RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 gennaio 2010 , n. 15
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 29 gennaio 2010 (della Regione Marche). 
 
 
(GU n. 10 del 10-3-2010) 
 
 
    Ricorso della Regione  Marche,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore della Giunta regionale, a cio' autorizzato con  deliberazione
della Giunta regionale n. 2261 del 28 dicembre 2009, rappresentato  e
difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi  ed  elettivamente  domiciliato
presso lo studio di quest'ultimo in Roma, piazza Barberini  12,  come
da procura speciale per atto del notaio Sabatini di Ancona,  n.  rep.
50.361 del 18 gennaio 2010 contro lo Stato, in persona del Presidente
del Consiglio dei  ministri  pro  tempore  per  la  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale in parte qua dell'articolo 15, commi  1
e 1-ter, del decreto-legge 25 settembre 2009,  n.  135  (Disposizioni
urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di
sentenze della Corte di giustizia  delle  Comunita'  europee),  cosi'
come convertito in legge, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge 20 novembre  2009,  n.  166,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale 24 novembre 2009, n. 274,  S.O.,  nella  parte  in  cui  le
citate disposizioni si applicano al servizio  idrico  integrato,  per
violazione degli articoli 117, commi 1, 4 e 6, e 119, comma 6,  della
Costituzione. 
    1. - Il decreto-legge 25 settembre 2009, n.  135,  convertito  in
legge, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della  legge  20
novembre 2009,  n.  166,  ha  introdotto  «Disposizioni  urgenti  per
l'attuazione di obblighi comunitari e per  l'esecuzione  di  sentenze
della Corte di giustizia delle Comunita' europee». 
    L'art. 15 di questo atto normativo - rubricato «Adeguamento  alla
disciplina comunitaria in  materia  di  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica» - ha apportato importanti modifiche all'articolo
23-bis  del  d.l.  25  giugno   2008,   n.   112,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133  (disposizione  che
reca norme  concernenti  l'affidamento  e  la  gestione  dei  servizi
pubblici  locali  di  rilevanza  economica,  «in  applicazione  della
disciplina comunitaria e al fine di favorire la piu' ampia diffusione
dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di  libera
prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici  interessati
alla gestione di servizi di  interesse  generale  in  ambito  locale,
nonche'  di  garantire  il  diritto  di   tutti   gli   utenti   alla
universalita' ed accessibilita' dei servizi  pubblici  locali  ed  al
livello essenziale delle prestazioni,  ai  sensi  dell'articolo  117,
secondo comma, lettere e) e m), della  Costituzione,  assicurando  un
adeguato livello di  tutela  degli  utenti,  secondo  i  principi  di
sussidiarieta', proporzionalita' e leale cooperazione»). 
    2. - Il comma 2 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008,  cosi'
come risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 15, comma 1, del
d.l. n. 135 del 2009, che qui si impugna, dispone che il conferimento
della gestione dei servizi pubblici  locali  cui  esso  si  riferisce
avvenga,  «in  via  ordinaria»,  alternativamente  o  «a  favore   di
imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite  individuati
mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei
principi del Trattato che  istituisce  la  Comunita'  europea  e  dei
principi generali relativi ai contratti pubblici e,  in  particolare,
dei principi di economicita', efficacia, imparzialita',  trasparenza,
adeguata pubblicita', non discriminazione,  parita'  di  trattamento,
mutuo riconoscimento e proporzionalita'» (art. 23-bis, comma 2, lett.
a); ovvero «a societa' a partecipazione mista pubblica e  privata,  a
condizione che la selezione  del  socio  avvenga  mediante  procedure
competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei  principi  di  cui
alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto,  al  tempo  stesso,  la
qualita' di socio e  l'attribuzione  di  pecifici  compiti  operativi
connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una
partecipazione non inferiore al 40 per cento» (art. 23-bis, comma  2,
lett. b). 
    A fianco delle possibilita' menzionate - alle  quali,  come  gia'
evidenziato, si deve far ricorso «in via  ordinaria»  -  il  comma  3
dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (sempre come  risultante  a
seguito delle modifiche introdotte dalla disposizione che si contesta
in questa sede) prevede la possibilita' di conferire la  gestione  di
servizi pubblici locali con  modalita'  derogatorie,  alle  quali  e'
possibile far ricorso soltanto «per  situazioni  eccezionali  che,  a
causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali  e
geomorfologiche  del  contesto  territoriale  di   riferimento,   non
permettono un efficace e utile ricorso al mercato». 
    In  tali  circostanze,  secondo  la  disposizione  in  questione,
«l'affidamento  puo'  avvenire  a  favore  di  societa'  a   capitale
interamente pubblico,  partecipata  dall'ente  locale,  che  abbia  i
requisiti richiesti  dall'ordinamento  comunitario  per  la  gestione
cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto  dei  principi  della
disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla societa'
e di prevalenza dell'attivita' svolta dalla stessa con l'ente  o  gli
enti pubblici che la controllano». 
    Ove  l'affidamento  avvenga  secondo  le  modalita'   derogatorie
previste dal citato comma 3,  il  successivo  comma  4  del  medesimo
articolo prevede, nel testo oggi vigente, che l'ente affidante debba:
a) «dare adeguata pubblicita' alla scelta,  motivandola  in  base  ad
un'analisi  del  mercato»;  b)   «contestualmente   trasmettere   una
relazione contenente gli esiti della predetta verifica  all'Autorita'
garante della concorrenza e  del  mercato  per  l'espressione  di  un
parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni  dalla  ricezione
della predetta relazione». Il parere - precisa inoltre la norma - «si
intende espresso in senso favorevole» ove non  sia  reso  entro  tale
termine. 
    3. - La disciplina cosi' richiamata si  applica  anche  a  quello
specifico  servizio  pubblico  locale  che  e'  il  servizio   idrico
integrato, come risulta sia da alcune disposizioni gia' presenti  nel
testo del citato art. 23-bis, in vigore  prima  delle  modifiche  qui
contestate, sia - piu' specificamente - dall'art.  15,  comma  1-ter,
del d.l. n. 135 del 2009, anch'esso impugnato  mediante  il  presente
ricorso. 
    Quanto alle prime, e' possibile citare: i) l'art.  23-bis,  comma
10, lett. d), ai  sensi  del  quale  il  Governo  era  incaricato  di
adottare uno  o  piu'  regolamenti  di  delegificazione  al  fine  di
«armonizzare la nuova disciplina e quella di settore  applicabile  ai
diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in
via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali  di
rilevanza  economica  in  materia  di  rifiuti,  trasporti,   energia
elettrica e gas, nonche' in materia di  acqua»;  ii)  l'art.  23-bis,
comma 10, lett. e) - disposizione, quest'ultima, non piu'  vigente  -
in forza del  quale,  sempre  mediante  regolamento  governativo,  si
doveva procedere a «disciplinare, per i  settori  diversi  da  quello
idrico, fermo restando il limite massimo  stabilito  dall'ordinamento
di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con
procedure diverse dall'evidenza pubblica o da quella di cui al  comma
3, la fase transitoria, ai fini del  progressivo  allineamento  delle
gestioni in essere alle disposizioni di  cui  al  presente  articolo,
prevedendo tempi differenziati  e  che  gli  affidamenti  diretti  in
essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni  proroga
o rinnovo». 
    L'art. 15, comma 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, prevede  invece
che «tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico
integrato di cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n.  112
del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008,
devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del
soggetto gestore e di piena ed esclusiva  proprieta'  pubblica  delle
risorse  idriche,  il  cui   governo   spetta   esclusivamente   alle
istituzioni pubbliche, in  particolare  in  ordine  alla  qualita'  e
prezzo del servizio, in conformita' a  quanto  previsto  dal  decreto
legislativo 3  aprile  2006,  n.  152,  garantendo  il  diritto  alla
universalita' ed accessibilita' del servizio». 
    4. -  La  Regione  Marche,  con  la  deliberazione  della  Giunta
indicata in epigrafe, ha espresso la volonta' di impugnare davanti  a
questa Corte l'art. 15, commi 1 e 1-ter, del d.l. n.  135  del  2009,
cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma
1, della legge 20 novembre 2009, n. 166, nella parte in cui le citate
disposizioni si applicano al servizio  idrico  integrato,  risultando
costituzionalmente  illegittime  e  lesive  dell'autonomia   che   la
Costituzione riconosce e garantisce alla stessa  Regione  ricorrente,
per le seguenti ragioni di 
 
                            D i r i t t o 
 
    5. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15,  commi  1  e
1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 117,  sesto
comma, Cost., il quale attribuisce agli enti locali  territoriali  la
potesta' regolamentare «in ordine alla disciplina dell'organizzazione
e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite». 
    5.1.  -  Le  disposizioni  impugnate  disciplinano  le  modalita'
tramite le quali devono essere  necessariamente  affidati  i  servizi
pubblici locali che abbiano rilevanza economica. 
    In particolare, si e' evidenziato come tali modalita' contemplano
il c.d. «affidamento in house» soltanto  quale  ipotesi  eccezionale,
della quale avvalersi in presenza di circostanze peculiari le  quali,
a  causa  di  particolari   «caratteristiche   economiche,   sociali,
ambientali   e   geomorfologiche   del   contesto   territoriale   di
riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al  mercato».
Solo in questi casi sara' quindi possibile far ricorso  all'in  house
providing,  non  peraltro  senza   adempiere   ad   alcuni   obblighi
procedimentali, e cioe': a) «dare adeguata pubblicita'  alla  scelta,
motivandola in base ad un'analisi del mercato»;  b)  «contestualmente
trasmettere  una  relazione  contenente  gli  esiti  della   predetta
verifica all'Autorita' garante della concorrenza e  del  mercato  per
l'espressione di un parere  preventivo,  da  rendere  entro  sessanta
giorni dalla ricezione della predetta relazione». 
    In questo  contesto,  una  importanza  centrale  e'  assunta  dal
secondo dei due commi qui impugnati dell'art. 15 del d.l. n. 135  del
2009,  ossia  il  comma  1-ter,  secondo  cui:  «Tutte  le  forme  di
affidamento della gestione  del  servizio  idrico  integrato  di  cui
all'articolo  23-bis  del  citato  decreto-legge  n.  112  del  2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133  del  2008,  devono
avvenire nel  rispetto  dei  principi  di  autonomia  gestionale  del
soggetto gestore e di piena ed esclusiva  proprieta'  pubblica  delle
risorse  idriche,  il  cui   governo   spetta   esclusivamente   alle
istituzioni pubbliche, in  particolare  in  ordine  alla  qualita'  e
prezzo del servizio, in conformita' a  quanto  previsto  dal  decreto
legislativo 3  aprile  2006,  n.  152,  garantendo  il  diritto  alla
universalita' ed accessibilita' del servizio». 
    Questa disposizione deve essere contestata per la  parte  in  cui
stabilisce obbligatoriamente che per la gestione del servizio  idrico
integrato sia scelta una delle forme di affidamento di cui  al  nuovo
art. 23-bis del d.l. n. 112 del 1998 (cosi' come convertito in legge,
con modificazioni, dalla legge n. 133  del  2008),  richiamate  nelle
pagine che precedono. La legge  statale  non  puo'  imporre,  in  via
generale  e  astratta,  ed  in  modo  del  tutto   inderogabile,   la
configurazione del servizio idrico integrato quale «servizio pubblico
locale avente rilevanza economica», con il  conseguente  obbligo  per
gli enti titolari della funzione di  conformare  scopi,  obiettivi  e
missioni  del  servizio   in   questione   al   perseguimento   della
remunerativita' del capitale investito o comunque della  redditivita'
per il soggetto gestore, escludendo la possibilita' di qualificare il
servizio  come  «servizio  pubblico  locale  non   avente   rilevanza
economica». Tale vincolo si pone in contrasto con l'art.  117,  sesto
comma,  Cost.,  nella  parte   in   cui   riconosce   la   competenza
regolamentare degli enti locali in  relazione  alla  «organizzazione»
delle funzioni ad essi attribuite. 
    5.2. - La censura presuppone una premessa sulla  possibilita'  di
qualificare  un  servizio  pubblico  locale  come  «avente  rilevanza
economica» ovvero come «non avente rilevanza economica». 
    Come hanno evidenziato con  ampiezza  di  argomentazioni  sia  la
dottrina  che  la  giurisprudenza  amministrativa,  la   nozione   di
«servizio a rilevanza economica» non puo' essere intesa quale nozione
volta a tracciare una  volta  per  tutte  una  linea  discretiva  tra
diversi  tipi  di  attivita',  alla  luce  di  una  supposta  «natura
ontologica»  della  medesima.  La   distinzione   e'   soltanto   una
«conseguenza del modello gestionale scelto  dall'amministrazione  per
la sua organizzazione»  (cfr.  R.  Chieppa,  V.  Lopilato,  Studi  di
diritto amministrativo, Milano, Giuffre', 2007, 756). 
    Nel nostro ordinamento la nozione di «attivita'  economica»  deve
essere ricostruita alla luce dell'art. 2082  del  codice  civile,  ai
sensi del  quale  «e'  imprenditore  chi  esercita  professionalmente
un'attivita' economica organizzata al fine della produzione  o  dello
scambio di beni o  servizi».  Come  e'  stato  osservato,  «e'  ormai
opinione comune quella che vuole il carattere dell'economicita' (...)
riferibile solo a quelle attivita' in grado  di  essere  condotte  in
modo  da  produrre  degli   utili   e   (...)   in   ultima   analisi
l'autosufficienza nel mercato». Da cio'  la  conclusione  cui  si  e'
fatto cenno, secondo la quale «la rilevanza  economica  del  servizio
pubblico locale deriverebbe dalla decisione  dell'ente  di  procedere
alla gestione dello stesso secondo modalita'  in  astratto  idonee  a
garantire le entrate necessarie per coprire  quantomeno  i  costi  di
produzione». Al contrario «la rilevanza  economica  andrebbe  esclusa
per quei servizi per i quali l'amministrazione intende assicurare  la
copertura  dei  costi  ricorrendo  alla  fiscalita'  generale  ovvero
applicando prezzi politici» (G. Piperata,  I  servizi  culturali  nel
nuovo   ordinamento   dei   servizi    degli    enti    locali,    in
www.astrid-online.it). 
    La stessa giurisprudenza amministrativa si e' orientata in questa
direzione, affermando che «debbono considerarsi  privi  di  rilevanza
economica (...) i servizi caratterizzati dall'assenza  di  uno  scopo
precipuamente lucrativo, dalla mancanza  di  assunzione  del  rischio
economico connesso alla specifica attivita', nonche'  dalla  presenza
di eventuali finanziamenti pubblici» (cosi', ad  es.,  T.A.R.  Lazio,
Roma, II, 6 maggio 2005, n. 3397). 
    Questa prospettiva e' stata accolta anche dalla giurisprudenza di
questa Corte (v. la sent. n. 272 del 2004, nella quale si afferma che
i servizi pubblici locali appariranno dotati, o, al contrario,  privi
di rilevanza economica)  «in  relazione  al  soggetto  erogatore,  ai
caratteri ed alle modalita' della prestazione, ai destinatari»  (par.
4 del Considerato in diritto). 
    La qualificazione di un servizio pubblico come servizio dotato  o
non dotato di rilevanza economica non  deriva  quindi  dai  caratteri
«naturali», intrinsechi a ciascuno di essi. La qualificazione e' mera
conseguenza della valutazione schiettamente politica che  l'organo  o
ente titolare del servizio ha effettuato sulle modalita' con le quali
esso debba essere organizzato e gestito  (scegliendo,  in  particolar
modo, se ci debba essere o meno uno scopo lucrativo per  il  soggetto
che lo svolge,  se  quest'ultimo  debba  assumere  o  meno  i  rischi
connessi  all'attivita',  e  se  debbano  essere  presenti   o   meno
finanziamenti pubblici nei confronti di detta attivita'). 
      
