Ricorso n. 15 del 29 gennaio 2010 (Regione Marche)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 gennaio 2010 , n. 15
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 29 gennaio 2010 (della Regione Marche).
(GU n. 10 del 10-3-2010)
Ricorso della Regione Marche, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 2261 del 28 dicembre 2009, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma, piazza Barberini 12, come da procura speciale per atto del notaio Sabatini di Ancona, n. rep. 50.361 del 18 gennaio 2010 contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale in parte qua dell'articolo 15, commi 1 e 1-ter, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee), cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 20 novembre 2009, n. 166, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 24 novembre 2009, n. 274, S.O., nella parte in cui le citate disposizioni si applicano al servizio idrico integrato, per violazione degli articoli 117, commi 1, 4 e 6, e 119, comma 6, della Costituzione. 1. - Il decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 20 novembre 2009, n. 166, ha introdotto «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee». L'art. 15 di questo atto normativo - rubricato «Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica» - ha apportato importanti modifiche all'articolo 23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (disposizione che reca norme concernenti l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, «in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la piu' ampia diffusione dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonche' di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalita' ed accessibilita' dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarieta', proporzionalita' e leale cooperazione»). 2. - Il comma 2 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, cosi' come risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 15, comma 1, del d.l. n. 135 del 2009, che qui si impugna, dispone che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali cui esso si riferisce avvenga, «in via ordinaria», alternativamente o «a favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalita'» (art. 23-bis, comma 2, lett. a); ovvero «a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione di pecifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento» (art. 23-bis, comma 2, lett. b). A fianco delle possibilita' menzionate - alle quali, come gia' evidenziato, si deve far ricorso «in via ordinaria» - il comma 3 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (sempre come risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla disposizione che si contesta in questa sede) prevede la possibilita' di conferire la gestione di servizi pubblici locali con modalita' derogatorie, alle quali e' possibile far ricorso soltanto «per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato». In tali circostanze, secondo la disposizione in questione, «l'affidamento puo' avvenire a favore di societa' a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla societa' e di prevalenza dell'attivita' svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano». Ove l'affidamento avvenga secondo le modalita' derogatorie previste dal citato comma 3, il successivo comma 4 del medesimo articolo prevede, nel testo oggi vigente, che l'ente affidante debba: a) «dare adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato»; b) «contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione». Il parere - precisa inoltre la norma - «si intende espresso in senso favorevole» ove non sia reso entro tale termine. 3. - La disciplina cosi' richiamata si applica anche a quello specifico servizio pubblico locale che e' il servizio idrico integrato, come risulta sia da alcune disposizioni gia' presenti nel testo del citato art. 23-bis, in vigore prima delle modifiche qui contestate, sia - piu' specificamente - dall'art. 15, comma 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, anch'esso impugnato mediante il presente ricorso. Quanto alle prime, e' possibile citare: i) l'art. 23-bis, comma 10, lett. d), ai sensi del quale il Governo era incaricato di adottare uno o piu' regolamenti di delegificazione al fine di «armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di acqua»; ii) l'art. 23-bis, comma 10, lett. e) - disposizione, quest'ultima, non piu' vigente - in forza del quale, sempre mediante regolamento governativo, si doveva procedere a «disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo restando il limite massimo stabilito dall'ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse dall'evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3, la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alle disposizioni di cui al presente articolo, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti diretti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo». L'art. 15, comma 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, prevede invece che «tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualita' e prezzo del servizio, in conformita' a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalita' ed accessibilita' del servizio». 4. - La Regione Marche, con la deliberazione della Giunta indicata in epigrafe, ha espresso la volonta' di impugnare davanti a questa Corte l'art. 15, commi 1 e 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 20 novembre 2009, n. 166, nella parte in cui le citate disposizioni si applicano al servizio idrico integrato, risultando costituzionalmente illegittime e lesive dell'autonomia che la Costituzione riconosce e garantisce alla stessa Regione ricorrente, per le seguenti ragioni di D i r i t t o 5. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15, commi 1 e 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost., il quale attribuisce agli enti locali territoriali la potesta' regolamentare «in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite». 5.1. - Le disposizioni impugnate disciplinano le modalita' tramite le quali devono essere necessariamente affidati i servizi pubblici locali che abbiano rilevanza economica. In particolare, si e' evidenziato come tali modalita' contemplano il c.d. «affidamento in house» soltanto quale ipotesi eccezionale, della quale avvalersi in presenza di circostanze peculiari le quali, a causa di particolari «caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato». Solo in questi casi sara' quindi possibile far ricorso all'in house providing, non peraltro senza adempiere ad alcuni obblighi procedimentali, e cioe': a) «dare adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato»; b) «contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione». In questo contesto, una importanza centrale e' assunta dal secondo dei due commi qui impugnati dell'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, ossia il comma 1-ter, secondo cui: «Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualita' e prezzo del servizio, in conformita' a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalita' ed accessibilita' del servizio». Questa disposizione deve essere contestata per la parte in cui stabilisce obbligatoriamente che per la gestione del servizio idrico integrato sia scelta una delle forme di affidamento di cui al nuovo art. 23-bis del d.l. n. 112 del 1998 (cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008), richiamate nelle pagine che precedono. La legge statale non puo' imporre, in via generale e astratta, ed in modo del tutto inderogabile, la configurazione del servizio idrico integrato quale «servizio pubblico locale avente rilevanza economica», con il conseguente obbligo per gli enti titolari della funzione di conformare scopi, obiettivi e missioni del servizio in questione al perseguimento della remunerativita' del capitale investito o comunque della redditivita' per il soggetto gestore, escludendo la possibilita' di qualificare il servizio come «servizio pubblico locale non avente rilevanza economica». Tale vincolo si pone in contrasto con l'art. 117, sesto comma, Cost., nella parte in cui riconosce la competenza regolamentare degli enti locali in relazione alla «organizzazione» delle funzioni ad essi attribuite. 5.2. - La censura presuppone una premessa sulla possibilita' di qualificare un servizio pubblico locale come «avente rilevanza economica» ovvero come «non avente rilevanza economica». Come hanno evidenziato con ampiezza di argomentazioni sia la dottrina che la giurisprudenza amministrativa, la nozione di «servizio a rilevanza economica» non puo' essere intesa quale nozione volta a tracciare una volta per tutte una linea discretiva tra diversi tipi di attivita', alla luce di una supposta «natura ontologica» della medesima. La distinzione e' soltanto una «conseguenza del modello gestionale scelto dall'amministrazione per la sua organizzazione» (cfr. R. Chieppa, V. Lopilato, Studi di diritto amministrativo, Milano, Giuffre', 2007, 756). Nel nostro ordinamento la nozione di «attivita' economica» deve essere ricostruita alla luce dell'art. 2082 del codice civile, ai sensi del quale «e' imprenditore chi esercita professionalmente un'attivita' economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi». Come e' stato osservato, «e' ormai opinione comune quella che vuole il carattere dell'economicita' (...) riferibile solo a quelle attivita' in grado di essere condotte in modo da produrre degli utili e (...) in ultima analisi l'autosufficienza nel mercato». Da cio' la conclusione cui si e' fatto cenno, secondo la quale «la rilevanza economica del servizio pubblico locale deriverebbe dalla decisione dell'ente di procedere alla gestione dello stesso secondo modalita' in astratto idonee a garantire le entrate necessarie per coprire quantomeno i costi di produzione». Al contrario «la rilevanza economica andrebbe esclusa per quei servizi per i quali l'amministrazione intende assicurare la copertura dei costi ricorrendo alla fiscalita' generale ovvero applicando prezzi politici» (G. Piperata, I servizi culturali nel nuovo ordinamento dei servizi degli enti locali, in www.astrid-online.it). La stessa giurisprudenza amministrativa si e' orientata in questa direzione, affermando che «debbono considerarsi privi di rilevanza economica (...) i servizi caratterizzati dall'assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, dalla mancanza di assunzione del rischio economico connesso alla specifica attivita', nonche' dalla presenza di eventuali finanziamenti pubblici» (cosi', ad es., T.A.R. Lazio, Roma, II, 6 maggio 2005, n. 3397). Questa prospettiva e' stata accolta anche dalla giurisprudenza di questa Corte (v. la sent. n. 272 del 2004, nella quale si afferma che i servizi pubblici locali appariranno dotati, o, al contrario, privi di rilevanza economica) «in relazione al soggetto erogatore, ai caratteri ed alle modalita' della prestazione, ai destinatari» (par. 4 del Considerato in diritto). La qualificazione di un servizio pubblico come servizio dotato o non dotato di rilevanza economica non deriva quindi dai caratteri «naturali», intrinsechi a ciascuno di essi. La qualificazione e' mera conseguenza della valutazione schiettamente politica che l'organo o ente titolare del servizio ha effettuato sulle modalita' con le quali esso debba essere organizzato e gestito (scegliendo, in particolar modo, se ci debba essere o meno uno scopo lucrativo per il soggetto che lo svolge, se quest'ultimo debba assumere o meno i rischi connessi all'attivita', e se debbano essere presenti o meno finanziamenti pubblici nei confronti di detta attivita'). 