Ricorso n. 150 del 23 novembre 2011 (Provincia autonoma di Trento)
N. 150 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 novembre 2011.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 23 novembre 2011 (della Provincia autonoma di Trento).
(GU n. 3 del 18.01.2012 )
Ricorso della Provincia autonoma di Trento (cod. fisc.
00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale pro
tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della Giunta
provinciale 11 novembre 2011, n. 2380 (doc. 1), rappresentata e
difesa, come da procura speciale n. rep. 27635 del 15 novembre 2011
(doc. 2), rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, Ufficiale rogante
della Provincia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod. fisc.
…) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc.…) dell'Avvocatura
della Provincia di Trento e dall'avv. Luigi Manzi (cod. fisc. …)
di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio di questi
in via Confalonieri, n. 5;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale:
degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, e 13 del decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 149, recante «Meccanismi
sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a
norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42»,
Per violazione:
degli articoli 8, n. 1); 9, n. 10); 16; 47; 49 bis; 54 dello
Statuto speciale;
del Titolo VI dello Statuto speciale, ed in particolare degli
articoli 79, 80, 81;
degli articoli 103, 104 e 107, dello Statuto speciale;
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare
articoli 2 e 4;
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, in particolare
articoli 16, 17 e 18;
del decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988,
n. 305;
del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987,
n. 526, in particolare articolo 8;
degli articoli 76, 100 e 117 della Costituzione;
del principio di leale collaborazione,
per i profili di seguito illustrati.
Fatto
La legge 5 maggio 2009, n. 42, ha conferito una Delega al Governo
in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119
della Costituzione.
L'articolo 1, comma 2, legge n. 42/2009 stabilisce che «alle
regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di
Bolzano si applicano, in conformita' con gli statuti, esclusivamente
le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27».
L'art. 15 riguarda il finanziamento delle citta' metropolitane,
l'art. 22 la perequazione infrastrutturale e l'art. 27 rimette ad
apposite norme di attuazione il compito di definire il concorso delle
Regioni speciali «al conseguimento degli obiettivi di perequazione e
di solidarieta' ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi
derivanti, nonche' al patto di stabilita' interno e all'assolvimento
degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario» (comma 1);
inoltre, l'art. 27 prevede che «le predette norme, per la parte di
propria competenza: a) disciplinano il coordinamento tra le leggi
statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi
regionali e provinciali in materia, rispettivamente, di finanza
regionale e provinciale, nonche' di finanza locale nei casi in cui
questa rientri nella competenza della regione a statuto speciale o
provincia autonoma» (comma 3).
Dunque, era chiaro e netto che i decreti legislativi attuativi
della legge n. 42/2009 non avrebbero dovuto rivolgersi alle Regioni
speciali, salvo che per gli oggetti sopra indicati.
Cio' stato anche confermato dall'art. 31 d.lgs. 68/2011, recante
Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a
statuto ordinario e delle province, nonche' di determinazione dei
costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario: esso
coerentemente dispone che «nei confronti delle regioni a statuto
speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano rimane
ferma l'applicazione dell'articolo 1, comma 2, e degli articoli 15,
22 e 27 della citata legge n. 42 del 2009, nel rispetto dei
rispettivi statuti».
Sul piano procedurale, l'art. 2, comma 3, legge n. 42/2009
stabilisce che «gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da
sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle
Camere», e che «in mancanza di intesa nel termine di cui all'articolo
3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei
ministri delibera, approvando una relazione che e' trasmessa alle
Camere»; si aggiunge che «nella relazione sono indicate le specifiche
motivazioni per cui l'intesa non e' stata raggiunta». Nel comma 5 si
ribadisce che «il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti
legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni e
gli enti locali».
A tali norme il Governo ha ritenuto di dare attuazione con il
d.lgs. n. 149/2011, intitolato Meccanismi sanzionatori e premiali
relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e
26 della legge 5 maggio 2009, n. 42.
In primo luogo e' da sottolineare che l'intesa non e' stata
raggiunta.
Nella relazione deliberata dal Consiglio dei ministri (doc. 3) ai
sensi del succitato art. 2, comma 3, il Governo ha addotto le
seguenti ragioni: «in primo luogo, il Governo ritiene che il
provvedimento sia del tutto conforme a Costituzione, oltre che ai
principi e criteri direttivi della legge delega n. 42 del 2009, e che
esso individui meccanismi e procedure per una piena realizzazione
degli obiettivi perseguiti dalla legge»; «in secondo luogo, il
Governo ha dovuto tenere conto dei tempi a disposizione per il
rispetto dei termini previsti dalla legge per l'esercizio della
delega, di imminente scadenza»; «inoltre, i rappresentanti delle
autonomie territoriali in Conferenza unificata non hanno ritenuto di
potere sancire l'intesa, neppure subordinatamente all'accoglimento di
alcune modificazioni significative per le quali il Governo aveva
prospettato ampia disponibilita'».
Sin d'ora e' agevole rilevare la mancanza di reali «specifiche
motivazioni» e l'assoluta genericita' delle ragioni addotte, anche
considerando il fatto che neppure il verbale della seduta del 18
maggio 2011 (doc. 4) spiega perche' il Governo ritenga infondati i
rilievi sollevati dagli enti territoriali ne' indica le modifiche che
esso sarebbe stato disposto ad apportare (peraltro, tale
disponibilita' non risulta dal verbale del 18.5.2011, ove si accenna
solo, genericamente, ad una «disponibilita'... a proseguire il
confronto con le Regioni e gli Enti locali nell'ulteriore iter del
provvedimento in esame»).
L'art. 1 d.lgs. 149/2011 regola la Relazione di fine legislatura
regionale, stabilendo che, «al fine di garantire il coordinamento
della finanza pubblica, il rispetto dell'unita' economica e giuridica
della Repubblica, il principio di trasparenza delle decisioni di
entrata e di spesa, le Regioni sono tenute a redigere una relazione
di fine legislatura» (comma 1), e disciplinando nei commi successivi,
in modo dettagliato, il contenuto e la relativa procedura.
L'art. 2 si intitola Responsabilita' politica del presidente
della giunta regionale. Esso prevede, fra l'altro, «la fattispecie di
grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario» e
stabilisce che esso «costituisce grave violazione di legge», per cui
«in tal caso con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi
dell'articolo 126, comma primo, della Costituzione, sono disposti lo
scioglimento del Consiglio regionale nonche' la rimozione del
Presidente della Giunta regionale per responsabilita' politica nel
proprio mandato di amministrazione della regione, ove sia accertata
dalla Corte dei conti la sussistenza delle condizioni di cui al comma
1 e la loro riconduzione alla diretta responsabilita', con dolo o
colpa grave del Presidente della Giunta regionale».
L'art. 3 e' intitolato Decadenza automatica e interdizione dei
funzionari regionali e dei revisori dei conti e prevede, fra l'altro,
che «il verificarsi del grave dissesto finanziario di cui
all'articolo 2 determina l'applicazione delle disposizioni di cui
all'articolo 2, comma 79, lettera a), della legge 23 dicembre 2009,
n. 191, in materia di decadenza automatica dei direttori generali e,
previa verifica delle rispettive responsabilita' del dissesto, dei
direttori amministrativi e sanitari degli enti del Servizio sanitario
regionale, del dirigente responsabile dell'assessorato regionale
competente, nonche' dei componenti del collegio dei revisori dei
conti».
L'art. 4 regola la Relazione di fine mandato provinciale e
comunale, stabilendo che, «al fine di garantire il coordinamento
della finanza pubblica, il rispetto dell'unita' economica e giuridica
della Repubblica, il principio di trasparenza delle decisioni di
entrata e di spesa, le province e i comuni sono tenuti a redigere una
relazione di fine mandato» (comma 1), e disciplinando nei commi
successivi, in modo dettagliato, il contenuto e la relativa
procedura.
L'art. 5 dispone che «il Ministero dell'economia e delle finanze
- Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato puo' attivare
verifiche sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile,
ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera d), della legge 31
dicembre 2009, n. 196, oltre che negli altri casi previsti dalla
legge, qualora un ente evidenzi, anche attraverso le rilevazioni
SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario...».
L'art. 6, intitolato Responsabilita' politica del presidente di
provincia e del sindaco, prevede, fra l'altro, sanzioni di
ineleggibilita' e di inidoneita' a coprire diversi incarichi a carico
degli «amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto
responsabili, anche in primo grado, di danni cagionati con dolo o
colpa grave, nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto
finanziario».
L'art. 7 prevede, fra l'altro, sanzioni a carico delle Regioni,
delle Province autonome e degli enti locali in caso di «mancato
rispetto del patto di stabilita' interno».
L'art. 13, infine, detta Disposizioni concernenti le Regioni a
statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano. Esso
stabilisce che «la decorrenza e le modalita' di applicazione delle
disposizioni di cui al presente decreto legislativo nei confronti
delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento
e di Bolzano, nonche' nei confronti degli enti locali ubicati nelle
medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome, sono
stabilite, in conformita' con i relativi statuti, con le procedure
previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e
successive modificazioni». Inoltre, esso stabilisce che qualora
«entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto
legislativo non risultino concluse le procedure di cui al primo
periodo, sino al completamento delle procedure medesime, le
disposizioni di cui al presente decreto trovano immediata e diretta
applicazione nelle Regioni a statuto speciale e nelle province
autonome di Trento e di Bolzano».
L'art. 27 della legge di delega n. 42/2009 prevedeva invece che
«le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di
Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' ed
all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al
patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli obblighi posti
dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalita' stabiliti
da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le
procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine di
ventiquattro mesi stabilito per l'emanazione dei decreti legislativi
di cui all'articolo 2 e secondo il principio del graduale superamento
del criterio della spesa storica di cui all'articolo 2, comma 2,
lettera m)».
Dunque, l'art. 13 pretende di condizionare sotto diversi profili
le norme di attuazione (v. infra il motivo 2) e pretende di imporre
l'applicazione diretta del d.lgs. 149/2011 alla Provincia di Trento,
decorsi sei mesi.
Il titolo VI dello Statuto regola l'autonomia finanziaria della
Provincia autonoma: e per molti di tali profili la disciplina
statutaria e' stata da poco modificata per meglio armonizzare la
speciale autonomia della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province
autonome di Trento e di Bolzano con le esigenze della situazione
finanziaria dello Stato italiano, anche nel quadro degli impegni
assunti nell'ambito dell'Unione europea, e per tenere conto delle
esigenze di solidarieta' derivanti anche dalla attuazione del
«federalismo fiscale», quale prefigurato dalla legge di delega n. 42
del 2009.
Le modifiche hanno formato oggetto di uno specifico accordo tra
lo Stato e la Regione e le Province autonome, e sono state adottate,
con la procedura di cui all'art. 104 dello Statuto speciale,
attraverso l'art. 2, commi da 107 a 125, della legge n. 191 del 2009.
In particolare, il comma 107, lett. h) della legge n. 191/2009 ha
introdotto un nuovo testo dell'art. 79 dello Statuto, il quale ora
stabilisce al comma 1 che «la regione e le province concorrono al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' e
all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'
all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla
normativa statale» nei modi che di seguito sono elencati e descritti.
Il comma 2 dell'art. 79 aggiunge che «le misure di cui al comma 1
possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista
dall'articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione
costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui
al comma 1».
Il comma 3 dispone poi che, «al fine di assicurare il concorso
agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province
concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi di
bilancio da conseguire in ciascun periodo». Inoltre, il comma 3
attribuisce alle Province poteri di coordinamento finanziario in
relazione agli enti locali e prevede che esse «vigilano sul
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli
enti di cui al presente comma ed esercitano sugli stessi il controllo
successivo sulla gestione».