    5.3. - In questo senso qualunque servizio  pubblico  locale  puo'
essere qualificato sia come avente rilevanza economica sia come privo
della medesima. A questo fine sara' sufficiente, per l'ente  titolare
del servizio, conformare in un senso  o  nell'altro  i  suoi  aspetti
organizzativi e gestionali. 
    Se per  l'ordinamento  comunitario  la  distinzione  tra  servizi
aventi rilevanza economica e servizi non aventi  rilevanza  economica
conta  essenzialmente  ai  fini  dell'applicazione  delle  norme  pro
concorrenziali, nell'ambito dell'ordinamento costituzionale  italiano
essa  si  carica  di  un  ulteriore  aspetto,  peraltro  connesso   a
quest'ultimo. Come la giurisprudenza di questa Corte ha  in  piu'  di
una occasione evidenziato, la qualificazione di un servizio  pubblico
locale come servizio «a rilevanza economica» comporta inevitabilmente
la sua soggezione alle regole poste dallo  Stato  in  funzione  della
«tutela della concorrenza», ai sensi dell'art.  117,  secondo  comma,
lett.  e),  Cost.,  sempreche'  -  ovviamente  -  esse  siano   state
legittimamente dettate alla luce  dello  «statuto»  che  la  medesima
giurisprudenza ha individuato  per  l'esercizio  di  questa  potesta'
legislativa  statale  (ancorandolo,  in  particolare,   al   rigoroso
rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalita'  rispetto  ai
fini pro concorrenziali  concretamente  perseguiti:  si  vedano,  per
tutte, le sentenze nn. 272 del 2004, 175 del 2005, 80 del 2006,  401,
430, 431, 443 e 452 del 2007). Viceversa, al di  fuori  di  cio'  che
puo' essere disciplinato in forza del menzionato titolo di intervento
legislativo, allo Stato difetta  la  competenza  a  dettare,  in  via
generale, norme concernenti i servizi pubblici locali, giacche'  tale
«materia»  deve  essere  considerata  riconducibile   alla   potesta'
legislativa residuale regionale (si veda, sul punto,  il  consolidato
orientamento di questa Corte espresso  nelle  sentenze  nn.  272  del
2004, 29 del 2006, 38 del 2007 e 307 del 2009). 
      
    La   disposizione   impugnata   si   collega   al   tema    della
assoggettabilita' di determinati servizi pubblici locali  alle  norme
poste dallo Stato a tutela della concorrenza, ma stabilisce una norma
che interviene su un presupposto decisivo e  distinto  rispetto  alle
regole  concorrenziali.  Infatti   la   norma   impugnata   determina
l'allocazione della competenza circa la decisione di conformare  come
«avente rilevanza economica» o come «non avente rilevanza  economica»
un  determinato  servizio  pubblico  locale.  Decisione  dalla  quale
discendono importanti conseguenze circa  il  riparto  della  funzione
normativa tra i  diversi  enti  che  «costituiscono»  la  Repubblica,
poiche', come questa Corte  ha  avuto  modo  di  evidenziare  gia'  a
partire dalla sent. n. 272 del 2004, per quei servizi  che  «appaiono
privi di «rilevanza  economica»,  ci  sara'  dunque  spazio  per  una
specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche  locale»
(par. 4 del Considerato in diritto). 
    La decisione, adottata mediante la normativa  qui  impugnata,  in
quanto rende  obbligatoria  la  qualificazione  del  servizio  idrico
integrato   come   servizio   «avente   rilevanza    economica»,    e
conseguentemente il suo affidamento mediante le  forme  previste  dal
vigente testo dell'art. 23-bis  del  d.l.  n.  112  del  2008,  viola
evidentemente l'art. 117, sesto comma, Cost., il quale dispone che «i
Comuni,  le  Province  e  le  Citta'  metropolitane  hanno   potesta'
regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione  e  dello
svolgimento delle funzioni attribuite». 
      
    5.4. - Il regime giuridico della potesta' regolamentare locale ai
sensi del citato art. 117, sesto  comma,  Cost.,  in  relazione  alle
altre fonti del diritto, ed in particolare alle fonti legislative, e'
stato inequivocabilmente chiarito dalla ben nota  sent.  n.  246  del
2006 di questa Corte; nella quale  si  trova  affermato  che  «se  il
legislatore regionale nell'ambito delle proprie  materie  legislative
dispone   discrezionalmente   delle    attribuzioni    di    funzioni
amministrative  agli  enti  locali,  ulteriori  rispetto  alle   loro
funzioni  fondamentali,  anche  in  considerazione  dei  principi  di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma
dell'art. 118 della Costituzione», tuttavia «non puo' contestualmente
pretendere di affidare ad un organo della Regione -  neppure  in  via
suppletiva - la potesta' regolamentare propria  dei  Comuni  o  delle
Province  in  riferimento  a  quanto  attribuito  loro  dalla   legge
regionale medesima». Cio' in quanto «nei limiti (...) delle  funzioni
attribuite dalla legge regionale agli enti locali, solo  quest'ultimi
possono - come espressamente affermato nell'ultimo periodo del  sesto
comma  dell'art.  117  Cost.  -  adottare  i   regolamenti   relativi
all'organizzazione ed  all'esercizio  delle  funzioni  loro  affidate
dalla Regione» (par. 7.1 del Considerato in diritto). 
    Il  sintesi,  in  base  all'insegnamento  di  questa  Corte,   il
legislatore  competente  per  materia  ex  art.   117   Cost.   puo',
nell'esercizio   della    propria    discrezionalita'    legislativa,
determinarsi  circa  l'attribuzione   o   meno   agli   enti   locali
territoriali di una determinata funzione amministrativa -  ovviamente
nel pieno rispetto dei principi di  sussidiarieta',  differenziazione
ed adeguatezza posti dall'art. 118, primo  comma,  Cost.  -  ma,  una
volta che si sia determinato nel senso  dell'affidamento  ad  uno  di
questi enti della funzione in considerazione, sorge a beneficio della
potesta' regolamentare  dell'ente  locale  un  ambito  intangibile  e
incomprimibile   -   concernente   la   disciplina   degli    aspetti
organizzativi e delle  modalita'  di  svolgimento  della  funzione  -
opponibile anche alla stessa fonte legislativa. 
    La  disposizione  costituzionale  considerata  -  come  e'  stato
efficacemente messo in evidenza anche dalla sopra citata sent. n. 246
del 2006 - non riguarda semplicemente  e  soltanto  lo  «svolgimento»
della funzione considerata, bensi'  anche  la  sua  «organizzazione».
Ora, posto che la normativa  vigente  affida  la  cura  del  servizio
idrico  integrato  a  quella   particolare   «struttura   dotata   di
personalita' giuridica  costituita  in  ciascun  ambito  territoriale
ottimale delimitato dalla  competente  regione»  che  e'  l'Autorita'
d'ambito - «alla quale gli enti locali partecipano  obbligatoriamente
ed alla quale e' trasferito  l'esercizio  delle  competenze  ad  essi
spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi  compresa
la programmazione delle infrastrutture idriche»  (cosi'  l'art.  148,
comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006) - non vi e' chi  non  veda  come
quell'area incomprimibile di formazione regolamentare concernente  il
servizio idrico  integrato  non  possa  che  essere  ricondotta  alla
titolarita' congiunta degli enti locali che  obbligatoriamente  fanno
parte dell'Autorita' d'ambito e come la suddetta area  incomprimibile
di potesta' normativa ricomprenda precisamente la decisione circa  la
conformazione  del  servizio  quale  dotato  ovvero  non  dotato   di
rilevanza  economica,   posto   che   detta   conformazione   dipende
esclusivamente dalla «organizzazione» del servizio medesimo. 
    Il dato costituzionale, al riguardo, e' dunque chiaro. 
    La materia dei  «servizi  pubblici  locali»  rientra  nell'ambito
della potesta' legislativa residuale affidata alle Regioni  dall'art.
117,  quarto  comma,  Cost.,  come   ha   da   tempo   affermato   la
giurisprudenza costituzionale con quel consolidato  orientamento  che
si e' gia' avuto modo di richiamare (cfr. sentenze nn. 272 del  2004,
29 del 2006, 38 del 2007 e 307 del 2009). 
    Questa competenza legislativa regionale incontra pero' (per  quel
che qui specificamente interessa) due limiti. 
    Il primo concerne la  potesta'  legislativa  statale  nell'ambito
della  materia  di   competenza   esclusiva   della   «tutela   della
concorrenza». In forza di tale titolo di intervento,  lo  Stato  puo'
disciplinare importanti aspetti della materia de qua,  limitatamente,
pero', ai servizi pubblici locali dotati di rilevanza  economica.  La
legislazione regionale, dunque, potra' disciplinare gli  aspetti  dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica che  non  siano  stati
legittimamente normati dallo  Stato,  nonche'  la  «sub-materia»  dei
servizi pubblici locali non dotati di rilevanza economica. 
    Il secondo limite della potesta'  legislativa  regionale  dipende
dall'art. 117, sesto comma, Cost.,  e  riguarda  l'impossibilita'  di
violare la riserva che questa disposizione  pone  a  beneficio  della
potesta'  regolamentare  degli  enti  locali  cui  e'  congiuntamente
affidato il servizio  per  il  tramite  dell'Autorita'  d'ambito,  in
riferimento al suo «svolgimento» e - per quel che qui  specificamente
interessa - alla sua «organizzazione». 
    Il  medesimo  limite  si  impone,   a   maggior   ragione,   alla
legislazione dello  Stato,  posto  che  quest'ultimo  dispone,  nella
materia dei «servizi pubblici locali», di  un  titolo  di  intervento
«trasversale», e dunque di stretta interpretazione, oltre che gravato
dagli accennati limiti di adeguatezza e  proporzionalita'  (cfr.,  in
particolare, le richiamate sentt. nn. 272 del  2004,  175  del  2005,
430, 443 e 452 del 2007). Anche la legge statale adottata  in  virtu'
dell'art.  117,  secondo  comma,  lett.  e),  Cost.,   dunque,   deve
rispettare l'ambito affidato alla potesta' regolamentare locale circa
l'organizzazione del servizio, in forma di servizio avente  rilevanza
economica o non avente rilevanza economica. 
    In  sintesi,  alla  potesta'  regolamentare  locale   spetta   la
decisione circa la conformazione del servizio idrico come  dotato  di
rilevanza economica o meno, ex art. 117, sesto comma, Cost. Da questa
decisione   dipendera'   l'applicazione    della    normativa    che,
nell'affidamento, nella gestione e  nello  svolgimento  del  servizio
dovra'  essere  rispettata.  Si  trattera'  della  normativa  statale
concernente la tutela  della  concorrenza,  nonche'  della  normativa
regionale compatibile con  quella  statale  legittimamente  posta  in
virtu' di tale titolo, ove si opti per la prima  alternativa.  Sara',
invece, senz'altro  la  disciplina  regionale  dei  servizi  pubblici
locali,  ove  invece  ci  si  determini  nel  senso   della   seconda
possibilita'. 
    5.5. - Si deve escludere  la  possibilita'  che  le  disposizioni
legislative impugnate siano ritenute fondate sulla competenza statale
concernente le «funzioni fondamentali» di Comuni, Province  e  Citta'
metropolitane, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. 
    Sono state  indicate  dalla  dottrina,  infatti,  numerose  buone
ragioni per escludere che tra le «funzioni fondamentali» di cui  alla
disposizione costituzionale appena menzionata possano essere comprese
anche funzioni amministrativo-gestionali in senso  proprio,  oltre  a
quelle - certamente «fondamentali» - in cui si esprimono la  potesta'
statutaria, la potesta' regolamentare e la potesta' amministrativa  a
carattere «ordinamentale»  concernente  le  funzioni  essenziali  che
attengono alla vita stessa e al governo dell'ente. 
    Innanzi tutto, partendo  dalla  premessa,  ampiamente  desumibile
dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la ratio della
attribuzione  allo  Stato  di  una  competenza  legislativa   e'   da
rintracciare in una esigenza unitaria, deve rilevarsi che,  nel  caso
di specie, non  si  capirebbe  ove  rintracciare  una  tale  esigenza
unitaria nell'ipotesi in cui tra le funzioni fondamentali  menzionate
alla  lett.  p)  dell'art.  117,  secondo   comma,   Cost.,   fossero
annoverabili  anche  funzioni  consistenti  nella  concreta  cura  di
interessi. Cio' perche'  tali  funzioni  dovrebbero  comunque  essere
allocate tra gli enti locali in base ai principi  di  sussidiarieta',
differenziazione ed adeguatezza ex art. 118,  primo  comma,  Cost.  E
tale vincolo, ovviamente, graverebbe allo  stesso  modo  sulla  legge
statale e su quella  regionale  (art.  118,  secondo  comma,  Cost.),
guidandole verso le medesime scelte. Come e' stato  evidenziato,  «se
le funzioni fondamentali sono amministrative, la  legge  statale  non
potrebbe allocarle senza  tener  conto  del  vincolo  costituito  dal
principio di sussidiarieta': e quindi, non  potrebbe  assegnare  alle
Province funzioni amministrative che potrebbero essere  adeguatamente
svolte dai Comuni (o viceversa). Ma in questo  caso  non  si  capisce
perche' - nelle materie di spettanza regionale -  questa  valutazione
di sussidarieta'/adeguatezza debba essere operata dalla legge statale
in luogo di  quella  regionale,  tanto  piu'  che  la  sussidiarieta'
vincolerebbe allo stesso modo tanto il legislatore statale che quello
regionale, prescrivendo la medesima soluzione allocativa»  (cosi'  O.
Chessa, Pluralismo paritario  e  autonomie  locali  nel  regionalismo
italiano, in www.astrid-online. it, 14). 
      
