N.   150  RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 novembre 2011.

  Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in

cancelleria il 23 novembre 2011 (della Provincia autonoma di Trento).

 

 

 

 

(GU n. 3 del 18.01.2012 ) 

 

 

 

     Ricorso  della  Provincia  autonoma  di   Trento   (cod.   fisc.

00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale  pro

tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con  deliberazione  della  Giunta

provinciale 11 novembre 2011,  n.  2380  (doc.  1),  rappresentata  e

difesa, come da procura speciale n. rep. 27635 del 15  novembre  2011

(doc. 2), rogata dal  dott.  Tommaso  Sussarellu,  Ufficiale  rogante

della Provincia, dall'avv.  prof.  Giandomenico  Falcon  (cod.  fisc.

…) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc.…)  dell'Avvocatura 

della  Provincia  di  Trento  e dall'avv. Luigi Manzi (cod.  fisc.  …) 

di  Roma,  con domicilio eletto in Roma nello studio di questi

in via  Confalonieri, n. 5;

    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la

dichiarazione di illegittimita' costituzionale:

        degli articoli 1, 2,  3,  4,  5,  6,  7,  e  13  del  decreto

legislativo  6  settembre   2011,   n.   149,   recante   «Meccanismi

sanzionatori e premiali relativi a  regioni,  province  e  comuni,  a

norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42»,

    Per violazione:

        degli articoli 8, n. 1); 9, n. 10); 16; 47; 49 bis; 54  dello

Statuto speciale;

        del Titolo VI dello Statuto speciale, ed in particolare degli

articoli 79, 80, 81;

        degli articoli 103, 104 e 107, dello Statuto speciale;

        del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare

articoli 2 e 4;

        del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, in particolare

articoli 16, 17 e 18;

        del decreto del Presidente della Repubblica 15  luglio  1988,

n. 305;

        del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987,

n. 526, in particolare articolo 8;

        degli articoli 76, 100 e 117 della Costituzione;

        del principio di leale collaborazione,

    per i profili di seguito illustrati.

 

                                Fatto

 

    La legge 5 maggio 2009, n. 42, ha conferito una Delega al Governo

in materia di federalismo fiscale, in  attuazione  dell'articolo  119

della Costituzione.

    L'articolo 1, comma 2, legge  n.  42/2009  stabilisce  che  «alle

regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento  e  di

Bolzano si applicano, in conformita' con gli statuti,  esclusivamente

le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27».

    L'art. 15 riguarda il finanziamento delle  citta'  metropolitane,

l'art. 22 la perequazione infrastrutturale e  l'art.  27  rimette  ad

apposite norme di attuazione il compito di definire il concorso delle

Regioni speciali «al conseguimento degli obiettivi di perequazione  e

di solidarieta'  ed  all'esercizio  dei  diritti  e  doveri  da  essi

derivanti, nonche' al patto di stabilita' interno e  all'assolvimento

degli  obblighi  posti  dall'ordinamento  comunitario»   (comma   1);

inoltre, l'art. 27 prevede che «le predette norme, per  la  parte  di

propria competenza: a) disciplinano il  coordinamento  tra  le  leggi

statali in materia di finanza  pubblica  e  le  corrispondenti  leggi

regionali e  provinciali  in  materia,  rispettivamente,  di  finanza

regionale e provinciale, nonche' di finanza locale nei  casi  in  cui

questa rientri nella competenza della regione a  statuto  speciale  o

provincia autonoma» (comma 3).

    Dunque, era chiaro e netto che i  decreti  legislativi  attuativi

della legge n. 42/2009 non avrebbero dovuto rivolgersi  alle  Regioni

speciali, salvo che per gli oggetti sopra indicati.

    Cio' stato anche confermato dall'art. 31 d.lgs. 68/2011,  recante

Disposizioni in materia di  autonomia  di  entrata  delle  regioni  a

statuto ordinario e delle province,  nonche'  di  determinazione  dei

costi  e  dei  fabbisogni  standard  nel  settore   sanitario:   esso

coerentemente dispone che «nei  confronti  delle  regioni  a  statuto

speciale e delle province autonome di  Trento  e  di  Bolzano  rimane

ferma l'applicazione dell'articolo 1, comma 2, e degli  articoli  15,

22 e 27  della  citata  legge  n.  42  del  2009,  nel  rispetto  dei

rispettivi statuti».

    Sul piano procedurale,  l'art.  2,  comma  3,  legge  n.  42/2009

stabilisce che «gli schemi di decreto legislativo, previa  intesa  da

sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3  del

decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  sono  trasmessi  alle

Camere», e che «in mancanza di intesa nel termine di cui all'articolo

3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,  il  Consiglio  dei

ministri delibera, approvando una relazione  che  e'  trasmessa  alle

Camere»; si aggiunge che «nella relazione sono indicate le specifiche

motivazioni per cui l'intesa non e' stata raggiunta». Nel comma 5  si

ribadisce che «il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti

legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni  e

gli enti locali».

    A tali norme il Governo ha ritenuto di  dare  attuazione  con  il

d.lgs. n. 149/2011, intitolato  Meccanismi  sanzionatori  e  premiali

relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e

26 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

    In primo luogo e' da  sottolineare  che  l'intesa  non  e'  stata

raggiunta.

    Nella relazione deliberata dal Consiglio dei ministri (doc. 3) ai

sensi del succitato art.  2,  comma  3,  il  Governo  ha  addotto  le

seguenti  ragioni:  «in  primo  luogo,  il  Governo  ritiene  che  il

provvedimento sia del tutto conforme a  Costituzione,  oltre  che  ai

principi e criteri direttivi della legge delega n. 42 del 2009, e che

esso individui meccanismi e procedure  per  una  piena  realizzazione

degli obiettivi  perseguiti  dalla  legge»;  «in  secondo  luogo,  il

Governo ha dovuto tenere  conto  dei  tempi  a  disposizione  per  il

rispetto dei termini  previsti  dalla  legge  per  l'esercizio  della

delega, di imminente  scadenza»;  «inoltre,  i  rappresentanti  delle

autonomie territoriali in Conferenza unificata non hanno ritenuto  di

potere sancire l'intesa, neppure subordinatamente all'accoglimento di

alcune modificazioni significative per  le  quali  il  Governo  aveva

prospettato ampia disponibilita'».

    Sin d'ora e' agevole rilevare la mancanza  di  reali  «specifiche

motivazioni» e l'assoluta genericita' delle  ragioni  addotte,  anche

considerando il fatto che neppure il  verbale  della  seduta  del  18

maggio 2011 (doc. 4) spiega perche' il Governo  ritenga  infondati  i

rilievi sollevati dagli enti territoriali ne' indica le modifiche che

esso  sarebbe   stato   disposto   ad   apportare   (peraltro,   tale

disponibilita' non risulta dal verbale del 18.5.2011, ove si  accenna

solo,  genericamente,  ad  una  «disponibilita'...  a  proseguire  il

confronto con le Regioni e gli Enti locali  nell'ulteriore  iter  del

provvedimento in esame»).

    L'art. 1 d.lgs. 149/2011 regola la Relazione di fine  legislatura

regionale, stabilendo che, «al fine  di  garantire  il  coordinamento

della finanza pubblica, il rispetto dell'unita' economica e giuridica

della Repubblica, il principio  di  trasparenza  delle  decisioni  di

entrata e di spesa, le Regioni sono tenute a redigere  una  relazione

di fine legislatura» (comma 1), e disciplinando nei commi successivi,

in modo dettagliato, il contenuto e la relativa procedura.

    L'art. 2 si  intitola  Responsabilita'  politica  del  presidente

della giunta regionale. Esso prevede, fra l'altro, «la fattispecie di

grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario» e

stabilisce che esso «costituisce grave violazione di legge», per  cui

«in tal caso con decreto del Presidente della  Repubblica,  ai  sensi

dell'articolo 126, comma primo, della Costituzione, sono disposti  lo

scioglimento  del  Consiglio  regionale  nonche'  la  rimozione   del

Presidente della Giunta regionale per  responsabilita'  politica  nel

proprio mandato di amministrazione della regione, ove  sia  accertata

dalla Corte dei conti la sussistenza delle condizioni di cui al comma

1 e la loro riconduzione alla diretta  responsabilita',  con  dolo  o

colpa grave del Presidente della Giunta regionale».

    L'art. 3 e' intitolato Decadenza automatica  e  interdizione  dei

funzionari regionali e dei revisori dei conti e prevede, fra l'altro,

che  «il  verificarsi  del  grave   dissesto   finanziario   di   cui

all'articolo 2 determina l'applicazione  delle  disposizioni  di  cui

all'articolo 2, comma 79, lettera a), della legge 23  dicembre  2009,

n. 191, in materia di decadenza automatica dei direttori generali  e,

previa verifica delle rispettive responsabilita'  del  dissesto,  dei

direttori amministrativi e sanitari degli enti del Servizio sanitario

regionale,  del  dirigente  responsabile  dell'assessorato  regionale

competente, nonche' dei componenti  del  collegio  dei  revisori  dei

conti».

    L'art. 4 regola  la  Relazione  di  fine  mandato  provinciale  e

comunale, stabilendo che, «al  fine  di  garantire  il  coordinamento

della finanza pubblica, il rispetto dell'unita' economica e giuridica

della Repubblica, il principio  di  trasparenza  delle  decisioni  di

entrata e di spesa, le province e i comuni sono tenuti a redigere una

relazione di fine mandato»  (comma  1),  e  disciplinando  nei  commi

successivi,  in  modo  dettagliato,  il  contenuto  e   la   relativa

procedura.

    L'art. 5 dispone che «il Ministero dell'economia e delle  finanze

- Dipartimento della Ragioneria generale dello  Stato  puo'  attivare

verifiche sulla regolarita' della gestione  amministrativo-contabile,

ai sensi dell'articolo 14,  comma  1,  lettera  d),  della  legge  31

dicembre 2009, n. 196, oltre che  negli  altri  casi  previsti  dalla

legge, qualora un ente  evidenzi,  anche  attraverso  le  rilevazioni

SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario...».

    L'art. 6, intitolato Responsabilita' politica del  presidente  di

provincia  e  del  sindaco,  prevede,  fra   l'altro,   sanzioni   di

ineleggibilita' e di inidoneita' a coprire diversi incarichi a carico

degli  «amministratori  che  la  Corte  dei  conti  ha   riconosciuto

responsabili, anche in primo grado, di danni  cagionati  con  dolo  o

colpa grave, nei cinque anni precedenti il verificarsi  del  dissesto

finanziario».

    L'art. 7 prevede, fra l'altro, sanzioni a carico  delle  Regioni,

delle Province autonome e degli  enti  locali  in  caso  di  «mancato

rispetto del patto di stabilita' interno».

    L'art. 13, infine, detta Disposizioni concernenti  le  Regioni  a

statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano.  Esso

stabilisce che «la decorrenza e le modalita'  di  applicazione  delle

disposizioni di cui al presente  decreto  legislativo  nei  confronti

delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di  Trento

e di Bolzano, nonche' nei confronti degli enti locali  ubicati  nelle

medesime  Regioni  a  statuto  speciale  e  Province  autonome,  sono

stabilite, in conformita' con i relativi statuti,  con  le  procedure

previste dall'articolo 27  della  legge  5  maggio  2009,  n.  42,  e

successive  modificazioni».  Inoltre,  esso  stabilisce  che  qualora

«entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente  decreto

legislativo non risultino concluse  le  procedure  di  cui  al  primo

periodo,  sino  al  completamento  delle   procedure   medesime,   le

disposizioni di cui al presente decreto trovano immediata  e  diretta

applicazione nelle  Regioni  a  statuto  speciale  e  nelle  province

autonome di Trento e di Bolzano».

    L'art. 27 della legge di delega n. 42/2009 prevedeva  invece  che

«le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e  di

Bolzano,  nel  rispetto  degli  statuti   speciali,   concorrono   al

conseguimento degli obiettivi di perequazione e  di  solidarieta'  ed

all'esercizio dei diritti e doveri  da  essi  derivanti,  nonche'  al

patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli  obblighi  posti

dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e  modalita'  stabiliti

da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da  definire,  con  le

procedure previste  dagli  statuti  medesimi,  entro  il  termine  di

ventiquattro mesi stabilito per l'emanazione dei decreti  legislativi

di cui all'articolo 2 e secondo il principio del graduale superamento

del criterio della spesa storica di  cui  all'articolo  2,  comma  2,

lettera m)».

    Dunque, l'art. 13 pretende di condizionare sotto diversi  profili

le norme di attuazione (v. infra il motivo 2) e pretende  di  imporre

l'applicazione diretta del d.lgs. 149/2011 alla Provincia di  Trento,

decorsi sei mesi.

    Il titolo VI dello Statuto regola l'autonomia  finanziaria  della

Provincia autonoma:  e  per  molti  di  tali  profili  la  disciplina

statutaria e' stata da poco  modificata  per  meglio  armonizzare  la

speciale autonomia della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province

autonome di Trento e di Bolzano  con  le  esigenze  della  situazione

finanziaria dello Stato italiano,  anche  nel  quadro  degli  impegni

assunti nell'ambito dell'Unione europea, e  per  tenere  conto  delle

esigenze  di  solidarieta'  derivanti  anche  dalla  attuazione   del

«federalismo fiscale», quale prefigurato dalla legge di delega n.  42

del 2009.

    Le modifiche hanno formato oggetto di uno specifico  accordo  tra

lo Stato e la Regione e le Province autonome, e sono state  adottate,

con  la  procedura  di  cui  all'art.  104  dello  Statuto  speciale,

attraverso l'art. 2, commi da 107 a 125, della legge n. 191 del 2009.

