N.   16  RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 marzo 2011
 
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il  7  marzo  2011  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
  
(GU n. 15 del 6-4-2011)

     Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e  difeso  dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato  presso  cui  e'
domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    Contro Regione Calabria, in persona del  Presidente  pro  tempore
della  Giunta  regionale  per  la  declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale degli artt. 11, comma 1; 14; 15; 16 comma 1 e comma 5;
18; 29; 46; 49; 50 della legge regionale della Regione  Calabria  del
29 dicembre 2010, n. 34, pubblicata nel BUR n.24 del 31 dicembre 2010
della Regione Calabria, recante provvedimento generale recante  norme
di tipo  ordinamentale  e  procedurale  (collegato  alla  manovra  di
finanza regionale per l'anno 2011).  Art.  3  comma  4,  della  legge
regionale n. 8/2002. 
    La legge regionale della Regione Calabria 29 dicembre 2010, n. 34
contiene il provvedimento generale recante norme in materia  di  tipo
ordinamentale  e  procedurale,collegato  alla  manovra   di   finanza
regionale per l'anno 2011. 
    La predetta legge al titolo I  detta  disposizioni  di  carattere
finanziario, nei successivi titoli detta disposizioni in  materia  di
personale della regione (titolo II), in materia di entrate e  tributi
regionali (titolo  III  ),  in  materia  sanitaria  (titolo  IV),  le
modifiche ed integrazioni alle leggi regionali vigenti (titolo  V)  e
infine ulteriori diposizioni di carattere ordinamentale (titolo VI). 
    Nel titolo I in particolare  tra  le  disposizioni  di  carattere
finanziario  il  legislatore  regionale  disciplina  all'art.  11  la
partecipazione della Regione Calabria alla societa'  «Progetto  Magna
Grecia» 
    A. Piu' precisamente, al primo comma stabilisce  che  «La  Giunta
regionale e' autorizzata a  promuovere  e  perfezionare  mediante  la
stipula di tutti gli  atti  che  si  rendono  necessari  all'uopo  la
costituzione  di  una  societa'  in  house,  a  capitale  interamente
pubblico, con partecipazione  maggioritaria  della  Regione  Calabria
allo scopo di valorizzare e  provvedere  alla  gestione  unitaria  ed
integrata del patrimonio archeologico calabrese». 
    La disposizione dell'art. 11, comma 1 della legge sopra riportata
appare costituzionalmente illegittima, sotto i profili  che  verranno
ora evidenziati, per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
    1. Violazione dell'art. 117, comma 2, lettere g) ed s) e comma  3
Cost. 
    1.1. L'art. 11, comma 1  della  normativa  in  esame  prevede  la
costituzione ad opera della Regione di una societa'  in  house  «allo
scopo di valorizzare e provvedere alla gestione unitaria ed integrata
del patrimonio archeologico calabrese». 
    Come e' noto l'art. 117 comma 2  lettera  g)  della  Costituzione
dispone la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento
ed organizzazione amministrativa dello Stato e  degli  enti  pubblici
nazionali e alla lettera s) in materia di tutela dei beni culturali. 
    La previsione  operata  dalla  legge  regionale  in  esame  della
costituzione di una societa' in house per la  gestione  «unitaria  ed
integrata» del patrimonio archeologico calabrese  contrasta  in  modo
evidente con l'art. 117 comma 2 lett. g) ed s)  in  quanto  inserisce
nell'organizzazione,  che   deve   essere   esclusivamente   statale,
finalizzata alla tutela dei beni culturali,  un  elemento  del  tutto
estraneo  quale  una  societa'  regionale  a   capitale   interamente
pubblico. 
    La tutela dei  beni  culturali  consiste  infatti  nell'esercizio
delle  funzioni  e  nella  disciplina  delle  attivita'  dirette   ad
individuare  i  beni  costituenti  il  patrimonio  culturale   ed   a
garantirne la protezione e la  conservazione  per  fini  di  pubblica
fruizione. La predetta funzione di  tutela  e'  attribuita  dall'art.
