Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in

cancelleria il 16 ottobre 2012 (della Regione Veneto).

 

 

(GU n. 47 del 28.11.2012)

 

    Ricorso proposto dalla Regione Veneto (C.F. …  -  P.IVA

…), in persona del Presidente della Giunta Regionale dott.

Luca Zaia (C.F. …),  autorizzato  con  delibera  della

Giunta regionale n. 2003 del 2 ottobre 2012 (all. 1), rappresentato e

difeso, per mandato a margine del  presente  atto,  tanto  unitamente

quanto  disgiuntamente,  dagli  avv.ti  prof.  Luca  Antonini   (C.F.

…)      del      Foro      di       Milano       (pec:

…),   Ezio    Zanon    (C.F.

…)  coordinatore  dell'Avvocatura  regionale,  Daniela

Palumbo (C.F.  …)  della  Direzione  regionale  Affari

Legislativi  (pec:   …)   e

Andrea Manzi (C.F. …)  dello  Studio  Legale  Manzi  e

Associati del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio  di

quest'ultimo  in  Roma,  Via  Confalonieri  n.   5   (per   eventuali

comunicazioni:            fax             …,             pec

…);

    Contro il Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore,

rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso

la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei  Portoghesi,  n.  12

per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle  seguenti

disposizioni del decreto-legge 22 giugno  2012,  n.  83,  cosi'  come

convertito, con modificazioni, dalla legge di  conversione  7  agosto

2012, n. 134, pubblicata nella G.U. n. 187 dell'11 agosto 2012 - S.O.

n. 171:

        dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6, per violazione  dell'art.

97 della Costituzione;

        dell'art. 53, comma 1, lett. b), per violazione dell'art. 136

della Costituzione;

        dell'art. 64, comma 1, per violazione degli  articoli  119  e

117, terzo comma, della Costituzione;

        dell'art. 64, comma 2, per violazione  dell'art.  117,  comma

sesto  della   Costituzione,   nonche'   del   principio   di   leale

collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione.

 

                             M o t i v i

 

1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17-undecies, commi 4  e  6

per violazione dell'art. 97 della Costituzione.

    La  disposizione  dell'art.  17-undecies,  commi  4   e   6   del

decreto-legge 22 giugno 2012,  n.  83,  cosi'  come  convertito,  con

modificazioni, dalla legge di  conversione  7  agosto  2012,  n.  134

prevede al comma 4 che «Con decreto di natura non  regolamentare  del

Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro sessanta  giorni

dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del

presente decreto, di concerto con il Ministro dell'economia  e  delle

finanze, sono stabilite le modalita' per la preventiva autorizzazione

all'erogazione e  le  condizioni  per  la  fruizione  dei  contributi

previsti dall'art. 17-decies, a valere sulle risorse di cui al  comma

2 del presente articolo, in modo da  assicurare  che  una  quota  non

inferiore  a  5  milioni  di  euro  per  l'anno  2013  sia  destinata

all'erogazione dei contributi  statali  di  cui  all'art.  17-decies,

comma 1, lettera a).

    Al comma 6 dispone poi che:  «Per  gli  anni  2014  e  2015,  con

decreto di natura  non  regolamentare  del  Ministro  dello  sviluppo

economico, da adottare entro il 15 gennaio di ciascun  anno,  vengono

rideterminate le ripartizioni delle risorse di cui al comma 2,  sulla

base della dotazione del fondo di cui al comma 1 e  del  monitoraggio

degli incentivi relativo all'anno precedente».

    Nello  specifico  si  tratta  di   due   decreti,   espressamente

qualificati come di  natura  non  regolamentare,  di  disciplina  dei

criteri di gestione del fondo relativo agli incentivi per  l'acquisto

di autoveicoli istituto dall'art. 17-undecies,  comma  1,  diretti  a

stabilire, il primo, le modalita' per  la  preventiva  autorizzazione

all'erogazione, le condizioni per la fruizione dei contributi nonche'

a indirizzare una quota dei contributi verso determinate fattispecie,

il secondo a rideterminare le ripartizioni delle risorse  sulla  base

della dotazione del fondo e del monitoraggio degli incentivi relativo

all'anno precedente.

    Al   riguardo   occorre   considerare   la   recente    pronuncia

dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 4 maggio 2012,

dove si precisa: «nonostante la crescente diffusione di quel fenomeno

efficacemente descritto in termini di "fuga dal regolamento" (che  si

manifesta,  talvolta  anche  in   base   ad   esplicite   indicazioni

legislative, tramite l'adozione di atti normativi  secondari  che  si

autoqualificano in termini  non  regolamentari)  deve,  in  linea  di

principio, escludersi che il potere normativo dei Ministri e, piu' in

generale, del Governo possa esercitarsi medianti atti  "atipici",  di

natura non regolamentare».

    In tali casi, infatti, viene a realizzarsi  la  violazione  delle

regole procedimentali di cui all'art. 17, comma  4,  della  legge  23

agosto 1988, n. 400, che prevedono il parere del Consiglio di Stato e

il controllo della Corte dei Conti.