5.3. - In questo senso qualunque servizio pubblico locale puo' essere qualificato sia come avente rilevanza economica sia come privo della medesima. A questo fine sara' sufficiente, per l'ente titolare del servizio, conformare in un senso o nell'altro i suoi aspetti organizzativi e gestionali. Se per l'ordinamento comunitario la distinzione tra servizi aventi rilevanza economica e servizi non aventi rilevanza economica conta essenzialmente ai fini dell'applicazione delle norme pro concorrenziali, nell'ambito dell'ordinamento costituzionale italiano essa si carica di un ulteriore aspetto, peraltro connesso a quest'ultimo. Come la giurisprudenza di questa Corte ha in piu' di una occasione evidenziato, la qualificazione di un servizio pubblico locale come servizio «a rilevanza economica» comporta inevitabilmente la sua soggezione alle regole poste dallo Stato in funzione della «tutela della concorrenza», ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., sempreche' - ovviamente - esse siano state legittimamente dettate alla luce dello «statuto» che la medesima giurisprudenza ha individuato per l'esercizio di questa potesta' legislativa statale (ancorandolo, in particolare, al rigoroso rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalita' rispetto ai fini pro concorrenziali concretamente perseguiti: si vedano, per tutte, le sentenze nn. 272 del 2004, 175 del 2005, 80 del 2006, 401, 430, 431, 443 e 452 del 2007). Viceversa, al di fuori di cio' che puo' essere disciplinato in forza del menzionato titolo di intervento legislativo, allo Stato difetta la competenza a dettare, in via generale, norme concernenti i servizi pubblici locali, giacche' tale «materia» deve essere considerata riconducibile alla potesta' legislativa residuale regionale (si veda, sul punto, il consolidato orientamento di questa Corte espresso nelle sentenze nn. 272 del 2004, 29 del 2006, 38 del 2007 e 307 del 2009). La disposizione impugnata si collega al tema della assoggettabilita' di determinati servizi pubblici locali alle norme poste dallo Stato a tutela della concorrenza, ma stabilisce una norma che interviene su un presupposto decisivo e distinto rispetto alle regole concorrenziali. Infatti la norma impugnata determina l'allocazione della competenza circa la decisione di conformare come «avente rilevanza economica» o come «non avente rilevanza economica» un determinato servizio pubblico locale. Decisione dalla quale discendono importanti conseguenze circa il riparto della funzione normativa tra i diversi enti che «costituiscono» la Repubblica, poiche', come questa Corte ha avuto modo di evidenziare gia' a partire dalla sent. n. 272 del 2004, per quei servizi che «appaiono privi di «rilevanza economica», ci sara' dunque spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale» (par. 4 del Considerato in diritto). La decisione, adottata mediante la normativa qui impugnata, in quanto rende obbligatoria la qualificazione del servizio idrico integrato come servizio «avente rilevanza economica», e conseguentemente il suo affidamento mediante le forme previste dal vigente testo dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, viola evidentemente l'art. 117, sesto comma, Cost., il quale dispone che «i Comuni, le Province e le Citta' metropolitane hanno potesta' regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni attribuite». 5.4. - Il regime giuridico della potesta' regolamentare locale ai sensi del citato art. 117, sesto comma, Cost., in relazione alle altre fonti del diritto, ed in particolare alle fonti legislative, e' stato inequivocabilmente chiarito dalla ben nota sent. n. 246 del 2006 di questa Corte; nella quale si trova affermato che «se il legislatore regionale nell'ambito delle proprie materie legislative dispone discrezionalmente delle attribuzioni di funzioni amministrative agli enti locali, ulteriori rispetto alle loro funzioni fondamentali, anche in considerazione dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma dell'art. 118 della Costituzione», tuttavia «non puo' contestualmente pretendere di affidare ad un organo della Regione - neppure in via suppletiva - la potesta' regolamentare propria dei Comuni o delle Province in riferimento a quanto attribuito loro dalla legge regionale medesima». Cio' in quanto «nei limiti (...) delle funzioni attribuite dalla legge regionale agli enti locali, solo quest'ultimi possono - come espressamente affermato nell'ultimo periodo del sesto comma dell'art. 117 Cost. - adottare i regolamenti relativi all'organizzazione ed all'esercizio delle funzioni loro affidate dalla Regione» (par. 7.1 del Considerato in diritto). Il sintesi, in base all'insegnamento di questa Corte, il legislatore competente per materia ex art. 117 Cost. puo', nell'esercizio della propria discrezionalita' legislativa, determinarsi circa l'attribuzione o meno agli enti locali territoriali di una determinata funzione amministrativa - ovviamente nel pieno rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza posti dall'art. 118, primo comma, Cost. - ma, una volta che si sia determinato nel senso dell'affidamento ad uno di questi enti della funzione in considerazione, sorge a beneficio della potesta' regolamentare dell'ente locale un ambito intangibile e incomprimibile - concernente la disciplina degli aspetti organizzativi e delle modalita' di svolgimento della funzione - opponibile anche alla stessa fonte legislativa. La disposizione costituzionale considerata - come e' stato efficacemente messo in evidenza anche dalla sopra citata sent. n. 246 del 2006 - non riguarda semplicemente e soltanto lo «svolgimento» della funzione considerata, bensi' anche la sua «organizzazione». Ora, posto che la normativa vigente affida la cura del servizio idrico integrato a quella particolare «struttura dotata di personalita' giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione» che e' l'Autorita' d'ambito - «alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale e' trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche» (cosi' l'art. 148, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006) - non vi e' chi non veda come quell'area incomprimibile di formazione regolamentare concernente il servizio idrico integrato non possa che essere ricondotta alla titolarita' congiunta degli enti locali che obbligatoriamente fanno parte dell'Autorita' d'ambito e come la suddetta area incomprimibile di potesta' normativa ricomprenda precisamente la decisione circa la conformazione del servizio quale dotato ovvero non dotato di rilevanza economica, posto che detta conformazione dipende esclusivamente dalla «organizzazione» del servizio medesimo. Il dato costituzionale, al riguardo, e' dunque chiaro. La materia dei «servizi pubblici locali» rientra nell'ambito della potesta' legislativa residuale affidata alle Regioni dall'art. 117, quarto comma, Cost., come ha da tempo affermato la giurisprudenza costituzionale con quel consolidato orientamento che si e' gia' avuto modo di richiamare (cfr. sentenze nn. 272 del 2004, 29 del 2006, 38 del 2007 e 307 del 2009). Questa competenza legislativa regionale incontra pero' (per quel che qui specificamente interessa) due limiti. Il primo concerne la potesta' legislativa statale nell'ambito della materia di competenza esclusiva della «tutela della concorrenza». In forza di tale titolo di intervento, lo Stato puo' disciplinare importanti aspetti della materia de qua, limitatamente, pero', ai servizi pubblici locali dotati di rilevanza economica. La legislazione regionale, dunque, potra' disciplinare gli aspetti dei servizi pubblici locali di rilevanza economica che non siano stati legittimamente normati dallo Stato, nonche' la «sub-materia» dei servizi pubblici locali non dotati di rilevanza economica. Il secondo limite della potesta' legislativa regionale dipende dall'art. 117, sesto comma, Cost., e riguarda l'impossibilita' di violare la riserva che questa disposizione pone a beneficio della potesta' regolamentare degli enti locali cui e' congiuntamente affidato il servizio per il tramite dell'Autorita' d'ambito, in riferimento al suo «svolgimento» e - per quel che qui specificamente interessa - alla sua «organizzazione». Il medesimo limite si impone, a maggior ragione, alla legislazione dello Stato, posto che quest'ultimo dispone, nella materia dei «servizi pubblici locali», di un titolo di intervento «trasversale», e dunque di stretta interpretazione, oltre che gravato dagli accennati limiti di adeguatezza e proporzionalita' (cfr., in particolare, le richiamate sentt. nn. 272 del 2004, 175 del 2005, 430, 443 e 452 del 2007). Anche la legge statale adottata in virtu' dell'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., dunque, deve rispettare l'ambito affidato alla potesta' regolamentare locale circa l'organizzazione del servizio, in forma di servizio avente rilevanza economica o non avente rilevanza economica. In sintesi, alla potesta' regolamentare locale spetta la decisione circa la conformazione del servizio idrico come dotato di rilevanza economica o meno, ex art. 117, sesto comma, Cost. Da questa decisione dipendera' l'applicazione della normativa che, nell'affidamento, nella gestione e nello svolgimento del servizio dovra' essere rispettata. Si trattera' della normativa statale concernente la tutela della concorrenza, nonche' della normativa regionale compatibile con quella statale legittimamente posta in virtu' di tale titolo, ove si opti per la prima alternativa. Sara', invece, senz'altro la disciplina regionale dei servizi pubblici locali, ove invece ci si determini nel senso della seconda possibilita'. 