   grande  contenuto  innovativo,  di  rilevanza
strategica,   di  preminente  interesse  nazionale,  con  particolare
attenzione  per  i  progetti  di carattere intersettoriale" di cui al
comma 1,   dell'art. 27,   della  legge  n. 3  del  16  gennaio  2003
("Disposizioni     ordinamentali     in     materia    di    pubblica
amministrazione").  Come  codesta  ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di
affermare,  bisogna ritenere che "le procedure e i servizi telematici
dalla   stessa   disposizione   disciplinati   -  cioe'  dal  comma 1
dell'art. 27  della  legge  n. 3  del  2003  -  abbiano  quali  unici
destinatari  le  amministrazioni  dello  Stato  e  gli  enti pubblici
nazionali".   (...)   Tale   interpretazione   risulta   conforme   a
Costituzione, in quanto l'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.,
attribuisce  in  via esclusiva alla competenza legislativa statale la
materia  dell'"organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti
pubblici nazionali))" (sentenza n. 31 del 2005).
    La norma impugnata invece estende a tutto il territorio nazionale
le  azioni  da  realizzare.  Queste, secondo la disposizione, saranno
individuate  con  "decreto  di  natura  non regolamentare emanato dal
Ministro   per   le   riforme   e   le   innovazioni  nella  pubblica
amministrazione, di concerto con il Ministro degli affari regionali e
le  autonomie locali, per gli interventi relativi alle regioni e agli
enti locali" (comma 892). Lo stesso decreto provvedera' a determinare
le aree destinatarie della sperimentazione e le modalita' operative e
di gestione dei tali progetti.
    Il   successivo  comma 893,  in  continuita'  con  la  precedente
disposizione,  istituisce  presso  la  Presidenza  del  Consiglio dei
ministri   un   "Fondo   per   il   sostegno  agli  investimenti  per
l'innovazione  negli  enti  locali", per il finanziamento di progetti
relativi  agli  interventi  per  la  "digitalizzazione dell'attivita'
amministrativa,  in particolare per quanto riguarda i procedimenti di
diretto interesse dei cittadini e delle imprese".
    Nella  prima  delle due norme citate, la previsione di un accordo
con  il  Ministro  degli affari regionali e le autonomie locali rende
manifesto come tra i destinatari delle previsioni della disposizione,
vi  siano  ricomprese  anche  le  regioni  e  gli  enti  locali;  nel
successivo  comma 893  i  destinatari  degli stanziamenti sono invece
esplicitamente  individuati. L'obiettivo dei finanziamenti, e cioe' i
"progetti   degli   enti   locali   relativi   agli   interventi   di
digitalizzazione  dell'attivita'  amministrativa  in  particolare per
quanto  riguarda  i procedimenti di diretto interesse dei cittadini e
delle  imprese"  (comma 893),  rende  chiaro,  al  di  fuori  di ogni
ragionevole   dubbio,  che  il  campo  di  operativita'  delle  norme
abbraccia  anche  la materia dell'organizzazione amministrativa degli
enti locali.
    D'altra parte, la definizione del decreto come "avente natura non
regolamentare" e' spia di un atteggiamento ambiguo mirante ad evitare
l'applicazione   dell'art. 117,   comma 6   che  limita  la  potesta'
regolamentare  dello Stato alle sole materie di competenza esclusiva:
se  si ritiene di porre siffatta precisazione, appare evidente che si
ricade  in  materia  di  competenza  legislativa  regionale e che non
possono  essere  evitati  coinvolgimenti  del livello regionale nella
destinazione delle risorse.
    In  entrambi  i  casi,  siamo  in presenza di norme che non hanno
previsto  la  benche'  minima  forma di collaborazione con i soggetti
destinatari  degli  interventi.  L'unica forma di parziale e "debole"
coinvolgimento   delle   regioni   e'   costituita   dalla   semplice
consultazione  (non vincolante) con la Conferenza unificata, prevista
dal   comma 894   nel   momento  della  definizione  dei  criteri  di
distribuzione  ed  erogazione  del fondo, da effettuarsi per mezzo di
decreto  del  Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica
amministrazione  e  del  Ministro  per  gli  affari  regionali  e  le
autonomie  locali,  di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze.
    Orbene,   in   occasione   di   un  giudizio  sulla  legittimita'
costituzionale  di disposizioni in materia di innovazione tecnologica
recate  dalla  legge finanziaria per il 2003, codesta ecc.ma Corte ha
avuto  modo  di  chiarire che le norme impugnate in quella occasione,
pur  se  in  parte  riconducibili  al differente ambito competenziale
esclusivo   dello   Stato   relativo  al  "coordinamento  informativo
statistico  e  informatico  dei  dati  dell'amministrazione  statale,
regionale e locale" previsto dalla lettera r), comma 2, dell'art. 117
Cost.,   "presentano   tuttavia  un  contenuto  precettivo  idoneo  a
determinare   una   forte  incidenza  sull'esercizio  concreto  delle
funzioni  nella  materia  dell'"organizzazione  amministrativa  delle
regioni  e  degli  enti  locali". Ne discende, secondo codesta ecc.ma
Corte,  che "la previsione del mero parere della Conferenza unificata
non  costituisce,  nella  specie,  una misura adeguata a garantire il
rispetto del principio di leale collaborazione".
    Nella  medesima  pronuncia  e'  stato  altresi'  affermato che e'
necessario  garantire  "un  piu' incisivo coinvolgimento di tali enti
nella  fase  di  attuazione  delle disposizioni censurate mediante lo
strumento  dell'intesa"  in  assenza  del quale disposizioni siffatte
sono certamente incostituzionali (sentenza n. 31 del 2005).
    Se  quanto  esposto corrisponde al quadro costituzionale vigente,
e' di tutta evidenza come anche il comma 895, dell'art. 1 della legge
n. 296  del  2006,  sia  illegittimo.  Esso  infatti stabilisce norme
tecniche  e  di dettaglio sulle caratteristiche da privilegiare nella
valutazione  dei  progetti  da  finanziare,  operando scelte tecniche
nette (ad esempio per progetti che sviluppino applicazioni software a
"codice   aperto"),   idonee  ad  avere  sicure  ripercussioni  sulle
modalita' di organizzazione delle amministrazioni che le adotteranno.
li  tutto  senza prevedere nessun tipo di intesa (neanche la semplice
consultazione con la Conferenza unificata).
    1.2.5. - Istituzione del Fondo per la mobilita' sostenibile nelle
aree urbane (commi 1121, 1122, 1123).
    Con  i  commi 1121,  1122, 1123, la legge finanziaria per il 2007
provvede  alla  Istituzione  di un fondo per la mobilita' sostenibile
nelle   aree   urbane  (comma 1121),  ne  individua  le  destinazioni
prioritarie  (comma 1122),  designa  una quota specifica di esso allo
sviluppo  della  mobilita'  ciclistica  (comma 1123). Anche in questo
caso,  i  commi impugnati  violano il riparto di competenze disegnato
dalla  Costituzione, nella misura in cui intervengono in una materia,
quale   e'  quella  del  trasporto  pubblico  locale,  di  competenza
residuale  regionale.  L'inclusione  della  materia  nel novero delle
competenze regionali non puo' essere messa ragionevolmente in dubbio,
alla  luce  di  dati  legislativi  e di pronunce della giurisprudenza
costituzionale non contestabili.
    Come  codesta ecc.ma Corte ha affermato, "non vi e' dubbio che la
materia  del  trasporto  pubblico  locale  rientra  nell'ambito delle
competenze    residuali    delle    regioni    di   cui   al   quarto
comma dell'art. 117  Cost.,  come  reso evidente anche dal fatto che,
ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto
legislativo  19 novembre  1997,  n. 422 (Conferimento alle regioni ed
agli  enti  locali  di  funzioni  e  compiti  in materia di trasporto
pubblico  locale,  a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo
1997,  n. 59)  aveva ridisciplinato l'intero settore, conferendo alle
regioni  ed  agli  enti  locali funzioni e compiti relativi a tutti i
"servizi  pubblici  di  trasporto di interesse regionale e locale con
qualsiasi  modalita'  effettuati  ed  in qualsiasi forma affidati" ed
escludendo solo i trasporti pubblici di interesse nazionale (cfr., in
particolare, gli artt. 1 e 3)".
    E'   si'   vero   che   la  norma  impugnata,  tra  le  finalita'
dell'intervento,  fa  riferimento,  oltre  che  al "potenziamento del
trasporto pubblico" anche al "miglioramento della qualita' dell'aria"
e  che  colloca  lo  strumento finanziario nell'ambito dello stato di
previsione  del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio
e  del  mare;  tuttavia  la  semplice  lettura delle disposizioni (in
particolare del comma 1122) evidenzia inequivocabilmente le finalita'
degli stanziamenti; vi si ritrovano infatti: "potenziamento e aumento
dell'efficienza      dei     mezzi     pubblici",     "incentivazione
dell'intermodalita",    "mobilita'    sostenibile",    strumenti   di
pianificazione  e ottimizzazione delle gestioni delle politiche e dei
sistemi  di  trasporto pubblico quali il mobility management e il car
sharing,  senza  tralasciare  il  settore  del  "trasporto e consegna
merci"  con  la  previsione  di centri direzionali di smistamento che
possano  migliorare  l'organizzazione logistica, e infine lo sviluppo
della  mobilita'  ciclistica  (oggetto  di  specifica  previsione  al
comma 1123).
    Che  queste  scelte  politiche  possano avere una connessione con
tematiche  ambientali  non  lo  si  vuole  certo contestare; quel che
appare   totalmente   censurabile   e'   il  tentativo  di  escludere
completamente   il   soggetto   regione  dalla  determinazione  delle
politiche   relative   a   temi   di  propria  competenza,  vista  la
incontestabile  attinenza  tematica  del  fondo  in  questione con la
materia dei trasporti pubblici locali.
