Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in

cancelleria il 17 ottobre 2012 (della Regione Veneto).

 

 

(GU n. 48 del 5.12.2012)

 

    Ricorso   della   Regione   Veneto   (cif.  …;   p.iva

…), in persona del  Presidente  pro  tempore  della  Giunta

Regionale, rappresentata e difesa, giusta deliberazione della  Giunta

regionale n. 1943 del 2 ottobre 2012 e procura speciale a margine del

presente atto, dagli avv.ti prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova

(c.f.       …;        pec:

…; fax: …),  Ezio

Zanon dell'Avvocatura regionale del Veneto (c.f. …; pec:  …;  fax:  …),  Daniela

Palumbo della Direzione Regionale Affari Legislativi  (c.f.  …; fax: …) ed Andrea Manzi del  Foro  di  Roma

(c.f. …; pec: …;

fax: …), ricorrente in via principale;

    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  pro  tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale  dello  Stato

(c.f. …), ed ivi ex lege  domiciliato,  in  Roma,  via  dei

Portoghesi n. 12, resistente in via principale.

    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale:

        degli artt. 4, 9, 16-bis, 17,  18,  19  e  23-ter,  comma  1,

lettera g), del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95,  cosi  come

risultanti dalla conversione, con modificazioni, nella legge 7 agosto

2012, n. 135 (Disposizioni  urgenti  per  la  revisione  della  spesa

pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini),  pubblicata  nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n.  189  del  14  agosto

2012;

        per violazione degli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118,  119,

120, 132 e 133 Cost., del principio di leale  collaborazione  di  cui

agli artt. 5 e 120 Cost., della l. cost. n.  3/2001  e  della  l.  n.

42/2009.

 

                              F a t t o

 

    Con il decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95,  convertito,  con

modificazioni, nella legge 7 agosto  2012,  n.  135,  il  legislatore

statale e' intervenuto in diversi settori al fine di  procedere  alla

revisione della spesa pubblica.

    Tale manovra, infatti, e' meglio conosciuta come spending review.

    La Regione Veneto ha  individuato  nel  corpo  del  provvedimento

legislativo una serie  di  disposizioni  normative  che  appaiono  in

palese contrasto sia  con  l'autonomia  regionale  costituzionalmente

garantita  e  tutelata,  sia  con  l'autonomia  dei  Comuni  e  delle

Province, con ulteriore  conseguente  violazione  delle  attribuzioni

regionali costituzionalmente garantite e tutelate.

    In ragione di cio', la Regione Veneto  deve  chiedere  a  Codesto

Ecc.mo Collegio la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale

delle disposizioni normative in  epigrafe  indicate  per  i  seguenti

motivi di

 

                               Diritto

 

1)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4  d.l.  n.   95/2012,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,  per  violazione

degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost.  e  del  principio  di  leale

collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

    L'art. 4 d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l.

n. 135/2012, rubricato «Riduzione di spese, messa in  liquidazione  e

privatizzazione di societa' pubbliche», prevede, in  estrema  sintesi

(e  rinviando  per  ogni  ulteriore  dettaglio  alla  lettura   della

disposizione stessa), quanto segue:

        (i) le societa'  controllate  direttamente  o  indirettamente

dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n.

165/2001 (tra cui sono comprese le Regioni e gli Enti  locali),  che,

nel  corso  dell'anno  2011,  abbiano  conseguito  un  fatturato   da

prestazione di  servizi  a  favore  delle  pubbliche  amministrazioni

stesse superiore al 90% dell'intero fatturato devono  essere  sciolte

entro il 31 dicembre 2013.

        Alternativamente,  e'  consentita   l'alienazione,   mediante

procedure di evidenza pubblica, delle relative  partecipazioni  entro

il  30  giugno   2013   (l'alienazione   deve   riguardare   l'intera

partecipazione  della  pubblica   amministrazione   controllante   e,

contestualmente, si deve procedere all'assegnazione del servizio  per

cinque anni, non rinnovabili, a decorrere  dal    gennaio  2014)  -

comma 1 (1) ;

        (ii)  in  alternativa  allo   scioglimento   delle   societa'

pubbliche o all'alienazione delle relative partecipazioni sociali, le

pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, c. 2, d.lgs. n. 165/2001

possono   predispone   appositi   piani   di    ristrutturazione    e

razionalizzazione  delle  societa'  controllate  (piani  che   devono

prevedere l'individuazione delle  attivita'  connesse  esclusivamente

all'esercizio di funzioni amministrative di cui  all'art.  118  Cost.

che possono essere riorganizzate e accorpate attraverso societa'  che

rispondono ai requisiti della legislazione comunitaria in materia  di

in house providing; tali piani devono essere approvati previo  parere

favorevole del Commissario  straordinario  per  la  razionalizzazione

della spesa per acquisto di beni e servizi) - comma 3-sexies;

        (iii) le disposizioni di cui al comma 1 non si  applicano  ad

una serie di societa' (tra cui,  per  esempio,  quelle  che  svolgono

servizi di interesse  generale,  anche  aventi  rilevanza  economica,

quelle  che  svolgono  prevalentemente   compiti   di   centrali   di

committenza etc.; cfr., per le  esclusioni,  anche  il  comma  13)  e

comunque  «qualora,  per  le  peculiari  caratteristiche  economiche,

sociali,   ambientali   e   geomorfologiche   del   contesto,   anche

territoriale, di riferimento non sia possibile per  l'amministrazione

pubblica controllante un efficace e utile ricorso  al  mercato»  («in

tal caso, l'amministrazione, in tempo utile per rispettare i  termini

di cui al comma 1, predispone un'analisi del mercato e trasmette  una

relazione contenente gli esiti della predetta verifica  all'Autorita'

garante della concorrenza e del mercato per l'acquisizione del parere

vincolante, da rendere entro sessanta giorni  dalla  ricezione  della

relazione», parere poi da comunicarsi alla Presidenza  del  Consiglio

dei Ministri) - comma 3;

        (iv)  a  decorrere  dal    gennaio   2014,   le   pubbliche

amministrazioni  di  cui  all'art.  1,  c.  2,  d.lgs.  n.   165/2001

acquisiscono sul mercato i beni e i servizi strumentali alla  propria

attivita' mediante le procedure concorrenziali previste dal d.lgs. n.

163/2006 e possono procedere ad affidamento diretto solo a favore  di

societa' a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei  requisiti

richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria  per  la

gestione in house e a condizione che il valore economico del servizio

o dei beni  oggetto  dell'affidamento  sia  complessivamente  pari  o

inferiore a 200.000,00 € annui - commi 7, 8 e 8-bis;

        (v) alle societa' di cui al comma 1 dell'art. 4 in esame sono

imposte limitazioni in  ordine  all'assunzione  di  personale  ed  al

relativo trattamento economico - commi 9, 10, 11 e 12;

        (vi)  sono  dettate   disposizioni   normative   estremamente

puntuali in ordine alla composizione ed al funzionamento dei consigli

di  amministrazione  delle  societa'   controllate   direttamente   o

indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1,  c.

2, d.lgs. n. 165/2001 - commi 4 e 5;

        (vii) e' fatto divieto,  a  pena  di  nullita',  di  inserire

clausole arbitrali in sede di stipulazione di contratti  di  servizio

ovvero di atti convenzionali comunque denominati,  intercorrenti  tra

societa' a totale partecipazione pubblica,  diretta  o  indiretta,  e

amministrazioni statali e regionali (ove gia' previste, tali clausole

perdono efficacia) - comma 14;

        (viii)  a  decorrere  dal    gennaio  2013,  le   pubbliche

amministrazioni di cui all'art. 1, c. 2, d.lgs. n.  165/2001  possono

acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a

convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli artt. da 13 a  42

c.c. «esclusivamente in base a  procedure  previste  dalla  normativa

nazionale in conformita' con la disciplina comunitaria» - comma 6.

    L'art. 4 appare,  per  piu'  di  un  profilo,  costituzionalmente

illegittimo.

    Esso, nel suo complesso, viola l'art. 117, comma 4, Cost.,  dalla

cui lettura (in combinato disposto con i commi 2  e  3  del  medesimo

art. 117) si desume che spetta alla Regione la  potesta'  legislativa

(residuale)  in  materia  di  «organizzazione  amministrativa   della

Regione». Da cio' consegue, altresi', de plano, la  violazione  degli

artt. 118 e 119 Cost.

    L'art. 4 certamente viola, poi, l'art. 117, comma 1, Cost.  nella

parte in cui dispone che la potesta' legislativa e' esercitata  dallo

Stato  e  dalle  Regioni   nel   rispetto   dei   vincoli   derivanti

dall'ordinamento comunitario.

    Per le ragioni gia' esposte (ed  anche  per  quelle  che  saranno

esposte oltre), tale violazione si  traduce,  evidentemente,  in  una

violazione dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita.

    Premesso,  infatti,  che   la   giurisprudenza   comunitaria   ha

contribuito a creare l'ordinamento comunitario stesso (l'art. 19  del

Trattato sull'Unione  europea  dispone  che  la  Corte  di  giustizia

dell'Unione   europea    assicura    il    rispetto    del    diritto

nell'interpretazione  e  nell'applicazione  dei  trattati)   e   che,

pertanto, l'interpretazione giurisprudenziale del diritto comunitario

ben puo' fungere da parametro interposto ex art. 117, comma 1,  Cost.

nel giudizio di  costituzionalita'  (cfr.  inter  alla  Corte  cost.,

sentt. nn. 190/2011, 120/2010 e 439/2008), non puo'  sottacersi  che,

con l'art. 4 qui impugnato, il  legislatore  statale  sostanzialmente

elimina  in  radice  il  potere  delle   Regioni   (e   delle   altre

amministrazioni di cui all'art. 1,  c.  2,  d.lgs.  n.  165/2001)  di

procedere ad affidamenti c.d. in house (ossia - per usare  le  parole

di  cui  alla  Comunicazione  della  Commissione  europea  COM/98/143

dell'11 marzo 1998  dal  titolo  «Gli  appalti  pubblici  nell'Unione

europea»  -  i  contratti  «aggiudicati  all'interno  della  pubblica

amministrazione, per esempio tra amministrazione centrale e locale o,

ancora, tra un'amministrazione e una societa' da  questa  interamente

controllata»),  pacificamente  ammessi,  invece,  al   ricorrere   di

determinati presupposti, a livello  di  ordinamento  comunitario  (la

Corte di giustizia, interpretando le direttive sugli appalti pubblici

- ivi compresa, da ultimo, la direttiva 2004/18/CE -  ha,  sin  dalla

nota sentenza del 18 novembre 1999, n. C107/98, Teckal c.  Comune  di

Viano, affermato che le direttive sugli appalti pubblici non  trovano

applicazione quando «l'ente locale  eserciti  sulla  persona  di  cui

trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui  propri

servizi e questa persona realizzi  la  parte  piu'  importante  della

propria  attivita'  con  l'ente  o  con  gli  enti  locali   che   la

controllano»; cfr., a tal  proposito,  anche  il  Libro  Verde  della

Commissione europea relativo ai Partenariati pubblico-privati  ed  al

diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni del 30

aprile 2004 - COM/2004/327).

    Tale e' la stabilita' dell'approdo cui si  e'  giunti  a  livello

giurisprudenziale comunitario in materia di affidamenti in  house  (o

in house providing), che l'art. 11 della Proposta  di  Direttiva  del

Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici (pubblicata

in data 20 dicembre 2011 e, al momento in cui si scrive, in  fase  di

adozione),  rubricato  «Relazioni  tra  amministrazioni   pubbliche»,

recependo pienamente gli approdi della giurisprudenza comunitaria  in

tema di affidamenti in house, dispone, ai parr. 1 e 2, quanto segue:

        «1.   Un   appalto    aggiudicato    da    un'amministrazione

aggiudicatrice a un'altra persona giuridica non rientra nel campo  di

applicazione della presente direttiva [relativa, per l'appunto,  agli

appalti  pubblici]  quando  siano  soddisfatte  tutte   le   seguenti

condizioni:

          (a) l'amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona

giuridica di cui trattasi un  controllo  analogo  a  quello  da  essa

esercitato sui propri servizi;

          (b) almeno il 90% delle attivita' di tale persona giuridica

sono effettuate per l'amministrazione aggiudicatrice  controllante  o

per  altre  persone   giuridiche   controllate   dall'amministrazione

aggiudicatrice di cui trattasi;

          (c) nella persona giuridica controllata non  vi  e'  alcuna

partecipazione privata.

    2. Si ritiene che un'amministrazione aggiudicatrice  eserciti  su

una persona giuridica un controllo analogo a  quello  esercitato  sui

propri servizi ai sensi del primo comma della lettera a) qualora essa

eserciti un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che

sulle decisioni significative della  persona  giuridica  controllata»

(2) .