117, comma 2, lett. s) Cost. in via esclusiva alla competenza statale
ed e' esercitata dal Ministero per i beni e le attivita' culturali in
tutte le sue articolazioni, in particolare in  sede  regionale  dalle
Soprintendenze che curano la gestione, i restauri, la manutenzione  e
la fruizione dei beni culturali. 
    Cio' significa che  la  previsione  operata  autonomamente  dalla
Regione Calabria  di  costituire  una  societa'  che  «provvede  alla
gestione unitaria  ed  integrata  del  patrimonio  calabrese»,  cioe'
funzioni di tutela del patrimonio archeologico calabrese, si pone  in
contrasto con la tutela unitaria del patrimonio culturale  attribuita
in via esclusiva al legislatore nazionale. 
    L'art. 11 contrasta peraltro anche con  l'art.  117  comma  3  in
relazione agli artt. 112 e 115 d.lgs. n. 42/2004. 
    L'art. 117  comma  3  prevede  tra  le  materie  di  legislazione
concorrente la «valorizzazione » dei beni culturali. 
    Al riguardo il d.lgs. n. 42/04 con gli artt. 112 (in particolare,
comma 4) e 115 dispone  che  lo  Stato  e  gli  altri  enti  pubblici
territoriali assicurano la valorizzazione dei beni culturali e che le
attivita'  di  valorizzazione  dei  beni  culturali  di  appartenenza
pubblica siano gestite in forma diretta, per  mezzo  delle  strutture
organizzative interne  alle  amministrazioni,  o  indiretta,  tramite
concessioni a terzi. 
    La valorizzazione peraltro, quando  non  effettuata  direttamente
dallo Stato, viene collegata dalle predette disposizioni ad accordi o
intese stipulati tra lo Stato e gli altri enti pubblici. 
    Anche  nella  denegata  ipotesi  di  volere  considerare  che  la
costituzione della societa' in house sia stata prevista dalla Regione
Calabria  al  solo   fine   della   valorizzazione   del   patrimonio
archeologico calabrese, la norma in esame contrasta dunque con 1'art.
117, comma 3 Cost. perche' prevede autonomamente, senza alcuna  forma
di cooperazione con lo Stato, la  costituzione  di  una  societa'  in
house della quale non sono precisati neanche i compiti. 
    2. La legge regionale n. 34/2010 in esame al titolo II dispone in
materia di personale e in particolare all'art. 14 dispone in  materia
di personale A.Fo.R. (Azienda forestale regionale). 
    L'art. 14 prevede che  nelle  more  dell'attuazione  della  legge
regionale n.  9/2007,  che  ha  disciplinato  il  trasferimento  alla
Regione dei dipendenti addetti ai servizi amministrativi A.Fo.R,  «la
Giunta regionale e' autorizzata  a  coprire  i  posti  vacanti  della
dotazione organica disponendo in sede di programmazione triennale dei
fabbisogni, prioritariamente e progressivamente, il trasferimento nel
proprio ruolo organico dei dipendenti A.Fo.R gia' in servizio  presso
gli uffici regionali alla data di pubblicazione della presente legge,
dando precedenza al personale che  possiede  maggiore  anzianita'  di
servizio presso gli uffici regionali, nel rispetto  della  disciplina
in  materia  contenuta  nell'art.  30  del  decreto  legislativo   n.
165/2001». 
    L'art. 14 appare costituzionalmente illegittimo, sotto i  profili
che verranno ora evidenziati, per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
Violazione dell'art. 97 Cost. 
    La legge n. 9/2007 della Regione Calabria, in particolare  l'art.
4, dispone la soppressione dell'Azienda forestale regionale  (A.Fo.R)
e la messa in liquidazione della stessa. 
    In particolare al comma 7 prevede il trasferimento  del  relativo
personale alla Regione ed alla Provincia,  nel  rispetto  del  regime
contrattuale di appartenenza. 