Il comma 4 ribadisce che «le disposizioni statali relative
all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta',
nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita'
interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle
province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal
presente articolo».
Infine, per i rapporti con le norme statali che non siano
direttamente misure di finanza pubblica, lo stesso comma 4 precisa
che «la regione e le province provvedono alle finalita' di
coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche
disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria
legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4
e 5», cioe' secondo le regole ordinarie dei rapporti tra legislazione
provinciale e legislazione statale.
Nel quadro di quanto esposto, le disposizioni indicate in
epigrafe violano le competenze costituzionali della Provincia di
Trento per le seguenti ragioni di
Diritto
1) Illegittimita' di tutte le disposizioni impugnate per vizio
procedurale: violazione dell'art. 76 Cost. e del principio di leale
collaborazione
Come esposto in narrativa, l'art. 2 della legge di delega n. 42
del 2009, cosi' disciplina, per quanto qui interessa, il procedimento
di adozione dei decreti delegati:
«3. ... Gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da
sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle
Camere, ciascuno corredato di relazione tecnica che evidenzi gli
effetti delle disposizioni recate dal medesimo schema di decreto sul
saldo netto da finanziare, sull'indebitamento netto delle
amministrazioni pubbliche e sul fabbisogno del settore pubblico,
perche' su di essi sia espresso il parere della Commissione di cui
all'articolo 3 e delle Commissioni parlamentari competenti per le
conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni dalla
trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all'articolo 3
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei
ministri delibera, approvando una relazione che e' trasmessa alle
Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per
cui l'intesa non e' stata raggiunta.
4. Decorso il termine per l'espressione dei pareri di cui al
comma 3, i decreti possono essere comunque adottati. Il Governo,
qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i
testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali
modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera.
Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti
possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il
Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri
parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in
Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza
unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche
motivazioni di difformita' dall'intesa.
5. Il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti
legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni e
gli enti locali.»
Era dunque prevista la previa intesa con la Conferenza unificata
sugli schemi di decreto legislativo da inviare alle Camere, e, per il
caso di mancanza di intesa una relazione che indicasse «le specifiche
motivazioni per cui l'intesa non e' stata raggiunta». A queste
prescrizioni specifiche, che di per se' sarebbero state sufficienti,
il legislatore delegante aveva voluto aggiungere una ulteriore
prescrizione generale di indirizzo, facendo obbligo al Governo di
assicurare, nella predisposizione dei decreti legislativi «piena
collaborazione con le regioni e gli enti locali.»
Sembra palese che nell'emanazione del d.lgs. n. 149 del 2011
questo procedimento non e' stato rispettato.
Che l'intesa prevista non sia stata raggiunta risulta dal
preambolo stesso del decreto. Ci' si attenderebbe dunque di
ritrovarne le specifiche motivazioni nella Relazione inviata alle
Camere.
Tuttavia, in essa Governo si limita a riferire degli incontri in
sede tecnica e in sede di Conferenza e della «mancata condivisione -
in particolare da parte di Regioni e Comuni - del contenuto del
provvedimento», accennando soltanto alle «forti perplessita' sulla
costituzionalita' del provvedimento, in modo particolare con riguardo
alla disciplina del fallimento politico del Presidente della Giunta
regionale».
Nulla invece si dice in merito alle specifiche obiezioni
sollevate dai rappresentanti delle Regioni e degli enti locali. A
questo modo non solo si e' contravvenuto alla legge di delega, ma si
e' nella sostanza impedito agli organi parlamentari di valutare nel
concreto i' motivi della mancata intesa.
Lo ha del resto rilevato lo stesso Comitato per la legislazione
della Camera dei Deputati. Nel verbale della seduta di mercoledi' 6
luglio 2011 (doc. 5) si nota espressamente «che la relazione
trasmessa alle Camere da' conto in modo estremamente succinto delle
motivazioni per le quali l'intesa non e' stata raggiunta, nonche', in
modo altrettanto succinto, delle ragioni che hanno indotto il Governo
a procedere, tra le quali si menziona l'esigenza di "tenere conto dei
tempi a disposizione per il rispetto dei termini previsti dalla legge
per l'esercizio della delega, di imminente scadenza", ancorche' la
recentissima legge 8 giugno 2011, n. 85 abbia prorogato i termini per
l'esercizio della delega di cui alla legge n. 42 del 2009 dal 21
maggio al 21 novembre 2011, ferma restando, altresi', la possibilita'
dello scorrimento del termine finale».
Dunque, il Comitato per la legislazione ha esso stesso constatato
da un lato che non erano indicate le specifiche motivazioni che la
legge richiedeva, dall'altro che il presupposto dell'urgenza
accampato come pretesto per la mancata ulteriore ricerca dell'intesa
non vi era affatto.
Al contrario, il Governo ha preteso di giustificare con
l'imminenza della scadenza della delega l'immediata interruzione del
dialogo con le Regioni e gli enti locali cosi' fortemente voluto
dalla legge n. 42 (che lo ha posto sotto la supervisione agli organi
parlamentari), mentre contemporaneamente chiedeva ed otteneva la
proroga dei termini di scadenza proprio al fine di ...rispettare il
procedimento prescritto.
Sembra dunque evidente che e' stata violata non solo la lettera
delle specifiche disposizioni dettate dal legislatore delegante, ma
anche la norma generale di indirizzo, che richiedeva uno spirito di
collaborazione, e dunque un tenace tentativo di ricerca dell'intesa.
Si deve concludere che il procedimento prescritto dalla legge di
delega e' stato ridotto dal Governo ad un passaggio procedurale
meramente formale, che non risponde ne' nella lettera ne' nello
spirito ai requisiti posti dalla legge, a tutela delle prerogative
sia delle Regioni e degli enti locali, sia degli organi parlamentari
chiamati a vigilare che il Governo abbia assicurato - come prevede il
comma 5 dell'art. 2 - la «piena collaborazione con le regioni e gli
enti locali».
Da qui la violazione dell'art. 76 e del principio di leale
collaborazione. La violazione dell'art. 76 si traduce in lesione
delle prerogative costituzionali della Provincia, dato che il
criterio direttivo violato era posto a tutela specifica delle Regioni
(v. su cio' il punto 2, lett. A).
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13.
Come sopra esposto, l'art. 13 d.lgs. 149/2011 pretende di
vincolare il possibile contenuto delle norme di attuazione,
limitandolo alla definizione della «decorrenza» e delle «modalita' di
applicazione» delle norme del d.lgs. 149/2011; pretende ancora di
imporre un termine per l'adozione delle stesse norme di attuazione;
pretende infine di sottoporre la Provincia di Trento all'applicazione
diretta del d.lgs. 149/2011, qualora «entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto legislativo non risultino
concluse le procedure di cui al primo periodo, sino al completamento
delle procedure medesime».
Queste disposizioni ledono le prerogative costituzionali della
Provincia di Trento sotto diversi profili.
A) Violazione dell'art. 1, comma 2, della legge di delega n.
42/2009. Violazione dell'art. 76 Cost.
In primo luogo e' da sottolineare l'evidente violazione della
legge di' delega compiuto dal Governo. Infatti, l'articolo 1, comma
2, legge n. 42/2009 stabilisce che «alle regioni a statuto speciale
ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in
conformita' con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui
agli articoli 15, 22 e 27».
Ora, l'art. 15 riguarda il finanziamento delle citta'
metropolitane, l'art. 22 la perequazione infrastrutturale e l'art.
27, come visto, rimette ad apposite norme di attuazione il compito di
definire il concorso delle Regioni speciali «al conseguimento degli
obiettivi di perequazione e di solidarieta' ed all'esercizio dei
diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al patto di stabilita'
interno e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento
comunitario» (comma 1). Inoltre, l'art. 27 prevede che «le predette
norme, per la parte di propria competenza: a) disciplinano il
coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e
le corrispondenti leggi regionali e provinciali in materia,
rispettivamente, di finanza regionale e provinciale, nonche' di
finanza locale nei casi in cui questa rientri nella competenza della
regione a statuto speciale o provincia autonoma» (comma 3).
Dunque, dall'art. 1, comma 2, legge n. 42/2009 risulta
chiaramente che il decreto legislativo attuativo degli articoli 2, 17
e 26 legge n. 42/2009 (cioe' il d.lgs. n. 149/2011) non puo'
applicarsi alle Regioni speciali, ne' direttamente ne' come fonte di
un dovere di adeguamento (per l'inapplicabilita' alle Regioni
speciali dei principi della legge n. 42/2009 diversi da quelli di cui
agli artt. 15, 22 e 27 v. la sent. di codesta Corte costituzionale
201/2010).
Poiche', invece, l'art. 13 d.lgs. n. 149/2011 dispone
inopinatamente l'applicazione del medesimo decreto alle Regioni
speciali, esso e' affetto dalla palese violazione dei limiti esterni
della delega.
In quanto tale, esso e' anche affetto da eccesso di delega: ma si
vuole sottolineare che il vizio e' in questo caso ancor piu' grave:
non si tratta solo di aver superato l'ambito della delega, ma di
avere contraddetto un limite positivamente stabilito dalla stessa
legge di delega.
Ne' si possono sollevare dubbi sulla legittimazione della
Provincia a denunciare tale vizio. Il criterio direttivo violato
(art. 1, comma 2, legge n. 42/2009) e' posto specificamente a tutela
delle Regioni speciali e, in tali casi, codesta Corte ha sempre
ammesso la censura fondata sull'art. 76 Cost. (v., ad es., le sentt.
183/1987, 192/1987, 272/1988, 617/1988 e 87/1996).
Inoltre, le norme la cui applicazione e' imposta alla Provincia
dall'art. 13 sono norme che incidono su materie provinciali e
restrittive delle prerogative della Provincia, come si vedra' infra,
per cui anche per questa ragione la Provincia e' legittimata ad
invocare l'art. 76 Cost. (v., ad es., le sentt. 355/1993, 503/2000,
110/2001, 206/2001, punti 15, 16 e 34 del Diritto, e 303/2003, punto
35 del Diritto). La violazione di questo parametro, in altre parole,
si traduce in violazione delle norme statutarie e di attuazione che,
come vedremo nei motivi da 3 a 10, sono incise dalle singole norme
del d.lgs. n. 149/2011.
B) Violazione degli artt. 79, 103, 104 e 107 dello Statuto.
L'art. 13 d.lgs. n. 149/2011, condizionando il contenuto delle
norme di attuazione e pretendendo di imporre un termine per la loro
adozione, viola l'art. 107 dello Statuto, che disciplina la
competenza e la procedura di adozione delle norme di attuazione,
escludendo che una fonte legislativa ordinaria possa incidere sul
loro contenuto o sul termine di adozione.
E' dunque assolutamente illegittimo che un decreto legislativo
pretenda di delimitarne il possibile contenuto, riducendolo alla
fissazione della decorrenza o delle modalita' di applicazione di
norme non aventi il rango di norme di attuazione, oltre tutto poste
in essere in violazione della delega.
L'imposizione del termine e' esclusa anche da una ulteriore
ragione: le norme di attuazione si fondano su un accordo raggiunto in
sede di commissione paritetica, per cui non sarebbe possibile che una
fonte statale ordinaria fissasse unilateralmente un termine. Lo
stesso varrebbe poi per la legge conclusa ai sensi dell'art. 104 St.
(«le norme del titolo VI e quelle dell'art. 13 possono essere
modificate con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del
Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle
due province»), qualora si ritenga che l'art. 13 possa essere
riferito anche a tale legge.
Inoltre, l'art. 13, stabilendo l'applicazione del d.lgs. n.