    Nel senso indicato depone anche  una  lettura  sistematica  delle
disposizioni costituzionali. 
    A fianco del principio di sussidiarieta' e  di  adeguatezza,  nel
guidare la allocazione  delle  funzioni  amministrative,  l'art.  118
Cost. afferma anche il principio di differenziazione. Tale  principio
specifica gli altri due. Il suo contenuto precettivo  consiste  nello
stabilire che la valutazione  di  adeguatezza/inadeguatezza  rispetto
allo  svolgimento  della  funzione  che  sorregge  il  principio   di
sussidiarieta'  deve  tener  conto  delle  differenze  concrete   che
sussistono  tra  enti  della  medesima  categoria.  Il  principio  di
differenziazione, dunque, spinge a valutare  diversamente  enti  che,
pur appartenendo alla medesima categoria (ad es., due Comuni,  o  due
Province)  hanno  caratteristiche   (ad   es.   dimensionali)   molto
differenti. In base a questo  principio,  dunque,  nella  allocazione
delle  funzioni  amministrative  la  legge   regionale   o   statale,
competente  per  materia,  dovrebbe  compiere  una   valutazione   di
adeguatezza-inadeguatezza differente  per  enti  con  caratteristiche
differenti pur se del medesimo tipo, ad esempio,  ritenendo  adeguati
allo svolgimento della funzione i Comuni con piu' di x  abitanti,  ed
inadeguati i Comuni con x o meno di x abitanti. 
    In sintesi, si puo' ritenere che il principio di differenziazione
sia una peculiare declinazione che assume il principio di eguaglianza
nell'ambito  della  allocazione  delle  funzioni  amministrative.  Il
principio di eguaglianza, infatti, impone di trattare in modo  uguale
situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse. Nel  caso  in
questione, impone di trattare in modo diverso  due  enti  che  -  pur
appartenenti  alla  medesima  categoria  -  siano  caratterizzati  da
diversita' tali che uno sia da  considerare  adeguato,  ed  un  altro
inadeguato, allo svolgimento delle medesime funzioni. 
    E' del tutto evidente che ilportato precettivo del  principio  di
differenziazione  (e,  per  il  suo   tramite,   del   principio   di
eguaglianza) risulterebbe del tutto trascurato ove si  ritenesse  che
le  funzioni  amministrativo-gestionali  possano  rientrare  tra   le
«funzioni fondamentali» per consentire soluzioni allocative, da parte
della legge statale, uniformi  per  tutto  il  territorio  nazionale.
Viceversa,  e'  il  principio  di  sussidiarieta'  a  richiedere   la
differenziazione. 
    D'altra parte, non si potrebbe certo ritenere  che  la  soluzione
proposta  in  questa  sede  sia  in  grado  di  pregiudicare   quella
uniformita' minima negli standard di prestazione  relativi  a  quelle
funzioni, particolarmente importanti per le collettivita' locali, che
in virtu' di tale importanza si volessero far  rientrare  tra  quelle
«fondamentali». Lo  Stato,  infatti  sarebbe  comunque  dotato  della
competenza ad individuare i «livelli essenziali delle prestazioni», e
inoltre avrebbe a disposizione, in ogni caso, lo strumento del potere
sostitutivo straordinario ex art.  120,  secondo  comma,  Cost.,  per
garantire l'effettivita' di questi ultimi. 
      
    In sintesi, per le ragioni appena esposte, la Regione  ricorrente
ritiene che si debba escludere che  le  disposizioni  concernenti  il
servizio idrico integrato, impugnate in questa sede,  possano  essere
considerate  espressione  della  competenza  legislativa  statale   a
disciplinare le «funzioni fondamentali» di Comuni, Province e  Citta'
metropolitane, ex art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. 
    La Regione ricorrente non ignora la recente  sentenza  di  questa
Corte dove si trova affermato che «le competenze comunali  in  ordine
al  servizio  idrico  sia  per  ragioni  storico-normative  sia   per
l'evidente  essenzialita'  di  questo  alla  vita   associata   delle
comunita' stabilite nei territori comunali devono essere  considerate
quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui  disciplina  e'
stata affidata alla competenza esclusiva dello  Stato  dal  novellato
art. 117» (sent. n.  307  del  2009,  par.  5.2  del  Considerato  in
diritto). Tale precedente non esclude la possibilita'  di  contestare
che la decisione circa la conformazione del servizio idrico integrato
come servizio pubblico locale  a  rilevanza  economica,  ovvero  come
servizio pubblico locale privo di tale rilevanza possa essere assunta
dallo Stato in forza della sua competenza  in  materia  di  «funzioni
fondamentali» di Comuni, Province e Citta' metropolitane. 
    E'  la  stessa  sent.  n.  307  del   2009,   cit.,   a   deporre
inequivocabilmente in tal senso. 
    In essa infatti si legge che l'evocazione del  parametro  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost.,  deve  essere  ritenuta
«inconferente»  rispetto  a  norme  concernenti  «le   modalita'   di
affidamento dei servizi pubblici locali a  rilevanza  economica»,  le
quali trovano il loro  fondamento,  invece,  nell'art.  117,  secondo
comma, lett. e), Cost., e cio' in quanto «la regolamentazione di tali
modalita' non riguarda un dato strutturale del servizio  ne'  profili
funzionali degli enti locali ad esso interessati  (come,  invece,  la
precedente questione relativa alla separabilita' tra  gestione  della
rete ed erogazione del servizio idrico),  bensi'  concerne  l'assetto
competitivo  da  dare  al  mercato  di  riferimento»  (par.  6.1  del
Considerato in diritto). 
    Da quanto precede risulta  con  chiarezza  che  gli  aspetti  del
servizio idrico integrato rilevanti ai fni del riparto di  competenze
normative sono (almeno) tre. 
    Innanzi tutto, quello connesso all'«assetto competitivo  da  dare
dal mercato di riferimento», ove il servizio idrico  sia  strutturato
in modo tale da essere dotato di rilevanza economica.  La  competenza
in materia spetta senz'altro allo  Stato  in  virtu'  dell'art.  117,
secondo comma, lett. e), Cost. 
    In secondo luogo, quello inerente  i  «profili  funzionali  degli
enti locali ad esso interessati»:  tra  tali  profili  questa  stessa
Corte ha indicato quello concernente la «separabilita'  tra  gestione
della rete ed erogazione del servizio idrico». Anche in questo  caso,
nel sistema accolto dalla  sent.  n.  307  del  2009,  la  competenza
legislativa spetta inequivocabilmente allo Stato, in forza  dell'art.
117, secondo comma, lett. p), Cost. (differente conclusione su questo
punto dovrebbe essere raggiunta ove si ritenesse - come questa difesa
considera corretto - che le «funzioni fondamentali» menzionate  dalla
citata disposizione costituzionale siano limitate a quelle in cui  si
esprimono la potesta' statutaria,  la  potesta'  regolamentare  e  la
potesta' amministrativa a carattere  «ordinamentale»  concernente  le
funzioni essenziali che attengono  alla  vita  stessa  e  al  governo
dell'ente). 
      