    In particolare, il comma 107, lett. h) della legge n. 191/2009 ha

introdotto un nuovo testo dell'art. 79 dello Statuto,  il  quale  ora

stabilisce al comma 1 che «la regione e  le  province  concorrono  al

conseguimento degli obiettivi di perequazione  e  di  solidarieta'  e

all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'

all'assolvimento  degli  obblighi  di  carattere  finanziario   posti

dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle

altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite  dalla

normativa statale» nei modi che di seguito sono elencati e descritti.

    Il comma 2 dell'art. 79 aggiunge che «le misure di cui al comma 1

possono essere modificate esclusivamente con  la  procedura  prevista

dall'articolo  104  e  fino   alla   loro   eventuale   modificazione

costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica  di  cui

al comma 1».

    Il comma 3 dispone poi che, «al fine di  assicurare  il  concorso

agli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  la  regione  e  le  province

concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi

relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai  saldi  di

bilancio da conseguire in  ciascun  periodo».  Inoltre,  il  comma  3

attribuisce alle Province  poteri  di  coordinamento  finanziario  in

relazione  agli  enti  locali  e  prevede  che  esse  «vigilano   sul

raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  da  parte  degli

enti di cui al presente comma ed esercitano sugli stessi il controllo

successivo sulla gestione».

    Il comma  4  ribadisce  che  «le  disposizioni  statali  relative

all'attuazione degli obiettivi di  perequazione  e  di  solidarieta',

nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di  stabilita'

interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle

province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal

presente articolo».

    Infine, per i  rapporti  con  le  norme  statali  che  non  siano

direttamente misure di finanza pubblica, lo stesso  comma  4  precisa

che  «la  regione  e  le  province  provvedono  alle   finalita'   di

coordinamento  della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche

disposizioni  legislative   dello   Stato,   adeguando   la   propria

legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4

e 5», cioe' secondo le regole ordinarie dei rapporti tra legislazione

provinciale e legislazione statale.

    Nel  quadro  di  quanto  esposto,  le  disposizioni  indicate  in

epigrafe violano le  competenze  costituzionali  della  Provincia  di

Trento per le seguenti ragioni di

 

                               Diritto

 

1) Illegittimita'  di  tutte  le  disposizioni  impugnate  per  vizio

procedurale: violazione dell'art. 76 Cost. e del principio  di  leale

collaborazione

    Come esposto in narrativa, l'art. 2 della legge di delega  n.  42

del 2009, cosi' disciplina, per quanto qui interessa, il procedimento

di adozione dei decreti delegati:

        «3. ... Gli schemi di decreto legislativo, previa  intesa  da

sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3  del

decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  sono  trasmessi  alle

Camere, ciascuno corredato di  relazione  tecnica  che  evidenzi  gli

effetti delle disposizioni recate dal medesimo schema di decreto  sul

saldo   netto   da   finanziare,   sull'indebitamento   netto   delle

amministrazioni pubbliche e  sul  fabbisogno  del  settore  pubblico,

perche' su di essi sia espresso il parere della  Commissione  di  cui

all'articolo 3 e delle Commissioni  parlamentari  competenti  per  le

conseguenze di carattere finanziario,  entro  sessanta  giorni  dalla

trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all'articolo 3

del decreto legislativo 28 agosto 1997,  n.  281,  il  Consiglio  dei

ministri delibera, approvando una relazione  che  e'  trasmessa  alle

Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche  motivazioni  per

cui l'intesa non e' stata raggiunta.

    4. Decorso il termine per l'espressione  dei  pareri  di  cui  al

comma 3, i decreti possono  essere  comunque  adottati.  Il  Governo,

qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i

testi  alle  Camere  con  le  sue  osservazioni   e   con   eventuali

modificazioni  e  rende  comunicazioni  davanti  a  ciascuna  Camera.

Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i  decreti

possono comunque essere adottati in via definitiva  dal  Governo.  Il

Governo,  qualora,  anche  a  seguito  dell'espressione  dei   pareri

parlamentari,  non  intenda  conformarsi  all'intesa   raggiunta   in

Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa  Conferenza

unificata una relazione  nella  quale  sono  indicate  le  specifiche

motivazioni di difformita' dall'intesa.

    5.  Il  Governo  assicura,  nella  predisposizione  dei   decreti

legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni  e

gli enti locali.»

    Era dunque prevista la previa intesa con la Conferenza  unificata

sugli schemi di decreto legislativo da inviare alle Camere, e, per il

caso di mancanza di intesa una relazione che indicasse «le specifiche

motivazioni per cui  l'intesa  non  e'  stata  raggiunta».  A  queste

prescrizioni specifiche, che di per se' sarebbero state  sufficienti,

il  legislatore  delegante  aveva  voluto  aggiungere  una  ulteriore

prescrizione generale di indirizzo, facendo  obbligo  al  Governo  di

assicurare, nella  predisposizione  dei  decreti  legislativi  «piena

collaborazione con le regioni e gli enti locali.»

    Sembra palese che nell'emanazione del  d.lgs.  n.  149  del  2011

questo procedimento non e' stato rispettato.

    Che  l'intesa  prevista  non  sia  stata  raggiunta  risulta  dal

preambolo  stesso  del  decreto.  Ci'  si  attenderebbe   dunque   di

ritrovarne le specifiche motivazioni  nella  Relazione  inviata  alle

Camere.

    Tuttavia, in essa Governo si limita a riferire degli incontri  in

sede tecnica e in sede di Conferenza e della «mancata condivisione  -

in particolare da parte di Regioni  e  Comuni  -  del  contenuto  del

provvedimento», accennando soltanto alle  «forti  perplessita'  sulla

costituzionalita' del provvedimento, in modo particolare con riguardo

alla disciplina del fallimento politico del Presidente  della  Giunta

regionale».

    Nulla  invece  si  dice  in  merito  alle  specifiche   obiezioni

sollevate dai rappresentanti delle Regioni e  degli  enti  locali.  A

questo modo non solo si e' contravvenuto alla legge di delega, ma  si

e' nella sostanza impedito agli organi parlamentari di  valutare  nel

concreto i' motivi della mancata intesa.

    Lo ha del resto rilevato lo stesso Comitato per  la  legislazione

della Camera dei Deputati. Nel verbale della seduta di  mercoledi'  6

luglio  2011  (doc.  5)  si  nota  espressamente  «che  la  relazione

trasmessa alle Camere da' conto in modo estremamente  succinto  delle

motivazioni per le quali l'intesa non e' stata raggiunta, nonche', in

modo altrettanto succinto, delle ragioni che hanno indotto il Governo

a procedere, tra le quali si menziona l'esigenza di "tenere conto dei

tempi a disposizione per il rispetto dei termini previsti dalla legge

per l'esercizio della delega, di imminente  scadenza",  ancorche'  la

recentissima legge 8 giugno 2011, n. 85 abbia prorogato i termini per

l'esercizio della delega di cui alla legge n.  42  del  2009  dal  21

maggio al 21 novembre 2011, ferma restando, altresi', la possibilita'

dello scorrimento del termine finale».

    Dunque, il Comitato per la legislazione ha esso stesso constatato

da un lato che non erano indicate le specifiche  motivazioni  che  la

legge  richiedeva,  dall'altro  che   il   presupposto   dell'urgenza

accampato come pretesto per la mancata ulteriore ricerca  dell'intesa

non vi era affatto.

    Al  contrario,  il  Governo  ha  preteso  di   giustificare   con

l'imminenza della scadenza della delega l'immediata interruzione  del

dialogo con le Regioni e gli  enti  locali  cosi'  fortemente  voluto

dalla legge n. 42 (che lo ha posto sotto la supervisione agli  organi

parlamentari), mentre  contemporaneamente  chiedeva  ed  otteneva  la

proroga dei termini di scadenza proprio al fine di  ...rispettare  il

procedimento prescritto.

    Sembra dunque evidente che e' stata violata non solo  la  lettera

delle specifiche disposizioni dettate dal legislatore  delegante,  ma

anche la norma generale di indirizzo, che richiedeva uno  spirito  di

collaborazione, e dunque un tenace tentativo di ricerca dell'intesa.

    Si deve concludere che il procedimento prescritto dalla legge  di

delega e' stato ridotto  dal  Governo  ad  un  passaggio  procedurale

meramente formale, che non  risponde  ne'  nella  lettera  ne'  nello

spirito ai requisiti posti dalla legge, a  tutela  delle  prerogative

sia delle Regioni e degli enti locali, sia degli organi  parlamentari

chiamati a vigilare che il Governo abbia assicurato - come prevede il

comma 5 dell'art. 2 - la «piena collaborazione con le regioni  e  gli

enti locali».

    Da qui la violazione  dell'art.  76  e  del  principio  di  leale

collaborazione. La violazione dell'art.  76  si  traduce  in  lesione

delle  prerogative  costituzionali  della  Provincia,  dato  che   il

criterio direttivo violato era posto a tutela specifica delle Regioni

(v. su cio' il punto 2, lett. A).

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13.

    Come  sopra  esposto,  l'art.  13  d.lgs.  149/2011  pretende  di

vincolare  il  possibile  contenuto  delle   norme   di   attuazione,

limitandolo alla definizione della «decorrenza» e delle «modalita' di

applicazione» delle norme del d.lgs.  149/2011;  pretende  ancora  di

imporre un termine per l'adozione delle stesse norme  di  attuazione;

pretende infine di sottoporre la Provincia di Trento all'applicazione

diretta del d.lgs. 149/2011, qualora «entro sei mesi  dalla  data  di

entrata in vigore del  presente  decreto  legislativo  non  risultino

concluse le procedure di cui al primo periodo, sino al  completamento

delle procedure medesime».

    Queste disposizioni ledono le  prerogative  costituzionali  della

Provincia di Trento sotto diversi profili.

    A) Violazione dell'art. 1, comma 2,  della  legge  di  delega  n.

42/2009. Violazione dell'art. 76 Cost.

    In primo luogo e' da  sottolineare  l'evidente  violazione  della

legge di' delega compiuto dal Governo. Infatti, l'articolo  1,  comma

2, legge n. 42/2009 stabilisce che «alle regioni a  statuto  speciale

ed alle province autonome di Trento e di  Bolzano  si  applicano,  in

conformita' con gli statuti, esclusivamente le  disposizioni  di  cui

agli articoli 15, 22 e 27».

    Ora,  l'art.  15   riguarda   il   finanziamento   delle   citta'

metropolitane, l'art. 22 la perequazione  infrastrutturale  e  l'art.

27, come visto, rimette ad apposite norme di attuazione il compito di

definire il concorso delle Regioni speciali «al  conseguimento  degli

obiettivi di perequazione e  di  solidarieta'  ed  all'esercizio  dei

diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al  patto  di  stabilita'

interno e  all'assolvimento  degli  obblighi  posti  dall'ordinamento

comunitario» (comma 1). Inoltre, l'art. 27 prevede che  «le  predette

norme, per  la  parte  di  propria  competenza:  a)  disciplinano  il

coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza  pubblica  e

le  corrispondenti  leggi  regionali  e   provinciali   in   materia,

rispettivamente, di  finanza  regionale  e  provinciale,  nonche'  di

finanza locale nei casi in cui questa rientri nella competenza  della

regione a statuto speciale o provincia autonoma» (comma 3).

    Dunque,  dall'art.  1,  comma  2,  legge   n.   42/2009   risulta

chiaramente che il decreto legislativo attuativo degli articoli 2, 17

e 26 legge  n.  42/2009  (cioe'  il  d.lgs.  n.  149/2011)  non  puo'

applicarsi alle Regioni speciali, ne' direttamente ne' come fonte  di

un  dovere  di  adeguamento  (per  l'inapplicabilita'  alle   Regioni

speciali dei principi della legge n. 42/2009 diversi da quelli di cui

agli artt. 15, 22 e 27 v. la sent. di  codesta  Corte  costituzionale

201/2010).

    Poiche',  invece,  l'art.   13   d.lgs.   n.   149/2011   dispone

inopinatamente  l'applicazione  del  medesimo  decreto  alle  Regioni

speciali, esso e' affetto dalla palese violazione dei limiti  esterni

della delega.

    In quanto tale, esso e' anche affetto da eccesso di delega: ma si

vuole sottolineare che il vizio e' in questo caso ancor  piu'  grave:

non si tratta solo di aver superato  l'ambito  della  delega,  ma  di

avere contraddetto un limite  positivamente  stabilito  dalla  stessa

legge di delega.

    Ne'  si  possono  sollevare  dubbi  sulla  legittimazione   della

Provincia a denunciare tale  vizio.  Il  criterio  direttivo  violato

(art. 1, comma 2, legge n. 42/2009) e' posto specificamente a  tutela

delle Regioni speciali e, in  tali  casi,  codesta  Corte  ha  sempre

ammesso la censura fondata sull'art. 76 Cost. (v., ad es., le  sentt.

183/1987, 192/1987, 272/1988, 617/1988 e 87/1996).

    Inoltre, le norme la cui applicazione e' imposta  alla  Provincia

dall'art. 13  sono  norme  che  incidono  su  materie  provinciali  e

restrittive delle prerogative della Provincia, come si vedra'  infra,

per cui anche per questa  ragione  la  Provincia  e'  legittimata  ad

invocare l'art. 76 Cost. (v., ad es., le sentt.  355/1993,  503/2000,

110/2001, 206/2001, punti 15, 16 e 34 del Diritto, e 303/2003,  punto

35 del Diritto). La violazione di questo parametro, in altre  parole,

si traduce in violazione delle norme statutarie e di attuazione  che,

come vedremo nei motivi da 3 a 10, sono incise  dalle  singole  norme

del d.lgs. n. 149/2011.

    B) Violazione degli artt. 79, 103, 104 e 107 dello Statuto.

    L'art. 13 d.lgs. n. 149/2011, condizionando  il  contenuto  delle

norme di attuazione e pretendendo di imporre un termine per  la  loro

adozione,  viola  l'art.  107  dello  Statuto,  che   disciplina   la

competenza e la procedura di  adozione  delle  norme  di  attuazione,

escludendo che una fonte legislativa  ordinaria  possa  incidere  sul

loro contenuto o sul termine di adozione.

