Ricorso n. 146 del 16 ottobre 2012 (Regione Veneto)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 16 ottobre 2012 (della Regione Veneto).
(GU n. 47 del 28.11.2012)
Ricorso proposto dalla Regione Veneto (C.F. … - P.IVA
…), in persona del Presidente della Giunta Regionale dott.
Luca Zaia (C.F. …), autorizzato con delibera della
Giunta regionale n. 2003 del 2 ottobre 2012 (all. 1), rappresentato e
difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente
quanto disgiuntamente, dagli avv.ti prof. Luca Antonini (C.F.
…) del Foro di Milano (pec:
…), Ezio Zanon (C.F.
…) coordinatore dell'Avvocatura regionale, Daniela
Palumbo (C.F. …) della Direzione regionale Affari
Legislativi (pec: …) e
Andrea Manzi (C.F. …) dello Studio Legale Manzi e
Associati del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di
quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri n. 5 (per eventuali
comunicazioni: fax …, pec
…);
Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti
disposizioni del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, cosi' come
convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 7 agosto
2012, n. 134, pubblicata nella G.U. n. 187 dell'11 agosto 2012 - S.O.
n. 171:
dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6, per violazione dell'art.
97 della Costituzione;
dell'art. 53, comma 1, lett. b), per violazione dell'art. 136
della Costituzione;
dell'art. 64, comma 1, per violazione degli articoli 119 e
117, terzo comma, della Costituzione;
dell'art. 64, comma 2, per violazione dell'art. 117, comma
sesto della Costituzione, nonche' del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione.
M o t i v i
1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6
per violazione dell'art. 97 della Costituzione.
La disposizione dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6 del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, cosi' come convertito, con
modificazioni, dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134
prevede al comma 4 che «Con decreto di natura non regolamentare del
Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze, sono stabilite le modalita' per la preventiva autorizzazione
all'erogazione e le condizioni per la fruizione dei contributi
previsti dall'art. 17-decies, a valere sulle risorse di cui al comma
2 del presente articolo, in modo da assicurare che una quota non
inferiore a 5 milioni di euro per l'anno 2013 sia destinata
all'erogazione dei contributi statali di cui all'art. 17-decies,
comma 1, lettera a).
Al comma 6 dispone poi che: «Per gli anni 2014 e 2015, con
decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo
economico, da adottare entro il 15 gennaio di ciascun anno, vengono
rideterminate le ripartizioni delle risorse di cui al comma 2, sulla
base della dotazione del fondo di cui al comma 1 e del monitoraggio
degli incentivi relativo all'anno precedente».
Nello specifico si tratta di due decreti, espressamente
qualificati come di natura non regolamentare, di disciplina dei
criteri di gestione del fondo relativo agli incentivi per l'acquisto
di autoveicoli istituto dall'art. 17-undecies, comma 1, diretti a
stabilire, il primo, le modalita' per la preventiva autorizzazione
all'erogazione, le condizioni per la fruizione dei contributi nonche'
a indirizzare una quota dei contributi verso determinate fattispecie,
il secondo a rideterminare le ripartizioni delle risorse sulla base
della dotazione del fondo e del monitoraggio degli incentivi relativo
all'anno precedente.
Al riguardo occorre considerare la recente pronuncia
dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 4 maggio 2012,
dove si precisa: «nonostante la crescente diffusione di quel fenomeno
efficacemente descritto in termini di "fuga dal regolamento" (che si
manifesta, talvolta anche in base ad esplicite indicazioni
legislative, tramite l'adozione di atti normativi secondari che si
autoqualificano in termini non regolamentari) deve, in linea di
principio, escludersi che il potere normativo dei Ministri e, piu' in
generale, del Governo possa esercitarsi medianti atti "atipici", di
natura non regolamentare».
In tali casi, infatti, viene a realizzarsi la violazione delle
regole procedimentali di cui all'art. 17, comma 4, della legge 23
agosto 1988, n. 400, che prevedono il parere del Consiglio di Stato e
il controllo della Corte dei Conti.
E' utile quindi precisare che lo stesso Servizio Studi del Senato
ha sollevato perplessita' in ordine alle norme in oggetto: «La
clausola "di natura non regolamentare" - riferita all'emanando
decreto, cosi' come quello che al comma 6 stabilira' le modalita' di
erogazione e le condizioni per la fruizione dei contributi previsti
dall'art. 17-undecies - esclude l'applicazione dell'art. 17, comma 4,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, che reca la procedura per
l'approvazione dei regolamenti (prevedendo fra l'altro il parere del
Consiglio di Stato) e, qualora il contenuto del decreto da emanare
abbia natura sostanzialmente normativa, si configura come tacita
deroga alla citata norma della legge n. 400. Quando il rinvio a
decreti di natura non regolamentare e' stato oggetto di esame da
parte della Corte costituzionale (sentenza n. 116 del 2006), essa lo
qualifico' come "un atto statale dalla indefinibile natura
giuridica"».