5.5. - Si deve escludere la possibilita' che le disposizioni legislative impugnate siano ritenute fondate sulla competenza statale concernente le «funzioni fondamentali» di Comuni, Province e Citta' metropolitane, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. Sono state indicate dalla dottrina, infatti, numerose buone ragioni per escludere che tra le «funzioni fondamentali» di cui alla disposizione costituzionale appena menzionata possano essere comprese anche funzioni amministrativo-gestionali in senso proprio, oltre a quelle - certamente «fondamentali» - in cui si esprimono la potesta' statutaria, la potesta' regolamentare e la potesta' amministrativa a carattere «ordinamentale» concernente le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo dell'ente. Innanzi tutto, partendo dalla premessa, ampiamente desumibile dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la ratio della attribuzione allo Stato di una competenza legislativa e' da rintracciare in una esigenza unitaria, deve rilevarsi che, nel caso di specie, non si capirebbe ove rintracciare una tale esigenza unitaria nell'ipotesi in cui tra le funzioni fondamentali menzionate alla lett. p) dell'art. 117, secondo comma, Cost., fossero annoverabili anche funzioni consistenti nella concreta cura di interessi. Cio' perche' tali funzioni dovrebbero comunque essere allocate tra gli enti locali in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza ex art. 118, primo comma, Cost. E tale vincolo, ovviamente, graverebbe allo stesso modo sulla legge statale e su quella regionale (art. 118, secondo comma, Cost.), guidandole verso le medesime scelte. Come e' stato evidenziato, «se le funzioni fondamentali sono amministrative, la legge statale non potrebbe allocarle senza tener conto del vincolo costituito dal principio di sussidiarieta': e quindi, non potrebbe assegnare alle Province funzioni amministrative che potrebbero essere adeguatamente svolte dai Comuni (o viceversa). Ma in questo caso non si capisce perche' - nelle materie di spettanza regionale - questa valutazione di sussidarieta'/adeguatezza debba essere operata dalla legge statale in luogo di quella regionale, tanto piu' che la sussidiarieta' vincolerebbe allo stesso modo tanto il legislatore statale che quello regionale, prescrivendo la medesima soluzione allocativa» (cosi' O. Chessa, Pluralismo paritario e autonomie locali nel regionalismo italiano, in www.astrid-online. it, 14). Nel senso indicato depone anche una lettura sistematica delle disposizioni costituzionali. A fianco del principio di sussidiarieta' e di adeguatezza, nel guidare la allocazione delle funzioni amministrative, l'art. 118 Cost. afferma anche il principio di differenziazione. Tale principio specifica gli altri due. Il suo contenuto precettivo consiste nello stabilire che la valutazione di adeguatezza/inadeguatezza rispetto allo svolgimento della funzione che sorregge il principio di sussidiarieta' deve tener conto delle differenze concrete che sussistono tra enti della medesima categoria. Il principio di differenziazione, dunque, spinge a valutare diversamente enti che, pur appartenendo alla medesima categoria (ad es., due Comuni, o due Province) hanno caratteristiche (ad es. dimensionali) molto differenti. In base a questo principio, dunque, nella allocazione delle funzioni amministrative la legge regionale o statale, competente per materia, dovrebbe compiere una valutazione di adeguatezza-inadeguatezza differente per enti con caratteristiche differenti pur se del medesimo tipo, ad esempio, ritenendo adeguati allo svolgimento della funzione i Comuni con piu' di x abitanti, ed inadeguati i Comuni con x o meno di x abitanti. In sintesi, si puo' ritenere che il principio di differenziazione sia una peculiare declinazione che assume il principio di eguaglianza nell'ambito della allocazione delle funzioni amministrative. Il principio di eguaglianza, infatti, impone di trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse. Nel caso in questione, impone di trattare in modo diverso due enti che - pur appartenenti alla medesima categoria - siano caratterizzati da diversita' tali che uno sia da considerare adeguato, ed un altro inadeguato, allo svolgimento delle medesime funzioni. E' del tutto evidente che ilportato precettivo del principio di differenziazione (e, per il suo tramite, del principio di eguaglianza) risulterebbe del tutto trascurato ove si ritenesse che le funzioni amministrativo-gestionali possano rientrare tra le «funzioni fondamentali» per consentire soluzioni allocative, da parte della legge statale, uniformi per tutto il territorio nazionale. Viceversa, e' il principio di sussidiarieta' a richiedere la differenziazione. D'altra parte, non si potrebbe certo ritenere che la soluzione proposta in questa sede sia in grado di pregiudicare quella uniformita' minima negli standard di prestazione relativi a quelle funzioni, particolarmente importanti per le collettivita' locali, che in virtu' di tale importanza si volessero far rientrare tra quelle «fondamentali». Lo Stato, infatti sarebbe comunque dotato della competenza ad individuare i «livelli essenziali delle prestazioni», e inoltre avrebbe a disposizione, in ogni caso, lo strumento del potere sostitutivo straordinario ex art. 120, secondo comma, Cost., per garantire l'effettivita' di questi ultimi. In sintesi, per le ragioni appena esposte, la Regione ricorrente ritiene che si debba escludere che le disposizioni concernenti il servizio idrico integrato, impugnate in questa sede, possano essere considerate espressione della competenza legislativa statale a disciplinare le «funzioni fondamentali» di Comuni, Province e Citta' metropolitane, ex art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. La Regione ricorrente non ignora la recente sentenza di questa Corte dove si trova affermato che «le competenze comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico-normative sia per l'evidente essenzialita' di questo alla vita associata delle comunita' stabilite nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui disciplina e' stata affidata alla competenza esclusiva dello Stato dal novellato art. 117» (sent. n. 307 del 2009, par. 5.2 del Considerato in diritto). Tale precedente non esclude la possibilita' di contestare che la decisione circa la conformazione del servizio idrico integrato come servizio pubblico locale a rilevanza economica, ovvero come servizio pubblico locale privo di tale rilevanza possa essere assunta dallo Stato in forza della sua competenza in materia di «funzioni fondamentali» di Comuni, Province e Citta' metropolitane. E' la stessa sent. n. 307 del 2009, cit., a deporre inequivocabilmente in tal senso. In essa infatti si legge che l'evocazione del parametro di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., deve essere ritenuta «inconferente» rispetto a norme concernenti «le modalita' di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica», le quali trovano il loro fondamento, invece, nell'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., e cio' in quanto «la regolamentazione di tali modalita' non riguarda un dato strutturale del servizio ne' profili funzionali degli enti locali ad esso interessati (come, invece, la precedente questione relativa alla separabilita' tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico), bensi' concerne l'assetto competitivo da dare al mercato di riferimento» (par. 6.1 del Considerato in diritto). Da quanto precede risulta con chiarezza che gli aspetti del servizio idrico integrato rilevanti ai fni del riparto di competenze normative sono (almeno) tre. Innanzi tutto, quello connesso all'«assetto competitivo da dare dal mercato di riferimento», ove il servizio idrico sia strutturato in modo tale da essere dotato di rilevanza economica. La competenza in materia spetta senz'altro allo Stato in virtu' dell'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. In secondo luogo, quello inerente i «profili funzionali degli enti locali ad esso interessati»: tra tali profili questa stessa Corte ha indicato quello concernente la «separabilita' tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico». Anche in questo caso, nel sistema accolto dalla sent. n. 307 del 2009, la competenza legislativa spetta inequivocabilmente allo Stato, in forza dell'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. (differente conclusione su questo punto dovrebbe essere raggiunta ove si ritenesse - come questa difesa considera corretto - che le «funzioni fondamentali» menzionate dalla citata disposizione costituzionale siano limitate a quelle in cui si esprimono la potesta' statutaria, la potesta' regolamentare e la potesta' amministrativa a carattere «ordinamentale» concernente le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo dell'ente). In terzo luogo, deve essere menzionato l'aspetto concernente il «dato strutturale del servizio», evocato nel passo riportato della sent. n. 307 del 2009. Si tratta, evidentemente, proprio del profilo che in questa sede interessa, riguardante la strutturazione del servizio come avente o non avente rilevanza economica. Questo aspetto, come si e' visto, e' tenuto distinto dai due precedenti, e dunque non ricade ne' nell'ambito dell'art. 117, secondo comma, lett. p), ne', tantomeno, in quello dell'art. 117, secondo comma, lett. e). Esso, dunque, non puo' che rientrare, secondo quanto evidenziato nelle pagine che precedono, nell'ambito assegnato dall'art. 117, sesto comma, Cost., alla potesta' regolamentare locale. 