149/2011 (o attraverso il «filtro» delle norme di attuazione o
direttamente), viola gli artt. 103, 104 e 107, in quanto il d.lgs. n.
149 regola - come si vedra' nei singoli punti - settori oggetto di
norme statutarie e di attuazione, sulle quali una fonte ordinaria
statale non puo' incidere, a meno che (in materia finanziaria) sia
adottata con la procedura di cui all'art. 104 St.
L'art. 13 viola specificatamente anche l'art. 79 St., che - come
visto - sancisce: che non possono essere modificate, con fonte
primaria ordinaria, le misure di concorso agli obiettivi di finanza
pubblica previste nello stesso art. 79 a carico delle Province (commi
1 e 2); che «non si applicano le misure adottate per le regioni e per
gli altri enti nel restante territorio nazionale» (comma 3); che «le
disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di
perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione
con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso
sostituite da quanto previsto dal presente articolo» (comma 4).
C) Violazione dell'art. 2 d.lgs. n. 266/1992.
Infine, l'art. 13 viola l'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, che esclude
l'applicazione diretta delle leggi statali nelle materie provinciali,
ponendo solo un dovere di adeguamento «ai principi e norme
costituenti limiti indicati dagli articoli 4 e 5 dello statuto
speciale e recati da atto legislativo dello Stato entro i sei mesi
successivi alla pubblicazione dell'atto medesimo». Decorsi i sei
mesi, peraltro, non scatta l'applicazione delle leggi statali ma lo
Stato puo' impugnare davanti alla Corte le leggi provinciali non
adeguate. L'art. 13 viola questa disposizione perche' prevede
l'applicazione diretta - dopo i sei mesi - di norme statali attinenti
a materie di competenza provinciale, quali il coordinamento della
finanza pubblica, la sanita', la finanza locale e l'organizzazione
interna (v. infra, i singoli punti). Inoltre, non si prevede il
vincolo della Provincia solo ai «principi e norme costituenti limiti
indicati dagli articoli 4 e 5 dello statuto speciale» ma a tutte le
disposizioni del d.lgs. n. 149/2011.
L'accoglimento di una delle censure esposte nei punti 1 e 2
porterebbe all'annullamento di tutte le norme impugnate o alla
dichiarazione dell'illegittimita' della loro applicazione a questa
Provincia. Le censure che si formulano di seguito, dunque, sono
avanzate per la denegata ipotesi in cui l'art. 13, contro l'evidenza
della legge di delega, sia ritenuto legittimo.
3) Illegittimita' costituzionale degli artt. 1 e 4.
Come esposto in narrativa, l'art. 1 prevede la Relazione di fine
legislatura regionale. La norma e' espressamente diretta «al fine di
garantire il coordinamento della finanza pubblica».
L'art. 1 regola con norme dettagliate l'adozione della relazione
(sottoscrizione del Presidente della Giunta regionale «non oltre il
novantesimo giorno antecedente la data di scadenza della
legislatura», entro i 10 giorni successivi certificazione da parte
degli organi di controllo interno regionale ed invio al Tavolo
tecnico interistituzionale istituito presso la Conferenza permanente
per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 33
del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, controllo del Tavolo
tecnico ed invio di «apposito rapporto al Presidente della Giunta
regionale»). Norme speciali sono dettate per il settore sanitario.
Il comma 3 regola specificamente la procedura «in caso di
scioglimento anticipato del Consiglio regionale». Il comma 4
disciplina in dettaglio il contenuto della relazione («La relazione
di fine legislatura contiene la descrizione dettagliata delle
principali attivita' normative e amministrative svolte durante la
legislatura, con specifico riferimento a:...»). Il comma 5 stabilisce
che «con atto di natura non regolamentare, adottato d'intesa con la
Conferenza Stato-Regioni, il Ministro per i rapporti con le regioni e
per la coesione territoriale,... adotta uno schema tipo per la
redazione della relazione di fine legislatura, differenziandolo
eventualmente per le Regioni non assoggettate a un piano di rientro
della spesa sanitaria».
Infine, si prevede che «in caso di mancato adempimento
dell'obbligo di redazione della relazione di fine legislatura il
Presidente della Giunta regionale e' tenuto a dame notizia,
motivandone le ragioni, nella pagina principale del sito
istituzionale dell'ente». Una disciplina del tutto analoga e' dettata
dall'art. 4 per la Relazione di fine mandato provinciale e comunale.
L'art. 1 incide su materie di competenza provinciale:
coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma 3, Cost. e art.
10 1. cost. 3/2001) e organizzazione interna (art. 8, n. 1, o - se
ritenuto piu' favorevole - art. 117, comma 4, Cost., in collegamento
con l'art. 10 1. cost. 3/2001; per quel che riguarda i rapporti tra
organi politici, art. 47 dello Statuto); il comma 2, seconda parte,
ed il comma 4, lett. c), d) e e) incidono anche sulla sanita' (art.
117, comma 3, e art. 10 1. cost. 3/2001).
Anche l'art. 4 incide su materie e funzioni provinciali, come
attestano, tra l'altro:
l'art. 79, comma 3, St., secondo cui «fermi restando gli
obiettivi complessivi di finanza pubblica, spetta alle province
stabilire gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno e
provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento agli enti
locali» e secondo cui «le province vigilano sul raggiungimento degli
obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti di cui al presente
comma ed esercitano sugli stessi il controllo successivo sulla
gestione dando notizia degli esiti alla competente sezione della
Corte dei conti»;
l'art. 80 St., secondo cui «le province hanno competenza
legislativa, nei limiti stabiliti dall'articolo 5, in materia di
finanza locale»;
l'art. 54, n. 5, St., secondo cui «alla giunta provinciale
spetta: ... 5) la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni
comunali»;
l'art. 16, comma 1, d.lgs. n. 268/1992, secondo cui «spetta
alla regione e alle province emanare norme in materia di bilanci, di
rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti della
regione e delle province medesime e degli enti da esse dipendenti»;
l'art. 17, comma 3, d.lgs. n. 268/1992, secondo cui «nel
rispetto delle competenze regionali in materia di ordinamento dei
comuni, le province disciplinano con legge i criteri per assicurare
un equilibrato sviluppo della finanza comunale»;
l'art. 6, comma 3-bis, d.P.R. n. 305/1988, secondo cui «in
attuazione e per le finalita' di cui all'articolo 79 del decreto del
Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, sono esercitati
rispettivamente dalla Provincia di Trento e dalla Provincia di
Bolzano i controlli, anche di natura collaborativa, funzionali
all'attivita' di vigilanza sul raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica e il controllo successivo sulla sana gestione
relativi agli enti locali e agli altri enti e organismi individuati
dall'articolo 79, comma 3, del decreto del Presidente della
Repubblica n. 670 del 1972».
Gli artt. 1 e 4 del d.lgs. n. 149 del 2011, in quanto applicati
alla Provincia dall'art. 13 d.lgs. n. 149/2011, violano le norme
appena citate perche' hanno contenuto dettagliato in materie di
competenza primaria provinciale o concorrente o di competenza della
legge statutaria (art. 47 St.); in particolare, viene indicato
direttamente l'organo provinciale competente per determinati
adempimenti (v. l'art. 1, commi 2 e 6), con lesione dell'autonomia
organizzativa provinciale (v. sentt. 387/2007 e 407/1989).
Quanto al coordinamento della finanza pubblica, in realta' esso
e' stato assegnato alla competenza delle norme di attuazione
dall'art. 27, commi 1 e 3, legge n. 42/2009 e poi «irrigidito» a
livello statutario dalla legge n. 191/2009: dunque, gli artt. 1 e 4
violano anche l'art. 79 St., che sancisce l'inapplicabilita' alle
Province delle norme di coordinamento relative alle Regioni
ordinarie, anche con specifico riferimento agli enti locali (v. il
gia' citato art. 79, comma 3).
Qualora gli artt. 1 e 4 d.lgs. n. 149/2011 fossero ricondotti
alla fattispecie di cui all'art. 79, comma 4, secondo periodo, St.,
essi sarebbero comunque illegittimi perche' applicati alla Provincia
in toto (e non limitatamente ai principi) ed in via diretta nel caso
di cui all'art. 13, comma 1, secondo periodo, mentre l'art. 79, comma
4, prevede solo un dovere di adeguamento.
In relazione al coordinamento della finanza nel settore
sanitario, e' da ricordare che l'art. 34, comma 3, secondo periodo,
legge n. 724/1994 stabilisce che «la regione Valle d'Aosta e le
province autonome di Trento e Bolzano provvedono al finanziamento del
Servizio sanitario nazionale nei rispettivi territori, senza alcun
apporto a carico del bilancio dello Stato utilizzando
prioritariamente le entrate derivanti dai contributi sanitari ad esse
attribuiti dall'art. 11, comma 9, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n.
502, e successive modificazioni ed integrazioni, e, ad integrazione,
le risorse dei propri bilanci». Tenuto conto di cio', codesta Corte
ha precisato (v. sentt. 341/2009 e 133/2010) che «lo Stato, quando
non concorre al finanziamento della spesa sanitaria, «neppure ha
titolo per dettare norme di coordinamento finanziario»".
Ancora, la previsione dell'«atto di natura non regolamentare» con
cui il Ministro «adotta uno schema tipo per la redazione della
relazione di fine legislatura» (art. 1, comma 5, e art. 4, comma 5)
viola il divieto di fonti secondarie nelle materie regionali, qualora
l'atto sia considerato sostanzialmente normativo (art. 117, comma 6,
e art. 2 d.lgs. n. 266/1992) o il divieto di attribuzione di funzioni
amministrative ad organi statali (art. 4 d.lgs. n. 266/1992) qualora
l'atto sia considerato amministrativo.
Infine, la previsione del controllo del Tavolo tecnico (art. 1,
comma 2, e art. 4, comma 2) viola lo Statuto ed il d.P.R. n.
305/1988, perche' si introduce una forma di controllo non prevista
dallo Statuto e dalle norme di attuazione: v., per l'art. 1 d.lgs. n.
149, gli artt. 2 e 6 d.P.R. n. 305/1988 (in materia di controllo
della Corte dei conti sulla gestione) e, per l'art. 4, i gia' citati
art. 79, comma 3, St. e l'art. 6, comma 3-bis, d.P.R. n. 305/1988.
4) Illegittimita' dell'art. 2, commi 1, 2 e 3, per violazione dello
Statuto.
L'art. 2 d.lgs. n. 149/2011 e' intitolato Responsabilita'
politica del presidente della giunta regionale. Al comma 1 esso
introduce la «fattispecie di grave dissesto finanziario, con
riferimento al disavanzo sanitario». Questa «si verifica in una
regione assoggettata a piano di rientro ai sensi dell'articolo 2,
comma 77, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, al verificarsi
congiuntamente delle seguenti condizioni:
a) il presidente della giunta regionale, nominato Commissario
ad acta ai sensi dell'articolo 2, rispettivamente commi 79 e 83,
della citata legge n. 191 del 2009, non abbia adempiuto, in tutto o
in parte, all'obbligo di redazione del piano di rientro o agli
obblighi operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso;
b) si riscontri, in sede di verifica annuale, ai sensi
dell'articolo 2, comma 81, della citata legge n. 191 del 2009, il
mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con
conseguente perdurare del disavanzo sanitario oltre la misura
consentita dal piano medesimo o suo aggravamento;
c) sia stato adottato per due esercizi consecutivi, in
presenza del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di
rientro e del conseguente incremento delle aliquote fiscali di cui
all'articolo 2, comma 86, della citata legge n. 191 del 2009, un
ulteriore incremento dell'aliquota dell'addizionale regionale
all'Irpef al livello massimo previsto dall'articolo 6 del decreto
legislativo 6 maggio 2011, n. 68».