    In terzo luogo, deve essere menzionato l'aspetto  concernente  il
«dato strutturale del servizio», evocato nel  passo  riportato  della
sent. n. 307 del 2009. Si tratta, evidentemente, proprio del  profilo
che in questa  sede  interessa,  riguardante  la  strutturazione  del
servizio  come  avente  o  non  avente  rilevanza  economica.  Questo
aspetto, come si e' visto, e' tenuto distinto dai due  precedenti,  e
dunque non ricade ne' nell'ambito dell'art. 117, secondo comma, lett.
p), ne', tantomeno, in quello dell'art. 117, secondo comma, lett. e).
Esso, dunque, non puo'  che  rientrare,  secondo  quanto  evidenziato
nelle pagine che  precedono,  nell'ambito  assegnato  dall'art.  117,
sesto comma, Cost., alla potesta' regolamentare locale. 
    5.6. - Le doglianze fin qui esposte, come si  e'  messo  in  luce
piu' sopra, si basano sull'assunto interpretativo secondo il quale le
disposizioni normative impugnate - ed in  particolar  modo  il  comma
1-ter  dell'art.  15  del  d.l.  n.  135  del  2009  -  impongano  la
configurazione  del  servizio  idrico  integrato  come   servizio   a
rilevanza  economica,   con   conseguente   applicazione   necessaria
dell'art. 23-bis del d.l. n. 112  del  2008,  cosi'  come  modificato
dall'art. 15, comma 1, in questa sede in discussione. 
    La   Regione   ricorrente    ritiene    indispensabile    portare
all'attenzione di questa Corte la circostanza  secondo  la  quale  la
menzionata interpretazione non e'  affatto  necessitata  in  base  al
tenore testuale dalle disposizioni normative impugnate. 
    L'art. 15, comma 1, del  d.l.  n.  135  del  2009  e'  intitolato
«Adeguamento  alla  disciplina  comunitaria  in  materia  di  servizi
pubblici locali di rilevanza economica». Il suo comma 1 riformula  la
disciplina dettata dall'art. 23-bis del  d.l.  n.  112  del  2008  in
relazione all'affidamento  di  questo  tipo  di  servizi,  nel  senso
illustrato nella parte in fatto del presente ricorso. 
    E' altresi' importante evidenziare che il menzionato art 23-bis -
intitolato  a  sua  volta  «Servizi  pubblici  locali  di   rilevanza
economica»  -  delimiti  con   chiarezza   il   proprio   ambito   di
applicazione. Il suo comma 1, infatti, afferma che  «le  disposizioni
del presente articolo disciplinano l'affidamento e  la  gestione  dei
servizi pubblici locali di  rilevanza  economica».  Non  puo'  dunque
sussistere alcu dubbio circa l'esclusiva applicabilita' a questa sola
categoria  di  servizi  pubblici  locali  delle  disposizioni   poste
dall'art. 15, comma 1, del d.l. n. 135 del 2009. 
    Nel comma 1-ter di questo articolo - anch'esso impugnato  con  il
presente ricorso - e' invece possibile leggere quanto  segue:  «Tutte
le forme di affidamento della gestione del servizio idrico  integrato
di cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del  2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133  del  2008,  devono
avvenire nel  rispetto  dei  principi  di  autonomia  gestionale  del
soggetto gestore e di piena ed esclusiva  proprieta'  pubblica  delle
risorse  idriche,  il  cui   governo   spetta   esclusivamente   alle
istituzioni pubbliche, in  particolare  in  ordine  alla  qualita'  e
prezzo del servizio, in conformita' a  quanto  previsto  dal  decreto
legislativo 3  aprile  2006,  n.  152,  garantendo  il  diritto  alla
universalita' ed accessibilita' del servizio». 
    E' evidente come tale testo sia del tutto compatibile con una sua
interpretazione che non imponga in alcun modo  la  conformazione  del
servizio idrico integrato come servizio a rilevanza economica.  Esso,
infatti, puo'  ben  essere  interpretato  nel  senso  di  imporre  il
«rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e
di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche», con
conseguente governo pubblico delle medesime, esclusivamente nel  caso
in cui si scelga la forma del  servizio  a  rilevanza  economica  con
conseguente applicabilita' dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008,
senza pero' imporre in alcun modo una opzione in questo senso. 
    In altre parole, le norme impugnate ben possono essere lette come
volte a disciplinare, in forza dell'art. 117,  secondo  comma,  lett.
e), Cost., esclusivamente i caratteri di quei servizi  che  gli  enti
competenti abbiano  scelto  di  organizzare  in  modo  da  conferirvi
rilevanza economica, fermo restando che esse nulla  dispongono  circa
il modo in cui deve essere necessariamente  organizzato  il  servizio
idrico integrato. 
    E' evidente che - ove fossero  interpretate  in  tal  modo  -  le
doglianze di incostituzionalita' piu' sopra illustrate non  avrebbero
modo  di  porsi.  La  normativa  oggetto   del   giudizio,   infatti,
risulterebbe assolutamente rispettosa  dell'art.  117,  sesto  comma,
Cost. - parametro invocato in questa specifica sede - in  quanto  non
pregiudicherebbe  in  alcun   modo   la   spettanza   alla   potesta'
regolamentare   locale    della    decisione    fondamentale    circa
l'organizzazione del servizio idrico, ed in particolare quella  della
sua conformazione o meno come servizio a rilevanza economica. 
    A  sostegno  della  percorribilita'   di   una   simile   opzione
interpretativa,   oltre   all'evidente   conformita'   al   parametro
costituzionale in questa  sede  invocato,  puo'  essere  considerato,
inoltre, un argomento fondato sulla  piu'  recente  evoluzione  della
stessa disciplina  statale  concernente  la  scelta  delle  forme  di
gestione e le relative procedure di affidamento del  servizio  idrico
integrato. 
    Prima dell'avvento dell'art. 23-bis del d.l.  n.  112  del  2008,
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 133 del  2008,
la disciplina di riferimento era quella  dettata  dall'art.  150  del
d.lgs. n. 152 del 2006, i cui primi tre commi cosi'  recitavano:  «1.
L'Autorita' d'ambito, nel rispetto del piano d'ambito e del principio
di unitarieta' della gestione per ciascun ambito, delibera  la  forma
di gestione fra quelle di cui all'articolo 113, comma 5, del  decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267. 2. L'Autorita' d'ambito aggiudica
la gestione del servizio idrico integrato mediante gara  disciplinata
dai principi e dalle  disposizioni  comunitarie,  in  conformita'  ai
criteri di cui all'articolo 113, comma 7 del decreto  legislativo  18
agosto 2000 n. 267 secondo modalita' e termini stabiliti con  decreto
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel rispetto
delle competenze regionali in materia. 3.  La  gestione  puo'  essere
altresi'   affidata   a   societa'   partecipate   esclusivamente   e
direttamente da comuni  o  altri  enti  locali  compresi  nell'ambito
territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive  ragioni  tecniche
od economiche,  secondo  la  previsione  del  comma  5,  lettera  c),
dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a
societa' solo parzialmente  partecipate  da  tali  enti,  secondo  la
previsione del comma 5, lettera b),  dell'articolo  113  del  decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267,  purche'  il  socio  privato  sia
stato scelto, prima dell'affidamento, con gara da espletarsi  con  le
modalita' di cui al comma 2». 
      
    In base a tali disposizioni,  che  rinviavano  tutte  -  mediante
rinvii precettizi - all'art. 113 del d.lgs. n. 267 del  2000,  poteva
senz'altro ritenersi che la legislazione statale - sia  pure  con  le
previsioni ben piu' generali di quelle oggi vigenti circa le forme di
gestione dei servizi contenute nel suddetto articolo - imponesse alle
Autorita' d'ambito territorialmente competenti la  conformazione  del
servizio idrico integrato necessariamente come «servizio  pubblico  a
rilevanza economica». 
    Il successivo intervento dell'art. 23-bis del  d.l.  n.  112  del
2008, tuttavia, ha determinato l'abrogazione del menzionato art.  113
del t.u. degli enti locali, disponendo espressamente,  al  comma  11,
che «L'articolo 113 del  testo  unico  delle  leggi  sull'ordinamento
degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto  2000,  n.
267,  e   successive   modificazioni,   e'   abrogato   nelle   parti
incompatibili con le disposizioni di cui al  presente  articolo».  Di
conseguenza, non risultando in  alcun  modo  compatibili  le  vecchie
norme sulle forme di gestione  e  le  modalita'  di  affidamento  dei
servizi contenute nell'art. 113 del t.u. degli  enti  locali  con  le
nuove norme contenute nel citato art. 23-bis, l'art. 150  del  d.lgs.
n. 152 del 2006, disponendo un rinvio recettizio  a  norme  abrogate,
risulta oggi del tutto svuotato del proprio contenuto  normativo,  di
talche' non e' piu' possibile, allo stato  della  normativa  vigente,
desumere da esso quell'obbligo di conformazione del  servizio  idrico
integrato come «servizio pubblico a rilevanza economica»  che  poteva
accreditarsi in precedenza. 
    L'unica disciplina  statale  delle  forme  di  gestione  e  delle
modalita' di affidamento dei  servizi  pubblici  locali  (e,  dunque,
anche del servizio idrico integrato) e' attualmente quella  contenuta
nell'art. 23-bis del d.l. n. 112  del  2008,  cosi'  come  modificato
dalle norme qui censurate; e poiche' tale disciplina, per  quanto  si
e'  esposto  nelle  pagine  che  precedono,   non   potrebbe   essere
interpretata in difformita' rispetto al riparto costituzionale  delle
competenze normative, essa dovrebbe correttamente essere riferita  ai
soli servizi  cui  l'autorita'  locale  competente  abbia  scelto  di
conferire i caratteri della «rilevanza economica», escludendosi,  per
contro, che se  ne  possa  in  alcun  modo  ricavare  un  obbligo  di
conformare in tal senso il servizio idrico integrato. 
    5.7. - A conclusione del presente motivo di ricorso, si ritengono
opportune due precisazioni a carattere processuale. 
    La  prima  riguarda  l'ammissibilita',  nel   giudizio   in   via
principale, di  questioni  interpretative  del  tipo  di  quella  qui
proposta. 
      
    Tale  possibilita',  come  e'  noto,  deve  senz'altro  ritenersi
esclusa nell'ambito del giudizio in via incidentale.  Ma  si  ritiene
ammissibile, ove le questioni interpretative siano proposte  mediante
ricorso nell'ambito del giudizio in via principale (cfr., ad es.,  la
sent. n. 88 del 2007, par. 5 del Considerato in diritto). 
      
    La seconda precisazione  riguarda  invece  la  ammissibilita'  di
censure,  proposte  mediante  ricorso  regionale  avverso  una  legge
statale, che invochino quale parametro norme costituzionali  poste  a
presidio di competenze degli enti locali. 
    Anche su questo punto si puo' richiamare  la  giurisprudenza  che
riconosce la ammissibilita' di simili censure, e la  sussistenza  «in
via generale» in capo alle Regioni della legittimazione a  sollevarle
«perche' la stretta connessione (...) tra le attribuzioni regionali e
quelle delle autonomie locali consente di  ritenere  che  la  lesione
delle competenze locali sia potenzialmente idonea a  determinare  una
vulnerazione delle competenze regionali» (sent. n. 95 del 2007,  par.
3 del Considerato in diritto; nello stesso senso, si vedano anche  le
sentenze nn. 169 del 2007, par. 3 del Considerato in diritto, 417 del
2005, par. 3 del Considerato in diritto, 196 del 2004,  par.  14  del
Considerato in diritto). 
    Quella «stretta connessione» tra competenze regionali  e  locali,
che, secondo l'orientamento citato, determina «in  via  generale»  la
sussistenza della legittimazione  regionale,  nel  caso  oggetto  del
presente ricorso e' particolarmente evidente. 
    Il riconoscimento agli enti locali della competenza, ex art. 117,
sesto comma, Cost., a decidere circa la  conformazione  del  servizio
idrico  integrato  come  servizio  avente  o  non  avente   rilevanza
economica determina rispettivamente il contrarsi  o  il  riespandersi
dell'ambito di applicazione delle norme regionali adottate in materia
di servizi pubblici locali. L'accoglimento della  presente  questione
di costituzionalita', proposta nei confronti di una norma statale che
intende  compiere  una  opzione  generalizzata   nel   primo   senso,
comporterebbe dunque non solo  l'effetto  della  «restituzione»  agli
enti locali della possibilita' di compiere  la  suddetta  scelta,  ma
anche  l'effetto  della   possibile   «riespansione»   degli   ambiti
suscettibili di essere disciplinati dalla legge regionale  a  seguito
delle opzioni degli enti locali. 
      
