Ricorso n. 16 del 5 marzo 2014 (Regione Lombardia)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 5 marzo 2014 (della Regione Lombardia).
(GU n. 17 del 16.4.2014)
Ricorso della regione Lombardia, (codice fiscale …) in
persona del presidente della giunta regionale Roberto Maroni,
autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. x/1353 del 21
febbraio 2014 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da procura a
margine del presente atto - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di
Padova (codice fiscale …), dall'avv. Luigi Manzi di
Roma (codice fiscale …), con domicilio eletto in Roma
presso l'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325
e 441, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di
stabilita' 2014), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27
dicembre 2013, per violazione:
degli artt. 1, 3, 5, 81, 97, 114, 117 primo comma, 136 e della
VIII disp. transitoria e finale Cost.;
della Carta europea delle autonomie locali, firmata a Strasburgo
il 15 ottobre 1985 e ratificata dall'Italia con legge 30 dicembre
1989, n. 439;
dell'art. 15, comma 2, e dell'art. 21, legge n. 243/2012,
sotto i profili e nei modi di seguito illustrati.
Fatto
Nella legge 27 dicembre 2013, n. 147 (recante disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di
stabilita' 2014) sono state inserite, all'interno dell'art. 1, due
disposizioni relative al «commissariamento delle province», che
conseguirebbe alla scadenza naturale del mandato o alla cessazione
anticipata dei relativi organi rappresentativi, oppure alla scadenza
di un precedente periodo di commissariamento.
Si tratta in primo luogo del comma 325, secondo il quale «le
disposizioni di cui all'art. 1, comma 115, della legge 24 dicembre
2012, n. 228, relative al commissariamento delle amministrazioni
provinciali si applicano ai casi di scadenza naturale del mandato
nonche' di cessazione anticipata degli organi provinciali che
intervengono in una data compresa tra il 1° gennaio e il 30 giugno
2014».
E si tratta, in secondo luogo, del comma 441, secondo cui «le
gestioni commissariali [delle amministrazioni provinciali] di cui
all'art. 2, comma 1, della legge 15 ottobre 2013, n. 119, nonche'
quelle disposte in applicazione dell'art. 1, comma 115, terzo
periodo, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, cessano il 30 giugno
2014».
Per una migliore comprensione della vicenda, e delle ragioni del
presente ricorso, converra' ricordare da un lato i presupposti ed il
significato del commissariamento «a regime», previsto dall'art. 141
del decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico enti locali),
dall'altro il significato dei commissariamenti «straordinari»,
disposti a partire dal decreto-legge n. 201 del 2011 come strumento
di attuazione della «riforma» dell'ordinamento provinciale disposta
dallo stesso decreto: che in seguito - come ben noto - e' stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 220 del
2013 di codesta ecc.ma Corte costituzionale.
E' ovvio che nella vita fisiologica degli enti locali, comuni e
province, non vi e' bisogno di alcun commissariamento, dal momento
che all'approssimarsi della scadenza degli organi elettivi vengono
tempestivamente indette le nuove elezioni, secondo le regole disposte
dal testo unico sopra citato.
Il commissariamento si rende necessario, ed e' come tale
disciplinato dall'art. 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000,
quando si verifichino determinati eventi straordinari: quando i
consigli «compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e
persistenti violazioni di legge, nonche' per gravi motivi di ordine
pubblico» (lettera a); quando «non possa essere assicurato il normale
funzionamento degli organi e dei servizi» a causa delle «dimissioni
del sindaco o del presidente della provincia»; quando vi sia
«cessazione dalla carica per dimissioni contestuali ... della meta'
piu' uno dei membri assegnati» o quando vi sia «riduzione dell'organo
assembleare per impossibilita' di surroga alla meta' dei componenti
del consiglio» (lettera h); «quando non sia approvato nei termini il
bilancio» (lettera c).