    Acquisito,  dunque,  che,  per  rappresentare   l'approdo   della

giurisprudenza comunitaria in tema  di  affidamenti  in  house,  puo'

farsi riferimento al predetto par. 1 dell'art. 11 della  proposta  di

direttiva sugli appalti pubblici,  e'  evidente  la  non  conformita'

dell'art. 4 d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella  l.

n. 135/2012, con i principi giurisprudenziali comunitari  in  materia

di  affidamenti  in  house:  infatti,  mentre,  secondo  il   diritto

comunitario, e' legittimo l'affidamento di un  appalto  da  parte  di

un'amministrazione aggiudicatrice ad una persona  giuridica  che  non

sia partecipata da  privati,  svolga  almeno  il  90%  della  propria

attivita' per l'amministrazione aggiudicatrice controllante e su  cui

l'amministrazione aggiudicatrice  eserciti  un  controllo  analogo  a

quello esercitato sui propri servizi, viceversa, secondo  il  diritto

interno, nei confronti  delle  societa'  controllate  direttamente  o

indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1,  c.

2,  d.lgs.  n.  165/2001  (ivi  comprese  le  Regioni)  che   abbiano

conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione  di  servizi  a

favore  delle  pubbliche  amministrazioni  stesse  superiore  al  90%

dell'intero fatturato si deve procedere,  alternativamente,  al  loro

scioglimento (entro il 31  dicembre  2013)  o  all'alienazione  delle

relative partecipazioni (entro il 30 giugno 2013).

    In definitiva, il legislatore italiano (statale) vieta  cio'  che

l'ordinamento comunitario pacificamente ammette.

    Non puo' dimenticarsi, poi, che, Codesto Ecc.mo Collegio, con  la

recente  sentenza   20   luglio   2012,   n.   199,   ha   dichiarato

costituzionalmente illegittimo l'art. 4 d.l. 13 agosto 2011, n.  138,

convertito, con modificazioni, nella l. 14 settembre 2011, n. 148, il

quale - analogamente all'art. 4 ivi impugnato - aveva sostanzialmente

bandito la modalita' di  affidamento  in  house  quale  modalita'  di

affidamento della gestione dei servizi pubblici locali  di  rilevanza

economica  «a  prescindere  da  qualsivoglia  valutazione   dell'ente

locale, oltre che della Regione, ed anche - in linea  con  l'abrogato

[mediante referendum abrogativo] art. 23-bis [d.l. n. 112/2008] -  in

difformita' rispetto a quanto previsto dalla  normativa  comunitaria,

che consente, anche se non impone (sentenza  n.  325  del  2010),  la

gestione diretta del servizio pubblico  da  parte  dell'ente  locale,

allorquando l'applicazione delle regole di concorrenza  ostacoli,  in

diritto o in fatto, la «speciale missione» dell'ente  pubblico  (art.

106 TFUE), alle sole  condizioni  del  capitale  totalmente  pubblico

della societa' affidataria, del cosiddetto  controllo  'analogo'  (il

controllo esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario  deve  essere

di 'contenuto analogo'  a  quello  esercitato  dall'aggiudicante  sui

propri  uffici)  ed  infine  dello  svolgimento  della   parte   piu'

importante     dell'attivita'     dell'affidatario     in      favore

dell'aggiudicante». Adito con  ricorsi  proposti  in  via  principale

dalle  Regioni  Puglia,  Lazio,  Marche,  Emilia-Romagna,  Umbria   e

Sardegna,   Codesto   Ecc.mo    Collegio    ha    dunque    giudicato

costituzionalmente illegittimo l'art. 4 d.l. n. 138/2011,  convertito

con modificazioni, nella l. n. 148/2011, perche',  reintroducendo  la

disciplina  dell'art.  23-bis  d.l.  n.  112/2008,  convertito,   con

modificazioni, nella l. n. 133/2008 (abrogato con referendum popolare

del 12-13 giugno 2011), ha determinato  la  violazione  dell'art.  75

Cost., immediatamente tradottasi  nella  violazione  della  «potesta'

legislativa regionale residuale in materia di servizi pubblici locali

(e della relativa competenza regolamentare degli enti locali)».

    Il carattere del  tutto  draconiano  dell'intervento  legislativo

statale in esame (che sostanzialmente vieta gli affidamenti in house:

non puo' certamente sanare la grave illegittimita' costituzionale qui

denunciata la  limitata  possibilita'  di  affidamenti  in  house  di

importo non superiore ad € 200.000,00 di cui al comma 8 dell'art. 4!)

deve far ritenere violati, altresi', gli artt. 3  e  97  Cost.:  alla

Regione ed alle altre pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, c.

2, d.lgs. n. 165/2001, infatti,  sono  impediti  gli  affidamenti  in

house a prescindere  da  qualsivoglia  valutazione  discrezionale  da

svolgersi  nel  rispetto  dei  principi  di  ragionevolezza  e   buon

andamento dell'azione amministrativa.

    Guardando, poi, ai singoli commi dell'art. 4, si deve evidenziare

che i commi 9, 10, 11 e 12 (che impongono alle  societa'  controllate

direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di  cui

all'art. 1, c. 2, d.lgs. n. 165/2001  limitazioni  all'assunzione  di

personale ed al relativo trattamento economico) ed i commi 4 e 5 (che

dettano disposizioni normative estremamente puntuali in  ordine  alla

composizione ed al  funzionamento  dei  consigli  di  amministrazione

delle  societa'  controllate  direttamente  o  indirettamente   dalle

pubbliche  amministrazioni  di  cui  all'art.  1,  c.  2,  d.lgs.  n.

165/2001), se anche li si volesse ascrivere alla materia di  potesta'

legislativa  concorrente  ex   art.   117,   comma   3,   Cost.   del

«coordinamento della  finanza  pubblica»,  non  costituirebbero  meri

principi fondamentali,  bensi'  puntuali  disposizioni  di  dettaglio

(che, in base all'art. 117,  comma  3,  Cost.,  spetta  alle  Regioni

fissare).

    Si ricorda, a tal proposito, che  Codesto  Ecc.mo  Collegio,  con

riguardo ai requisiti delle disposizioni statali recanti  i  principi

fondamentali  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  volti   ad

assicurare il rispetto del Patto di stabilita'  (europeo  e  interno,

tra loro intimamente legati), ha individuato due condizioni:

        (i) «in primo luogo, che si limitino  a  porre  obiettivi  di

riequilibrio della medesima,  intesi  nel  senso  di  un  transitorio

contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa

corrente»;

        (ii) «in secondo luogo, che non prevedano in  modo  esaustivo

strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»

(cfr. inter alia Corte cost., sentt. nn. 237/2009 e 155/2011).

    Nel caso di specie, ci si trova, invece, dinanzi  a  disposizioni

dettagliate che fissano vincoli puntuali alle  Regioni  con  riguardo

alle societa' da esse direttamente o indirettamente  controllate.  Di

conseguenza, siamo in  presenza  di  disposizioni  costituzionalmente

illegittime.

    Ingiustamente  invasiva  della  potesta'  legislativa   regionale

(residuale)  in  materia  di  «organizzazione  amministrativa   della

Regione» e', poi, la disposizione di cui al  comma  14,  relativa  al

divieto di deferire in arbitrato le controversie tra  le  societa'  a

totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta,  e  le  relative

amministrazioni (anche  regionali)  detentrici  delle  partecipazioni

stesse. Essa risulta, altresi', del  tutto  sproporzionata  e  dunque

lesiva del combinato disposto degli artt. 3 e  97  Cost.  perche'  fa

salve, invece, le clausole arbitrali contenute nei contratti  tra  le

amministrazioni  e  le  societa'  pubbliche  quando  si  siano   gia'

costituiti i relativi collegi arbitrali.

    Da ultimo, con riguardo ai commi 3 e 13, devesi evidenziare  che,

laddove si volesse vedere nell'art. 4  l'espressione  della  potesta'

legislativa  statale  (ma  di  tipo  concorrente)   in   materia   di

«coordinamento della finanza pubblica»,  comunque  sarebbero  violati

l'art. 117 comma 3 Cost. (che rimette alle  Regioni  le  disposizioni

normative  di  dettaglio  nelle  materie  di   potesta'   legislativa

concorrente) e il principio costituzionale di leale collaborazione di

cui agli artt. 5 e  120  Cost.,  perche',  nell'individuazione  delle

societa' cui non trova applicazione l'art. 4, non e'  previsto  alcun

coinvolgimento delle Regioni,  neppure  mediante  l'intervento  della

Conferenza unificata Stato-Regioni  (sulla  rilevanza  costituzionale

del principio di leale collaborazione cfr. inter  alia  Corte  cost.,

sentt. nn. 242/1997, 31/2006, 213/2006, 240/2007, 51/2008,  237/2009,

165/2011).

    Si puntualizza, da ultimo, che la Regione Veneto  e'  legittimata

all'impugnazione dell'art. 4 in questione anche per la parte  in  cui

lede le attribuzioni costituzionalmente garantite degli Enti locali e

cio' in ragione della stretta connessione, specialmente nella materia

de qua, di queste con le attribuzioni regionali (come noto  gli  Enti

locali sono titolari, ex  art.  118,  comma  2,  Cost.,  di  funzioni

amministrative conferite anche con legge regionale).

    A tal proposito, si ricorda che anche Codesto Ecc.mo Collegio  ha

avuto  modo  di  evidenziare  che  le  Regioni  sono  legittimate   a

denunciare l'illegittimita' costituzionale di una legge statale anche

per violazione delle competenze proprie degli Enti locali «purche' la

"stretta connessione [...] tra le  attribuzioni  regionali  e  quelle

delle autonomie locali consenta di  ritenere  che  la  lesione  delle

competenze  locali  sia  potenzialmente  idonea  a  determinare   una

vulnerazione delle competenze regionali" (sentenze n. 95 del 2007, n.

417 del 2005 e n.  196  del  2004)»  (cosi'  Corte  cost.,  sent.  n.

169/2007), situazione, questa, che certamente  ricorre  nel  caso  de

quo.

2)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  9  d.l.  n.   95/2012,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,  per  violazione

degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost.

    L'art. 9 d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l.

n. 135/2012, rubricato «Razionalizzazione amministrativa, divieto  di

istituzione e soppressione di enti, agenzie  e  organismi»,  dispone,

per quanto ivi interessa e rinviando alla sua lettura  integrale  per

ogni ulteriore dettaglio, quanto segue:

        (i) all'asserito fine di assicurare  il  coordinamento  e  il

conseguimento degli obiettivi di finanza  pubblica,  il  contenimento

della spesa ed il migliore svolgimento delle funzioni amministrative,

Regioni, Province e Comuni «sopprimono o accorpano, o, in ogni  caso,

assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in  misura  non

inferiore al  20  per  cento,  enti,  agenzie  e  organismi  comunque

denominati e di qualsiasi natura giuridica che, alla data di  entrata

in vigore del presente decreto, esercitano, anche in via strumentale,

funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera

p), della Costituzione o funzioni amministrative spettanti a  comuni,

province, e citta' metropolitane ai sensi  dell'articolo  118,  della

Costituzione» - comma 1;

        (ii) le disposizioni  del  comma  1  non  si  applicano  alle

aziende speciali,  agli  enti  ed  alle  istituzioni  che  gestiscono

servizi socio-assistenziali, educativi e culturali - comma 1-bis;

        (iii)  decorsi  nove  mesi   dall'entrata   in   vigore   del

decreto-legge ed in mancanza della realizzazione  di  quanto  imposto

dal comma 1 alle Regioni, alle Province ed ai Comuni,  gli  enti,  le

agenzie e gli organismi indicati  al  comma  1  sono  soppressi,  con

consequenziale  nullita'  degli  atti  successivamente  adottati  dai

medesimi - comma 4;

        (iv) a fini  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  le

Regioni si adeguano ai principi di cui al comma 1 con  riguardo  agli

enti, alle agenzie ed agli organismi che svolgono, ai sensi dell'art.

118 Cost., funzioni amministrative conferite alle medesime Regioni  -

comma 5;

        (v) agli  Enti  locali  e'  vietata  l'istituzione  di  enti,

agenzie ed organismi che esercitino una o piu' funzioni  fondamentali

e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'art. 118 Cost.

- comma 6.

    I commi 1, 1-bis e 4 dell'art. 9 tutto  sono  meno  che  principi

fondamentali di «coordinamento della finanza pubblica» dettati  dallo

Stato nell'esercizio della sua potesta' legislativa (concorrente  con

quella regionale) in tale materia e, dunque, sono  costituzionalmente

illegittimi per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost.

