N. 15 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 marzo 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 5 marzo 2003 (della Regione Toscana)
(GU n. 13 del 2-4-2003)

Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro
tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 112
del 10 febbraio 2003, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente atto, dagli avvocati Vito Vacchi, Lucia Bora e Fabio
Lorenzoni e presso lo studio di quest'ultimo elettivamente
domiciliato in Roma, via del Viminale n. 43;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 3,
primo comma, lettera a), 5, 6, 7, 8, 9, ad eccezione del
diciassettesimo comma; 13, terzo comma; 15, 16, 24, 30, primo comma;
34, primo, secondo, terzo, quarto, undicesimo e tredicesimo comma;
90, dal diciottesimo al ventiduesimo comma e 91 della legge
27 dicembre 2002, n. 289 recante disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato.
Sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 305 del
31 dicembre 2001 e' stata pubblicata la legge finanziaria 2003
(n. 289 del 27 dicembre 2002). Nel testo sono state inserite
disposizioni che incidono su materie di competenza regionale, con
profili di illegittimita' costituzionale, specie alla luce delle
innovazioni introdotte dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 che, com'e' noto, ha modificato le disposizioni del titolo V,
parte seconda, della Costituzione. Da qui la necessita' della
proposizione del presente ricorso, per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale delle disposizioni di seguito indicate:
1. - Illegittimita' costituzionale degli articoli 3, primo comma,
lettera a); 5, 6, 7, 8, 9, ad eccezione del diciassettesimo comma;
13, terzo comma; 15 e 16 per violazione degli articoli 117, 118 e 119
della Costituzione.
L'art. 3, primo comma, lettera a), prevede una sospensione degli
aumenti delle addizionali all'IRPEF per i comuni e le regioni e della
maggiorazione dell'aliquota IRAP sino a quando non si raggiunga un
accordo in sede di conferenza unificata tra Stato, regioni ed enti
locali sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale.
L'art. 5 introduce una serie di modifiche al decreto legislativo
statale istitutivo dell'IRAP (n. 446/1997), destinate a ridurne il
gettito.
L'art. 6 istituisce il concordato triennale preventivo, cui
possono accedere anche i contribuenti soggetti all'IRAP, definendo
per tre anni la base imponibile anche di tale imposta, con la
conseguenza che gli eventuali maggiori imponibili, rispetto a quelli
oggetto del concordato, non sono soggetti all'imposta suddetta.
L'art. 7 prevede la definizione automatica dei redditi di impresa
e di lavoro autonomo per gli anni pregressi mediante
autoliquidazione; tale definizione automatica ha effetto, per quanto
qui interessa, anche ai fini delle addizionali IRPEF per le regioni e
dell'IRAP e si perfeziona con il versamento, mediante
autoliquidazione, dei tributi derivanti dai maggiori ricavi o
compensi determinati sulla base dei criteri e delle metodologie
stabiliti con decreto, ai sensi del comma quattordicesimo della
medesima norma.
L'art. 8 prevede la integrazione degli imponibili per gli anni
pregressi che puo' avere effetto, per quanto qui rileva, anche ai
fini delle addizionali IRPEF, e dell'IRAP.
L'art. 9 disciplina la definizione automatica per gli anni
pregressi, che riguarda tutte le imposte e tutti i periodi di imposta
per i quali i termini per la presentazione delle relative
dichiarazioni siano scaduti entro il 31 ottobre 2002. Diverse sono le
modalita' di perfezionamento di tale forma di condono in funzione
delle imposte interessate. Per quanto riguarda l'IRAP si prevede il
pagamento del 18% dell'imposta lorda; se l'imposta lorda e' risultata
di ammontare superiore a 10.000 euro, la percentuale applicabile
all'eccedenza e' del 16%, mentre per importi superiori a 20.000 euro
si paghera', sull'ulteriore eccedenza, il 13%.
L'art. 13 concede alla regioni e agli enti locali di stabilire la
riduzione dell'ammontare delle imposte e tasse loro dovute, nonche'
l'esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni qualora
i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in
tutto o in parte non adempiuti. Il terzo comma della norma specifica
che, ai fini del presente articolo, si intendono tributi propri della
regione i tributi la cui titolarita' giuridica ed il cui gettito
siano alla stessa integralmente attribuiti, con esclusione delle
compartecipazioni ed addizionali a tributi erariali, nonche' delle
mere attribuzioni ad enti territoriali del gettito, totale o
parziale, di tributi erariali.