    6. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15,  commi  1  e
1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 117, quarto
comma,  Cost.,  il  quale  attribuisce  alle  Regioni   la   potesta'
legislativa residuale nella materia «servizi  pubblici  locali»,  con
particolare riferimento alla disciplina dei profili di configurazione
strutturale del servizio idrico integrato. 
    6.1. - Nelle pagine che  precedono  si  e'  argomentata  la  tesi
secondo la quale la configurazione strutturale  del  servizio  idrico
integrato - ed in particolar modo la sua conformazione come  servizio
avente,  oppure  non  avente,  rilevanza  economica  -  deve   essere
ricondotta alla potesta' regolamentare  locale,  ai  sensi  dell'art.
117, sesto comma, Cost. 
    In via subordinata, ove non si  accolga  tale  ricostruzione,  la
Regione ricorrente ritiene che  la  normativa  indicata  in  epigrafe
debba  comunque  essere  dichiarata  costituzionalmente  illegittima,
perche' posta in assenza  di  un  titolo  di  intervento  legislativo
statale.  Cio'  in  quanto   la   competenza   sulla   configurazione
strutturale del servizio idrico integrato,  e  la  sua  conformazione
come  servizio  avente  o  non  avente  rilevanza  economica,  ricade
nell'ambito della competenza residuale regionale  in  relazione  alla
materia «servizi pubblici locali». 
    6.2. - La giurisprudenza di questa  Corte,  ormai  da  tempo,  ha
affermato, al di la' di ogni dubbio, che il legislatore competente in
via generale nella  materia  dei  «servizi  pubblici  locali»  e'  il
legislatore regionale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. Al
riguardo e' possibile richiamare le gia' citate sentenze nn. 272  del
2004, 29 del 2006, 38 del 2007 e 307 del 2009. 
    Questa difesa e' consapevole della circostanza secondo  la  quale
una altrettanto consolidata giurisprudenza costituzionale afferma  la
spettanza alla competenza esclusiva dello Stato, ex art. 117, secondo
comma, lett. e), Cost., della regolamentazione dei  servizi  pubblici
locali di rilevanza economica, limitatamente agli aspetti necessari a
garantire la tutela della concorrenza nei settori di  pertinenza  dei
medesimi.  Cio'  non  vale,  pero',  a  far  ritenere  fondata  sulla
menzionata norma  costituzionale  la  disciplina  contestata  con  il
presente  ricorso.  Cio'   in   quanto   l'imposizione   di   vincoli
proconcorrenziali   all'affidamento,   all'organizzazione   ed   alla
gestione  di  servizi  pubblici  presuppone  la  decisione  circa  la
conformazione dei medesimi servizi nel senso di conferire loro quella
«rilevanza economica» che  rende  applicabile  la  normativa  statale
adottata in base all'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. 
    Viceversa,  come  gia'  evidenziato,  la  qualificazione  di   un
servizio come avente o non avente rilevanza economica  dipende  dalle
caratteristiche che si intendano conferire al modo  in  cui  esso  e'
organizzato e gestito, in particolare all'esistenza  o  meno  di  uno
scopo precipuamente lucrativo, alla assunzione  o  meno  del  rischio
economico connesso alla specifica attivita', nonche' alla presenza  o
meno di eventuali finanziamenti pubblici (T.A.R. Lazio, Roma,  II,  6
maggio 2005, n. 3397). Solo «a valle»  di  questa  scelta  -  ove  si
optasse per la conformazione del servizio come «servizio a  rilevanza
economica» - assumeranno  rilievo  le  norme  legittimamente  dettate
dallo Stato a tutela della concorrenza. 
      
    In sintesi, non puo' che concludersi che - ove non si ritenga che
la decisione circa la conformazione come servizio avente o non avente
rilevanza economica del servizio  idrico  integrato  appartenga  alla
potesta'  regolamentare  locale  -  la  medesima   decisione   ricade
necessariamente  nell'ambito  della  potesta'  legislativa  regionale
residuale in materia di «servizi pubblici locali» ex art. 117, quarto
comma, Cost. 
    6.3. - Contro tale conclusione non  puo'  neanche  affermarsi  la
sussistenza della competenza statale a dettare  le  norme  in  questa
sede impugnate sulla base dell'art. 117,  secondo  comma,  lett.  p),
Cost., in  materia  di  «funzioni  fondamentali»  dei  Comuni,  delle
Province e delle Citta' metropolitane. 
    Anche in questo caso occorre fare riferimento ad  argomenti  gia'
esposti (si veda, in part., il punto 5.5). 
    Deve innanzi tutto essere contestata la possibilita' di intendere
la competenza ex art. 117, secondo comma, lett. p),  Cost.,  in  modo
tale     da     ritenerla      estesa      anche      a      funzioni
«amministrativo-gestionali», o comunque, piu' in generale, a funzioni
volte alla cura concreta di interessi. Le «funzioni fondamentali»  di
cui alla menzionata disposizione  costituzionale,  viceversa,  devono
ritenersi  limitate  a  quelle  in  cui  si  esprimono  la   potesta'
statutaria, la potesta' regolamentare e la potesta' amministrativa  a
carattere «ordinamentale»  concernente  le  funzioni  essenziali  che
attengono alla vita stessa e al governo dell'ente. 
    In tal senso milita, oltre all'argomento «topografico», che  vede
tali  funzioni  accomunate  agli  «organi   di   governo»   ed   alla
«legislazione  elettorale»,  la  considerazione   dei   principi   di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza di cui all'art.  118,
primo comma, Cost. 
    Infatti, posto  che  il  legislatore  statale,  nell'allocare  le
funzioni fondamentali, dovrebbe comunque rispettare il  principio  di
sussidiarieta', non si vede quale diversa allocazione  potrebbe  dare
rispetto a quella ipoteticamente impressa dal legislatore  regionale,
vincolato  anch'esso  al  rispetto  dei  medesimi  principi.  Ne'  e'
possibile sostenere l'esistenza di esigenze unitarie in favore di una
allocazione uniforme su tutto il territorio nazionale, posto  che  in
senso opposto depone proprio il principio di  differenziazione  sopra
menzionato. 
    Infine, non e' possibile sostenere che  le  esigenze  unitarie  a
sostegno   dell'interpretazione   della    nozione    di    «funzioni
fondamentali» che qui si contesta  siano  di  carattere  sostanziale,
poiche', ove lo Stato intenda garantire il  rispetto  di  determinati
standard  nella  prestazione  di  servizi  pubblici  di   particolare
importanza, esso ha a disposizione il titolo  di  intervento  di  cui
all'art.  117,  secondo  comma,  lett.  m),  Cost.,  per   assicurare
l'effettivita' del quale puo' far ricorso anche  allo  strumento  del
potere sostitutivo straordinario di cui all'art. 120, secondo  comma,
Cost. 
    6.4. - Anche sotto questo  profilo,  la  ricorrente  tiene  conto
della sentenza n. 307 del 2009 di questa Corte,  nella  quale  si  e'
ritenuto che «le competenze comunali  in  ordine  al  servizio  (...)
devono essere considerate  quali  funzioni  fondamentali  degli  enti
locali, la cui disciplina e' stata affidata alla competenza esclusiva
dello Stato dal novellato art. 117»  (par.  5.2  del  Considerato  in
diritto). La Regione ricorrente ritiene, peraltro, che  -  anche  ove
questa  Corte  non  intendesse  discostarsi  da  tale  precedente   -
sussisterebbero  ugualmente  valide  ragioni  per  escludere  che  la
decisione circa la conformazione del servizio idrico  integrato  come
servizio pubblico locale a rilevanza economica, ovvero come  servizio
pubblico locale privo di tale rilevanza possa  essere  assunta  dallo
Stato  in  forza  della  sua  competenza  in  materia  di   «funzioni
fondamentali» di Comuni, Province e Citta' metropolitane. 
    Nella medesima sent. n. 307  del  2009,  infatti,  si  afferma  -
implicitamente ma chiaramente - che i  profili  del  servizio  idrico
integrato rilevanti ai fini del riparto  della  competenza  normativa
nell'ambito delle «funzioni  fondamentali»  degli  enti  locali  sono
sostanzialmente tre (cfr. il par. 6.1 del Considerato in diritto). 
    Il primo e' quello connesso all'«assetto competitivo da dare  dal
mercato di riferimento», ove il servizio idrico  sia  strutturato  in
modo tale da essere dotato di rilevanza economica. La  competenza  in
materia spetta senz'altro allo Stato in virtu' dell'art. 117, secondo
comma, lett. e), Cost. 
    Il secondo e' quello inerente i «profili  funzionali  degli  enti
locali ad esso interessati»: tra tali profili questa stessa Corte  ha
indicato quello concernente la «separabilita' tra gestione della rete
ed erogazione del servizio idrico». Anche in questo caso, nel sistema
accolto dalla sent. n. 307 del 2009, la competenza legislativa spetta
inequivocabilmente allo Stato, in forza dell'art. 117, secondo comma,
lett.  p),  Cost.  Come  si  e'  visto  in   precedenza,   differente
conclusione  su  questo  punto  dovrebbe  essere  raggiunta  ove   si
ritenesse - come questa difesa considera corretto - che le  «funzioni
fondamentali» menzionate  dalla  citata  disposizione  costituzionale
siano limitate a quelle in cui si esprimono la  potesta'  statutaria,
la potesta' regolamentare e la potesta'  amministrativa  a  carattere
«ordinamentale» concernente le funzioni essenziali che attengono alla
vita stessa e al governo dell'ente. 
    Il  terzo  e'  quello  concernente  il  «dato   strutturale   del
servizio», evocato dalla sent. n. 307 del 2009 al  citato  punto  6.1
del Considerato in diritto. Si  tratta,  evidentemente,  proprio  del
profilo che in questa sede interessa, riguardante  la  strutturazione
del servizio come avente o non  avente  rilevanza  economica.  Questo
aspetto, come si e' visto, e' tenuto distinto dai  due  precedenti  e
dunque non ricade ne' nell'ambito dell'art. 117, secondo comma, lett.
p), ne', tantomeno, in quello dell'art. 117, secondo comma, lett. e).
Esso,  pertanto,  non  puo'  che  rientrare   nell'ambito   assegnato
dall'art.  117,  quarto  comma,  Cost.,  alla  potesta'   legislativa
residuale regionale in materia di «servizi pubblici locali». 
    7 . - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15, commi  1  e
1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 117,  comma
4, Cost., il quale attribuisce alle Regioni la  potesta'  legislativa
residuale nella materia «servizi pubblici locali». 
      
    7.1. - Le disposizioni censurate, nella parte in  cui  modificano
la disciplina delle  modalita'  di  affidamento  della  gestione  dei
servizi pubblici locali di cui all'art. 23-bis del d.l.  n.  112  del
2008 (cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dalla  legge
n. 133 del 2008), sono espressamente rivolte anche al servizio idrico
integrato, il quale rientra  pacificamente  tra  i  servizi  pubblici
locali. 
    Questa  disciplina  statale,  per  giurisprudenza  costituzionale
ormai consolidata, puo' trovare il proprio titolo  di  legittimazione
nella potesta' legislativa dello Stato in materia  di  «tutela  della
concorrenza», la quale, pero', in base alla medesima  giurisprudenza,
e' subordinata al rispetto di limiti rigorosi in relazione  al  grado
di  pervasivita',  all'adeguatezza  e  alla  proporzionalita'   delle
misure. Secondo quanto affermato nella sent. n. 272 del 2004,  sempre
confermata dalle pronunce successive, la potesta' legislativa statale
in materia di tutela  della  concorrenza  «e'  riferibile  solo  alle
disposizioni di carattere generale che disciplinano le  modalita'  di
gestione e l'affidamento dei servizi pubblici  locali  di  "rilevanza
economica" e  «solo  le  predette  disposizioni  non  possono  essere
derogate da  norme  regionali»;  con  la  conseguenza  che  non  sono
censurabili, in riferimento  ai  servizi  pubblici  aventi  rilevanza
economica, solo ed esclusivamente tutte  quelle  norme  statali  «che
garantiscono, in  forme  adeguate  e  proporzionate,  la  piu'  ampia
liberta'  di  concorrenza  nell'ambito  di  rapporti  -  come  quelli
relativi al regime  delle  gare  o  delle  modalita'  di  gestione  e
conferimento dei servizi - i quali per la loro diretta incidenza  sul
mercato appaiono piu' meritevoli di  essere  preservati  da  pratiche
anticoncorrenziali». 
    «Il criterio della  proporzionalita'  e  dell'adeguatezza  appare
quindi  essenziale  per  definire  l'ambito  di  operativita'   della
competenza  legislativa  statale   attinente   alla   «tutela   della
concorrenza» conseguentemente la legittimita' dei relativi interventi
statali. Trattandosi  infatti  di  una  cosiddetta  materia-funzione,
riservata alla competenza esclusiva dello  Stato,  la  quale  non  ha
un'estensione rigorosamente circoscritta e determinata, ma, per cosi'
dire, «trasversale» (cfr. sentenza  n.  407  del  2002),  poiche'  si
intreccia inestricabilmente con una pluralita' di altri  interessi  -
alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza  concorrente  o
residuale delle Regioni - connessi allo sviluppo economico produttivo
del Paese, e' evidente la  necessita'  di  basarsi  sul  criterio  di
proporzionalita-adeguatezza  al  fine  di  valutare,  nelle   diverse
ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno  determinati
interventi legislativi  dello  Stato»  (par.  3  del  Considerato  in
diritto). 
    Le disposizioni legislative in  questione,  nella  parte  in  cui
impongono, per la gestione del servizio idrico integrato,  l'adozione
«in via ordinaria» delle sole modalita'  di  affidamento  di  cui  al
nuovo comma 2 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 1998  (cosi'  come
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008),
ammettendo esclusivamente «per situazioni eccezionali» l'adozione del
c.d. «in house providing» e sottoponendo tale scelta  a  vincoli  sia
sostanziali   (allorche'   «peculiari   caratteristiche   economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del  contesto  territoriale  di
riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al  mercato»)
che procedimentali (l'onere di «trasmettere una relazione  contenente
gli  esiti  della  predetta  verifica  all'Autorita'  garante   della
concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere  preventivo,
da rendere entro  sessanta  giorni  dalla  ricezione  della  predetta
relazione»),    violano    quei    limiti    di    «adeguatezza»    e
«proporzionalita'»  che  debbono  caratterizzare  l'esercizio   della
competenza legislativa statale sulla «tutela della concorrenza»,  con
conseguente illegittima  compromissione  della  potesta'  legislativa
regionale in materia di «servizi pubblici locali». 
      