    In piu' di un'occasione,  infatti,  Codesto  Ecc.mo  Collegio  ha

affermato che, quando una disposizione di  legge  statale  imponga  -

come nel caso di specie - vincoli ad una singola voce di spesa  delle

Regioni   (o   degli   Enti   locali),   essa    deve    considerarsi

costituzionalmente illegittima, perche' «pone un precetto specifico e

puntuale, comprimendo l'autonomia finanziaria regionale ed  eccedendo

dall'ambito dei poteri statali  in  materia  di  coordinamento  della

finanza pubblica»: «la  legge  statale  puo'  prescrivere  criteri  e

obiettivi (ad esempio, il contenimento  della  spesa  pubblica),  non

imporre alle Regioni minutamente gli strumenti concreti da utilizzare

per raggiungere quegli obiettivi», risolvendosi cio' «in  un'indebita

invasione dell'area riservata  dall'art.  119  Cost.  alle  autonomie

regionali» (cosi Corte cost., sent. n.  157/2007;  cfr.  anche  inter

alla Corte cost.,  sent.  n.  182/2011,  con  ulteriori  rinvii  alla

giurisprudenza costituzionale).

    I commi 1, 1-bis e 4 dell'art.  9  pongono  chiaramente  precetti

specifici  e  puntuali   che   chiaramente   comprimono   l'autonomia

finanziaria regionale: alle Regioni e' impedito il contenimento della

spesa pubblica per il  tramite  della  riduzione  di  voci  di  spesa

diverse da quelle rappresentate  dagli  enti  che  svolgono  funzioni

amministrative regionali (comma  1);  alle  Regioni  e'  impedito  il

contenimento della spesa pubblica per il tramite della soppressione o

dell'accorpamento o comunque della riduzione degli  oneri  finanziari

di aziende speciali o di enti (o istituzioni) che gestiscano  servizi

socio-assistenziali, educativi e culturali  (comma  1-bis);  e  cosi'

via.

    La violazione degli stessi artt. 118 e 119 Cost.  e'  evidente  e

consequenziale rispetto alla  gia'  denunciata  violazione  dell'art.

117, comma 3, Cost.

    Lo stesso  comma  5,  imponendo  alle  Regioni  di  adeguarsi  ai

principi di cui al comma 1 relativamente agli enti, alle  agenzie  ed

agli organismi comunque denominati e di qualsiasi natura che svolgano

ai sensi dell'art. 118 Cost. funzioni amministrative  conferite  alle

medesime Regioni, impone, in realta', alle  Regioni  di  ridurre  una

singola, specifica  e  ben  individuata  voce  di  spesa,  in  palese

contrasto  con  la  Costituzione  (artt.  117  e  119  Cost.)  e  con

l'interpretazione che di essa ha dato Codesto Ecc.mo  Collegio  nella

sentenza n. 157/2007 ed in molte altre.

    Premesso  che  -  come  si  e'  gia'  detto  -  le  Regioni  sono

legittimate a denunciare l'illegittimita' costituzionale di una legge

statale anche per violazione  delle  competenze  proprie  degli  Enti

locali «purche' la "stretta connessione, in particolare [...] in tema

di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle

delle autonomie locali consenta di  ritenere  che  la  lesione  delle

competenze  locali  sia  potenzialmente  idonea  a  determinare   una

vulnerazione delle competenze regionali" (sentenze n. 95 del 2007, n.

417 del 2005 e n.  196  del  2004)»  (cosi'  Corte  cost.,  sent.  n.

169/2007; cio', peraltro, anche argomentando dall'art. 32,  comma  2,

l. n. 87/1953, secondo cui il ricorso della Regione avverso la  legge

statale puo' essere proposto anche su proposta  del  Consiglio  delle

autonomie locali), non v'e' chi non veda che il comma 6  dell'art.  9

(che vieta agli Enti locali di istituire enti,  agenzie  o  organismi

che  esercitino  una  o  piu'  funzioni   fondamentali   e   funzioni

amministrative loro conferite ai sensi dell'art.  118  Cost.)  viola:

(i) l'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., perche' non disciplina  gli

organi di governo e le funzioni fondamentali degli  Enti  locali,  ma

anzi  invade  una  materia   certamente   riservata   alla   potesta'

legislativa regionale; (ii) l'art. 118  Cost.,  perche'  interferisce

pesantemente con l'autonomia amministrativa degli Enti locali  e  con

il potere (costituzionalmente previsto) delle  Regioni  di  conferire

funzioni amministrative agli Enti locali;  (iii)  l'art.  119  Cost.,

perche'  interferisce  pesantemente   con   l'autonomia   finanziaria

regionale e locale.

    In generale e da ultimo, devesi evidenziare la  violazione  degli

artt. 3 e 97 Cost., da cui si desume il principio  di  ragionevolezza

della legislazione: il legislatore statale, infatti, ha intrapreso la

via  (probabilmente   rapida   ed   efficace,   ma   certamente   non

condivisibile in una logica di sistema) di imporre dall'alto  divieti

e vincoli, piuttosto che sollecitare correzioni dal  basso  idonee  a

coniugare la ricchezza  dei  diversi  modelli  organizzativi  con  la

necessita' di contenimento della spesa pubblica.

3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 16-bis  d.l.  n.  95/2012,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,  per  violazione

degli artt. 117 e 119 Cost.

    L'art. 16-bis d.l. n.  95/2012,  convertito,  con  modificazioni,

nella  l.  n.  135/2012,  rubricato  «Patto  Governo-regioni  per  il

trasporto pubblico locale», disciplina  il  fondo  per  il  trasporto

pubblico  locale,  anche  ferroviario,  nelle   Regioni   a   statuto

ordinario.

    Ivi si prevede, per quanto qui maggiormente interessa e rinviando

alla lettura della disposizione per ogni maggiore dettaglio,  che  le

risorse di tale fondo, una volta definiti i criteri  e  le  modalita'

con cui ripartire e trasferire alle Regioni a  statuto  ordinario  le

risorse del fondo stesso, «non possono essere destinate  a  finalita'

diverse da quelle del finanziamento del  trasporto  pubblico  locale,

anche ferroviario».  Identica  destinazione  deve  essere  data  alle

risorse derivanti dalla compartecipazione al gettito dell'accisa  sul

gasolio prevista dall'art. 1, commi 295-297, l. n. 244/2007.

    L'art.   16-bis   e'   costituzionalmente   illegittimo   perche'

disciplina un fondo a destinazione vincolata in una  materia,  quella

del «trasporto pubblico locale», che, per espresso riconoscimento  di

Codesto Ecc.mo Collegio, rientra nella potesta' legislativa residuale

regionale (cfr. inter alia Corte cost., sent. n. 452/2007).

    Peraltro,   come   si   trova   ripetutamente   affermato   nella

giurisprudenza di Codesto Ecc.mo Collegio, «non sono [...] consentiti

finanziamenti a  destinazione  vincolata  in  materie  di  competenza

regionale  residuale  ovvero   concorrente,   in   quanto   cio'   si

risolverebbe in uno strumento indiretto, ma pervasivo,  di  ingerenza

dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli  enti

locali, nonche'  di  sovrapposizione  di  politiche  e  di  indirizzi

governati centralmente a quelli legittimamente decisi  dalle  Regioni

negli ambiti materiali di propria competenza», il tutto in violazione

sia dell'art. 117 Cost. (che disciplina il riparto  delle  competenze

legislative tra Stato  e  Regione),  sia  dell'art.  119  Cost.  (che

riconosce l'autonomia  finanziaria  regionale)  (cosi'  Corte  cost.,

sent. n. 50/2008, con  richiami  giurisprudenziali;  cfr.  da  ultimo

anche Corte cost., sent. n. 99/2009, essa pure con numerosi  richiami

giurisprudenziali).

    Non senza aggiungere a quanto appena rilevato che ad integrare  i

parametri di costituzionalita' di cui agli artt. 117 e 119 Cost.  sta

anche il d.lgs. n. 68/2011 (3) , adottato in attuazione della  l.  n.

42/2009 (4) , il quale prevede, per  quanto  qui  interessa,  (i)  la

soppressione, a decorrere dall'anno 2013, di «tutti  i  trasferimenti

statali di parte corrente e, ove non finanziati  tramite  il  ricorso

all'indebitamento,  in  conto  capitale,  alle  regioni   a   statuto

ordinario aventi carattere di generalita' e  permanenza  e  destinati

all'esercizio  delle  competenze  regionali,  ivi   compresi   quelli

finalizzati all'esercizio di funzioni da parte di province e  comuni»

(art. 7, comma 1, d.lgs. n. 68/2011)  e  (ii)  la  soppressione  «dei

trasferimenti statali alle regioni, aventi carattere di generalita' e

permanenza, relativi al trasporto pubblico locale e alla  conseguente

fiscalizzazione degli stessi trasferimenti» (art. 32, comma 4, d.lgs.

n. 68/2011).

    A quanto fin qui detto, devesi aggiungere, infine, che il comma 2

dell'art. 16-bis, nella parte in cui prevede che le risorse derivanti

dalla compartecipazione al gettito dell'accisa  sul  gasolio  di  cui

all'art.  1,  commi  295  ss.,   l.   n.   244/2007   devono   essere

necessariamente destinate al  finanziamento  del  trasporto  pubblico

locale,  anche  ferroviario,  viola  l'art.  119  Cost.,  cosi'  come

integrato dall'art. 7 l. n. 42/2009 e 1 d.lgs. n. 68/2011. L'art. 119

Cost.   dispone,   infatti,   che   le   Regioni    «dispongono    di

compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile  al  loro

territorio», le quali, in base all'art. 7, comma 1, lett. e),  l.  n.

42/2009 e all'art. 1, commi 2 e 3, d.lgs. n. 68/2011,  devono  essere

senza vincolo di destinazione.

4)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  17  d.l.  n.  95/2012,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,  per  violazione

degli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118, 119, 132 e 133 Cost.

    L'art. 17 d.l. n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella

l. n. 135/2012, rubricato «Riordino delle province e loro  funzioni»,

dispone, in estrema sintesi (e rinviando alla  sua  lettura  completa

per ogni ulteriore dettaglio), quanto segue:

        (i) tutte le  Province  delle  Regioni  a  statuto  ordinario

esistenti alla data di entrata in vigore del  d.l.  n.  95/2012  sono

oggetto di riordino sulla base dei criteri e secondo la procedura  di

cui ai commi 2 e 3 - comma 1;

        (ii)  il  Consiglio  dei  ministri  determina,  con  apposita

deliberazione, il riordino delle Province  sulla  base  di  requisiti

minimi,  da  individuarsi  nella  dimensione  territoriale  e   nella

popolazione residente in ciascuna  Provincia;  sono  fatte  salve  le

Province nel cui territorio si trova il Comune capoluogo di regione e

quelle confinanti solo con Province di Regioni diverse da  quella  di

appartenenza e con una delle Province di cui all'art. 18, comma  1  -

comma  2  (la  deliberazione  cui  ivi  si  fa  riferimento   e'   la

deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012,  recante

«Determinazione dei criteri per il riordino delle province,  a  norma

dell'art. 17, comma 2, del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95»,

pubblicata in Gazzetta Ufficiale -  Serie  Generale  n.  171  del  24

luglio 2012) - comma 2;

        (iii) «il Consiglio delle autonomie locali di ogni regione  a

statuto ordinario o, in mancanza, l'organo regionale di raccordo  tra

regioni  ed  enti  locali,  entro  settanta  giorni  dalla  data   di

pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della  deliberazione  di  cui  al

comma 2, nel rispetto della continuita' territoriale della provincia,

approva una ipotesi di riordino relativa alle  province  ubicate  nel

territorio della rispettiva regione e la invia alla regione  medesima

entro  il  giorno  successivo.  Entro  venti  giorni  dalla  data  di

trasmissione dell'ipotesi di riordino o, comunque, anche in  mancanza

della trasmissione, trascorsi novantadue giorni dalla citata data  di

pubblicazione, ciascuna regione trasmette al Governo, ai fini di  cui

al comma 4, una proposta  di  riordino  delle  province  ubicate  nel

proprio territorio, formulata sulla base dell'ipotesi di cui al primo

periodo. Le ipotesi e le proposte di  riordino  tengono  conto  delle

eventuali iniziative comunali volte a  modificare  le  circoscrizioni

provinciali esistenti alla data di adozione  della  deliberazione  di

cui al comma 2. Resta fermo che il riordino  deve  essere  effettuato

nel  rispetto  dei  requisiti  minimi  di  cui  al  citato  comma  2,

determinati sulla base dei  dati  di  dimensione  territoriali  e  di

popolazione, come esistenti alla data di adozione della deliberazione

di cui al medesimo comma 2» - comma 3;

        (iv) «entro sessanta giorni dalla data di entrata  in  vigore

della legge di conversione del presente decreto, con atto legislativo

di iniziativa governativa le  province  sono  riordinate  sulla  base

delle  proposte  regionali  di  cui  al  comma  3,  con   contestuale

ridefinizione  dell'ambito  delle   citta'   metropolitane   di   cui

all'articolo 18, conseguente alle eventuali iniziative dei comuni  ai

sensi dell'articolo 133, primo comma della Costituzione  nonche'  del

comma 2 del medesimo articolo 18.  Se  alla  data  di  cui  al  primo

periodo una o piu'  proposte  di  riordino  delle  regioni  non  sono

pervenute al Governo, il provvedimento legislativo di cui  al  citato

primo periodo e' assunto previo parere della Conferenza unificata  di

cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,  e

successive  modificazioni,  che  si  esprime   entro   dieci   giorni

esclusivamente in ordine  al  riordino  delle  province  ubicate  nei

territori delle regioni medesime» - camma 4 (5) ;

        (v) all'esito della procedura di  riordino,  sono  attribuite

alle Province (quali enti con funzioni di  area  vasta)  le  seguenti

funzioni (ai sensi e per gli effetti dell'art. 117,  comma  2,  lett.

p), Cast.): pianificazione territoriale provinciale di  coordinamento

nonche' tutela e valorizzazione dell'ambiente,  per  gli  aspetti  di

competenza;  pianificazione  dei  servizi  di  trasporto  in   ambito

provinciale, autorizzazione  e  controllo  in  materia  di  trasporto

privato,  in  coerenza  con  la  programmazione   regionale   nonche'

costruzione, classificazione e gestione delle  strade  provinciali  e

regolazione   della   circolazione   stradale   ad   esse   inerente;

programmazione  provinciale  delle   rete   scolastica   e   gestione

dell'edilizia scolastica relativa alle scuole secondarie  di  secondo

grado - comma 10.