L'art. 15 prevede che possano formare oggetto di definizione
agevolata gli avvisi di accertamento, gli inviti al contraddittorio
ed i processi verbali di constatazione non ancora definiti,
relativamente a tutte le imposte, ivi compresa l'IRAP e stabilisce le
percentuali da pagare per la definizione stessa.
L'art. 16 disciplina la chiusura delle liti fiscali pendenti, che
possono essere definite, anche per l'IRAP, con il pagamento delle
somme determinate dalla norma stessa.
Le forme di condono sopra indicate determinano rilevanti effetti
sostanziali, tra cui l'estinzione delle sanzioni amministrative
tributarie, comprese quelle accessorie, relative alle dichiarazioni
condonate.
Le suddette disposizioni si pongono in contrasto con gli articoli
117 e 119 della Costituzione, in quanto si applicano anche all'IRAP,
per le considerazioni che si espongono.
1.A) La Corte costituzionale (sent. 1999 n. 138), in riferimento
alla originaria formulazione dell'art. 119 della Costituzione, ha
qualificato l'IRAP come tributo proprio delle regioni,
contrapponendola alle quote di tributi erariali. Questa
qualificazione, a maggior ragione, vale oggi, in rapporto alla nuova
formulazione della norma costituzionale. Infatti, era semmai la
contrapposizione dei tributi propri alle quote di tributi erariali
che poteva consentire di ricomprendere l'IRAP tra le seconde (ma la
Corte, come si e' detto, lo ha escluso), giacche' si potevano, al
limite, qualificare in tal modo quelle imposte che, anche se
integralmente percepite dalle regioni (quota del 100%), dovessero
essere disciplinate soltanto dallo Stato. Una soluzione del genere
e', a maggior ragione, esclusa attualmente, poiche' nella nuova
versione dell'art. 119 della Costituzione le uniche entrate
tributarie, oltre ai tributi propri, di cui regioni ed enti locali
possono disporre sono le compartecipazioni ai tributi erariali: il
diverso termine impiegato dalla norma - non piu' quote di tributi
erariali ma appunto compartecipazioni a tali tributi - e', al
riguardo, significativo, perche' la compartecipazione presuppone una
ripartizione del relativo gettito con l'ente competente ad istituire
e disciplinare il tributo. In definitiva, l'IRAP e' annoverabile tra
i tributi propri delle regioni perche' e' a queste che spetta
integralmente il relativo gettito, cosi' come sono qualificabili
nello stesso modo tutti i tributi attualmente esistenti che
presentino analoga caratteristica: cio' che conta e' la spettanza del
gettito, perche' la competenza a disciplinare il tributo e' questione
che dipende poi dal modo in cui la Costituzione ripartisce,
rispettivamente tra lo Stato e le regioni, i poteri in ordine ai
tributi propri delle regioni.
Quanto ai poteri spettanti alle regioni sui loro tributi propri,
la Corte costituzionale (sent. n. 111/1999), pur qualificando l'IRAP
come tributo proprio delle regioni, ha poi escluso che la legge
statale istitutiva (che come e' noto disciplina compiutamente ogni
aspetto di questa imposta) violi l'autonomia speciale della Regione
Sicilia. A questa conclusione la Corte perviene pero' muovendo dal
rilievo che il disegno abbozzato dallo Statuto di tale regione non ha
trovato poi seguito nell'ordinamento e le disposizioni di attuazione
hanno in realta' delineato un assetto completamente differente, in
cui la Regione Sicilia viene a disporre, sui suoi tributi propri, dei
medesimi spazi di autonomia riconosciuti alle altre regioni
(sent. 1999 n. 138). Come e' noto, questi spazi di autonomia la Corte
costituzionale li ha ricostruiti muovendo da una lettura
dell'art. 119 della Costituzione incentrata su due elementi tra loro
strettamente connessi: la potesta' impositiva e' conferita alle
regioni dalle leggi di coordinamento, preposte, secondo l'originaria
formulazione dell'art. 119, a stabilire le forme ed i limiti
dell'autonomia finanziaria delle regioni e ad attribuire loro,
appunto, i tributi propri (sent. 1990 n. 156); inoltre, e
conseguentemente, questa potesta' e' cosa distinta e separata dalla
potesta' legislativa dell'art. 117, primo comma della Costituzione
per cui non si configura come potesta' di tipo concorrente, ma semmai
come potesta' attuativa alla stregua di quella prevista dall'art. 17
u.c. (sent. 1998 n. 355 e sent. 1993 n. 295). Sono questi i
presupposti che hanno consentito alla Corte costituzionale di
dichiarare infondata la questione di costituzionalita' relativa
all'insufficiente spazio lasciato all'autonomia normativa regionale
dalla disciplina statale istitutiva dell'IRAP: questi stessi
presupposti condurrebbero a ritenere legittime le norme qui sindacate
della legge finanziaria 2003.