Si tratta di ipotesi di varia natura, che hanno in comune il
fatto che esse tutte impongono di provvedere a nuove elezioni al di
fuori del normale susseguirsi delle legislature, e dunque senza che
sia possibile prevedere ed organizzare tempestivamente le nuove
elezioni. Di qui la necessita' di un «commissario» che guidi
l'amministrazione dell'ente fino al momento in cui sia possibile
ripristinare la rappresentanza elettiva.
In altre parole, il commissariamento previsto dall'art. 141 del
testo unico, non solo non contraddice la natura politica e
rappresentativa dell'ente, ma e' strumentale alla sua realizzazione,
in una situazione di oggettiva impossibilita' di provvedervi
diversamente ed immediatamente.
Natura del tutto diversa ha il commissariamento previsto
dall'art. 23, comma 20, del decreto-legge n. 201 del 2011: esso non
era finalizzato al ripristino del carattere direttamente elettivo
delle amministrazioni provinciali, il quale era stato soppresso dai
precedenti commi dello stesso articolo, che aveva assegnato alle
provincia natura di ente rappresentativo dei comuni componenti; era
finalizzato, invece, a consentire l'amministrazione dell'ente nel
periodo necessario all'attuazione delle nuove disposizioni. Tale
diversa natura non puo' essere nascosta dalla circostanza che il
comma 20 dell'art. 23 richiama l'applicazione dello stesso art. 141
del testo unico: tale applicazione, infatti, avviene al di fuori dei
suoi presupposti e soprattutto al di fuori delle sue finalita',
realizzando dunque il diverso istituto ora descritto.
L'attuazione del decreto-legge n. 201 del 2011 incontro', come e'
noto, forti resistenze, ed il Governo decise di intervenire
ulteriormente con il decreto-legge n. 95 del 2012, che - pur
confermando le scelte ordinamentali del decreto-legge n. 201 del 2011
- mirava anche ad una drastica riduzione del numero degli enti.
Fatto sta che nel prolungarsi del periodo transitorio fu ritenuto
necessario provvedere a nuovi commissariamenti delle amministrazioni
provinciali per le quali mano a mano maturavano i presupposti del
rinnovo.
Vi si provvide con l'art. 1, comma 115, della legge n. 228/2012,
espressamente rivolto (tra l'altro) «al fine di consentire la riforma
organica della rappresentanza locale ed al fine di garantire il
conseguimento dei risparmi previsti dal decreto-legge 6 luglio 2012,
n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.
135».
Esso prevede la nomina di un commissario straordinario negli enti
provinciali ove si verifichino la scadenza naturale o anticipata del
mandato dei relativi organi entro il 31 dicembre 2013, oppure la
scadenza dell'incarico di commissario straordinario. In particolare,
esso era strumentale alla riforma degli enti provinciali recata
dall'art. 23, commi 14-20-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.
201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.
214) e successivamente dagli artt. 17 e 18 del decreto-legge 6 luglio
2012, n. 95 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto
2012, n. 135).
Come e' ben noto, l'intero complesso normativo dedicato alla
riforma delle province sia dal decreto-legge n. 201 del 2011, sia
dagli artt. 17 e 18 del successivo decreto-legge n. 95 del 2012, e'
rimasto travolto dalla sentenza di codesta ecc.ma Corte
costituzionale n. 220 del 2013, la quale ha sancito l'illegittimita'
del ricorso allo strumento della decretazione d'urgenza per riforme
ordinamentali quale quella prefigurata per le province.
La pronuncia toccava direttamente anche il comma 20 dell'art. 23,
sulla cui base erano stati disposti i commissariamenti «straordinari»
di cui si e' detto, quelli rivolti non al rinnovo delle
rappresentanze elettive, ma alla loro sostituzione con organi a
rappresentanza indiretta. Questi erano dunque ora privi di base
giuridica.