Disponendo l'utilizzo di decreti ministeriali in questi termini
la norma impugnata determina pertanto una violazione del principio
del buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 della
Costituzione.
Questa lesione ridonda in una lesione della sfera di autonomia
costituzionalmente garantita alla Regione.
Infatti, dal momento che, in base alla lettere a) e b) dell'art.
17-decies, le principali quote del fondo sono riservate anche «alla
sostituzione di veicoli pubblici o privati destinati all'uso di terzi
come definito dall'art. 82 del codice della strada, di cui al decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285», la norma interferisce con la
competenza regionale in materia di trasporto pubblico locale (si veda
al riguardo la legge regionale 30 ottobre 1998, n. 25, Disciplina ed
organizzazione del trasporto pubblico locale) nonche' con quella in
materia di servizi di trasporto non di linea (si veda la riguardo la
l. reg. Veneto 30 luglio 1996, n. 22, Norme per l'esercizio delle
funzioni amministrative in materia di servizi di trasporto non di
linea per via di terra).
Si tratta di materie nelle quali, a seguito della riforma del
Titolo V della Costituzione, la competenza regionale - gia'
preesistente come dimostrano le leggi regionali ricordate - e' stata
ulteriormente rafforzata, come riconosciuto dalla sentenza n. 222 del
2005 di codesta Ecc.ma Corte. Nella sentenza, infatti, si afferma che
la materia del trasporto pubblico locale rientra nell'ambito delle
competenze residuali delle Regioni di cui al quarto comma dell'art.
117 Cost., «come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della
riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo 19
novembre 1997, n. 422 [...] aveva ridisciplinato l'intero settore,
conferendo alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti
relativi a tutti i "servizi pubblici di trasporto di interesse
regionale e locale con qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi
forma affidati" ed escludendo solo i trasporti pubblici di interesse
nazionale».
E' utile quindi precisare che, nell'ambito interessato dai
contributi statali, la Regione interviene in diverse forme, anche
inerenti al finanziamento e al relativo riparto delle risorse, ed e'
appunto cio' che accade, ad esempio, relativamente ai servizi minimi
di cui all'art. 7, lett. d) e f) della legge regionale 30 ottobre
1998, n. 25, prima ricordata.
L'adozione di atti atipici, quali i decreti che si auto
qualificano come di natura non regolamentare - essendo invece
destinati a compiere scelte di carattere normativo anche in relazione
all'identificazione dei concreti destinatari dei contributi -, senza
alcun coinvolgimento della Regione, determina pertanto una violazione
del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui
all'art 97 Cost., che ridonda in una violazione delle competenze
regionali in materia.
Il mancato raccordo con la programmazione della Regione, che e'
il soggetto competente a ripartire i finanziamenti nel settore,
viene, infatti, a compromettere l'utilizzo ottimale delle risorse
pubbliche.
2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 1, lett. b), per
violazione dell'art. 136 della Costituzione.
L'art. 53, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012,
n. 83, convertito, con modificazioni, con legge 7 agosto 2012, n.
134, apporta modifiche - non sostanziali - all'art. 4 del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con legge 14
settembre 2011, n. 148, in materia di servizi pubblici locali.
Questa norma, piu' volte nel tempo modificata (in particolare,
per effetto dell'art. 9, comma 2, lettera n), della legge 12 novembre
2011, n. 183 e dell'art. 25 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24
marzo 2012, n. 27, nonche' - appunto - dell'art. 53, comma 1, lettera
b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con
modificazioni, con legge 7 agosto 2012, n. 134), contiene
disposizioni di dichiarato Adeguamento della disciplina dei servizi
pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall'Unione
europea, dettando la nuova disciplina dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica in luogo dell'art. 23-bis del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112, abrogato a seguito del referendum del 12 e 13
giugno 2011.