    Prima di procedere con l'esposizione  degli  svariati  motivi  di

illegittimita' costituzionale dell'art.  17,  devesi  preliminarmente

evidenziare (rectius ribadire) che la Regione  Veneto,  alla  stregua

della giurisprudenza di Codesto Ecc.mo Collegio sopra  ricordata,  e'

pienamente legittimata  ad  impugnare  l'art.  17  d.l.  n.  95/2012,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012, che pur concerne

il «riordino» delle Province.

    E' noto, infatti, che le Regioni sono  legittimate  a  denunciare

l'illegittimita'  costituzionale  di  una  legge  statale  anche  per

violazione delle competenze proprie degli  Enti  locali  «purche'  la

"stretta connessione [...] tra le  attribuzioni  regionali  e  quelle

delle autonomie locali consenta di  ritenere  che  la  lesione  delle

competenze  locali  sia  potenzialmente  idonea  a  determinare   una

vulnerazione delle competenze regionali" (sentenze n. 95 del 2007, n.

417 del 2005 e  n.  196  del  2004)»  (cfr.  Corte  cost.,  sent.  n.

169/2007, con richiami giurisprudenziali).

    E' evidente che il riordino delle Province avviene - ne' potrebbe

essere altrimenti - passando  attraverso  la  loro  soppressione.  In

questo  modo  -  come  peraltro  gia'  evidenziato  nell'impugnazione

proposta dalla Regione Veneto avverso l'art.  23  d.l.  n.  201/2011,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 214/2011 (antesignano,  in

un certo senso, della disposizione  ivi  impugnata)  -  risulta  lesa

l'autonomia   regionale   costituzionalmente   garantita.   Con    il

riordino/soppressione delle Province, infatti, la Regione finisce per

essere privata di un interlocutore istituzionale dotato di  autonomia

amministrativa e finanziaria (la  Provincia),  cui  la  Regione,  nel

rispetto dell'art. 118 Cost. (6) , puo' affidare (ed anzi normalmente

affida) funzioni amministrative (il che assume particolare rilievo in

una Regione come il Veneto, il cui tessuto territoriale e' costituito

da Comuni di piccola dimensione: in Veneto il 54% dei Comuni ha  meno

di 5.000 abitanti).

    Non   senza   aggiungere,   poi,   che   la    Regione    risulta

irrimediabilmente  lesa  anche  in  ordine  alle   proprie   potesta'

legislative (concorrenti e residuali) di cui all'art. 117, comma 3  e

4, Cost. e regolamentari di cui all'art. 117, comma 6, Cost., proprio

per il  fatto  di  essere  privata  dell'interlocutore  istituzionale

Provincia.

    Ulteriore  lesione  dell'autonomia  regionale  costituzionalmente

garantita (oltre che la violazione degli  artt.  3  e  97  Cost.)  si

ricava dalla lettura congiunta dei commi 6, 10 ed 11 dell'art. 17: le

funzioni amministrative conferite alle Province con legge dello Stato

e rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva  dello

Stato ex art. 117, comma 2, Cost. sono trasferite  ai  Comuni  (comma

6); alle Province  sono  attribuite  le  sole  funzioni  (addirittura

definite fondamentali ex art. 117, comma 2, lett. p), Cost.)  di  cui

al   comma   10   (pianificazione   territoriale    provinciale    di

coordinamento, tutela e valorizzazione dell'ambiente,  pianificazione

dei servizi di trasporto in ambito provinciale e poche altre ancora);

restano ferme - dispone il comma 11 - le funzioni di programmazione e

di coordinamento delle Regioni, loro spettanti nelle materie  di  cui

all'articolo 117, commi 3 e 4, Cost., e  le  funzioni  esercitate  ai

sensi dell'art. 118 Cost.

    Non   occorrono   molte   parole   per   rappresentare   che   la

redistribuzione delle funzioni amministrative tra Comuni, Province  e

Regione  imposta  dall'art.  17  in  esame  finisce  per   sovvertire

irragionevolmente (e dunque in violazione degli artt. 3 e  97  Cost.)

l'intero assetto costituzionale regionale e  delle  autonomie  locali

(che a quello regionale e' intimamente  legato)  in  violazione,  tra

l'altro, degli artt. 5  e  114  Cost.  E'  possibile  ipotizzare  che

compiti di "area vasta", fino ad oggi gestiti dalle Province, possano

essere attribuiti agli oltre 8.000 Comuni  presenti  in  Italia,  dei

quali circa 7.500 con meno di 15.000 abitanti? Forse che non  sarebbe

violato il principio di sussidiarieta' verticale di cui all'art. 118,

comma 1, Cost., in virtu' del quale certi compiti, in  ragione  della

dimensione territoriale ottimale, richiedono un esercizio ad opera di

un livello di  governo  sovracomunale,  rappresentato  proprio  dalle

Province?

    Premesso che quanto fin qui esposto ha consentito di  evidenziare

non  solo,  in  rito,  la   legittimazione   della   Regione   Veneto

all'impugnazione  dell'art.  17  d.l.  n.  95/2012,  convertito,  con

modificazioni, nella l. n. 135/2012, bensi'  anche,  nel  merito,  la

violazione degli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost.,  si  puo'

ora passare all'esposizione degli ulteriori motivi di  illegittimita'

costituzionale.

4.1. Violazione dell'art. 133 Cost.

    Devesi premettere che l'art. 17  in  esame  costituisce  il  piu'

recente tentativo posto  in  essere  dal  legislatore  di  riordinare

(rectius:  eliminare)  le  Province  al  di  fuori  del  procedimento

all'uopo previsto da un precetto costituzionale.

    L'art. 133, comma 1, Cost. prevede, infatti,  che  «il  mutamento

delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di  nuove  Province

nell'ambito d'una regione sono stabiliti con legge della  Repubblica,

su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione».

    Dalla norma costituzionale si evince, dunque, che la legge  della

Repubblica  che  dispone  la   modificazione   delle   circoscrizioni

provinciali debba essere una «legge rinforzata», dal momento  che  si

prevede che l'iniziativa sia riservata ai Comuni con  l'aggiunta  del

previo parere regionale. Si tratta evidentemente di una condizione di

ampio favore per le comunita' locali, che comporta, alla lettera, che

qualunque modifica all'assetto delle Province, cosi' come recepito al

momento di  entrata  in  vigore  della  Costituzione,  sia  possibile

soltanto a seguito di un impulso dei Comuni.

    La disposizione costituzionale  e'  integrata  dall'art.  21  del

Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli  Enti  locali  -  TUEL

(d.lgs. n. 267/2000), il quale indica alcuni requisiti procedurali  e

sostanziali  per  tale  iniziativa.  Tra  questi  si  ricorda  quello

relativo alla necessita' che la modifica dell'assetto della Provincia

ottenga   l'adesione   della   maggioranza   dei   Comuni   dell'area

interessata,  che  comunque  rappresentino   la   maggioranza   della

popolazione complessiva dell'area stessa, mediante una  deliberazione

assunta a maggioranza assoluta dei consiglieri  assegnati  (art.  21,

comma 3, lett. d), TUEL).

    Alla legge della Repubblica, pertanto, spetta unicamente un ruolo

di garanzia,  ossia  di  verifica  che  l'eventuale  revisione  delle

circoscrizioni provinciali esistenti o  il  loro  accorpamento  siano

conformi all'interesse generale. La norma costituzionale, dunque, non

prevede che un qualunque intervento statale possa  predeterminare  le

condizioni idonee a garantire la sopravvivenza dell'ente provinciale.

    Il d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni,  nella  l.  n.

135/2012, invece, reca un'articolata procedura sostitutiva di  quella

costituzionale, dal momento che, sebbene voglia  coinvolgere  Regione

ed Enti locali nell'applicazione dei parametri indicati  dal  Governo

nella deliberazione del Consiglio dei Ministri del  20  luglio  2012,

fuoriesce dal procedimento indicato  all'art.  133,  comma  1,  Cost.

Infatti, l'iter procedurale previsto  dal  provvedimento  sulla  c.d.

spending  review  delinea  un  percorso  il  cui  contenuto  e'  gia'

precostituito dal Governo e non e' affatto  rimesso  alla  libera  ed

autonoma iniziativa dei Comuni. E' dunque evidente che l'art. 17  del

d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,

si pone in contrasto con l'art. 133, comma 1, Cost.

    Nella relazione al disegno di legge di iniziativa governativa  n.

3396 per la conversione del d.l. n. 95/2012 si trova  scritto  quanto

segue:  «anche  a  voler  prescindere   dalla   considerazione   che,

trattandosi di riordino complessivo, non  trova  applicazione  l'art.

133 della Costituzione, va rilevato in ogni caso che  detto  articolo

e', nella sostanza, rispettato visto che  i  Comuni  sono  pienamente

coinvolti tramite il Consiglio  delle  autonomie  locali»  (pag.  371

della relazione di accompagnamento). Secondo il Governo,  quindi,  in

caso di riordino delle Province, che coinvolga  tutto  il  territorio

nazionale, e' possibile derogare al procedimento legislativo di  tipo

aggravato di cui all'art. 133, comma 1, della  Carta  costituzionale.

La norma costituzionale, pertanto, troverebbe applicazione unicamente

per modifiche di circoscrizioni provinciali ed istituzioni  di  nuove

Province limitate all'ambito regionale.

    La tesi difensiva del  Governo  e'  alquanto  labile.  Non  senza

premettere che anche il caso di riordino complessivo produce  i  suoi

effetti sempre e comunque all'interno di  una  Regione,  non  essendo

consentita un'ipotesi di riduzione/accorpamento concernente  Province

di Regioni contermini (perche', in  questa  evenienza,  la  Provincia

dovrebbe  prima  staccarsi  dalla  Regione  di  appartenenza  e   poi

aggregarsi a quella confinante  ai  sensi  dell'art.  132,  comma  2,

Cost.), dalla lettura dell'art. 133, comma 1, non  emergono  elementi

atti a suffragare un'interpretazione derogatoria nell'evenienza di un

intervento generalizzato sulle Province.

    Mette conto sottolineare che, quando Codesto Ecc.mo  Collegio  si

e' occupato dell'art. 133, comma 1, Cost., nel caso della sentenza n.

347/1994, relativa al caso della istituzione della Provincia di Lodi,

ha ritenuto che l'istituzione di Province o  la  modifica  di  quelle

esistenti possa essere effettuata, oltre che con legge  formale,  con

ricorso ad una delega legislativa (par. 3 Considerato  in  diritto.),

ma sempre nel rispetto di quel  procedimento  ascensionale  che  vede

coinvolti, in  primis,  i  Comuni.  Al  potere  legislativo,  ha  poi

proseguito la Corte costituzionale, «spetta soltanto valutare,  nella

fase   conclusiva   dello   stesso   procedimento,   l'idoneita'    e

l'adeguatezza dell'ambito territoriale destinato a costituire la base

della nuova Provincia».