    Con l'art. 14 la legge regionale n. 34/2010 in  esame  stabilisce
il  trasferimento  dei  dipendenti  Afor  alla  Regione  nelle   more
dell'attuazione della legge n. 9/2007,  prevedendone  l'inquadramento
nel ruolo organico della Regione, con precedenza per  coloro  che  si
trovano gia' in servizio presso gli uffici  regionali  alla  data  di
pubblicazione della legge regionale impugnata. 
    E' evidente che il criterio di trasferimento  previsto  nell'art.
14 si pone in contrasto  con  i  principi  di  buon  andamento  e  di
imparzialita' della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost.
perche' prevede il trasferimento nel  ruolo  organico  della  Regione
Calabria dei dipendenti Afor  gia'  in  servizio  presso  la  Regione
stessa, attribuendo a questi lo  stato  giuridico  ed  economico  dei
dipendenti regionali; e non tiene in tal modo conto del principio del
mantenimento del regime contrattuale  di  appartenenza,  come  invece
espressamente  previsto  dalla  legge  n.  9/2007   di   soppressione
dell'Afor.  La   giurisprudenza   costituzionale   ha   ripetutamente
affermato che la facolta' del legislatore di  introdurre  deroghe  al
principio del  concorso  pubblico  deve  essere  delimitata  in  modo
rigoroso, potendo tali  deroghe  essere  considerate  legittime  solo
quando   siano   funzionali   esse   stesse   al    buon    andamento
dell'amministrazione  e  ove  ricorrano  peculiari  e   straordinarie
esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle  (ex  plurimis:
sentenze n. 195, n. 150 e n. 100 del 2010, n. 293 del 2009). Nel caso
in  esame  il  trasferimento  alla  Regione  Calabria  del  personale
appartenente all'azienda forestale, se  puo'  risultare  giustificato
dall'esigenza straordinaria di  inquadrare  nel  ruolo  regionale  il
personale di un'azienda soppressa per legge,  non  giustifica  invece
l'indiscriminata attribuzione per legge a tale personale dello  stato
giuridico ed economico dei dipendenti regionali. 
    L'inquadramento, per essere legittimo ed evitare contrasti con il
principio di buon andamento  e  soprattutto  di  imparzialita'  della
pubblica  amministrazione,   deve   invece   rispettare   il   regime
contrattuale di provenienza,come  espressamente  previsto  del  resto
dalla legge n. 9/2007 di soppressione dell'Afor. 
    L'art. 14, che prevede invece l'inquadramento degli ex dipendenti
Afor nei ruoli regionali, per giunta con  priorita'  per  coloro  che
gia' erano in servizio presso la Regione  alla  data  di  entrata  in
vigore della presente legge, e non, correttamente,  conservando  loro
il regime contrattuale di appartenenza, si pone in contrasto  con  il
principio  di  imparzialita',  risolvendosi  in   un   ingiustificato
privilegio, rispetto alla posizione di coloro che siano stati assunti
dall'origine nei ruoli  regionali  a  seguito  di  regolare  concorso
pubblico. 
    In tal modo si  inseriscono  nell'amministrazione  regionale  con
pienezza di diritti economici e di carriera, dipendenti che non hanno
sostenuto le prove  di  selezione  necessarie  per  accedere  a  tale
amministrazione;  laddove  la  sola  operazione  compatibile  con  il
principio di buon andamento e' la costituzione di un «ruolo a parte o
ad esaurimento» in cui collocare tali dipendenti fino  al  compimento
del loro periodo di servizio, da  determinare  a  tutti  gli  effetti
secondo l'originario stato giuridico ed economico di dipendenti Afor. 
    Cio'  del  resto  e'  confermato  dalla  precisazione   contenuta
nell'art. 4, comma 7, 1.r. n. 9/2007,  secondo  cui  nel  quadro  del
trasferimento alla Regione dei dipendenti ex Afor addetti ai  servizi
amministrativi  comunque  e'  «fatto  salvo   quanto   previsto   dal
successivo art. 6». 