Com'e' noto, l'art. 23-bis del decreto-legge n. 112/2008,
conteneva una disciplina assai rigorosa e restrittiva della materia
dell'affidamento dei servizi pubblici locali, avendo in particolare
eliminato l'alternativita' tra le diverse forme di gestione di cui
all'art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.) e previsto che
l'affidamento diretto costituisse una deroga praticabile solo in
presenza di particolari condizioni e caratteristiche economiche e
sociali del contesto tali da rendere inefficiente il ricorso alle
procedure ordinarie ad evidenza pubblica. Prevedeva, inoltre, misure
di disciplina delle societa' a partecipazione pubblica locale e delle
societa' c.d. in house e l'assoggettamento di queste ultime al patto
di stabilita' interno, nonche' regole di distinzione tra regolazione
e gestione con il regime delle incompatibilita' tra amministratori
dell'ente e amministratori delle societa' che forniscono i servizi,
oltre che la definizione del regime transitorio relativamente agli
affidamenti non conformi alla disciplina in esso stabilita.
Detta norma e' stata travolta dal referendum popolare del 12 e 13
giugno 2011, e all'esito del referendum, e' stata formalmente
abrogata con il d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113.
Cio' ha verosimilmente indotto il legislatore ad adottare l'art.
4 del decreto-legge n. 138/2011, al dichiarato fine di Adeguamento
della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e
alla normativa dall'Unione europea (cosi' la rubrica dell'articolo,
definita «ipocrita» da A. Lucarelli, in La sentenza della Corte
costituzionale n. 199/2012 e la questione dell'inapplicabilita' del
patto di stabilita interno alle s.p.a. in house ed alle aziende
speciali, in federalismi.it, n. 18/2012), con l'effetto di
reintrodurre sostanzialmente la disciplina abrogata per via
referendaria.
Di qui l'impugnativa dell'art. 4 del decreto-legge n. 138/2011
gia' operata da parte di alcune Regioni, e l'intervento della Corte
costituzionale con la sentenza n. 199/2012, che ha "abrogato" - si
potrebbe dire, nuovamente - la norma.
Infatti, con la ricordata sentenza n. 199/2012 la Corte
costituzionale - su ricorso di varie Regioni, che ritenevano la norma
lesiva delle competenze costituzionali delle regioni in materia di
servizi pubblici locali e di fatto riproduttiva di una disciplina
normativa abrogata per volonta' popolare espressa nel ricordato
referendum - ha ritenuto che l'art. 4 del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138, abbia violato «il divieto di ripristino della normativa
abrogata dalla volonta' popolare desumibile dall'art. 75 Cost.»,
«senza modificare ne' i principi ispiratori della complessiva
disciplina normativa preesistente ne' i contenuti normativi
essenziali dei singoli precetti» e «tenuto conto del brevissimo lasso
di tempo intercorso fra la pubblicazione dell'esito della
consultazione referendaria e l'adozione della nuova normativa (23
giorni), ora oggetto di giudizio, nel quale peraltro non si e'
verificato nessun mutamento idoneo a legittimare la reintroduzione
della disciplina abrogata»; conseguentemente dichiarando
costituzionalmente illegittima la norma per violazione dell'art. 75
Cost., «sia nel testo originario che in quello risultante dalle
successive modificazioni» sopra ricordate.
A pochi mesi dal referendum vengono apportate (con il
decreto-legge n. 83/2012) e confermate, a pochi giorni dalla sentenza
n. 199/2012, con modificazioni (con la legge di conversione n.
134/2012) alcune modifiche, non sostanziali, dell'art. 4 del
decreto-legge n. 138/2011, appresso riepilogate:
1) al comma 3 dell'art. 4, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) dopo le parole «la delibera di cui al comma 2» sono
inserite le seguenti: «nel caso di attribuzione di diritti di
esclusiva se il valore economico del servizio e' pari o superiore
alla somma complessiva di 200.000 euro annui»; in sostanza, per
ragioni di omogeneita' con la soglia di valore indicata dal comma 13
per poter procedere agli affidamenti alle societa' in house in deroga
(limite originariamente fissato in 900.000 euro annui, e poi portato
a 200.000 euro annui - con abbassamento della soglia entro la quale
si puo' procedere ad affidamenti in house in deroga alle altre
disposizioni dello stesso art. 4 - per effetto gia' dei precedenti
interventi del legislatore sulla norma), si prevede che la delibera
dell'ente territoriale di programmazione della gestione dei servizi
pubblici locali venga trasmessa per il parere obbligatorio
dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato «nel caso di
attribuzione di diritti di esclusiva se il valore economico del
servizio e' pari o superiore alla somma complessiva di 200.000 euro
annui»;
b) le parole «adottata previo» sono sostituite dalle
seguenti: «trasmessa per un»; si definisce cosi' l'innesco del
menzionato parere dell'Autorita' garante della concorrenza e del