Non era invece formalmente toccato dalla sentenza l'art. 1, comma
115, della legge n. 228/2012: formalmente soltanto, pero', dal
momento che l'intero disposto di tale comma era fortemente
intrecciato sia con il decreto-legge n. 201/2011 che con il
decreto-legge n. 95/2012, e con le relative disposizioni
sull'ordinamento delle province. Anch'esso, dunque, doveva ritenersi
necessariamente paralizzato nella sua efficacia.
Il venir meno della riforma dell'ordinamento provinciale privava
dunque i commissari sia della loro legittimazione sia del loro
compito istituzionale. Giuridicamente, diveniva necessario rimettere
in moto, per quanto possibile, le regole ordinarie, e dunque semmai
incaricare i commissari, sulla base di una nuova legittimazione, di
organizzare il rinnovo delle amministrazioni provinciali scadute,
secondo le regole del testo unico enti locali (come ha giustamente
ritenuto e deciso, sulla base degli eventi, il TAR della Liguria,
nella sentenza n. 295 del 2014).
Nel frattempo, tuttavia, il Governo aveva presentato alla Camera
(20 agosto 2013) il disegno di legge C. 1542, che in sostanza
riprendeva le linee della riforma provinciale gia' approvata con i
decreti-legge n. 201/2011 e n. 95/2012.
Veniva anche approvata la legge 15 ottobre 2013, n. 119, che
all'art. 2, comma 1, disponeva come segue:
«Fermo restando quanto previsto dall'art. 1, comma 115, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, sono fatti salvi i provvedimenti di
scioglimento degli organi e di nomina dei commissari straordinari
delle amministrazioni provinciali, adottati, in applicazione
dell'art. 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214,
ai sensi dell'art. 141 del testo unico di cui al decreto legislativo
18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, nonche' gli atti
e i provvedimenti adottati, alla data di entrata in vigore della
presente legge, dai medesimi commissari straordinari».
Nel quadro di quanto esposto risulta ora agevole percepire la
natura e la portata di quanto stabilito con i due commi oggetto della
presente impugnazione.
In sintesi, a norma del comma 325 (art. 1, legge n. 147/2013)
sono attivati nuovi commissariamenti provinciali nel periodo 1°
gennaio-30 giugno 2014; e, a norma del comma 441 (art. 1, legge n.
147/2013), e' fissata la scadenza del 30 giugno 2014 sia per i
commissariamenti provinciali precedentemente avviati, sia per quelli
che si attivino in forza della nuova disposizione. Il tutto -
conviene fin d'ora sottolinearlo - nel quadro e con riferimento alla
riforma degli enti provinciali gia' operata dai decreti-legge n. 201
del 2011 e n. 95 del 2012, nonostante che questa non abbia piu', dopo
la sentenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale n. 220 del 2013,
alcuna esistenza giuridica.
Ad avviso della ricorrente regione Lombardia le nuove
disposizioni recate dai commi 325 e 441 della legge n. 147 del 2013
sono costituzionalmente illegittime per le ragioni che verranno di
seguito esposte. Sia consentito qui di aggiungere che le norme qui
contestate produrranno i loro effetti anche in Lombardia, e che la
regione Lombardia ricorre anche in rappresentanza e su espressa
richiesta degli enti locali della regione, come risulta dalla
deliberazione del consiglio delle autonomie locali del 14 febbraio
2014, in applicazione dell'art. 54, comma 6, dello statuto di
autonomia, e dell'art. 10, comma 1, della lettera c), della legge
regionale n. 22/2009.
Diritto
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441, della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione dell'art. 136 della
Costituzione.
Come risulta dalla esposizione in fatto, le disposizioni qui
impugnate (commi 325 e 441, dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013,
n. 147) sono strettamente legate alla disciplina sulla riforma delle
province recata dall'art. 23, commi da 14 a 20-bis del decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201 (come convertito, con modificazioni, dalla
legge 22 dicembre 2011, n. 214); e dagli artt. 17 e 18 del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (come convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135).