    Sostenere poi che la norma costituzionale e' comunque  rispettata

in quanto prevede un coinvolgimento  delle  amministrazioni  comunali

tramite i Consigli delle autonomie locali (CAL) e' affermazione priva

di fondamento. Infatti, l'iniziativa comunale di  cui  all'art.  133,

comma 1, Cost. si configura  in  modo  molto  diverso  rispetto  alle

ipotesi del piano di accorpamenti e riduzioni che devono  adottare  i

Consigli delle autonomie locali o, in mancanza, gli organi  regionali

di raccordo, come prevede  l'art.  17,  comma  2,  d.l.  n.  95/2012,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012. Sono  i  Comuni,

enti  locali  territoriali  singolarmente  considerati,   ad   essere

titolari  della  riserva  di  competenza  ad  attivare  un  eventuale

procedimento di revisione e  non  altri  organismi.  Inoltre,  l'iter

procedurale previsto dal provvedimento sulla spending review  delinea

un percorso il cui contenuto e' gia' precostituito dal Governo e  non

e'  affatto  rimesso  alla  libera  ed  autonoma   iniziativa   delle

amministrazioni comunali, per di piu' prevedendo un intervento in via

sostitutiva del Governo (art.  17,  comma  4)  nel  caso  in  cui  le

deliberazioni non dovessero essere assunte.

    Giova ricordare che, un anno fa,  un  procedimento  del  tipo  di

quello  delineato  dall'art.  17,  anche  in  modo  formalmente  piu'

aderente   alla   Costituzione,   era   gia'   stato   previsto   con

decreto-legge,  successivamente  ritirato   per   le   obiezioni   di

incostituzionalita' segnalate, fra gli altri,  dagli  stessi  tecnici

del Quirinale.

    Ci riferiamo all'art. 15 del d.l. n.  138/2011,  che  aveva  gia'

previsto la soppressione delle Province  diverse  da  quelle  la  cui

popolazione rilevata al censimento  generale  della  popolazione  del

2011  fosse  superiore  a  300.000  abitanti  o  la  cui   superficie

complessiva fosse superiore a 3.000 chilometri quadrati.

    La soppressione avrebbe dovuto decorrere dalla data  di  scadenza

del mandato amministrativo provinciale. Entro lo  stesso  termine,  i

Comuni del territorio della circoscrizione delle  Province  soppresse

avrebbero dovuto esercitare l'iniziativa di cui all'art.  133,  comma

1,  Cost.,  al  fine  di  essere  aggregati  ad  un'altra   Provincia

all'interno del territorio regionale, nel rispetto del  principio  di

continuita' territoriale.

    In assenza dell'iniziativa dei  Comuni,  le  funzioni  esercitate

dalle Province soppresse sarebbero state trasferite alle Regioni, che

avrebbero potuto attribuirle, anche in parte, ai Comuni gia'  facenti

parte  delle   circoscrizioni   delle   Province   soppresse   oppure

attribuirle alle Province limitrofe a quelle  soppresse,  delimitando

l'area di competenza di ciascuna di queste ultime.

    In  tal  caso  era  previsto  che,  con  decreto   del   Ministro

dell'interno,  andavano  trasferiti  alla  Regione  personale,  beni,

strumenti operativi e risorse finanziarie adeguati. La  norma  poneva

infine il divieto di istituire Province in  Regioni  con  popolazione

inferiore a 500.000 abitanti. La legge 14 settembre 2011 n.  148,  di

conversione del d.l. 138/2011, ha soppresso le  previsioni  dell'art.

15, sulla base delle obiezioni di carattere costituzionale  sollevate

da piu' parti.

    Non e' dato davvero  comprendere  perche'  mai,  ad  un  anno  di

distanza,  il  Governo   abbia   cambiato   idea,   riproponendo   un

procedimento di riordino delle Province ancora piu' in contrasto  con

l'art. 133 della Costituzione di quanto non lo fosse quello contenuto

nel d.l. n. 138 del 2011, ove, almeno in parte, vi era un riferimento

espresso al procedimento costituzionale di cui  all'art.  133  Cost.,

del tutto ignorato, invece, dal  d.l.  n.  95/2012  (fatto  salvo  il

richiamo  alla  norma  costituzionale,  introdotto  dalla  legge   di

conversione n. 135/2012, affinche' nelle proposte di  riordino  delle

Regioni si tenga conto delle «eventuali»  iniziative  dei  Comuni  ai

sensi dell'art. 133, primo comma, Cost.).

    Non va infine dimenticato che e' stata fissata per il 6  novembre

2012, in udienza pubblica, la trattazione dei ricorsi presentati alla

Corte costituzionale da sei Regioni -  Piemonte,  Lombardia,  Veneto,

Molise, Lazio e Campania - per  la  dichiarazione  di  illegittimita'

costituzionale  dell'art.  23,  commi  14-21,   del   d.l.   201/2011

convertito  in  legge  214/2011  (c.d.«salva  Italia»).   I   ricorsi

presentati dalle Regioni, seppure con  sfumature  ed  approfondimenti

diversi, lamentano che le disposizioni approvate siano palesemente in

contrasto  con  i  principi  e  le  disposizioni  costituzionali  che

disciplinano i rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali  ed,

in particolare, con gli artt. 5, 114, 117  (comma  2,  lettera  p)  e

comma 6), 118 e 119 Cost.  e  siano,  altresi',  incongruenti  con  i

principi generali della  disciplina  degli  enti  locali  del  nostro

ordinamento.  Le  decisioni  della  Corte  costituzionale  potrebbero

mettere in discussione l'intero impianto normativo voluto dal Governo

in carica.

4.2. Violazione dell'art. 132 Cost.

    L'art. 17 d.l. n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella

l. n. 135/2012, ove  interpretato  nel  senso  di  consentire/imporre

anche l'accorpamento di Province appartenenti a Regioni diverse, deve

ritenersi incostituzionale per violazione del comma 2  dell'art.  132

Cost., il quale impone, in tal caso, un  diverso  procedimento  cosi'

descritto:

    «Si puo', con l'approvazione della maggioranza delle  popolazioni

della Provincia o delle Province  interessate  e  del  Comune  o  dei

Comuni interessati espressa mediante referendum  e  con  legge  della

Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che  Province  e

Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una  Regione  ed

aggregati ad un'altra».

4.3. Violazione dell'art. 77 Cost.

    Premesso che e' pacifico che la Regione Veneto stia  ivi  facendo

valere la  violazione  delle  proprie  competenze  costituzionalmente

garantite e che dunque e' pienamente  legittimata  a  far  valere  la

violazione dell'art. 77 Cost. (cfr. inter alla Corte cost., sent.  n.

199/2012),  devesi  evidenziare   che   l'art.   17   e'   certamente

incostituzionale per carenza  dei  presupposti  che  la  Costituzione

impone debbano ricorrere per la decretazione d'urgenza.

    La Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 29/1995,  ha

esplicitato che il Governo e' legittimato ad  adottare  provvedimenti

provvisori aventi forza di legge unicamente quando, in ragione di una

circostanza  eccezionale  ed   imprevedibile,   non   sia   possibile

provvedere con gli strumenti legislativi ordinari, dal momento che si

rende necessaria ed improcrastinabile la produzione  immediata  degli

effetti propri del decreto governativo.

    Va inoltre ricordato che  l'art.  14  della  l.  n.  400/1988  ha

espressamente  chiarito  che   non   possono   formare   oggetto   di

decretazione d'urgenza da  parte  del  Governo  le  materie  previste

dall'art. 72, comma 4, della Costituzione, tra le quali sono  incluse

le norme di carattere costituzionale o elettorale. Ne deriva  che  la

riforma delle Province, attenendo alla  modifica  dell'assetto  dello

Stato stesso, non puo' certamente avvenire per decreto-legge.

    Non puo' nemmeno giustificarsi la  straordinarieta'  e  l'urgenza

con aspetti di tipo economico-finanziario, visto  che  e'  lo  stesso

Governo che, nella  relazione  tecnica  al  decreto-legge  n.  95,  a

proposito  dell'art.   17,   ha   espressamente   riconosciuto   che,

trattandosi di una norma di procedura, non e' possibile, allo  stato,

quantificarne  gli  effetti  finanziari,  dovendosi   rinviare   ogni

valutazione al riguardo al completamento della riforma (sic!).

    All'obiezione, poi, che la legge di conversione sarebbe in  grado

di «sanare» la mancanza  dei  presupposti  giustificativi,  la  Corte

costituzionale ha risposto che  la  legge  di  conversione  non  puo'

essere considerata idonea a produrre questo  effetto,  altrimenti  si

attribuirebbe al legislatore  ordinario  il  potere  di  alterare  il

riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del  Governo

quanto alla produzione delle fonti primarie (cfr.  inter  alla  Corte

cost., sentt. nn. 171/2007 e 128/2008).

5)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  18  d.l.  n.  95/2012,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,  per  violazione

degli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118, 119, 132 e 133 Cost.

    L'art. 18 d.l. n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella

l. n. 135/2012, rubricato «Istituzione delle Citta'  metropolitane  e

soppressione delle province del  relativo  territorio»,  dispone,  in

estrema sintesi e rinviando alla lettura della disposizione per  ogni

ulteriore dettaglio, quanto segue:

        (i) all'asserito fine di garantire l'efficace  ed  efficiente

svolgimento delle funzioni amministrative in attuazione  degli  artt.

114 e 117, comma 2, lett. p), Cost., sono soppresse  le  Province  di

Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli

e Reggio Calabria e sono contestualmente istituite le relative Citta'

metropolitane - comma 1;

        (ii)  sono  abrogati  gli   artt.   22   e   23   TUEL,   che

disciplinavano, rispettivamente, le aree metropolitane  e  le  Citta'

metropolitane, e gli artt. 23 e 24, commi 9  e  10,  l.  n.  42/2009,

recanti,  rispettivamente,   «Norme   transitorie   per   le   citta'

metropolitane» e «Ordinamento transitorio di Roma capitale  ai  sensi

dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione» - comma 1;

        (iii) alla Citta' metropolitana sono attribuite  le  funzioni

fondamentali  delle  Province  e  le  seguenti   ulteriori   funzioni

fondamentali:  pianificazione  territoriale  generale  e  delle  reti

infrastrutturali; strutturazione di sistemi  coordinati  di  gestione

dei servizi pubblici, nonche' organizzazione dei servizi pubblici  di

interesse generale di ambito metropolitano; mobilita'  e  viabilita';

promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale - comma

7;

        (iv)  Io  Stato  e  le  Regioni,  ciascuno  per  le   proprie

competenze,   attribuiscono   ulteriori    funzioni    alle    Citta'

metropolitane  in  attuazione   dei   principi   di   sussidiarieta',

differenziazione e adeguatezza di cui all'art. 118, comma 1, Cost.  -

comma 11-bis;

        (v)  lo  statuto  definitivo   della   Citta'   metropolitana

«disciplina i rapporti  fra  i  comuni  facenti  parte  della  citta'

metropolitana e le modalita' di organizzazione e di  esercizio  delle

funzioni metropolitane, prevedendo  le  modalita'  con  le  quali  la

citta' metropolitana puo' conferire  ai  comuni  ricompresi  nel  suo

territorio  o  alle  loro   forme   associative,   anche   in   forma

differenziata per determinate aree  territoriali,  proprie  funzioni,

con il contestuale trasferimento delle risorse umane,  strumentali  e

finanziarie necessarie per il loro svolgimento» - comma 9, lett. c);

        (vi)  lo  statuto  della  Citta'  metropolitana  «prevede  le

modalita'  con  le  quali i  comuni  facenti   parte   della   citta'

metropolitana e le loro forme associative possono  conferire  proprie

funzioni alla medesima con il contestuale trasferimento delle risorse

umane, strumentali e finanziarie necessarie per il loro  svolgimento»

- comma 9, lett. b);

        (vii)   i   rimanenti   commi   dell'art.   18   disciplinano

l'organizzazione ed il funzionamento della Citta'  metropolitana  con

disposizioni di minuto dettaglio.

    Il  fatto  che  l'art.  18  disponga  -  sbrigativamente   -   la

soppressione delle Province di Roma,  Milano,  Torino,  Venezia  etc.

impone di estendere all'art. 18 le stesse censure  di  illegittimita'

costituzionale avanzate sopra (sub 4) nei confronti dell'art. 17 d.l.

n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella  l.  n.  135/2012,

censure che devono intendersi qui  integralmente  richiamate  (e  non

riprodotte per evitare inutili appesantimenti).

    Un tanto premesso, devesi evidenziare, poi,  che  il  legislatore

statale ha istituito le Citta' metropolitane di Roma, Milano, Torino,

Venezia etc. dall'alto, non prevedendo affatto - cosi'  come  avrebbe

imposto il rispetto dei fondamentali artt. 5 e 114,  3  e  97  e  133

Cost. o, comunque, dei principi da essi  desumibili  -  un'iniziativa

dal basso,  a  partire  dai  Comuni  o  dalle  Province.  Decisamente

conformi a Costituzione, perche' prevedevano un'iniziativa dal  basso

(vale a dire da parte dei Comuni e/o delle Province)  erano,  invece,

gli artt. 23 TUEL e 23 l. n. 42/2009, che, pero', sono stati abrogati

proprio dal comma 1 dell'art. 18 in questione!