mercato, che resta comunque «obbligatorio»;
c) le parole: «dell'Autorita'» sono sostituite dalle
seguenti: «all'Autorita'»; mero maquillage linguistico necessitato
dalla modifica appena ricordata;
d) le parole «che si pronuncia entro sessanta giorni» sono
sostituite dalle seguenti: «che puo' pronunciarsi entro sessanta
giorni»; modifica anch'essa di adattamento rispetto a quella
riportata sub b), non essendo (apparentemente) il parere piu' da
rendersi «previamente», anche se, restando detto parere comunque
«obbligatorio» (e' cosi' definito sia al comma 3 sia al comma 4), e
condizionando in ogni caso - come si vedra' sub f) - l'adozione della
delibera, non muta sostanzialmente l'assetto della norma;
e) le parole «dall'ente di governo locale dell'ambito o del
bacino o in sua assenza» sono eliminate; modifica anch'essa
irrilevante sulla norma base;
f) alla fine del primo periodo, dopo le parole «di una
pluralita' di servizi pubblici locali.» sono inserite le seguenti:
«Decorso inutilmente il termine di cui al periodo precedente, l'ente
richiedente adotta la delibera quadro di cui al comma 2.»; si
chiarisce che il parere e' «obbligatorio» ma l'Autorita' garante ha
sessanta giorni di tempo per renderlo;
2) al comma 4 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) le parole: «trenta giorni dal parere dell'Autorita'»
sono sostituite dalle seguenti: «novanta giorni dalla trasmissione
del parere all'Autorita'»; si tratta del dies ad quem per l'adozione
da parte degli enti locali della delibera quadro, che deve avvenire
entro il novantesimo giorno dalla trasmissione del parere
all'Autorita' (la norma dice: dalla trasmissione del parere
all'Autorita'; ma probabilmente intendeva dire: dalla trasmissione
dello schema di delibera all'Autorita'); si tratta percio' di
modifica conseguente alla affermazione - sub d) - della facolta'
(«puo' pronunciarsi») dell'Autorita' di pronunciarsi con un parere
espresso e con la assegnazione di un termine per farlo, decorrente -
appunto - dalla trasmissione dello schema di delibera;
2-bis) al comma 5, dopo le parole: «alle aziende esercenti i
servizi stessi» sono inserite le seguenti: «determinate, con
particolare riferimento al trasporto pubblico regionale e locale,
tenendo in adeguata considerazione l'ammortamento degli investimenti
effettuati nel comparto del trasporto su gomma, e che dovra' essere
osservato dagli enti affidanti nella quantificazione dei
corrispettivi da porre a base d'asta previsti nel bando di gara o
nella lettera d'invito di cui al comma 11»; nella norma (art. 4,
comma 5) che gia' imponeva - in tutti i campi e in via generale -
agli enti locali di definire preliminarmente gli obblighi di servizio
pubblico e di prevedere le eventuali compensazioni per i gestori, si
stabiliscono percio' regole di dettaglio per la determinazione di
dette compensazioni proprio nel trasporto pubblico regionale e
locale;
3) al comma 14 le parole «per le riforme per il federalismo»
sono sostituite dalle seguenti: «per gli Affari Regionali»; nella
norma che dispone l'assoggettamento delle societa' in house al patto
di stabilita' interno secondo le modalita' definite con il concerto
del Ministro di riferimento, si opera questa modifica meramente
conseguente alla soppressione del Ministero per le riforme per il
federalismo;
4) al comma 32, lettera a), terzo periodo, le parole:
«azienda in capo alla» sono soppresse;
5) al comma 32-ter le parole: «di cui all'art. 2, comma 3,
lettera e) del presente decreto» sono soppresse; modifiche di ardua
comprensione, e comunque non significative, in punto di regime
transitorio;
6) dopo il comma 35 e' inserito il seguente:
«35-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma 35, a decorrere
dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.
1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, la
verifica di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, le attivita' di cui al comma 5
e le procedure di cui ai commi 8, 12 e 13 per il conferimento della
gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica,
sono effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali ottimali
e omogenei di cui all'art. 3-bis dagli enti di governo degli stessi
istituiti o designati ai sensi del medesimo articolo.». Si stabilisce
che le attivita' di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 (verifiche e delibere
quadro degli enti locali, nonche' parere dell'Autorita' garante) e al
comma 5 (la definizione degli obblighi di servizio pubblico e le
compensazioni economiche) e le procedure di cui ai commi 8, 12 e 13
(le procedure per l'affidamento della gestione dei servizi, per la
scelta del partner e l'affidamento in house) avvengano per ambiti o
bacini territoriali ottimali e omogenei, il perimetro dei quali a
norma dell'art. 3-bis va definito in modo tale da consentire economie
di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del
servizio, e che vadano operate dagli organi di governo di detti
ambiti.