    In  realta',  il  fondo  in  questione  presenta  una  fortissima
analogia  con  un  precedente  fondo  previsto dall'art. 4, comma 157
della  legge  n. 350  del  2003  (legge  finanziaria per il 2004): la
disposizione  prevedeva  la costituzione di "un apposito fondo presso
il  Ministero  delle  infrastrutture e dei trasporti" per il generico
fine  di  assicurare  il  conseguimento  di  "risultati  di  maggiore
efficienza  e produttivita' dei servizi di trasporto pubblico locale"
e  la  sua ripartizione tramite "decreto del Presidente del Consiglio
dei  Ministri,  sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del
decreto  legislativo  28  agosto  1997,  n. 281". Come codesta ecc.ma
Corte  ha  chiarito in occasione dell'impugnazione della disposizione
appena  richiamata,  richiamandosi  alla  propria giurisprudenza, sul
punto   ormai   consolidata:   "proprio  perche'  tale  finanziamento
interviene  in  un  ambito  di competenza regionale, la necessita' di
assicurare   il   rispetto   delle   attribuzioni  costituzionalmente
riconosciute alle regioni impone di prevedere che queste ultime siano
pienamente  coinvolte nei processi decisionali concernenti il riparto
dei  fondi  (sentenze numeri 49 e 16 del 2004); cio' tenendo altresi'
conto  del  "limite  discendente  dal  divieto  di procedere in senso
inverso  a quanto oggi prescritto dall'art. 119 della Costituzione, e
cosi'  di  sopprimere  semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di
autonomia  gia'  riconosciuti  dalle  leggi  statali  in  vigore alle
regioni  e  agli enti locali, o di procedere a configurare un sistema
finanziario  complessivo  che  contraddica  i  principi  del medesimo
art. 119" (sentenza n. 37 del 2004)" (sentenza n. 222 del 2005).
    Codesta  ecc.ma Corte, in quella occasione, ritenne insufficiente
il meccanismo previsto dalla disposizione censurata che si limitava a
richiedere  una  mera  consultazione  con  la  Conferenza unificata e
defini'  invece "costituzionalmente necessario, al fine di assicurare
in modo adeguato la leale collaborazione fra le istituzioni statali e
regionali",  che  il provvedimento con cui si istituiva il fondo (nel
caso  di specie un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri)
fosse  adottato  "sulla  base  di  una  vera  e propria intesa con la
Conferenza  unificata  di  cui all'art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997"
(sentenza n. 222 del 2005).
    Giova,  a tal punto, sommessamente richiamare che le disposizioni
qui  impugnate  non  fanno riferimento nemmeno ad una forma di intesa
(ne'  debole,  ne'  tanto  meno  forte) quale potrebbe essere la mera
consultazione   non   vincolante   con   organi   esponenziali  delle
prerogative  costituzionali delle regioni e degli enti locali, (forma
di  intesa,  come visto, ritenuta comunque insufficiente a salvare le
norme  dalla censura di illegittimita' costituzionale); semplicemente
escludono  totalmente  la  regione  da ogni forma di codeterminazione
delle  misure  in  esse  previste,  non  prevedendo  nessuna forma di
coinvolgimento  o  di  intesa  (ne'  "debole" ne' tantomeno "forte").
Palese  dunque e' la violazione del principio di leale collaborazione
in materia di chiara competenza residuale regionale.
    E' di tutta evidenza, inoltre, come la mancata partecipazione dei
soggetti  piu'  da  vicino  interessati  alla  corretta ed efficiente
attuazione   di  funzioni  di  propria  competenza,  finisce  con  il
comprimere  illegittimamente  un generale parametro di ragionevolezza
(anche  nella  sua  specifica  accezione  di razionalita) e determina
sicuri   effetti   negativi  sulla  possibilita'  di  perseguire  con
successo,  nell'ambito  delle  azioni  amministrative  relative  alla
mobilita'  e  al  trasporto pubblico, quegli obiettivi generali verso
cui  ogni  buona  pratica  amministrativa  deve orientarsi, obiettivi
relativi    all'economicita',    alla    rapidita',    all'efficacia,
all'efficienza,  al miglior contemperamento dei vari interessi, tutti
riassumibili  nel principio costituzionale di buon andamento (art. 97
Cost.).
    Sia  detto  solo per inciso: non basta certo lo spostamento di un
fondo da un Ministero all'altro, ferme rimanendo le stesse finalita',
a  giustificare la totale esclusione delle regioni dal circuito delle
decisioni  e  dei  finanziamenti  in  materia  di  trasporto pubblico
locale.
    1.2.6.  -  Autorizzazioni  di spesa per interventi a sostegno del
settore turistico (commi 1227, 1228).
    I commi 1227 e 1228 della legge n. 296 del 2006 dispongono misure
in  sostegno  del settore turistico. Si tratta, in particolare, dello
stanziamento  di  un finanziamento annuo di 10 milioni di euro per il
triennio  2007-2009, in base ad un regolamento da emanare su proposta
della  "Presidenza  del  Consiglio dei ministri - Dipartimento per lo
sviluppo  e  la  competitivita' del turismo", secondo quanto previsto
dal comma 1227.
    La  successiva  disposizione  autorizza invece un'ulteriore spesa
annua  di  48  milioni  per  il  triennio  2007-2009  finalizzata  ad
interventi  di incentivazione delle imprese turisticoricettive e alla
promozione   del   turismo   ecocompatibile.   Il   "decreto  recante
l'individuazione  dei  criteri,  delle procedure e delle modalita' di
attuazione",  secondo  quanto  previsto  dal  comma 1228, e' adottato
entro  trenta  giorni  dall'entrata  in vigore della legge n. 296 del
2006,   dal   Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  sentita  la
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano.
    Anche  in questo caso, ci si trova dinanzi a norme che sconfinano
in un ambito di chiara competenza regionale: gia' la legge n. 217 del
1983  ("legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento
e  la qualificazione dell'offerta turistica"), imperniata sul modello
delle aziende di promozione turistica, attribuiva un grande spazio al
ruolo  della regione, ad esempio per la costituzione delle aziende di
promozione  turistica,  ma  anche  per  l'individuazione degli ambiti
territoriali turisticamente rilevanti. In tempi successivi, ma ancora
anteriori  alla  riforma del Titolo V della Costituzione, le funzioni
relative  al  "turismo  ed  industria  alberghiera  (cioe',  ai sensi
dell'art. 56  del  d.P.R.  n. 616  del  1977,  "tutti  i  servizi, le
strutture   e   le   attivita'   pubbliche   e   private  riguardanti
l'organizzazione  e  lo  sviluppo  del  turismo  regionale, anche nei
connessi  aspetti  ricreativi,  e dell'industria alberghiera, nonche'
gli  enti  e  le  aziende  pubbliche  operanti  nel settore sul piano
locale"),  sono  state  attribuite  alle  regioni  e agli enti locali
dall'art. 43  del  d.lgs.  n. 112  del  1998.  Tale  norma,  peraltro
specifica,  che nell'ambito della attivita' attinenti al turismo sono
incluse   "le   agevolazioni,   le  sovvenzioni,  i  contributi,  gli
incentivi,  comunque denominati, anche se per specifiche finalita', a
favore delle imprese turistiche".
    La  successiva  legge  n. 135  del 2001 recante la "Riforma della
legislazione  nazionale  del  Turismo"  non  ha  di  certo  messo  in
discussione  questa  competenza,  pur  se  tuttavia ha demandato alla
regolamentazione   statale,  da  stabilirsi  mediante  decreto  della
Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  talune  materie, come, ad
esempio,  l'individuazione  delle tipologie delle imprese turistiche,
nonche'  i  requisiti  e  le modalita' di esercizio delle professioni
turistiche  (comma 4,  dell'art. 2 della legge n. 135 del 2001). Tale
scelta  e'  stata  fatta  derivare dall'art. 44 del d.lgs. n. 112 del
1998, che, in controtendenza con lo scopo del decreto legislativo, ha
conservato allo Stato "la definizione, in accordo con le regioni, dei
principi  e  degli  obiettivi per la valorizzazione e lo sviluppo del
sistema  turistico  locale",  ma  non  ha  mancato  di  stabilire  un
coinvolgimento  forte dei soggetti locali prevedendo che "le connesse
linee guida sono contenute in un documento approvato, d'intesa con la
Conferenza  Stato-regioni,  con  decreto del Presidente del Consiglio
dei  Ministri".  Peraltro anche i commi 4 e 5 dell'art. 2 della legge
n. 135   del  2001  nell'attribuire  la  fissazione  di  principi  ed
obiettivi  per  la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico
ad  un  decreto  del Presidente del Consiglio dei Ministri, non hanno
messo  in  discussione  la  necessita' di un pregnante coinvolgimento
delle  regioni,  richiedendo,  per l'adozione del relativo decreto di
attuazione  della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'intesa con
la Conferenza Stato-regioni.
    Codesta  ecc.ma  Corte, peraltro, in occasione del giudizio sulla
legittimita'  costituzionale  della  legge  n. 135  del  2001 (legge,
com'e'  noto,  appena  anteriore al varo della riforma costituzionale
approdata nell'attuale titolo V della Costituzione), ne ha dichiarato
la legittimita' (rispetto peraltro ad un parametro che si riferiva al
testo  costituzionale previgente), ma ha riaffermato che "a decorrere
dall'entrata  in  vigore  del  nuovo  Titolo V della Costituzione, le
regioni  ben  possono  esercitare  in materia di turismo tutte quelle
attribuzioni  di  cui  ritengano  di  essere titolari, approvando una
disciplina  legislativa,  che puo' anche essere sostitutiva di quella
statale" (sentenza n. 197 del 2003).
    Orbene,  norme  come quelle recate dalla legge finanziaria per il
2007  e  in  particolare dai commi 1227 e 1228, violano il riparto di
competenze  vigente:  in  particolare,  il  comma 1227 "ristatalizza"
politiche   e   funzioni   attribuite  ai  soggetti  regionali  dalla
Costituzione, nulla prevedendo in ordine al necessario coinvolgimento
delle  regioni  nell'adozione  delle  misure  di  sostegno al settore
turistico;  il  comma 1228  opera invece una diminuzione del grado di
coinvolgimento  dei  soggetti locali alla definizione delle politiche
di  settore,  prevedendo  la semplice consultazione con la Conferenza
permanente  per  i  rapporti  tra lo Stato e le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano, in luogo della necessaria intesa.
    Che  in  materia  di turismo, la partecipazione delle regioni non
possa  prescindere  da  un  livello  minimo identificabile almeno con
l'intesa  e'  dato  sulla  quale  la giurisprudenza di codesta ecc.ma
Corte  ha  gia'  avuto modo di pronunciarsi: infatti con la decisione
n. 320  del  2004  il  "fondo di offerta turistica" e' stato ritenuto
legittimo,  ma  le  procedure  ad  esso relative prevedevano tuttavia
l'intesa  in sede di Conferenza unificata. In altra occasione inoltre
codesta ecc.ma Corte, ragionando di un caso in cui appariva "evidente
l'interferenza  rispetto  alla politica di sostegno al turismo di cui
sono  responsabili  le  regioni"  ha  pure  affermato che "interventi
finanziari  "speciali" dello Stato in materie di competenza regionale
(vuoi  residuale,  vuoi  concorrente)  non  possono attuarsi senza un
coinvolgimento  "forte"  delle  regioni,  come  e' stato riconosciuto
dalla  giurisprudenza  costituzionale" (sentenza n. 107 del 2005 e le
ivi richiamate sentenze n. 370 del 2003, n. 16 e n. 49 del 2004).