    E' utile quindi precisare che lo stesso Servizio Studi del Senato

ha sollevato perplessita'  in  ordine  alle  norme  in  oggetto:  «La

clausola  "di  natura  non  regolamentare"  -  riferita  all'emanando

decreto, cosi' come quello che al comma 6 stabilira' le modalita'  di

erogazione e le condizioni per la fruizione dei  contributi  previsti

dall'art. 17-undecies - esclude l'applicazione dell'art. 17, comma 4,

della legge 23 agosto  1988,  n.  400,  che  reca  la  procedura  per

l'approvazione dei regolamenti (prevedendo fra l'altro il parere  del

Consiglio di Stato) e, qualora il contenuto del  decreto  da  emanare

abbia natura sostanzialmente  normativa,  si  configura  come  tacita

deroga alla citata norma della legge  n.  400.  Quando  il  rinvio  a

decreti di natura non regolamentare e'  stato  oggetto  di  esame  da

parte della Corte costituzionale (sentenza n. 116 del 2006), essa  lo

qualifico'  come  "un  atto   statale   dalla   indefinibile   natura

giuridica"».

    Disponendo l'utilizzo di decreti ministeriali in  questi  termini

la norma impugnata determina pertanto una  violazione  del  principio

del buon andamento dell'amministrazione  di  cui  all'art.  97  della

Costituzione.

    Questa lesione ridonda in una lesione della  sfera  di  autonomia

costituzionalmente garantita alla Regione.

    Infatti, dal momento che, in base alla lettere a) e b)  dell'art.

17-decies, le principali quote del fondo sono riservate  anche  «alla

sostituzione di veicoli pubblici o privati destinati all'uso di terzi

come definito dall'art. 82 del codice della strada, di cui al decreto

legislativo 30 aprile 1992, n. 285», la  norma  interferisce  con  la

competenza regionale in materia di trasporto pubblico locale (si veda

al riguardo la legge regionale 30 ottobre 1998, n. 25, Disciplina  ed

organizzazione del trasporto pubblico locale) nonche' con  quella  in

materia di servizi di trasporto non di linea (si veda la riguardo  la

l. reg. Veneto 30 luglio 1996, n. 22,  Norme  per  l'esercizio  delle

funzioni amministrative in materia di servizi  di  trasporto  non  di

linea per via di terra).

    Si tratta di materie nelle quali, a  seguito  della  riforma  del

Titolo  V  della  Costituzione,  la  competenza  regionale   -   gia'

preesistente come dimostrano le leggi regionali ricordate - e'  stata

ulteriormente rafforzata, come riconosciuto dalla sentenza n. 222 del

2005 di codesta Ecc.ma Corte. Nella sentenza, infatti, si afferma che

la materia del trasporto pubblico locale  rientra  nell'ambito  delle

competenze residuali delle Regioni di cui al quarto  comma  dell'art.

117 Cost., «come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della

riforma del Titolo V della Costituzione, il  decreto  legislativo  19

novembre 1997, n. 422 [...] aveva  ridisciplinato  l'intero  settore,

conferendo alle Regioni  ed  agli  enti  locali  funzioni  e  compiti

relativi a tutti  i  "servizi  pubblici  di  trasporto  di  interesse

regionale e locale con qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi

forma affidati" ed escludendo solo i trasporti pubblici di  interesse

nazionale».

    E'  utile  quindi  precisare  che,  nell'ambito  interessato  dai

contributi statali, la Regione interviene  in  diverse  forme,  anche

inerenti al finanziamento e al relativo riparto delle risorse, ed  e'

appunto cio' che accade, ad esempio, relativamente ai servizi  minimi

di cui all'art. 7, lett. d) e f) della  legge  regionale  30  ottobre

1998, n. 25, prima ricordata.

    L'adozione  di  atti  atipici,  quali  i  decreti  che  si   auto

qualificano  come  di  natura  non  regolamentare  -  essendo  invece

destinati a compiere scelte di carattere normativo anche in relazione

all'identificazione dei concreti destinatari dei contributi -,  senza

alcun coinvolgimento della Regione, determina pertanto una violazione

del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui

all'art 97 Cost., che ridonda  in  una  violazione  delle  competenze

regionali in materia.

    Il mancato raccordo con la programmazione della Regione,  che  e'

il soggetto competente  a  ripartire  i  finanziamenti  nel  settore,

viene, infatti, a compromettere  l'utilizzo  ottimale  delle  risorse

pubbliche.

2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 1, lett. b), per

violazione dell'art. 136 della Costituzione.

    L'art. 53, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22  giugno  2012,

n. 83, convertito, con modificazioni, con legge  7  agosto  2012,  n.

134,  apporta  modifiche  -  non  sostanziali  -   all'art.   4   del

decreto-legge 13  agosto  2011,  n.  138,  convertito  con  legge  14

settembre 2011, n. 148, in materia di servizi pubblici locali.

    Questa norma, piu' volte nel tempo  modificata  (in  particolare,

per effetto dell'art. 9, comma 2, lettera n), della legge 12 novembre

2011, n. 183 e dell'art. 25 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1,

convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  24

marzo 2012, n. 27, nonche' - appunto - dell'art. 53, comma 1, lettera

b),  del  decreto-legge  22  giugno  2012,  n.  83,  convertito,  con

modificazioni,  con  legge  7  agosto   2012,   n.   134),   contiene

disposizioni di dichiarato Adeguamento della disciplina  dei  servizi

pubblici locali al referendum popolare e alla  normativa  dall'Unione

europea, dettando la nuova disciplina dei servizi pubblici locali  di

rilevanza economica in luogo dell'art. 23-bis  del  decreto-legge  25

giugno 2008, n. 112, abrogato a seguito del referendum del  12  e  13

giugno 2011.