Cosi' riportata la norma impugnata e sinteticamente descritta la
sua incidenza sulla materia, va detto che questa, al pari delle sue
«ceneri» (l'art. 4 del decreto-legge n. 138/2011 e, prima di questo,
l'art. 23-bis del decreto-legge n. 112/2008), lede l'autonomia
regionale, poiche' ne comprime le sfere di competenza residuale in
materia di servizi pubblici locali e concorrente in materia di
coordinamento della finanza pubblica. Cosi' e' per l'assoggettamento
a parere obbligatorio dell'Autorita' garante della concorrenza e del
mercato della delibera di programmazione dei servizi locali adottata
dagli enti locali, che certamente lede le sfere di competenza
regionale in materia di servizi pubblici locali; allo stesso modo per
la disciplina delle modalita' di innesco e acquisizione di detto
parere; cosi' e' per la disciplina delle compensazioni in una materia
come quella del trasporto pubblico regionale e locale strettamente
collegata al territorio e facente capo alla competenza regionale;
cosi' e' per l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di
servizi pubblici locali al patto di stabilita' interno, che viola le
competenze regionali sia in materia di servizi pubblici locali sia in
materia di coordinamento della finanza pubblica; cosi' e', infine,
per la affermazione dell'ambito di riferimento per tutte queste
attivita' (ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei) e per
l'assegnazione agli enti di governo di detti ambiti del potere di
gestire le procedure per l'affidamento della gestione dei servizi,
per la scelta del partner e l'affidamento in house, che certamente
ledono le competenze regionali in materia di pubblici servizi e di
organizzazione degli uffici e degli enti regionali. Di tanto, ove
occorra, si ha diretta conferma anche nelle varie pronunce che hanno
gia' statuito in ordine alla lesione arrecata dalle precedenti norme
previamente riproposte dal legislatore: la sentenza della Corte
costituzionale n. 325 del 2010 che ha censurato in parte qua l'art.
23-bis del decreto-legge n. 112/2008 proprio laddove prevedeva
l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici
locali al patto di stabilita' interno; la sentenza della Corte
costituzionale n. 199 del 2012 che ha censurato integralmente l'art.
4 del decreto-legge n. 83/2012, con affermazione della potenziale
lesione della sfera delle competenze regionali, riespanse a seguito
dell'abrogazione referendaria dell'art. 23-bis e nuovamente compresse
per via della reintroduzione da parte del legislatore - con l'art. 4,
anche qui in esame - della medesima disciplina restrittiva.
Palese, altresi', la violazione dell'art. 136 Cost.:
se, da un lato, si puo' gia' dire che l'art. 53, comma 1,
lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con
legge 7 agosto 2012, n. 134, apportando modifiche - non sostanziali -
all'art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, e percio'
riportando in vita le disposizioni di questo articolo, a sua volta
riproduttivo dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112/2008 del quale
condivide integralmente ratio, effetti e - quasi alla lettera - le
disposizioni gia' abrogate per effetto del referendum citato
(sentenza n. 199/2012), violi l'art. 75 Cost., perche' reintroduce
nell'ordinamento la norma abrogata dal referendum (sul punto valga
quanto statuito con la piu' volte richiamata sentenza n. 199/2012,
che ha censurato proprio per tale ragione la norma qui ulteriormente
riproposta, che pertanto si espone alla medesima censura, non mutando
sostanza);
dall'altro lato e' innegabile che l'art. 53, comma 1, lett.
b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con
modificazioni, con legge 7 agosto 2012, n. 134, viola l'art. 136
della Costituzione, poiche' reintroduce una norma dichiarata
incostituzionale dalla Corte costituzionale con la piu' volte citata
sentenza n. 199/2012, norma che invece «cessa di avere efficacia dal
giorno successivo alla pubblicazione della decisione».
E che cio' integri una lesione diretta anche delle competenze
regionali e' del tutto evidente, poiche' la violazione dell'art. 136
Cost., e percio' della regola della definitiva espulsione
dall'ordinamento della norma dichiarata illegittima dal Giudice delle
leggi, lede direttamente l'aspirazione delle Regioni - appunto - a
non veder reintrodotta una disciplina restrittiva dell'esercizio
delle loro prerogative e attivita' (si pensi ai condizionamenti
imposti alla programmazione dei servizi, alle limitazioni imposte
agli affidamenti, all'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti
dei servizi locali al patto di stabilita' interno, e cosi' via)
certamente lesiva della riespansione, a seguito della abrogazione,
delle prerogative regionali in materia di servizi pubblici locali, di
organizzazione degli uffici e degli enti regionali e di coordinamento
della finanza pubblica (come gia' ritenuto nelle sentenze n. 325/2010
e n. 199/2012).