Il fatto e' che entrambi i suddetti presupposti sono venuti meno
a seguito della modifica del titolo V della Costituzione. Infatti,
per un verso, la potesta' impositiva e' riconosciuta direttamente
dall'art. 119 della Costituzione, in quanto la legge statale non e'
piu' preposta a definire le forme ed i limiti dell'autonomia
finanziaria ed in quanto i tributi propri non sono piu' attribuiti da
tale legge. Per altro verso, per l'esercizio di questa potesta',
l'art. 117 riconosce una competenza legislativa di tipo esclusivo:
infatti il sistema tributario e' stato eretto a distinta e specifica
materia dall'art. 117 secondo comma, che attribuisce alla potesta'
esclusiva dello Stato la disciplina del suo sistema contabile e
tributario, per cui, poiche' nella elencazione di materie
dell'art. 117 manca invece qualsiasi riferimento al sistema
tributario delle regioni e degli enti locali, bisogna concludere che
queste due materie, in quanto non altrimenti attribuite, rientrano
nella potesta' residuale, di tipo esclusivo, delle regioni prevista
dall'art. 117, quarto comma.
In questo diverso contesto, gli unici limiti che possono
frapporsi all'esercizio da parte delle regioni della loro potesta'
impositiva stanno nella competenza concorrente dello Stato in ordine
al coordinamento del sistema tributario e della finanza pubblica. La
legge dello Stato puo' quindi intervenire esclusivamente per
coordinare mediante principi fondamentali: il fatto che debba
trattarsi di una legislazione di coordinamento significa che essa
deve limitarsi a definire gli ambiti entro cui puo' essere esercitata
la potesta' impositiva dei vari livelli di governo; il fatto che cio'
debba avvenire mediante principi fondamentali significa che la legge
statale non puo' contenere disposizioni di dettaglio. Da tutto cio'
bisogna trarre la conclusione che, a seguito dell'entrata in vigore
del nuovo titolo V della Costituzione, lo Stato ha perso il potere di
emanare, in ordine ai tributi propri delle regioni, disposizioni del
tipo di quelle istitutive dell'IRAP e che disposizioni statali del
genere restano in vigore fin quando le regioni non provvedano a
modificarle mediante l'esercizio della loro potesta' legislativa.
Ulteriore conclusione e', conseguentemente, che lo Stato ha anche
perso il potere di emanare disposizioni del tipo di quelle impugnate
con il presente motivo di ricorso, tenuto conto che queste, invece di
definire l'ambito della potesta' impositiva delle regioni (ambito
gia' definito dalla attribuzione ad esse dell'IRAP e non modificato
dalle disposizioni in questione), disciplinano questa forma di
prelievo e lo fanno addirittura con norme di dettaglio, anche
riducendone il gettito.
1.B) Tanto premesso, piu' specificatamente in relazione alle
singole norme censurate, si rileva: l'art. 3, come evidenziato,
sospende la potesta', riconosciuta alle regioni ed agli enti locali
dalla previgente disciplina statale, di aumentare l'addizionale IRPEF
loro spettante e quella riconosciuta alle regioni di maggiorare
l'aliquota IRAP rispetto a quella stabilita dalla legge istitutiva.
La norma appare, per entrambi i profili, in contrasto con la piu'
ampia autonomia impositiva riconosciuta dal nuovo titolo V della
Costituzione.