    E' dunque assolutamente illegittimo che  un  decreto  legislativo

pretenda di delimitarne  il  possibile  contenuto,  riducendolo  alla

fissazione della decorrenza o  delle  modalita'  di  applicazione  di

norme non aventi il rango di norme di attuazione, oltre  tutto  poste

in essere in violazione della delega.

    L'imposizione del termine  e'  esclusa  anche  da  una  ulteriore

ragione: le norme di attuazione si fondano su un accordo raggiunto in

sede di commissione paritetica, per cui non sarebbe possibile che una

fonte statale  ordinaria  fissasse  unilateralmente  un  termine.  Lo

stesso varrebbe poi per la legge conclusa ai sensi dell'art. 104  St.

(«le norme del  titolo  VI  e  quelle  dell'art.  13  possono  essere

modificate con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta  del

Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle

due province»),  qualora  si  ritenga  che  l'art.  13  possa  essere

riferito anche a tale legge.

    Inoltre, l'art.  13,  stabilendo  l'applicazione  del  d.lgs.  n.

149/2011 (o attraverso  il  «filtro»  delle  norme  di  attuazione  o

direttamente), viola gli artt. 103, 104 e 107, in quanto il d.lgs. n.

149 regola - come si vedra' nei singoli punti -  settori  oggetto  di

norme statutarie e di attuazione, sulle  quali  una  fonte  ordinaria

statale non puo' incidere, a meno che (in  materia  finanziaria)  sia

adottata con la procedura di cui all'art. 104 St.

    L'art. 13 viola specificatamente anche l'art. 79 St., che -  come

visto - sancisce:  che  non  possono  essere  modificate,  con  fonte

primaria ordinaria, le misure di concorso agli obiettivi  di  finanza

pubblica previste nello stesso art. 79 a carico delle Province (commi

1 e 2); che «non si applicano le misure adottate per le regioni e per

gli altri enti nel restante territorio nazionale» (comma 3); che  «le

disposizioni  statali  relative  all'attuazione  degli  obiettivi  di

perequazione e di solidarieta', nonche' al  rispetto  degli  obblighi

derivanti dal patto di stabilita' interno, non  trovano  applicazione

con riferimento alla regione e alle province  e  sono  in  ogni  caso

sostituite da quanto previsto dal presente articolo» (comma 4).

    C) Violazione dell'art. 2 d.lgs. n. 266/1992.

    Infine, l'art. 13 viola l'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, che  esclude

l'applicazione diretta delle leggi statali nelle materie provinciali,

ponendo  solo  un  dovere  di  adeguamento  «ai  principi   e   norme

costituenti limiti indicati  dagli  articoli  4  e  5  dello  statuto

speciale e recati da atto legislativo dello Stato entro  i  sei  mesi

successivi alla pubblicazione  dell'atto  medesimo».  Decorsi  i  sei

mesi, peraltro, non scatta l'applicazione delle leggi statali  ma  lo

Stato puo' impugnare davanti alla  Corte  le  leggi  provinciali  non

adeguate.  L'art.  13  viola  questa  disposizione  perche'   prevede

l'applicazione diretta - dopo i sei mesi - di norme statali attinenti

a materie di competenza provinciale,  quali  il  coordinamento  della

finanza pubblica, la sanita', la finanza  locale  e  l'organizzazione

interna (v. infra, i singoli  punti).  Inoltre,  non  si  prevede  il

vincolo della Provincia solo ai «principi e norme costituenti  limiti

indicati dagli articoli 4 e 5 dello statuto speciale» ma a  tutte  le

disposizioni del d.lgs. n. 149/2011.

    L'accoglimento di una delle censure  esposte  nei  punti  1  e  2

porterebbe all'annullamento  di  tutte  le  norme  impugnate  o  alla

dichiarazione dell'illegittimita' della loro  applicazione  a  questa

Provincia. Le censure che  si  formulano  di  seguito,  dunque,  sono

avanzate per la denegata ipotesi in cui l'art. 13, contro  l'evidenza

della legge di delega, sia ritenuto legittimo.

3) Illegittimita' costituzionale degli artt. 1 e 4.

    Come esposto in narrativa, l'art. 1 prevede la Relazione di  fine

legislatura regionale. La norma e' espressamente diretta «al fine  di

garantire il coordinamento della finanza pubblica».

    L'art. 1 regola con norme dettagliate l'adozione della  relazione

(sottoscrizione del Presidente della Giunta regionale «non  oltre  il

novantesimo  giorno   antecedente   la   data   di   scadenza   della

legislatura», entro i 10 giorni successivi  certificazione  da  parte

degli organi di  controllo  interno  regionale  ed  invio  al  Tavolo

tecnico interistituzionale istituito presso la Conferenza  permanente

per il coordinamento della finanza pubblica di  cui  all'articolo  33

del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68,  controllo  del  Tavolo

tecnico ed invio di «apposito rapporto  al  Presidente  della  Giunta

regionale»). Norme speciali sono dettate per il settore sanitario.

    Il comma  3  regola  specificamente  la  procedura  «in  caso  di

scioglimento  anticipato  del  Consiglio  regionale».  Il   comma   4

disciplina in dettaglio il contenuto della relazione  («La  relazione

di  fine  legislatura  contiene  la  descrizione  dettagliata   delle

principali attivita' normative e  amministrative  svolte  durante  la

legislatura, con specifico riferimento a:...»). Il comma 5 stabilisce

che «con atto di natura non regolamentare, adottato d'intesa  con  la

Conferenza Stato-Regioni, il Ministro per i rapporti con le regioni e

per la coesione  territoriale,...  adotta  uno  schema  tipo  per  la

redazione  della  relazione  di  fine  legislatura,  differenziandolo

eventualmente per le Regioni non assoggettate a un piano  di  rientro

della spesa sanitaria».

    Infine,  si  prevede  che  «in  caso   di   mancato   adempimento

dell'obbligo di redazione della  relazione  di  fine  legislatura  il

Presidente  della  Giunta  regionale  e'  tenuto  a   dame   notizia,

motivandone  le   ragioni,   nella   pagina   principale   del   sito

istituzionale dell'ente». Una disciplina del tutto analoga e' dettata

dall'art. 4 per la Relazione di fine mandato provinciale e comunale.

    L'art.  1  incide   su   materie   di   competenza   provinciale:

coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma 3, Cost. e art.

10 1. cost. 3/2001) e organizzazione interna (art. 8, n. 1,  o  -  se

ritenuto piu' favorevole - art. 117, comma 4, Cost., in  collegamento

con l'art. 10 1. cost. 3/2001; per quel che riguarda i  rapporti  tra

organi politici, art. 47 dello Statuto); il comma 2,  seconda  parte,

ed il comma 4, lett. c), d) e e) incidono anche sulla  sanita'  (art.

117, comma 3, e art. 10 1. cost. 3/2001).

    Anche l'art. 4 incide su materie  e  funzioni  provinciali,  come

attestano, tra l'altro:

        l'art. 79, comma 3, St.,  secondo  cui  «fermi  restando  gli

obiettivi complessivi  di  finanza  pubblica,  spetta  alle  province

stabilire gli obblighi relativi al  patto  di  stabilita'  interno  e

provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento  agli  enti

locali» e secondo cui «le province vigilano sul raggiungimento  degli

obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti di cui al  presente

comma ed  esercitano  sugli  stessi  il  controllo  successivo  sulla

gestione dando notizia degli  esiti  alla  competente  sezione  della

Corte dei conti»;

        l'art. 80 St., secondo  cui  «le  province  hanno  competenza

legislativa, nei limiti stabiliti  dall'articolo  5,  in  materia  di

finanza locale»;

        l'art. 54, n. 5, St., secondo cui  «alla  giunta  provinciale

spetta: ...  5)  la  vigilanza  e  la  tutela  sulle  amministrazioni

comunali»;

        l'art. 16, comma 1, d.lgs. n. 268/1992, secondo  cui  «spetta

alla regione e alle province emanare norme in materia di bilanci,  di

rendiconti, di amministrazione del patrimonio e  di  contratti  della

regione e delle province medesime e degli enti da esse dipendenti»;

        l'art. 17, comma 3, d.lgs.  n.  268/1992,  secondo  cui  «nel

rispetto delle competenze regionali in  materia  di  ordinamento  dei

comuni, le province disciplinano con legge i criteri  per  assicurare

un equilibrato sviluppo della finanza comunale»;

        l'art. 6, comma 3-bis, d.P.R. n. 305/1988,  secondo  cui  «in

attuazione e per le finalita' di cui all'articolo 79 del decreto  del

Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670,  sono  esercitati

rispettivamente dalla  Provincia  di  Trento  e  dalla  Provincia  di

Bolzano  i  controlli,  anche  di  natura  collaborativa,  funzionali

all'attivita' di vigilanza  sul  raggiungimento  degli  obiettivi  di

finanza pubblica  e  il  controllo  successivo  sulla  sana  gestione

relativi agli enti locali e agli altri enti e  organismi  individuati

dall'articolo  79,  comma  3,  del  decreto  del   Presidente   della

Repubblica n. 670 del 1972».

    Gli artt. 1 e 4 del d.lgs. n. 149 del 2011, in  quanto  applicati

alla Provincia dall'art. 13 d.lgs.  n.  149/2011,  violano  le  norme

appena citate perche'  hanno  contenuto  dettagliato  in  materie  di

competenza primaria provinciale o concorrente o di  competenza  della

legge statutaria  (art.  47  St.);  in  particolare,  viene  indicato

direttamente  l'organo   provinciale   competente   per   determinati

adempimenti (v. l'art. 1, commi 2 e 6),  con  lesione  dell'autonomia

organizzativa provinciale (v. sentt. 387/2007 e 407/1989).

    Quanto al coordinamento della finanza pubblica, in  realta'  esso

e'  stato  assegnato  alla  competenza  delle  norme  di   attuazione

dall'art. 27, commi 1 e 3, legge n.  42/2009  e  poi  «irrigidito»  a

livello statutario dalla legge n. 191/2009: dunque, gli artt. 1  e  4

violano anche l'art. 79 St.,  che  sancisce  l'inapplicabilita'  alle

Province  delle  norme  di  coordinamento   relative   alle   Regioni

ordinarie, anche con specifico riferimento agli enti  locali  (v.  il

gia' citato art. 79, comma 3).

    Qualora gli artt. 1 e 4 d.lgs.  n.  149/2011  fossero  ricondotti

alla fattispecie di cui all'art. 79, comma 4, secondo  periodo,  St.,

essi sarebbero comunque illegittimi perche' applicati alla  Provincia

in toto (e non limitatamente ai principi) ed in via diretta nel  caso

di cui all'art. 13, comma 1, secondo periodo, mentre l'art. 79, comma

4, prevede solo un dovere di adeguamento.

    In  relazione  al  coordinamento  della   finanza   nel   settore

sanitario, e' da ricordare che l'art. 34, comma 3,  secondo  periodo,

legge n. 724/1994 stabilisce che  «la  regione  Valle  d'Aosta  e  le

province autonome di Trento e Bolzano provvedono al finanziamento del

Servizio sanitario nazionale nei rispettivi  territori,  senza  alcun

apporto   a   carico   del   bilancio   dello    Stato    utilizzando

prioritariamente le entrate derivanti dai contributi sanitari ad esse

attribuiti dall'art. 11, comma 9, del d.lgs.  30  dicembre  1992,  n.

502, e successive modificazioni ed integrazioni, e, ad  integrazione,

le risorse dei propri bilanci». Tenuto conto di cio',  codesta  Corte

ha precisato (v. sentt. 341/2009 e 133/2010) che  «lo  Stato,  quando

non concorre al finanziamento  della  spesa  sanitaria,  «neppure  ha

titolo per dettare norme di coordinamento finanziario»".

    Ancora, la previsione dell'«atto di natura non regolamentare» con

cui il Ministro «adotta  uno  schema  tipo  per  la  redazione  della

relazione di fine legislatura» (art. 1, comma 5, e art. 4,  comma  5)

viola il divieto di fonti secondarie nelle materie regionali, qualora

l'atto sia considerato sostanzialmente normativo (art. 117, comma  6,

e art. 2 d.lgs. n. 266/1992) o il divieto di attribuzione di funzioni

amministrative ad organi statali (art. 4 d.lgs. n. 266/1992)  qualora

l'atto sia considerato amministrativo.

    Infine, la previsione del controllo del Tavolo tecnico  (art.  1,

comma 2, e art. 4,  comma  2)  viola  lo  Statuto  ed  il  d.P.R.  n.

305/1988, perche' si introduce una forma di  controllo  non  prevista

dallo Statuto e dalle norme di attuazione: v., per l'art. 1 d.lgs. n.

149, gli artt. 2 e 6 d.P.R. n.  305/1988  (in  materia  di  controllo

della Corte dei conti sulla gestione) e, per l'art. 4, i gia'  citati

art. 79, comma 3, St. e l'art. 6, comma 3-bis, d.P.R. n. 305/1988.

4) Illegittimita' dell'art. 2, commi 1, 2 e 3, per  violazione  dello

Statuto.