Ne' la circostanza che la norma impugnata apporta modifiche
all'art. 4 la pone al riparo dalle censure sollevate. Si e' visto,
infatti, che si tratta di modifiche minimali, non sostanziali, e che
resta intatta - proprio come nel caso esaminato dalla sentenza n.
199/2012 - la ratio ispiratrice, la disciplina restrittiva e
l'effetto di compressione delle competenze regionali tutelate.
Si consideri, infine, che se e' pur vero che la sentenza della
Corte costituzionale n. 199/2012 si e' gia' pronunciata sull'art. 4
come novellato dall'art. 53, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22
giugno 2012, n. 83 (il che, per certi versi, rende ancora piu' palese
l'incostituzionalita' di quest'ultimo, meramente da riaffermare), e'
anche vero che la sua conversione in legge con la legge 7 agosto
2012, e quindi in data successiva alla sentenza della Corte, in primo
luogo ne determina la novazione (e la palese violazione dell'art. 136
Cost.), e in secondo luogo e' avvenuto con modificazioni rispetto al
decreto-legge (con l'introduzione - comma 1, lett. b), n. 2-bis - di
un periodo in seno al comma 5 dell'art. 4, che peraltro aggrava la
lesione denunciata poiche' stabilisce regole di dettaglio restrittive
e invasive proprio nel trasporto pubblico regionale e locale per la
determinazione delle compensazioni per le aziende che gestiscono i
servizi pubblici), il che sottolinea la volonta' del legislatore di
non conformarsi al giudicato costituzionale.
3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 64, comma 1, per
violazione degli articoli 119 e 117, III comma, della Costituzione.
L'art. 64, comma 1, prevede: «1. E' istituito, presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo per lo sviluppo e la
capillare diffusione della pratica sportiva a tutte le eta' e tra
tutti gli strati della popolazione finalizzato alla realizzazione di
nuovi impianti sportivi ovvero alla ristrutturazione di quelli
esistenti, con una dotazione finanziaria, per l'anno 2012, fino a 23
milioni di euro».
Il comma 1 dell'art. 64 istituisce in questi termini un fondo
statale a destinazione vincolata nell'ambito di una materia che non
contiene alcun aggancio alle competenze statali di cui all'art. 117,
II comma, essendo invece riconducibile a materie rimesse alla
competenza regionale concorrente (come «ordinamento sportivo» e anche
«governo del territorio»).
E' utile ricordare che secondo l'attuale art. 119 della
Costituzione le Regioni hanno «autonomia finanziaria di entrata e di
spesa» e godono di «risorse autonome», ovvero di tributi ed entrate
proprie, da essi stessi stabiliti secondo i principi di coordinamento
della finanza pubblica, di compartecipazioni al gettito di tributi
statali riscossi sul loro territorio, e dell'accesso a un fondo
perequativo per i territori con minore capacita' fiscale, da
utilizzarsi «senza vincoli di destinazione». Tali sono le risorse che
debbono consentire alle Regioni di «finanziare integralmente le
funzioni pubbliche loro attribuite». Lo Stato puo' quindi solo
destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi finanziari
speciali «in favore di determinati Comuni, Province, Citta'
metropolitane e Regioni» per gli scopi indicati nel comma 5 dell'art.
119, o «diversi dal normale esercizio delle loro funzioni».
E' opportuno anche ricordare che, in ossequio a questo dettato
costituzionale, il d.lgs. n. 68 del 2011 dispone la soppressione dei
trasferimenti dallo Stato alle regioni a statuto ordinario. In base
all'art. 7 del suddetto decreto legislativo, infatti: «1. A decorrere
dall'anno 2013 sono soppressi tutti i trasferimenti statali di parte
corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento,
in conto capitale, alle regioni a statuto ordinario aventi carattere
di generalita' e permanenza e destinati all'esercizio delle
competenze regionali, ivi compresi quelli finalizzati all'esercizio
di funzioni da parte di province e comuni. Le regioni a statuto
ordinario esercitano l'autonomia tributaria prevista dagli articoli
5, 6, 8 e 12, comma 2, in modo da assicurare il rispetto dei termini
fissati dal presente Capo. Sono esclusi dalla soppressione i
trasferimenti relativi al fondo perequativo di cui all'art. 3, commi
2 e 3, della legge 28 dicembre 1995, n. 549».