Quanto alla aliquota IRAP valgono i rilievi svolti al precedente
punto 1.A), nel senso che, trattandosi di un tributo proprio delle
regioni, la legge statale di coordinamento puo' stabilire una
aliquota massima, e puo' semmai successivamente modificare questo
limite, ma certamente non puo' paralizzare l'esercizio di questa
potesta', con l'esito di impedire un aumento dell'aliquota a quelle
regioni che non abbiano a cio' provveduto entro una certa data.
Cosi' facendo, infatti, si determina il blocco di un fondamentale
canale di finanziamento delle competenze regionali, senza neppure
stabilire un termine certo di durata della sospensione disposta.
Poiche', com'e' noto, il bilancio regionale deve necessariamente
chiudere in pareggio, la carenza di risorse finanziarie che la
disposta sospensione produce e' destinata ad incidere su una
contrazione delle politiche regionali che si realizzano tramite
l'allocazione delle risorse libere. Percio' la disposizione viola
sicuramente il principio di "autosufficienza finanziaria" sancito
dall'art. 119, terzo comma della Costituzione e non consente
l'ordinario esercizio delle competenze proprie della regione di cui
agli articoli 117 e 118 della Costituzione.
Quanto alle addizionali IRPEF, l'ambito di intervento della legge
statale di coordinamento e' certamente piu' ampio: le addizionali
influiscono, infatti, sulla base imponibile e quindi sul gettito di
tributi erariali, per cui, nonostante si tratti pur sempre di tributi
propri, e' possibile ritenere che sia la legge statale di
coordinamento ad attribuire la potesta' di istituirle, proprio per la
funzione, svolta da tale legge, di definire l'area di prelievo
spettante a ciascun livello di governo e di evitare cosi' che
ciascuno di essi sia disturbato dal modo in cui gli altri esercitano
le loro potesta'. Tutto cio' non e' pero' sufficiente a rendere
possibile misure sospensive da parte della legge statale di
coordinamento, perche' delle due l'una: o la potesta' degli enti
autonomi, per il modo in cui era stata precedente definita dalla
legge statale, compromette la politica di prelievo dello Stato, nel
qual caso essa va ridefinita in termini generali e con effetto anche
sulle decisioni adottate dagli enti prima di una certa data; oppure
tale potesta' non compromette la politica di prelievo dello Stato,
nel qual caso non vi e' motivo di limitarne l'esercizio.
Per entrambi i profili, sia quello relativo l'IRAP che quello
concernente l'addizionale IRPEF, la norma appare poi incostituzionale
perche' la sospensione del potere degli enti autonomi di determinare
le aliquote e' disposta "fino quando non si raggiunga un accordo ...
sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale". Il legislatore
addiviene ad una simile decisione con un percorso a dir poco
incongruo ed irrazionale: siccome la modifica del titolo V della
Costituzione ha ampliato le potesta' impositive di regioni ed enti
locali, e' necessario sospendere i poteri gia' riconosciuti a tali
enti in attesa di definire il sistema complessivo entro cui questa
maggiore autonomia va esercitata; al fine di iniziare l'attuazione
del federalismo fiscale la disposizione impugnata finisce per
eliminare spazi di esercizio di autonomia impositiva che le regioni
avevano gia' in precedenza.
L'incongruenza di un discorso del genere e' resa evidente dal
fatto che l'esigenza di una preventiva definizione dei "meccanismi
strutturali del federalismo fiscale" potrebbe semmai giustificare la
sospensione dei nuovi poteri riconosciuti dalla modifica del titolo V
della Costituzione, ma non certo di quelli di cui gli enti gia'
dispongono in base alle previgenti norme costituzionali; per l'art. 5
e per le disposizioni relative ai vari tipi di condono introdotti
applicabili anche all'IRAP (6, 7, 8, 9, 15 e 16) valgono i rilievi
svolti al precedente punto 1.A), nel senso che, essendo l'IRAP un
tributo proprio della regione, la legge statale non puo' dettare
disposizioni di dettaglio per ridurne il gettito, per disciplinarne
le modalita' di applicazione e per determinare misure di condono
fiscale in ordine alle altrui imposte, ma deve limitarsi a dettare
norme per il coordinamento finanziario dei diversi livelli di governo
e, percio', solo definire gli ambiti entro cui puo' essere esercitata
la potesta' impositiva delle varie amministrazioni cui la stessa e'
direttamente attribuita dall'art. 119 della Costituzione; l'art. 13
della legge finanziaria 2003 autorizza le regioni e gli enti locali
ad introdurre e disciplinare misure di condono fiscale relative ai
loro tributi propri e, a questo fine, al terzo comma stabilisce che
"si intendono tributi propri ... i tributi la cui titolarita'
giuridica ed il cui gettito siano integralmente attribuiti ai
predetti enti, con esclusione delle compartecipazioni ed addizionali
a tributi erariali, nonche' delle mere attribuzioni ad enti
territoriali del gettito, totale o parziale, di tributi erariali".