Esse, in effetti, non fanno che disporre nuovi commissariamenti e
protrarre sino al 30 giugno 2014 quelli gia' disposti nella stessa
prospettiva e secondo le stesse regole entro le quali erano disposti
i precedenti commissariamenti «straordinari». Cio' risulta
agevolmente dalla circostanza che il comma 325 - nel disporre i nuovi
commissariamenti - si richiama alle le disposizioni di cui all'art.
1, comma 115, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, a loro volta
fondate sulla vigenza del decreto-legge n. 201 del 2011 e n. 95 del
2012; e dalla circostanza che il comma 441 - nel protrarre i
commissariamenti fino al 30 giugno 2014 - si riferisce a quelli di
cui all'art. 2, comma 1, della legge 15 ottobre 2013, n. 119 (cioe'
sempre quelli disposti dal decreto-legge n. 201 del 2011) e a quelli
disposti - ancora - in applicazione dell'art. 1, comma 115, terzo
periodo, della legge 24 dicembre 2012, n. 228: cioe' sempre a quelli
di cui al complesso normativo formato dal decreto-legge n. 201 del
2011 e dal decreto-legge n. 95 del 2012.
Si tratta, dunque, ancora di un commissariamento finalizzato non
al ripristino delle amministrazioni provinciali elettive, ma
all'attuazione di norme di riforma delle province (art. 23, commi da
14 a 20-bis, decreto-legge n. 201/2011; e artt. 17 e 18,
decreto-legge n. 95/2012): di quelle stesse norme di riforma che sono
state dichiarate incostituzionali da codesta ecc.ma Corte
costituzionale con sentenza 3-19 luglio 2013, n. 220.
Risulta dunque evidente, ad avviso della ricorrente regione,
l'illegittimita' costituzionale sia del comma 325 che del comma 441,
in quanto essi - ignorando gli effetti della sentenza di codesta
ecc.ma Corte costituzionale n. 220 del 2013 - introducono o
protraggono nuovi commissariamenti nella prospettiva della attuazione
di disposizioni non piu' esistenti perche' dichiarate
incostituzionali.
Invero, la nomina di commissari «straordinari» nelle
amministrazioni provinciali scadute, finalizzati alla realizzazione
della complessa «ristrutturazione» degli enti provinciali, come
disposta dalla decretazione legislativa d'urgenza (decreto-legge n.
201/2011, art. 23, commi 14-20-bis; e decreto-legge n. 95/2012, artt.
17 e 18), poteva nel 2011 e nel 2012 risultare legittima,
subordinatamente (s'intende) alla legittimita' costituzionale della
disciplina che si trattava allora di attuare. Ma essa non puo'
certamente considerarsi legittima, una volta che continui a fare
riferimento alle stesse discipline gia' dichiarate incostituzionali.
Si tratta dunque di commissariamenti che anziche' essere
finalizzati al ripristino delle amministrazioni provinciali elettive,
tuttora previste dal diritto costituzionale e legislativo vigente,
sono finalizzati all'attuazione di regole illegittime e non piu'
esistenti.
Si tratta, in particolare, di previsioni che eludono o
addirittura violano la sentenza n. 220 del 2013, di codesta ecc.ma
Corte costituzionale, in quanto, portando ad ulteriore compimento la
disciplina di riforma delle province ideata in via d'urgenza (con
decreto-legge) e come tale annullata, vengono a privarla degli
effetti giuridici costituzionalmente stabiliti.
Ne risulta cosi' violato l'art. 136 della Costituzione, secondo
il quale «quando la Corte dichiara l'illegittimita' costituzionale di
una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa
di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della
decisione». Sono dunque violati i principi relativi al giudicato
costituzionale, in quanto le norme impugnate dispongono come se la
disciplina annullata fosse ancora in vigore.
A questo riguardo, sia consentito qui di richiamare la
consolidata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale,
secondo la quale «il giudicato costituzionale e' violato non solo
quando il legislatore emana una norma che costituisce una mera
riproduzione di quella gia' ritenuta lesiva della Costituzione, ma
anche laddove la nuova disciplina miri a perseguire e raggiungere,
"anche se indirettamente", esiti corrispondenti» (sent. n. 245 del
2012, p. 4.1 in diritto, con rinvio alle precedenti sentenze n. 223
del 1983, n. 88 del 1966 e n. 73 del 1963).