    Com'e'  noto,  l'art.  23-bis  del  decreto-legge  n.   112/2008,

conteneva una disciplina assai rigorosa e restrittiva  della  materia

dell'affidamento dei servizi pubblici locali, avendo  in  particolare

eliminato l'alternativita' tra le diverse forme di  gestione  di  cui

all'art. 113  del  d.lgs.  n.  267/2000  (T.U.E.L.)  e  previsto  che

l'affidamento diretto costituisse  una  deroga  praticabile  solo  in

presenza di particolari condizioni  e  caratteristiche  economiche  e

sociali del contesto tali da rendere  inefficiente  il  ricorso  alle

procedure ordinarie ad evidenza pubblica. Prevedeva, inoltre,  misure

di disciplina delle societa' a partecipazione pubblica locale e delle

societa' c.d. in house e l'assoggettamento di queste ultime al  patto

di stabilita' interno, nonche' regole di distinzione tra  regolazione

e gestione con il regime delle  incompatibilita'  tra  amministratori

dell'ente e amministratori delle societa' che forniscono  i  servizi,

oltre che la definizione del regime  transitorio  relativamente  agli

affidamenti non conformi alla disciplina in esso stabilita.

    Detta norma e' stata travolta dal referendum popolare del 12 e 13

giugno  2011,  e  all'esito  del  referendum,  e'  stata  formalmente

abrogata con il d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113.

    Cio' ha verosimilmente indotto il legislatore ad adottare  l'art.

4 del decreto-legge n. 138/2011, al dichiarato  fine  di  Adeguamento

della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e

alla normativa dall'Unione europea (cosi' la  rubrica  dell'articolo,

definita «ipocrita» da A.  Lucarelli,  in  La  sentenza  della  Corte

costituzionale n. 199/2012 e la questione  dell'inapplicabilita'  del

patto di stabilita interno alle  s.p.a.  in  house  ed  alle  aziende

speciali,  in  federalismi.it,  n.   18/2012),   con   l'effetto   di

reintrodurre  sostanzialmente  la   disciplina   abrogata   per   via

referendaria.

    Di qui l'impugnativa dell'art. 4 del  decreto-legge  n.  138/2011

gia' operata da parte di alcune Regioni, e l'intervento  della  Corte

costituzionale con la sentenza n. 199/2012, che ha  "abrogato"  -  si

potrebbe dire, nuovamente - la norma.

    Infatti,  con  la  ricordata  sentenza  n.  199/2012   la   Corte

costituzionale - su ricorso di varie Regioni, che ritenevano la norma

lesiva delle competenze costituzionali delle regioni  in  materia  di

servizi pubblici locali e di fatto  riproduttiva  di  una  disciplina

normativa abrogata  per  volonta'  popolare  espressa  nel  ricordato

referendum - ha ritenuto che l'art. 4  del  decreto-legge  13  agosto

2011, n. 138, abbia violato «il divieto di ripristino della normativa

abrogata dalla volonta'  popolare  desumibile  dall'art.  75  Cost.»,

«senza  modificare  ne'  i  principi  ispiratori  della   complessiva

disciplina  normativa  preesistente   ne'   i   contenuti   normativi

essenziali dei singoli precetti» e «tenuto conto del brevissimo lasso

di  tempo  intercorso   fra   la   pubblicazione   dell'esito   della

consultazione referendaria e l'adozione  della  nuova  normativa  (23

giorni), ora oggetto di  giudizio,  nel  quale  peraltro  non  si  e'

verificato nessun mutamento idoneo a  legittimare  la  reintroduzione

della    disciplina    abrogata»;    conseguentemente     dichiarando

costituzionalmente illegittima la norma per violazione  dell'art.  75

Cost., «sia nel testo  originario  che  in  quello  risultante  dalle

successive modificazioni» sopra ricordate.

    A  pochi  mesi  dal  referendum   vengono   apportate   (con   il

decreto-legge n. 83/2012) e confermate, a pochi giorni dalla sentenza

n. 199/2012, con  modificazioni  (con  la  legge  di  conversione  n.

134/2012)  alcune  modifiche,  non  sostanziali,  dell'art.   4   del

decreto-legge n. 138/2011, appresso riepilogate:

        1) al  comma  3  dell'art.  4,  sono  apportate  le  seguenti

modificazioni:

          a) dopo le parole «la delibera di  cui  al  comma    sono

inserite le  seguenti:  «nel  caso  di  attribuzione  di  diritti  di

esclusiva se il valore economico del servizio  e'  pari  o  superiore

alla somma complessiva di  200.000  euro  annui»;  in  sostanza,  per

ragioni di omogeneita' con la soglia di valore indicata dal comma  13

per poter procedere agli affidamenti alle societa' in house in deroga

(limite originariamente fissato in 900.000 euro annui, e poi  portato

a 200.000 euro annui - con abbassamento della soglia entro  la  quale

si puo' procedere ad  affidamenti  in  house  in  deroga  alle  altre

disposizioni dello stesso art. 4 - per effetto  gia'  dei  precedenti

interventi del legislatore sulla norma), si prevede che  la  delibera

dell'ente territoriale di programmazione della gestione  dei  servizi

pubblici  locali  venga  trasmessa   per   il   parere   obbligatorio

dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato «nel  caso  di

attribuzione di diritti di  esclusiva  se  il  valore  economico  del

servizio e' pari o superiore alla somma complessiva di  200.000  euro

annui»;