    L'art. 18 non prevede  alcuna  (seria)  forma  di  coinvolgimento

della   Regione   nell'istituzione   della   Citta'    metropolitana,

circostanza,  questa,  che  si  appalesa  del  tutto   lesiva   delle

competenze regionali costituzionalmente  garantite  (come,  noto,  ai

sensi dell'art. 118, comma  2,  Cost.,  la  Citta'  metropolitana  e'

titolare  di  funzioni  amministrative  conferite  anche  con   legge

regionale e, inoltre, ai sensi dell'art.  117,  comma  2,  lett.  p),

Cost., allo Stato e' rimessa solo la  disciplina  della  legislazione

elettorale, degli organi di governo e,  delle  funzioni  fondamentali

delle  Citta'  metropolitane)  e  comunque  del  principio  di  leale

collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

    Le lettere c) e d) del  comma  9  dell'art.  18,  che  prevedono,

rispettivamente, il conferimento di proprie funzioni da  parte  della

Citta' metropolitana ai Comuni ed il conferimento di proprie funzioni

da parte dei Comuni alla  Citta'  metropolitana,  si  appalesano  del

tutto lesivi dell'art. 118,  comma  2,  Cost.,  che  dispone  che  il

conferimento di funzioni amministrative ai Comuni, alle  Province  ed

alle Citta' metropolitane avviene mediante legge statale o  -  ed  e'

quella che ivi maggiormente interessa  -  regionale  («I  Comuni,  le

Province  e  le  Citta'  metropolitane  sono  titolari  di   funzioni

amministrative proprie e di quelle  conferite  con  legge  statale  o

regionale, secondo le rispettive competenze»).

    In altre parole,  la  Costituzione  non  prevede  che  le  Citta'

metropolitane possano conferire funzioni amministrative ai Comuni  o,

viceversa, che i Comuni  possano  conferire  funzioni  amministrative

alle Citta' metropolitane, ma prevede, invece, che  la  competenza  a

disciplinare la titolarita' delle funzioni amministrative spetta allo

Stato  ed  alle  Regioni  in  funzione  della   relativa   competenza

legislativa.

6)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  19  d.l.  n.  95/2012,

convertito, con modificazioni, nella l. n.  135/2012  per  violazione

degli artt. 3, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost.

    L'art. 19 d.l. n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella

l.  n.  135/2012,  rubricato  «Funzioni  fondamentali  dei  comuni  e

modalita' di esercizio associato di  finzioni  e  servizi  comunali»,

riscrive, per quanto qui interessa, la disciplina di cui  agli  artt.

14 d.l. n.  78/2010  (convertito,  con  modificazioni,  nella  l.  n.

122/2010), 16 d.l. n. 138/2011 (convertito, con modificazioni,  nella

l. n. 148/2011 ed impugnato dinanzi  Codesto  Ecc.mo  Collegio  dalla

Regione Veneto con ricorso iscritto al n. 145/2011 Reg.  ric.)  e  32

d.lgs. n. 267/2000.

    Esso dispone, in estrema sintesi (e rinviando  alla  sua  lettura

integrale per ogni ulteriore dettaglio), quanto segue:

        (i) tutti i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti  (7)

 esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione  di

Comuni o convenzione, le funzioni fondamentali di  cui  all'art.  14,

comma 27, d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella l. n.

122/2010 e successivamente modificato proprio dall'art. 19, comma  1,

lett. a), d.l. n. 95/202, convertito, con modificazioni, nella l.  n.

135/2012 (ad esclusione di quelle di cui alla lettera 1) (8)  - comma

1, lett. b), che modifica il comma 28 dell'art. 14 d.l.  n.  78/2010,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010;

        (ii) il limite demografico minimo delle unioni di Comuni  con

popolazione fino a 5.000 abitanti e' fissato  in  10.000  abitanti  -

comma 1, lett. e), che modifica il comma  31  dell'art.  14  d.l.  n.

78/2010, convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010;

        (iii) le convenzioni, disciplinate dall'art. 30  TUEL,  hanno

durata triennale; tuttavia, ove alla scadenza  di  tale  periodo  non

siano stati  conseguiti  significativi  livelli  di  efficacia  e  di

efficienza nella gestione, i Comuni  interessati  sono  obbligati  ad

esercitare le funzioni fondamentali esclusivamente mediante unioni di

Comuni - comma 1, lett. e), che aggiunge il comma 31-bis all'art.  14

d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010;

        (iv) i Comuni interessati devono assicurare l'esercizio delle

funzioni fondamentali di cui sopra  entro  il    gennaio  2013  con

riguardo ad almeno tre di esse  ed  entro  il    gennaio  2014  con

riguardo alle restanti - comma 1, lett. e),  che  aggiunge  il  comma

31-ter all'art. 14 d.l. n. 78/2010,  convertito,  con  modificazioni,

nella l. n. 122/2010;

        (v) decorsi inutilmente i termini di cui si e'  appena  detto

(1° gennaio 2013 ed 1° gennaio 2014), il prefetto assegna  agli  enti

inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere, termine

decorso il quale trova applicazione l'art. 8 l. n. 131/2003  -  comma

1, lett. e), che aggiunge il comma  31-quater  all'art.  14  d.l.  n.

78/2010, convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010;

        (vi) «la regione, nelle  materie  di  cui  all'articolo  117,

commi  terzo  e  quarto,  della   Costituzione,   individua,   previa

concertazione con i  comuni  interessati  nell'ambito  del  Consiglio

delle  autonomie  locali,  la  dimensione  territoriale  ottimale   e

omogenea  per  area  geografica  per   lo   svolgimento,   in   forma

obbligatoriamente  associata  da  parte  dei  comuni  delle  funzioni

fondamentali di cui al comma 28, secondo  i  principi  di  efficacia,

economicita', di efficienza e di riduzione delle  spese,  secondo  le

forme associative previste dal comma 28. Nell'ambito della  normativa

regionale, i comuni avviano l'esercizio delle  funzioni  fondamentali

in forma associata entro il termine indicato dalla stessa  normativa»

- comma 1, lett. d), che modifica il comma 30 dell'art.  14  d.l.  n.

78/2010, convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010;

        (vii) i Comuni con popolazione  fino  a  1.000  abitanti,  in

alternativa  a  quanto  disposto  dall'art.  14  d.l.   n.   78/2010,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 122/2010, come  modificato

dall'art.  19,  comma   1,   d.l.   n.   95/2012,   convertito,   con

modificazioni,  nella  l.  n.  135/2012,  e  a  condizione   di   non

pregiudicarne l'applicazione, «possono esercitare in forma  associata

tutte le funzioni e tutti i servizi  pubblici  loro  spettanti  sulla

base della legislazione vigente mediante un'unione di comuni», cui si

applica, in deroga all'art. 32, commi 3 e 6, d.lgs. n.  267/2000,  la

disciplina  prevista  dall'art.  19,  comma  2,  d.l.   n.   95/2012,

convertito, con modificazioni, nella  l.  n.  135/2012  (che,  a  sua

volta,  modifica  l'art.  16  d.l.  n.  138/2011,   convertito,   con

modificazioni, nella l. n. 148/2011) - comma 2, nella  parte  in  cui

modifica l'art. 16,  comma  1,  d.l.  n.  138/2011,  convertito,  con

modificazioni, nella l. n. 148/2011;

        (viii) alternativamente all'unione di Comuni  di  cui  si  e'

appena detto sopra (sub vii), possono essere  stipulate  una  o  piu'

convenzioni di cui all'art. 30 TUEL di durata almeno  triennale,  con

applicazione, in  caso  di  mancato  conseguimento  di  significativi

livelli di efficacia ed efficienza nella gestione, del  comma  31-bis

all'art. 14 d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella  l.

n. 122/2010, aggiunto dall'art.  19,  comma  1,  lett,  e),  d.l.  n.

95/2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012 -  comma

2, nella parte in cui modifica l'art. 16, comma 12, d.l. n. 138/2011,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 148/2011;

        (ix) le unioni  dei  Comuni  con  popolazione  fino  a  1.000

abitanti sono  istituite  in  modo  che  la  complessiva  popolazione

residente nei rispettivi territori sia di  norma  superiore  a  5.000

abitanti (ovvero a 3.000 abitanti se i Comuni che intendono  comporre

una medesima unione  appartengono  o  sono  appartenuti  a  comunita'

montane) - comma 2, nella parte in cui modifica l'art. 16,  comma  4,

d.l.  n.  138/2011,  convertito,  con  modificazioni,  nella  l.   n.

148/2011;

        (x) i predetti Comuni con popolazione fino a  1.000  abitanti

che abbiano deciso di esercitare in forma associata tutte le funzioni

e  tutti  i  servizi  pubblici  loro  spettanti  sulla   base   della

legislazione vigente, «con deliberazione del consiglio  comunale,  da

adottare,  a   maggioranza   dei   componenti,   conformemente   alle

disposizioni di cui al comma 4, avanzano alla regione una proposta di

aggregazione,  di  identico  contenuto,   per   l'istituzione   della

rispettiva unione. Nel termine perentorio del 31  dicembre  2013,  la

regione  provvede,  secondo  il  proprio   ordinamento,   a   sancire

l'istituzione  di  tutte  le  unioni  del  proprio  territorio   come

determinate nelle proposte  di  cui  al  primo  periodo.  La  regione

provvede anche in caso di proposta di  aggregazione  mancante  o  non

conforme alle disposizioni di cui al presente articolo»  -  comma  2,

nella parte in cui modifica l'art. 16, comma  5,  d.l.  n.  138/2011,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 148/2011;

        (xi) ai commi 2, 3, dal 6 al 11 e 13  dell'art.  16  d.l.  n.

138/2011, convertito, con  modificazioni,  dalla  l.  n.  148/2011  e

modificato, per l'appunto, dall'art. 19, comma 2,  d.l.  n.  95/2012,

convertito, con modificazioni, nella l.  n.  135/2012,  sono  dettate

disposizioni  di  estremo  dettaglio  in  ordine   al   funzionamento

dell'unione  di  Comuni  con  popolazione  fino  a   1.000   abitanti

disciplinata dall'art. 16 stesso;

        (xii) al comma 3 dell'art. 19 d.l.  n.  95/2012,  convertito,

con modificazioni, nella l. n. 135/2012, si trova riscritto l'art. 32

TUEL, relativo, per l'appunto, all'unione di Comuni.

    All'esposizione delle censure di  illegittimita'  costituzionale,

devesi premettere che talune di quelle di seguito esposte  concernono

specificamente i  Comuni.  Trattasi,  comunque,  di  censure  che  la

Regione Veneto e' pienamente legittimata a sollevare, perche' tese ad

evidenziare profili di illegittimita' costituzionale che si traducono

in altrettante violazioni dell'autonomia regionale costituzionalmente

garantita. Infatti, come e' stato ricordato sopra,  le  Regioni  sono

legittimate a denunciare l'illegittimita' costituzionale di una legge

statale anche per violazione  delle  competenze  proprie  degli  Enti

locali «purche' la "stretta connessione  [...]  tra  le  attribuzioni

regionali e quelle delle autonomie locali consenta di ritenere che la

lesione  delle  competenze  locali  sia   potenzialmente   idonea   a

determinare una vulnerazione delle competenze regionali" (sentenze n.

95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004)» (cfr.  Corte  cost.,

sent. n. 169/2007, con richiami giurisprudenziali).

    L'art. 19 d.l. n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella

l. n. 135/2012  e'  costituzionalmente  illegittimo  per  violazione,

innanzitutto, dell'art. 117, comma 4, Cost., dalla  cui  lettura  (in

combinato disposto con i commi 2 e 3 dell'art. 117 stesso) si  ricava

che la materia «forme associative tra gli enti locali» rientra  nella

potesta' legislativa regionale residuale.

    In questo senso, peraltro, depone  la  stessa  giurisprudenza  di

Codesto Ecc.mo  Collegio,  il  quale,  a  proposito  delle  comunita'

montane, le quali  costituiscono  un  caso  speciale  di  unione  tra

Comuni, ha rilevato quanto segue: «Le Comunita' montane costituiscono

un caso speciale di unioni di comuni, dotate di autonomia  (non  solo

dalle regioni ma anche)  dai  comuni,  come  dimostra,  tra  l'altro,

l'espressa attribuzione  alle  stesse  della  potesta'  statutaria  e

regolamentare. L'autonomia delle Comunita' montane non gode  tuttavia

di garanzia costituzionale, cosi'  che  la  loro  disciplina  rientra

nella  competenza  legislativa  residuale  delle  Regioni  ai   sensi

dell'art. 117 comma 4 Cost.» (sottolineatura aggiunta)  (cosi'  Corte

cost., sent. n. 244/2005;  cfr.  Corte  cost.,  sentt.  nn.  27/2010,

237/2009, 456/2005).