Il comma 2 dispone che il «grave dissesto finanziario di cui al
comma 1» costituisce «grave violazione di legge», e che «in tal caso
con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo
126, comma primo, della Costituzione, sono disposti lo scioglimento
del Consiglio regionale nonche' la rimozione del Presidente della
Giunta regionale per responsabilita' politica nel proprio mandato di
amministrazione della regione, ove sia accertata dalla Corte dei
conti la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1 e la loro
riconduzione alla diretta responsabilita', con dolo o colpa grave del
Presidente della Giunta regionale» (enfasi aggiunta).
Il decreto del Presidente della Repubblica «e' adottato previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente
del Consiglio dei Ministri, previo parere conforme della Commissione
parlamentare per le questioni regionali espresso a maggioranza di due
terzi dei componenti», ed alla riunione del Consiglio dei Ministri
«partecipa il Presidente della Giunta regionale interessato».
In base al comma 3 «il Presidente rimosso ai sensi del comma 2 e'
incandidabile alle cariche elettive a livello locale, regionale,
nazionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni»; inoltre,
esso «non puo' essere nominato quale componente di alcun organo o
carica di governo degli enti locali, delle Regioni, dello Stato e
dell'Unione europea per un periodo di tempo di dieci anni».
L'art. 49-bis dello Statuto disciplina i casi di scioglimento del
Consiglio provinciale e di rimozione del Presidente della Provincia.
Esso dispone che «il Consiglio provinciale puo' essere sciolto quando
compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge o
non sostituisca la Giunta o il suo Presidente che abbiano compiuto
analoghi atti o violazioni»; inoltre, esso «puo'... essere sciolto
per ragioni di sicurezza nazionale». Lo scioglimento «e' disposto con
decreto motivato del Presidente della Repubblica previa deliberazione
del Consiglio dei ministri», sentita la Commissione bicamerale per le
questioni regionali. Con lo stesso decreto di scioglimento «e'
nominata una commissione di tre membri, scelti tra i cittadini
eleggibili al Consiglio provinciale». Per la Provincia di Bolzano la
commissione deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici
che costituiscono la popolazione della Provincia stessa. La
commissione «elegge tra i suoi componenti il Presidente, il quale
esercita le attribuzioni del Presidente della Provincia». La
commissione «indice le elezioni del nuovo Consiglio provinciale entro
tre mesi e adotta i provvedimenti di competenza della Giunta
provinciale e quelli di carattere improrogabile». Infine, l'art.
49-bis dispone che «con decreto motivato del Presidente della
Repubblica e con l'osservanza delle forme di cui al terzo comma e'
disposta la rimozione del Presidente della Provincia, se eletto a
suffragio universale e diretto, che abbia compiuto atti contrari alla
Costituzione o reiterate e gravi violazioni di legge». La rimozione
«puo' altresi' essere disposta per ragioni di sicurezza nazionale».
I primi tre commi dell'art. 2, qualora applicati alla Provincia,
risultano illegittimi perche' si fondano su una disciplina (quella
relativa ai piani di rientro contenuta nell'art. 2, commi 77 ss.,
legge n. 191/2009) alla quale la Provincia e' completamente estranea
in quanto, come visto, sostiene la spesa sanitaria con risorse a
carico del proprio bilancio (v. anche le sentt. 341/2009 e 133/2010).
Essi, dunque, sotto questo primo profilo, violano l'art. 79 St.
(che esclude l'applicazione alla Provincia delle norme di
coordinamento finanziario relative alle Regioni ordinarie) e le norme
statutarie e costituzionali che assicurano alla Provincia autonomia
organizzativa (art. 8, n. 1, o - se piu' favorevole - art. 117, comma
4, Cost.), autonomia finanziaria (art. 69 ss. St.) e competenza
concorrente in materia sanitaria (art. 117, comma 3, Cost. e art. 10
l. cost. 3/2001).
Inoltre, i primi 3 commi dell'art. 2 violano l'art. 49-bis e
l'art. 107 St. perche' integrano e in parte innovano la disciplina
statutaria in materia di scioglimento del Consiglio e rimozione del
Presidente: si sottolinea che l'art. 49-bis prevede la rimozione solo
in caso di "reiterate e gravi violazioni di legge", e non di mera
"grave violazione di legge". L'attuazione ed integrazione dell'art.
49-bis, pero', e' rimessa alla speciale fonte, avente competenza
separata e riservata, di cui all'art. 107 St., cioe' alle norme di
attuazione.
Infine, e' specificamente illegittimo il comma 3, perche'
aggiunge cause di incandidabilita' del Presidente («alle cariche
elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un
periodo di tempo di dieci anni») e di «non nominabilita'» («quale
componente di alcun organo o carica di governo degli enti locali,
delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea per un periodo di
tempo di dieci anni») che non si fondano su alcun titolo di
competenza del legislatore ordinario statale.
Infatti, le cause di incandidabilita' in senso proprio (v. art.
15 legge n. 55/1990, richiamato dall'art. 13 l.p. 2/2003) rientrano
nella competenza statale in materia di ordine pubblico, perche' sono
collegate alla commissione di reati. Non e' questo il caso di specie,
per cui il legislatore statale non e' abilitato ad interferire con la
disciplina provinciale relativa alle elezioni provinciali e
all'affidamento degli incarichi di governo, fondata sull'art. 47 St.
(v. 1.p. 2/2003). Le leggi statutarie fondate sull'art. 47 sono
soggette al limite dei «principi dell'ordinamento giuridico della
Repubblica», mentre la disciplina contenuta nell'art. 2, comma 3, ha
tutt'altra natura, essendo anzi autoapplicativa.
5) Ulteriore illegittimita' dell'art 2, commi 1, 2 e 3, per
violazione della stessa disciplina costituzionale.
Oltre ai profili di illegittimita' che riguardano specificamente
la Provincia, l'art. 2, commi 1-3, risulta illegittimo anche per
diversi ulteriori motivi, comuni con le Regioni ordinarie (in questa
parte dunque ci si riferira' alle Regioni ed agli organi regionali,
intendendo riferirsi alla eventuale illegittima estensione delle
norme alla Provincia ed agli organi provinciali).
A) Illegittimita' per eccesso di delega (art. 76 Cost.).
La presente censura e' rivolta ad illustrare come le disposizioni
impugnate dell'art. 2 del d.lgs. n. 149 del 2011 non solo siano
lesive dell'autonomia regionale, ma violino in piu' punti i principi
costituzionali della delegazione legislativa, introducendo norme e
istituti che non sono in alcun modo «anticipati» dalla legge di
delega n. 42 del 2009.
E' infatti principio fermo che in fase di emanazione del
decreto-legislativo, il Governo non possa introdurre principi o
istituti nuovi rispetto a quelli previsti dalla legislazione vigente,
se non appositamente autorizzato da un principio indicato nella legge
di delega.
Tale principio e' pienamente confermato dalla giurisprudenza
costituzionale: per l'illustrazione si puo' fare riferimento, tra le
tante, alle sent. della Corte cost. 354/1998 (sul codice della
strada), 280/2004 (a proposito della c.d. «legge La Loggia») e
340/2007 (sul processo contumaciale), 239/2003, 66/2005.
Spetta dunque alla legge di delega «aprire i varchi» per
l'innovazione legislativa, perche' in assenza di specifiche
indicazioni di delega l'attivita' legislativa svolta dal Governo
incontra un suo limite «naturale» nella legislazione vigente, che il
legislatore delegato e' allora chiamato ad integrare, ma non a
contraddire.
La giurisprudenza costituzionale lo ha indicato con specifico
riferimento alle leggi di riordino, ma affermando una ratio che si
estende all'istituto stesso della delegazione legislativa: «in
mancanza di principi e criteri direttivi che giustifichino la riforma
della normativa preesistente, la delega deve essere intesa in senso
minimale, tale da non consentire, di per se', l'adozione di norme
delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo»
(cosi' espressamente la sentenza n. 303/2005).
Se e' pur vero che «i principi e i criteri direttivi della legge
di delegazione devono essere interpretati sia tenendo conto delle
finalita' ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del
legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte operate dal
legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi
generali della stessa legge-delega» (sent. 341/2007), non si puo'
certo ammettere un'interpretazione della delega a tal punto espansiva
da consentire al Governo di ricavarne l'autorizzazione a modificare,
senza specifiche indicazioni in tal senso, tratti rilevantissimi
dell'assetto istituzionale delle Regioni e degli enti locali, in una
direzione che gravemente incide sulle norme che la Costituzione
appresta a garanzia dell'autonomia regionale.
Ora, la legge n. 42/2009 contiene due disposizioni che servono a
guidare il Governo nell'attuazione della delega per quanto riguarda i
meccanismi sanzionatori nei confronti degli enti che siano
responsabili di un dissesto finanziario:
la lettera z) dell'art. 2 sollecita la «previsione di
meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri
economico-finanziari»... e la «previsione delle specifiche modalita'
attraverso le quali il Governo, ... qualora gli scostamenti dal patto
di convergenza di cui all'articolo 18 della presente legge abbiano
caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure
sanzionatorie ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera e), che
sono commisurate all'entita' di tali scostamenti e possono comportare
l'applicazione di misure automatiche per l'incremento delle entrate
tributarie ed extra-tributarie, e puo' esercitare nei casi piu' gravi
il potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della
Costituzione, secondo quanto disposto dall'articolo 8 della legge 5
giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilita'
amministrativa e finanziaria»;
la lett. e) del successivo art. 17 prevede a sua volta
«meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e
amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli
obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti
locali» con la specifica previsione che «tra i casi di grave
violazione di legge di cui all'articolo 126, primo comma, della
Costituzione, rientrano le attivita' che abbiano causato un grave
dissesto nelle finanze regionali».
Dalla lettura combinata delle due disposizioni si ricava che il
decreto delegato puo' prevedere:
a) misure automatiche per l'incremento delle entrate al fine
di rimediare agli scostamenti permanenti e sistematici dal patto di
stabilita', giungendo sino all'esercizio del potere sostitutivo ex
art. 120, comma 2, Cost. (in questo senso si esprime l'art. 2, lett.
z);
b) meccanismi automatici sanzionatori a carico degli organi
politici e amministrativi colpevoli del mancato rispetto degli
equilibri ed obiettivi economico finanziari, giungendo sino alla
configurazione del grave dissesto nelle finanze regionali come
ipotesi di «grave violazione di legge» che porta allo scioglimento
degli organi regionali ex art. 126 Cost.
Questi sono dunque gli oggetti che il legislatore ha affidato al
decreto legislativo, che segnano anche i limiti della delega.
Inoltre, bisogna tenere conto della circostanza che, come subito si
dira', lo stesso legislatore ha continuato ad esercitare il potere
legislativo, precisando esso stesso il tipo di svolgimento che
intendeva dare alla legislazione in materia.
a) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, per
eccesso di delega (art. 76 Cost.) in quanto introduce la autonoma
fattispecie di grave dissesto finanziario, con riferimento al
disavanzo sanitario e collega ad esso la rimozione del Presidente
della Giunta.
L'art. 2 del d.lgs. n. 149/2011 si presenta come attuazione delle
norme sopra indicate della legge di delega, ma in realta' se ne
allontana sotto tre profili essenziali: in quanto crea una autonoma
fattispecie di grave dissesto finanziario, con riferimento al
disavanzo sanitario; in quanto collega a tale «fattispecie», anziche'
a specifiche gravi violazioni di legge, la rimozione del Presidente
della Giunta ai sensi dell'art. 126 Cost.; infine, in quanto collega
tale rimozione alle attivita' che il Presidente compie non in quanto
tale, ma nella sua opera di Commissario statale nominato dal Governo.