          b)  le  parole  «adottata  previo»  sono  sostituite  dalle

seguenti: «trasmessa  per  un»;  si  definisce  cosi'  l'innesco  del

menzionato parere dell'Autorita'  garante  della  concorrenza  e  del

mercato, che resta comunque «obbligatorio»;

          c)  le  parole:  «dell'Autorita'»  sono  sostituite   dalle

seguenti: «all'Autorita'»; mero  maquillage  linguistico  necessitato

dalla modifica appena ricordata;

          d) le parole «che si pronuncia entro sessanta giorni»  sono

sostituite dalle seguenti:  «che  puo'  pronunciarsi  entro  sessanta

giorni»;  modifica  anch'essa  di  adattamento  rispetto   a   quella

riportata sub b), non essendo  (apparentemente)  il  parere  piu'  da

rendersi «previamente», anche  se,  restando  detto  parere  comunque

«obbligatorio» (e' cosi' definito sia al comma 3 sia al comma  4),  e

condizionando in ogni caso - come si vedra' sub f) - l'adozione della

delibera, non muta sostanzialmente l'assetto della norma;

          e) le parole «dall'ente di governo locale dell'ambito o del

bacino  o  in  sua  assenza»  sono  eliminate;   modifica   anch'essa

irrilevante sulla norma base;

          f) alla fine del primo periodo,  dopo  le  parole  «di  una

pluralita' di servizi pubblici locali.» sono  inserite  le  seguenti:

«Decorso inutilmente il termine di cui al periodo precedente,  l'ente

richiedente adotta la  delibera  quadro  di  cui  al  comma  2.»;  si

chiarisce che il parere e' «obbligatorio» ma l'Autorita'  garante  ha

sessanta giorni di tempo per renderlo;

        2) al comma 4 sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) le parole: «trenta  giorni  dal  parere  dell'Autorita'»

sono sostituite dalle seguenti: «novanta  giorni  dalla  trasmissione

del parere all'Autorita'»; si tratta del dies ad quem per  l'adozione

da parte degli enti locali della delibera quadro, che  deve  avvenire

entro  il  novantesimo   giorno   dalla   trasmissione   del   parere

all'Autorita'  (la  norma  dice:  dalla   trasmissione   del   parere

all'Autorita'; ma probabilmente intendeva  dire:  dalla  trasmissione

dello  schema  di  delibera  all'Autorita');  si  tratta  percio'  di

modifica conseguente alla affermazione -  sub  d)  -  della  facolta'

(«puo' pronunciarsi») dell'Autorita' di pronunciarsi  con  un  parere

espresso e con la assegnazione di un termine per farlo, decorrente  -

appunto - dalla trasmissione dello schema di delibera;

        2-bis) al comma 5, dopo le parole: «alle aziende esercenti  i

servizi  stessi»  sono  inserite  le  seguenti:   «determinate,   con

particolare riferimento al trasporto  pubblico  regionale  e  locale,

tenendo in adeguata considerazione l'ammortamento degli  investimenti

effettuati nel comparto del trasporto su gomma, e che  dovra'  essere

osservato   dagli   enti   affidanti   nella   quantificazione    dei

corrispettivi da porre a base d'asta previsti nel  bando  di  gara  o

nella lettera d'invito di cui al comma  11»;  nella  norma  (art.  4,

comma 5) che gia' imponeva - in tutti i campi e  in  via  generale  -

agli enti locali di definire preliminarmente gli obblighi di servizio

pubblico e di prevedere le eventuali compensazioni per i gestori,  si

stabiliscono percio' regole di dettaglio  per  la  determinazione  di

dette  compensazioni  proprio  nel  trasporto  pubblico  regionale  e

locale;

        3) al comma 14 le parole «per le riforme per il  federalismo»

sono sostituite dalle seguenti: «per  gli  Affari  Regionali»;  nella

norma che dispone l'assoggettamento delle societa' in house al  patto

di stabilita' interno secondo le modalita' definite con  il  concerto

del Ministro di  riferimento,  si  opera  questa  modifica  meramente

conseguente alla soppressione del Ministero per  le  riforme  per  il

federalismo;

        4) al  comma  32,  lettera  a),  terzo  periodo,  le  parole:

«azienda in capo alla» sono soppresse;

        5) al comma 32-ter le parole: «di cui all'art.  2,  comma  3,

lettera e) del presente decreto» sono soppresse; modifiche  di  ardua

comprensione, e  comunque  non  significative,  in  punto  di  regime

transitorio;

        6) dopo il comma 35 e' inserito il seguente:

    «35-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma  35,  a  decorrere

dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.

1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27,  la

verifica di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, le attivita' di cui al comma  5

e le procedure di cui ai commi 8, 12 e 13 per il  conferimento  della

gestione dei servizi pubblici locali a rete di  rilevanza  economica,

sono effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali  ottimali

e omogenei di cui all'art. 3-bis dagli enti di governo  degli  stessi

istituiti o designati ai sensi del medesimo articolo.». Si stabilisce

che le attivita' di cui ai commi 1, 2, 3 e 4  (verifiche  e  delibere

quadro degli enti locali, nonche' parere dell'Autorita' garante) e al

comma 5 (la definizione degli obblighi  di  servizio  pubblico  e  le

compensazioni economiche) e le procedure di cui ai commi 8, 12  e  13

(le procedure per l'affidamento della gestione dei  servizi,  per  la

scelta del partner e l'affidamento in house) avvengano per  ambiti  o

bacini territoriali ottimali e omogenei, il  perimetro  dei  quali  a

norma dell'art. 3-bis va definito in modo tale da consentire economie

di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del

servizio, e che vadano operate  dagli  organi  di  governo  di  detti

ambiti.