    L'art. 6 della l. r. n. 9/2007 prevede che «ai dipendenti dei due
enti posti in liquidazione ... sono concessi  incentivi  per  l'esodo
anticipato dall'impiego, secondo procedure  che  saranno  individuate
dalla Giunta  regionale  sentite  le  organizzazioni  sindacali».  E'
evidente che l'automatica «regionalizzazione» dei dipendenti ex  Afor
fa invece venire meno l'interesse di questi a fruire degli  incentivi
all'esodo,  e  la  stessa  ragione  d'essere  della  previsione   ora
richiamata  dell'art.  6,  che  e'  quella  di  ridurre   gli   oneri
complessivi di personale di ruolo  gravanti  sul  bilancio  allargato
della Regione. 
    3. Nel titolo VI, recante  ulteriori  disposizioni  di  carattere
ordinamentale, la legge regionale n. 34/2010 in esame con  l'art.  46
integra la legge regionale n. 1 del 7 febbraio  2005  disponendo  che
dopo l'art. 1 comma 6-bis e' aggiunto il comma 6-ter secondo il quale
«anche in deroga a quanto previsto dall'art.  4  legge  n.  154/81  e
dell'art. 65 d.lgs. n. 267/00, le cariche di Presidente  e  Assessore
della Giunta  provinciale  e  di  Sindaco  ed  Assessore  dei  Comuni
compresi nel territorio della Regione sono compatibili con la  carica
di Consigliere regionale». 
    L'art. 46 in esame, appare costituzionalmente illegittimo,  sotto
i profili che verranno ora evidenziati per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
Violazione dell'art. Cost. 122, comma 1, 117,  comma  2,  lettera  p)
Cost. e 51 Cost. 
    L'art. 46 (che inserisce il comma 6-ter nell'art. 1  della  legge
regionale n. 1/2005) prevede che le cariche di Presidente e Assessore
della Giunta Provinciale e di Sindaco e Assessore dei Comuni compresi
nel  territorio  regionale  sono  compatibili  con   la   carica   di
Consigliere regionale. 
    La disposizione contrasta in primo luogo con l'art. 122 Cost.  il
quale dispone che  i  casi  di  incompatibilita'  con  la  carica  di
Presidente o componente della  Giunta  regionale,  o  di  consigliere
regionale, sono disciplinati dalla legge regionale,  nei  limiti  dei
principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica. 
    Questa, all'art. 65  d.lgs.  n.  267/2000  (ex  art.  4,  154/81)
dispone al comma 1: «1. Il presidente e  gli  assessori  provinciali,
nonche' il sindaco e gli assessori dei comuni compresi nel territorio
della Regione,  sono  incompatibili  con  la  carica  di  consigliere
regionale.». 
    E' evidente la violazione dell'art. 122  comma  1  Cost.  in  cui
incorre  la  norma  impugnata.  Essa  infatti   elimina   in   radice
dall'ordinamento regionale qualsiasi incompatibilita' della carica di
consigliere  regionale  con  quelle   di   Presidente   e   assessore
provinciale  e  di  Sindaco  e  assessore  comunale.  Senonche'  tale
incompatibilita', prevista dalla riportata normativa statale, esprime
un principio generale che proprio ai  sensi  dell'art.  122  comma  1
Cost. la Regione non puo' vanificare nel  legiferare  in  materia  di
incompatibilita' dei consiglieri regionali. 
    Tale principio e'  quello  del  divieto  generale  di  cumulo  di
funzioni pubbliche, a cui possono essere apportate  deroghe  soltanto
in casi eccezionali e giustificati da esigenze particolari; mentre e'
da  ritenere  assolutamente  preclusa   una   deroga   di   carattere
generalizzato, come  quella  introdotta  dalla  norma  regionale  qui
censurata. 