5.6. - Le doglianze fin qui esposte, come si e' messo in luce piu' sopra, si basano sull'assunto interpretativo secondo il quale le disposizioni normative impugnate - ed in particolar modo il comma 1-ter dell'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 - impongano la configurazione del servizio idrico integrato come servizio a rilevanza economica, con conseguente applicazione necessaria dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, cosi' come modificato dall'art. 15, comma 1, in questa sede in discussione. La Regione ricorrente ritiene indispensabile portare all'attenzione di questa Corte la circostanza secondo la quale la menzionata interpretazione non e' affatto necessitata in base al tenore testuale dalle disposizioni normative impugnate. L'art. 15, comma 1, del d.l. n. 135 del 2009 e' intitolato «Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica». Il suo comma 1 riformula la disciplina dettata dall'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 in relazione all'affidamento di questo tipo di servizi, nel senso illustrato nella parte in fatto del presente ricorso. E' altresi' importante evidenziare che il menzionato art 23-bis - intitolato a sua volta «Servizi pubblici locali di rilevanza economica» - delimiti con chiarezza il proprio ambito di applicazione. Il suo comma 1, infatti, afferma che «le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica». Non puo' dunque sussistere alcu dubbio circa l'esclusiva applicabilita' a questa sola categoria di servizi pubblici locali delle disposizioni poste dall'art. 15, comma 1, del d.l. n. 135 del 2009. Nel comma 1-ter di questo articolo - anch'esso impugnato con il presente ricorso - e' invece possibile leggere quanto segue: «Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualita' e prezzo del servizio, in conformita' a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalita' ed accessibilita' del servizio». E' evidente come tale testo sia del tutto compatibile con una sua interpretazione che non imponga in alcun modo la conformazione del servizio idrico integrato come servizio a rilevanza economica. Esso, infatti, puo' ben essere interpretato nel senso di imporre il «rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche», con conseguente governo pubblico delle medesime, esclusivamente nel caso in cui si scelga la forma del servizio a rilevanza economica con conseguente applicabilita' dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, senza pero' imporre in alcun modo una opzione in questo senso. In altre parole, le norme impugnate ben possono essere lette come volte a disciplinare, in forza dell'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., esclusivamente i caratteri di quei servizi che gli enti competenti abbiano scelto di organizzare in modo da conferirvi rilevanza economica, fermo restando che esse nulla dispongono circa il modo in cui deve essere necessariamente organizzato il servizio idrico integrato. E' evidente che - ove fossero interpretate in tal modo - le doglianze di incostituzionalita' piu' sopra illustrate non avrebbero modo di porsi. La normativa oggetto del giudizio, infatti, risulterebbe assolutamente rispettosa dell'art. 117, sesto comma, Cost. - parametro invocato in questa specifica sede - in quanto non pregiudicherebbe in alcun modo la spettanza alla potesta' regolamentare locale della decisione fondamentale circa l'organizzazione del servizio idrico, ed in particolare quella della sua conformazione o meno come servizio a rilevanza economica. A sostegno della percorribilita' di una simile opzione interpretativa, oltre all'evidente conformita' al parametro costituzionale in questa sede invocato, puo' essere considerato, inoltre, un argomento fondato sulla piu' recente evoluzione della stessa disciplina statale concernente la scelta delle forme di gestione e le relative procedure di affidamento del servizio idrico integrato. Prima dell'avvento dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, la disciplina di riferimento era quella dettata dall'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, i cui primi tre commi cosi' recitavano: «1. L'Autorita' d'ambito, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unitarieta' della gestione per ciascun ambito, delibera la forma di gestione fra quelle di cui all'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. 2. L'Autorita' d'ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformita' ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 secondo modalita' e termini stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia. 3. La gestione puo' essere altresi' affidata a societa' partecipate esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, secondo la previsione del comma 5, lettera c), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a societa' solo parzialmente partecipate da tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purche' il socio privato sia stato scelto, prima dell'affidamento, con gara da espletarsi con le modalita' di cui al comma 2». In base a tali disposizioni, che rinviavano tutte - mediante rinvii precettizi - all'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, poteva senz'altro ritenersi che la legislazione statale - sia pure con le previsioni ben piu' generali di quelle oggi vigenti circa le forme di gestione dei servizi contenute nel suddetto articolo - imponesse alle Autorita' d'ambito territorialmente competenti la conformazione del servizio idrico integrato necessariamente come «servizio pubblico a rilevanza economica». Il successivo intervento dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, tuttavia, ha determinato l'abrogazione del menzionato art. 113 del t.u. degli enti locali, disponendo espressamente, al comma 11, che «L'articolo 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, e' abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo». Di conseguenza, non risultando in alcun modo compatibili le vecchie norme sulle forme di gestione e le modalita' di affidamento dei servizi contenute nell'art. 113 del t.u. degli enti locali con le nuove norme contenute nel citato art. 23-bis, l'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, disponendo un rinvio recettizio a norme abrogate, risulta oggi del tutto svuotato del proprio contenuto normativo, di talche' non e' piu' possibile, allo stato della normativa vigente, desumere da esso quell'obbligo di conformazione del servizio idrico integrato come «servizio pubblico a rilevanza economica» che poteva accreditarsi in precedenza. L'unica disciplina statale delle forme di gestione e delle modalita' di affidamento dei servizi pubblici locali (e, dunque, anche del servizio idrico integrato) e' attualmente quella contenuta nell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, cosi' come modificato dalle norme qui censurate; e poiche' tale disciplina, per quanto si e' esposto nelle pagine che precedono, non potrebbe essere interpretata in difformita' rispetto al riparto costituzionale delle competenze normative, essa dovrebbe correttamente essere riferita ai soli servizi cui l'autorita' locale competente abbia scelto di conferire i caratteri della «rilevanza economica», escludendosi, per contro, che se ne possa in alcun modo ricavare un obbligo di conformare in tal senso il servizio idrico integrato. 5.7. - A conclusione del presente motivo di ricorso, si ritengono opportune due precisazioni a carattere processuale. La prima riguarda l'ammissibilita', nel giudizio in via principale, di questioni interpretative del tipo di quella qui proposta. Tale possibilita', come e' noto, deve senz'altro ritenersi esclusa nell'ambito del giudizio in via incidentale. Ma si ritiene ammissibile, ove le questioni interpretative siano proposte mediante ricorso nell'ambito del giudizio in via principale (cfr., ad es., la sent. n. 88 del 2007, par. 5 del Considerato in diritto). La seconda precisazione riguarda invece la ammissibilita' di censure, proposte mediante ricorso regionale avverso una legge statale, che invochino quale parametro norme costituzionali poste a presidio di competenze degli enti locali. Anche su questo punto si puo' richiamare la giurisprudenza che riconosce la ammissibilita' di simili censure, e la sussistenza «in via generale» in capo alle Regioni della legittimazione a sollevarle «perche' la stretta connessione (...) tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (sent. n. 95 del 2007, par. 3 del Considerato in diritto; nello stesso senso, si vedano anche le sentenze nn. 169 del 2007, par. 3 del Considerato in diritto, 417 del 2005, par. 3 del Considerato in diritto, 196 del 2004, par. 14 del Considerato in diritto). Quella «stretta connessione» tra competenze regionali e locali, che, secondo l'orientamento citato, determina «in via generale» la sussistenza della legittimazione regionale, nel caso oggetto del presente ricorso e' particolarmente evidente. Il riconoscimento agli enti locali della competenza, ex art. 117, sesto comma, Cost., a decidere circa la conformazione del servizio idrico integrato come servizio avente o non avente rilevanza economica determina rispettivamente il contrarsi o il riespandersi dell'ambito di applicazione delle norme regionali adottate in materia di servizi pubblici locali. L'accoglimento della presente questione di costituzionalita', proposta nei confronti di una norma statale che intende compiere una opzione generalizzata nel primo senso, comporterebbe dunque non solo l'effetto della «restituzione» agli enti locali della possibilita' di compiere la suddetta scelta, ma anche l'effetto della possibile «riespansione» degli ambiti suscettibili di essere disciplinati dalla legge regionale a seguito delle opzioni degli enti locali. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15, commi 1 e 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la potesta' legislativa residuale nella materia «servizi pubblici locali», con particolare riferimento alla disciplina dei profili di configurazione strutturale del servizio idrico integrato. 6.1. - Nelle pagine che precedono si e' argomentata la tesi secondo la quale la configurazione strutturale del servizio idrico integrato - ed in particolar modo la sua conformazione come servizio avente, oppure non avente, rilevanza economica - deve essere ricondotta alla potesta' regolamentare locale, ai sensi dell'art. 117, sesto comma, Cost. In via subordinata, ove non si accolga tale ricostruzione, la Regione ricorrente ritiene che la normativa indicata in epigrafe debba comunque essere dichiarata costituzionalmente illegittima, perche' posta in assenza di un titolo di intervento legislativo statale. Cio' in quanto la competenza sulla configurazione strutturale del servizio idrico integrato, e la sua conformazione come servizio avente o non avente rilevanza economica, ricade nell'ambito della competenza residuale regionale in relazione alla materia «servizi pubblici locali». 