Tale disposizione contiene una definizione che esclude dalla
categoria dei tributi propri "le mere attribuzioni ad enti
territoriali del gettito totale ... di tributi erariali", volendo con
cio' affermare che un tributo e' erariale per il solo fatto che sia
disciplinato dallo Stato.
Una definizione del genere contrasta con la giurisprudenza
costituzionale che, come rilevato al punto 1.A), ha ritenuto, gia' in
relazione alla originaria formulazione dell'art. 119, che per
delimitare l'ambito dei tributi propri sia rilevante esclusivamente
il profilo della spettanza del relativo gettito e che, per quanto
riguarda le regioni, debbano essere qualificati in tal modo tutti i
tributi il cui gettito spetti integralmente alle regioni medesime.
Del resto, anche ad ignorare tutto cio', non sarebbe comunque
possibile qualificare l'IRAP come tributo erariale per il solo fatto
che la relativa disciplina e' stabilita integralmente dalla legge
dello Stato: infatti, a seguito della entrata in vigore del nuovo
art. 119 della Costituzione, tale normativa continua a disciplinare
questa imposta soltanto in via transitoria, e cioe' fin quando le
regioni non decidano di esercitare la loro potesta' legislativa, per
cui lo Stato ha perso il potere di modificarla, cosi' come quello di
neutralizzarne gli effetti mediante l'introduzione di misure di
condono, e sono semmai le regioni a poter adottare misure del genere.
Per tutti i suddetti motivi le impugnate disposizioni sono
illegittime per violazioni degli articoli 117, 118 e 119 della
Costituzione.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 24 per violazione
dell'art. 117 della Costituzione.
L'art. 24 dispone che le amministrazioni aggiudicatrici come
individuate nell'art. 1 del decreto legislativo n. 358/1992 e
nell'art. 2 del decreto legislativo n. 157/1995, per l'aggiudicazione
delle pubbliche forniture e degli appalti pubblici di servizi
espletano procedure aperte o ristrette con le modalita' previste
dalla normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria,
anche quando il valore del contratto e' superiore a 50.000 euro. Il
secondo comma prevede poi l'esclusione dal suddetto obbligo per i
comuni con meno di 5.000 abitanti; per le amministrazioni che
facciano ricorso alle convenzioni quadro definite dalla CONSIP S.p.A.
o al mercato elettronico della p.a. e per le cooperative sociali. E'
poi previsto che i contratti stipulati in violazione del comma 1 sono
nulli, con responsabilita' del dipendente che ha sottoscritto il
contratto e che, in ogni caso in cui la normativa ammette la
trattativa privata, e' fatto obbligo alle amministrazioni di
ricorrere alla stessa solo in ipotesi eccezionali e motivate, previo
esperimento di una indagine di mercato documentata, con comunicazione
alla sezione regionale della Corte dei conti. La norma, al nono
comma, stabilisce che le disposizioni contenute nei commi 1, 2 e 5
costituiscono per le regioni norme di principio e di coordinamento.
L'amministrazione ricorrente non intende assolutamente contestare
i principi di trasparenza e di concorrenza, i quali, infatti, trovano
piena attuazione nella legislazione regionale toscana in tema di
appalti. Ma e' doveroso rilevare che l'impugnata disposizione
contrasta con l'art. 117 della Costituzione, il quale non attribuisce
alla competenza esclusiva dello Stato il compito di disciplinare le
acquisizioni di beni e servizi, ne' include tale materia tra quelle a
potesta' legislativa concorrente, con la conseguenza che deve
ritenersi attribuita alla competenza legislativa residuale delle
regioni, ex art. 117, quarto comma della Costituzione, disciplinare
con propria normativa l'acquisizione di beni e servizi necessari per
lo svolgimento delle funzioni regionali nonche' degli enti ed
organismi dipendenti e strumentali delle regioni, ivi comprese le
aziende sanitarie ed ospedaliere. La regione ricorrente, infatti, ha
disciplinato i suddetti aspetti, anche per le aziende sanitarie ed
ospedaliere, con la propria legislazione che viene vanificata dalla
norma qui contestata.