    Cosi' riportata la norma impugnata e sinteticamente descritta  la

sua incidenza sulla materia, va detto che questa, al pari  delle  sue

«ceneri» (l'art. 4 del decreto-legge n. 138/2011 e, prima di  questo,

l'art.  23-bis  del  decreto-legge  n.  112/2008),  lede  l'autonomia

regionale, poiche' ne comprime le sfere di  competenza  residuale  in

materia di servizi  pubblici  locali  e  concorrente  in  materia  di

coordinamento della finanza pubblica. Cosi' e' per  l'assoggettamento

a parere obbligatorio dell'Autorita' garante della concorrenza e  del

mercato della delibera di programmazione dei servizi locali  adottata

dagli enti  locali,  che  certamente  lede  le  sfere  di  competenza

regionale in materia di servizi pubblici locali; allo stesso modo per

la disciplina delle modalita' di  innesco  e  acquisizione  di  detto

parere; cosi' e' per la disciplina delle compensazioni in una materia

come quella del trasporto pubblico regionale  e  locale  strettamente

collegata al territorio e facente  capo  alla  competenza  regionale;

cosi' e' per l'assoggettamento dei  soggetti  affidatari  diretti  di

servizi pubblici locali al patto di stabilita' interno, che viola  le

competenze regionali sia in materia di servizi pubblici locali sia in

materia di coordinamento della finanza pubblica;  cosi'  e',  infine,

per la affermazione  dell'ambito  di  riferimento  per  tutte  queste

attivita' (ambiti o bacini territoriali ottimali e  omogenei)  e  per

l'assegnazione agli enti di governo di detti  ambiti  del  potere  di

gestire le procedure per l'affidamento della  gestione  dei  servizi,

per la scelta del partner e l'affidamento in  house,  che  certamente

ledono le competenze regionali in materia di pubblici  servizi  e  di

organizzazione degli uffici e degli enti  regionali.  Di  tanto,  ove

occorra, si ha diretta conferma anche nelle varie pronunce che  hanno

gia' statuito in ordine alla lesione arrecata dalle precedenti  norme

previamente riproposte  dal  legislatore:  la  sentenza  della  Corte

costituzionale n. 325 del 2010 che ha censurato in parte  qua  l'art.

23-bis  del  decreto-legge  n.  112/2008  proprio  laddove  prevedeva

l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici

locali al patto  di  stabilita'  interno;  la  sentenza  della  Corte

costituzionale n. 199 del 2012 che ha censurato integralmente  l'art.

4 del decreto-legge n. 83/2012,  con  affermazione  della  potenziale

lesione della sfera delle competenze regionali, riespanse  a  seguito

dell'abrogazione referendaria dell'art. 23-bis e nuovamente compresse

per via della reintroduzione da parte del legislatore - con l'art. 4,

anche qui in esame - della medesima disciplina restrittiva.

    Palese, altresi', la violazione dell'art. 136 Cost.:

        se, da un lato, si puo' gia' dire che  l'art.  53,  comma  1,

lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012,  n.  83,  convertito  con

legge 7 agosto 2012, n. 134, apportando modifiche - non sostanziali -

all'art. 4 del decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,  e  percio'

riportando in vita le disposizioni di questo articolo,  a  sua  volta

riproduttivo dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112/2008 del quale

condivide integralmente ratio, effetti e - quasi alla  lettera  -  le

disposizioni  gia'  abrogate  per  effetto  del   referendum   citato

(sentenza n. 199/2012), violi l'art. 75  Cost.,  perche'  reintroduce

nell'ordinamento la norma abrogata dal referendum  (sul  punto  valga

quanto statuito con la piu' volte richiamata  sentenza  n.  199/2012,

che ha censurato proprio per tale ragione la norma qui  ulteriormente

riproposta, che pertanto si espone alla medesima censura, non mutando

sostanza);

        dall'altro lato e' innegabile che l'art. 53, comma  1,  lett.

b),  del  decreto-legge  22  giugno  2012,  n.  83,  convertito,  con

modificazioni, con legge 7 agosto 2012,  n.  134,  viola  l'art.  136

della  Costituzione,  poiche'  reintroduce   una   norma   dichiarata

incostituzionale dalla Corte costituzionale con la piu' volte  citata

sentenza n. 199/2012, norma che invece «cessa di avere efficacia  dal

giorno successivo alla pubblicazione della decisione».