    L'art.  2  d.lgs.  n.  149/2011  e'  intitolato   Responsabilita'

politica del presidente della  giunta  regionale.  Al  comma  1  esso

introduce  la  «fattispecie  di  grave  dissesto   finanziario,   con

riferimento al disavanzo  sanitario».  Questa  «si  verifica  in  una

regione assoggettata a piano di rientro  ai  sensi  dell'articolo  2,

comma 77, della legge  23  dicembre  2009,  n.  191,  al  verificarsi

congiuntamente delle seguenti condizioni:

        a) il presidente della giunta regionale, nominato Commissario

ad acta ai sensi dell'articolo 2,  rispettivamente  commi  79  e  83,

della citata legge n. 191 del 2009, non abbia adempiuto, in  tutto  o

in parte, all'obbligo di  redazione  del  piano  di  rientro  o  agli

obblighi operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso;

        b) si riscontri,  in  sede  di  verifica  annuale,  ai  sensi

dell'articolo 2, comma 81, della citata legge n.  191  del  2009,  il

mancato raggiungimento degli obiettivi  del  piano  di  rientro,  con

conseguente  perdurare  del  disavanzo  sanitario  oltre  la   misura

consentita dal piano medesimo o suo aggravamento;

        c) sia  stato  adottato  per  due  esercizi  consecutivi,  in

presenza del mancato raggiungimento  degli  obiettivi  del  piano  di

rientro e del conseguente incremento delle aliquote  fiscali  di  cui

all'articolo 2, comma 86, della citata legge  n.  191  del  2009,  un

ulteriore   incremento   dell'aliquota   dell'addizionale   regionale

all'Irpef al livello massimo previsto  dall'articolo  6  del  decreto

legislativo 6 maggio 2011, n. 68».

    Il comma 2 dispone che il «grave dissesto finanziario di  cui  al

comma 1» costituisce «grave violazione di legge», e che «in tal  caso

con decreto del Presidente della Repubblica, ai  sensi  dell'articolo

126, comma primo, della Costituzione, sono disposti  lo  scioglimento

del Consiglio regionale nonche' la  rimozione  del  Presidente  della

Giunta regionale per responsabilita' politica nel proprio mandato  di

amministrazione della regione, ove  sia  accertata  dalla  Corte  dei

conti la sussistenza delle condizioni di cui al comma  1  e  la  loro

riconduzione alla diretta responsabilita', con dolo o colpa grave del

Presidente della Giunta regionale» (enfasi aggiunta).

    Il decreto del Presidente della Repubblica  «e'  adottato  previa

deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del  Presidente

del Consiglio dei Ministri, previo parere conforme della  Commissione

parlamentare per le questioni regionali espresso a maggioranza di due

terzi dei componenti», ed alla riunione del  Consiglio  dei  Ministri

«partecipa il Presidente della Giunta regionale interessato».

    In base al comma 3 «il Presidente rimosso ai sensi del comma 2 e'

incandidabile alle cariche  elettive  a  livello  locale,  regionale,

nazionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni»; inoltre,

esso «non puo' essere nominato quale componente  di  alcun  organo  o

carica di governo degli enti locali, delle  Regioni,  dello  Stato  e

dell'Unione europea per un periodo di tempo di dieci anni».

    L'art. 49-bis dello Statuto disciplina i casi di scioglimento del

Consiglio provinciale e di rimozione del Presidente della  Provincia.

Esso dispone che «il Consiglio provinciale puo' essere sciolto quando

compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge  o

non sostituisca la Giunta o il suo Presidente  che  abbiano  compiuto

analoghi atti o violazioni»; inoltre, esso  «puo'...  essere  sciolto

per ragioni di sicurezza nazionale». Lo scioglimento «e' disposto con

decreto motivato del Presidente della Repubblica previa deliberazione

del Consiglio dei ministri», sentita la Commissione bicamerale per le

questioni regionali.  Con  lo  stesso  decreto  di  scioglimento  «e'

nominata una commissione  di  tre  membri,  scelti  tra  i  cittadini

eleggibili al Consiglio provinciale». Per la Provincia di Bolzano  la

commissione deve adeguarsi alla consistenza  dei  gruppi  linguistici

che  costituiscono  la  popolazione  della   Provincia   stessa.   La

commissione «elegge tra i suoi componenti  il  Presidente,  il  quale

esercita  le  attribuzioni  del  Presidente  della   Provincia».   La

commissione «indice le elezioni del nuovo Consiglio provinciale entro

tre  mesi  e  adotta  i  provvedimenti  di  competenza  della  Giunta

provinciale e quelli  di  carattere  improrogabile».  Infine,  l'art.

49-bis  dispone  che  «con  decreto  motivato  del  Presidente  della

Repubblica e con l'osservanza delle forme di cui al  terzo  comma  e'

disposta la rimozione del Presidente della  Provincia,  se  eletto  a

suffragio universale e diretto, che abbia compiuto atti contrari alla

Costituzione o reiterate e gravi violazioni di legge».  La  rimozione

«puo' altresi' essere disposta per ragioni di sicurezza nazionale».

    I primi tre commi dell'art. 2, qualora applicati alla  Provincia,

risultano illegittimi perche' si fondano su  una  disciplina  (quella

relativa ai piani di rientro contenuta nell'art.  2,  commi  77  ss.,

legge n. 191/2009) alla quale la Provincia e' completamente  estranea

in quanto, come visto, sostiene la  spesa  sanitaria  con  risorse  a

carico del proprio bilancio (v. anche le sentt. 341/2009 e 133/2010).

    Essi, dunque, sotto questo primo profilo, violano l'art.  79  St.

(che  esclude  l'applicazione   alla   Provincia   delle   norme   di

coordinamento finanziario relative alle Regioni ordinarie) e le norme

statutarie e costituzionali che assicurano alla  Provincia  autonomia

organizzativa (art. 8, n. 1, o - se piu' favorevole - art. 117, comma

4, Cost.), autonomia finanziaria  (art.  69  ss.  St.)  e  competenza

concorrente in materia sanitaria (art. 117, comma 3, Cost. e art.  10

l. cost. 3/2001).

    Inoltre, i primi 3 commi dell'art.  2  violano  l'art.  49-bis  e

l'art. 107 St. perche' integrano e in parte  innovano  la  disciplina

statutaria in materia di scioglimento del Consiglio e  rimozione  del

Presidente: si sottolinea che l'art. 49-bis prevede la rimozione solo

in caso di "reiterate e gravi violazioni di legge",  e  non  di  mera

"grave violazione di legge". L'attuazione ed  integrazione  dell'art.

49-bis, pero', e' rimessa  alla  speciale  fonte,  avente  competenza

separata e riservata, di cui all'art. 107 St., cioe'  alle  norme  di

attuazione.

    Infine,  e'  specificamente  illegittimo  il  comma  3,   perche'

aggiunge cause di  incandidabilita'  del  Presidente  («alle  cariche

elettive a livello locale, regionale, nazionale  ed  europeo  per  un

periodo di tempo di dieci anni») e  di  «non  nominabilita'»  («quale

componente di alcun organo o carica di  governo  degli  enti  locali,

delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea per  un  periodo  di

tempo di  dieci  anni»)  che  non  si  fondano  su  alcun  titolo  di

competenza del legislatore ordinario statale.

    Infatti, le cause di incandidabilita' in senso proprio  (v.  art.

15 legge n. 55/1990, richiamato dall'art. 13 l.p.  2/2003)  rientrano

nella competenza statale in materia di ordine pubblico, perche'  sono

collegate alla commissione di reati. Non e' questo il caso di specie,

per cui il legislatore statale non e' abilitato ad interferire con la

disciplina  provinciale  relativa   alle   elezioni   provinciali   e

all'affidamento degli incarichi di governo, fondata sull'art. 47  St.

(v. 1.p. 2/2003). Le  leggi  statutarie  fondate  sull'art.  47  sono

soggette al limite dei  «principi  dell'ordinamento  giuridico  della

Repubblica», mentre la disciplina contenuta nell'art. 2, comma 3,  ha

tutt'altra natura, essendo anzi autoapplicativa.

5)  Ulteriore  illegittimita'  dell'art  2,  commi  1,  2  e  3,  per

violazione della stessa disciplina costituzionale.

    Oltre ai profili di illegittimita' che riguardano  specificamente

la Provincia, l'art. 2, commi  1-3,  risulta  illegittimo  anche  per

diversi ulteriori motivi, comuni con le Regioni ordinarie (in  questa

parte dunque ci si riferira' alle Regioni ed agli  organi  regionali,

intendendo riferirsi  alla  eventuale  illegittima  estensione  delle

norme alla Provincia ed agli organi provinciali).

    A) Illegittimita' per eccesso di delega (art. 76 Cost.).

    La presente censura e' rivolta ad illustrare come le disposizioni

impugnate dell'art. 2 del d.lgs. n.  149  del  2011  non  solo  siano

lesive dell'autonomia regionale, ma violino in piu' punti i  principi

costituzionali della delegazione legislativa,  introducendo  norme  e

istituti che non sono in  alcun  modo  «anticipati»  dalla  legge  di

delega n. 42 del 2009.

    E'  infatti  principio  fermo  che  in  fase  di  emanazione  del

decreto-legislativo, il  Governo  non  possa  introdurre  principi  o

istituti nuovi rispetto a quelli previsti dalla legislazione vigente,

se non appositamente autorizzato da un principio indicato nella legge

di delega.

    Tale principio  e'  pienamente  confermato  dalla  giurisprudenza

costituzionale: per l'illustrazione si puo' fare riferimento, tra  le

tante, alle sent.  della  Corte  cost.  354/1998  (sul  codice  della

strada), 280/2004 (a  proposito  della  c.d.  «legge  La  Loggia»)  e

340/2007 (sul processo contumaciale), 239/2003, 66/2005.

    Spetta  dunque  alla  legge  di  delega  «aprire  i  varchi»  per

l'innovazione  legislativa,  perche'   in   assenza   di   specifiche

indicazioni di delega  l'attivita'  legislativa  svolta  dal  Governo

incontra un suo limite «naturale» nella legislazione vigente, che  il

legislatore delegato e'  allora  chiamato  ad  integrare,  ma  non  a

contraddire.

    La giurisprudenza costituzionale lo  ha  indicato  con  specifico

riferimento alle leggi di riordino, ma affermando una  ratio  che  si

estende  all'istituto  stesso  della  delegazione  legislativa:   «in

mancanza di principi e criteri direttivi che giustifichino la riforma

della normativa preesistente, la delega deve essere intesa  in  senso

minimale, tale da non consentire, di per  se',  l'adozione  di  norme

delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema  legislativo»

(cosi' espressamente la sentenza n. 303/2005).

    Se e' pur vero che «i principi e i criteri direttivi della  legge

di delegazione devono essere interpretati  sia  tenendo  conto  delle

finalita' ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del

legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte operate dal

legislatore  delegato  non  siano  in  contrasto  con  gli  indirizzi

generali della stessa legge-delega» (sent.  341/2007),  non  si  puo'

certo ammettere un'interpretazione della delega a tal punto espansiva

da consentire al Governo di ricavarne l'autorizzazione a  modificare,

senza specifiche indicazioni  in  tal  senso,  tratti  rilevantissimi

dell'assetto istituzionale delle Regioni e degli enti locali, in  una

direzione che gravemente  incide  sulle  norme  che  la  Costituzione

appresta a garanzia dell'autonomia regionale.

    Ora, la legge n. 42/2009 contiene due disposizioni che servono  a

guidare il Governo nell'attuazione della delega per quanto riguarda i

meccanismi  sanzionatori  nei  confronti   degli   enti   che   siano

responsabili di un dissesto finanziario:

        la  lettera  z)  dell'art.  2  sollecita  la  «previsione  di

meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri

economico-finanziari»... e la «previsione delle specifiche  modalita'

attraverso le quali il Governo, ... qualora gli scostamenti dal patto

di convergenza di cui all'articolo 18 della  presente  legge  abbiano

caratteristiche   permanenti   e    sistematiche,    adotta    misure

sanzionatorie ai sensi dell'articolo 17, comma  1,  lettera  e),  che

sono commisurate all'entita' di tali scostamenti e possono comportare

l'applicazione di misure automatiche per l'incremento  delle  entrate

tributarie ed extra-tributarie, e puo' esercitare nei casi piu' gravi

il potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo  comma,  della

Costituzione, secondo quanto disposto dall'articolo 8 della  legge  5

giugno 2003, n.  131,  e  secondo  il  principio  di  responsabilita'

amministrativa e finanziaria»;

        la lett. e) del  successivo  art.  17  prevede  a  sua  volta

«meccanismi  automatici  sanzionatori  degli  organi  di  governo   e

amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri  e  degli

obiettivi economico-finanziari assegnati alla  regione  e  agli  enti

locali» con  la  specifica  previsione  che  «tra  i  casi  di  grave

violazione di legge di  cui  all'articolo  126,  primo  comma,  della

Costituzione, rientrano le attivita' che  abbiano  causato  un  grave

dissesto nelle finanze regionali».

    Dalla lettura combinata delle due disposizioni si ricava  che  il

decreto delegato puo' prevedere:

        a) misure automatiche per l'incremento delle entrate al  fine

di rimediare agli scostamenti permanenti e sistematici dal  patto  di

stabilita', giungendo sino all'esercizio del  potere  sostitutivo  ex

art. 120, comma 2, Cost. (in questo senso si esprime l'art. 2,  lett.

z);

        b) meccanismi automatici sanzionatori a carico  degli  organi

politici  e  amministrativi  colpevoli  del  mancato  rispetto  degli

equilibri ed obiettivi  economico  finanziari,  giungendo  sino  alla

configurazione  del  grave  dissesto  nelle  finanze  regionali  come

ipotesi di «grave violazione di legge» che  porta  allo  scioglimento

degli organi regionali ex art. 126 Cost.

    Questi sono dunque gli oggetti che il legislatore ha affidato  al

decreto  legislativo,  che  segnano  anche  i  limiti  della  delega.

Inoltre, bisogna tenere conto della circostanza che, come  subito  si

dira', lo stesso legislatore ha continuato ad  esercitare  il  potere

legislativo, precisando  esso  stesso  il  tipo  di  svolgimento  che

intendeva dare alla legislazione in materia.

    a)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  1,  per

eccesso di delega (art. 76 Cost.) in  quanto  introduce  la  autonoma

fattispecie  di  grave  dissesto  finanziario,  con  riferimento   al

disavanzo sanitario e collega ad esso  la  rimozione  del  Presidente

della Giunta.