Sotto tutti questi profili l'art. 2 del d.lgs. n. 149/2011 introduce
una disciplina che esorbita dal potere conferito dalla legge di
delega, interpretandolo in modo palesemente incompatibile con la
Costituzione.
In primo luogo, il decreto legislativo impugnato, nell'art. 2,
estende alla Regione un regime - quello del dissesto finanziario -
che e' tipico degli enti locali.
Nella legge di delega non c'e' alcun fondamento che giustifichi
questa estensione: manca qualsiasi riferimento alla «fattispecie di
grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario»,
fattispecie che di conseguenza e' «creata ex novo» dal legislatore
delegato.
Questa innovazione introduce per le Regioni un istituto del tutto
nuovo, di gravissima portata giuridica, simbolica e politica: ma essa
manca del necessario apporto «di principio» da parte della legge n.
42/2009.
Infatti, l'art. 17, lett. e) si riferisce genericamente ad una
situazione di grave dissesto delle finanze regionali come premessa
per far scattare il procedimento di scioglimento degli organi
regionali, ove ne ricorrano i presupposti. Non si puo' certo negare
che anche il dissesto finanziario possa essere causato da «gravi
violazioni di legge» e quindi far scattare la gravissima sanzione
dello scioglimento.
Si noti - ed e' il secondo profilo qui considerato - che la legge
di delega afferma che «tra i casi di grave violazione di legge di cui
all'articolo 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le
attivita' che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze
regionali» (enfasi aggiunta): ma cio' non autorizza certo a
concludere che il grave dissesto - che in ogni caso non coincide con
la «fattispecie» sopra censurata - sia o possa essere di per se' la
grave violazione di legge.
Al contrario, sono le specifiche violazioni che potranno essere
ritenute gravi quando conducono al dissesto.
In questo senso la disposizione della legge di delega e'
perfettamente compatibile con l'interpretazione consolidata dell'art.
126 Cost. (si ricorda che «anche per le leggi di delega vale il
fondamentale canone per cui deve essere preferita l'interpretazione
che le ponga al riparo da sospetti di incostituzionalita'»: sent.
292/2000): ma per la stessa ragione invece l'interpretazione che
l'art. 2 comma 2 - in connessione con il comma 1 -ne ha dato
contrasta con la legge di delega.
E' dunque del tutto illegittima l'introduzione di un nuovo regime
complessivo (la «fattispecie» di grave dissesto finanziario
sanitario) e la connessione automatica di questa fattispecie alla
sanzione dello scioglimento.
Tale connessione costituisce anche - come si dira' - violazione
diretta dell'art. 126 Cost., ma qui viene prima ancora in rilievo
come violazione della legge di delega.
Ai due profili indicati di violazione della delega si aggiunge il
terzo pure sopra annunciato: il meccanismo automatico della rimozione
del Presidente della Provincia non verrebbe fatto dipendere dal
comportamento del Presidente in quanto tale, ma in quanto commissario
dal Governo, ai sensi dell'art. 2, commi 79 e 83, della legge n. 191
del 2009.
Ora - premesso che in realta' l'intero meccanismo del
commissariamento ex legge n. 191 non e' riferibile alla Provincia
autonoma - se e' vero che (nel caso delle Regioni ordinarie) vi e'
coincidenza personale necessaria (peraltro per scelta della stessa
legge statale) tra la figura del commissario governativo e quella del
Presidente della Regione, cio' non basta a superare il rilievo che le
due figure sono istituzionalmente e giuridicamente diverse. La
gestione commissariale viene quindi a sostituirsi alla gestione da
parte dell'organo ordinario, che rappresenta il vertice politico
della Regione. Il Commissario e' infatti responsabile nei confronti
del Governo, che in principio ha potere di indirizzo nei suoi
confronti; il Presidente e' invece responsabile nei confronti
dell'Assemblea regionale, che mantiene nei suoi confronti (e nei
termini definiti dallo Statuto) il potere di indirizzo politico.
Appare di conseguenza del tutto incongruo che al Presidente della
Regione, in quanto organo politico, si comminino sanzioni assai
rilevanti sul piano politico imputandogli comportamenti tenuti nella
veste commissariale, nella quale egli opera in raccordo con gli
organi di governo statali.
Anche di cio' non c'e' la minima traccia nella legge di delega,
che prospetta lo scioglimento come sanzione alle gravi violazioni di
legge, che portino al dissesto, compiute dal Presidente, e non certo
dal Commissario nominato dal Governo stesso.
b) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3, per
eccesso di delega in quanto sancisce l'incandidabilita' e la
non-nominabilita' del Presidente rimosso.
Il comma 3 dell'art. 2 prevede che il Presidente, rimosso ai
sensi del secondo comma, sia «incandidabile alle cariche elettive a
livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di
dieci anni», aggiungendo che lo stesso non possa, per lo stesso
periodo, «essere nominato quale componente di alcun organo o carica
di governo degli enti locali, delle Regioni, dello Stato e
dell'Unione europea».
Ad avviso della ricorrente Provincia, tale disposizione viola la
legge di delega - con violazione dell'autonomia provinciale - sotto
diversi profili.
In primo luogo, per la ragione che la legge di delega non pone
gli organi regionali tra i possibili destinatari delle sanzioni sopra
indicate.
Lo si constata facilmente esaminando i tre meccanismi legislativi
specifici che il legislatore delegato e' autorizzato dalla legge di
delega ad introdurre:
a) il sistema premiale e' destinato ad applicarsi nei
confronti degli enti «virtuosi» secondo i parametri indicati, e
l'espressione enti e' cosi' ampia da potervi comprendere sia le
regioni che gli enti locali;
b) un sistema sanzionatorio, riservato agli enti meno
virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica, da applicarsi
in via transitoria («fino alla dimostrazione della messa in atto di
provvedimenti, fra i quali anche l'alienazione di beni mobiliari e
immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell'ente nonche'
l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva»), e
consistente (1) nel divieto di procedere alla copertura di posti di
ruolo vacanti nelle piante organiche, (2) nel divieto di iscrivere in
bilancio spese per attivita' discrezionali (fatte salve quelle
afferenti al cofinanziamento regionale o dell'ente locale per
l'attuazione delle politiche comunitarie); anche questo sistema si
applica sia alle Regioni che gli enti locali;
c) vi sono infine i meccanismi automatici sanzionatori degli
organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli
equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla
regione e agli enti locali. Questi meccanismi sono individuati nella
legge di delega in (1) casi di ineleggibilita' nei confronti degli
amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato
dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui all'articolo 244
del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, (2) casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o
partecipati da enti pubblici, e (3) attivazione dei poteri
sanzionatori ex art. 126 Cost., equiparando ai casi di grave
violazione di legge ivi previsti «le attivita' che abbiano causato un
grave dissesto nelle finanze regionali».
Ora, mentre i meccanismi previsti ai numeri 2) e 3) sono
sicuramente riferibili tanto alle Regioni che agli enti locali, il
meccanismo sub 1) e' chiaramente riferito dalla legge agli enti
locali e solo ad essi. Proprio percio', del resto, la legge di delega
fa riferimento espresso all'art. 244 del TUEL, d.lgs. n. 267/2000.
Dunque, l'introduzione di un meccanismo automatico che sanziona
l'ipotesi di dissesto finanziario riferibile alle Regioni, con le
conseguenze previste dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. 149, cioe' la
incandidabilita' del Presidente «rimosso» e la sua «non
nominabilita'» risultano chiaramente fuori dalle misure che il
Governo delegato era autorizzato ad assumere.
La violazione viene in considerazione qui come violazione della
legge di delega, che si traduce in restrizione dell'autonomia
provinciale: ma essa, come si dira', costituisce altresi' violazione
dell'autonomia legislativa assicurata alla Provincia dall'art. 47
St., in materia di sistema di elezione e casi di ineleggibilita' e di
incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta
provinciale.
In secondo luogo, la stessa disposizione viola la legge di
delega, in danno dell'autonomia regionale (e ovviamente provinciale),
anche in quanto essa introduce la sanzione della «incandidabilita'»
laddove la legge di delega parla soltanto di «ineleggibilita'» degli
amministratori degli enti dichiarati in stato di dissesto
finanziario. Le due figure sono radicalmente diverse per ratio e per
disciplina giuridica, come la giurisprudenza costituzionale ha sempre
sottolineato (si vedano per es. le sent. 377/2003 132/2001 84/2006).
Inoltre, laddove la legge di delega prevede che possano essere
individuati i «casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o
partecipati da enti pubblici», l'art. 2, comma 3, nella seconda parte
della norma, estende invece l'interdizione alle cariche di enti e
organi «politici» che nulla hanno a che fare con quelli indicati
nella legge n. 42.
Cio' a prescindere dal difetto di ragionevolezza e di
proporzionalita' della sanzione, su cui si tornera' tra breve.
B) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 2, comma 1 per
contrasto con legislazione parlamentare successiva alla delega.
Sotto questo profilo ha rilevanza e precedenza logica la censura
dell'art.2, comma 1, del decreto n. 149/2001, in quanto la disciplina
che essi introducono a proposito del disavanzo sanitario e del regime
di rientro incide sulla legislazione emanata dal Parlamento
successivamente all'entrata in vigore della legge di delega.
Infatti le norme dell'art. 1 del d.lgs. n. 149 vanno a modificare
ampiamente le previsioni contenute dall'art. 2, comma 77 e ss., della
legge n. 191 del 2009, relativa ai piani di rientro dal disavanzo
finanziario, collegando una nuova e diversa catena di effetti
sanzionatori alla mancata realizzazione degli obiettivi del piano.
A parte il gravissimo groviglio legislativo che si viene a
produrre attraverso una legislazione che caoticamente sovrappone le
disposizioni l'una all'altra e che gia' di per se' viola il principio
della certezza del diritto, coessenziale allo Stato di diritto (come
codesta stessa Corte ha piu' volte sottolineato), sembra evidente che
non e' possibile ricomprendere nei poteri conferiti al Governo dalla
legge di delega la modifica di cio' che il legislatore parlamentare
ha disciplinato dopo il conferimento della delega stessa.
L'espressione costituzionale «oggetti definiti» rifiuta l'ipotesi che
in essa sia fatta rientrare anche la disciplina di cio' che al
momento della delega non esisteva affatto, e che solo una legge
successiva avrebbe introdotto; ne', d'altra parte, e' immaginabile
che il Parlamento autorizzi implicitamente il Governo a modificare
cio' che il Parlamento statuira' in seguito.
Tutto all'opposto, vale quanto e' stato autorevolmente sostenuto
in dottrina, cioe' che con la delega il Parlamento non si priva del
potere di revocare la delegazione legislativa attraverso il
successivo esercizio del potere legislativo; «mentre la delega va
conferita espressamente, la revoca puo' essere implicita, qualora
effettuata mediante l'approvazione di leggi disciplinanti la materia
delegata, prima ancora che siano stati emanati i conseguenti decreti
legislativi» (Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996,
205; Sorrentino, Le fonti del diritto italiano, Padova 2009, 128).
Per cui le leggi emanate dal Parlamento successivamente
all'entrata in vigore della legge di delega, se si trovano in
contrasto con essa, ne operano la (parziale) abrogazione,
restringendo di conseguenza il potere legislativo il cui esercizio e'
delegato. Alla stessa stregua si deve ritenere che quanto stabilito
dallo stesso legislatore nella materia oggetto della delega dopo il
suo conferimento vale a delimitare l'estensione dei principi e
criteri direttivi, ponendo una disciplina direttamente parlamentare
che il legislatore delegato e' tenuto a rispettare, pena
l'illegittimita' costituzionale di quanto da esso disposto.