Lo Stato legittima la disposizione con il richiamo a ragioni di
trasparenza e di tutela della concorrenza. In merito va tuttavia
rilevato che le ragioni di trasparenza non costituiscono un titolo
legittimante la potesta' legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, mentre l'invocata tutela della
concorrenza farebbe scattare la competenza legislativa esclusiva
statale, ai sensi del medesimo art. 117, secondo comma, lettera e),
ed allora non avrebbe senso la disposizione dell'ultimo comma ove si
afferma che le disposizioni dei commi 1, 2 e 5 costituiscono norme di
principio e di coordinamento per le regioni.
Ma anche il richiamo alla tutela della concorrenza non legittima
una norma cosi' incisiva sulle autonomie territoriali, dato che, come
parte della dottrina ha affermato, l'espressione "tutela della
concorrenza" va intesa nel senso della disciplina dei mercati in
senso proprio - c.d. normativa antitrust - relativa agli interventi
sul mercato volti a correggere eventuali fenomeni distorsivi come
l'abuso di posizione dominante o le concentrazioni di imprese,
destinati a turbare il libero operare della legge del mercato. La
norma costituzionale quindi non legittimerebbe interventi del
legislatore statale estesi come quello della norma in esame che, tra
l'altro, si definisce come disposizione di principio e coordinamento,
ma, in realta', e' solo puntuale e di dettaglio.
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 30, primo comma per
violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione.
L'art. 30, al primo comma dispone che, al fine di avviare
l'attuazione dell'art. 119 della Costituzione e in attesa di definire
le modalita' per il passaggio al sistema di finanziamento attraverso
la fiscalita', entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, il
Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro
per gli affari regionali e con il Ministro per le riforme
istituzionali e la devoluzione e con le amministrazioni statali
interessate, d'intesa con la Conferenza unificata, procede alla
ricognizione di tutti i trasferimenti erariali di parte corrente non
localizzati attualmente attribuiti alle regioni, per farli confluire
in un fondo unico da istituire presso il Ministero dell'economia e
delle finanze da ripartire poi secondo criteri fissati d'intesa con
la conferenza unificata.
La norma, seppure ispirata alla finalita' di avviare il
federalismo fiscale, appare in realta' in contrasto con il sistema di
finanziamento delineato dall'art. 119 della Costituzione nonche' con
le competenze legislative regionali previste dall'art. 117 in tema di
armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario.
Come infatti gia' evidenziato al precedente punto 1.A) l'art. 119
della Costituzione riconosce alle regioni autonomia finanziaria di
entrata e di spesa non piu' dipendente e limitata dalla legislazione
statale in materia di finanza pubblica, ma direttamente derivante
dalla Costituzione, che delimita i poteri regionali e locali in tema
di risorse, stabilendo che i tributi e le entrate proprie devono
armonizzarsi con la Costituzione ed essere rispettose dei principi di
coordinamento della finanza pubblica e che le regioni e gli enti
locali dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali
riferibile al loro territorio.
L'art. 117 della Costituzione poi include nelle materie a
legislazione concorrente l'armonizzazione dei bilanci pubblici e il
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dunque
spetta allo Stato fissare esclusivamente i principi fondamentali in
detta materia, mentre compete alle regioni legiferare e coordinare il
sistema finanziario regionale con quello statale da un lato e locale
dall'altro.
La disposizione impugnata non e' affatto coerente con il sistema
costituzionale descritto, con conseguente lesione delle prerogative
regionali sancite dagli artt. 117 e 119 della Costituzione.
4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 34, commi primo,
secondo, terzo, quarto, undicesimo e tredicesimo per violazione
dell'art. 117 della Costituzione.