    L'art. 2 del d.lgs. n. 149/2011 si presenta come attuazione delle

norme sopra indicate della legge di  delega,  ma  in  realta'  se  ne

allontana sotto tre profili essenziali: in quanto crea  una  autonoma

fattispecie  di  grave  dissesto  finanziario,  con  riferimento   al

disavanzo sanitario; in quanto collega a tale «fattispecie», anziche'

a specifiche gravi violazioni di legge, la rimozione  del  Presidente

della Giunta ai sensi dell'art. 126 Cost.; infine, in quanto  collega

tale rimozione alle attivita' che il Presidente compie non in  quanto

tale, ma nella sua opera di Commissario statale nominato dal Governo.

Sotto tutti questi profili l'art. 2 del d.lgs. n. 149/2011  introduce

una disciplina che esorbita  dal  potere  conferito  dalla  legge  di

delega, interpretandolo in  modo  palesemente  incompatibile  con  la

Costituzione.

    In primo luogo, il decreto legislativo  impugnato,  nell'art.  2,

estende alla Regione un regime - quello del  dissesto  finanziario  -

che e' tipico degli enti locali.

    Nella legge di delega non c'e' alcun fondamento  che  giustifichi

questa estensione: manca qualsiasi riferimento alla  «fattispecie  di

grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo  sanitario»,

fattispecie che di conseguenza e' «creata ex  novo»  dal  legislatore

delegato.

    Questa innovazione introduce per le Regioni un istituto del tutto

nuovo, di gravissima portata giuridica, simbolica e politica: ma essa

manca del necessario apporto «di principio» da parte della  legge  n.

42/2009.

    Infatti, l'art. 17, lett. e) si riferisce  genericamente  ad  una

situazione di grave dissesto delle finanze  regionali  come  premessa

per  far  scattare  il  procedimento  di  scioglimento  degli  organi

regionali, ove ne ricorrano i presupposti. Non si puo'  certo  negare

che anche il dissesto finanziario  possa  essere  causato  da  «gravi

violazioni di legge» e quindi far  scattare  la  gravissima  sanzione

dello scioglimento.

    Si noti - ed e' il secondo profilo qui considerato - che la legge

di delega afferma che «tra i casi di grave violazione di legge di cui

all'articolo 126,  primo  comma,  della  Costituzione,  rientrano  le

attivita'  che  abbiano  causato  un  grave  dissesto  nelle  finanze

regionali»  (enfasi  aggiunta):  ma  cio'  non  autorizza   certo   a

concludere che il grave dissesto - che in ogni caso non coincide  con

la «fattispecie» sopra censurata - sia o possa essere di per  se'  la

grave violazione di legge.

    Al contrario, sono le specifiche violazioni che  potranno  essere

ritenute gravi quando conducono al dissesto.

    In  questo  senso  la  disposizione  della  legge  di  delega  e'

perfettamente compatibile con l'interpretazione consolidata dell'art.

126 Cost. (si ricorda che «anche per  le  leggi  di  delega  vale  il

fondamentale canone per cui deve essere  preferita  l'interpretazione

che le ponga al riparo da  sospetti  di  incostituzionalita'»:  sent.

292/2000): ma per la  stessa  ragione  invece  l'interpretazione  che

l'art. 2 comma 2 -  in  connessione  con  il  comma  1  -ne  ha  dato

contrasta con la legge di delega.

    E' dunque del tutto illegittima l'introduzione di un nuovo regime

complessivo  (la  «fattispecie»   di   grave   dissesto   finanziario

sanitario) e la connessione automatica  di  questa  fattispecie  alla

sanzione dello scioglimento.

    Tale connessione costituisce anche - come si dira'  -  violazione

diretta dell'art. 126 Cost., ma qui viene  prima  ancora  in  rilievo

come violazione della legge di delega.

    Ai due profili indicati di violazione della delega si aggiunge il

terzo pure sopra annunciato: il meccanismo automatico della rimozione

del Presidente della  Provincia  non  verrebbe  fatto  dipendere  dal

comportamento del Presidente in quanto tale, ma in quanto commissario

dal Governo, ai sensi dell'art. 2, commi 79 e 83, della legge n.  191

del 2009.

    Ora  -  premesso  che  in   realta'   l'intero   meccanismo   del

commissariamento ex legge n. 191 non  e'  riferibile  alla  Provincia

autonoma - se e' vero che (nel caso delle Regioni  ordinarie)  vi  e'

coincidenza personale necessaria (peraltro per  scelta  della  stessa

legge statale) tra la figura del commissario governativo e quella del

Presidente della Regione, cio' non basta a superare il rilievo che le

due  figure  sono  istituzionalmente  e  giuridicamente  diverse.  La

gestione commissariale viene quindi a sostituirsi  alla  gestione  da

parte dell'organo ordinario,  che  rappresenta  il  vertice  politico

della Regione. Il Commissario e' infatti responsabile  nei  confronti

del Governo, che  in  principio  ha  potere  di  indirizzo  nei  suoi

confronti;  il  Presidente  e'  invece  responsabile  nei   confronti

dell'Assemblea regionale, che mantiene  nei  suoi  confronti  (e  nei

termini definiti dallo Statuto)  il  potere  di  indirizzo  politico.

Appare di conseguenza del tutto incongruo  che  al  Presidente  della

Regione, in quanto  organo  politico,  si  comminino  sanzioni  assai

rilevanti sul piano politico imputandogli comportamenti tenuti  nella

veste commissariale, nella quale  egli  opera  in  raccordo  con  gli

organi di governo statali.

    Anche di cio' non c'e' la minima traccia nella legge  di  delega,

che prospetta lo scioglimento come sanzione alle gravi violazioni  di

legge, che portino al dissesto, compiute dal Presidente, e non  certo

dal Commissario nominato dal Governo stesso.

    b)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  3,  per

eccesso  di  delega  in  quanto  sancisce  l'incandidabilita'  e   la

non-nominabilita' del Presidente rimosso.

    Il comma 3 dell'art. 2 prevede  che  il  Presidente,  rimosso  ai

sensi del secondo comma, sia «incandidabile alle cariche  elettive  a

livello locale, regionale, nazionale ed europeo  per  un  periodo  di

dieci anni», aggiungendo che lo  stesso  non  possa,  per  lo  stesso

periodo, «essere nominato quale componente di alcun organo  o  carica

di  governo  degli  enti  locali,  delle  Regioni,  dello   Stato   e

dell'Unione europea».

    Ad avviso della ricorrente Provincia, tale disposizione viola  la

legge di delega - con violazione dell'autonomia provinciale  -  sotto

diversi profili.

    In primo luogo, per la ragione che la legge di  delega  non  pone

gli organi regionali tra i possibili destinatari delle sanzioni sopra

indicate.

    Lo si constata facilmente esaminando i tre meccanismi legislativi

specifici che il legislatore delegato e' autorizzato dalla  legge  di

delega ad introdurre:

        a)  il  sistema  premiale  e'  destinato  ad  applicarsi  nei

confronti degli enti  «virtuosi»  secondo  i  parametri  indicati,  e

l'espressione enti e' cosi'  ampia  da  potervi  comprendere  sia  le

regioni che gli enti locali;

        b)  un  sistema  sanzionatorio,  riservato  agli  enti   meno

virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica,  da  applicarsi

in via transitoria («fino alla dimostrazione della messa in  atto  di

provvedimenti, fra i quali anche l'alienazione di  beni  mobiliari  e

immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile  dell'ente  nonche'

l'attivazione nella misura  massima  dell'autonomia  impositiva»),  e

consistente (1) nel divieto di procedere alla copertura di  posti  di

ruolo vacanti nelle piante organiche, (2) nel divieto di iscrivere in

bilancio  spese  per  attivita'  discrezionali  (fatte  salve  quelle

afferenti  al  cofinanziamento  regionale  o  dell'ente  locale   per

l'attuazione delle politiche comunitarie); anche  questo  sistema  si

applica sia alle Regioni che gli enti locali;

        c) vi sono infine i meccanismi automatici sanzionatori  degli

organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli

equilibri  e  degli  obiettivi  economico-finanziari  assegnati  alla

regione e agli enti locali. Questi meccanismi sono individuati  nella

legge di delega in (1) casi di ineleggibilita'  nei  confronti  degli

amministratori responsabili degli enti locali per i quali  sia  stato

dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui  all'articolo  244

del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto  2000,

n. 267, (2) casi di interdizione dalle cariche  in  enti  vigilati  o

partecipati  da  enti  pubblici,  e  (3)   attivazione   dei   poteri

sanzionatori  ex  art.  126  Cost.,  equiparando  ai  casi  di  grave

violazione di legge ivi previsti «le attivita' che abbiano causato un

grave dissesto nelle finanze regionali».

    Ora, mentre  i  meccanismi  previsti  ai  numeri  2)  e  3)  sono

sicuramente riferibili tanto alle Regioni che agli  enti  locali,  il

meccanismo sub 1) e'  chiaramente  riferito  dalla  legge  agli  enti

locali e solo ad essi. Proprio percio', del resto, la legge di delega

fa riferimento espresso all'art. 244 del TUEL, d.lgs. n. 267/2000.

    Dunque, l'introduzione di un meccanismo automatico  che  sanziona

l'ipotesi di dissesto finanziario riferibile  alle  Regioni,  con  le

conseguenze previste dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. 149,  cioe'  la

incandidabilita'   del   Presidente   «rimosso»   e   la   sua   «non

nominabilita'»  risultano  chiaramente  fuori  dalle  misure  che  il

Governo delegato era autorizzato ad assumere.

    La violazione viene in considerazione qui come  violazione  della

legge  di  delega,  che  si  traduce  in  restrizione  dell'autonomia

provinciale: ma essa, come si dira', costituisce altresi'  violazione

dell'autonomia legislativa assicurata  alla  Provincia  dall'art.  47

St., in materia di sistema di elezione e casi di ineleggibilita' e di

incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta

provinciale.

    In secondo luogo,  la  stessa  disposizione  viola  la  legge  di

delega, in danno dell'autonomia regionale (e ovviamente provinciale),

anche in quanto essa introduce la sanzione  della  «incandidabilita'»

laddove la legge di delega parla soltanto di «ineleggibilita'»  degli

amministratori  degli  enti   dichiarati   in   stato   di   dissesto

finanziario. Le due figure sono radicalmente diverse per ratio e  per

disciplina giuridica, come la giurisprudenza costituzionale ha sempre

sottolineato (si vedano per es. le sent. 377/2003 132/2001 84/2006).

    Inoltre, laddove la legge di delega prevede  che  possano  essere

individuati i «casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati  o

partecipati da enti pubblici», l'art. 2, comma 3, nella seconda parte

della norma, estende invece l'interdizione alle  cariche  di  enti  e

organi «politici» che nulla hanno a  che  fare  con  quelli  indicati

nella legge n. 42.

    Cio'  a  prescindere  dal  difetto   di   ragionevolezza   e   di

proporzionalita' della sanzione, su cui si tornera' tra breve.

    B) Illegittimita' costituzionale dell'articolo  2,  comma  1  per

contrasto con legislazione parlamentare successiva alla delega.

    Sotto questo profilo ha rilevanza e precedenza logica la  censura

dell'art.2, comma 1, del decreto n. 149/2001, in quanto la disciplina

che essi introducono a proposito del disavanzo sanitario e del regime

di  rientro  incide  sulla  legislazione   emanata   dal   Parlamento

successivamente all'entrata in vigore della legge di delega.

    Infatti le norme dell'art. 1 del d.lgs. n. 149 vanno a modificare

ampiamente le previsioni contenute dall'art. 2, comma 77 e ss., della

legge n. 191 del 2009, relativa ai piani  di  rientro  dal  disavanzo

finanziario,  collegando  una  nuova  e  diversa  catena  di  effetti

sanzionatori alla mancata realizzazione degli obiettivi del piano.

    A parte il  gravissimo  groviglio  legislativo  che  si  viene  a

produrre attraverso una legislazione che caoticamente  sovrappone  le

disposizioni l'una all'altra e che gia' di per se' viola il principio

della certezza del diritto, coessenziale allo Stato di diritto  (come

codesta stessa Corte ha piu' volte sottolineato), sembra evidente che

non e' possibile ricomprendere nei poteri conferiti al Governo  dalla

legge di delega la modifica di cio' che il  legislatore  parlamentare

ha  disciplinato  dopo   il   conferimento   della   delega   stessa.

L'espressione costituzionale «oggetti definiti» rifiuta l'ipotesi che

in essa sia fatta rientrare  anche  la  disciplina  di  cio'  che  al

momento della delega non esisteva  affatto,  e  che  solo  una  legge

successiva avrebbe introdotto; ne', d'altra  parte,  e'  immaginabile

che il Parlamento autorizzi implicitamente il  Governo  a  modificare

cio' che il Parlamento statuira' in seguito.

    Tutto all'opposto, vale quanto e' stato autorevolmente  sostenuto

in dottrina, cioe' che con la delega il Parlamento non si  priva  del

potere  di  revocare  la  delegazione   legislativa   attraverso   il

successivo esercizio del potere legislativo;  «mentre  la  delega  va

conferita espressamente, la revoca  puo'  essere  implicita,  qualora

effettuata mediante l'approvazione di leggi disciplinanti la  materia

delegata, prima ancora che siano stati emanati i conseguenti  decreti

legislativi» (Paladin, Le fonti del diritto italiano,  Bologna  1996,

205; Sorrentino, Le fonti del diritto italiano, Padova 2009, 128).