    E che cio' integri una lesione  diretta  anche  delle  competenze

regionali e' del tutto evidente, poiche' la violazione dell'art.  136

Cost.,  e  percio'   della   regola   della   definitiva   espulsione

dall'ordinamento della norma dichiarata illegittima dal Giudice delle

leggi, lede direttamente l'aspirazione delle Regioni -  appunto  -  a

non veder  reintrodotta  una  disciplina  restrittiva  dell'esercizio

delle loro prerogative  e  attivita'  (si  pensi  ai  condizionamenti

imposti alla programmazione dei  servizi,  alle  limitazioni  imposte

agli affidamenti, all'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti

dei servizi locali al patto  di  stabilita'  interno,  e  cosi'  via)

certamente lesiva della riespansione, a  seguito  della  abrogazione,

delle prerogative regionali in materia di servizi pubblici locali, di

organizzazione degli uffici e degli enti regionali e di coordinamento

della finanza pubblica (come gia' ritenuto nelle sentenze n. 325/2010

e n. 199/2012).

    Ne' la circostanza  che  la  norma  impugnata  apporta  modifiche

all'art. 4 la pone al riparo dalle censure sollevate.  Si  e'  visto,

infatti, che si tratta di modifiche minimali, non sostanziali, e  che

resta intatta - proprio come nel caso  esaminato  dalla  sentenza  n.

199/2012  -  la  ratio  ispiratrice,  la  disciplina  restrittiva   e

l'effetto di compressione delle competenze regionali tutelate.

    Si consideri, infine, che se e' pur vero che  la  sentenza  della

Corte costituzionale n. 199/2012 si e' gia' pronunciata  sull'art.  4

come novellato dall'art. 53, comma 1, lett. b), del decreto-legge  22

giugno 2012, n. 83 (il che, per certi versi, rende ancora piu' palese

l'incostituzionalita' di quest'ultimo, meramente da riaffermare),  e'

anche vero che la sua conversione in legge  con  la  legge  7  agosto

2012, e quindi in data successiva alla sentenza della Corte, in primo

luogo ne determina la novazione (e la palese violazione dell'art. 136

Cost.), e in secondo luogo e' avvenuto con modificazioni rispetto  al

decreto-legge (con l'introduzione - comma 1, lett. b), n. 2-bis -  di

un periodo in seno al comma 5 dell'art. 4, che  peraltro  aggrava  la

lesione denunciata poiche' stabilisce regole di dettaglio restrittive

e invasive proprio nel trasporto pubblico regionale e locale  per  la

determinazione delle compensazioni per le aziende  che  gestiscono  i

servizi pubblici), il che sottolinea la volonta' del  legislatore  di

non conformarsi al giudicato costituzionale.

3.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  64,   comma   1,   per

violazione degli articoli 119 e 117, III comma, della Costituzione.

    L'art.  64,  comma  1,  prevede:  «1.  E'  istituito,  presso  la

Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo per lo sviluppo e  la

capillare diffusione della pratica sportiva a tutte  le  eta'  e  tra

tutti gli strati della popolazione finalizzato alla realizzazione  di

nuovi  impianti  sportivi  ovvero  alla  ristrutturazione  di  quelli

esistenti, con una dotazione finanziaria, per l'anno 2012, fino a  23

milioni di euro».

    Il comma 1 dell'art. 64 istituisce in  questi  termini  un  fondo

statale a destinazione vincolata nell'ambito di una materia  che  non

contiene alcun aggancio alle competenze statali di cui all'art.  117,

II  comma,  essendo  invece  riconducibile  a  materie  rimesse  alla

competenza regionale concorrente (come «ordinamento sportivo» e anche

«governo del territorio»).

    E'  utile  ricordare  che  secondo  l'attuale  art.   119   della

Costituzione le Regioni hanno «autonomia finanziaria di entrata e  di

spesa» e godono di «risorse autonome», ovvero di tributi  ed  entrate

proprie, da essi stessi stabiliti secondo i principi di coordinamento

della finanza pubblica, di compartecipazioni al  gettito  di  tributi

statali riscossi sul loro  territorio,  e  dell'accesso  a  un  fondo

perequativo  per  i  territori  con  minore  capacita'  fiscale,   da

utilizzarsi «senza vincoli di destinazione». Tali sono le risorse che

debbono consentire  alle  Regioni  di  «finanziare  integralmente  le

funzioni pubbliche  loro  attribuite».  Lo  Stato  puo'  quindi  solo

destinare risorse  aggiuntive  ed  effettuare  interventi  finanziari

speciali  «in  favore  di  determinati   Comuni,   Province,   Citta'

metropolitane e Regioni» per gli scopi indicati nel comma 5 dell'art.

119, o «diversi dal normale esercizio delle loro funzioni».

    E' opportuno anche ricordare che, in ossequio  a  questo  dettato

costituzionale, il d.lgs. n. 68 del 2011 dispone la soppressione  dei

trasferimenti dallo Stato alle regioni a statuto ordinario.  In  base

all'art. 7 del suddetto decreto legislativo, infatti: «1. A decorrere

dall'anno 2013 sono soppressi tutti i trasferimenti statali di  parte

corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso  all'indebitamento,

in conto capitale, alle regioni a statuto ordinario aventi  carattere

di  generalita'  e  permanenza  e   destinati   all'esercizio   delle

competenze regionali, ivi compresi quelli  finalizzati  all'esercizio

di funzioni da parte di province  e  comuni.  Le  regioni  a  statuto

ordinario esercitano l'autonomia tributaria prevista  dagli  articoli

5, 6, 8 e 12, comma 2, in modo da assicurare il rispetto dei  termini

fissati  dal  presente  Capo.  Sono  esclusi  dalla  soppressione   i

trasferimenti relativi al fondo perequativo di cui all'art. 3,  commi

2 e 3, della legge 28 dicembre 1995, n. 549».