Il primo comma della disposizione in esame dispone che le
amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, secondo comma del
decreto legislativo n. 165/2001 (comprendente, per quanto qui
interessa, anche le regioni, gli enti regionali e le aziende ed enti
del servizio sanitario) provvedono alla rideterminazione delle
dotazioni organiche sulla base dei criteri indicati dalla stessa
disposizione; il secondo comma stabilisce che in sede di
rideterminazione delle dotazioni organiche e' assicurato il principio
dell'invarianza della spesa e che le dotazioni organiche
rideterminate non possono comunque superare il numero dei posti di
organico complessivi vigenti alla data del 29 settembre 2002. Il
terzo comma aggiunge che sino alla rideterminazione di cui al primo
comma, le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in
misura pari ai posti coperti al 31 dicembre 2002.
Il comma quarto prevede il divieto, per le amministrazioni
indicate nel comma primo, di procedere ad assunzioni di personale a
tempo indeterminato, fatte salve le assunzioni di personale relative
a figure professionali non fungibili la cui consistenza organica non
sia superiore all'unita'.
Il comma undicesimo stabilisce poi che con decreti del Presidente
del Consiglio dei ministri da emanare entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore della legge, previo accordo tra Governo,
regioni ed autonomie locali da concludere in sede di Conferenza
unificata, sono fissati anche per le regioni i criteri ed i limiti
per le assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2003. Tali
assunzioni, fatto salvo il ricorso alle procedure di mobilita',
devono comunque essere contenute entro percentuali non superiori al
50% delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell'anno
2002, tenuto conto, in relazione alla tipologia degli enti, della
dimensione demografica, dei profili professionali del personale da
assumere, della essenzialita' dei servizi da garantire e
dell'incidenza delle spese del personale sulle entrate correnti.
Il tredicesimo comma stabilisce che le amministrazioni possono
procedere ad assunzioni di personale a tempo determinato o con
contratti di collaborazione continuata e continuativa nel limite del
90% della spesa media annua sostenuta per le stesse finalita' nel
triennio 1999-2001.
Le suddette disposizioni sono illegittime costituzionalmente.
L'art. 117, secondo comma della Costituzione riserva alla
potesta' legislativa esclusiva statale la materia dell'ordinamento ed
organizzazione amministrative unicamente con riferimento allo Stato e
agli enti pubblici nazionali; conseguentemente compete alle regioni
disciplinare, nell'esercizio della potesta' legislativa residuale ex
art. 117, quarto comma, l'organizzazione amministrativa e
l'ordinamento del personale della regione, degli enti strumentali,
ivi compresi gli enti del sistema sanitario regionale. In tale
materia, dunque, la competenza legislativa delle regioni e' esclusiva
e deve svolgersi nel rispetto della Costituzione e dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali.
La Corte costituzionale ha riconosciuto sussistere un'ampia
autonomia regionale in materia di ordinamento degli uffici e di stato
giuridico dei dipendenti - in cui rientra evidentemente anche la
disciplina delle assunzioni - gia' sotto il regime del previgente
art. 117 della Costituzione (sent. n. 278/1983; n. 772/1988;
n. 277/1983; n. 10/1980; ordinanza n. 515/2002) e percio' tale
potesta' sussiste con maggior ampiezza oggi, nella vigenza del nuovo
titolo V.
Ne consegue l'illegittimita' delle censurate disposizioni, che
non viene superata neppure dalla prevista emanazione dei futuri
decreti di cui al comma undicesimo da emanarsi in accordo da
concludersi nella conferenza unificata. Cio' perche' non e'
giuridicamente ammissibile sostituire l'esercizio di una potesta'
legislativa costituzionalmente affidata alle regioni in via
esclusiva, con accordi stabiliti in sede di conferenza unificata tra
il Governo e le regioni stesse volti a definire criteri e limiti non
previsti in Costituzione per l'esercizio di competenze regionali.
Inoltre la lesione sussiste anche perche', in attesa dell'emanazione
dei previsti decreti e' sancito il blocco delle assunzioni di cui al
comma quarto.
Ne' la norma puo' ritenersi legittima per l'invocato concorso
delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di
finanza pubblica. Infatti il legislatore statale legittimamente
impone anche alle amministrazioni regionali di rispettare i suddetti
obiettivi, ma poi - posto tale principio - deve lasciarsi spazio
all'autonomia regionale di decidere come attuarlo. Invece la norma
impugnata contiene analitiche disposizioni puntuali e di dettaglio e
non lascia alcuno spazio all'intervento legislativo regionale in
materia.