    Per  cui  le  leggi  emanate   dal   Parlamento   successivamente

all'entrata in vigore  della  legge  di  delega,  se  si  trovano  in

contrasto  con  essa,   ne   operano   la   (parziale)   abrogazione,

restringendo di conseguenza il potere legislativo il cui esercizio e'

delegato. Alla stessa stregua si deve ritenere che  quanto  stabilito

dallo stesso legislatore nella materia oggetto della delega  dopo  il

suo conferimento  vale  a  delimitare  l'estensione  dei  principi  e

criteri direttivi, ponendo una disciplina  direttamente  parlamentare

che  il  legislatore  delegato   e'   tenuto   a   rispettare,   pena

l'illegittimita' costituzionale di quanto da esso disposto.

    Ora, l'art. 2, comma 1, del decreto  n.  149,  disciplinando  con

nuove norme le procedure di rientro dal disavanzo sanitario, modifica

la disciplina introdotta dalla legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2

cc. 77 ss., violando percio' un limite implicito posto  dall'art.  76

Cost. alla legislazione delegata.

    La Provincia ha interesse a far valere tale violazione, in quanto

essa si traduce in  restrizione  della  sua  autonomia  e  dunque  in

violazione  della  propria  competenza   costituzionale,   anche   in

collegamento con le ulteriori censure qui prospettate.

    C)  Illegittimita'  dell'art.  2,  comma  1  e  2,  per   diretta

violazione dell'art. 126 Cost.

    Si e' sopra lamentato che l'applicazione dei  meccanismi  di  cui

all'art. 126 Cost. operata dai commi 1 e 2 dell'art.  2  del  decreto

impugnato viola la legge di delega.

    Tuttavia, come anticipato allora, tali disposizioni costituiscono

altresi' violazione diretta dell'art. 126  Cost.,  che  subordina  la

rimozione del Presidente e lo scioglimento  del  Consiglio  regionale

alla circostanza che essi abbiano compiuto gravi violazioni di legge.

    Infatti una «grave violazione di legge» presuppone la sussistenza

di fatti specifici e puntuali, che costituiscono  violazione  di  non

meno   specifiche   e   puntuali    disposizioni    legislative    (o

costituzionali): e' la ingiustificata persistenza  della  violazione,

nonostante la ripetuta sollecitazione  a  rimuoverla,  che  puo'  far

scattare, come extrema ratio, la sanzione contro gli organi regionali

che volutamente hanno persistito nel loro indebito comportamento.

    Insomma, vi e' grave violazione  solo  se  gli  organi  regionali

tengono uno specifico  comportamento,  in  contrasto  con  specifiche

norme, comportamento che a seguito della contestazione potrebbero far

cessare. Cio' vale necessariamente - se si vuole restare  nell'ambito

dell'art. 126 Cost. -  anche  per  le  violazioni  che  conducano  al

dissesto finanziario.

    In  assenza  di  prassi  applicativa  e,   di   conseguenza,   di

interpretazione giudiziale, la dottrina  e'  da  sempre  unanime  nel

ritenere che  la  formulazione  costituzionale  e  le  corrispondenti

espressioni  impiegate  dagli  statuti  speciali  (che   parlano   di

«reiterate e gravi violazioni di legge») esprimano la necessita'  che

i comportamenti illegittimi abbiano un certo  grado  di  frequenza  e

intensita', ma anche di intenzionalita', come  era  gia'  emerso  nei

lavori dell'Assemblea costituente (cfr. Costanzo, Art. 126, in  Comm.

alla Costituzione, a  cura  di  Branca-Pizzorusso,  p.  367  ss.;  De

Fiores,  Art.  126,  in  Comm.   alla   Costituzione,   a   cura   di

Bifulco-Celotto-Olivetti, p. 2492).

    D) Illegittimita' dell'art. 2,  comma  2,  per  violazione  degli

artt.  100,  103  secondo  comma  e  24  Cost  e  del  principio   di

ragionevolezza.

    Il  comma  2  riconnette  la  sanzione  dello  scioglimento   del

Consiglio regionale e della rimozione del Presidente della Giunta per

responsabilita' politica,  tra  l'altro,  all'accertamento  da  parte

della Corte dei conti della sussistenza delle condizioni  di  cui  al

comma 1 (condizioni che devono verificarsi  congiuntamente)  e  della

loro riconduzione «alla diretta responsabilita',  con  dolo  o  colpa

grave, del Presidente della Giunta regionale».

    Naturalmente la Provincia non contesta  che  -  ove  in  denegata

ipotesi apparissero  costituzionalmente  legittime  -  le  gravissime

sanzioni prospettate dalle norme impugnate debbano  essere  precedute

da un rigoroso accertamento della effettiva e  grave  responsabilita'

personale.

    Ritiene tuttavia che l'attribuzione di tale  compito  alla  Corte

dei conti, nei termini in  cui  la  disposizione  e'  formulata,  sia

costituzionalmente illegittima, segnatamente,  per  violazione  degli

artt. 100, 103, comma 2 e 24 Cost..

    Tale accertamento  risulta  infatti  attribuito  alla  Corte  dei

conti, senza che la norma specifichi se a tal fine  la  Corte  agisca

nell'ambito delle sue attribuzioni di controllo, ovvero quale  organo

di giurisdizione.

    Ad ammettere che il legislatore, nella frettolosita' con  cui  ha

provveduto  alla  redazione  della  norma  in  esame,  abbia   inteso

riferirsi ad un accertamento da eseguirsi in relazione ai compiti  di

controllo collaborativo, diffusamente ascrivibili oggi  alle  Sezioni

di controllo della Corte dei conti  anche  in  relazione  alla  spesa

sanitaria e al raggiungimento degli obbiettivi dei Piani di  rientro,

deve escludersi che, al di la'  dell'accertamento  della  sussistenza

delle condizioni di cui al comma 1, possa  legittimamente  ammettersi

che, in correlazione alla suddetta attivita' di controllo, le  stesse

Sezioni possano accertare la diretta responsabilita'  del  Presidente

della Regione e la imputabilita' allo stesso  del  verificarsi  delle

condizioni di cui al comma 1, a titolo di dolo o di colpa grave.

    Secondo quanto evidenziato da codesta ecc.ma Corte nella sent. n.

29/1995, la funzione di controllo successivo sulla  gestione  e'  ben

distinta rispetto a quella giurisdizionale, per quanto la titolarita'

congiunta di tali funzioni in capo alla Corte dei conti  consenta  di

utilizzare le notizie o gli elementi raccolti nel corso del controllo

di gestione, anche ai fini del giudizio di responsabilita' e ai  fini

della   imputabilita',   ad   un    determinato    soggetto,    della

responsabilita' del pregiudizio a lui ascrivibile per  dolo  o  colpa

grave.

    In nessun caso e', dunque, consentita la commistione fra poteri e

funzioni  che  sono  diversi  e,  soprattutto,  la  possibilita'   di

ascrivere all'organo  di  controllo  un  potere  di  sindacato  sulla

sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi su cui si fonda la

funzione giurisdizionale della stessa Corte.

    Ove, cioe', la norma abbia inteso ricondurre  tale  accertamento,

in  funzione  dello  specifico  meccanismo  sanzionatorio,   previsto

dall'art. 2, comma 2, ad una ibrida  ed  onnicomprensiva  funzione  a

cio' strumentale, della Corte dei conti, ovvero alla stessa  funzione

di   controllo   collaborativo,   da    intendersi    esteso    anche

all'accertamento delle condizioni  soggettive  ed  oggettive  per  il

riconoscimento della responsabilita' personale del  soggetto  agente,

risulterebbe piu' che evidente  l'incostituzionalita'  della  stessa,

per violazione dei parametri costituzionali di  cui  all'art.  100  e

all'art. 103 comma 2 Cost., oltre che all'art. 24 Cost., secondo  cui

la diretta responsabilita' per  dolo  o  colpa  grave  non  puo'  che

scaturire da un procedimento  (giurisdizionale),  caratterizzato  dal

rispetto del principio del contraddittorio e dal pieno riconoscimento

degli inviolabili diritti di difesa.

    Se, al contrario, la disposizione dovesse essere letta nel  senso

del concorso, ai fini degli accertamenti di cui sopra, della funzione

di controllo con quella giurisdizionale e, quindi, nel  senso  di  un

coinvolgimento della Corte dei conti nella duplice veste di organo di

controllo e di organo  di  giurisdizione  (il  che,  pero',  parrebbe

escluso dalla circostanza che  in  altre  disposizioni  del  medesimo

decreto legislativo, come ad esempio l'art. 6  sulla  responsabilita'

politica del Presidente della Provincia e del Sindaco, in cui  si  ha

riguardo al riconoscimento della responsabilita' per danni  cagionati

con dolo o colpa grave «anche nel giudizio di primo grado»,  dove  il

riferimento  alla  funzione   giurisdizionale   e'   esplicito),   la

disposizione sarebbe  ugualmente  incostituzionale,  per  violazione,

sotto altro profilo, degli artt. 100, 103 comma 2  e  24  Cost.,  sul

presupposto  di  un  implicito,  ma  non  dichiarato   riconoscimento

dell'esistenza  dell'elemento  oggettivo  del  danno  ingiusto,   che

sarebbe, pertanto, ascrivibile ex se  al  fatto  del  grave  dissesto

finanziario  e,  altresi',   alla   mancata   identificazione   della

riconducibilita' del medesimo al dato soggettivo  del  dolo  o  della

colpa grave.

    Si tratterebbe infatti di un giudizio di responsabilita' erariale

di cui non sono chiare le regole, le modalita'  di  introduzione,  le

garanzie di difesa nelle varie fasi, la competenza ed i gradi.

    In ogni caso, anche ad ammettere che il legislatore abbia  inteso

subordinare l'irrogazione della sanzione, oltre che al dato oggettivo

del  verificarsi  delle  condizioni   di   cui   al   comma   1,   al

riconoscimento,   nella   sede    consentita    del    giudizio    di

responsabilita', della sussistenza del dolo o della colpa  grave  del

Presidente, con sentenza passata in  giudicato,  l'intero  meccanismo

risulterebbe del tutto irragionevole e  violativo  delle  prerogative

del Presidente e del Consiglio, producendo una  situazione  di  grave

incertezza e di delegittimazione degli  organi  costituzionali  della

Provincia,   destinata   a   protrarsi   nel   tempo,   nelle    more

dell'accertamento  della  sussistenza  delle  condizioni   soggettive

suscettibili  di  rilevare  sul  piano  della  loro   responsabilita'

politica, ai sensi dell'art.126 Cost.

    Si  consideri  che  le  sanzioni  finirebbero  con   colpire   il

Presidente  responsabile   dopo   anni,   rendendolo   giuridicamente

ineleggibile e «non nominabile»: ma  nel  frattempo,  la  sua  figura

politica resterebbe «sospesa»,  anticipando  di  fatto  la  sanzione.

Insomma, nella misura in cui davanti alla  Corte  dei  conti  fossero

applicate tutte le garanzie del giusto  processo  -  come  del  resto

sarebbe  costituzionalmente  dovuto  -  la  sanzione  legale  sarebbe

irragionevolmente differita nel tempo.

    Tutto cio' non fa che mettere in ulteriore rilievo la complessiva

illegittimita' ed incongruita' della  applicazione  di  una  sanzione

prevista dalla Costituzione come  altamente  politica,  di  fronte  a

violazioni gravi di specifiche norme costituzionali o ordinarie, come

rimedio ad una complessa situazione di dissesto, che non ha causa  in

specifiche violazioni, e che non puo' avere rimedio nell'applicazione

del meccanismo indicato.

    E) Illegittimita' dell'art. 2, comma 3, sotto ulteriori profili.

    La sanzione gravissima della  sospensione  dall'esercizio  di  un

diritto costituzionale fondamentale per un periodo cosi' lungo appare

viziata da irragionevolezza per mancanza di  proporzionalita',  anche

in comparazione con le altre  ipotesi,  attualmente  legislativamente

previste, di applicazione della sanzione dell'incandidabilita', tutte

connesse a gravissimi episodi di criminalita'.

    Infine, la disposizione  del  decreto  delegato  appare  illogica

laddove pretende di disciplinare restrittivamente i poteri di  nomina

dei propri «organi e cariche di governo» da parte  delle  istituzioni

europee. Potrebbe supporsi che nell'intenzione  dei  redattori  della

disposizione il riferimento dovesse  andare  alle  sole  designazioni

spettanti alla Repubblica italiana dei componenti  delle  istituzioni

comunitarie: ma nella sua formulazione essa sembra da  intendere  nel

senso piu' ampio.

6) Illegittimita' dell'art. 2, commi 4 e 7.

    L'art. 2, comma 4, stabilisce che, «qualora si verifichino una  o

entrambe le condizioni di cui alle lettere a) e b) del  comma  1,  il

Governo, in attuazione dell'articolo 2, comma 84, della citata  legge

n. 191  del  2009,  nell'esercizio  del  potere  sostitutivo  di  cui

all'articolo 120 della Costituzione, nomina un commissario  ai  sensi

dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, che sostituisce il

Presidente della Giunta regionale nominato  commissario  ad  acta  ai

sensi dell'articolo 2, commi 79 e 83, della citata legge n.  191  del

2009».

    L'art. 2, comma 7, dal canto suo, dispone che,  «con  riguardo  a

settori ed attivita' regionali diversi dalla sanita', ove una regione

dopo la  determinazione  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni

nonche' dei relativi costi standard e la definizione degli  obiettivi

di servizio, non provveda alla attuazione dei  citati  livelli  e  al

raggiungimento  degli  obiettivi  di  servizio  in  coerenza  con  le

previsioni di cui all'articolo 18 della legge 5 maggio 2009,  n.  42,

il Presidente della Giunta regionale e' nominato commissario ad  acta

ai sensi dell'articolo 8 della citata legge  n.  131  del  2003,  per

l'esercizio dei poteri sostitutivi».

    In  relazione  al  settore  sanitario,   tali   norme   risultano

illegittime, innanzi tutto, per le ragioni  gia'  esposte  nel  punto

precedente, cioe'  perche'  la  sanita'  e'  a  carico  del  bilancio

provinciale, per cui la Provincia e' estranea alla disciplina di  cui

all'art. 2, commi 77 ss., legge n. 191/2009.