    Nel contesto dell'art. 119 della Costituzione, la  giurisprudenza

di codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha quindi  chiarito  che  sono

preclusi interventi finanziari diretti dello Stato,  vincolati  nella

destinazione, per normali attivita' e  compiti  di  competenza  delle

Regioni, fuori  dall'ambito  dell'attuazione  di  discipline  dettate

dalla legge statale nelle materie  di  propria  competenza,  o  della

disciplina  degli  speciali  interventi  finanziari  in   favore   di

determinate  Regioni,  ai  sensi  del  quinto  comma  dell'art.  119.

Soprattutto non sono ammissibili tali forme di intervento nell'ambito

di materie e funzioni la cui  disciplina  spetta  invece  alla  legge

regionale, pur eventualmente nel  rispetto  (quanto  alle  competenze

concorrenti) dei principi fondamentali della legge dello  Stato.  Ove

non  fossero  osservati  tali  limiti  e  criteri,   il   ricorso   a

finanziamenti ad hoc  diventerebbe  -  secondo  quanto  affermato  da

codesta Ecc. ma Corte -  uno  strumento  indiretto  ma  pervasivo  di

ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni degli enti locali

e  di  sovrapposizione  di  politiche  e   di   indirizzi   governati

centralmente a  quelli  legittimamente  decisi  dalle  Regioni  negli

ambiti materiali di propria competenza.

    Nello specifico, e' utile ricordare la sentenza n.  16  del  2004

che ha dichiarato l'incostituzionalita'  del  Fondo  statale  per  la

riqualificazione urbana dei Comuni, cosi' come la sentenza n. 49  del

2004, sulla  incostituzionalita'  del  Fondo  per  il  sostegno  alla

progettazione delle  opere  pubbliche  delle  Regioni  e  degli  enti

locali.

    E' poi decisivo ricordare quanto affermato, nella sentenza n. 424

del 2004, da codesta Ecc.ma Corte, riguardo ai finanziamenti  statali

ricadenti nella specifica materia «ordinamento sportivo»: «l'art.  4,

comma 204, della legge n. 350 del 2003 dispone che "per consentire lo

svolgimento  dei  propri  compiti  istituzionali,  nonche'   per   il

finanziamento e il potenziamento dei programmi  relativi  allo  sport

sociale, agli enti di promozione sportiva e' destinata la somma di  i

milione di euro per l'anno 2004". ... Orbene, non vi e' dubbio che la

disposizione attenga  alla  materia  "ordinamento  sportivo"  di  cui

all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.  Il  finanziamento  in

esame e' finalizzato, infatti, in parte alla promozione dei programmi

dello sport sociale e in parte a favorire lo svolgimento dei  compiti

istituzionali  degli  enti   di   promozione   sportiva,   che   sono

associazioni aventi lo scopo di promuovere  e  organizzare  attivita'

fisico-sportive con finalita' ricreative e formative tra  i  giovani,

nonche'  di  organizzare   l'attivita'   amatoriale   (cfr.   decreto

ministeriale 23 giugno 2004 recante  statuto  del  Comitato  olimpico

nazionale italiano, adottato dal Consiglio nazionale del CONI  il  23

marzo  2004).  Detti  profili,  pertanto,  per  loro  stessa  natura,

nell'attuale  assetto   costituzionale   della   ripartizione   delle

competenze tra Stato e Regioni in materia di sport, non  possono  non

comportare un diretto coinvolgimento delle Regioni, in  quanto  anche

esse titolari di potesta' legislativa  nella  specifica  materia.  Di

tale esigenza non tiene, evidentemente, conto  l'impugnata  norma  di

cui all'art. 4, comma 204, della legge n. 350  del  2003,  la  quale,

mentre e' del tutto indeterminata in ordine al soggetto erogatore del

finanziamento in questione e ai criteri di riparto dello stesso,  non

prevede alcun, pur necessario, coinvolgimento delle Regioni. Per tale

assorbente considerazione, la norma  stessa  deve  essere  dichiarata

costituzionalmente illegittima».

    E' quindi molto chiara la linea della  giurisprudenza  di  questa

Ecc.ma  Corte,  anche  perche'  nel  caso  oggetto   della   presente

impugnativa (lo dimostra appunto la sentenza appena citata) non  vale

nemmeno invocare a contrariis altre pronunce di codesta Ecc.ma  Corte

che riguardavano  situazioni  del  tutto  particolari  e  risultavano

relative a materie peculiari come lo sviluppo della cultura (sent. n.

307 del 2004) o la ricerca scientifica (sentenza  n.  423  del  2004)

inquadrata anche come «un valore costituzionalmente protetto».

    Infine, e' utile riproporre quanto affermato nella  piu'  recente

sentenza n. 79 del 2011, dove  codesta  Ecc.ma  Corte  ha  nuovamente

sottolineato  come  solo  la  chiamata  in  sussidiarieta'  (con   la

previsione di meccanismi preventivi di  intesa  con  le  regioni  sui

relativi criteri di riparto) possa legittimare  l'istituzione  di  un

fondo statale con vincolo di destinazione in  materia  di  competenza

regionale concorrente o residuale ex alt 117,  commi  3  e  4,  Cost.

(nello stesso senso, la sentenza n. 16 del 2010).