    Il divieto di cumulo delle cariche pubbliche  tende  a  garantire
che l'esercizio di queste sia connotato da imparzialita' e sia immune
da  conflitti  di  interesse;  laddove  e'  evidente  il  rischio  di
commistioni di interessi eterogenei, e  anche  confliggenti,  che  si
potrebbe verificare se si consentisse a chi fa  parte  del  consiglio
regionale di ricoprire altresi' incarichi di  governo  nei  comuni  o
nelle province. 
    Nel  caso  dei  rapporti  tra  la  regione  e  gli  enti   locali
territoriali  in  essa  ricadenti,  l'incompatibilita'  in  questione
attiene inoltre, e piu' specificamente, alla garanzia  dell'autonomia
dei comuni e delle province rispetto all'ente regionale. 
    La disposizione in esame, inoltre, poiche' in fatto disciplina le
cause di ineleggibilita' e di incompatibilita' dei  Presidenti  della
Provincia e  degli  assessori  provinciali  e  dei  Sindaci  e  degli
assessori   comunali,previste   dall'art.   65   del   testo    unico
sull'ordinamento degli enti locali, contrasta inoltre con l'art. 117,
comma 2, lett. p) Cost. che prevede la potesta' legislativa esclusiva
statale in materia di organi di governo di comuni,province  e  citta'
metropolitane. 
    Compete infatti al legislatore  nazionale  disciplinare  in  modo
uniforme su tutto il territorio nazionale le  regole  in  materia  di
eleggibilita' e di incompatibilita' attesa l'identita'  di  interessi
che  Comuni  e  province  rappresentano  rispetto   alle   rispettive
comunita' locali,quale che sia la Regione di appartenenza. 
    E' quindi indispensabile che la disciplina dell'accesso  e  della
permanenza nelle funzioni di sindaco o di presidente di Provincia,  o
di assessore comunale o  provinciale,  siano  uniformi  su  tutto  il
territorio nazionale. Tale disciplina fa infatti parte integrante  di
quella concernente gli organi  di  governo  dei  comuni,  province  e
citta' metropolitane, che non puo'  essere  differenziata  a  seconda
della regione in cui si trovano gli enti locali interessati. 
    In terzo luogo, la disposizione impugnata viola l'art. 51  Cost.,
che garantisce a tutti i cittadini  il  diritto  di  concorrere  alle
funzioni pubbliche elettive in condizioni di eguaglianza  nei  limiti
stabiliti  dalla  legge.  Per  effetto  della  disposizione   citata,
infatti, nella regione Calabria possono  concorrere  alla  carica  di
consigliere regionale, o essere eletti  sindaco  o  presidente  della
provincia, o essere nominati assessori comunali o provinciali,  anche
soggetti che, a causa della titolarita' di altra di  queste  funzioni
pubbliche, non potrebbero concorrere alle suddette  cariche  elettive
in altre regioni. 
    4) L'art. 15 della legge Regione Calabria n. 34 del  29  dicembre
2010  e'  censurabile  in  quanto  incide  su  materia   diversamente
disciplinata dalla normativa statale di cui  all'art.  40,  comma  1,
lettera f) del d.lgs. n. 150 del 27 ottobre  2009,  che  ha  inserito
nell'art. 19 del d.lgs n. 165 del 30  marzo  2001  i  commi  6-bis  e
6-ter; esso si pone altresi' in contrasto con l'art.  117,  comma  2,
lett. l) della Costituzione, in quanto verte su materia di  esclusiva
competenza statale, quale l'ordinamento civile. 
    L'art. 15 della legge Regione Calabria n. 34/2010  prevede:  «Per
eccezionali  ragioni  di  continuita'   nell'azione   amministrativa,
restano validi gli incarichi dirigenziali conferiti, per la copertura
di posti vacanti, in data anteriore al 17  novembre  2010,  ai  sensi
dell'art. 10 commi 4, 4-bis e 4-ter della legge  regionale  7  agosto
2002, n. 31, nonche' i consequenziali effetti giuridici». 
    Gli incarichi di funzione dirigenziale di cui all'art. 10 l.r. n.