    1.2.7.  - Ripartizione del fondo per le politiche per la famiglia
(comma 1252).
    Al  comma 1252  la  legge  finanziaria per il 2007 prevede che la
ripartizione degli stanziamenti relativi al Fondo delle politiche per
la  famiglia  sia  operata  dal  "Ministro  delle  politiche  per  la
famiglia" con proprio decreto. Anche in questo caso, individuando nel
decreto  ministeriale  nella determinazione di criteri e modalita' di
ripartizione  non  sono  previste  procedure  di partecipazione della
regione,  in  una  materia riservata alla propria competenza, come e'
quella attinente alle "politiche sociali".
    Come  codesta  ecc.ma Corte ha precisato, nelle materie riservate
alla  competenza  esclusiva  o  concorrente  delle  regioni  "non  e'
consentita  (...)  l'istituzione  di  fondi  speciali  o  comunque la
destinazione,  in  modo  vincolato,  di  risorse  finanziarie,  senza
lasciare  alle  regioni  e  agli  enti  locali un qualsiasi spazio di
manovra.  E  cio' anche nell'ipotesi in cui siano previsti interventi
finanziari  statali, nelle medesime materie, destinati direttamente a
soggetti  privati.  Diversamente, attraverso l'imposizione di precisi
vincoli di destinazione nell'utilizzo delle risorse da assegnare alle
regioni,   si   violerebbero  i  "criteri  e  limiti  che  presiedono
all'attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal
nuovo ad. 119 della Costituzione, che non consentono finanziamenti di
scopo  per  finalita'  non  riconducibili  a  funzioni  di  spettanza
statale"  (sentenza  n. 118  del  2006  e  la ivi richiamata sentenza
n. 423 del 2004).
    In  questo  caso,  cosi'  come negli altri portati al giudizio di
codesta  ecc.ma  Corte,  non  vi e' alternativa - se non quella della
dichiarazione  di  illegittimita'  "secca"  del  finanziamento  -  al
coinvolgimento  delle  regioni  nella  gestione  del fondo tramite un
meccanismo di "intesa forte"; e cio' fin quando non verra' attuato il
dettato dell'art. 119.
    1.2.8.  -  Incremento  del  Fondo  per  le  politiche relative ai
diritti  e  alle  pari  opportunita';  Fondo e Osservatorio contro la
violenza sessuale e di genere (comma 1261).
    Il  comma 1261  prevede  un incremento di 40 milioni annui per il
triennio  2007-2009  delle  risorse  per  il  "Fondo per le politiche
relative   ai   diritti  e  alle  pari  opportunita"  (gia'  previsto
dall'art. 19,  comma 3,  del  decreto-legge  4  luglio  2006, n. 223,
convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 4 agosto 2006, n. 248).
Parte  di  tale  incremento  e' destinato, per lo stesso triennio, al
Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere. I criteri di
ripartizione  del  Fondo sono stabiliti dal "Ministro per i diritti e
le  pari opportunita', con decreto emanato di concerto con i Ministri
della  solidarieta'  sociale,  del lavoro e della previdenza sociale,
della  salute  e  delle  politiche  per  la  famiglia". Tra le misure
adottate  con tale decreto dovra' essere previsto "una quota parte da
destinare  all'istituzione  di  un  Osservatorio  nazionale contro la
violenza sessuale e di genere e una quota parte da destinare al piano
d'azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere".
    Non   puo'   non  stupire  l'esclusione  delle  regioni  da  ogni
coinvolgimento nella gestione della destinazioni di tali fondi.
    Certo,  nessuno  potra' sostenere l'estraneita' delle regioni dal
tema  delle  pari  opportunita',  se solo si tiene a mente il dettato
costituzionale,  laddove  attribuisce alle leggi regionali il compito
di  rimuovere  "ogni  ostacolo  che  impedisce la piena parita' degli
uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica" e di
promuovere  "la  parita'  di  accesso tra donne e uomini alle cariche
elettive" (art. 117 Cost., comma 7).
    Peraltro   il   d.lgs.   n. 198   del  2006  "Codice  delle  pari
opportunita'  tra  uomo  e donna", nel solco gia' tracciato a partire
dalla legge n. 125 del 1991, ha attribuito alle regioni il compito di
designare   i  "Consiglieri  di  parita'  regionali  e  provinciali",
(nominati  poi  con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali  di concerto con il Ministro per le pari opportunita): queste
figure  hanno  rilevanti compiti relativi al rispetto della normativa
nazionale  e  regionale  antidiscriminatoria  e  di  promozione della
parita' e delle pari opportunita'.
    Infatti,  come si desume dall'art. 15 del d.lgs. n. 198 del 2006,
tali  figure  istituzionali:  rilevano  le discriminazioni di genere,
anche  mediante  l'intervento  del  servizio  Ispettivo  del  lavoro;
promuovono   le  "Azioni  Positive"  e  ne  verificano  i  risultati;
promuovono  il  coordinamento  tra  politiche del lavoro e formazione
locale  con  gli  indirizzi comunitari e nazionali in materia di pari
opportunita'  anche  mediante  il collegamento con gli assessorati al
lavoro  e  con gli organismi di parita' degli Enti locali; promuovono
l'attuazione  delle  politiche  di  pari  opportunita'  da  parte dei
soggetti  pubblici  e  privati  che  operano  nel mercato del lavoro;
diffondono  le conoscenze e lo scambio di buone prassi e attivita' di
informazione   e   formazione   culturale   su  problemi  delle  pari
opportunita' e sulle varie forme di discriminazione.
    Tale  quadro  normativo  richiede,  con  ogni evidenza, procedure
concertative  e  di  coordinamento delle politiche adottate a livello
centrale  con  i soggetti regionali: evidente e' infatti il riverbero
che  le  politiche, e i relativi strumenti finanziari, previste dalle
leggi  dello  Stato presentano con ambiti competenziali regionali che
spaziano  dagli  interventi  mirati  all'ottenimento  di  piu'  pieni
livelli  di  integrazione sociale, alle politiche del lavoro idonee a
rimuovere elementi di discriminazione basati sul genere sessuale.
    Escludere la regione significherebbe ledere il generale principio
di  leale  collaborazione,  in piu' occasioni da codesta ecc.ma Corte
riaffermato  ogni  qual  volta  l'esercizio  di  funzioni  statali si
incontra  con  quelle proprie delle regioni (sentenze n. 133 del 2006
nn. 422  del  2002,  96  e  308 del 2003). Escludere le regioni dalla
gestione  di  tali  fondi  significherebbe  pensare  che alle regioni
possano  essere attribuiti compiti costituzionali, mentre la gestione
delle risorse relative possa rimanere in capo allo Stato.
    1.2.9.  -  Fondo  per l'inclusione sociale degli immigrati (comma
1267).
    Il  comma 1267  dell'art. 1  della  legge finanziaria per il 2007
istituisce  un  fondo presso il Ministero della solidarieta' sociale,
al  fine  di  favorire  "l'inclusione sociale dei migranti e dei loro
familiari"  nonche' per la realizzazione di politiche di integrazione
scolastica,  anche  prevedendo  l'utilizzo "per fini non didattici di
apposite   figure   professionali   madre   lingua   quali  mediatori
culturali".  La  disposizione  appare,  soprattutto nella sua seconda
parte, afflitta da un elevatogrado di genericita' e indeterminatezza,
ma soprattutto non riserva nessuno spazio a forme di partecipazione e
di  collaborazione  nella determinazione di interventi sulle quali le
regioni   hanno  indubbia  competenza.  Non  valga  a  contestare  la
competenza  regionale  in  materia,  la  considerazione della riserva
esclusiva  in  materia  di  immigrazione  operata  dalla  lettera b),
comma 2  dell'art. 117  Cost.  In  realta', in armonia con il riparto
costituzionale previsto dalla Costituzione, il decreto legislativo 25
luglio  1998,  n. 286  (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello
straniero) prevede numerose competenze regionali e, piu' in generale,
forme di cooperazione tra lo Stato e le regioni.
    L'art. 2-bis,   introdotto   dalla   legge   n. 189   del   2002,
nell'istituire  presso  la  Presidenza  del Consiglio dei ministri il
"Comitato  per il coordinamento e il monitoraggio" delle disposizioni
del  testo  unico,  al comma 2 prevede che di esso faccia parte anche
"un  presidente  di  regione  o di provincia autonoma designato dalla
Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome", e
che "per l'istruttoria delle questioni di competenza del Comitato, e'
istituito   un   gruppo   tecnico   di  lavoro  presso  il  Ministero
dell'interno",  che  e'  composto,  tra  gli  altri,  da  tre esperti
designati dalla Conferenza unificata Stato, citta', regioni.
    L'art. 42   dello   stesso   decreto   legislativo   (Misure   di
integrazione  sociale), prevede che lo Stato, le regioni, le province
e   i   comuni,   nell'ambito  delle  proprie  competenze,  anche  in
collaborazione   con   le   associazioni   di   stranieri  e  con  le
organizzazioni  stabilmente  operanti  in  loro  favore,  nonche'  in
collaborazione  con  le  autorita'  o con enti pubblici e privati dei
Paesi  di origine, favoriscono una serie di attivita' di tipo sociale
e  assistenziale volte, tra l'altro, all'effettuazione di corsi della
lingua   e   della  cultura  di  origine,  alla  diffusione  di  ogni
informazione  utile  al  loro  positivo  inserimento  nella  societa'
italiana,  alla  conoscenza  e  alla valorizzazione delle espressioni
culturali,   ricreative,   sociali,   economiche  e  religiose  degli
stranieri regolarmente soggiornanti.
    Non  vi  e'  dubbio quindi che la necessita' di un coinvolgimento
forte  delle  regioni discenda dall'incidenza dell'intervento statale
in  materia  di  immigrazione con numerosi altri ambiti di competenza
regionale,  e  sia peraltro chiaramente prevista dal quadro normativo
vigente. Come codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di motivare:
        "La   stessa   legge  statale  (...)  disciplina  la  materia
dell'immigrazione  e  la condizione giuridica degli stranieri proprio
prevedendo  che  una  serie di attivita' pertinenti la disciplina del
fenomeno  migratorio  e degli effetti sociali di quest'ultimo vengano
esercitate  dallo  Stato  in stretto coordinamento con le regioni, ed
affida  alcune  competenze direttamente a queste ultime; cio' secondo
criteri  che tengono ragionevolmente conto del fatto che l'intervento
pubblico  non  si  limita  al  doveroso controllo dell'ingresso e del
soggiorno  degli  stranieri  sul  territorio  nazionale,  ma riguarda
necessariamente  altri  ambiti, dall'assistenza all'istruzione, dalla
salute  all'abitazione,  materie  che  intersecano  ex  Costituzione,
competenze  dello  Stato  con  altre  regionali, in forma esclusiva o
concorrente" (sentenza n. 300 del 2005).