Poiche' i commi 325 e 441 mirano a raggiungere un esito
corrispondente a quello prefigurato dalla disciplina annullata, ne e'
evidente l'illegittimita' sotto il profilo della violazione del
giudicato costituzionale.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441, della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione degli artt. 1, 5, 114,
VIII Transitoria e finale della Costituzione.
Se pure non vi fosse il vizio indicato al precedente punto 1, ad
avviso della ricorrente regione gli impugnati commi sarebbero
ugualmente illegittimi per violazione degli artt. 1, 5, 114, VIII
Transitoria e finale della Costituzione.
Infatti, essi non sono finalizzati - come deve essere
istituzionalmente il commissariamento, nel quadro di tali
disposizioni - al ripristino degli organi in cui si manifesta il
carattere direttamente elettivo, democratico e rappresentativo delle
istituzioni provinciali, quale previsto - ad avviso della ricorrente
regione - dalle citate disposizioni costituzionali, ma sono al
contrario finalizzate ad evitare tale ripristino. Tale finalita' e'
resa evidente dall'incongruo richiamo - in ciascuno dei predetti
commi - delle disposizioni che, sulla base del diverso contesto
normativo allora (sia pure illegittimamente) ancora vigente, miravano
alla costituzione di organi solo indirettamente rappresentativi del
corpo elettorale provinciale.
Vengono cosi' violati i presupposti costituzionali del
commissariamento degli organi provinciali i quali - come appare dallo
stesso art. 141 del testo unico - consistono nella necessita' di
interrompere la legislatura senza che sia stato possibile previamente
organizzare le nuove elezioni, e dunque nella necessita' di un organo
straordinario che gestisca l'ente fino alle nuove elezioni.
Invece, il commissariamento delle province sino al 30 giugno del
2014, disposto dai commi 325 e 441 dell'art. 1 della legge n. 147 del
2013, non solo e' privo della motivazione che potrebbe giustificarlo
(la gestione dell'ente per il tempo necessario per pervenire a nuove
elezioni, secondo quanto dispone l'art. 141 del testo unico
sull'ordinamento degli enti locali, decreto legislativo n. 267/2000),
ma persegue, sulla base di norme non piu' vigenti, la finalita'
opposta di evitare le nuove elezioni.
Tale finalita' si riverbera dunque in violazione delle norme che
assicurano il carattere democratico e direttamente rappresentativo
dell'ente provinciale, al pari degli altri enti costitutivi della
Repubblica. Risultano dunque violate le disposizioni costituzionali
di cui all'art. 1, in connessione con l'art. 5 e con l'art. 114
Cost., che tali principi di democraticita' e diretta rappresentanza
popolare esprimono anche in relazione alle province, oltre che il
relazione allo Stato, alle regioni ed ai comuni. D'altronde, gia'
prima della riforma del titolo V della parte seconda della
Costituzione era considerato acquisito tale carattere dell'ente
provincia, come emerge tra l'altro dalla VIII Disposizione finale e
transitoria della Costituzione, che imponeva di convocare entro un
anno «le elezioni dei consigli regionali e degli organi elettivi
delle amministrazioni provinciali»: dove e' evidente che per
«elezioni» e per «organi elettivi» si intendo organi eletti
direttamente dai cittadini.
E' qui ora da aggiungere che il commissariamento disposto o
prorogato dai commi 325 e 441 della legge n. 147 del 2013, che non
puo' essere giustificato dal contesto normativo dei decreti-legge n.
201/2011 e n. 95/2012 (il riferimento al quale al contrario ne
attesta l'illegittimita'), non puo' essere giustificato sul piano
costituzionale neppure dall'aspettativa dell'approvazione del disegno
di legge n. 1542, richiamato nella parte in fatto.