Ora, l'art. 2, comma 1, del decreto n. 149, disciplinando con
nuove norme le procedure di rientro dal disavanzo sanitario, modifica
la disciplina introdotta dalla legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2
cc. 77 ss., violando percio' un limite implicito posto dall'art. 76
Cost. alla legislazione delegata.
La Provincia ha interesse a far valere tale violazione, in quanto
essa si traduce in restrizione della sua autonomia e dunque in
violazione della propria competenza costituzionale, anche in
collegamento con le ulteriori censure qui prospettate.
C) Illegittimita' dell'art. 2, comma 1 e 2, per diretta
violazione dell'art. 126 Cost.
Si e' sopra lamentato che l'applicazione dei meccanismi di cui
all'art. 126 Cost. operata dai commi 1 e 2 dell'art. 2 del decreto
impugnato viola la legge di delega.
Tuttavia, come anticipato allora, tali disposizioni costituiscono
altresi' violazione diretta dell'art. 126 Cost., che subordina la
rimozione del Presidente e lo scioglimento del Consiglio regionale
alla circostanza che essi abbiano compiuto gravi violazioni di legge.
Infatti una «grave violazione di legge» presuppone la sussistenza
di fatti specifici e puntuali, che costituiscono violazione di non
meno specifiche e puntuali disposizioni legislative (o
costituzionali): e' la ingiustificata persistenza della violazione,
nonostante la ripetuta sollecitazione a rimuoverla, che puo' far
scattare, come extrema ratio, la sanzione contro gli organi regionali
che volutamente hanno persistito nel loro indebito comportamento.
Insomma, vi e' grave violazione solo se gli organi regionali
tengono uno specifico comportamento, in contrasto con specifiche
norme, comportamento che a seguito della contestazione potrebbero far
cessare. Cio' vale necessariamente - se si vuole restare nell'ambito
dell'art. 126 Cost. - anche per le violazioni che conducano al
dissesto finanziario.
In assenza di prassi applicativa e, di conseguenza, di
interpretazione giudiziale, la dottrina e' da sempre unanime nel
ritenere che la formulazione costituzionale e le corrispondenti
espressioni impiegate dagli statuti speciali (che parlano di
«reiterate e gravi violazioni di legge») esprimano la necessita' che
i comportamenti illegittimi abbiano un certo grado di frequenza e
intensita', ma anche di intenzionalita', come era gia' emerso nei
lavori dell'Assemblea costituente (cfr. Costanzo, Art. 126, in Comm.
alla Costituzione, a cura di Branca-Pizzorusso, p. 367 ss.; De
Fiores, Art. 126, in Comm. alla Costituzione, a cura di
Bifulco-Celotto-Olivetti, p. 2492).
D) Illegittimita' dell'art. 2, comma 2, per violazione degli
artt. 100, 103 secondo comma e 24 Cost e del principio di
ragionevolezza.
Il comma 2 riconnette la sanzione dello scioglimento del
Consiglio regionale e della rimozione del Presidente della Giunta per
responsabilita' politica, tra l'altro, all'accertamento da parte
della Corte dei conti della sussistenza delle condizioni di cui al
comma 1 (condizioni che devono verificarsi congiuntamente) e della
loro riconduzione «alla diretta responsabilita', con dolo o colpa
grave, del Presidente della Giunta regionale».
Naturalmente la Provincia non contesta che - ove in denegata
ipotesi apparissero costituzionalmente legittime - le gravissime
sanzioni prospettate dalle norme impugnate debbano essere precedute
da un rigoroso accertamento della effettiva e grave responsabilita'
personale.
Ritiene tuttavia che l'attribuzione di tale compito alla Corte
dei conti, nei termini in cui la disposizione e' formulata, sia
costituzionalmente illegittima, segnatamente, per violazione degli
artt. 100, 103, comma 2 e 24 Cost..
Tale accertamento risulta infatti attribuito alla Corte dei
conti, senza che la norma specifichi se a tal fine la Corte agisca
nell'ambito delle sue attribuzioni di controllo, ovvero quale organo
di giurisdizione.
Ad ammettere che il legislatore, nella frettolosita' con cui ha
provveduto alla redazione della norma in esame, abbia inteso
riferirsi ad un accertamento da eseguirsi in relazione ai compiti di
controllo collaborativo, diffusamente ascrivibili oggi alle Sezioni
di controllo della Corte dei conti anche in relazione alla spesa
sanitaria e al raggiungimento degli obbiettivi dei Piani di rientro,
deve escludersi che, al di la' dell'accertamento della sussistenza
delle condizioni di cui al comma 1, possa legittimamente ammettersi
che, in correlazione alla suddetta attivita' di controllo, le stesse
Sezioni possano accertare la diretta responsabilita' del Presidente
della Regione e la imputabilita' allo stesso del verificarsi delle
condizioni di cui al comma 1, a titolo di dolo o di colpa grave.
Secondo quanto evidenziato da codesta ecc.ma Corte nella sent. n.
29/1995, la funzione di controllo successivo sulla gestione e' ben
distinta rispetto a quella giurisdizionale, per quanto la titolarita'
congiunta di tali funzioni in capo alla Corte dei conti consenta di
utilizzare le notizie o gli elementi raccolti nel corso del controllo
di gestione, anche ai fini del giudizio di responsabilita' e ai fini
della imputabilita', ad un determinato soggetto, della
responsabilita' del pregiudizio a lui ascrivibile per dolo o colpa
grave.
In nessun caso e', dunque, consentita la commistione fra poteri e
funzioni che sono diversi e, soprattutto, la possibilita' di
ascrivere all'organo di controllo un potere di sindacato sulla
sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi su cui si fonda la
funzione giurisdizionale della stessa Corte.
Ove, cioe', la norma abbia inteso ricondurre tale accertamento,
in funzione dello specifico meccanismo sanzionatorio, previsto
dall'art. 2, comma 2, ad una ibrida ed onnicomprensiva funzione a
cio' strumentale, della Corte dei conti, ovvero alla stessa funzione
di controllo collaborativo, da intendersi esteso anche
all'accertamento delle condizioni soggettive ed oggettive per il
riconoscimento della responsabilita' personale del soggetto agente,
risulterebbe piu' che evidente l'incostituzionalita' della stessa,
per violazione dei parametri costituzionali di cui all'art. 100 e
all'art. 103 comma 2 Cost., oltre che all'art. 24 Cost., secondo cui
la diretta responsabilita' per dolo o colpa grave non puo' che
scaturire da un procedimento (giurisdizionale), caratterizzato dal
rispetto del principio del contraddittorio e dal pieno riconoscimento
degli inviolabili diritti di difesa.
Se, al contrario, la disposizione dovesse essere letta nel senso
del concorso, ai fini degli accertamenti di cui sopra, della funzione
di controllo con quella giurisdizionale e, quindi, nel senso di un
coinvolgimento della Corte dei conti nella duplice veste di organo di
controllo e di organo di giurisdizione (il che, pero', parrebbe
escluso dalla circostanza che in altre disposizioni del medesimo
decreto legislativo, come ad esempio l'art. 6 sulla responsabilita'
politica del Presidente della Provincia e del Sindaco, in cui si ha
riguardo al riconoscimento della responsabilita' per danni cagionati
con dolo o colpa grave «anche nel giudizio di primo grado», dove il
riferimento alla funzione giurisdizionale e' esplicito), la
disposizione sarebbe ugualmente incostituzionale, per violazione,
sotto altro profilo, degli artt. 100, 103 comma 2 e 24 Cost., sul
presupposto di un implicito, ma non dichiarato riconoscimento
dell'esistenza dell'elemento oggettivo del danno ingiusto, che
sarebbe, pertanto, ascrivibile ex se al fatto del grave dissesto
finanziario e, altresi', alla mancata identificazione della
riconducibilita' del medesimo al dato soggettivo del dolo o della
colpa grave.
Si tratterebbe infatti di un giudizio di responsabilita' erariale
di cui non sono chiare le regole, le modalita' di introduzione, le
garanzie di difesa nelle varie fasi, la competenza ed i gradi.
In ogni caso, anche ad ammettere che il legislatore abbia inteso
subordinare l'irrogazione della sanzione, oltre che al dato oggettivo
del verificarsi delle condizioni di cui al comma 1, al
riconoscimento, nella sede consentita del giudizio di
responsabilita', della sussistenza del dolo o della colpa grave del
Presidente, con sentenza passata in giudicato, l'intero meccanismo
risulterebbe del tutto irragionevole e violativo delle prerogative
del Presidente e del Consiglio, producendo una situazione di grave
incertezza e di delegittimazione degli organi costituzionali della
Provincia, destinata a protrarsi nel tempo, nelle more
dell'accertamento della sussistenza delle condizioni soggettive
suscettibili di rilevare sul piano della loro responsabilita'
politica, ai sensi dell'art.126 Cost.
Si consideri che le sanzioni finirebbero con colpire il
Presidente responsabile dopo anni, rendendolo giuridicamente
ineleggibile e «non nominabile»: ma nel frattempo, la sua figura
politica resterebbe «sospesa», anticipando di fatto la sanzione.
Insomma, nella misura in cui davanti alla Corte dei conti fossero
applicate tutte le garanzie del giusto processo - come del resto
sarebbe costituzionalmente dovuto - la sanzione legale sarebbe
irragionevolmente differita nel tempo.
Tutto cio' non fa che mettere in ulteriore rilievo la complessiva
illegittimita' ed incongruita' della applicazione di una sanzione
prevista dalla Costituzione come altamente politica, di fronte a
violazioni gravi di specifiche norme costituzionali o ordinarie, come
rimedio ad una complessa situazione di dissesto, che non ha causa in
specifiche violazioni, e che non puo' avere rimedio nell'applicazione
del meccanismo indicato.
E) Illegittimita' dell'art. 2, comma 3, sotto ulteriori profili.
La sanzione gravissima della sospensione dall'esercizio di un
diritto costituzionale fondamentale per un periodo cosi' lungo appare
viziata da irragionevolezza per mancanza di proporzionalita', anche
in comparazione con le altre ipotesi, attualmente legislativamente
previste, di applicazione della sanzione dell'incandidabilita', tutte
connesse a gravissimi episodi di criminalita'.
Infine, la disposizione del decreto delegato appare illogica
laddove pretende di disciplinare restrittivamente i poteri di nomina
dei propri «organi e cariche di governo» da parte delle istituzioni
europee. Potrebbe supporsi che nell'intenzione dei redattori della
disposizione il riferimento dovesse andare alle sole designazioni
spettanti alla Repubblica italiana dei componenti delle istituzioni
comunitarie: ma nella sua formulazione essa sembra da intendere nel
senso piu' ampio.
6) Illegittimita' dell'art. 2, commi 4 e 7.
L'art. 2, comma 4, stabilisce che, «qualora si verifichino una o
entrambe le condizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1, il
Governo, in attuazione dell'articolo 2, comma 84, della citata legge
n. 191 del 2009, nell'esercizio del potere sostitutivo di cui
all'articolo 120 della Costituzione, nomina un commissario ai sensi
dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, che sostituisce il
Presidente della Giunta regionale nominato commissario ad acta ai
sensi dell'articolo 2, commi 79 e 83, della citata legge n. 191 del
2009».
L'art. 2, comma 7, dal canto suo, dispone che, «con riguardo a
settori ed attivita' regionali diversi dalla sanita', ove una regione
dopo la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
nonche' dei relativi costi standard e la definizione degli obiettivi
di servizio, non provveda alla attuazione dei citati livelli e al
raggiungimento degli obiettivi di servizio in coerenza con le
previsioni di cui all'articolo 18 della legge 5 maggio 2009, n. 42,
il Presidente della Giunta regionale e' nominato commissario ad acta
ai sensi dell'articolo 8 della citata legge n. 131 del 2003, per
l'esercizio dei poteri sostitutivi».