    Il  comma 1267,  in  violazione di un basilare principio di leale
collaborazione  fra soggetti istituzionali, non prevede nessuna forma
di accordo o di intesa con i soggetti regionali.
    1.2.10.  -  Fondo  di  solidarieta'  per  il maggior accesso alle
risorse idriche (comma 1284).
    Il  comma 1284 istituisce un fondo di solidarieta' per il maggior
accesso  alle  risorse  idriche:  il  fondo viene stabilito presso la
Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  ed  ha  come  obiettivo la
promozione del "finanziamento esclusivo di progetti ed interventi, in
ambito  nazionale  e  internazionale,  atti  a  garantire il1 maggior
accesso  possibile  alle  risorse  idriche secondo il principio della
garanzia  dell'accesso  all'acqua  a livello universale". Nell'ambito
della  stessa disposizione viene inoltre previsto, quale strumento di
finanziamento  del  fondo stesso, "un contributo pari a 0,1 centesimi
di  euro"  "per  ogni  bottiglia  di  acqua  minerale  o da tavola in
materiale plastico venduta al pubblico". Modalita' di funzionamento e
di  erogazione  del  fondo  sono  stabilite con "decreto del Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concedo con
il  Ministro  degli affari esteri, sentito il parere delle competenti
Commissioni  parlamentari e della Conferenza unificata Stato, citta',
regioni".  La  norma  infine  autorizza  il Ministero dell'economia e
delle finanze a emanare i regolamenti attuativi necessari.
    Deve  rilevarsi  come la semplice previsione di una consultazione
("sentito  il  parere")  con  la  Conferenza  unificata  Stato citta'
regioni  non  soddisfa la necessita' di un forte coinvolgimento delle
regioni, che ai sensi del comma 4 dell'art. 117 della Costituzione e'
titolare  di  potesta'  legislativa  residuale  in  materia  di acque
minerali.
    La  materia  trova,  come e' noto, un primo quadro di riferimento
normativo  nel  regio  decreto  n. 1443  del  1927  che  tuttavia  si
riferisce  unitariamente  a  tutti i "beni minerari". I trasferimenti
alle regioni di funzioni amministrative riguardanti le acque minerali
e  termali  si  sono poi succeduti nel tempo, in particolare ad opera
dell'art. 1  del d.P.R. n. 2 del 1972, dell'art. 61 del d.P.R. n. 616
del  1977,  e quindi con l'art. 22 della legge n. 59 del 1997. Con il
riformato   titolo   V   della  Costituzione  e  in  particolare  con
l'art. 117,   le   regioni  hanno  acquisito  competenza  legislativa
residuale in materia. codesta ecc.ma Corte, in occasione del giudizio
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 4,  comma 21, lettera c),
della  legge  della  regione  Lombardia n. 1 del 1998, nella parte in
cui, modifica l'art. 22 della legge della regione Lombardia n. 44 del
1980,  che stabilisce un'indennita' accessoria per lo sfruttamento in
concessione  di  acque  minerali,  ha  avuto  modo di riaffermare una
competenza delle regioni che trova limiti da intendersi in senso meno
stringente  ("ad  un  livello  di maggior astrattezza") rispetto alla
disciplina  risultante  da  un'interpretazione letterale dell'art. 25
del  r.d.  n. 1443 del 1927 (sentenza n. 65 del 2001). Dalla medesima
pronuncia,  vigente  un  quadro  costituzionale  che  concedeva  alle
regioni  il  piu'  limitato  spazio  di  una  competenza  legislativa
concorrente, gia' emergeva, peraltro, l'ampliato ruolo delle regioni,
rispetto   al   quale  non  si  poteva  invocare,  la  necessita'  di
un'astratta  "uniformita'  di  regime economico a livello nazionale e
sovranazionale,  onde  impedire  che  autonomi  interventi  regionali
producano sfasature nella libera concorrenza e nella circolazione dei
beni e delle merci nel mercato europeo" (sentenza n. 65 del 2001).
    La disposizione impugnata incide in un'area su cui legittimamente
le  regioni  potrebbero  esercitare  forme  di prelievo (e la regione
Lombardia  gia'  si  era  mossa  in  questo  senso, con un intervento
ritenuto  legittimo  dalla  sentenza  citata);  aggrava gli operatori
privati  e  sottrae risorse alle regioni in funzione di genericissimi
"progetti  ed  interventi in ambito nazionale e internazionale". Alla
luce del riparto di competenze vigente e dell'orientamento piu' volte
espresso  da  codesta  ecc.ma Corte, la norma qui impugnata viola gli
artt. 117, 118, 119 e il generale principio di "leale collaborazione"
allorche',  intervenendo  in un settore di competenza residuale delle
regioni, istituisce un prelievo, senza prevedere, ne' sull'an ne' sul
quantum,  ne'  sulla  destinazione  delle  risorse, un coinvolgimento
forte,  almeno  nella forma della intesa preventiva con la Conferenza
Stato  citta'  regioni,  cosi'  come  richiesto  da  un'ormai copiosa
giurisprudenza  costituzionale  sul  punto  (cfr.  ex multis sentenza
n. 424 del 2004; sentenze nn. 222, 231, 242 del 2005; sentenza n. 213
del 2006).
    Le  pronunce  citate, unite a numerose altre che hanno seguito il
percorso  da  esse delineato (si vedano su tutte le sentt. n. 423 del
2004  e n. 118 del 2006), hanno inferto un duro colpo a meccanismi di
trasferimento   di  risorse  dal  bilancio  pubblico  alle  autonomie
territoriali,  imponendo,  nell'attesa  della completa attuazione del
dettato  dell'art. 119  Cost., un ripensamento dell'intero sistema di
relazioni  finanziarie  tra  livelli  di  governo. Per un verso hanno
dichiarato   l'incompatibilita'   con  il  quadro  costituzionale  di
riferimento di trasferimenti statali generalizzati in materie che non
siano  di  competenza  esclusiva  statale; per un altro, hanno voluto
impedire  che  l'ingerenza  statale  si  manifesti  anche  attraverso
trasferimenti particolari e una tantum.
    La strada del finanziamento delle istituzioni della Repubblica e'
quella  indicata  dall'art. 119  Cost.  (rispetto al quale nemmeno la
recente  riforma approvata dalle Camere e poi respinta dal referendum
nel    giugno    2006   proponeva   modifiche):   fino   al   momento
dell'attuazione,  e  quindi  alla completa responsabilizzazione delle
istituzioni  decentrate nell'attuazione delle politiche nelle materie
e funzioni proprie con risorse proprie, lo Stato non puo' intervenire
con  finanziamenti nelle materie di competenza legislativa regionale,
se   non   con   un  pieno  coinvolgimento  attraverso  lo  strumento
dell'intesa.
    2.  -  Violazione  degli  artt. 117,  118, 119 Cost., nonche' dei
principi  di  leale  collaborazione  (art. 120),  di  buon  andamento
(art. 97)   e   di  ragionevolezza  (art. 3)  da  parte  dell'art. 1,
commi 583, 584, 585.
    2.1.   -   Il   comma 580   prevede,   "al  fine  di  contribuire
all'ammodernamento  delle amministrazioni pubbliche, di migliorare la
qualita'  delle  attivita'  formative  pubbliche,  di  garantire  una
selezione  rigorosa della dirigenza dello Stato e di fornire adeguato
sostegno  alle  amministrazioni nella valutazione dei loro fabbisogni
formativi  e  nella sperimentazione delle innovazioni organizzative e
gestionali",   l'istituzione   dell'Agenzia  per  la  formazione  dei
dirigenti   e   dipendenti   delle  amministrazioni  pubbliche-Scuola
nazionale  della  pubblica  amministrazione,  dotata  di personalita'
giuridica  di  diritto  pubblico  e  di  autonomia  amministrativa  e
contabile  e sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio
dei ministri.
    Tale  Agenzia  subentra  nei  rapporti  attivi  e  passivi  e nei
relativi  diritti  ed  obblighi della Scuola superiore della pubblica
amministrazione,  di cui e' disposta la soppressione a partire dal 31
marzo 2007.
    Tra  le  numerose  funzioni  riconosciute  a  codesta Agenzia dal
successivo   comma 581   (raccolta,  elaborazione  e  sviluppo  delle
metodologie   formative,   ricerca,   sviluppo,   sperimentazione   e
trasferimento  delle  innovazioni  di  processo  e  di prodotto delle
pubbliche  amministrazioni, cooperazione europea ed internazionale in
materia   di   formazione  e  innovazione  amministrativa;  supporto,
consulenza  e  assistenza alle amministrazioni pubbliche nell'analisi
dei  fabbisogni  formativi, nello sviluppo e trasferimento di modelli
innovativi,  nella  definizione dei programmi formativi), vi e' anche
quella di "accreditamento delle strutture di formazione".
    Si   tratta   di  quelle  strutture  formative  disciplinate  nel
successivo  comma 583 a norma del quale "le pubbliche amministrazioni
si  avvalgono,  per la formazione e l'aggiornamento professionale dei
loro  dipendenti,  di  istituzioni  o  organismi formativi pubblici o
privati  dotati  di  competenza  ed  esperienza  adeguate, a tal fine
inseriti  in un apposito elenco nazionale tenuto dalla Agenzia per la
formazione,  che provvede alla relativa attivita' di accreditamento e
codificazione".   Per   svolgere   le   attivita'   di  formazione  e
aggiornamento   professionale   dei   loro  dipendenti,  prosegue  il
comma 583,   "le  pubbliche  amministrazioni  procedono  alla  scelta
dell'istituzione  formativa,  mediante  procedura  competitiva tra le
strutture accreditate".