In primo luogo, a tale aspettativa non si richiamano le stesse
disposizioni impugnate, che al contrario si riferiscono espressamente
ai decreti-legge dichiarati in parte qua illegittimi.
In secondo luogo, il commissariamento non potrebbe essere
costituzionalmente giustificato con riferimento a riforme ancora in
fieri, ancorche' evocate come prossime, senza tenere in
considerazione il valore costituzionale dei principi in gioco.
Infatti, nel trascorrere delle vicende legislative esposte nella
parte in fatto, sono ormai moltissime le amministrazioni provinciali
che da molto tempo sono amministrate al di fuori delle regole
costituzionali e legislative che le dovrebbero governare; e che
intere comunita' provinciali sono state private - o stanno per
esserlo in forza delle disposizioni impugnate con il presente ricorso
- del diritto, dato loro dalla Costituzione e dalle leggi attuative,
di eleggere i propri rappresentanti.
Risulta cosi' violato in modo manifesto il principio democratico
rappresentativo, in quanto sono impedite elezioni di organi
provinciali: principio che primeggia nell'art. 1 della Costituzione e
che, per il profilo che qui interessa, puo' essere declinato
nell'ambito delle garanzie costituzionali di autonomia degli enti
locali (artt. 5 e 114 Cost., VIII Disposizione transitoria e finale).
Sotto questa luce, e' opportuno rammentare la giurisprudenza di
codesta ecc.ma Corte costituzionale, che, con riguardo a norme
legislative volte a sciogliere i consigli di enti locali per
infiltrazioni mafiose, ha puntualizzato che si puo' giustificare «che
l'aspetto proprio delle autonomie, quale quello della
rappresentativita' degli organi di amministrazione, possa
temporaneamente cedere di fronte alla necessita' di assicurare
l'ordinato svolgimento della vita delle comunita' locali, nel
rispetto delle liberta' di tutti ed al riparo da soprusi e
sopraffazioni, estremamente probabili quando sui loro organi elettivi
la criminalita' organizzata possa immediatamente riprendere ad
esercitare pressioni e condizionamenti» (Corte cost., sent. 103 del
1993, p. 5.4, in diritto). Se e' quindi consentito un temporaneo
vulnus del principio proprio (cardine) delle autonomie, cioe' quello
della rappresentativita' degli organi degli enti locali, per gravi
motivi di ordine pubblico, non si puo' invece giustificare la
paralisi di organi rappresentativi, garantiti dal principio
autonomistico (art. 5 e art. 114 Cost.), nella prospettiva di dare
attuazione ad una disciplina legislativa (attualmente neppure
approvata). Sotto il profilo della ragionevolezza e della carenza di
un adeguato fondamento sostanziale per la compressione dei diritti
elettorali e' quindi violato anche l'art. 3 Cost.
Cio' anche a prescindere dai dubbi di legittimita' costituzionali
relativi allo stesso disegno di legge in corso di discussione, in
relazione alla possibilita' di escludere il voto popolare per la
formazione degli organi fondamentali dell'ente provinciale.
Sono note, infatte, le contestazioni che incontra la tesi che sia
possibile contraddire il carattere direttamente elettivo delle
province con semplice legge ordinaria: contestazioni che la regione
Lombardia ha gia' ritenuto fondati quando ha presentato a codesta
ecc.ma Corte costituzionale il ricorso n. 24 del 2012, deciso
anch'esso con la sentenza n. 220 del 2013.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441, della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione dell'art. 117, primo
comma, della Costituzione, in quanto viola la Carta europea delle
autonomie locali (firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985 e
ratificata dall'Italia con legge 30 dicembre 1989, n. 439).
Come e' ben noto, l'art. 117, primo comma, della Costituzione
sancisce che «la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e
dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali».
Tra gli atti che determinano obblighi internazionali vi e' la
Carta europea delle autonomie locali, firmata a Strasburgo il 15
ottobre 1985 e ratificata dall'Italia con legge 30 dicembre 1989, n.