    In generale, i commi 4 e 7 sono illegittimi perche' pretendono di

applicare alla Provincia l'art. 120 Cost., mentre, nelle materie  che

spettano  alla  Provincia  in  base  allo  Statuto,  l'art.  120   e'

inapplicabile alla Provincia e restano  fermi  i  poteri  sostitutivi

previsti dalle norme di attuazione (v. sent. 236/2004), cioe'  quelli

di cui all'art. 8 d.P.R. n. 526/1987.

    In relazione alle "nuove" materie, non  previste  nello  Statuto,

l'art. 8 legge n. 131/2003 e' applicabile alle Province solo dopo  il

trasferimento  ad  esse  delle  nuove  funzioni,  «con  le  procedure

previste dall'art. 11 della legge n. 131 del 2003, ossia con norme di

attuazione degli  statuti  adottate  su  proposta  delle  commissioni

paritetiche» (cosi' la sent. 236/2004).

    Inoltre, spetta sempre alle norme di  attuazione  configurare  il

potere  sostitutivo  statale  in  relazione   alle   nuove   funzioni

trasferite, per cui i commi 4 e 7 violano  anche  l'art.  107  Cost.,

perche'  pretendono  di  vincolare  il  contenuto  delle   norme   di

attuazione.

    L'art. 2, comma 7, e' poi ulteriormente illegittimo la'  dove  fa

riferimento al mancato «raggiungimento degli obiettivi di  servizio».

Infatti, la disposizione prevede una ipotesi di potere sostituivo  in

applicazione dell'art. 120 Cost., come e' reso palese dal riferimento

all'articolo 8 della legge n. 131 del 2003, dedicato alla  Attuazione

dell'articolo  120  della  Costituzione   sul   potere   sostitutivo.

Sennonche',  e'  di  immediata  evidenza  che  l'art.  120  Cost.  si

riferisce  soltanto  alla  tutela  dei   livelli   essenziali   delle

prestazioni, e non anche a generici «obiettivi di servizio»,  la  cui

nozione e' sconosciuta alla Costituzione.

7) Illegittimita' dell'art. 3.

    L'art. 3 d.lgs. n. 149/2011 e' intitolato Decadenza automatica  e

interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti.

    Esso dispone al comma 1 che «il verificarsi  del  grave  dissesto

finanziario di cui  all'articolo  2  determina  l'applicazione  delle

disposizioni di cui all'articolo 2, comma 79, lettera a), della legge

23 dicembre 2009, n. 191, in  materia  di  decadenza  automatica  dei

direttori   generali   e,   previa    verifica    delle    rispettive

responsabilita' del dissesto, dei direttori amministrativi e sanitari

degli  enti  del  Servizio   sanitario   regionale,   del   dirigente

responsabile  dell'assessorato  regionale  competente,  nonche'   dei

componenti del collegio dei revisori dei conti».

    Il comma 2 dispone che «agli stessi soggetti di cui al comma 1 si

applica altresi' l'interdizione da qualsiasi carica in enti  vigilati

o partecipati da enti pubblici per  un  periodo  di  tempo  di  dieci

anni»; che la sanzione dell'interdizione «e' irrogata con decreto del

Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per i

rapporti con le regioni e per la coesione  territoriale»  e  che  «il

giudizio sulla relativa impugnazione e' devoluto  alla  giurisdizione

esclusiva del giudice amministrativo».

    Infine,  il  comma  3  dispone  che  «qualora,  a  seguito  della

dichiarazione  di  dissesto,  la  Corte  dei  conti   accerti   gravi

responsabilita' nello svolgimento  dell'attivita'  del  collegio  dei

revisori delle Regioni, ove costituito, e degli  enti  alle  medesime

riconducibili, i componenti del collegio riconosciuti responsabili in

sede di giudizio della predetta Corte non possono essere nominati nel

collegio dei revisori delle regioni, degli enti  locali  e  di  altri

enti pubblici per un periodo fino a dieci  anni,  in  funzione  della

gravita' accertata». Dispone inoltre che la Corte dei conti trasmetta

«l'esito  dell'accertamento   anche   all'ordine   professionale   di

appartenenza dei  revisori  per  valutazioni  inerenti  all'eventuale

avvio di procedimenti disciplinari».

    In primo luogo, tali norme risultano illegittime per  le  ragioni

gia' esposte nei punti precedenti, cioe'  perche'  la  sanita'  e'  a

carico del bilancio provinciale, per cui  la  Provincia  e'  estranea

alla disciplina di cui all'art. 2, commi 77 ss., legge  n.  191/2009.

E' da ricordare che «lo Stato, quando non concorre  al  finanziamento

della spesa sanitaria,  "neppure  ha  titolo  per  dettare  norme  di

coordinamento finanziario"» (v. sentt. 341/2009 e 133/2010).

    Inoltre, l'art. 3 e' illegittimo  per  le  ragioni  gia'  esposte

sopra, al punto 5, lett. A), ulteriore punto  b,  in  relazione  alla

sanzione della incandidabilita' e  non-nominabilita'  del  Presidente

rimosso, cioe' in quanto esso risulta incompatibile con la  legge  di

delega, e percio' in violazione con l'art. 76 Cost.

    L'art. 3 infatti  commina  ai  massimi  dirigenti  delle  aziende

sanitarie e dell'amministrazione regionale, nonche' ai  revisori  dei

conti,  le  gravissime  sanzioni   della   decadenza   automatica   e

dell'interdizione che la legge di delega  prevede  soltanto  per  gli

amministratori degli enti locali.

    Al tempo stesso, ed  a  parte  ogni  considerazione  sulla  grave

incisione che cosi' si produce nei diritti individuali e politici  di

questi dirigenti (fra l'altro l'art. 3, comma 1, non individua alcuna

regola  procedurale  per  la  propria   applicazione   ne'   l'organo

competente   alla   verifica   di   responsabilita'),    a    restare

illegittimamente violata e' anche la potesta'  legislativa  esclusiva

della Provincia sull'organizzazione degli uffici  e  sull'ordinamento

del personale (art. 8, n. 1, o art. 117, comma 4,  se  ritenuto  piu'

favorevole).

    Per quanto riguarda poi  la  misura  interdittiva  essa  consegue

automaticamente ed in misura predeterminata  e  fissa  di  ben  dieci

anni, senza alcuna possibilita' di graduazione in concreto a  seconda

della gravita' della responsabilita'.

    In tale materia, il fondamento dell'intervento statale  non  puo'

essere che l'esigenza del coordinamento della  finanza  pubblica:  e'

dunque violato l'art. 79 St., la' dove  esclude  l'applicazione  alla

Provincia delle misure di coordinamento relative alle altre  Regioni,

o comunque il comma 4, seconda parte, di esso, dato che la  Provincia

verrebbe sottoposta a norme dettagliate e autoapplicative, e  non  al

solo dovere di adeguamento ai principi.

8) Illegittimita' dell'art. 5.

    L'art.  5  d.lgs.  n.  149/2011   dispone   che   «il   Ministero

dell'economia e delle finanze -Dipartimento della Ragioneria generale

dello Stato puo' attivare verifiche sulla regolarita' della  gestione

amministrativo-contabile, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera

d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, oltre che negli altri  casi

previsti dalla legge, qualora un ente evidenzi, anche  attraverso  le

rilevazioni SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario riferibili ai

seguenti  indicatori:  a)  ripetuto  utilizzo  dell'anticipazione  di

tesoreria; b) disequilibrio  consolidato  della  parte  corrente  del

bilancio; c) anomale modalita' di gestione dei servizi per  conto  di

terzi» (comma 1). Il comma 2 aggiunge che «le modalita' di attuazione

del comma 1 sono definite con decreto del  Ministro  dell'economia  e

delle finanze,... previa intesa  con  la  Conferenza  Unificata...  e

prevedono anche adeguate forme di contraddittorio  fra  il  Ministero

dell'economia  e  delle  finanze  -  Dipartimento  della   Ragioneria

generale dello Stato e gli enti sottoposti alle verifiche di  cui  al

comma l». L'attivita' di verifica «sulla regolarita'  della  gestione

amministrativo-contabile attivata sulla base degli indicatori di  cui

al comma 1 e' eseguita  prioritariamente  nei  confronti  dei  comuni

capoluogo di provincia».

    L'art. 14 legge n. 196/2009, richiamato dall'art. 5  ora  citato,

si intitola Controllo e monitoraggio dei conti pubblici e prevede che

«in relazione alle esigenze di  controllo  e  di  monitoraggio  degli

andamenti della finanza  pubblica...  il  Ministero  dell'economia  e

delle finanze - Dipartimento della Ragioneria  generale  dello  Stato

provvede a:... d) effettuare, tramite i servizi ispettivi di  finanza

pubblica,    verifiche    sulla    regolarita'     della     gestione

amministrativo-contabile   delle   amministrazioni   pubbliche,    ad

eccezione delle regioni e delle province  autonome  di  Trento  e  di

Bolzano».

    Dunque, l'art. 5 d.lgs. n. 149/2011 contempla, se applicato  alla

provincia di Trento, un controllo di gestione ministeriale sugli enti

locali  della   provincia   di   Trento   e   sugli   enti   pubblici

paraprovinciali.

    Cio' si pone in chiaro contrasto con l'intero sistema statutario.

    A parte l'evidente lesione della potesta' legislativa primaria  e

della potesta' amministrativa della Regione in materia di ordinamento

degli enti locali, per quanto riguarda la Provincia il  contrasto  si

rileva in primo luogo con l'art. 79, comma 3, St., che attribuisce ad

essa «funzioni di coordinamento con riferimento agli enti locali,  ai

propri enti e organismi strumentali,  alle  aziende  sanitarie,  alle

universita' non statali...,  alle  camere  di  commercio,  industria,

artigianato  e  agricoltura  e  agli  altri  enti  od   organismi   a

ordinamento regionale o provinciale finanziati dalle  stesse  in  via

ordinaria», e che stabilisce inoltre che «le  province  vigilano  sul

raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  da  parte  degli

enti di cui al presente comma ed esercitano sugli stessi il controllo

successivo sulla gestione dando notizia degli esiti  alla  competente

sezione della Corte dei conti» (si vedano poi anche gli artt. 54,  n.

5, e 80 St. e l'art. 6, comma 3-bis, d.P.R. n. 305/1988).

    Inoltre,  trattandosi  di  materia  di   competenza   provinciale

(finanza locale e coordinamento della  finanza  pubblica),  l'art.  5

viola l'art. 4 d.lgs. n. 266/1992, che  esclude  il  conferimento  di

funzioni amministrative - comprese quelle di vigilanza  -  ad  organi

statali (su questo punto v. le sentt. 182/1997 e 228/1993).

    Infine, l'art. 5, comma 2, prevede un atto regolativo in  materia

provinciale e, dunque, viola il divieto  di  regolamenti  statali  in

materie regionali (art. 117, comma  6,  Cost.  e  art.  2  d.lgs.  n.

266/1992) o, se si considera l'atto non normativo, l'art. 4 d.lgs. n.

266/1992.

9) Illegittimita' dell'art. 6.

    L'art. 6 e' intitolato Responsabilita' politica del presidente di

provincia e del sindaco. Il comma 1 sostituisce l'art. 248, comma  5,

d.lgs. n. 267/2000, stabilendo che, «fermo restando  quanto  previsto

dall'articolo  1  della  legge  14   gennaio   1994,   n.   20,   gli

amministratori che la Corte dei conti ha  riconosciuto  responsabili,

anche in primo grado, di danni cagionati con dolo o colpa grave,  nei

cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto  finanziario,  non

possono ricoprire,  per  un  periodo  di  dieci  anni,  incarichi  di

assessore, di revisore dei conti di enti locali e  di  rappresentante

di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e

privati, ove la Corte, valutate le circostanze e le cause  che  hanno

determinato il dissesto, accerti che questo  e'  diretta  conseguenza

delle azioni od omissioni per  le  quali  l'amministratore  e'  stato

riconosciuto responsabile». Inoltre, «i sindaci  e  i  presidenti  di

provincia ritenuti responsabili ai sensi del  periodo  precedente,...

non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle  cariche  di

sindaco,  di  presidente  di  provincia,  di  presidente  di   Giunta

regionale, nonche' di membro  dei  consigli  comunali,  dei  consigli

provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento

e del Parlamento europeo», e «non possono altresi' ricoprire  per  un

periodo di tempo di dieci  anni  la  carica  di  assessore  comunale,

provinciale  o  regionale  ne'  alcuna  carica  in  enti  vigilati  o

partecipati  da   enti   pubblici».   Qualora,   «a   seguito   della

dichiarazione  di  dissesto,  la  Corte  dei  conti   accerti   gravi

responsabilita' nello svolgimento  dell'attivita'  del  collegio  dei

revisori, ... i componenti del collegio riconosciuti  responsabili...

non possono essere nominati nel  collegio  dei  revisori  degli  enti

locali e degli enti ed organismi agli  stessi  riconducibili  fino  a

dieci anni, in funzione della gravita' accertata».

    In base all'art.  6,  comma  2,  "qualora  dalle  pronunce  delle

sezioni regionali di controllo della  Corte  dei  conti  emergano,...

comportamenti difformi dalla sana  gestione  finanziaria,  violazioni

degli obiettivi della  finanza  pubblica  allargata  e  irregolarita'

contabili o squilibri strutturali del bilancio  dell'ente  locale  in

grado di provocarne il dissesto finanziario  e  lo  stesso  ente  non

abbia adottato, entro il termine assegnato dalla Corte dei conti,  le

necessarie misure correttive previste  dall'articolo  1,  comma  168,

della  legge  23  dicembre  2005,  n.  266,  la  competente   sezione

regionale, accertato l'inadempimento, trasmette gli atti al  Prefetto

e alla Conferenza  permanente  per  il  coordinamento  della  finanza

pubblica».  In  questi  casi,  ove   sia   accertato   il   perdurare

dell'inadempimento, «il Prefetto assegna al Consiglio...  un  termine

non superiore a venti giorni  per  la  deliberazione  del  dissesto».