31/02 sono, a loro volta, quelli che possono essere conferiti,  entro
precisi limiti percentuali e di tempo stabiliti dalla  norma  stessa,
anche a soggetti estranei all'Amministrazione. 
    La norma  introdotta  con  l'art.  15  l.r.  Calabria  n.  34/10,
confermando la validita' e  gli  effetti  giuridici  degli  incarichi
conferiti a mente dell'art. 10 da  ultimo  citato,  interferisce  con
l'art. 40, comma 1, lett. f) del d.lgs. n. 150/09  che  -  attraverso
l'introduzione dei commi 6-bis e 6-ter all'art.  19,  del  d.lgs.  n.
165/01 - ha reso applicabile alle Regioni il  comma  6  dell'art.  19
d.lgs. n. 165/01. 
    I commi 6 e 6-bis dettano, infatti,  una  precisa  disciplina  in
materia di costituzione del rapporto  contrattuale  dirigenziale  con
soggetti di  provenienza  esterna  all'Amministrazione,  nonche'  del
rapporto che da tale contratto  scaturisce,  segnatamente  stabilendo
sia i limiti percentuali entro cui  e'  consentita  l'assunzione  dei
soggetti di cui sopra, sia la durata del rapporto. 
    La legge della Regione Calabria n. 34/10, in quanto interviene  a
conservare validita' ai contratti gia' in essere  alla  data  del  17
novembre 2010 ed a preservare i relativi effetti giuridici, contrasta
con i limiti stabiliti dalla sopra richiamata normativa statale. 
    Inoltre, va rilevato che la materia sulla quale  va  ad  incidere
l'art. 40 del d.lgs. n. 150/09, estendendo la  richiamata  disciplina
alle Regioni, e'  riconducibile  alla  categoria  dell'  «ordinamento
civile», di cui all'art. 117, comma 2, lett. l). 
    La Corte costituzionale, con  sentenze  nn.  324/10  e  325/10  -
escludendo l'illegittimita' costituzionale dell'art.  40  cit.  -  ha
affermato che la normativa la  cui  applicazione  esso  estende  alle
Regioni e' «riconducibile alla materia dell'ordinamento civile di cui
all'art. 117, comma 2, lett. l)  Cost.  poiche'  il  conferimento  di
incarichi  dirigenziali  a  soggetti  esterni,   disciplinato   dalla
normativa  citata,  si  realizza  mediante  la  stipulazione  di   un
contratto  di  lavoro  di  diritto  privato.   Conseguentemente,   la
disciplina della fase  costitutiva  di  tale  contratto,  cosi'  come
quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione  di  quel
negozio giuridico, appartengono alla materia dell'ordinamento civile»
(enfasi aggiunta). 
    Se - come affermato dalla  Corte  costituzionale  nelle  sentenze
sopra richiamate - l'art. 40 cit. verte  in  materia  di  ordinamento
civile  (e,  segnatamente,  in  materia  contrattuale),  ne  discende
inevitabilmente che anche la  relativa  deroga  introdotta  dall'art.
15 l.r. n. 34/10, va a sua volta ad incidere  sempre  sulla  medesima
materia contrattuale, in contrasto con la norma statale che la regola
(segnatamente, sotto il profilo della disciplina dell'instaurazione e
durata del rapporto), cosi' violando l'art. 117, comma  2,  lett.  l)
Cost. 
    5) L'art. 16, commi 1 e 5 della legge Regione Calabria n. 34  del
29 dicembre 2010 e' censurabile in quanto viola la normativa  statale
di cui all' art. 17, comma 10 del d.l. n.  78  del  1°  luglio  2009,
ponendosi altresi' in contrasto con i principi di  cui  all'art.  117
comma 3 Cost. nell'ottica del coordinamento con la finanza pubblica. 