439.
Posto che non puo' essere messo in dubbio che la provincia, per
come e' disegnata dalla Costituzione, costituisca «autonomia locale»
ai sensi della Carta europea, occorre qui ricordare che l'art. 3 di
essa afferma non solo che alle autonomie locali deve essere
riconosciuto «il diritto e le capacita' effettiva, per le
collettivita' locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito
della legge, sotto la loro responsabilita', e a favore delle
popolazioni, una parte importante di affari pubblici», ma esige che
tale diritto sia «esercitato da consigli e assemblee costituiti da
membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed
universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei
loro confronti».
Il commissariamento di enti provinciali tuttora pienamente
riconosciuti come comunita' e come autonomie locali dalla
Costituzione e dalle leggi italiane, privo di una ragionevole
motivazione e non rivolto al pronto ripristino della
rappresentativita' democratica nei termini di cui all'art. 3 della
Carta, quale quello operato dai commi 325 e 441 (art. 1, legge n.
147/2013), qui impugnati, si traduce quindi nella violazione anche
della Carta stessa. Ad essi viene infatti impedito di procedere alla
diretta elezione dei propri organi rappresentativi.
In sintesi, i vizi sopra individuati in relazione alle
disposizioni costituzionali che direttamente proteggono le autonomie
locali corrispondono anche, per analoghe ragioni, alla violazione
dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui
questo impone il rispetto degli obblighi internazionali
legittimamente assunti, come codesta Corte costituzionale ha piu'
volte ribadito a partire dalle sentenza n. 348 e n. 349 del 2007.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441, della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione dell'art. 97 della
Costituzione.
E' inevitabile constatare che i recenti tentativi di riforma
dell'ordinamento provinciale, e in particolare quelli tentati con i
decreti-legge n. 201 del 2011 e n. 95 del 2012, per il modo
costituzionalmente scorretto in cui sono stati realizzati, attestato
dalla sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 220 del 2013, si sono
tradotti soltanto in un fattore di turbamento del regolare esercizio
dei diritti politici delle comunita' provinciali e del regolare
esercizio delle importanti funzioni assegnate alle province.
Ora, dopo la ricordata pronuncia, anziche' provvedere al pronto
ripristino del fisiologico rinnovo delle amministrazioni provinciali,
il legislatore ha invece rinnovato gli eccezionali commissariamenti,
sulle stesse basi normative gia' dichiarate incostituzionali.
Tale determinazione, oltre ad incorrere nei vizi gia' censurati
nei punti precedenti del presente ricorso, costituisce anche
violazione dell'art. 97, secondo comma, della Costituzione, in quanto
contraria al principio del buon andamento della pubblica
amministrazione.
E' ovvio che il legislatore, costituzionale o ordinario a seconda
dei casi, puo' bene provvedere alla riforma degli ordinamenti
provinciali. Ma e' altrettanto ovvio che cio' esso deve fare,
appunto, nei modi e con gli strumenti appropriati, laddove invece una
legislazione inadeguata e palesemente incongruente, come quella qui
contestata, non puo' che avere come risultato l'impedire il regolare
svolgersi delle funzioni amministrative affidate alle province,
compromettendone il «buon andamento».
Non si puo' negare, infatti, che anche in questo caso - come in
quello giudicato da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la
sentenza n. 70 del 2013, si tratti di «una disciplina normativa
"foriera di incertezza", posto che essa "puo' tradursi in cattivo
esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica
amministrazione"» (punto 4 in diritto).
Ne' potrebbe obiettarsi che, al contrario, la nomina di un
commissario sia volta ad assicurare la corretta gestione
amministrava. Cio' sarebbe vero ove l'amministrazione commissariale
fosse imposta da coerenti presupposti (tali da condurre allo
scioglimento di organi rappresentativi di governo, come stabilito
dall'art. 141 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali,
decreto legislativo n. 267/2000), e soprattutto se fosse il
necessario punto di passaggio per il rinnovo degli organi
amministrativi previsti dalle leggi, conformemente agli indirizzi
costituzionali.