6.2. - La giurisprudenza di questa Corte, ormai da tempo, ha affermato, al di la' di ogni dubbio, che il legislatore competente in via generale nella materia dei «servizi pubblici locali» e' il legislatore regionale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. Al riguardo e' possibile richiamare le gia' citate sentenze nn. 272 del 2004, 29 del 2006, 38 del 2007 e 307 del 2009. Questa difesa e' consapevole della circostanza secondo la quale una altrettanto consolidata giurisprudenza costituzionale afferma la spettanza alla competenza esclusiva dello Stato, ex art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., della regolamentazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, limitatamente agli aspetti necessari a garantire la tutela della concorrenza nei settori di pertinenza dei medesimi. Cio' non vale, pero', a far ritenere fondata sulla menzionata norma costituzionale la disciplina contestata con il presente ricorso. Cio' in quanto l'imposizione di vincoli proconcorrenziali all'affidamento, all'organizzazione ed alla gestione di servizi pubblici presuppone la decisione circa la conformazione dei medesimi servizi nel senso di conferire loro quella «rilevanza economica» che rende applicabile la normativa statale adottata in base all'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. Viceversa, come gia' evidenziato, la qualificazione di un servizio come avente o non avente rilevanza economica dipende dalle caratteristiche che si intendano conferire al modo in cui esso e' organizzato e gestito, in particolare all'esistenza o meno di uno scopo precipuamente lucrativo, alla assunzione o meno del rischio economico connesso alla specifica attivita', nonche' alla presenza o meno di eventuali finanziamenti pubblici (T.A.R. Lazio, Roma, II, 6 maggio 2005, n. 3397). Solo «a valle» di questa scelta - ove si optasse per la conformazione del servizio come «servizio a rilevanza economica» - assumeranno rilievo le norme legittimamente dettate dallo Stato a tutela della concorrenza. In sintesi, non puo' che concludersi che - ove non si ritenga che la decisione circa la conformazione come servizio avente o non avente rilevanza economica del servizio idrico integrato appartenga alla potesta' regolamentare locale - la medesima decisione ricade necessariamente nell'ambito della potesta' legislativa regionale residuale in materia di «servizi pubblici locali» ex art. 117, quarto comma, Cost. 6.3. - Contro tale conclusione non puo' neanche affermarsi la sussistenza della competenza statale a dettare le norme in questa sede impugnate sulla base dell'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., in materia di «funzioni fondamentali» dei Comuni, delle Province e delle Citta' metropolitane. Anche in questo caso occorre fare riferimento ad argomenti gia' esposti (si veda, in part., il punto 5.5). Deve innanzi tutto essere contestata la possibilita' di intendere la competenza ex art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., in modo tale da ritenerla estesa anche a funzioni «amministrativo-gestionali», o comunque, piu' in generale, a funzioni volte alla cura concreta di interessi. Le «funzioni fondamentali» di cui alla menzionata disposizione costituzionale, viceversa, devono ritenersi limitate a quelle in cui si esprimono la potesta' statutaria, la potesta' regolamentare e la potesta' amministrativa a carattere «ordinamentale» concernente le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo dell'ente. In tal senso milita, oltre all'argomento «topografico», che vede tali funzioni accomunate agli «organi di governo» ed alla «legislazione elettorale», la considerazione dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza di cui all'art. 118, primo comma, Cost. Infatti, posto che il legislatore statale, nell'allocare le funzioni fondamentali, dovrebbe comunque rispettare il principio di sussidiarieta', non si vede quale diversa allocazione potrebbe dare rispetto a quella ipoteticamente impressa dal legislatore regionale, vincolato anch'esso al rispetto dei medesimi principi. Ne' e' possibile sostenere l'esistenza di esigenze unitarie in favore di una allocazione uniforme su tutto il territorio nazionale, posto che in senso opposto depone proprio il principio di differenziazione sopra menzionato. Infine, non e' possibile sostenere che le esigenze unitarie a sostegno dell'interpretazione della nozione di «funzioni fondamentali» che qui si contesta siano di carattere sostanziale, poiche', ove lo Stato intenda garantire il rispetto di determinati standard nella prestazione di servizi pubblici di particolare importanza, esso ha a disposizione il titolo di intervento di cui all'art. 117, secondo comma, lett. m), Cost., per assicurare l'effettivita' del quale puo' far ricorso anche allo strumento del potere sostitutivo straordinario di cui all'art. 120, secondo comma, Cost. 6.4. - Anche sotto questo profilo, la ricorrente tiene conto della sentenza n. 307 del 2009 di questa Corte, nella quale si e' ritenuto che «le competenze comunali in ordine al servizio (...) devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui disciplina e' stata affidata alla competenza esclusiva dello Stato dal novellato art. 117» (par. 5.2 del Considerato in diritto). La Regione ricorrente ritiene, peraltro, che - anche ove questa Corte non intendesse discostarsi da tale precedente - sussisterebbero ugualmente valide ragioni per escludere che la decisione circa la conformazione del servizio idrico integrato come servizio pubblico locale a rilevanza economica, ovvero come servizio pubblico locale privo di tale rilevanza possa essere assunta dallo Stato in forza della sua competenza in materia di «funzioni fondamentali» di Comuni, Province e Citta' metropolitane. Nella medesima sent. n. 307 del 2009, infatti, si afferma - implicitamente ma chiaramente - che i profili del servizio idrico integrato rilevanti ai fini del riparto della competenza normativa nell'ambito delle «funzioni fondamentali» degli enti locali sono sostanzialmente tre (cfr. il par. 6.1 del Considerato in diritto). Il primo e' quello connesso all'«assetto competitivo da dare dal mercato di riferimento», ove il servizio idrico sia strutturato in modo tale da essere dotato di rilevanza economica. La competenza in materia spetta senz'altro allo Stato in virtu' dell'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. Il secondo e' quello inerente i «profili funzionali degli enti locali ad esso interessati»: tra tali profili questa stessa Corte ha indicato quello concernente la «separabilita' tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico». Anche in questo caso, nel sistema accolto dalla sent. n. 307 del 2009, la competenza legislativa spetta inequivocabilmente allo Stato, in forza dell'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. Come si e' visto in precedenza, differente conclusione su questo punto dovrebbe essere raggiunta ove si ritenesse - come questa difesa considera corretto - che le «funzioni fondamentali» menzionate dalla citata disposizione costituzionale siano limitate a quelle in cui si esprimono la potesta' statutaria, la potesta' regolamentare e la potesta' amministrativa a carattere «ordinamentale» concernente le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo dell'ente. Il terzo e' quello concernente il «dato strutturale del servizio», evocato dalla sent. n. 307 del 2009 al citato punto 6.1 del Considerato in diritto. Si tratta, evidentemente, proprio del profilo che in questa sede interessa, riguardante la strutturazione del servizio come avente o non avente rilevanza economica. Questo aspetto, come si e' visto, e' tenuto distinto dai due precedenti e dunque non ricade ne' nell'ambito dell'art. 117, secondo comma, lett. p), ne', tantomeno, in quello dell'art. 117, secondo comma, lett. e). Esso, pertanto, non puo' che rientrare nell'ambito assegnato dall'art. 117, quarto comma, Cost., alla potesta' legislativa residuale regionale in materia di «servizi pubblici locali». 7 . - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15, commi 1 e 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 117, comma 4, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la potesta' legislativa residuale nella materia «servizi pubblici locali». 7.1. - Le disposizioni censurate, nella parte in cui modificano la disciplina delle modalita' di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di cui all'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008), sono espressamente rivolte anche al servizio idrico integrato, il quale rientra pacificamente tra i servizi pubblici locali. Questa disciplina statale, per giurisprudenza costituzionale ormai consolidata, puo' trovare il proprio titolo di legittimazione nella potesta' legislativa dello Stato in materia di «tutela della concorrenza», la quale, pero', in base alla medesima giurisprudenza, e' subordinata al rispetto di limiti rigorosi in relazione al grado di pervasivita', all'adeguatezza e alla proporzionalita' delle misure. Secondo quanto affermato nella sent. n. 272 del 2004, sempre confermata dalle pronunce successive, la potesta' legislativa statale in materia di tutela della concorrenza «e' riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di "rilevanza economica" e «solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali»; con la conseguenza che non sono censurabili, in riferimento ai servizi pubblici aventi rilevanza economica, solo ed esclusivamente tutte quelle norme statali «che garantiscono, in forme adeguate e proporzionate, la piu' ampia liberta' di concorrenza nell'ambito di rapporti - come quelli relativi al regime delle gare o delle modalita' di gestione e conferimento dei servizi - i quali per la loro diretta incidenza sul mercato appaiono piu' meritevoli di essere preservati da pratiche anticoncorrenziali». «Il criterio della proporzionalita' e dell'adeguatezza appare quindi essenziale per definire l'ambito di operativita' della competenza legislativa statale attinente alla «tutela della concorrenza» conseguentemente la legittimita' dei relativi interventi statali. Trattandosi infatti di una cosiddetta materia-funzione, riservata alla competenza esclusiva dello Stato, la quale non ha un'estensione rigorosamente circoscritta e determinata, ma, per cosi' dire, «trasversale» (cfr. sentenza n. 407 del 2002), poiche' si intreccia inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi - alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni - connessi allo sviluppo economico produttivo del Paese, e' evidente la necessita' di basarsi sul criterio di proporzionalita-adeguatezza al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato» (par. 3 del Considerato in diritto). Le disposizioni legislative in questione, nella parte in cui impongono, per la gestione del servizio idrico integrato, l'adozione «in via ordinaria» delle sole modalita' di affidamento di cui al nuovo comma 2 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 1998 (cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008), ammettendo esclusivamente «per situazioni eccezionali» l'adozione del c.d. «in house providing» e sottoponendo tale scelta a vincoli sia sostanziali (allorche' «peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato») che procedimentali (l'onere di «trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione»), violano quei limiti di «adeguatezza» e «proporzionalita'» che debbono caratterizzare l'esercizio della competenza legislativa statale sulla «tutela della concorrenza», con conseguente illegittima compromissione della potesta' legislativa regionale in materia di «servizi pubblici locali». 