    Nel  comma 585  si provvede "con uno o piu' regolamenti adottati,
entro  novanta  giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge,  ai  sensi  dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988,
n. 400,  su  proposta  del  Ministro  per le riforme e le innovazioni
nella   pubblica   amministrazione,   di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia  e delle finanze, con il Ministro degli affari esteri e
con  il  Ministro  dell'interno..."  ad  attuare  quanto disposto nei
commi precedenti,  attenendosi  a  determinati  criteri, tra cui sono
menzionati   espressamente:   la   "disciplina   della   missione   e
dell'attivita'  della  Agenzia  per  la  formazione come struttura di
governo   e  coordinamento  unitario  del  sistema  della  formazione
pubblica,  in  attuazione  di  quanto  disposto  dai commi 580 e 581;
attribuzione  all'Agenzia  dei  poteri  necessari  per  assicurare la
razionalizzazione   delle   attivita'   delle  strutture  di  cui  al
comma 580,  la  realizzazione  delle  sinergie possibili, la gestione
unitaria   e   coordinata   delle   relative   risorse   finanziarie"
(lettera c);  la "definizione dell'organizzazione dell'Agenzia per la
formazione,  anche  mediante  la  previsione  di  autonome  strutture
organizzative;  definizione dei suoi organi di indirizzo, direzione e
supervisione  scientifica, assicurando una qualificata partecipazione
di  esperti  della  formazione  e  della  innovazione amministrativa,
italiani e stranieri, e di alti dirigenti pubblici, individuati anche
su  indicazione  delle  regioni, delle autonomie locali e delle parti
sociali;  istituzione  di un comitato di coordinamento presieduto dal
Presidente  dell'Agenzia  per  la  formazione e formato dai direttori
delle Scuole speciali e delle strutture autonome" (lettera d).
    2.2.  -  I  commi sopra  descritti  sono  illegittimi  in  quanto
fortemente  lesivi  di  due  distinti  ambiti materiali di competenza
regionale: quello della organizzazione amministrativa della regione e
quello della formazione professionale.
    2.2.1.  -  Sul  primo  ambito,  e' opportuno tener presente come,
anteriormente  alla  riforma  del  Titolo  V  della  Costituzione, la
materia   "ordinamento  degli  uffici  e  degli  enti  amministrativi
dipendenti   dalla   regione"   (art. 117,  comma 1  Cost.,  versione
originaria),  cui  si  riconduceva  anche  la materia del rapporto di
lavoro  del personale regionale, rientrasse nell'elenco di materie di
competenza  concorrente.  Il pubblico impiego regionale, sia sotto il
profilo   del  rapporto  di  lavoro  che  sotto  quello  strettamente
organizzativo,  era  quindi  soggetto  al  limite  del  rispetto  dei
principi fondamentali stabiliti nelle leggi dello Stato.
    Nella  vigenza del vecchio testo costituzionale, quindi, per quel
che  attiene  il  modello  ed  i  principi  di  organizzazione  degli
apparati,  l'autonomia regionale era comunque circoscritta e soggetta
ad una serie di limiti.
    Tuttavia,   a  fronte  di  questo  dato  normativo,  nel  settore
dell'organizzazione  degli uffici regionali e dell'impiego regionale,
l'atteggiamento   mostrato   da   codesta   ecc.ma   Corte  e'  stato
tradizionalmente  connotato  da  un  solido favor nei confronti delle
regioni.
    Si  veda,  ad  esempio,  la sentenza n. 40 del 1972 dove e' stato
affermato  che  "la  materia  dello  stato giuridico ed economico del
personale  regionale  rientra  in  quella  della organizzazione degli
uffici, che l'art. 117, primo alinea, Cost. attribuisce alla potesta'
legislativa   delle   regioni,  entro  il  limite  ...  dei  principi
fondamentali  stabiliti  dalle  leggi  statali",  e, quindi, e' stata
dichiarata  l'incostituzionalita' di una legge statale nella parte in
cui  disponeva  che  le norme sullo stato giuridico ed il trattamento
economico   del   personale   di  ruolo  regionale  avrebbero  dovuto
uniformarsi  alle  norme  sullo  stato  giuridico  ed  il trattamento
economico  del  personale statale; o la pronuncia n. 10 del 1980 dove
si  sottolinea  l'importanza  dell'"autonomia  legislativa  regionale
sull'ordinamento  degli  uffici  e sullo stato giuridico dei relativi
dipendenti"  (ma  si vedano anche le successive sentenze nn. 277, 278
del  1983,  nn. 219  e 290 del 1984); ovvero anche la sentenza n. 355
del  1993  dove  codesta  ecc.ma Corte ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  di  alcuni articoli di una legge statale sul riordino
della   disciplina   in   materia  sanitaria,  nella  parte  in  cui,
nell'attribuire  specifiche  competenze  alle  regioni, individuavano
l'organo  interno regionale competente ad esercitare quelle funzioni,
affermando chiaramente il principio in base al quale "la ripartizione
delle  funzioni  regionali  fra  i  vari organi interni della regione
rientra  nella  materia  dell'organizzazione  interna, riservata alla
regione stessa".
    Le  ragioni  di  siffatto favor sono rintracciabili proprio nella
gia'  citata sent. n. 10 del 1980 allorquando la Corte ha evidenziato
come   e'   dalle  peculiarita'  dell'amministrazione  regionale  che
discende  un  "ordinamento degli uffici (che) si ponga - se non altro
in   sede   logica  -  come  un  prius  e  non  come  un  posterius":
peculiarita',  ha  proseguito  la Corte, "che rischierebbero di esser
compromesse  qualora  la  regione  dovesse  conformarsi  all'apparato
statale".
    E',   allora,   evidente   che  anche  codesta  ecc.ma  Corte  ha
riconosciuto  nell'organizzazione  regionale  e,  per  trascinamento,
nell'impiego  regionale,  il  nucleo  duro,  l'essenza dell'autonomia
regionale.
    Se  cio'  era  vero  in  un  periodo in cui le regioni stentavano
ancora ad emanciparsi completamente dallo Stato, non puo' non esserlo
- e a maggior ragione - oggi che il quadro istituzionale dei rapporti
tra Stato e regioni e' profondamente mutato.
    Il  nuovo assetto costituzionale, infatti, ha comportato il venir
meno  dei vincoli preesistenti e la materia dell'organizzazione degli
uffici  e  degli  enti dipendenti dalla regione, che non compare piu'
nell'elenco  di cui al comma 3 dell'art. 117 Cost., e' dunque rimessa
alla potesta' legislativa esclusiva regionale.
    La  riconduzione  della materia riguardante l'organizzazione e il
funzionamento  della  regione  all'interno  dello  spazio del comma 4
dell'art. 117,  e  quindi  alla  competenza  residuale  regionale  ha
trovato piu' volte conferma da codesta ecc.ma Corte (si vedano tra le
tante  la  sent.  n. 17  del 2004, la 172 e 407 del 2005). Merita una
nota  la  recentissima  sentenza  n. 233  del  2006  dove la Corte ha
riconosciuto come la materia dell'organizzazione amministrativa della
regione, comprensiva dell'incidenza della stessa sulla disciplina del
relativo  personale,  "attribuita  alla  competenza  residuale  delle
regioni  (art. 117,  quarto  comma,  Cost.)",  sia "da esercitare nel
rispetto    dei    "principi   fondamentali   di   organizzazione   e
funzionamento" fissati negli statuti (art. 123 Cost.)".
    Ne',   tra   l'altro,   dal   catalogo  di  materie  sub  comma 2
dell'art. 117  Cost.  e' dato trarre alcun titolo in base al quale il
legislatore  statale  possa  interferire  sul  punto. Conclusione del
resto  che  trova  conferma  nella  circostanza  che in quel catalogo
l'ordinamento  e  l'organizzazione  amministrativa e' contemplata con
limitato riguardo allo Stato e agli enti pubblici nazionali.
    Alla luce di quanto detto, si deve pertanto ritenere che entro la
cornice  dei  precetti  costituzionali ciascuna regione sia libera di
adottare  il  modello,  le  regole  e  le modalita' di organizzazione
amministrativa  che  ritiene piu' adeguate alle proprie specificita',
in  modo  tale  da  informare  tutta  quella  attivita'  necessaria e
prodromica  al  corretto esercizio delle funzioni di cui e' titolare,
ai     criteri    dell'imparzialita'    e    del    buon    andamento
dell'amministrazione, cosi' come prescritti dall'art. 97 Cost.
    I commi che qui si impugnano, al contrario, sembrano ignorare del
tutto   questo   spazio  garantito  costituzionalmente  all'autonomia
regionale.
    Infatti,  le  regioni  -  non escluse dall'ambito di operativita'
degli  stessi atteso che alcuna specificazione e' fornita riguardo le
pubbliche  amministrazioni  -,  nel  momento  in  cui  dovessero  (in
autonomia?)  decidere  di  attivare iniziative tese alla formazione e
all'aggiornamento  professionale  dei loro dipendenti, devono (quindi
sono   costrette  a  rivolgersi  esclusivamente  a  quelle  strutture
formative   pubbliche   o  private  che  siano  state  accreditate  e
certificate dalla neo costituita Agenzia per la formazione).
    A  ben  vedere,  i  commi qui  censurati,  e  in  particolare  il
comma 583,  disciplinano  la  procedura da seguire per predisporre le
attivita'  di  aggiornamento  e  formazione  professionale: si tratta
cioe'  di  quelle  attivita'  volte  a  migliorare  la competenza, la
professionalita'  e  la  produttivita' del personale dipendente dalle
regioni  in  modo da evitare che le risorse umane dell'organizzazione
regionale,  non  rispondendo  agli  standards minimi di qualita' e di
aggiornamento,  possano pregiudicare l'efficienza e il buon andamento
dell'amministrazione stessa.
    Il  profilo dell'organizzazione regionale deve essere inteso come
un valore costituzionalmente tutelato teso ad assicurare alla regione
stessa,  nel  superamento dell'esclusivita' dell'ordinamento statale,
quelle  strutture  amministrative il piu' possibile decongestionate e
in grado di soddisfare le domande con efficienza e flessibilita'.
    Se quindi e' il buon andamento del sistema regionale, da valutare
anche  in  relazione  all'indirizzo  politico  della  regione stessa,
l'interesse  sotteso  alla formazione professionale del personale, e'
del  tutto  irragionevole affidare la responsabilita' di quest'ultima
ad  un  ente,  quale l'Agenzia per la formazione, estraneo, lontano e
distaccato dalla realta' regionale.
    A  nulla vale obiettare che non e' l'Agenzia l'ente erogatore del
servizio  di  formazione  professionale,  ma  le  singole strutture o
istituzioni  formative  pubbliche  o  private  inserite nell'apposito
elenco  nazionale  tenuto  dall'Agenzia:  nel  momento  in  cui  tali
strutture,  per  poter  esercitare  la loro funzione, devono ricevere
l'accreditamento  presso  l'Agenzia per la formazione (v. comma 581),
e'  di  solare  evidenza  come,  di fatto, l'unico soggetto capace di
gestire   ed  indirizzare  l'attivita'  di  formazione  professionale
diretta   al   personale   delle   pubbliche  amministrazioni  (anche
regionali), sia la stessa Agenzia.