    In particolare, l'art. 16 comma 1 l.r. Calabria n. 34/10 fissa al
31 dicembre 2011 il termine finale  per  l'attuazione  del  Piano  di
stabilizzazione del personale appartenente ai lavoratori  socialmente
utili, mentre il comma 5 indica al 31 dicembre 2013  il  termine  per
l'attuazione  dei  piani   di   stabilizzazione   occupazionali   dei
lavoratori dei bacini di cui all'art. 2, l.r. n. 20/03. 
    A sua volta, l'art. 17, comma 10 del d.l. n. 78/09 prevede:  «Nel
triennio 2010-2012, le amministrazioni pubbliche di cui  all'articolo
1, comma 2, del decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165,  nel
rispetto della programmazione triennale del  fabbisogno  nonche'  dei
vincoli finanziari previsti dalla normativa  vigente  in  materia  di
assunzioni e di contenimento  della  spesa  di  personale  secondo  i
rispettivi  regimi  limitativi  fissati  dai  documenti  di   finanza
pubblica, e per le amministrazioni interessate,  previo  espletamento
della  procedura  di  cui  all'articolo  35,  comma  4,  del  decreto
legislativo 30  marzo  2001,  n.  165,  e  successive  modificazioni,
possono bandire concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato  con
una riserva di posti, non superiore al 40 per cento dei posti messi a
concorso, per il personale non dirigenziale in possesso dei requisiti
di cui all'articolo 1, commi 519 e 558, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296 e all'articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre  2007,  n.
244. ...» (enfasi aggiunta), cosi' stabilendo  precisi  vincoli  alla
possibilita' di  assunzioni  a  tempo  indeterminato  da  parte,  tra
l'altro, delle Regioni, ai fini della stabilizzazione  del  personale
gia' assunto a tempo determinato. 
    Invero, il rispetto dei limiti stabiliti dalla norma  statale  e'
strumentale a garantire  che  le  assunzioni  a  tempo  indeterminato
intervengano  solo  nella  misura  consentita  dalle   disponibilita'
finanziarie esistenti, e cio' al fine di assicurare la compatibilita'
delle prime con le seconde. 
    Ne discende che l'art. 16, commi 1 e 5  della  l.r.  Calabria  n.
34/10,  prevedendo  un  termine   ultimo   per   l'attuazione   delle
stabilizzazioni di una certa  categoria  di  lavoratori  senza  tener
conto dei suddetti limiti, si pone in contrasto con il principio  del
coordinamento della finanza pubblica di cui  all'art.  117,  comma  3
Cost., in quanto la norma statale di cui all'art. 17 comma  10  legge
n.  78/09  non  permette  una  generica  salvaguardia  di  tutte   le
stabilizzazioni, ancorche' programmate ed autorizzate, le quali - pur
nel rispetto dell'autonomia regionale - debbono comunque rispettare i
limiti imposti dalla legge statale alla scelta normativa regionale. 
    6) L'art. 18 della legge Regione Calabria n. 34 del  29  dicembre
2010 viola il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e  del
pubblico concorso di cui all'art. 87 Cost. 
    Attraverso la previsione di un corso-concorso  che  -  in  quanto
riservato ai dipendenti  regionali  -  restringe  arbitrariamente  la
categoria dei soggetti legittimati a partecipare alla  selezione,  la
norma viola sia il principio di eguaglianza di cui all'art. 3  Cost.,
sia il principio del pubblico concorso sancito all'art. 97 Cost. 
    Quanto al principio di eguaglianza, esso appare violato in quanto
- a parita' di requisiti - sono  esclusi  dalla  partecipazione  alla
procedura  concorsuale  coloro  che   non   siano   gia'   dipendenti
dell'amministrazione. 