7.2. - Da quanto precede emerge chiaramente che - per consolidata giurisprudenza costituzionale - il parametro alla cui stregua valutare la legittimita' costituzionale di un intervento statale diretto alla «tutela della concorrenza», che qui specificamente interessa, e' quello che afferma che possono superare lo scrutinio di costituzionalita' in relazione a questa norma costituzionale solo le disposizioni le quali siano effettivamente adeguate rispetto al fine perseguito e - soprattutto - proporzionate rispetto ad esso, nel senso che devono rappresentare il modo di raggiungere lo specifico obiettivo di tutela della concorrenza individuato dalla legge statale meno invasivo per l'autonomia regionale. Cio' e' evidentemente basato sul rilievo, esplicitato anche dalla citata sent. n. 272 del 2004, della circostanza secondo la quale la potesta' legislativa statale in materia di «tutela della concorrenza» si svolge in un ambito altrimenti affidato alla legislazione regionale residuale, di talche' - per essere conforme a Costituzione - deve risultare quanto piu' contenuta possibile nell'imporre limiti e vincoli al legislatore regionale (in questo senso si e' espressa anche la sent. n. 452 del 2007, par. 4 del Considerato in diritto, laddove ha affermato «che le materie di competenza esclusiva e nel contempo "trasversali" dello Stato, come quella concernente la tutela della concorrenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, possono intersecare qualsivoglia titolo di competenza legislativa regionale, seppur nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi cui esse sono preposte»). In sintesi, per valutare se la normativa statale superi o meno il test di proporzionalita', sara' necessario chiedersi se esiste la possibilita' di una regolazione diversa e meno invasiva per l'autonomia regionale, la quale raggiunga i medesimi scopi di tutela della concorrenza perseguiti con la disciplina oggetto del giudizio. 7.3. - Nel caso di specie, e' agevole rendersi conto che la normativa impugnata non rispetta il parametro della «proporzionalita'» della disciplina. Sul punto e' possibile osservare quanto segue. L'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, come modificato dall'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, prevede la possibilita' di far ricorso al c.d. «affidamento in house» soltanto in presenza di specifiche condizioni analiticamente determinate dalla medesima disposizione e con assolvimento di specifici oneri procedimentali. La Regione ricorrente non intende sostenere che lo standard di tutela della concorrenza, in riferimento ai servizi pubblici a rilevanza economica, sarebbe ugualmente tutelato ove la scelta a favore dell'«in house providing» fosse del tutto libera per l'ente locale. Cio' che si intende dimostrare, invece, e' che lo standard di tutela garantito dalla presente normativa sarebbe ugualmente garantito da una disciplina meno invasiva delle competenze regionali, che non contenga una specifica indicazione delle condizioni che giustificano l'affidamento «in house». E' ben noto, infatti, che la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea ha ritenuto che «gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, nonche' i principi di parita' di trattamento, di non discriminazione sulla base della nazionalita' e di trasparenza non ostano ad una disciplina nazionale che consente ad un ente pubblico di affidare un servizio pubblico direttamente ad una societa' della quale esso detiene l'intero capitale, a condizione che l'ente pubblico eserciti su tale societa' un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la societa' realizzi la parte piu' importante della propria attivita' con l'ente che la detiene» (sent. 6 aprile 2006, in causa C-410/04, par. 33). In conseguenza, «non occorre applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici o di concessioni di pubblici servizi nel caso in cui un'autorita' pubblica svolga i compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza far ricorso ad entita' esterne (v., in questo senso, sentenza Stadt Halle et RPL Lochau, cit., punto 48)». (sent. in causa C-458/03, Parking Brixen, par. 61). E' vero che la menzionata giurisprudenza comunitaria ha precisato anche che la scelta orientata nel senso dell'«in house providing» non puo' considerarsi del tutto libera, potendosi piuttosto percorrere solo quando sussistano delle condizioni che la giustificano in concreto (sent. in causa C-458/03, Parking Brixen, par. 63; sent. 6 aprile 2006, in causa C-410/04, par. 26). E' altrettanto vero, pero', che la medesima giurisprudenza ha ritenuto non contrastante con il diritto comunitario, e con l'esigenza di tutelare la concorrenza, la disciplina nazionale italiana previgente rispetto a quella oggi in discussione, la quale non individuava specificamente le ipotesi e i casi in cui si doveva eccezionalmente ritenere ammissibile il ricorso all'affidamento «in house» (sent. 6 aprile 2006, in causa C-410/04). Da questa premessa e' agevole desumere la conseguenza, nel senso piu' sopra indicato. La disciplina previgente, che non conteneva le indicazioni suddette, era assolutamente in grado di tutelare adeguatamente la concorrenza, arrecando pero' un vulnus di minore entita' alla potesta' legislativa regionale residuale. Nel caso delle norme impugnate, dunque, non puo' ritenersi affatto sperato il test di proporzionalita' richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte per la legittimita' costituzionale delle norme legislative statali poste a tutela della concorrenza. Tale conclusione e' avvalorata anche da un concorrente argomento, offerto dalla stessa normativa impugnata. L'art. 15, comma 1, oggetto del presente giudizio, nel sostituire (alla lett. d) il comma 8 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, prevede la cessazione «automatica» delle «gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta "in house"». Questa disposizione mostra con chiarezza che la disciplina statale qui contestata va ben oltre, nel comprimere le possibilita' a disposizione del legislatore regionale e degli enti locali, di quanto richiesto dalla tutela della concorrenza. Come si ricordava piu' sopra, il diritto comunitario non consente che gli enti locali dispongano ad libitum l'affidamento «in house», viceversa, esige che a questo strumento possano far ricorso solo in peculiari circostanze. La normativa statale, invece, disciplinando piu' analiticamente questa eventualita', esclude la legittimita' della scelta dell'in house providing in situazioni compatibili con la tutela della concorrenza, in quanto conformi al diritto comunitario. E' dunque chiaro che la normativa impugnata con il presente ricorso, ponendo in essere precetti non necessari al fine di garantire la tutela della concorrenza, non supera il test di proporzionalita' e deve essere, dunque, dichiarata costituzionalmente illegittima. 7.4. - L'art. 15, comma 1, del d.l. n. 135 del 2009, viola i parametri di «generalita'» e «proporzionalita'» sopra illustrati anche nella parte in cui, sostituendo il comma 8 dell'art. 23-bis del d.lgs. n. 112 del 2008, prevede quanto segue: «a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta «in house» cessano, improrogabilmente e senza necessita' di deliberazione da parte dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso le modalita' di cui alla lettera b) del comma 2; b) le gestioni affidate direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011; c) le gestioni affidate direttamente a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio; d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a societa' a partecipazione pubblica gia' quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015; e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante». E' infatti del tutto evidente che, come nella sent. n. 272 del 2004 questa Corte ha ritenuto di dover dichiarare l'incostituzionalita' di parte della normativa allora oggetto del giudizio a causa dell'«estremo dettaglio nella indicazione dei criteri» di affidamento che la caratterizzava (par. 3 del Considerato in diritto), allo stesso modo deve concludersi nella presente circostanza, visto l'«estremo dettaglio» nella indicazione dei tempi e delle modalita' di cessazione delle presenti gestioni pure conformi alla disciplina in house posta dal diritto comunitario. Anche il parametro di «proporzionalita'» risulta violato dalla disciplina transitoria appena citata. Il fine da essa perseguito e' evidentemente quello di garantire effettivita' e tempestivita' all'entrata a regime della nuova normativa introdotta. Per raggiungere questo fine, tuttavia, non era affatto necessario comprimere i poteri decisionali delle Regioni e degli enti locali nel modo in cui li comprime l'art. 15 del d.l. n. 135 del 2008. Sarebbe risultata piu' che sufficiente, infatti, una normativa che prevedesse uno spettro di date entro il quale le singole Regioni potessero compiere le proprie scelte, ovvero un meccanismo di adeguamento progressivo ai nuovi standard. In sintesi, anche in questo caso, la pervasivita' della normativa statale impugnata non era affatto necessaria a garantire lo standard di tutela della concorrenza perseguito. Di conseguenza, il test di proporzionalita' non e' superato, e la disciplina in questione deve considerarsi costituzionalmente illegittima, ovviamente sempre per la sola parte in cui essa si applica al servizio idrico integrato come da delibera autorizzativa all'impugnazione adottata dalla Giunta regionale della Regione Marche. 