    7.2. - Da quanto precede emerge chiaramente che - per consolidata
giurisprudenza  costituzionale  -  il  parametro  alla  cui   stregua
valutare la legittimita'  costituzionale  di  un  intervento  statale
diretto alla  «tutela  della  concorrenza»,  che  qui  specificamente
interessa, e' quello che afferma che possono superare lo scrutinio di
costituzionalita' in relazione a questa norma costituzionale solo  le
disposizioni le quali siano effettivamente adeguate rispetto al  fine
perseguito e - soprattutto -  proporzionate  rispetto  ad  esso,  nel
senso che devono rappresentare il modo di  raggiungere  lo  specifico
obiettivo di tutela della concorrenza individuato dalla legge statale
meno invasivo per l'autonomia regionale. Cio' e' evidentemente basato
sul rilievo, esplicitato anche dalla citata sent. n.  272  del  2004,
della circostanza secondo la quale la potesta' legislativa statale in
materia  di  «tutela  della  concorrenza»  si  svolge  in  un  ambito
altrimenti affidato alla legislazione regionale residuale, di talche'
- per essere conforme a Costituzione -  deve  risultare  quanto  piu'
contenuta possibile nell'imporre  limiti  e  vincoli  al  legislatore
regionale (in questo senso si e' espressa anche la sent. n.  452  del
2007, par. 4 del Considerato in diritto, laddove ha affermato «che le
materie di competenza esclusiva e nel  contempo  "trasversali"  dello
Stato, come quella concernente la tutela  della  concorrenza  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione,  possono
intersecare qualsivoglia titolo di competenza legislativa  regionale,
seppur nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi
cui esse sono preposte»). 
    In sintesi, per valutare se la normativa statale superi o meno il
test di proporzionalita', sara' necessario  chiedersi  se  esiste  la
possibilita'  di  una  regolazione  diversa  e  meno   invasiva   per
l'autonomia regionale, la quale raggiunga i medesimi scopi di  tutela
della concorrenza perseguiti con la disciplina oggetto del giudizio. 
    7.3. - Nel caso di specie,  e'  agevole  rendersi  conto  che  la
normativa    impugnata    non    rispetta    il    parametro    della
«proporzionalita'» della disciplina. Sul punto e' possibile osservare
quanto segue. 
    L'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, come modificato dall'art.
15 del d.l. n. 135 del 2009, prevede la possibilita' di  far  ricorso
al c.d. «affidamento in house» soltanto  in  presenza  di  specifiche
condizioni analiticamente determinate dalla medesima  disposizione  e
con assolvimento di specifici oneri procedimentali. 
    La Regione ricorrente non intende sostenere che  lo  standard  di
tutela della  concorrenza,  in  riferimento  ai  servizi  pubblici  a
rilevanza economica, sarebbe ugualmente  tutelato  ove  la  scelta  a
favore dell'«in house providing» fosse del tutto  libera  per  l'ente
locale. Cio' che si intende dimostrare, invece, e' che lo standard di
tutela  garantito  dalla  presente   normativa   sarebbe   ugualmente
garantito da una disciplina meno invasiva delle competenze regionali,
che non contenga  una  specifica  indicazione  delle  condizioni  che
giustificano l'affidamento «in house». 
    E' ben noto, infatti, che la stessa giurisprudenza della Corte di
giustizia dell'Unione europea ha ritenuto che «gli artt. 43 CE, 49 CE
e 86 CE, nonche'  i  principi  di  parita'  di  trattamento,  di  non
discriminazione sulla base della nazionalita' e  di  trasparenza  non
ostano ad una disciplina nazionale che consente ad un  ente  pubblico
di affidare un servizio pubblico direttamente ad una  societa'  della
quale  esso  detiene  l'intero  capitale,  a  condizione  che  l'ente
pubblico eserciti su tale societa'  un  controllo  analogo  a  quello
esercitato sui propri servizi, e che la societa'  realizzi  la  parte
piu' importante della propria attivita' con l'ente  che  la  detiene»
(sent. 6 aprile 2006, in causa C-410/04, par.  33).  In  conseguenza,
«non occorre applicare le norme comunitarie  in  materia  di  appalti
pubblici o di  concessioni  di  pubblici  servizi  nel  caso  in  cui
un'autorita' pubblica svolga i compiti di interesse pubblico ad  essa
incombenti mediante propri strumenti, amministrativi,  tecnici  e  di
altro tipo, senza far ricorso  ad  entita'  esterne  (v.,  in  questo
senso, sentenza Stadt Halle et RPL Lochau, cit., punto  48)».  (sent.
in causa C-458/03, Parking Brixen, par. 61). 
    E' vero che la menzionata giurisprudenza comunitaria ha precisato
anche che la scelta orientata nel senso dell'«in house providing» non
puo' considerarsi del tutto libera,  potendosi  piuttosto  percorrere
solo quando  sussistano  delle  condizioni  che  la  giustificano  in
concreto (sent. in causa C-458/03, Parking Brixen, par. 63;  sent.  6
aprile 2006, in causa C-410/04, par. 26). E' altrettanto vero, pero',
che la medesima giurisprudenza ha ritenuto non  contrastante  con  il
diritto comunitario, e con l'esigenza di tutelare la concorrenza,  la
disciplina nazionale italiana previgente rispetto a  quella  oggi  in
discussione, la quale non individuava specificamente le ipotesi  e  i
casi in cui si doveva eccezionalmente ritenere ammissibile il ricorso
all'affidamento «in house» (sent. 6 aprile 2006, in causa C-410/04). 
    Da questa premessa e' agevole desumere la conseguenza, nel  senso
piu' sopra indicato. La disciplina previgente, che non  conteneva  le
indicazioni  suddette,  era  assolutamente  in  grado   di   tutelare
adeguatamente la concorrenza, arrecando pero'  un  vulnus  di  minore
entita' alla potesta' legislativa regionale residuale. Nel caso delle
norme impugnate, dunque, non puo' ritenersi affatto sperato  il  test
di proporzionalita' richiesto dalla giurisprudenza  di  questa  Corte
per la legittimita' costituzionale delle  norme  legislative  statali
poste a tutela della concorrenza. 
    Tale conclusione e' avvalorata anche da un concorrente argomento,
offerto dalla stessa normativa impugnata. L'art. 15, comma 1, oggetto
del presente giudizio, nel sostituire  (alla  lett.  d)  il  comma  8
dell'art. 23-bis del d.l. n. 112  del  2008,  prevede  la  cessazione
«automatica» delle «gestioni in essere alla data del 22  agosto  2008
affidate  conformemente  ai  principi  comunitari   in   materia   di
cosiddetta "in house"». 
    Questa  disposizione  mostra  con  chiarezza  che  la  disciplina
statale qui contestata va ben oltre, nel comprimere le possibilita' a
disposizione del legislatore regionale e degli enti locali, di quanto
richiesto dalla tutela della  concorrenza.  Come  si  ricordava  piu'
sopra, il diritto  comunitario  non  consente  che  gli  enti  locali
dispongano ad libitum l'affidamento «in house», viceversa, esige  che
a questo strumento possano far ricorso solo in peculiari circostanze.
La  normativa  statale,  invece,  disciplinando  piu'  analiticamente
questa eventualita', esclude la  legittimita'  della  scelta  dell'in
house  providing  in  situazioni  compatibili  con  la  tutela  della
concorrenza, in quanto conformi al diritto comunitario. 
      
    E' dunque chiaro che  la  normativa  impugnata  con  il  presente
ricorso,  ponendo  in  essere  precetti  non  necessari  al  fine  di
garantire  la  tutela  della  concorrenza,  non  supera  il  test  di
proporzionalita' e deve essere, dunque, dichiarata costituzionalmente
illegittima. 
    7.4. - L'art. 15, comma 1, del d.l. n.  135  del  2009,  viola  i
parametri di  «generalita'»  e  «proporzionalita'»  sopra  illustrati
anche nella parte in cui, sostituendo il comma 8 dell'art. 23-bis del
d.lgs. n. 112 del 2008, prevede quanto  segue:  «a)  le  gestioni  in
essere alla  data  del  22  agosto  2008  affidate  conformemente  ai
principi comunitari in materia  di  cosiddetta  «in  house»  cessano,
improrogabilmente  e  senza  necessita'  di  deliberazione  da  parte
dell'ente affidante, alla data del 31  dicembre  2011.  Esse  cessano
alla scadenza prevista dal contratto di  servizio  a  condizione  che
entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40  per
cento del capitale attraverso le modalita' di cui alla lettera b) del
comma  2;  b)  le  gestioni  affidate  direttamente  a   societa'   a
partecipazione mista pubblica e privata,  qualora  la  selezione  del
socio  sia  avvenuta  mediante  procedure  competitive  ad   evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del  comma
2, le quali non  abbiano  avuto  ad  oggetto,  al  tempo  stesso,  la
qualita' di socio e l'attribuzione  dei  compiti  operativi  connessi
alla  gestione  del  servizio,  cessano,  improrogabilmente  e  senza
necessita' di apposita deliberazione dell'ente affidante,  alla  data
del 31 dicembre 2011; c) le gestioni affidate direttamente a societa'
a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la  selezione  del
socio  sia  avvenuta  mediante  procedure  competitive  ad   evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del  comma
2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di
socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi  alla  gestione
del  servizio,  cessano  alla  scadenza  prevista  nel  contratto  di
servizio; d) gli affidamenti  diretti  assentiti  alla  data  del  1°
ottobre 2003 a societa' a partecipazione  pubblica  gia'  quotate  in
borsa  a  tale  data  e  a  quelle  da  esse  controllate  ai   sensi
dell'articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza  prevista
nel  contratto  di  servizio,  a  condizione  che  la  partecipazione
pubblica si riduca anche progressivamente,  attraverso  procedure  ad
evidenza  pubblica  ovvero  forme  di  collocamento  privato   presso
investitori qualificati e operatori industriali,  ad  una  quota  non
superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore  al
30 per cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte  condizioni  non
si verifichino, gli affidamenti  cessano  improrogabilmente  e  senza
necessita'   di   apposita   deliberazione    dell'ente    affidante,
rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015;
e) le gestioni affidate che  non  rientrano  nei  casi  di  cui  alle
lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del  31
dicembre 2010, senza necessita' di apposita  deliberazione  dell'ente
affidante». 
      