Invece, la nomina di commissari straordinari negli enti
provinciali i cui organi rappresentativi sono semplicemente scaduti,
fondati sul richiamo a norme non piu' vigenti, all'implicito scopo di
attendere una problematica riforma dell'ordinamento provinciale, si
traduce ad avviso della ricorrente regione nella violazione del
principio di «buon andamento», che non puo' che essere soddisfatto
dalla mera cura dell'ordinaria amministrazione ad opera di un organo
straordinario, ma lo puo' soltanto dall'esercizio pieno dei poteri di
governo e amministrativi ad opera degli organi immediatamente e
legittimamente rappresentativi della comunita' provinciale.
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441, della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione dell'art. 81 della
Costituzione, degli artt. 15 e 21 della legge 24 dicembre 2012, n.
243.
L'art. 81 della Costituzione, come sostituito dalla legge
costituzionale n. 1 del 2012, prevede (all'ultimo comma) che sia una
legge rinforzata (approvata a maggioranza assoluta dai due rami del
Parlamento) a stabilire i contenuti della legge annuale di bilancio.
A seguito di tale disposizione, e' stata approvata la legge 24
dicembre 2012, n. 243, il cui art. 15 e' rubricato contenuto della
legge di bilancio.
Il comma 2 di questo articolo vieta l'inserimento nella legge di
bilancio di norme a carattere ordinamentale e organizzatorio (oltre
che di norme di delegazione legislativa). Lo stesso divieto si
rinviene nella legge 31 dicembre 2009, n. 196 (di contabilita' e
finanza pubblica), in riferimento alle leggi annuali di stabilita':
la legge di stabilita' «non puo' contenere norme di delega o di
carattere ordinamentale ovvero orgnizzatorio» (art. 11, comma 3,
legge n. 196/2009).
Se prima (con la legge n. 196 del 2009) si poteva in ipotesi
dubitare che il divieto fosse riconducibile alla stessa Costituzione,
e che dunque non potesse essere superato dalla legge ordinaria, con
l'inserimento del divieto nella legge rinforzata n. 243 del 2012,
ogni dubbio risulta superato, e tale divieto assume valore di
parametro di legittimita' costituzionale: la legge n. 243 del 2012 e'
del resto destinata a completare il quadro costituzionale di principi
e regole di contabilita' e finanza pubblica, che ha il suo baricentro
nell'art. 81 della Costituzione.
E, se la legge di bilancio subentrera' alla legge di stabilita'
dal 2016 (in base all'art. 21, comma 2, legge n. 243/2012), sembra
tuttavia chiaro che il divieto vada pero' applicato nella sua
«rinnovata veste» anche in riferimento alla legge di stabilita'.
Le norme sul commissariamento delle province, contenute nell'art.
1, commi 325 e 441, della legge di stabilita' per il 2014 (legge n.
147/2013), sono evidentemente norme collegate ad una «riforma
ordinamentale» che esse stesse contribuivano a realizzare (gia'
comprese nell'art. 23, comma 20, del decreto-legge n. 201/2011,
recante una disciplina di tipo «ordinamentale», come codesta ecc.ma
Corte costituzionale ha stabilito, nella sent. 220 del 2013).
Inoltre, esse hanno anche carattere organizzatorio, dato che alterano
il normale funzionamento delle regole sulla composizione degli
organi.
L'inclusione di tali norme nella legge di stabilita' viola
pertanto l'art. 15 della legge rinforzata n. 243 del 2012 (che
assorbe il divieto gia' disposto dall'art. 11 della legge n. 196 del
2009) nella sua funzione di parametro di costituzionalita', assegnata
a tale legge dall'art. 81 della Costituzione.
P. Q. M.
Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e
441 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di
stabilita' 2014), nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti
nel presente ricorso.
Prof. avv. Falcon - Avv. Manzi