    2.2.2.  -  Ma  vi e' di piu': l'illegittimita' costituzionale dei
commi in  oggetto,  come  sopra  preannunciato,  e'  aggravata  dalla
circostanza  che  la  stessa  attivita' che esse disciplinano, vale a
dire   la   formazione  professionale,  e'  di  competenza  esclusiva
regionale.
    Sul  punto,  non  certo controverso, e' sufficiente richiamare la
sentenza   n. 50  del  2005  nella  quale  codesta  ecc.ma  Corte  ha
limpidamente  affermato che "la competenza esclusiva delle regioni in
materia   di   istruzione  e  formazione  professionale  riguarda  la
istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere
impartite  sia  negli  istituti  scolastici  a  cio'  destinati,  sia
mediante  strutture proprie che le singole regioni possano approntare
in relazione alle peculiarita' delle realta' locali, sia in organismi
privati con i quali vengano stipulati accordi".
    A differenza di quanto avviene per la disciplina della istruzione
e  della  formazione  professionale  che  i  privati datori di lavoro
somministrano in ambito aziendale ai loro dipendenti che, "di per se'
non  e' compresa nell'ambito della suindicata competenza ne' in altre
competenze  regionali.  La  formazione  aziendale  rientra invece nel
sinallagma  contrattuale  e  quindi  nelle  competenze dello Stato in
materia di ordinamento civile".
    2.3.  -  In  conclusione,  non  puo'  che  affiorare  la  duplice
illegittimita'  costituzionale  dei  commi 583-585. Essi per un verso
affidano  ad  un  ente  statale  un'attivita'  strumentale (quella di
formazione    del    personale   dei   dipendenti   delle   pubbliche
amministrazioni  regionali) ad una finalita' che rientra in un ambito
competenziale   prettamente   regionale   (l'organizzazione   ed   il
funzionamento regionale); per un altro, disciplinandone le modalita',
incide palesemente su di una materia (la formazione professionale) in
realta' affidata alla competenza esclusiva delle regioni.
    Il  tutto  e'  reso  ancora  piu'  inaccettabile  dalla  grave  e
colpevole  assenza di qualsiasi forma di compartecipazione regionale,
in  spregio al basilare principio di leale collaborazione tra stato e
regioni, sia per quel che attiene la composizione dell'Agenzia per la
formazione,   che   per  quanto  concerne  l'attivita'  della  stessa
soprattutto  nella  fase  di  determinazione di quelli che dovrebbero
essere  i  criteri da utilizzare per l'accreditamento delle strutture
formative.
    3.  - Violazione degli artt. 117, 118, 119, 120 e 3 e 97 Cost. da
parte dei commi 610 e 611.
    3.1.  -  Al  comma 610  e' stabilito che "Allo scopo di sostenere
l'autonomia    delle   istituzioni   scolastiche   nella   dimensione
dell'Unione  europea  ed  i  processi  di  innovazione  e  di ricerca
educativa   delle   medesime   istituzioni,   nonche'  per  favorirne
l'interazione  con  il  territorio, e' istituita, presso il Ministero
della  pubblica  istruzione,  ai  sensi degli artt. 8 e 9 del decreto
legislativo  30  luglio  1999,  n. 300,  la "Agenzia nazionale per lo
sviluppo   dell'autonomia  scolastica",...  avente  sede  a  Firenze,
articolata, anche a livello periferico, in nuclei allocati presso gli
uffici  scolastici regionali ed in raccordo con questi ultimi, con le
seguenti funzioni:
        a) ricerca educativa e consulenza pedagogico-didattica;
        b) formazione e aggiornamento del personale della scuola;
        c) attivazione   di  servizi  di  documentazione  pedagogica,
didattica e di ricerca e sperimentazione;
        d) partecipazione   alle   iniziative   internazionali  nelle
materie di competenza;
        e) collaborazione  alla realizzazione delle misure di sistema
nazionali  in  materia di istruzione per gli adulti e di istruzione e
formazione tecnica superiore;
        f) collaborazione con le regioni e gli enti locali".
    3.1.1.   -   Il   successivo  comma 611  incide  sulla  struttura
organizzativa  dell'Agenzia. Difatti, "l'organizzazione dell'Agenzia,
con  articolazione centrale e periferica, e' definita con regolamento
adottato  ai  sensi  dell'art. 8, comma 4, del decreto legislativo 30
luglio  1999, n. 300. L'Agenzia subentra nelle funzioni e nei compiti
attualmente  svolti  dagli  Istituti  regionali  di ricerca educativa
(IRRE)  e dall'Istituto nazionale di documentazione per l'innovazione
e  la ricerca educativa (INDIRE), che sono contestualmente soppressi.
Al  fine  di  assicurare l'avvio delle attivita' dell'Agenzia, ... il
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della
pubblica istruzione, nomina uno o piu' commissari straordinari.
    Con  il  regolamento  di  cui al presente comma e' individuata la
dotazione   organica   del   personale   dell'Agenzia   e  delle  sue
articolazioni  territoriali  nel  limite complessivo del 50 per cento
dei  contingenti  di  personale  gia' previsti per l'INDIRE e per gli
IRRE, che in fase di prima attuazione, per il periodo contrattuale in
corso,  conserva  il trattamento giuridico ed economico in godimento.
Il   predetto  regolamento  disciplina,  altresi',  le  modalita'  di
stabilizzazione,  attraverso  prove selettive, dei rapporti di lavoro
esistenti  anche  a  titolo  precario,  purche'  costituite  mediante
procedure selettive di natura concorsuale".
    3.2.  -  Come  e'  noto,  se  sino al 2001 l'istruzione, quanto a
elaborazione   delle   politiche   e   a  conseguente  organizzazione
strutturale,   e'  stata  materia  prevalentemente  statale,  con  la
revisione   dell'art. 117  Cost.  il  legislatore  costituzionale  ha
profondamente  modificato il precedente assetto che vedeva unicamente
in  capo  alle  regioni  la  competenza legislativa nell'ambito dell'
"istruzione   artigiana   e   professionale"   e   dell'  "assistenza
scolastica":   difatti,   a   norma   del  comma 3  del  nuovo  testo
dell'art. 117,  Cost.,  le  regioni  hanno  acquisito  la  competenza
legislativa  sull'intera  materia  dell'istruzione. Una competenza di
tipo  concorrente,  quindi da esercitare nell'ambito del rispetto dei
principi  fondamentali  stabiliti  dalle  leggi  dello Stato, e fatta
salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche.
    Il   passaggio   dall'esercizio  (o  dalla  delega)  di  funzioni
amministrative  -  avvenuto  gia'  con  il d.lgs. n. 112 del 1998, in
particolare  con  gli  artt. 134  e ss. - all'attribuzione del potere
legislativo  sulla  materia,  non  e' certo di poco conto. Va da se',
infatti,   che  il  potere  legislativo  implica  necessariamente  la
responsabilita'  sulle  piu' importanti scelte politiche attinenti il
settore.
    Se   a   tutto   cio'   si   aggiunge   che   l'art. 118   Cost.,
costituzionalizzando  il  principio  di sussidiarieta', sia verticale
che  orizzontale,  ha  di  fatto consegnato alle regioni il potere di
attribuire,  per la parte di loro competenza, funzioni amministrative
agli  enti  territoriali  e ai soggetti della societa' civile ex ult.
comma dell'art. 118,  emerge  con  chiarezza  come  il  nuovo assetto
istituzionale   abbia  voluto  riconoscere  alle  regioni,  un  ruolo
pregnante ed incisivo in materia di istruzione.
    L'incisivita' di tale ruolo ha trovato poi diverse conferme nella
giurisprudenza  di  codesta ecc.ma Corte che e' stata gia' chiamata a
pronunciarsi   sulle   questioni  piu'  delicate  del  nuovo  sistema
dell'istruzione:  in materia di finanziamento delle funzioni, la gia'
citata  sentenza  n. 423  del  2004 ha dichiarato l'illegittimita' di
fondi  statali  con  vincoli  di  destinazione  in  materie  che  non
competono piu' alla competenza statale; sulla programmazione, ma piu'
in  generale  sul  contenuto  specifico della materia "istruzione" la
Corte  ha  affermato che seppur l'esatta definizione delle rispettive
competenze  non  potra' che essere oggetto di successivi affinamenti,
dovuti  alla  oggettiva  complessita'  dell'intero  sistema, "si puo'
assumere per certo che il prescritto ambito di legislazione regionale
sta  proprio  nella  programmazione delle rete scolastica. E' infatti
implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare
le regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma
della  competenza  delegata  dall'art. 138  del  decreto  legislativo
n. 112 del 1998" (Corte cost., sent. n. 13 del 2004).
    Merita, infine, una notazione a parte la sentenza n. 279 del 2005
che  si  e'  rivelata  fondamentale nel momento in cui ha offerto una
decisiva  chiave  di  lettura  rispetto a due modalita' di intervento
statale  nell'ambito  dell'istruzione,  quella  delle "norme generali
sull'istruzione",   spettanti  alla  potesta'  esclusiva  statale  ex
art. 117,  comma 2, lettera n), e quella dei principi fondamentali in
materia di istruzione ex art. 117, comma 3, Cost.: a detta di codesta
ecc.ma  Corte,  infatti,  le  norme generali in materia di istruzione
sono  "quelle  sorrette,  in relazione al loro contenuto, da esigenze
unitarie e, quindi, applicabili indistintamente al di la' dell'ambito
propriamente  regionale".  Cosi'  intese,  ha proseguito la Corte, le
norme  generali  si  differenziano, nell'ambito della stessa materia,
dai   principi  fondamentali  "i  quali,  pur  sorretti  da  esigenze
unitarie,  non  esauriscono  in  se  stessi  la loro operativita', ma
informano,  diversamente  dalle  prime,  altre  norme,  piu'  o  meno
numerose".
    Questo   breve   quadro   ricostruttivo  della  distribuzione  di
competenze  in  materia di istruzione costituisce una base solida per
poter sostenere l'evidente illegittimita' dei commi sopra citati, per
i motivi che qui di seguito si espongono.
    3.3.  -  I  commi 610  e  611  operano  fingendo di non vedere le
innovazioni  sostanziali  contenute  nel comma 3 dell'art. 117 Cost.:
qui,  oltre  al  deciso  spostamento  dell'ago  della  bilancia nella
distribuzione  di  funzioni  legislative  in  materia di istruzione a
favore   delle   regioni,   si   e'  formalmente  costituzionalizzata
l'autonomia delle istituzioni scolastiche.