    E' infatti del tutto evidente che, come nella sent.  n.  272  del
2004   questa    Corte    ha    ritenuto    di    dover    dichiarare
l'incostituzionalita' di parte della  normativa  allora  oggetto  del
giudizio  a  causa  dell'«estremo  dettaglio  nella  indicazione  dei
criteri» di affidamento che la caratterizzava (par. 3 del Considerato
in  diritto),  allo  stesso  modo  deve  concludersi  nella  presente
circostanza, visto l'«estremo dettaglio» nella indicazione dei  tempi
e delle modalita' di cessazione delle presenti gestioni pure conformi
alla disciplina in house posta dal diritto comunitario. 
    Anche il parametro di «proporzionalita'»  risulta  violato  dalla
disciplina transitoria appena citata. 
    Il fine da essa perseguito e' evidentemente quello  di  garantire
effettivita'  e  tempestivita'  all'entrata  a  regime  della   nuova
normativa introdotta. Per raggiungere questo fine, tuttavia, non  era
affatto necessario comprimere i poteri decisionali  delle  Regioni  e
degli enti locali nel modo in cui li comprime l'art. 15 del  d.l.  n.
135 del 2008. Sarebbe risultata piu' che  sufficiente,  infatti,  una
normativa che prevedesse uno  spettro  di  date  entro  il  quale  le
singole Regioni potessero  compiere  le  proprie  scelte,  ovvero  un
meccanismo di adeguamento progressivo ai nuovi standard. In  sintesi,
anche  in  questo  caso,  la  pervasivita'  della  normativa  statale
impugnata non era affatto  necessaria  a  garantire  lo  standard  di
tutela della concorrenza  perseguito.  Di  conseguenza,  il  test  di
proporzionalita' non e' superato, e la disciplina in  questione  deve
considerarsi costituzionalmente illegittima, ovviamente sempre per la
sola parte in cui essa si applica al servizio idrico  integrato  come
da delibera  autorizzativa  all'impugnazione  adottata  dalla  Giunta
regionale della Regione Marche. 
    7.5. - Anche in relazione  alla  censura  proposta  nel  presente
motivo, occorre fare riferimento  all'ipotesi  di  un'interpretazione
secondo Costituzione  delle  disposizioni  impugnate  (v.  precedente
paragrafo 5.6). 
    La Regione ricorrente, con la presente censura,  intende  infatti
porre in rilievo che - anche  ove  le  precedenti  questioni  fossero
ritenute infondate - i commi 1 e 1-ter dell'art. 15 del d.l.  n.  135
del 2009, sarebbero da considerare costituzionalmente illegittimi  in
quanto, regolando il servizio  idrico  integrato,  ed  imponendo  una
strutturazione del medesimo come servizio necessariamente a rilevanza
economica,    costituirebbero    una     normativa     giustificabile
esclusivamente in base al titolo competenziale di cui  all'art.  117,
secondo comma, lett. e), Cost., ma come tale esorbitante rispetto  ai
limiti che questa disposizione costituzionale pone alla legge statale
ogni qualvolta essa intervenga in materie regionali. 
    La presente censura (a differenza dei precedenti motivi)  sarebbe
quindi ammissibile  anche  ove  questa  Corte  ritenesse  di  aderire
all'interpretazione costituzionalmente orientata  delle  disposizioni
impugnate (nel senso che l'art. 15, comma 1-ter, lascerebbe del tutto
impregiudicata la questione della conformazione del  servizio  idrico
integrato quale servizio avente o non  avente  rilevanza  economica).
Infatti, nel caso in cui  si  ritenesse  di  accogliere  la  suddetta
interpretazione  restrittiva  della  normativa  impugnata,  le  norme
oggetto  della  presente  questione  di  legittimita'  costituzionale
disciplinerebbero comunque nel dettaglio, e ben oltre  i  limiti  che
pone l'art. 117, secondo comma, lett. e),  Cost.,  l'affidamento  del
servizio idrico integrato che fosse stato conformato - dalla potesta'
regolamentare locale, ovvero dalla legislazione regionale -  in  modo
tale da far assumere al medesimo rilevanza economica. 
    In altre parole, l'interpretazione  secondo  la  quale  le  norme
impugnate non pregiudicano la spettanza locale  (o  regionale)  della
conformazione del  servizio  quale  avente  o  non  avente  rilevanza
economica, se determina la conseguenza di far  cadere  le  prime  due
questioni  di  legittimita'  costituzionale  proposte  dalla  Regione
ricorrente, non ha il medesimo effetto su questa terza questione.  In
ogni caso, infatti, la disciplina qui contestata e' troppo pervasiva,
inadeguata  e  sproporzionata  rispetto   ai   limiti   posti   dalla
Costituzione  al  titolo  di   intervento   statale   «tutela   della
concorrenza», e per questa ragione, conformemente  agli  orientamenti
gia'   espressi   da   questa   Corte,   deve    essere    dichiarata
costituzionalmente illegittima. 
    8. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15,  commi  1  e
1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 119,  comma
6, Cost., il quale prevede che «i  Comuni,  le  Province,  le  Citta'
metropolitane e le Regioni hanno un  proprio  patrimonio,  attribuito
secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato». 
    8.1. - L'art. 119, sesto  comma,  della  Costituzione  stabilisce
espressamente, nella  sua  prima  proposizione,  che  «i  Comuni,  le
Province, le Citta' metropolitane  e  le  Regioni  hanno  un  proprio
patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati  dalla
legge dello Stato». 
      
    Tale disposizione contiene due  norme  distinte:  la  prima,  che
«impone» la dotazione di un  determinato  patrimonio  («proprio»)  in
capo ai Comuni, alle  Province,  alle  Citta'  metropolitane  e  alle
Regioni e che, pertanto, da questo punto  di  vista,  costituisce  il
fondamento costituzionale esplicito della proprieta'  pubblica  degli
enti locali territoriali e delle Regioni; la seconda, che  stabilisce
- quale unico limite della suddetta dotazione patrimoniale -  che  la
sola «attribuzione» dei relativi beni debba avvenire  sulla  base  di
«principi  generali»  fissati  dal  legislatore  statale,  con   cio'
individuando a favore  della  legge  dello  Stato  uno  specifico  ed
ulteriore titolo competenziale rispetto a quelli  previsti  nell'art.
117, secondo e terzo comma, Cost. 
    Da  queste  norme  si   ricavano   con   certezza   le   seguenti
implicazioni: 
      a) che  la  proprieta'  pubblica  regionale  e  locale  ha  uno
specifico fondamento costituzionale e, pertanto,  partecipa  a  pieno
titolo alla definizione delle sfere di  autonomia  costituzionalmente
garantita dei rispettivi enti, risultando  «imposto»  al  legislatore
statale l'obbligo di prevedere  l'attribuzione  a  tali  enti  di  un
proprio patrimonio; 
      b) che una volta avvenuta l'attribuzione  del  patrimonio  alla
proprieta' delle Regioni e degli enti locali territoriali, secondo  i
principi generali fissati dalla legge dello  Stato,  tale  proprieta'
pubblica  deve  considerarsi  naturalmente  assoggettata  al   regime
giuridico del demanio e del patrimonio  indisponibile  o  disponibile
sulla base delle ordinarie norme del codice civile (in specie,  degli
artt. 823, 824, 826, 828 e 829); 
      
      c) che al legislatore statale la Costituzione riconosce  titoli
di legittimazione per la sola disciplina dei «principi generali»  per
l'attribuzione di tali beni  e  per  il  relativo  regime  giuridico,
riconducibile alla materia «ordinamento civile», nel quale  e'  senza
dubbio ricompresa la regolazione dei  limiti  e  delle  modalita'  di
alienazione dei suddetti beni nelle forme negoziali, ma non certo  il
potere di disciplinare la  sottrazione  dei  medesimi  al  patrimonio
delle autonomie territoriali. 
    Nel quadro normativo  costituzionale  appena  illustrato,  devono
essere considerate le norme contenute nel d.lgs. n. 152 del 2006,  le
quali individuano  il  regime  proprietario  delle  risorse  e  delle
infrastrutture idriche. 
    Si tratta, in particolare, degli  artt.  143  e  144  del  citato
d.lgs. In base al comma 1  di  quest'ultima  disposizione  (rubricata
«Tutela e uso delle risorse idriche»), «tutte le acque superficiali e
sotterranee, ancorche' non estratte dal sottosuolo,  appartengono  al
demanio dello Stato». In base al comma  1  dell'art.  143  (rubricato
«Proprieta' delle infrastrutture»), «gli  acquedotti,  le  fognature,
gli impianti di depurazione e  le  altre  infrastrutture  idriche  di
proprieta' pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno
parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti  del  codice
civile e sono inalienabili se non nei modi  e  nei  limiti  stabiliti
dalla legge». Da tali proposizioni normative si  deduce,  in  termini
inequivoci, che mentre tutte le risorse idriche debbono  considerarsi
di proprieta'  dello  Stato  e  facenti  parte  del  demanio  statale
necessario di cui al comma 1 dell'art.  822  del  codice  civile,  le
infrastrutture idriche possono essere di proprieta' pubblica di tutti
gli enti territoriali e, qualora lo siano in  concreto,  appartengono
al demanio eventuale dello Stato, delle Regioni o degli  enti  locali
ai sensi degli artt. 822, comma 2, e 824, comma 1, del codice civile,
risultando  percio'  assoggettati  al  regime   giuridico   stabilito
dall'art. 823 anche per quanto concerne la loro tutela. 
      
    A queste norme debbono poi essere aggiunte anche quelle contenute
nell'art. 153, comma 1, e nell'art.  151,  comma  2,  lett.  m),  del
d.lgs. n. 152 del 2006. La  prima  disposizione  stabilisce  che  «le
infrastrutture idriche di  proprieta'  degli  enti  locali  ai  sensi
dell'articolo 143 sono affidate in concessione  d'uso  gratuita,  per
tutta la durata  della  gestione,  al  gestore  del  servizio  idrico
integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei  termini  previsti
dalla convenzione e dal relativo disciplinare», con cio' sancendo  la
natura di «concessione  traslativa  a  titolo  gratuito»  del  titolo
giuridico in base al quale l'uso dei beni in questione, di proprieta'
degli  enti  locali,  deve  necessariamente  essere  «trasferito»  al
soggetto che assume la gestione del servizio. La seconda disposizione
completa il  quadro,  prevedendo  «l'obbligo  di  restituzione,  alla
scadenza  dell'affidamento,  delle  opere,  degli  impianti  e  delle
canalizzazioni  del  servizio  idrico  integrato  in  condizioni   di
efficienza ed in buono stato di conservazione». 
    8.2. - Le norme qui censurate e, in particolare, l'art. 15, comma
1-ter, del d.l. n. 135 del 2009 (cosi' come convertito in legge,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 166 del 2009), si
limitano a prevedere il  «rispetto»  del  «principio»  «di  piena  ed
esclusiva  proprieta'  pubblica   delle   risorse   idriche»,   senza
assicurare in alcun  modo  la  salvaguardia,  ne'  sotto  il  profilo
formale ne' sotto il profilo sostanziale, della  proprieta'  pubblica
delle «infrastrutture idriche», le quali - come risulta  testualmente
dal citato art. 143, comma 1, del  d.lgs.  n.  152  del  2006  -  ben
possono essere di proprieta' delle Regioni e  degli  enti  locali  ed
essere, per cio' stesso, assoggettate al regime del demanio regionale
o locale che l'art. 119, comma 6, Cost. riconosce e garantisce  anche
(e soprattutto) - come si e'  detto  -  nei  confronti  dello  stesso
legislatore statale. 
    Cio'  da'  luogo  a  due  distinte  ed  autonome   questioni   di
legittimita' costituzionale. 
    8.2.1.  -  Da  un  primo  punto  di  vista,  seguendo   l'opzione
interpretativa su  cui  si  sono  costruite  le  censure  di  cui  ai
precedenti parr. 5 e 6,  e'  del  tutto  evidente  che  la  normativa
impugnata, imponendo agli enti locali di  conformare  necessariamente
il servizio idrico integrato come servizio a rilevanza  economica  e,
su questa base, rendendone obbligatorio l'affidamento della  relativa
gestione  (infrastrutture  comprese)  a  soggetti  privati,   ponendo
altresi' una clausola  di  salvaguardia  a  tutela  della  «piena  ed
esclusiva proprieta' pubblica» a favore delle  sole  risorse  idriche
appartenenti   al   demanio   statale,   determina   il   sostanziale
«svuotamento» della proprieta'  pubblica  dei  beni  appartenenti  al
demanio  idrico  regionale  e  locale,  beni  che  risulteranno,  per
espresso disposto del richiamato art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152
del 2006, necessariamente e ope legis «affidati in concessione  d'uso
gratuita» al gestore privato del servizio idrico integrato, in palese
violazione di quanto disposto dall'art. 119,  comma  6,  Cost.  E  la
conferma della correttezza di una simile lettura del  dato  normativo
e' rappresentata proprio dalla menzionata  clausola  di  salvaguardia
della proprieta' pubblica delle risorse idriche  che  il  legislatore
statale ha avvertito la necessita' di introdurre e  che,  ovviamente,
risulterebbe del tutto inutile qualora la  disciplina  impugnata  non
implicasse quella sostanziale «espropriazione» a favore  dei  privati
dei beni appartenenti al demanio idrico. 
      