    Nel caso di specie, come si specifica nel  punto  4  di  seguito,

nulla a di tutto cio' e' stato previsto.

    E'  evidente  quindi  in  questo  caso  il  vulnus  all'autonomia

regionale, con violazione dell'art. 119 Cost., data l'inerenza  della

materia, in cui il  fondo  interviene,  alle  competenze  legislative

regionali di cui all'art. 117, terzo  comma  della  Costituzione.  La

Regione,  in  tal  modo,  viene  espropriata  della  possibilita'  di

esercitare correttamente i compiti di programmazione e di riparto del

fondo all'interno del proprio territorio.

    La disposizione impugnata, pertanto,  costituisce  uno  strumento

indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell'esercizio  delle

funzioni regionali che appare  rivolto  a  sovrapporre  politiche  ed

indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle

Regioni negli ambiti materiali di propria competenza.

4. Illegittimita' dell'art. 64, comma  2,  per  violazione  dell'art.

117, sesto comma, della Costituzione, nonche' del principio di  leale

collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione.

    Il comma 2 dell'art. 64 qui impugnato dispone: «2. Con decreto di

natura non regolamentare del Ministro per gli  affari  regionali,  il

turismo e lo sport di concerto con il Ministro dell'economia e  delle

finanze, sentito il CONI e la Conferenza unificata di cui all'art.  8

del  decreto  legislativo  28  agosto  1997,  n.  281,  e  successive

modificazioni, sono definiti i criteri per l'erogazione delle risorse

finanziarie del fondo di cui al comma 1.

    Con successivo decreto adottato dal Capo del Dipartimento per gli

affari regionali sono individuati gli interventi ammessi al  relativo

finanziamento».

    La disposizione prevede pertanto che i criteri  per  l'erogazione

delle risorse finanziarie del fondo siano  definiti  con  decreto  di

natura non regolamentare del Ministro per gli  affari  regionali,  il

turismo e lo sport di concerto con il Ministro dell'economia e  delle

finanze.

    Non viene prevista  nessuna  intesa  con  le  Regioni  bensi'  si

dispone che, per la definizione dei criteri  relativi  all'erogazione

delle risorse del  Fondo,  sia  solamente  «sentita»  -  alla  stessa

stregua del CONI - la Conferenza unificata.

    La costruzione normativa della  disposizione  impugnata  dimostra

quindi  in  modo  palese  la  scarsa  considerazione  che  e'   stata

riconosciuta all'autonomia costituzionale garantita alle Regioni.  E'

chiara la violazione del principio di  leale  collaborazione  di  cui

all'art. 120 della Costituzione.

    Inoltre, al di la' dell'autoqualificazione del  decreto  come  di

natura  non  regolamentare,  e'  indubbio  -  anche  alla  luce   dei

chiarimenti disposti dalla recente pronuncia  dell'Adunanza  plenaria

del Consiglio di Stato n. 9 del 4 maggio 2012 (ricordata nel punto  1

del presente ricorso) -  che  si  tratti  di  un  decreto  di  natura

sostanzialmente  regolamentare,  che  in  quanto  tale  si  pone   in

contrasto con il comma sesto dell'art. 117 che preclude allo Stato la

possibilita' di  emanare  regolamenti  nelle  materie  relative  alla

competenza concorrente.  L'intera  regolamentazione  dei  criteri  di

riparto del Fondo e' infatti  rimessa  al  suddetto  decreto,  atteso

anche che la disposizione legislativa impugnata non  stabilisce  essa

stessa alcun principio in relazione ai criteri di  riparto.  Se  tale

norma vieta l'approvazione  di  regolamenti  statali  in  materie  di

competenza regionale, non  si  vede  come  possa  essere  considerata

permissiva di atti meno formalizzati ma proprio per questo ancor piu'

problematici nell'ambito delle competenze non esclusive dello Stato.

    Per questi motivi il comma 2 dell'art. 64 si dimostra  in  palese

contrasto con l'art. 117, comma sesto,  della  Costituzione,  nonche'

con il principio di leale collaborazione di cui  all'art.  120  della

Costituzione.

 

                              P. Q. M.

 

    Chiede   che   l'Ecc.ma   Corte   costituzionale   dichiari    la

illegittimita'  costituzionale  delle   seguenti   disposizioni   del

decreto-legge 22 giugno 2012,  n.  83,  cosi'  come  convertito,  con

modificazioni, dalla legge di conversione  7  agosto  2012,  n.  134,

pubblicata nella G.U. n. 187 del il agosto 2012 - S.O. n. 171:

        dell'art. 17-undecies, commi 4 e 6, per violazione  dell'art.

97 della Costituzione;

        dell'art. 53, comma 1, lett. b), per violazione dell'art. 136

della Costituzione;

        dell'art. 64, comma 1, per violazione degli  articoli  119  e

117, terzo comma, della Costituzione;

        dell'art. 64, comma 2, per violazione  dell'art.  117,  comma

sesto,  della  Costituzione,   nonche'   del   principio   di   leale

collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione.

    Si deposita:

        1) delibera della Giunta Regionale  n.  2003  del  2  ottobre

2012,  di   autorizzazione   a   proporre   ricorso   e   affidamento

dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale.

          Venezia-Roma, 9 ottobre 2012.

 

          Avv. Prof. Antonini - Avv.ti Zanon-Manzi-Palumbo

  

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