    Questa impostazione significa, nella sostanza, la chiara e decisa
volonta' del legislatore costituzionale di destatalizzare il servizio
dell'istruzione,  in  sintonia con l'autorevole posizione espressa da
Pototschnig  (cfr.  il suo Insegnamento, istruzione, scuola, in Giur.
cost.,  1961,  pp.  361  ss.)  che  gia'  negli  anni  Sessanta aveva
ricostruito   il  nuovo  sistema  costituzionale  nel  settore  della
formazione   scolastica  sottolineando  che  non  spetta  allo  Stato
istruire, ma e' la scuola come comunita' educante ad avere il compito
dell'istruzione,   nell'ambito  di  norme  generali  che  sono  della
Repubblica e non dello Stato apparato.
    E   invece,  con  questi  commi,  lo  Stato  istituisce  in  modo
unilaterale  un'Agenzia  nazionale  per  lo  sviluppo  dell'autonomia
scolastica, e sempre in modo unilaterale ne individua le funzioni (si
vedano  le  lettere  a),  b),  c),  d),  e),  f) del comma 610), e ne
determina  l'organizzazione e la composizione: infatti, il comma 611,
rinvia  per  l'organizzazione  dell'Agenzia al regolamento ex art. 8,
comma 4   del   d.lgs.   n. 300  del  1999  e  cioe'  ai  regolamenti
governativi;  dopo  aver  disposto  la soppressione contestuale degli
Istituti  regionali  di  ricerca  educativa  (IRRE)  e  dell'Istituto
nazionale  di documentazione per l'innovazione e la ricerca (INDIRE),
dispone  che sia il Presidente del Consiglio dei ministri a nominare,
su  proposta  del  Ministro  della  pubblica  istruzione,  uno o piu'
commissari  a  cui e' affidato il compito di assicurare l'avvio delle
attivita'  dell'Agenzia;  ed  infine,  sempre  lo  stesso regolamento
governativo  e'  lo  strumento  per  la  composizione della dotazione
organica   del  personale  dell'Agenzia  e  delle  sue  articolazioni
territoriali  nonche'  quello per le modalita' di stabilizzazione dei
rapporti di lavoro esistenti.
    Se  e' vero che, sia l'IRRE e l'INDIRE che la costituenda Agenzia
per  lo sviluppo dell'autonomia scolastica sono enti statali, e' allo
stesso  modo vero che il terreno entro il quale devono muoversi, vale
a   dire  l'istruzione,  e'  un  terreno  la  cui  pertinenza  spetta
principalmente alle regioni e alle istituzioni scolastiche e solo per
limitati  e specifici profili, individuati dalle norme generali e dai
principi fondamentali, allo Stato.
    Al  contrario,  la  flebile  considerazione  che  il  legislatore
statale  mostra  nei  confronti delle regioni, trova palese riscontro
nella  lettera  d)  del comma 610 dove, tra le funzioni che l'Agenzia
dovrebbe  svolgere,  vi  sarebbe  quella  di  "collaborazione  con le
regioni  e  gli enti locali": e' evidente che la regione e' percepita
quale  mero interlocutore dello Stato, da questi chiamato ad una vaga
e  generica  attivita'  di  collaborazione, e non quale soggetto che,
grazie  al  nuovo  dettato  costituzionale  e  alla giurisprudenza di
codesta  ecc.ma  Corte, e' titolare della funzione legislativa e vero
protagonista dell'attivita' di gestione in materia di istruzione.
    In  definitiva,  il  prezioso supporto delle numerose pronunce di
codesta  ecc.ma Corte (su tutte si richiamano ancora la 13 del 2004 e
al   34  del  2005)  ha  fornito  un  contributo  indispensabile  per
interpretare  in  modo  corretto  il  nuovo quadro costituzionale nel
settore    dell'istruzione,    concorrendo   a   chiarire   in   modo
inequivocabile  il  superamento  di  un  modello  statocentrico  e la
necessita'  di  riconoscere in modo specifico anche alla legislazione
(e all'amministrazione) regionale un ruolo significativo in materia.
    Gli  effetti  ricavabili  da  queste  sentenze devono tra l'altro
rimettere  radicalmente  in  discussione la evidente tendenza, di cui
sono espressione manifesta i commi che qui si censurano, a riproporre
un'amministrazione  ministeriale statale fortemente operativa che, al
contrario,  dovrebbe  connotarsi della natura transitoria e supplente
del  suo  operato,  in attesa che si ridefinisca il sistema regionale
locale di supporto all'autonomia delle istituzioni scolastiche.
    4.  - Violazione degli artt. 117, 118, 119, 120 e 3 e 97 Cost. da
parte dei commi 622, 624 e 631.
    4.1.  -  Al comma 622 viene stabilito che "l'istruzione impartita
per  almeno dieci anni e' obbligatoria ed e' finalizzata a consentire
il  conseguimento  di  un  titolo  di  studio  di  scuola  secondaria
superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale
entro il diciottesimo anno di eta'. L'eta' per l'accesso al lavoro e'
conseguentemente  elevata  da  quindici a sedici anni. Resta fermo il
regime  di gratuita' ai sensi degli artt. 28, comma 1, e 30, comma 2,
secondo periodo, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226.
    L'adempimento  dell'obbligo  di  istruzione  deve consentire, una
volta  conseguito  il  titolo  di  studio conclusivo del primo ciclo,
l'acquisizione  dei  saperi e delle competenze previste dai curricula
relativi  ai  primi  due anni degli istituti di istruzione secondaria
superiore,  sulla  base  di  un  apposito  regolamento  adottato  dal
Ministro  della  pubblica  istruzione ai sensi dell'art. 17, comma 3,
della legge 23 agosto 1988, n. 400.
    Nel   rispetto   degli  obiettivi  di  apprendimento  generali  e
specifici  previsti dai predetti curricula, possono essere concordati
tra  il  Ministero  della  pubblica  istruzione  e le singole regioni
percorsi  e  progetti  che, fatta salva l'autonomia delle istituzioni
scolastiche, siano in grado di prevenire e contrastare la dispersione
e   di   favorire   il  successo  nell'assolvimento  dell'obbligo  di
istruzione.
    Le  strutture  formative  che  concorrono  alla realizzazione dei
predetti  percorsi  e  progetti devono essere inserite in un apposito
elenco   predisposto   con   decreto   del  Ministro  della  pubblica
istruzione.  Il  predetto  decreto  e'  redatto sulla base di criteri
prede  finiti  con  decreto  del  Ministro della pubblica istruzione,
sentita  la  Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le
regioni  e  le  province  autonome di Trento e di Bolzano. Sono fatte
salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province
autonome di Trento e di Bolzano, in conformita' ai rispettivi statuti
e   alle   relative   norme   di   attuazione,   nonche'  alla  legge
costituzionale  18 ottobre 2001, n. 3. L'innalzamento dell'obbligo di
istruzione decorre dall'anno scolastico 2007/2008".
    4.1.2.  - Piu'  avanti,  al  comma 624, si dispone che "fino alla
messa  a  regime  di  quanto  previsto  dal  comma 622,  proseguono i
percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale di cui
all'art. 28 del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226. Restano,
pertanto,   confermati  i  finanziamenti  destinati  dalla  normativa
vigente alla realizzazione dei predetti percorsi.
    Dette  risorse  per  una  quota non superiore al 3 per cento sono
destinate   alle   misure   nazionali  di  sistema  ivi  compreso  il
monitoraggio  e  la  valutazione.  Le  strutture  che realizzano tali
percorsi  sono  accreditate  dalle  regioni  sulla  base  dei criteri
generali  definiti  con  decreto adottato dal Ministro della pubblica
istruzione  di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza
sociale,  previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
    4.1.3.  - Infine, il comma 631 afferma che "a decorrere dall'anno
2007,  il  sistema  dell'istruzione  e  formazione  tecnica superiore
(IFTS),  di  cui  all'art. 69  della legge 17 maggio 1999, n. 144, e'
riorganizzato  nel  quadro  del  potenziamento  dell'alta  formazione
professionale   e   delle   misure   per   valorizzare   la   filiera
tecnico-scientifica,  secondo le linee guida adottate con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della
pubblica  istruzione formulata di concerto con il Ministro del lavoro
e   della  previdenza  sociale  e  con  il  Ministro  dello  sviluppo
economico,  previa  intesa  in  sede  di  Conferenza unificata di cui
all'art. 8  del  decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, ai sensi
del medesimo decreto legislativo.
    4.2.  -  Con la riforma del Titolo V della Costituzione l'assetto
globale  relativo  alle  competenze in materia di istruzione e', come
noto, abbastanza complesso.
    In  riferimento  alle  funzioni legislative, il quadro puo' cosi'
sintetizzarsi:   allo  Stato  compete  la  definizione  delle  "norme
generali  sull'istruzione", la determinazione dei "livelli essenziali
delle  prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere  garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale"  (LEP)  e la
fissazione  dei  "principi  fondamentali";  alle  regioni  compete la
potesta'  legislativa  concorrente  in  generale  su tutta la materia
dell'"istruzione"  e  la potesta' legislativa esclusiva in materia di
istruzione  e  formazione  professionale. La natura esclusiva di tale
ultima  competenza emerge in modo chiaro dall'art. 117, comma 3, dove
l'istruzione e' inserita tra le materie di competenza concorrente "ad
esclusione  dell'istruzione  e formazione professionale", ed e' stata
piu'  volte  riconosciuta  da  codesta  ecc.ma Corte (v. Corte cost.,
sent. n. 50 del 2005).
    Sulla  base  di questo nuovo quadro costituzionale si e' mosso il
successivo  legislatore  ordinario,  attraverso la legge delega n. 53
del  2003  ("Delega in materia di norme generali sull'istruzione e di
livelli  essenziali  delle  prestazioni  in  materia  di istruzione e
formazione professionale") e i conseguenti decreti delegati che hanno
delineato,  attraverso  ampie  modalita' partecipative tra i soggetti
istituzionali  coinvolti,  un  sistema  educativo  di istruzione e di
formazione  che,  oltre ad abbandonare il vecchio concetto di obbligo
scolastico  (sostituito  da  quello  di  diritto/dovere di istruzione
assicurato  a  tutti  per almeno dodici anni), si e' articolato nella
scuola  dell'infanzia,  in  un  primo  ciclo  che comprende la scuola
primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo
che  comprende  il  sistema dei licei ed il sistema dell'istruzione e
formazione  professionale  (sul quale e' stata rinnovata e rinforzata
la  competenza  regionale, v. art. 2, comma 1, lettera h) delle legge
n. 53 del 2003).