    I principi affermati da Codesto Ecc.mo  Collegio  in  materia  di

comunita'  montane  (che,  per  l'appunto,  costituiscono  una  forma

speciale di unione tra Comuni) non possono che valere  anche  per  le

unioni di Comuni, la cui disciplina, rientrante nella  piu'  generale

materia «forme  associative  tra  gli  enti  locali»,  non  puo'  che

spettare  alla  potesta'  legislativa  regionale  residuale.  D'altra

parte,  anche  nella  giurisprudenza  costituzionale  precedente   la

revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione (cfr.  Corte

cost., sent. n. 343/1991), la Regione era stata individuata  come  il

«centro propulsore  e  di  coordinamento  dell'intero  sistema  delle

autonomie locali», necessario a fronte di  un  tessuto  organizzativo

degli Enti locali cosi diversificato da richiedere un incisivo  ruolo

di coordinamento delle Regioni,  nelle  materie  di  loro  spettanza,

anche  per  quanto  attiene  all'organizzazione  delle   funzioni   e

all'individuazione, quindi, del livello ottimale di esercizio.

    Ne' potrebbe ritenersi, d'altra  parte,  che  Part.  19  d.l.  n.

95/2012,  convertito,  con  modificazioni,  nella  l.  n.   135/2012,

relativo alle unioni tra Comuni e alle convenzioni  tra  gli  stessi,

sia espressione  della  potesta'  legislativa  esclusiva  statale  in

materia di «legislazione elettorale, organi  di  governo  e  funzioni

fondamentali di Comuni,  Province  e  Citta'  metropolitane»  di  cui

all'art. 117, comma 2, lett. p), Cost.  Infatti,  come  affermato  da

Codesto Ecc.mo Collegio con riguardo alle comunita' montane  (ma  gli

stessi principi valgono  per  le  unioni  di  Comuni,  visto  che  le

comunita' montane costituiscono, come  si  e'  detto,  una  tipologia

particolare di unione di Comuni), Part. 117, comma 2, lett. p), Cost.

«fa espresso riferimento ai  Comuni,  alle  Province  e  alle  Citta'

metropolitane e l'indicazione deve ritenersi  tassativa.  Da  qui  la

conseguenza che la disciplina delle Comunita' montane [e, nel caso de

quo, la disciplina dell'unione di Comuni], pur in presenza della loro

qualificazione come enti locali contenuta nel d.lgs. n. 267 del 2000,

rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni ai sensi

dell'art. 117,  quarto  comma,  della  Costituzione»  (sottolineatura

aggiunta) (cosi Corte cost., sent. n. 244/2005).

    Un surplus di illegittimita' costituzionale per violazione  degli

artt. 117, commi 3 e 4, Cost. deve essere riconosciuto, poi, all'art.

19, comma 2, d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l.

n. 135/2012, che (modificando l'art. 16 d.l. n. 138/2011, convertito,

con modificazioni,  dalla  l.  n.  148/2011)  disciplina  l'esercizio

associato, da parte di Comuni con popolazione fino a 1.000  abitanti,

mediante unione di Comuni o convenzione/i, di tutte le funzioni e  di

tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione

vigente e non solo, dunque, delle funzioni  fondamentali  (in  ordine

alla cui  disciplina  lo  Stato  gode,  effettivamente,  di  potesta'

legislativa esclusiva ex art. 117, comma 2, lett. p), Cost.).

    Un tanto premesso, devesi evidenziare, altresi', quanto segue.

    Il  legislatore  statale  ha  espressamente  affermato   che   le

disposizioni di cui all'art. 19  d.l.  n.  95/2012,  convertito,  con

modificazioni,  nella  l.   n.   135/2012,   sono   disposizioni   di

«coordinamento della finanza  pubblica»:  lo  si  legge  al  comma  1

dell'art. 16 d.l. n. 138/2011, convertito, con  modificazioni,  nella

l. n. 148/2011 e riscritto dal comma 2 dell'art.  19;  lo  si  desume

dallo stesso art. 14 d.l. n. 78/2010, convertito, con  modificazioni,

nella l. n. 122/2010 e riscritto dal comma 1 dell'art. 19  (il  comma

25 dell'art. 14 predetto dispone espressamente che  «le  disposizioni

dei commi da 26 a 31 sono  dirette  ad  assicurare  il  coordinamento

della finanza pubblica»).

    E' evidente, tuttavia, che le disposizioni  di  cui  all'art.  19

tutto  sono  meno   che   principi   fondamentali   in   materia   di

«coordinamento della finanza pubblica», gli unici che lo Stato ha  il

potere di imporre ex art. 117, comma 3, Cost., che, dunque, nel  caso

di specie, e' pacificamente violato.

    Ancora una volta si ribadisce,  conformemente  alle  pronunce  di

Codesto Ecc.mo Collegio, che la disciplina di principio  dei  vincoli

finanziari, vale a dire il contesto normativo rimesso alla competenza

legislativa dello Stato, si  configura  compatibile  con  l'autonomia

degli enti costituzionalmente garantiti, come le Regioni ed i Comuni,

solo  allorquando  stabilisca  tassativamente  ed  esclusivamente  un

limite complessivo di intervento - avente ad oggetto o l'entita'  del

disavanzo di parte corrente o  i  fattori  di  crescita  della  spesa

corrente - lasciando agli enti stessi piena autonomia e  liberta'  di

allocazione delle risorse fra i diversi ambiti ed obiettivi di  spesa

(cfr. Corte cast., sent. n.  417  del  2005).  Infatti  -  come  gia'

rilevato sopra -, appare ormai consolidato l'orientamento del Giudice

delle leggi, secondo il quale «norme statali che fissano limiti  alla

spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi

fondamentali di coordinamento della finanza  pubblica  alla  seguente

duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi

di riequilibrio della medesima, intesi nel senso  di  un  transitorio

contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa

corrente; in secondo luogo,  che  non  prevedano  in  modo  esaustivo

strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»

(cfr. in tal senso Corte cost., sentt. nn. 289 e 120/2008, 139/2009 e

326/2010).

    Poiche' tali requisiti non sussistono nel caso di specie,  devesi

concludere nel senso dell'illegittimita' costituzionale dell'art.  19

d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012,

per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost.

    Ad essere violato dall'art. 19 d.l. n. 95/2012,  convertito,  con

modificazioni, nella l. n. 135/2012, nella parte  in  cui  obbliga  i

Comuni all'esercizio in forma associata, mediante unione di Comuni  o

convenzione/i, delle funzioni fondamentali, e' pure l'art. 118 Cost.,

il  cui  comma  1  dispone  che  «le  funzioni  amministrative   sono

attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario,

siano conferite a Province, Citta' metropolitane,  Regioni  e  Stato,

sulla  base  dei  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  ed

adeguatezza». Nessun riferimento, dunque, alle unioni di Comuni  o  a

convenzioni tra i Comuni (o, comunque, in generale, tra enti locali),

che dovrebbero essere, soprattutto nel rispetto del fondamentale art.

114 Cost., libere forme associative cui il  Comune  puo'  (non  deve)

ricorrere.

    Ad essere specialmente violato dall'art. 19,  comma  2,  d.l.  n.

95/2012, convertito, con modificazioni,  nella  l.  n.  135/2012,  il

quale  modifica  l'art.  16  d.l.  n.   138/2011,   convertito,   con

modificazioni,  dalla  l.  n.  148/2011  e  consente  ai  Comuni  con

popolazione fino a 1.000 abitanti di esercitare,  tramite  unione  di

Comuni o convenzione/i, tutte le funzioni e tutti i servizi  pubblici

loro spettanti sulla base della legislazione vigente, e', poi, l'art.

118, comma 2, Cost., che dispone che «i  Comuni,  le  Province  e  le

Citta' metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie

e di quelle conferite con  legge  statale  o  regionale,  secondo  le

rispettive  competenze».  E'  certamente  leso,  dunque,  il   potere

(costituzionalmente garantito) della Regione di  conferire,  mediante

legge regionale, funzioni amministrative ai Comuni (e non  ad  unioni

degli stessi imposte o autorizzate dallo  Stato),  nel  rispetto  dei

soliti principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza.

    Il complesso di censure avanzate nei confronti dell'art. 19  d.l.

n. 95/2012, convertito, con  modificazioni,  nella  l.  n.  135/2012,

consente di ritenere violato anche l'art. 119 Cost.,  peraltro  anche

con riguardo all'autonomia finanziaria di  entrata  e  di  spesa  dei

Comuni (cfr. comma 2 dell'art. 16 d.l. n. 138/2011,  convertito,  con

modificazioni, nella l. n. 148/2011, come  modificato  dall'art.  19,

comma 2, d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella 1,  n.

135/2012), e pure gli artt. 3 e 97 Cost., specialmente per  il  fatto

che ai Comuni con popolazione fino a 5.000  abitanti  sono  obbligati

tout court (e quindi in violazione del  principio  costituzionale  di

differenziazione)  all'esercizio  mediante   unione   di   Comuni   o

convenzione delle loro funzioni fondamentali.

7) Illegittimita' costituzionale dell'alt 23-ter, comma 1, lett.  g),

d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella l. n.  135/2012

per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost.

    Il  comma  1,  lett.  g),  dell'art.  23-ter  d.l.  n.   95/2012,

convertito,  con  modificazioni,  nella  l.  n.  135/2012,  rubricato

«Valorizzazione e dismissione di  immobili  pubblici»,  aggiunge  una

serie  di  commi  all'art.  33  d.l.  n.  98/2011,  convertito,   con

modificazioni, nella  l.  n.  111/2011,  rubricato  «Disposizioni  in

materia di valorizzazione del patrimonio immobiliare», tra  cui,  per

quanto  ivi  particolarmente  interessa,   il   comma   8-ter,   che,

nell'ultimo  periodo,  cosi  dispone:  «La  totalita'  delle  risorse

rivenienti dalla valorizzazione  ed  alienazione  degli  immobili  di

proprieta' delle Regioni e degli Enti locali trasferiti ai  fondi  di

cui  al  presente  comma   [i.e.   fondi   comuni   di   investimento

immobiliare], e' destinata alla riduzione  del  debito  dell'Ente  e,

solo in assenza del debito, o comunque  per  la  parte  eventualmente

eccedente, a spese di investimento».

    Tale disposizione si appalesa  del  tutto  lesiva  dell'autonomia

regionale e delle autonomie locali costituzionalmente  garantite  (la

lesione  di  queste  ultime  -  come  gia'  altrove   abbondantemente

evidenziato - ben puo' essere denunciata dalla Regione Veneto per  la

stretta  connessione,  specialmente  in  subiecta  materia,  tra   le

attribuzioni regionali e quelle locali).

    La «valorizzazione ed alienazione degli  immobili  di  proprieta'

delle Regioni e degli Enti locali»  rientra  nella  materia  «beni  e

patrimonio  della  Regione  e  degli  Enti  locali»,  la  quale,  non

rientrando ne' nell'elenco di cui all'art. 117, comma 2,  Cost.,  ne'

nell'elenco di cui  all'art.  117,  comma  3,  Cost.,  e'  certamente

sussumibile nella potesta' legislativa  regionale  residuale  di  cui

all'art. 117, comma 4, Cost. In  ragione  di  cio',  ogni  intervento

legislativo   dello   Stato   deve    reputarsi    costituzionalmente

illegittimo.

    Se anche si volesse ritenere, poi, che la disposizione  normativa

in questione sia espressione della potesta' legislativa  dello  Stato

(concorrente con quella regionale ex art. 117,  comma  3,  Cost.)  in

materia di «coordinamento  della  finanza  pubblica»,  essa  comunque

sarebbe  costituzionalmente  illegittima,  perche',   disponendo   un

preciso vincolo di destinazione (riduzione del  debito  dell'ente  e,

solo in assenza di debito, o  comunque  per  la  parte  eventualmente

eccedente, a spese di investimento)  delle  risorse  derivanti  dalla

valorizzazione ed alienazione  degli  immobili  di  proprieta'  delle

Regioni  e  degli  Enti  locali  trasferiti  ai   fondi   comuni   di

investimento immobiliare, si configura come una disposizione puntuale

e di estremo  dettaglio,  mentre  lo  Stato,  nelle  materie  di  cui

all'art. 117, comma 3, Cost., deve limitarsi alla sola determinazione

dei principi fondamentali.

    Non senza aggiungere, poi, che una  disposizione  del  genere  si

configura, in ogni caso, palesemente incostituzionale per  violazione

dell'art. 119 Cost., sull'autonomia finanziaria di entrata e di spesa

delle Regioni e degli Enti locali (comma  1),  i  quali  tutti  hanno

risorse autonome (comma 2) ed un proprio patrimonio  (comma  6),  che

gestiscono, per l'appunto, in piena autonomia.