Decorso  infruttuosamente  tale  termine,  «il  Prefetto  nomina   un

commissario per la deliberazione dello stato di dissesto e da'  corso

alla procedura per lo scioglimento del consiglio dell'ente  ai  sensi

dell'articolo  141  del  citato  testo  unico  di  cui   al   decreto

legislativo n. 267 del 2000».

    La norma modificata dall'art. 6, comma 1, in  quanto  costituisce

parte integrante del t.u. enti locali come nuovo art.  248,  dovrebbe

essere  ritenuta  inapplicabile  alle  Province  autonome  in  virtu'

dell'art. 1, comma 2, dello stesso testo unico (d.lgs. n.  267/2000),

secondo  cui  «le  disposizioni  del  presente  testo  unico  non  si

applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di

Trento e di Bolzano se incompatibili  con  le  attribuzioni  previste

dagli statuti e dalle relative norme di attuazione».

    Qualora, invece, fosse ritenuto prevalente l'art.  13  d.lgs.  n.

149/2011, l'art. 6, comma 1, recando norme  sanzionatone  dettagliate

ed autoapplicative in materia di finanza locale,  senza  possibilita'

di svolgimento da parte della Provincia, verrebbe a ledere (sempre  a

non  considerare  qui  la  potesta'  della  Regione  in  materia   di

ordinamento degli enti locali) la competenza provinciale  in  materia

di finanza locale (art. 80 St.). Inoltre, il nuovo art. 248, comma 5,

secondo  e  terzo  periodo,  interferisce  con  la  disciplina  delle

elezioni provinciali, della  nomina  degli  assessori  provinciali  e

dell'affidamento degli incarichi in  enti  paraprovinciali,  ma  tale

intervento del  legislatore  statale  risulta  senza  titolo  perche'

l'incandidabilita' non e' collegata alla commissione  di  reati,  per

cui non puo' rientrare nella competenza statale sull'ordine pubblico.

    Tali norme, dunque, violano l'art. 47 St. (competenza della legge

statutaria su elezioni, ineleggibilita' e forma di governo, nei  soli

limiti dei principi  dell'ordinamento)  e,  in  relazione  agli  enti

paraprovinciali, l'art. 8, n. 1 (o l'art.  117,  comma  4,  Cost.  se

ritenuto piu' favorevole).

    Invece, l'art. 6, comma 2, non  modifica  il  t.u.  enti  locali.

Esso, se applicato alla Provincia ex  art.  13  d.lgs.  n.  149/2011,

viola chiaramente le norme che attribuiscono alla Provincia poteri di

vigilanza e di controllo di gestione (artt. 54, n. 5, 79, comma 3,  e

80 St., e art. 6, comma 3-bis, d.P.R. n. 305/1988): in  sostanza,  si

introducono forme di controllo ulteriori rispetto a  quelle  previste

dallo Statuto e dalle norme di attuazione.

    E' da precisare che  la  vigilanza  della  Provincia  sui  comuni

comprende il potere di scioglimento  dei  loro  organi  e  quello  di

nomina dei commissari (v. gli artt. 82 e 83  d.P.G.reg.  1°  febbraio

2005, n. 3/L).

10) Illegittimita' dell'art. 7.

    Fra le disposizioni contenute negli artt. da 1 a 7, l'art.  7  e'

l'unico che menziona espressamente le Province autonome.

    Dunque, esso si rivolge ad esse a prescindere dall'art. 13 d.lgs.

n. 149/2011, prevedendo sanzioni a carico delle Province autonome  in

caso di «mancato rispetto del patto di stabilita' interno».

    Il comma 1 stabilisce che la Provincia, «nell'anno  successivo  a

quello dell'inadempienza: a) e'  tenuta  a  versare  all'entrata  del

bilancio statale... l'importo corrispondente alla differenza  tra  il

risultato registrato e l'obiettivo  programmatico  predeterminato...;

b) non puo' impegnare spese correnti, al netto  delle  spese  per  la

sanita',  in  misura  superiore  all'importo   annuale   minimo   dei

corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio; c)  non  puo'

ricorrere all'indebitamento per  gli  investimenti;...  d)  non  puo'

procedere  ad  assunzioni  di  personale  a  qualsiasi  titolo,   con

qualsivoglia tipologia  contrattuale,  ivi  compresi  i  rapporti  di

collaborazione continuata e continuativa e di somministrazione, anche

con riferimento ai processi di  stabilizzazione  in  atto...;  e)  e'

tenuta a rideterminare le indennita' di  funzione  ed  i  gettoni  di

presenza del  Presidente  e  dei  componenti  della  Giunta  con  una

riduzione del 30 per cento  rispetto  all'ammontare  risultante  alla

data del 30 giugno 2010».

    Il secondo  comma  prevede  analoghe  conseguenze  per  gli  enti

locali.

    Tali  disposizioni   sono   illegittime   e   gravemente   lesive

dell'autonomia provinciale, come nuovamente codificata,  mediante  la

procedura di cui all'art. 104 dello  Statuto,  proprio  in  relazione

alle regole relative al patto di  stabilita'  ed  al  concorso  della

Provincia agli obbiettivi di finanza pubblica.

    In particolare, il comma I viola l'art. 79  St.  (frutto  appunto

della indicata modifica), che prevede le misure con cui  le  Province

«concorrono al conseguimento degli obiettivi  di  perequazione  e  di

solidarieta' e all'esercizio dei diritti e dei  doveri  dagli  stessi

derivanti  nonche'  all'assolvimento  degli  obblighi  di   carattere

finanziario  posti  dall'ordinamento  comunitario,   dal   patto   di

stabilita' interno  e  dalle  altre  misure  di  coordinamento  della

finanza pubblica stabilite dalla normativa statale»,  e  dispone  che

«le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente

con  la  procedura  prevista  dall'articolo  104  e  fino  alla  loro

eventuale modificazione costituiscono il concorso agli  obiettivi  di

finanza pubblica di cui al comma 1».

    Inoltre, nel comma 3  l'art.  79  stabilisce  le  regole  per  la

definizione del patto di stabilita' e prevede espressamente che  «non

si applicano le misure adottate per le regioni e per gli  altri  enti

nel restante territorio nazionale»; il  comma  4  ribadisce  che  «le

disposizioni  statali  relative  all'attuazione  degli  obiettivi  di

perequazione e di solidarieta', nonche' al  rispetto  degli  obblighi

derivanti dal patto di stabilita' interno, non  trovano  applicazione

con riferimento alla regione e alle province  e  sono  in  ogni  caso

sostituite da quanto previsto dal presente articolo».

    Dunque,  appare   chiara   l'illegittimita'   dell'art.   7:   il

legislatore ordinario non puo' alterare unilateralmente l'assetto dei

rapporti in materia finanziaria disegnato dallo Statuto,  assimilando

la  posizione  delle  Province  autonome  -  regolate  da  disciplina

speciale - a quella delle Regioni ordinarie.

    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e

Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente

riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale.

    Cosi', ad es., la sent. n. 82 del 2007 ha  riconosciuto  che  «la

previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto

speciale e  il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  per  la

determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche'  dei

relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione» della «speciale

autonomia in materia finanziaria di cui godono le  predette  Regioni,

in forza dei loro statuti» (punto 6 del Diritto); e  nella  sent.  n.

353 del 2004 la Corte ha affermato che il metodo dell'accordo (sempre

per la determinazione delle spese), introdotto  per  la  prima  volta

dalla legge finanziaria per il 1998 e riprodotto in  tutte  le  leggi

finanziarie successivamente  adottate,  deve  essere  tendenzialmente

preferito ad altri, dato che «la necessita'  di  un  accordo  tra  lo

Stato e  gli  enti  ad  autonomia  speciale  nasce  dall'esigenza  di

rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi».

    Si puo' ricordare anche la sent. n. 39 del 1984, che ha annullato

un atto ministeriale che aveva  unilateralmente  modificato  l'elenco

delle imposte ai fini dell'art. 49 dello Statuto, precisando che  «il

legislatore  statale  ben  potrebbe  intervenire,  se  lo   ritenesse

opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia:  ma

dovrebbe farlo, comunque, dopo  aver  sentito  la  Regione  (art.  65

Statuto Friuli - Venezia Giulia) e avendo i poteri per mettere ordine

nella complessa vicenda senza turbare i delicati  rapporti  coll'Ente

Regione».

    Pertinente e' anche il richiamo alla sent. n. 98 del 2000, che ha

giudicato di alcune norme  legislative  statali  che  disponevano  la

riserva  a  favore  dell'erario  delle  entrate  derivanti  da  altre

disposizioni e che erano  contestate  per  violazione  dello  Statuto

siciliano  e  delle  relative  norme  di  attuazione.  La  Corte   ha

riconosciuto l'esistenza del «principio... di leale cooperazione  fra

Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la'

dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze  fra

le  rispettive  sfere  e  i  rispettivi  ambiti  finanziari»,  e   ha

sottolineato che «sono espressioni significative di tale esigenza  le

norme di attuazione di  altri  statuti  speciali,  le  quali,  a  tal

proposito, contemplano procedimenti cui sono chiamate  a  partecipare

le Regioni». La Corte ha, dunque, statuito  che  le  norme  impugnate

dovevano prevedere «procedimenti non unilaterali, ma che  contemplino

una partecipazione della Regione direttamente interessata».

    Il principio consensuale e' stato ribadito piu'  di  recente,  in

relazione  alla  Provincia  di  Trento,  dalla  sent.  133/2010.   La

Provincia aveva impugnato l'art. 9-bis, comma 5, d.l. n. 78/2009, che

attribuiva al Presidente del Consiglio  dei  ministri  il  potere  di

fissare «i criteri per la  rideterminazione,  a  decorrere  dall'anno

2009, dell'ammontare dei proventi  spettanti  a  regioni  e  province

autonome, compatibilmente con gli statuti di autonomia delle  regioni

ad autonomia speciale e delle citate province autonome, ivi  compresi

quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi erariali statali».

La Corte ha accolto le questioni sollevate nel ricorso, ritenendo che

tale norma incidesse sui rapporti  finanziari  intercorrenti  tra  lo

Stato, la Regione e le Province autonome,  e  che  «pertanto  avrebbe

dovuto essere approvata con il procedimento previsto dal citato  art.

104 dello statuto speciale, ove e' richiesto  il  necessario  accordo

preventivo di Stato e Regione».

    In effetti, e' chiaramente illegittimo  che  lo  Stato,  con  una

fonte  primaria  unilateralmente  adottata,  alteri   l'assetto   dei

rapporti finanziari tra  Stato  e  Provincia,  laddove  il  principio

consensuale e' da tempo riconosciuto in questa materia  ed  e'  stato

ribadito proprio con la recente riforma statutaria.

    Quanto all'art. 7, comma 2, d.lgs. n. 149/2011,  esso  viola  gli

artt. 80 e 81 St. ed il gia' citato art. 79,  comma  3,  in  base  al

quale «spetta alle province stabilire gli obblighi relativi al  patto

di stabilita' interno e provvedere alle funzioni di coordinamento con

riferimento agli enti locali», mentre «non  si  applicano  le  misure

adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante  territorio

nazionale». Inoltre, esso  dispone  che  «le  province  vigilano  sul

raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  da  parte  degli

enti di cui al presente comma ed esercitano sugli stessi il controllo

successivo sulla gestione». Gli artt. 80 e 81 St. e l'art. 18  d.lgs.

n. 268/1992 sono stati attuati con la l.p. n. 36/1993, il cui art.  3

dispone  che,  «in  sede   di   definizione   dell'accordo   previsto

dall'articolo 81 dello Statuto speciale sono  stabilite,  oltre  alla

quantita' delle risorse finanziarie da trasferire ai  comuni  e  agli

altri enti locali, le misure necessarie a garantire il  coordinamento

della  finanza  comunale  e  quella  provinciale,   con   particolare

riferimento alle misure  previste  dalla  legge  finanziaria  per  il

perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati  al

patto di stabilita' interno».

    E' inoltre violato, in particolare da parte dell'art. 7, comma 2,

lett. c) e d), l'art. 17, comma  3,  d.lgs.  n.  268/1992,  il  quale

stabilisce che «nel rispetto delle competenze regionali in materia di

ordinamento dei comuni, le province disciplinano con legge i  criteri

per assicurare un equilibrato sviluppo della  finanza  comunale,  ivi

compresi i  limiti  all'assunzione  di  personale,  le  modalita'  di

ricorso  all'indebitamento,  nonche'  le  procedure  per  l'attivita'

contrattuale».

    Risulta infine ovviamente violato anche l'art. 2  del  d.lgs.  n.

266 del 1992, in quanto, in materia di competenza provinciale, non vi

e' applicazione  diretta  della  legislazione  statale,  ma  soltanto

dovere di adeguamento da parte della Provincia.

    Sotto  tutti  i  profili  indicati  risulta  dunque   chiaramente

illegittima la disciplina  diretta  centrale  delle  conseguenze  che

derivano  agli  enti  locali  dal  mancato  rispetto  del  patto   di

stabilita'.

 

 

                               P.Q.M.

 

    Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,

dichiarando l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1,  2,  3,

4, 5, 6, 7, e 13 del decreto legislativo 6 settembre  2011,  n.  149,

recante «Meccanismi  sanzionatori  e  premiali  relativi  a  regioni,

province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26  della  legge  5

maggio 2009, n. 42», nelle parti,  nei  termini  e  sotto  i  profili

esposti nel presente ricorso.

        Trento-Padova-Roma, 18 novembre 2011

 

          Prof. Avv. Falcon - Avv. Pedrazzoli - Avv. Manzi

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