    4.3.  -  I  commi che qui si censurano sono chiara espressione di
una   volonta',   incongruamente  palesatasi  per  il  tramite  dello
strumento   della   legge   finanziaria,  di  modificare,  con  forte
ricentralizzazione,  il  sistema  dell'istruzione e dell'istruzione e
formazione professionale.
    E  invero,  con il testo del comma 622, in spregio non solo delle
nuove  attribuzioni  legislative  individuate dall'art. 117 Cost., ma
anche  dei generali principi di buon andamento dell'amministrazione e
di   leale  collaborazione,  si  stravolge  il  lavoro  compiuto  dal
legislatore  ordinario: difatti, si ripristina il concetto di obbligo
scolastico;  si  prevedono  dieci  anni  di istruzione obbligatoria e
comune;  nella sostanza, si introduce un biennio unitario tra sistema
dei licei e sistema dell'istruzione e formazione professionale; viene
innalzata  l'eta'  per  l'accesso al lavoro con evidenti ricadute sul
sistema  dell'istruzione  e  formazione  professionale; si incide sui
primi  due  anni degli istituti di istruzione secondaria superiore (e
quindi  in  un  segmento che gia' interessa l'istruzione e formazione
professionale) attraverso lo strumento del regolamento governativo ex
art. 17,  comma 3, della legge n. 400 del 1988; sono apposti, in modo
marginale,   strumenti   eventuali   e   comunque   molto  deboli  di
coinvolgimento  regionale (queste, infatti, "possono" essere chiamate
a  concordare  con il Ministero della pubblica istruzione, percorsi e
progetti  tesi  a contrastare la dispersione e a favorire il successo
nell'assolvimento dell'obbligo di istruzione); vengono inserite in un
apposito  elenco, predisposto con decreto del Ministro della pubblica
istruzione,  le strutture formative che concorrono alla realizzazione
di  percorsi  e  progetti  che attengono sia alla istruzione che alla
istruzione  e  formazione  professionale, sulla base di criteri nella
sostanza definiti dal solo Ministro, vista la palese debolezza insita
nel "sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano").
    Il  comma 624 entra in modo ancora piu' incisivo nella dimensione
dell'istruzione  e formazione professionale, instaurando una sorta di
regime  transitorio  sino alla messa a regime di quanto stabilito nel
precedente  comma 622:  e  lo  fa  predisponendo il proseguimento dei
percorsi   sperimentali  di  istruzione  e  formazione  professionale
individuati  dall'art. 28  del  d.lgs.  n. 226 del 2005, stabilendo i
tetti  di  destinazione  delle  risorse gia' stanziate e, in modo del
tutto irragionevole nonche' illegittimo, afferma che le strutture che
realizzano  i  percorsi  di  istruzione  e  formazione professionale,
invece di essere lasciate alla esclusiva e libera regolamentazione da
parte  delle  regioni, debbano essere accreditate dalle regioni sulla
base  di criteri generali stabiliti anche dal Ministro della pubblica
istruzione e dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
    Infine,  l'illegittimita' del comma 631 e' ancora piu' manifesta:
qui   l'intervento  statale  e'  volto  a  riorganizzare  il  sistema
dell'istruzione  e  formazione  tecnica  superiore  (IFTS) - previsto
dall'art. 69  della  legge  n. 144  del  1999, cioe' un provvedimento
legislativo  anteriore  sia  alla  riforma costituzionale, sia a quel
processo  di  ristrutturazione  dell'intero  sistema  di istruzione e
formazione  cui  prima  si  e'  accennato, - ancora nell'ambito della
formazione  professionale  che e', invece, una dimensione appannaggio
esclusivo delle regioni.
    In  definitiva,  il  legislatore nazionale con i commi che qui si
impugnano  ha  voluto ricostruire, riformare e riordinare aspetti del
sistema  dell'istruzione  ignorando  del  tutto le nuove attribuzioni
costituzionali  in materia emerse dalla riforma del 2001 e cestinando
altri  punti  essenziali  che  sono  stati  raggiunti  con  un lavoro
faticoso e concertato dal successivo legislatore ordinario.
    Ma  vi  e'  di  piu':  tutto  cio'  e'  stato  realizzato con uno
strumento  completamente  inadeguato,  alcuni isolati commi di una la
legge finanziaria, improvvisato ed estemporaneo, approvato insieme ad
un  coacervo  di  altre disposizioni tra loro eterogenee, blindato in
sede  parlamentare  e  quindi del tutto privo di quell'indispensabile
momento partecipativo che invece esigono le innovazioni in materia di
istruzione, alla luce del nuovo riparto di funzioni, del principio di
leale collaborazione e di buon andamento dell'amministrazione.
    5. - Violazione degli artt. 117, 118, 120 e 3 e 97 Cost. da parte
del comma 1226.
    5.1.  -  Il  comma 1226  recita:  "Al fine di prevenire ulteriori
procedure  di infrazione, le regioni e le province autonome di Trento
e  di  Bolzano  devono  provvedere  agli  adempimenti  previsti dagli
artt. 4  e  6  del regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, o al
loro  completamento,  entro  tre mesi dalla data di entrata in vigore
della  presente legge, sulla base di criteri minimi uniformi definiti
con  apposito  decreto  del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare".
    5.2.  - Con il nuovo art. 117 Cost., l'attribuzione della "tutela
dell'ambiente" alla competenza esclusiva dello Stato e il contestuale
riconoscimento  del  "governo del territorio" e della "valorizzazione
dei  beni  culturali  e  ambientali  e promozione e organizzazione di
attivita'  culturali",  ha  suscitato  diverse  perplessita' tanto in
dottrina quanto in giurisprudenza.
    Alcuni  dubbi  sorti  circa  l'art. 117, comma 2, lettera s) sono
stati  sciolti  dalla  nota  sentenza  n. 407 del 2002 nella quale la
Corte,    dopo    aver    individuato    l'ambiente    come    valore
costituzionalmente  protetto,  ha configurato la tutela dell'ambiente
piu'  che  come  materia in senso tecnico, come materia "trasversale"
"in  ordine  alla  quale  si  manifestano competenze diverse, che ben
possono  essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che
rispondono  ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero
territorio nazionale"
    A  fronte  di  una  giurisprudenza  successiva  che ha ampiamente
confermato  l'orientamento  espresso nella 407 del 2002 (si vedano le
sentenze  nn. 536 del 2002, 222, 226, 227, 30 del 2003), e' possibile
dunque  affermare  che  la  riforma  del  Titolo  V  ha conservato la
preesistente  pluralita'  di  titoli di legittimazione per interventi
delle regioni diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle
proprie  competenze  legislative  concorrenti  o residuali, ulteriori
esigenze  rispetto  a  quelle  di  carattere  unitario definite dallo
Stato.
    Non  puo'  dunque negarsi che nell'azione di tutela dell'ambiente
siano  concretamente  coinvolti  tutti  i livelli territoriali in una
logica  di  effettiva  corresponsabilita'  e  che  tale  concorso  di
competenze sia guidato dal principio di "leale collaborazione".
    Se   tradizionalmente  la  giurisprudenza  di  codesta  Corte  ha
invocato  il principio di leale collaborazione imponendo il ricorso a
strumenti  di  raccordo  che  consentano ai soggetti istituzionali di
agire secondo linee convergenti e sinergiche, in "ogni ipotesi in cui
l'esercizio   delle   competenze   spettanti   allo   Stato  comporta
interferenze con l'esercizio delle competenze spettanti alle regioni"
(cfr.  Corte  cost.,  sentt.  nn. 464  del  1991 e 127 del 1995), neI
ventaglio  dei  raccordi possibili l'intesa costituisce senz'altro la
forma  piu'  intensa  di  partecipazione, perche' modulata su formule
collaborative di tipo paritario tra i soggetti chiamati a decidere.
    In   materia   ambientale,   cosi',   la   Corte   ha  dichiarato
costituzionalmente  illegittime  alcune  disposizioni che non avevano
previsto  l'intesa  tra lo Stato e le regioni in materia di procedure
di  adeguamento  nella disciplina dei parchi (sent. 302 del 1994), di
rilevamento   degli   incendi  boschivi  (sent.  157  del  1995),  di
programmazione  degli  interventi di protezione civile (sent. 127 del
1995);  dopo  l'entrata  in  vigore  della riforma del titolo V, tale
orientamento  e' stato confermato e si e' insistito sulla centralita'
del  principio  di  leale  collaborazione  nei  rapporti  tra Stato e
regioni (cfr. sent. 27 del 2002).
    5.3.  -  Il comma qui censurato impone alle regioni di provvedere
agli adempimenti previsti ex artt. 4 e 6 del d.P.R. n. 357 del 1997 -
e  cioe'  alla predisposizione per i siti di importanza comunitaria e
per  le  zone  di protezione speciale, delle opportune misure atte ad
evitare  il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie,
nonche'  la  perturbazione  delle  specie  per cui le zone sono state
designate  -  sulla base di criteri minimi uniformi definiti con solo
decreto  del  Ministro  dell'ambiente e della tutela del territorio e
del mare.
    Quindi,  per la determinazione dei criteri minimi non solo non e'
prevista  l'intesa, ma manca del tutto qualsiasi forma e modalita' di
coinvolgimento delle regioni.
    Diviene  del  tutto  evidente  come  la  determinazione  di  tali
criteri,  una volta rimessa alla esclusiva volonta' statale, si ponga
in  aperto  contrasto  con  il  principio di leale collaborazione tra
Stato e regioni, estrometta dalle opportune valutazioni le regioni in
un  ambito materiale in cui queste esercitano funzioni legislative ed
amministrative  e  sia  pertanto  da  dichiarare incostituzionale per
violazione degli artt. 117, 118, 120 e 97 della Costituzione.

        
      
                              P. Q. M.
    Chiede  che  codesta  ecc.ma  Corte, in accoglimento del presente
ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale:
        dei  commi 362,  363, 364, 365; 389; 853; 892, 893, 894, 895;
1121, 1122, 1123; 1227, 1228; 1252; 1261; 1267; 1284, nei sensi e nei
limiti  specificati  nel  testo  del  ricorso,  per  violazione degli
artt. 117,  118  e  119  della  Costituzione, nonche' dei principi di
leale     collaborazione    (art. 120    Cost.),    buon    andamento
dell'amministrazione (art. 97 Cost.) e ragionevolezza (art. 3 Cost.);
        dei  commi 583,  584, 585; 610, 611; 622, 624, 631; 1226, per
violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' dei
principi  di  leale  collaborazione  (art. 120 Cost.), buon andamento
dell'amministrazione (art. 97 Cost.) e ragionevolezza (art. 3 Cost.).
    Roma-Milano, addi' 26 febbraio 2006
  Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto - Avv. Pio Dario Vivone

Menu

Contenuti