7.5. - Anche in relazione alla censura proposta nel presente motivo, occorre fare riferimento all'ipotesi di un'interpretazione secondo Costituzione delle disposizioni impugnate (v. precedente paragrafo 5.6). La Regione ricorrente, con la presente censura, intende infatti porre in rilievo che - anche ove le precedenti questioni fossero ritenute infondate - i commi 1 e 1-ter dell'art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, sarebbero da considerare costituzionalmente illegittimi in quanto, regolando il servizio idrico integrato, ed imponendo una strutturazione del medesimo come servizio necessariamente a rilevanza economica, costituirebbero una normativa giustificabile esclusivamente in base al titolo competenziale di cui all'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., ma come tale esorbitante rispetto ai limiti che questa disposizione costituzionale pone alla legge statale ogni qualvolta essa intervenga in materie regionali. La presente censura (a differenza dei precedenti motivi) sarebbe quindi ammissibile anche ove questa Corte ritenesse di aderire all'interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni impugnate (nel senso che l'art. 15, comma 1-ter, lascerebbe del tutto impregiudicata la questione della conformazione del servizio idrico integrato quale servizio avente o non avente rilevanza economica). Infatti, nel caso in cui si ritenesse di accogliere la suddetta interpretazione restrittiva della normativa impugnata, le norme oggetto della presente questione di legittimita' costituzionale disciplinerebbero comunque nel dettaglio, e ben oltre i limiti che pone l'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., l'affidamento del servizio idrico integrato che fosse stato conformato - dalla potesta' regolamentare locale, ovvero dalla legislazione regionale - in modo tale da far assumere al medesimo rilevanza economica. In altre parole, l'interpretazione secondo la quale le norme impugnate non pregiudicano la spettanza locale (o regionale) della conformazione del servizio quale avente o non avente rilevanza economica, se determina la conseguenza di far cadere le prime due questioni di legittimita' costituzionale proposte dalla Regione ricorrente, non ha il medesimo effetto su questa terza questione. In ogni caso, infatti, la disciplina qui contestata e' troppo pervasiva, inadeguata e sproporzionata rispetto ai limiti posti dalla Costituzione al titolo di intervento statale «tutela della concorrenza», e per questa ragione, conformemente agli orientamenti gia' espressi da questa Corte, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima. 8. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15, commi 1 e 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 119, comma 6, Cost., il quale prevede che «i Comuni, le Province, le Citta' metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato». 8.1. - L'art. 119, sesto comma, della Costituzione stabilisce espressamente, nella sua prima proposizione, che «i Comuni, le Province, le Citta' metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato». Tale disposizione contiene due norme distinte: la prima, che «impone» la dotazione di un determinato patrimonio («proprio») in capo ai Comuni, alle Province, alle Citta' metropolitane e alle Regioni e che, pertanto, da questo punto di vista, costituisce il fondamento costituzionale esplicito della proprieta' pubblica degli enti locali territoriali e delle Regioni; la seconda, che stabilisce - quale unico limite della suddetta dotazione patrimoniale - che la sola «attribuzione» dei relativi beni debba avvenire sulla base di «principi generali» fissati dal legislatore statale, con cio' individuando a favore della legge dello Stato uno specifico ed ulteriore titolo competenziale rispetto a quelli previsti nell'art. 117, secondo e terzo comma, Cost. Da queste norme si ricavano con certezza le seguenti implicazioni: a) che la proprieta' pubblica regionale e locale ha uno specifico fondamento costituzionale e, pertanto, partecipa a pieno titolo alla definizione delle sfere di autonomia costituzionalmente garantita dei rispettivi enti, risultando «imposto» al legislatore statale l'obbligo di prevedere l'attribuzione a tali enti di un proprio patrimonio; b) che una volta avvenuta l'attribuzione del patrimonio alla proprieta' delle Regioni e degli enti locali territoriali, secondo i principi generali fissati dalla legge dello Stato, tale proprieta' pubblica deve considerarsi naturalmente assoggettata al regime giuridico del demanio e del patrimonio indisponibile o disponibile sulla base delle ordinarie norme del codice civile (in specie, degli artt. 823, 824, 826, 828 e 829); c) che al legislatore statale la Costituzione riconosce titoli di legittimazione per la sola disciplina dei «principi generali» per l'attribuzione di tali beni e per il relativo regime giuridico, riconducibile alla materia «ordinamento civile», nel quale e' senza dubbio ricompresa la regolazione dei limiti e delle modalita' di alienazione dei suddetti beni nelle forme negoziali, ma non certo il potere di disciplinare la sottrazione dei medesimi al patrimonio delle autonomie territoriali. Nel quadro normativo costituzionale appena illustrato, devono essere considerate le norme contenute nel d.lgs. n. 152 del 2006, le quali individuano il regime proprietario delle risorse e delle infrastrutture idriche. Si tratta, in particolare, degli artt. 143 e 144 del citato d.lgs. In base al comma 1 di quest'ultima disposizione (rubricata «Tutela e uso delle risorse idriche»), «tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorche' non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato». In base al comma 1 dell'art. 143 (rubricato «Proprieta' delle infrastrutture»), «gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprieta' pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge». Da tali proposizioni normative si deduce, in termini inequivoci, che mentre tutte le risorse idriche debbono considerarsi di proprieta' dello Stato e facenti parte del demanio statale necessario di cui al comma 1 dell'art. 822 del codice civile, le infrastrutture idriche possono essere di proprieta' pubblica di tutti gli enti territoriali e, qualora lo siano in concreto, appartengono al demanio eventuale dello Stato, delle Regioni o degli enti locali ai sensi degli artt. 822, comma 2, e 824, comma 1, del codice civile, risultando percio' assoggettati al regime giuridico stabilito dall'art. 823 anche per quanto concerne la loro tutela. A queste norme debbono poi essere aggiunte anche quelle contenute nell'art. 153, comma 1, e nell'art. 151, comma 2, lett. m), del d.lgs. n. 152 del 2006. La prima disposizione stabilisce che «le infrastrutture idriche di proprieta' degli enti locali ai sensi dell'articolo 143 sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare», con cio' sancendo la natura di «concessione traslativa a titolo gratuito» del titolo giuridico in base al quale l'uso dei beni in questione, di proprieta' degli enti locali, deve necessariamente essere «trasferito» al soggetto che assume la gestione del servizio. La seconda disposizione completa il quadro, prevedendo «l'obbligo di restituzione, alla scadenza dell'affidamento, delle opere, degli impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione». 8.2. - Le norme qui censurate e, in particolare, l'art. 15, comma 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009 (cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 166 del 2009), si limitano a prevedere il «rispetto» del «principio» «di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche», senza assicurare in alcun modo la salvaguardia, ne' sotto il profilo formale ne' sotto il profilo sostanziale, della proprieta' pubblica delle «infrastrutture idriche», le quali - come risulta testualmente dal citato art. 143, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 - ben possono essere di proprieta' delle Regioni e degli enti locali ed essere, per cio' stesso, assoggettate al regime del demanio regionale o locale che l'art. 119, comma 6, Cost. riconosce e garantisce anche (e soprattutto) - come si e' detto - nei confronti dello stesso legislatore statale. Cio' da' luogo a due distinte ed autonome questioni di legittimita' costituzionale. 8.2.1. - Da un primo punto di vista, seguendo l'opzione interpretativa su cui si sono costruite le censure di cui ai precedenti parr. 5 e 6, e' del tutto evidente che la normativa impugnata, imponendo agli enti locali di conformare necessariamente il servizio idrico integrato come servizio a rilevanza economica e, su questa base, rendendone obbligatorio l'affidamento della relativa gestione (infrastrutture comprese) a soggetti privati, ponendo altresi' una clausola di salvaguardia a tutela della «piena ed esclusiva proprieta' pubblica» a favore delle sole risorse idriche appartenenti al demanio statale, determina il sostanziale «svuotamento» della proprieta' pubblica dei beni appartenenti al demanio idrico regionale e locale, beni che risulteranno, per espresso disposto del richiamato art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, necessariamente e ope legis «affidati in concessione d'uso gratuita» al gestore privato del servizio idrico integrato, in palese violazione di quanto disposto dall'art. 119, comma 6, Cost. E la conferma della correttezza di una simile lettura del dato normativo e' rappresentata proprio dalla menzionata clausola di salvaguardia della proprieta' pubblica delle risorse idriche che il legislatore statale ha avvertito la necessita' di introdurre e che, ovviamente, risulterebbe del tutto inutile qualora la disciplina impugnata non implicasse quella sostanziale «espropriazione» a favore dei privati dei beni appartenenti al demanio idrico. Da tutto cio' consegue, anche sotto il profilo della violazione dell'art. 119, comma 6, Cost., l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009 (cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 166 del 2009), nella parte in cui esso impone di conformare necessariamente il servizio idrico'integrato come servizio a rilevanza economica, rendendo obbligatoria la scelta di una delle forme di gestione di cui all'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008. 8.2.2. - La disposizione qui censurata, peraltro, si rivela in contrasto con l'art. 119, comma 6, Cost. anche da un secondo punto di vista. Infatti, anche a voler accedere a quell'interpretazione costituzionalmente orientata secondo la quale la disciplina in esame non imporrebbe affatto di conformare il servizio idrico integrato come servizio a rilevanza economica (con i relativi vincoli in ordine alle modalita' di gestione e al necessario affidamento a soggetti privati), la violazione della evocata norma costituzionale - posta a garanzia del patrimonio delle Regioni e degli enti locali territoriali - risulterebbe evidente per la mancata previsione di una specifica clausola di salvaguardia a favore della proprieta' pubblica delle infrastrutture idriche di cui le Regioni e gli enti locali siano in concreto titolari; clausola che, per essere effettiva e corrispondere alla norma costituzionale, non potrebbe limitarsi a fare salvo il solo profilo della titolarita' «formale» del bene, dovendo bensi' consistere nella previsione della necessita' del consenso esplicito, da parte dell'ente titolare della proprieta' delle infrastrutture interessate dal servizio idrico integrato, rispetto alla scelta concernente l'eventuale conformazione del servizio come servizio a rilevanza economica e il conseguente suo affidamento a soggetti privati. Da tutto cio' consegue l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009 (cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 166 del 2009), anche nella parte in cui si limita a prevedere il «rispetto» del «principio» «di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche», senza garantire, altresi', la salvaguardia della proprieta' pubblica regionale e locale delle «infrastrutture idriche», cosi' come individuate nell'art. 143, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, attraverso la previsione della necessita' del consenso esplicito, da parte dell'ente titolare della proprieta' delle infrastrutture interessate dal servizio idrico integrato, rispetto alla scelta concernente l'eventuale conformazione del servizio come servizio a rilevanza economica e il conseguente suo affidamento a soggetti privati. 9. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15, commi 1 e 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., il quale prevede che la potesta' legislativa sia esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto «dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario». 9.1. - L'articolo 15, commi 1 e 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, nella misura in cui impone la conformazione del servizio idrico integrato come servizio a rilevanza economica, con la conseguente applicazione dei principi del mercato interno e delle norme nazionali che attuano questi principi, e' inoltre incostituzionale per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., poiche' esso determina la violazione di quelle peculiari norme poste dal diritto comunitario in relazione ai servizi di interesse generale. Al riguardo, devono essere evocati, innanzi tutto, gli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (gia' artt. 16 e 86 del Trattato CE). Secondo la prima di queste due disposizioni, «fatti salvi l'articolo 4 del trattato sull'Unione europea e gli articoli 93, 106 e 107 del presente trattato, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonche' del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinche' tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti». La seconda, invece, al par. 2, dispone quanto segue: «Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell'Unione».Da quanto precede risulta con chiarezza che, per perseguire gli obiettivi di coesione e solidarieta' sociali, fatti propri anche dall'Unione europea, il diritto di questo ordinamento esclude che ai servizi di interesse generale debbano senz'altro applicarsi le norme del mercato interno. Viceversa, del tutto prioritario rispetto alla applicazione delle norme del mercato interno, e' che i servizi di interesse generale siano effettuati in modo tale da raggiungere i risultati che con i medesimi ci si prefigge. In particolare, l'art. 106 sopra citato evidenzia poi come le circostanze che determinano la possibilita' che le norme pro concorrenziali del mercato interno pregiudichino il raggiungimento degli obiettivi di coesione sociale sottostanti al servizio di interesse generale possono essere sia di diritto, che di fatto: cio' mette bene in luce la assoluta predominanza, da un punto di vista assiologico, che nella materia considerata hanno gli obiettivi di coesione sociale sottostanti ai servizi di interesse generale: quali che siano le cause che impediscono al sistema concorrenziale di mercato di raggiungere in modo soddisfacente e generalizzato questi obiettivi, siano esse di diritto o di fatto, non devono essere applicate le norme del mercato interno a questi servizi. La eccezionalita' del trattamento giuridico dei servizi di interesse generale e' confermata anche dalla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni - Libro bianco sui servizi di interesse generale - COM (2004) 374. In questo documento, infatti, si evidenzia che «i servizi di interesse economico generale non sono soggetti alla applicazione delle norme del Trattato nella misura in cui cio' risulti necessario per consentire di adempiere il loro compito di interesse generale», il quale dunque «prevale (...) sull'applicazione delle norme del Trattato». 9.2. - Il servizio idrico integrato del quale in questa sede si discute e' senz'altro annoverabile trai servizi di interesse generale. A questa conclusione si giunge agevolmente ove si consideri, tra l'altro, la essenzialita' di questo servizio per la stessa vita umana, e la Risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2006, che dichiara l'acqua «bene comune dell'umanita'». Del resto, cio' risulta esplicitamente dal gia' citato Libro bianco della Commissione sui servizi di interesse generale, nel quale, al par. 3.4, si menziona esplicitamente il servizio idrico tra i servizi di interesse generale. 9.3. - E' del tutto evidente che la disciplina in questa sede impugnata contrasta con le norme del diritto comunitario sopra richiamate, e dunque con l'art. 117, primo comma, Cost. Ovviamente la Regione ricorrente non sostiene che, senz'altro, il servizio idrico integrato debba essere svolto in forme che prescindono dalle norme proconcorrenziali del mercato interno. In determinate circostanze, sara' ben possibile che gli obiettivi di coesione sociale connessi al medesimo siano efficacemente raggiunti anche in un sistema imperniato su tali norme. Cio' che nel presente ricorso si contesta, invece, e' che le norme impugnate, conformando il servizio idrico come servizio necessariamente a rilevanza economica, abbiano imposto la applicazione delle regole del mercato interno in via generale per tutto il territorio nazionale, prescindendo del tutto dalle diverse condizioni e circostanze che nelle diverse realta' possono ravvisarsi. Particolare rilievo assume, da questo punto di vista, l'art. 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il quale - come si e' gia' avuto modo di evidenziare - afferma che le ragioni che determinano il «fallimento del mercato» possono essere anche di carattere fattuale. E' del tutto ovvio che queste ragioni, di carattere fattuale, possono sussistere in alcune zone e non in altre. Cio' che risulta precluso dal diritto comunitario, dunque, non e' la scelta di un determinato modello per la conformazione dei servizi di interesse generale, ma la adozione di decisioni generalizzate che non siano in grado di tenere conto delle peculiarita' in cui i servizi devono essere svolti. Cio' risulta anche dal richiamato Libro bianco della Commissione europea sui servizi di interesse generale, ove, al par. 4.3 si afferma che «le autorita' pubbliche competenti degli Stati membri sono sostanzialmente libere di decidere se fornire in prima persona un servizio di interesse generale o se affidare tale compito ad un altro ente (pubblico o privato)». Questo approccio sostiene anche la Risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2006, la quale ritiene che la gestione delle risorse idriche debba basarsi «su un'impostazione partecipativa e integrata che coinvolga gli utenti e i responsabili decisionali nella definizione delle politiche in materia di acqua a livello locale e in modo democratico», evidenziando anche come il ruolo fondamentale in relazione alla gestione delle risorse idriche debba riconoscersi alle autorita' locali. In sintesi, la normativa impugnata con il presente ricorso viola i richiamati principi comunitari, e dunque l'art. 117, primo comma, Cost., perche' costituisce una decisione generalizzata e vincolante circa la conformazione del servizio idrico integrato nel senso della sua soggezione alle norme del mercato interno, impedendo in tal modo che la scelta su tale ultimo punto sia effettivamente adeguata alle circostanze di diritto, ma soprattutto di fatto, che caratterizzano le diverse realta' in cui il servizio e' chiamato ad esplicarsi e non consentendo, quindi, di raggiungere i fini di coesione sociale ad esso sottesi. Puo' inoltre essere evidenziato come la tendenza che matura nel contesto delle istituzioni comunitarie sia esattamente opposta rispetto all'indirizzo del legislatore italiano. A questo riguardo, e' assolutamente significativa la Risoluzione dell'1l marzo 2004 del Parlamento europeo, la quale afferma che «essendo l'acqua un bene comune dell'umanita', la gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle norme del mercato interno». Se dunque nel diritto comunitario vigente esiste inequivocabilmente il principio che subordina l'applicazione delle norme del mercato interno alla compatibilita', da valutare caso per caso anche in relazione alle circostanze di fatto, con il raggiungimento dei fini di coesione sociale, la linea che emerge dall'atto appena citato approfondisce questa logica, sostenendo addirittura il divieto dell'applicazione delle norme del mercato interno. In base alle sopra esposte argomentazioni, la Regione ricorrente ritiene che debba essere riconosciuta, anche eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia CE al fine di acquisire l'interpretazione autentica del diritto comunitario vigente, l'illegittimita' costituzionale, sotto il profilo della violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., di una normativa statale che limiti (fino sostanzialmente ad azzerarlo) il potere di scelta degli enti piu' vicini ai cittadini circa la modalita' di gestione del servizio idrico integrato costituita dal c.d. «in house providing» e che, comunque, sottragga a tali enti - avocandola, una volta per tutte, allo Stato - la decisione circa la conformazione del suddetto servizio, configurandolo necessariamente come attivita' a rilevanza economica ed imponendo, dunque, la applicazione delle norme pro concorrenziali del mercato interno. E' peraltro evidente che tale questione di legittimita' costituzionale risulterebbe svuotata del suo significato ove questa Corte si risolvesse ad interpretare le disposizioni impugnate nel senso di ritenerle applicabili soltanto nel caso in cui sia stata compiuta l'opzione (affidata alla libera determinazione degli enti titolari dell'erogazione del servizio idrico integrato) a favore della conformazione del servizio come servizio a rilevanza economica, senza pregiudicare dunque tale scelta, secondo quanto ipotizzato nel presente ricorso (par. 5.6).
P.Q.M. La Regione Marche chiede, in accoglimento del presente ricorso, che sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 15, commi 1 e 1-ter, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee), cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 20 novembre 2009, n. 166, nella parte in cui le citate disposizioni si applicano al servizio idrico integrato, nei termini sopra esposti. Roma, addi' 20 gennaio 2010 Avv. Grassi