Nel contesto dell'art. 119 della Costituzione, la giurisprudenza
di codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha quindi chiarito che sono
preclusi interventi finanziari diretti dello Stato, vincolati nella
destinazione, per normali attivita' e compiti di competenza delle
Regioni, fuori dall'ambito dell'attuazione di discipline dettate
dalla legge statale nelle materie di propria competenza, o della
disciplina degli speciali interventi finanziari in favore di
determinate Regioni, ai sensi del quinto comma dell'art. 119.
Soprattutto non sono ammissibili tali forme di intervento nell'ambito
di materie e funzioni la cui disciplina spetta invece alla legge
regionale, pur eventualmente nel rispetto (quanto alle competenze
concorrenti) dei principi fondamentali della legge dello Stato. Ove
non fossero osservati tali limiti e criteri, il ricorso a
finanziamenti ad hoc diventerebbe - secondo quanto affermato da
codesta Ecc. ma Corte - uno strumento indiretto ma pervasivo di
ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni degli enti locali
e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati
centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli
ambiti materiali di propria competenza.
Nello specifico, e' utile ricordare la sentenza n. 16 del 2004
che ha dichiarato l'incostituzionalita' del Fondo statale per la
riqualificazione urbana dei Comuni, cosi' come la sentenza n. 49 del
2004, sulla incostituzionalita' del Fondo per il sostegno alla
progettazione delle opere pubbliche delle Regioni e degli enti
locali.
E' poi decisivo ricordare quanto affermato, nella sentenza n. 424
del 2004, da codesta Ecc.ma Corte, riguardo ai finanziamenti statali
ricadenti nella specifica materia «ordinamento sportivo»: «l'art. 4,
comma 204, della legge n. 350 del 2003 dispone che "per consentire lo
svolgimento dei propri compiti istituzionali, nonche' per il
finanziamento e il potenziamento dei programmi relativi allo sport
sociale, agli enti di promozione sportiva e' destinata la somma di i
milione di euro per l'anno 2004". ... Orbene, non vi e' dubbio che la
disposizione attenga alla materia "ordinamento sportivo" di cui
all'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Il finanziamento in
esame e' finalizzato, infatti, in parte alla promozione dei programmi
dello sport sociale e in parte a favorire lo svolgimento dei compiti
istituzionali degli enti di promozione sportiva, che sono
associazioni aventi lo scopo di promuovere e organizzare attivita'
fisico-sportive con finalita' ricreative e formative tra i giovani,
nonche' di organizzare l'attivita' amatoriale (cfr. decreto
ministeriale 23 giugno 2004 recante statuto del Comitato olimpico
nazionale italiano, adottato dal Consiglio nazionale del CONI il 23
marzo 2004). Detti profili, pertanto, per loro stessa natura,
nell'attuale assetto costituzionale della ripartizione delle
competenze tra Stato e Regioni in materia di sport, non possono non
comportare un diretto coinvolgimento delle Regioni, in quanto anche
esse titolari di potesta' legislativa nella specifica materia. Di
tale esigenza non tiene, evidentemente, conto l'impugnata norma di
cui all'art. 4, comma 204, della legge n. 350 del 2003, la quale,
mentre e' del tutto indeterminata in ordine al soggetto erogatore del
finanziamento in questione e ai criteri di riparto dello stesso, non
prevede alcun, pur necessario, coinvolgimento delle Regioni. Per tale
assorbente considerazione, la norma stessa deve essere dichiarata
costituzionalmente illegittima».
E' quindi molto chiara la linea della giurisprudenza di questa
Ecc.ma Corte, anche perche' nel caso oggetto della presente
impugnativa (lo dimostra appunto la sentenza appena citata) non vale
nemmeno invocare a contrariis altre pronunce di codesta Ecc.ma Corte
che riguardavano situazioni del tutto particolari e risultavano
relative a materie peculiari come lo sviluppo della cultura (sent. n.
307 del 2004) o la ricerca scientifica (sentenza n. 423 del 2004)
inquadrata anche come «un valore costituzionalmente protetto».
Infine, e' utile riproporre quanto affermato nella piu' recente
sentenza n. 79 del 2011, dove codesta Ecc.ma Corte ha nuovamente
sottolineato come solo la chiamata in sussidiarieta' (con la
previsione di meccanismi preventivi di intesa con le regioni sui
relativi criteri di riparto) possa legittimare l'istituzione di un
fondo statale con vincolo di destinazione in materia di competenza
regionale concorrente o residuale ex alt 117, commi 3 e 4, Cost.