In relazione al settore sanitario, tali norme risultano
illegittime, innanzi tutto, per le ragioni gia' esposte nel punto
precedente, cioe' perche' la sanita' e' a carico del bilancio
provinciale, per cui la Provincia e' estranea alla disciplina di cui
all'art. 2, commi 77 ss., legge n. 191/2009.
In generale, i commi 4 e 7 sono illegittimi perche' pretendono di
applicare alla Provincia l'art. 120 Cost., mentre, nelle materie che
spettano alla Provincia in base allo Statuto, l'art. 120 e'
inapplicabile alla Provincia e restano fermi i poteri sostitutivi
previsti dalle norme di attuazione (v. sent. 236/2004), cioe' quelli
di cui all'art. 8 d.P.R. n. 526/1987.
In relazione alle "nuove" materie, non previste nello Statuto,
l'art. 8 legge n. 131/2003 e' applicabile alle Province solo dopo il
trasferimento ad esse delle nuove funzioni, «con le procedure
previste dall'art. 11 della legge n. 131 del 2003, ossia con norme di
attuazione degli statuti adottate su proposta delle commissioni
paritetiche» (cosi' la sent. 236/2004).
Inoltre, spetta sempre alle norme di attuazione configurare il
potere sostitutivo statale in relazione alle nuove funzioni
trasferite, per cui i commi 4 e 7 violano anche l'art. 107 Cost.,
perche' pretendono di vincolare il contenuto delle norme di
attuazione.
L'art. 2, comma 7, e' poi ulteriormente illegittimo la' dove fa
riferimento al mancato «raggiungimento degli obiettivi di servizio».
Infatti, la disposizione prevede una ipotesi di potere sostituivo in
applicazione dell'art. 120 Cost., come e' reso palese dal riferimento
all'articolo 8 della legge n. 131 del 2003, dedicato alla Attuazione
dell'articolo 120 della Costituzione sul potere sostitutivo.
Sennonche', e' di immediata evidenza che l'art. 120 Cost. si
riferisce soltanto alla tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni, e non anche a generici «obiettivi di servizio», la cui
nozione e' sconosciuta alla Costituzione.
7) Illegittimita' dell'art. 3.
L'art. 3 d.lgs. n. 149/2011 e' intitolato Decadenza automatica e
interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti.
Esso dispone al comma 1 che «il verificarsi del grave dissesto
finanziario di cui all'articolo 2 determina l'applicazione delle
disposizioni di cui all'articolo 2, comma 79, lettera a), della legge
23 dicembre 2009, n. 191, in materia di decadenza automatica dei
direttori generali e, previa verifica delle rispettive
responsabilita' del dissesto, dei direttori amministrativi e sanitari
degli enti del Servizio sanitario regionale, del dirigente
responsabile dell'assessorato regionale competente, nonche' dei
componenti del collegio dei revisori dei conti».
Il comma 2 dispone che «agli stessi soggetti di cui al comma 1 si
applica altresi' l'interdizione da qualsiasi carica in enti vigilati
o partecipati da enti pubblici per un periodo di tempo di dieci
anni»; che la sanzione dell'interdizione «e' irrogata con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per i
rapporti con le regioni e per la coesione territoriale» e che «il
giudizio sulla relativa impugnazione e' devoluto alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo».
Infine, il comma 3 dispone che «qualora, a seguito della
dichiarazione di dissesto, la Corte dei conti accerti gravi
responsabilita' nello svolgimento dell'attivita' del collegio dei
revisori delle Regioni, ove costituito, e degli enti alle medesime
riconducibili, i componenti del collegio riconosciuti responsabili in
sede di giudizio della predetta Corte non possono essere nominati nel
collegio dei revisori delle regioni, degli enti locali e di altri
enti pubblici per un periodo fino a dieci anni, in funzione della
gravita' accertata». Dispone inoltre che la Corte dei conti trasmetta
«l'esito dell'accertamento anche all'ordine professionale di
appartenenza dei revisori per valutazioni inerenti all'eventuale
avvio di procedimenti disciplinari».
In primo luogo, tali norme risultano illegittime per le ragioni
gia' esposte nei punti precedenti, cioe' perche' la sanita' e' a
carico del bilancio provinciale, per cui la Provincia e' estranea
alla disciplina di cui all'art. 2, commi 77 ss., legge n. 191/2009.
E' da ricordare che «lo Stato, quando non concorre al finanziamento
della spesa sanitaria, "neppure ha titolo per dettare norme di
coordinamento finanziario"» (v. sentt. 341/2009 e 133/2010).
Inoltre, l'art. 3 e' illegittimo per le ragioni gia' esposte
sopra, al punto 5, lett. A), ulteriore punto b, in relazione alla
sanzione della incandidabilita' e non-nominabilita' del Presidente
rimosso, cioe' in quanto esso risulta incompatibile con la legge di
delega, e percio' in violazione con l'art. 76 Cost.
L'art. 3 infatti commina ai massimi dirigenti delle aziende
sanitarie e dell'amministrazione regionale, nonche' ai revisori dei
conti, le gravissime sanzioni della decadenza automatica e
dell'interdizione che la legge di delega prevede soltanto per gli
amministratori degli enti locali.
Al tempo stesso, ed a parte ogni considerazione sulla grave
incisione che cosi' si produce nei diritti individuali e politici di
questi dirigenti (fra l'altro l'art. 3, comma 1, non individua alcuna
regola procedurale per la propria applicazione ne' l'organo
competente alla verifica di responsabilita'), a restare
illegittimamente violata e' anche la potesta' legislativa esclusiva
della Provincia sull'organizzazione degli uffici e sull'ordinamento
del personale (art. 8, n. 1, o art. 117, comma 4, se ritenuto piu'
favorevole).
Per quanto riguarda poi la misura interdittiva essa consegue
automaticamente ed in misura predeterminata e fissa di ben dieci
anni, senza alcuna possibilita' di graduazione in concreto a seconda
della gravita' della responsabilita'.
In tale materia, il fondamento dell'intervento statale non puo'
essere che l'esigenza del coordinamento della finanza pubblica: e'
dunque violato l'art. 79 St., la' dove esclude l'applicazione alla
Provincia delle misure di coordinamento relative alle altre Regioni,
o comunque il comma 4, seconda parte, di esso, dato che la Provincia
verrebbe sottoposta a norme dettagliate e autoapplicative, e non al
solo dovere di adeguamento ai principi.
8) Illegittimita' dell'art. 5.
L'art. 5 d.lgs. n. 149/2011 dispone che «il Ministero
dell'economia e delle finanze -Dipartimento della Ragioneria generale
dello Stato puo' attivare verifiche sulla regolarita' della gestione
amministrativo-contabile, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera
d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, oltre che negli altri casi
previsti dalla legge, qualora un ente evidenzi, anche attraverso le
rilevazioni SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario riferibili ai
seguenti indicatori: a) ripetuto utilizzo dell'anticipazione di
tesoreria; b) disequilibrio consolidato della parte corrente del
bilancio; c) anomale modalita' di gestione dei servizi per conto di
terzi» (comma 1). Il comma 2 aggiunge che «le modalita' di attuazione
del comma 1 sono definite con decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze,... previa intesa con la Conferenza Unificata... e
prevedono anche adeguate forme di contraddittorio fra il Ministero
dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria
generale dello Stato e gli enti sottoposti alle verifiche di cui al
comma l». L'attivita' di verifica «sulla regolarita' della gestione
amministrativo-contabile attivata sulla base degli indicatori di cui
al comma 1 e' eseguita prioritariamente nei confronti dei comuni
capoluogo di provincia».
L'art. 14 legge n. 196/2009, richiamato dall'art. 5 ora citato,
si intitola Controllo e monitoraggio dei conti pubblici e prevede che
«in relazione alle esigenze di controllo e di monitoraggio degli
andamenti della finanza pubblica... il Ministero dell'economia e
delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato
provvede a:... d) effettuare, tramite i servizi ispettivi di finanza
pubblica, verifiche sulla regolarita' della gestione
amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche, ad
eccezione delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano».
Dunque, l'art. 5 d.lgs. n. 149/2011 contempla, se applicato alla
provincia di Trento, un controllo di gestione ministeriale sugli enti
locali della provincia di Trento e sugli enti pubblici
paraprovinciali.
Cio' si pone in chiaro contrasto con l'intero sistema statutario.
A parte l'evidente lesione della potesta' legislativa primaria e
della potesta' amministrativa della Regione in materia di ordinamento
degli enti locali, per quanto riguarda la Provincia il contrasto si
rileva in primo luogo con l'art. 79, comma 3, St., che attribuisce ad
essa «funzioni di coordinamento con riferimento agli enti locali, ai
propri enti e organismi strumentali, alle aziende sanitarie, alle
universita' non statali..., alle camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura e agli altri enti od organismi a
ordinamento regionale o provinciale finanziati dalle stesse in via
ordinaria», e che stabilisce inoltre che «le province vigilano sul
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli
enti di cui al presente comma ed esercitano sugli stessi il controllo
successivo sulla gestione dando notizia degli esiti alla competente
sezione della Corte dei conti» (si vedano poi anche gli artt. 54, n.
5, e 80 St. e l'art. 6, comma 3-bis, d.P.R. n. 305/1988).
Inoltre, trattandosi di materia di competenza provinciale
(finanza locale e coordinamento della finanza pubblica), l'art. 5
viola l'art. 4 d.lgs. n. 266/1992, che esclude il conferimento di
funzioni amministrative - comprese quelle di vigilanza - ad organi
statali (su questo punto v. le sentt. 182/1997 e 228/1993).
Infine, l'art. 5, comma 2, prevede un atto regolativo in materia
provinciale e, dunque, viola il divieto di regolamenti statali in
materie regionali (art. 117, comma 6, Cost. e art. 2 d.lgs. n.
266/1992) o, se si considera l'atto non normativo, l'art. 4 d.lgs. n.
266/1992.
9) Illegittimita' dell'art. 6.
L'art. 6 e' intitolato Responsabilita' politica del presidente di
provincia e del sindaco. Il comma 1 sostituisce l'art. 248, comma 5,
d.lgs. n. 267/2000, stabilendo che, «fermo restando quanto previsto
dall'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, gli
amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto responsabili,
anche in primo grado, di danni cagionati con dolo o colpa grave, nei
cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario, non
possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di
assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante
di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e
privati, ove la Corte, valutate le circostanze e le cause che hanno
determinato il dissesto, accerti che questo e' diretta conseguenza
delle azioni od omissioni per le quali l'amministratore e' stato
riconosciuto responsabile». Inoltre, «i sindaci e i presidenti di
provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente,...
non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di
sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta
regionale, nonche' di membro dei consigli comunali, dei consigli
provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento
e del Parlamento europeo», e «non possono altresi' ricoprire per un
periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale,
provinciale o regionale ne' alcuna carica in enti vigilati o
partecipati da enti pubblici». Qualora, «a seguito della
dichiarazione di dissesto, la Corte dei conti accerti gravi
responsabilita' nello svolgimento dell'attivita' del collegio dei
revisori, ... i componenti del collegio riconosciuti responsabili...
non possono essere nominati nel collegio dei revisori degli enti
locali e degli enti ed organismi agli stessi riconducibili fino a
dieci anni, in funzione della gravita' accertata».