    Evidente e' pure la violazione dell'art. 118 Cost., perche',  nel

momento in cui lo Stato impone di destinare  ad  un  certo  specifico

fine le risorse  che  la  Regione  (o  l'Ente  locale)  ricava  dalla

valorizzazione ed alienazione  del  proprio  patrimonio  immobiliare,

chiaramente   interferisce    con    l'esercizio    delle    funzioni

amministrative regionali (o locali).

    Non  senza  rilevare,  poi,  la  violazione   dei   principi   di

ragionevolezza e buon andamento dell'azione amministrativa (artt. 3 e

97 Cost.): perche'  privare  una  Regione  o  un  Ente  locale  della

liberta'/discrezionalita' di decidere a che fine destinare le risorse

ricavate  dall'alienazione/valorizzazione  del   proprio   patrimonio

immobiliare? Perche' non consentire che tali risorse siano  destinate

ad un investimento da cui  possano  scaturire  ulteriori  risorse  da

destinare non solo alla riduzione del debito, ma anche ad altri fini?

Istanza di sospensione cautelare ex artt. 35 e 40 l. n.  87/1953  ss.

mm. ii. degli artt. 17, 18 e 19  d.l.  n.  95/2012,  convertito,  con

modificazioni, nella l. n. 135/2012

    Come noto, l'art. 35 l. n. 87/1953, come modificato  dall'art.  9

l. n. 131/2003, consente a Codesto Ecc.mo Collegio  di  adottare,  in

pendenza di un ricorso in via  principale,  i  provvedimenti  di  cui

all'art. 40 l. n. 87/1953 e, quindi, di pronunciare  la  sospensione,

per gravi ragioni e con  ordinanza  motivata,  dell'esecuzione  della

legge impugnata.

    I presupposti legittimanti, in punto di perkulum  in  mora,  sono

rappresentati dal fatto che «l'esecuzione dell'atto  impugnato  o  di

parti  di  esso  possa  comportare  il  rischio  di  un  irreparabile

pregiudizio all'interesse pubblico o all'ordinamento giuridico  della

Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile

per i diritti dei cittadini».

    Premesso che in ordine  al  fumus boni  iuris  delle  censure  di

illegittimita' costituzionale avanzate nei confronti degli artt.  17,

18 e 19 d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella  l.  n.

135/2012, si e' gia' ampiamente detto nelle pagine che precedono,  in

punto di periculum in mora, e' sufficiente evidenziare quanto segue:

        (i) entro il 14 ottobre 2012 (sessanta giorni dalla  data  di

entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 95/2012), si

provvedera' al  riordino  delle  Province  con  atto  legislativo  di

iniziativa  governativa  (art.  17,  comma  4,   d.l.   n.   95/2012,

convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012);

        (ii) entro il 1° gennaio 2013 i Comuni con popolazione fino a

5.000  abitanti  devono   esercitare   obbligatoriamente   in   forma

associata, mediante unione di Comuni o convenzione, almeno tre  delle

funzioni fondamentali di cui all'art. 14, comma 27, d.l. n.  78/2010,

convertito,   con   modificazioni,   nella   l.   n.   122/2010,    e

successivamente modificato dall'art. 19, comma 1, lett. a),  d.l.  n.

95/2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012;

        (iii) ulteriori stringenti scadenze sono previste  in  ordine

all'istituzione delle Citta' metropolitane e alla soppressione  delle

Province  del  relativo  territorio,   ove   si   tenga   conto   che

l'istituzione della Citta' metropolitana potrebbe avvenire ben  prima

del 1° gennaio 2014, e, in particolare, alla  data  di  cessazione  o

scioglimento del consiglio provinciale, qualora questi abbiano  luogo

entro il 31 dicembre 2013.

    Ora, e' evidente che, se si attenderanno i tempi della  giustizia

costituzionale e  all'esito  del  presente  giudizio  Codesto  Ecc.mo

Collegio avra' dichiarato costituzionalmente  illegittimi  gli  artt.

17, 18 e 19 d.l. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella  l.

n. 135/2012, si saranno frattanto consolidati assetti istituzionali e

normativi  (riordino/soppressione  delle  Province,  istituzione   di

Citta'  metropolitane,  creazione   di   unioni   di   Comuni   etc.)

completamente divergenti dal vigente disegno costituzionale.

    Dunque, ad  oggi,  si  configura  certamente  il  rischio  di  un

irreparabile  pregiudizio  all'ordinamento  della   Repubblica,   con

conseguente grave ed irreparabile pregiudizio dell'interesse pubblico

e dei diritti dei cittadini.

 

(1) Ove non si proceda ai sensi del  comma  l,  a  far  data  dal 

    gennaio  2014,  le  predette  societa'   non   possono   ricevere

    affidamenti diretti di servizi, ne' possono fruire del rinnovo di

    affidamenti  di  cui  sono  titolari.  Inoltre,  i  servizi  gia'

    prestati dalle societa', ove  non  vengano  prodotti  nell'ambito

    dell'amministrazione, devono essere acquisiti nel rispetto  della

    normativa comunitaria e nazionale - comma 2.

 

(2) I successivi paragrafi dell'art. 11 dispongono quanto segue:  «3.

    Un'amministrazione aggiudicatrice che non esercita su una persona

    giuridica un controllo ai sensi del paragrafo  1,  tuttavia  puo'

    aggiudicare un  appalto  pubblico  senza  applicare  la  presente

    direttiva  a  una   persona   giuridica   da   essa   controllata

    congiuntamente con  altre  amministrazioni  aggiudicatrici,  alle

    seguenti  condizioni:  (a)  le   amministrazioni   aggiudicatrici

    esercitano congiuntamente sulla persona giuridica di cui trattasi

    un controllo analogo a  quello  da  esse  esercitato  sui  propri

    servizi;  (b)  almeno  il  90%  delle  attivita'  della   persona

    giuridica  in  oggetto  viene  svolto  per   le   amministrazioni

    aggiudicatrici  controllanti  o  per  altre  persone   giuridiche

    controllate  dalle  stesse  amministrazioni  aggiudicatrici;  (c)

    nella  persona   giuridica   controllata   non   vi   e'   alcuna

    partecipazione privata. Ai fini della lettera a), si ritiene  che

    le  amministrazioni  aggiudicatrici  esercitino  su  una  persona

    giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le

    seguenti condizioni: (a) gli  organi  decisionali  della  persona

    giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le

    amministrazioni    aggiudicatrici    partecipanti;    (b)    tali

    amministrazioni  aggiudicatrici  sono  in  grado  di   esercitare

    congiuntamente un'influenza decisiva sugli obiettivi strategici e

    sulle decisioni significative di detta persona giuridica; (c)  la

    persona giuridica controllata non persegue interessi distinti  da

    quelli delle amministrazioni ad essa associate;  (d)  la  persona

    giuridica controllata non tragga dagli appalti  pubblici  con  le

    amministrazioni  aggiudicatrici  alcun  vantaggio   diverso   dal

    rimborso dei costi reali. 4. Un accordo concluso tra due  o  piu'

    amministrazioni  aggiudicatrici  non  si  considera  un   appalto

    pubblico ai sensi dell'articolo 2, paragrafo  6,  della  presente

    direttiva, quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

    (a)  l'accordo  stabilisce  un'autentica  cooperazione   tra   le

    amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, che mira a  far  si'

    che esse svolgano  congiuntamente  i  loro  compiti  di  servizio

    pubblico e che implica diritti e obblighi reciproci delle  parti;

    (b) l'accordo e' retto esclusivamente da considerazioni  inerenti

    all'interesse pubblico;  (c)  le  amministrazioni  aggiudicatrici

    partecipanti non svolgono sul mercato aperto piu' del  10%  -  in

    termini di fatturato - delle  attivita'  pertinenti  all'accordo;

    (d)  l'accordo  non  comporta  trasferimenti  finanziari  tra  le

    amministrazioni aggiudicatrici  partecipanti  diversi  da  quelli

    corrispondenti al rimborso dei costi effettivi  dei  lavori,  dei

    servizi   o   delle   forniture;   (e)   nelle    amministrazioni

    aggiudicatrici  non  vi  e'  alcuna  partecipazione  privata.  5.

    L'assenza di partecipazione privata di cui ai paragrafi da 1 a  4

    e' verificata al momento dell'aggiudicazione dell'appalto o della

    conclusione dell'accordo. Le esclusioni di cui ai paragrafi da  1

    a 4 del presente articolo non sono piu' applicabili  dal  momento

    in cui interviene una qualsiasi partecipazione  privata,  con  la

    conseguenza che i contratti in corso devono  essere  aperti  alla

    concorrenza mediante regolari procedure di  aggiudicazione  degli

    appalti.

 

(3) «Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni  a

    statuto ordinario e delle province, nonche' di determinazione dei

    costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario».

 

(4) «Delega  al  Governo  in  materia  di  federalismo  fiscale,   in

    attuazione dell'articolo 119 della Costituzione».

 

(5) «In esito al riordino di cui al  comma  1,  assume  il  ruolo  di

    comune capoluogo delle singole province il comune gia'  capoluogo

    di provincia con maggior popolazione residente, salvo il caso  di

    diverso accordo tra i comuni gia' capoluogo di ciascuna provincia

    oggetto di riordino» - comma 4-bis.

 

(6) E' bene richiamare quantomeno i primi  due  commi  dell'art.  118

    Cost: «1. Le funzioni amministrative sono  attribuite  ai  Comuni

    salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano  conferite

    a Province, Citta' metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei

    principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. 2. I

    Comuni, le Province e le Citta' metropolitane  sono  titolari  di

    funzioni amministrative proprie e di quelle conferite  con  legge

    statale o regionale, secondo le rispettive competenze».

 

(7) Ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a

    comunita' montane, esclusi i Comuni il  cui  territorio  coincide

    integralmente con quello di una o  piu'  isole  e  il  comune  di

    Campione d'Italia.

 

(8) Le funzioni fondamentali ai sensi dell'art. 117, comma  2,  lett.

    p), Cost. sono (art. 19, comma 1,  lett.  a),  d.l.  n.  95/2012,

    convertito, con modificazioni, nella l. n. 135/2012, che modifica

    il comma  27  dell'art.  14  d.l.  n.  78/2010,  convertito,  con

    modificazioni, nella l. n. 122/2010): a) organizzazione  generale

    dell'amministrazione,  gestione   finanziaria   e   contabile   e

    controllo; b) organizzazione dei servizi  pubblici  di  interesse

    generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di  trasporto

    pubblico  comunale;  c)  catasto,  ad  eccezione  delle  funzioni

    mantenute   allo   Stato   dalla   normativa   vigente;   d)   la

    pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonche'

    la partecipazione alla  pianificazione  territoriale  di  livello

    sovracomunale;   e)   attivita',   in   ambito    comunale,    di

    pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei  primi

    soccorsi; f)  l'organizzazione  e  la  gestione  dei  servizi  di

    raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e  la

    riscossione dei relativi tributi; g) progettazione e gestione del

    sistema locale dei servizi sociali ed erogazione  delle  relative

    prestazioni ai cittadini, secondo quanto  previsto  dall'articolo

    118, quarto comma, della Costituzione; h) edilizia scolastica per

    la  parte  non  attribuita  alla   competenza   delle   province,

    organizzazione e gestione  dei  servizi  scolastici;  i)  polizia

    municipale  e  polizia  amministrativa  locale;  l)  tenuta   dei

    registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di

    servizi anagrafici nonche' in materia  di  servizi  elettorali  e

    statistici, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale.

 

                              P. Q. M.

 

    Chiede che l'Ecc.ma Corte costituzionale voglia:

        in via  cautelare,  sospendere  l'efficacia/esecuzione  degli

artt. 17, 18 e 19 d.l. n.  95/2012,  convertito,  con  modificazioni,

nella l. n. 135/2012;

        nel merito, dichiarare l'illegittimita' costituzionale  degli

artt. 4, 9, 16-bis, 17, 18, 19 e 23-ter, comma  1,  lettera  g),  del

decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95,  cosi'  come  risultanti  dalla

conversione, con modificazioni, nella legge 7  agosto  2012,  n.  135

(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con

invarianza dei  servizi  ai  cittadini),  pubblicata  nella  Gazzetta

Ufficiale della Repubblica Italiana n. 189 del  14  agosto  2012  per

violazione degli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118, 119, 120,  132  e

133 Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli artt.  5

e 120 Cost., della l. cost. n. 3/2001 e della l. n. 42/2009.

        Padova - Venezia - Roma, 10 ottobre 2012

 

   prof. avv. Bertolissi - avv. Zanon - avv. Palumbo - avv. Manzi

 

    Si allega:  1) deliberazione della Giunta regionale del Veneto n.

1943 del 2 ottobre 2012.

 

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