(nello stesso senso, la sentenza n. 16 del 2010).
Nel caso di specie, come si specifica nel punto 4 di seguito,
nulla a di tutto cio' e' stato previsto.
E' evidente quindi in questo caso il vulnus all'autonomia
regionale, con violazione dell'art. 119 Cost., data l'inerenza della
materia, in cui il fondo interviene, alle competenze legislative
regionali di cui all'art. 117, terzo comma della Costituzione. La
Regione, in tal modo, viene espropriata della possibilita' di
esercitare correttamente i compiti di programmazione e di riparto del
fondo all'interno del proprio territorio.
La disposizione impugnata, pertanto, costituisce uno strumento
indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle
funzioni regionali che appare rivolto a sovrapporre politiche ed
indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle
Regioni negli ambiti materiali di propria competenza.
4. Illegittimita' dell'art. 64, comma 2, per violazione dell'art.
117, sesto comma, della Costituzione, nonche' del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione.
Il comma 2 dell'art. 64 qui impugnato dispone: «2. Con decreto di
natura non regolamentare del Ministro per gli affari regionali, il
turismo e lo sport di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze, sentito il CONI e la Conferenza unificata di cui all'art. 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni, sono definiti i criteri per l'erogazione delle risorse
finanziarie del fondo di cui al comma 1.
Con successivo decreto adottato dal Capo del Dipartimento per gli
affari regionali sono individuati gli interventi ammessi al relativo
finanziamento».
La disposizione prevede pertanto che i criteri per l'erogazione
delle risorse finanziarie del fondo siano definiti con decreto di
natura non regolamentare del Ministro per gli affari regionali, il
turismo e lo sport di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze.
Non viene prevista nessuna intesa con le Regioni bensi' si
dispone che, per la definizione dei criteri relativi all'erogazione
delle risorse del Fondo, sia solamente «sentita» - alla stessa
stregua del CONI - la Conferenza unificata.
La costruzione normativa della disposizione impugnata dimostra
quindi in modo palese la scarsa considerazione che e' stata
riconosciuta all'autonomia costituzionale garantita alle Regioni. E'
chiara la violazione del principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 della Costituzione.
Inoltre, al di la' dell'autoqualificazione del decreto come di
natura non regolamentare, e' indubbio - anche alla luce dei
chiarimenti disposti dalla recente pronuncia dell'Adunanza plenaria
del Consiglio di Stato n. 9 del 4 maggio 2012 (ricordata nel punto 1
del presente ricorso) - che si tratti di un decreto di natura
sostanzialmente regolamentare, che in quanto tale si pone in
contrasto con il comma sesto dell'art. 117 che preclude allo Stato la
possibilita' di emanare regolamenti nelle materie relative alla
competenza concorrente. L'intera regolamentazione dei criteri di
riparto del Fondo e' infatti rimessa al suddetto decreto, atteso
anche che la disposizione legislativa impugnata non stabilisce essa
stessa alcun principio in relazione ai criteri di riparto. Se tale
norma vieta l'approvazione di regolamenti statali in materie di
competenza regionale, non si vede come possa essere considerata
permissiva di atti meno formalizzati ma proprio per questo ancor piu'
problematici nell'ambito delle competenze non esclusive dello Stato.
Per questi motivi il comma 2 dell'art. 64 si dimostra in palese
contrasto con l'art. 117, comma sesto, della Costituzione, nonche'
con il principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della
Costituzione.
P. Q. M.
Chiede che l'Ecc.ma Corte costituzionale dichiari la
illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, cosi' come convertito, con
modificazioni, dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134,
pubblicata nella G.U. n. 187 del il agosto 2012 - S.O. n. 171:
dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6, per violazione dell'art.
97 della Costituzione;
dell'art. 53, comma 1, lett. b), per violazione dell'art. 136
della Costituzione;
dell'art. 64, comma 1, per violazione degli articoli 119 e
117, terzo comma, della Costituzione;
dell'art. 64, comma 2, per violazione dell'art. 117, comma
sesto, della Costituzione, nonche' del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione.
Si deposita:
1) delibera della Giunta Regionale n. 2003 del 2 ottobre
2012, di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento
dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale.
Venezia-Roma, 9 ottobre 2012.
Avv. Prof. Antonini - Avv.ti Zanon-Manzi-Palumbo