Per gli esposti motivi le disposizioni sono lesive dell'autonomia
legionale sancita dall'art. 117 della Costituzione.
5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 90, commi da 18 a 22
per violazione dell'art. 117 della Costituzione.
Il diciottesimo comma dell'art. 90 prevede che con futuri
regolamenti da emanarsi nel rispetto delle disposizioni
dell'ordinamento generale e dell'ordinamento sportivo, sono
individuati vari aspetti concernenti le associazioni sportive
dilettantistiche, tra cui anche l'organizzazione delle attivita'
sportive dilettantistiche, l'attivita' didattica per l'avvio,
l'aggiornamento e il perfezionamento nelle attivita' sportive. Il
comma ventesimo istituisce il registro delle societa' e delle
associazioni sportive dilettantistiche e, al comma ventiduesimo si
prevede che l'avvenuta iscrizione nel suddetto registro e' condizione
per accedere ai contributi pubblici di qualsiasi natura.
Le impugnate disposizioni appaiono in contrasto con le competenze
regionali in materia di ordinamento sportivo, che l'art. 117, terzo
comma attribuisce alla potesta' legislativa concorrente delle
regioni.
Gia' sotto il regime del previgente art. 117 della Costituzione
erano attribuite alle regioni le competenze in ordine alla promozione
di attivita' sportive e ricreative e alla realizzazione di impianti
ed attrezzature, con riserva allo Stato delle competenze in merito
allo sport agonistico. A maggior ragione oggi, in virtu'
dell'espressa attribuzione alle regioni della potesta' legislativa in
ordine all'ordinamento sportivo, deve essere riconosciuta la
competenza regionale a disciplinare l'organizzazione e le attivita'
delle associazioni sportive dilettantistiche.
In considerazione poi della potesta' legislativa concorrente
stabilita per la materia dell'ordinamento sportivo, e' precluso allo
Stato, in base al disposto dell'art. 117, sesto comma della
Costituzione, intervenire con propri regolamenti a normare la
materia, come invece e' previsto dal comma diciottesimo impugnato.
6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 91, per violazione
degli artt. 117 e 119 della Costituzione.
L'art. 91 istituisce il Fondo di rotazione per il finanziamento
dei datori di lavoro che realizzano, nei luoghi di lavoro, servizi di
asili nido e micro-nidi di cui all'art. 70 della legge n. 448/2001.
La norma - che si pone in continuita' con quanto disposto
dall'art. 70 della legge finanziaria dello scorso anno impugnata
dalla regione ricorrente - contrasta con l'art. 117 della
Costituzione che non include gli asili nido e, in generale, i servizi
sociali tra le materie a potesta' esclusiva statale ne' tra quelle a
potesta' legislativa concorrente, con la conseguenza che la materia
rientra nella potesta' residuale regionale ai sensi dell'art. 117,
quarto comma ed e' pertanto precluso allo Stato disciplinare
l'erogazione di finanziamenti in una materia non rientrante nelle
proprie attribuzioni.
La disposizione inoltre, disciplinando l'istituzione del fondo
per gli asili nido, la sua ripartizione e dotazione, si pone in
contrasto anche con l'art. 119 della Costituzione: tale norma infatti
non ammette fondi a destinazione vincolata, in quanto gli stessi
ledono l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa
costituzionalmente garantita alle regioni. Il rispetto degli
artt. 117 e 119 della Costituzione imporrebbe il trasferimento non
vincolato delle risorse finanziarie alle regioni, le quali poi sono
chiamate a disciplinare, nell'ambito della normativa del settore,
anche la procedura di erogazione delle risorse stesse.

P. Q. M.
Si chiede che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 3, primo comma, lettera a), 5, 6, 7, 8,
9, ad eccezione del diciassettesimo comma; 13, terzo comma; 15 e 16,
24, 30, primo comma; 34, primo, secondo, terzo, quarto, undicesimo e
tredicesimo comma; 90, dal diciottesimo al ventiduesimo comma e 91
della legge 27 dicembre 2002 n. 289, perche' in contrasto con gli
artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
Si deposita la delibera di autorizzazione a promuovere il
giudizio n. 112/2003.
Firenze - Roma, addi' 26 febbraio 2003.
Avv. Lucia Bora - avv. Vito Vacchi - avv. Fabio Lorenzoni

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