In base all'art. 6, comma 2, "qualora dalle pronunce delle
sezioni regionali di controllo della Corte dei conti emergano,...
comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni
degli obiettivi della finanza pubblica allargata e irregolarita'
contabili o squilibri strutturali del bilancio dell'ente locale in
grado di provocarne il dissesto finanziario e lo stesso ente non
abbia adottato, entro il termine assegnato dalla Corte dei conti, le
necessarie misure correttive previste dall'articolo 1, comma 168,
della legge 23 dicembre 2005, n. 266, la competente sezione
regionale, accertato l'inadempimento, trasmette gli atti al Prefetto
e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica». In questi casi, ove sia accertato il perdurare
dell'inadempimento, «il Prefetto assegna al Consiglio... un termine
non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto».
Decorso infruttuosamente tale termine, «il Prefetto nomina un
commissario per la deliberazione dello stato di dissesto e da' corso
alla procedura per lo scioglimento del consiglio dell'ente ai sensi
dell'articolo 141 del citato testo unico di cui al decreto
legislativo n. 267 del 2000».
La norma modificata dall'art. 6, comma 1, in quanto costituisce
parte integrante del t.u. enti locali come nuovo art. 248, dovrebbe
essere ritenuta inapplicabile alle Province autonome in virtu'
dell'art. 1, comma 2, dello stesso testo unico (d.lgs. n. 267/2000),
secondo cui «le disposizioni del presente testo unico non si
applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di
Trento e di Bolzano se incompatibili con le attribuzioni previste
dagli statuti e dalle relative norme di attuazione».
Qualora, invece, fosse ritenuto prevalente l'art. 13 d.lgs. n.
149/2011, l'art. 6, comma 1, recando norme sanzionatone dettagliate
ed autoapplicative in materia di finanza locale, senza possibilita'
di svolgimento da parte della Provincia, verrebbe a ledere (sempre a
non considerare qui la potesta' della Regione in materia di
ordinamento degli enti locali) la competenza provinciale in materia
di finanza locale (art. 80 St.). Inoltre, il nuovo art. 248, comma 5,
secondo e terzo periodo, interferisce con la disciplina delle
elezioni provinciali, della nomina degli assessori provinciali e
dell'affidamento degli incarichi in enti paraprovinciali, ma tale
intervento del legislatore statale risulta senza titolo perche'
l'incandidabilita' non e' collegata alla commissione di reati, per
cui non puo' rientrare nella competenza statale sull'ordine pubblico.
Tali norme, dunque, violano l'art. 47 St. (competenza della legge
statutaria su elezioni, ineleggibilita' e forma di governo, nei soli
limiti dei principi dell'ordinamento) e, in relazione agli enti
paraprovinciali, l'art. 8, n. 1 (o l'art. 117, comma 4, Cost. se
ritenuto piu' favorevole).
Invece, l'art. 6, comma 2, non modifica il t.u. enti locali.
Esso, se applicato alla Provincia ex art. 13 d.lgs. n. 149/2011,
viola chiaramente le norme che attribuiscono alla Provincia poteri di
vigilanza e di controllo di gestione (artt. 54, n. 5, 79, comma 3, e
80 St., e art. 6, comma 3-bis, d.P.R. n. 305/1988): in sostanza, si
introducono forme di controllo ulteriori rispetto a quelle previste
dallo Statuto e dalle norme di attuazione.
E' da precisare che la vigilanza della Provincia sui comuni
comprende il potere di scioglimento dei loro organi e quello di
nomina dei commissari (v. gli artt. 82 e 83 d.P.G.reg. 1° febbraio
2005, n. 3/L).
10) Illegittimita' dell'art. 7.
Fra le disposizioni contenute negli artt. da 1 a 7, l'art. 7 e'
l'unico che menziona espressamente le Province autonome.
Dunque, esso si rivolge ad esse a prescindere dall'art. 13 d.lgs.
n. 149/2011, prevedendo sanzioni a carico delle Province autonome in
caso di «mancato rispetto del patto di stabilita' interno».
Il comma 1 stabilisce che la Provincia, «nell'anno successivo a
quello dell'inadempienza: a) e' tenuta a versare all'entrata del
bilancio statale... l'importo corrispondente alla differenza tra il
risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato...;
b) non puo' impegnare spese correnti, al netto delle spese per la
sanita', in misura superiore all'importo annuale minimo dei
corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio; c) non puo'
ricorrere all'indebitamento per gli investimenti;... d) non puo'
procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con
qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di
collaborazione continuata e continuativa e di somministrazione, anche
con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto...; e) e'
tenuta a rideterminare le indennita' di funzione ed i gettoni di
presenza del Presidente e dei componenti della Giunta con una
riduzione del 30 per cento rispetto all'ammontare risultante alla
data del 30 giugno 2010».
Il secondo comma prevede analoghe conseguenze per gli enti
locali.
Tali disposizioni sono illegittime e gravemente lesive
dell'autonomia provinciale, come nuovamente codificata, mediante la
procedura di cui all'art. 104 dello Statuto, proprio in relazione
alle regole relative al patto di stabilita' ed al concorso della
Provincia agli obbiettivi di finanza pubblica.
In particolare, il comma I viola l'art. 79 St. (frutto appunto
della indicata modifica), che prevede le misure con cui le Province
«concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di
solidarieta' e all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi
derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di
stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della
finanza pubblica stabilite dalla normativa statale», e dispone che
«le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente
con la procedura prevista dall'articolo 104 e fino alla loro
eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di
finanza pubblica di cui al comma 1».
Inoltre, nel comma 3 l'art. 79 stabilisce le regole per la
definizione del patto di stabilita' e prevede espressamente che «non
si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti
nel restante territorio nazionale»; il comma 4 ribadisce che «le
disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di
perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione
con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso
sostituite da quanto previsto dal presente articolo».
Dunque, appare chiara l'illegittimita' dell'art. 7: il
legislatore ordinario non puo' alterare unilateralmente l'assetto dei
rapporti in materia finanziaria disegnato dallo Statuto, assimilando
la posizione delle Province autonome - regolate da disciplina
speciale - a quella delle Regioni ordinarie.
Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e
Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente
riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale.
Cosi', ad es., la sent. n. 82 del 2007 ha riconosciuto che «la
previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto
speciale e il Ministero dell'economia e delle finanze, per la
determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei
relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione» della «speciale
autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni,
in forza dei loro statuti» (punto 6 del Diritto); e nella sent. n.
353 del 2004 la Corte ha affermato che il metodo dell'accordo (sempre
per la determinazione delle spese), introdotto per la prima volta
dalla legge finanziaria per il 1998 e riprodotto in tutte le leggi
finanziarie successivamente adottate, deve essere tendenzialmente
preferito ad altri, dato che «la necessita' di un accordo tra lo
Stato e gli enti ad autonomia speciale nasce dall'esigenza di
rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi».
Si puo' ricordare anche la sent. n. 39 del 1984, che ha annullato
un atto ministeriale che aveva unilateralmente modificato l'elenco
delle imposte ai fini dell'art. 49 dello Statuto, precisando che «il
legislatore statale ben potrebbe intervenire, se lo ritenesse
opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia: ma
dovrebbe farlo, comunque, dopo aver sentito la Regione (art. 65
Statuto Friuli - Venezia Giulia) e avendo i poteri per mettere ordine
nella complessa vicenda senza turbare i delicati rapporti coll'Ente
Regione».
Pertinente e' anche il richiamo alla sent. n. 98 del 2000, che ha
giudicato di alcune norme legislative statali che disponevano la
riserva a favore dell'erario delle entrate derivanti da altre
disposizioni e che erano contestate per violazione dello Statuto
siciliano e delle relative norme di attuazione. La Corte ha
riconosciuto l'esistenza del «principio... di leale cooperazione fra
Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la'
dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze fra
le rispettive sfere e i rispettivi ambiti finanziari», e ha
sottolineato che «sono espressioni significative di tale esigenza le
norme di attuazione di altri statuti speciali, le quali, a tal
proposito, contemplano procedimenti cui sono chiamate a partecipare
le Regioni». La Corte ha, dunque, statuito che le norme impugnate
dovevano prevedere «procedimenti non unilaterali, ma che contemplino
una partecipazione della Regione direttamente interessata».
Il principio consensuale e' stato ribadito piu' di recente, in
relazione alla Provincia di Trento, dalla sent. 133/2010. La
Provincia aveva impugnato l'art. 9-bis, comma 5, d.l. n. 78/2009, che
attribuiva al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di
fissare «i criteri per la rideterminazione, a decorrere dall'anno
2009, dell'ammontare dei proventi spettanti a regioni e province
autonome, compatibilmente con gli statuti di autonomia delle regioni
ad autonomia speciale e delle citate province autonome, ivi compresi
quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi erariali statali».
La Corte ha accolto le questioni sollevate nel ricorso, ritenendo che
tale norma incidesse sui rapporti finanziari intercorrenti tra lo
Stato, la Regione e le Province autonome, e che «pertanto avrebbe
dovuto essere approvata con il procedimento previsto dal citato art.
104 dello statuto speciale, ove e' richiesto il necessario accordo
preventivo di Stato e Regione».
In effetti, e' chiaramente illegittimo che lo Stato, con una
fonte primaria unilateralmente adottata, alteri l'assetto dei
rapporti finanziari tra Stato e Provincia, laddove il principio
consensuale e' da tempo riconosciuto in questa materia ed e' stato
ribadito proprio con la recente riforma statutaria.
Quanto all'art. 7, comma 2, d.lgs. n. 149/2011, esso viola gli
artt. 80 e 81 St. ed il gia' citato art. 79, comma 3, in base al
quale «spetta alle province stabilire gli obblighi relativi al patto
di stabilita' interno e provvedere alle funzioni di coordinamento con
riferimento agli enti locali», mentre «non si applicano le misure
adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio
nazionale». Inoltre, esso dispone che «le province vigilano sul
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli
enti di cui al presente comma ed esercitano sugli stessi il controllo
successivo sulla gestione». Gli artt. 80 e 81 St. e l'art. 18 d.lgs.
n. 268/1992 sono stati attuati con la l.p. n. 36/1993, il cui art. 3
dispone che, «in sede di definizione dell'accordo previsto
dall'articolo 81 dello Statuto speciale sono stabilite, oltre alla
quantita' delle risorse finanziarie da trasferire ai comuni e agli
altri enti locali, le misure necessarie a garantire il coordinamento
della finanza comunale e quella provinciale, con particolare
riferimento alle misure previste dalla legge finanziaria per il
perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati al
patto di stabilita' interno».
E' inoltre violato, in particolare da parte dell'art. 7, comma 2,
lett. c) e d), l'art. 17, comma 3, d.lgs. n. 268/1992, il quale
stabilisce che «nel rispetto delle competenze regionali in materia di
ordinamento dei comuni, le province disciplinano con legge i criteri
per assicurare un equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi
compresi i limiti all'assunzione di personale, le modalita' di
ricorso all'indebitamento, nonche' le procedure per l'attivita'
contrattuale».
Risulta infine ovviamente violato anche l'art. 2 del d.lgs. n.
266 del 1992, in quanto, in materia di competenza provinciale, non vi
e' applicazione diretta della legislazione statale, ma soltanto
dovere di adeguamento da parte della Provincia.
Sotto tutti i profili indicati risulta dunque chiaramente
illegittima la disciplina diretta centrale delle conseguenze che
derivano agli enti locali dal mancato rispetto del patto di
stabilita'.
P.Q.M.
Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3,
4, 5, 6, 7, e 13 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149,
recante «Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni,
province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5
maggio 2009, n. 42», nelle parti, nei termini e sotto i profili
esposti nel presente ricorso.
Trento-Padova-Roma, 18 novembre 2011
Prof. Avv. Falcon - Avv. Pedrazzoli - Avv. Manzi