    Da tutto cio' consegue, anche sotto il profilo  della  violazione
dell'art.  119,  comma  6,  Cost.,  l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 15, comma 1-ter, del d.l.  n.  135  del  2009  (cosi'  come
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge n. 166 del 2009), nella parte in cui esso impone di  conformare
necessariamente  il  servizio  idrico'integrato   come   servizio   a
rilevanza economica, rendendo obbligatoria la  scelta  di  una  delle
forme di gestione di cui all'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008. 
    8.2.2. - La disposizione qui censurata, peraltro,  si  rivela  in
contrasto con l'art. 119, comma 6, Cost. anche da un secondo punto di
vista.  Infatti,  anche  a  voler  accedere  a  quell'interpretazione
costituzionalmente orientata secondo la quale la disciplina in  esame
non imporrebbe affatto di conformare  il  servizio  idrico  integrato
come servizio a rilevanza economica (con i relativi vincoli in ordine
alle modalita' di gestione e al  necessario  affidamento  a  soggetti
privati), la violazione della evocata norma costituzionale - posta  a
garanzia  del  patrimonio  delle  Regioni   e   degli   enti   locali
territoriali - risulterebbe evidente per la mancata previsione di una
specifica clausola di salvaguardia a favore della proprieta' pubblica
delle infrastrutture idriche di cui le  Regioni  e  gli  enti  locali
siano in concreto titolari; clausola  che,  per  essere  effettiva  e
corrispondere alla norma costituzionale,  non  potrebbe  limitarsi  a
fare salvo il solo profilo  della  titolarita'  «formale»  del  bene,
dovendo bensi'  consistere  nella  previsione  della  necessita'  del
consenso esplicito, da  parte  dell'ente  titolare  della  proprieta'
delle  infrastrutture  interessate  dal  servizio  idrico  integrato,
rispetto  alla  scelta  concernente  l'eventuale  conformazione   del
servizio come servizio a rilevanza economica  e  il  conseguente  suo
affidamento a soggetti privati. 
    Da tutto cio' consegue l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
15, comma 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009 (cosi' come  convertito  in
legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.  166
del 2009), anche  nella  parte  in  cui  si  limita  a  prevedere  il
«rispetto» del «principio» «di piena ed esclusiva proprieta' pubblica
delle risorse idriche», senza garantire,  altresi',  la  salvaguardia
della proprieta' pubblica regionale e  locale  delle  «infrastrutture
idriche», cosi' come individuate nell'art. 143, comma 1,  del  d.lgs.
n. 152 del  2006,  attraverso  la  previsione  della  necessita'  del
consenso esplicito, da  parte  dell'ente  titolare  della  proprieta'
delle  infrastrutture  interessate  dal  servizio  idrico  integrato,
rispetto  alla  scelta  concernente  l'eventuale  conformazione   del
servizio come servizio a rilevanza economica  e  il  conseguente  suo
affidamento a soggetti privati. 
    9. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15,  commi  1  e
1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, per violazione dell'art. 117,  comma
1, Cost., il quale prevede che la potesta' legislativa sia esercitata
dallo Stato e dalle  Regioni  nel  rispetto  «dei  vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario». 
      
    9.1. - L'articolo 15, commi 1 e 1-ter, del d.l. n. 135 del  2009,
nella misura in cui  impone  la  conformazione  del  servizio  idrico
integrato come servizio a rilevanza  economica,  con  la  conseguente
applicazione dei principi del mercato interno e delle norme nazionali
che  attuano  questi  principi,  e'  inoltre   incostituzionale   per
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., poiche' esso  determina
la violazione di quelle peculiari norme poste dal diritto comunitario
in relazione ai servizi di interesse generale. 
    Al riguardo, devono essere evocati, innanzi tutto, gli artt. 14 e
106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (gia' artt. 16
e 86 del Trattato CE). 
    Secondo  la  prima  di  queste  due  disposizioni,  «fatti  salvi
l'articolo 4 del trattato sull'Unione europea e gli articoli 93,  106
e 107 del presente trattato, in  considerazione  dell'importanza  dei
servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni
dell'Unione, nonche' del loro ruolo nella promozione  della  coesione
sociale e territoriale, l'Unione  e  gli  Stati  membri,  secondo  le
rispettive competenze e nell'ambito del  campo  di  applicazione  dei
trattati, provvedono affinche' tali  servizi  funzionino  in  base  a
principi e condizioni, in particolare economiche e  finanziarie,  che
consentano loro di assolvere i propri compiti». 
    La seconda, invece, al par. 2, dispone quanto segue: «Le  imprese
incaricate della gestione di servizi di interesse economico  generale
o aventi carattere di monopolio fiscale sono  sottoposte  alle  norme
dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti
in cui l'applicazione di tali  norme  non  osti  all'adempimento,  in
linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro  affidata.
Lo sviluppo degli  scambi  non  deve  essere  compromesso  in  misura
contraria agli interessi dell'Unione».Da quanto precede  risulta  con
chiarezza  che,  per  perseguire  gli   obiettivi   di   coesione   e
solidarieta' sociali, fatti  propri  anche  dall'Unione  europea,  il
diritto di questo ordinamento esclude che  ai  servizi  di  interesse
generale debbano senz'altro applicarsi le norme del mercato  interno.
Viceversa, del tutto prioritario  rispetto  alla  applicazione  delle
norme del mercato interno, e' che i  servizi  di  interesse  generale
siano effettuati in modo tale da raggiungere i risultati  che  con  i
medesimi ci si prefigge. 
    In particolare, l'art. 106 sopra citato  evidenzia  poi  come  le
circostanze  che  determinano  la  possibilita'  che  le  norme   pro
concorrenziali del mercato interno  pregiudichino  il  raggiungimento
degli obiettivi  di  coesione  sociale  sottostanti  al  servizio  di
interesse generale possono essere sia di diritto, che di fatto:  cio'
mette bene in luce la assoluta predominanza, da  un  punto  di  vista
assiologico, che nella materia considerata  hanno  gli  obiettivi  di
coesione sociale sottostanti ai servizi di interesse generale:  quali
che siano le cause  che  impediscono  al  sistema  concorrenziale  di
mercato di raggiungere in modo soddisfacente e  generalizzato  questi
obiettivi, siano esse di  diritto  o  di  fatto,  non  devono  essere
applicate le norme del mercato interno a questi servizi. 
    La  eccezionalita'  del  trattamento  giuridico  dei  servizi  di
interesse generale e'  confermata  anche  dalla  Comunicazione  della
Commissione  al  Parlamento  europeo,  al  Consiglio,   al   Comitato
economico e sociale europeo e  al  Comitato  delle  Regioni  -  Libro
bianco sui servizi di interesse generale - COM (2004) 374. 
    In questo documento, infatti, si  evidenzia  che  «i  servizi  di
interesse economico generale  non  sono  soggetti  alla  applicazione
delle norme del Trattato nella misura in cui cio' risulti  necessario
per consentire di adempiere il loro compito di  interesse  generale»,
il quale dunque «prevale  (...)  sull'applicazione  delle  norme  del
Trattato». 
    9.2. - Il servizio idrico integrato del quale in questa  sede  si
discute  e'  senz'altro  annoverabile  trai  servizi   di   interesse
generale.  A  questa  conclusione  si  giunge  agevolmente   ove   si
consideri, tra l'altro, la essenzialita' di questo  servizio  per  la
stessa vita umana, e la Risoluzione del  Parlamento  europeo  del  15
marzo 2006, che dichiara l'acqua  «bene  comune  dell'umanita'».  Del
resto, cio' risulta esplicitamente dal gia' citato Libro bianco della
Commissione sui servizi di interesse generale,  nel  quale,  al  par.
3.4, si menziona esplicitamente il servizio idrico tra i  servizi  di
interesse generale. 
    9.3. - E' del tutto evidente che la  disciplina  in  questa  sede
impugnata contrasta  con  le  norme  del  diritto  comunitario  sopra
richiamate, e dunque con l'art. 117, primo comma, Cost. 
    Ovviamente la Regione ricorrente non sostiene che, senz'altro, il
servizio  idrico  integrato  debba  essere  svolto   in   forme   che
prescindono dalle norme proconcorrenziali  del  mercato  interno.  In
determinate circostanze, sara' ben possibile  che  gli  obiettivi  di
coesione sociale connessi al medesimo siano  efficacemente  raggiunti
anche in un sistema imperniato su tali norme. Cio' che  nel  presente
ricorso si contesta, invece, e' che le norme  impugnate,  conformando
il  servizio  idrico  come  servizio  necessariamente   a   rilevanza
economica, abbiano imposto la applicazione delle regole  del  mercato
interno  in  via  generale  per  tutto   il   territorio   nazionale,
prescindendo del tutto dalle diverse  condizioni  e  circostanze  che
nelle diverse realta' possono ravvisarsi. 
    Particolare rilievo assume, da questo punto di vista, l'art.  106
del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il quale  -  come
si e' gia' avuto modo di evidenziare - afferma  che  le  ragioni  che
determinano il «fallimento  del  mercato»  possono  essere  anche  di
carattere fattuale.  E'  del  tutto  ovvio  che  queste  ragioni,  di
carattere fattuale, possono sussistere in alcune zone e non in altre.
Cio' che risulta precluso dal diritto comunitario, dunque, non e'  la
scelta di un determinato modello per la conformazione dei servizi  di
interesse generale, ma la adozione di decisioni generalizzate che non
siano in grado di tenere conto delle peculiarita' in  cui  i  servizi
devono essere svolti. Cio' risulta anche dal richiamato Libro  bianco
della Commissione europea sui servizi di interesse generale, ove,  al
par. 4.3 si afferma che  «le  autorita'  pubbliche  competenti  degli
Stati membri sono sostanzialmente libere di decidere  se  fornire  in
prima persona un servizio di interesse generale o  se  affidare  tale
compito ad un altro ente (pubblico o privato)». 
    Questo approccio sostiene anche  la  Risoluzione  del  Parlamento
europeo del 15 marzo 2006, la quale ritiene  che  la  gestione  delle
risorse idriche debba basarsi  «su  un'impostazione  partecipativa  e
integrata che coinvolga gli utenti e i responsabili decisionali nella
definizione delle politiche in materia di acqua a livello locale e in
modo democratico», evidenziando anche come il ruolo  fondamentale  in
relazione alla gestione delle risorse idriche debba riconoscersi alle
autorita' locali. 
      
    In sintesi, la normativa impugnata con il presente ricorso  viola
i richiamati principi comunitari, e dunque l'art. 117,  primo  comma,
Cost., perche' costituisce una decisione generalizzata  e  vincolante
circa la conformazione del servizio idrico integrato nel senso  della
sua soggezione alle norme del mercato interno, impedendo in tal  modo
che la scelta su tale ultimo punto sia effettivamente  adeguata  alle
circostanze di diritto, ma soprattutto di fatto,  che  caratterizzano
le diverse realta' in cui il servizio e' chiamato ad esplicarsi e non
consentendo, quindi, di raggiungere i fini  di  coesione  sociale  ad
esso sottesi. 
    Puo' inoltre essere evidenziato come la tendenza che  matura  nel
contesto  delle  istituzioni  comunitarie  sia  esattamente   opposta
rispetto all'indirizzo del legislatore italiano. A  questo  riguardo,
e' assolutamente significativa la Risoluzione dell'1l marzo 2004  del
Parlamento europeo, la quale afferma che  «essendo  l'acqua  un  bene
comune dell'umanita', la gestione  delle  risorse  idriche  non  deve
essere assoggettata alle norme del mercato interno».  Se  dunque  nel
diritto comunitario vigente esiste  inequivocabilmente  il  principio
che subordina l'applicazione delle norme  del  mercato  interno  alla
compatibilita', da valutare caso per caso  anche  in  relazione  alle
circostanze di fatto, con il  raggiungimento  dei  fini  di  coesione
sociale, la linea che emerge dall'atto  appena  citato  approfondisce
questa logica, sostenendo addirittura  il  divieto  dell'applicazione
delle norme del mercato interno. 
      
    In base alle sopra esposte argomentazioni, la Regione  ricorrente
ritiene che debba essere  riconosciuta,  anche  eventualmente  previo
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia CE al fine di  acquisire
l'interpretazione  autentica   del   diritto   comunitario   vigente,
l'illegittimita' costituzionale, sotto il  profilo  della  violazione
dell'art. 117, comma 1, Cost., di una normativa  statale  che  limiti
(fino sostanzialmente ad azzerarlo) il potere di  scelta  degli  enti
piu' vicini ai cittadini circa la modalita' di gestione del  servizio
idrico integrato costituita dal c.d.  «in  house  providing»  e  che,
comunque, sottragga a tali enti - avocandola, una  volta  per  tutte,
allo Stato  -  la  decisione  circa  la  conformazione  del  suddetto
servizio, configurandolo necessariamente come attivita'  a  rilevanza
economica ed imponendo,  dunque,  la  applicazione  delle  norme  pro
concorrenziali del mercato interno. 
    E'  peraltro  evidente  che  tale   questione   di   legittimita'
costituzionale risulterebbe svuotata del suo significato  ove  questa
Corte si risolvesse ad interpretare  le  disposizioni  impugnate  nel
senso di ritenerle applicabili soltanto nel caso  in  cui  sia  stata
compiuta l'opzione (affidata alla libera  determinazione  degli  enti
titolari dell'erogazione del  servizio  idrico  integrato)  a  favore
della conformazione del servizio come servizio a rilevanza economica,
senza pregiudicare dunque tale scelta, secondo quanto ipotizzato  nel
presente ricorso (par. 5.6). 

        
      
 
                               P.Q.M. 
 
    La Regione Marche chiede, in accoglimento del  presente  ricorso,
che sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'articolo  15,
commi 1  e  1-ter,  del  decreto-legge  25  settembre  2009,  n.  135
(Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari  e  per
l'esecuzione di sentenze della Corte  di  giustizia  delle  Comunita'
europee),  cosi'  come  convertito  in  legge,   con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 20 novembre  2009,  n.  166,  nella
parte in cui le citate disposizioni si applicano al  servizio  idrico
integrato, nei termini sopra esposti. 
      Roma, addi' 20 gennaio 2010 
 
                             Avv. Grassi 
 

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