    Quanto - poi - al principio del  pubblico  concorso,  si  osserva
che, per consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale (sent.
nn. 363/06, 293/09, 52/11), il principio  del  pubblico  concorso  ha
portata generale  e  le  relative  deroghe  -  pur  consentite  dalla
Costituzione -  si  giustificano  solo  ove  determinate  da  ragioni
eccezionali di interesse  pubblico,  nella  specie  peraltro  neppure
enunciate nella  norma  della  legge  regionale  impugnata;  inoltre,
costituisce  deroga  al  principio  generale  anche  la   restrizione
arbitraria dei partecipanti al concorso: e' infatti incompatibile con
la natura pubblica della selezione la mancanza di requisiti quali  la
natura    comparativa    e    l'apertura    ai    soggetti    esterni
all'Amministrazione. 
    La  prospettiva  aperta  dall'art.  18  della   legge   regionale
impugnata corrisponde appunto alle fattispecie gia'  censurate  nella
richiamata  giurisprudenza  costituzionale,  in  quanto   limita   ai
dipendenti regionali in possesso dei  requisiti  per  l'accesso  alla
qualifica dirigenziale l'accesso alla procedura selettiva, in difetto
di ragioni di eccezionale interesse pubblico (neppure indicate  dalla
norma). 
    Si segnala peraltro che, sulla stessa questione della  violazione
del  principio  del  concorso  pubblico  realizzata   attraverso   la
previsione di  una  modalita'  di  accesso  riservato  pende  ricorso
innanzi a codesta ecc.ma Corte avverso la 1.r. Calabria n. 8  del  26
febbraio 2010, contraddistinto al n.reg. ric. 65/2010. 
    7. Violazione dell'art. 117, comma 1 e comma 2, lett. e) Cost. 
    Incostituzionale e' altresi' la disposizione di cui  all'articolo
49, secondo la quale la Regione attribuisce la «missione di  servizio
di interesse economico generale», ai sensi dell'articolo 106, comma 2
del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea,  ai  servizi
aeroportuali connessi al trasporto aereo di passeggeri e mezzi svolti
da societa' partecipate dalla stessa. 
    Poiche' prevede la possibilita' di derogare in parte alle  regole
della concorrenza, tale norma si pone  in  contrasto  con  l'articolo
117, comma 1 della Costituzione  in  materia  dei  vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, nonche'
con l'articolo  117,  comma  2,  lettera  e),  che  riserva  in  modo
esclusivo allo Stato la materia della tutela della concorrenza. 
    8. Violazione degli artt. 41 e 117, commi 1 e 3 Cost. 
    L'art. 29 aggiunge l'art. 4-bis alla legge 29 dicembre  2008,  n.
42,  recante  «Misure  in  materia  di  energia  elettrica  da  fonti
energetiche rinnovabili». 
    Tale disposizione introduce una serie di privilegi per  gli  enti
pubblici, gli enti locali e i consorzi di  sviluppo  industriale  che
intendano proporre iniziative energetiche rinnovabili  (priorita'  di
indizione ai procedimenti unici afferenti domande da  essi  avanzate;
esonero dalla concorrenza dei limiti di potenza  autorizzati  di  cui
alla stessa legge (n. 42/2008; deroghe ai  procedimenti  di  verifica
preliminare di cui  all'art.  6  dell'all.to  sub  1  alla  legge  di
verifica ambientale;  riconoscimento  di  priorita'  ai  procedimenti
unici afferenti i progetti; specialita' dei lavori  della  conferenza
di servizi. 
    Tale disposizione non e' conforme al quadro  normativo  nazionale
di principio (d.lgs. n. 79/1999 e d.lgs.  n.  387/2003),  secondo  il
quale la produzione di energia, anche da fonti  rinnovabili,  avviene
in regime di libero mercato concorrenziale incompatibile con riserve,
monopoli  e  privilegi  pubblici.  Inoltre  essa  si  traduce  in  un
irragionevole distorsione del mercato della produzione di energia  da
fonti rinnovabili, contrastando  con  l'art.  41  della  Costituzione
(liberta'  di  iniziativa  economica),  nonche'  con   l'articolo   3
(principio di uguaglianza) e con l'articolo 117, 1° e 3° comma  della
Costituzione. 
    9. Violazione dell'art. 117, comma 2, lett. s) Cost. 
    L'articolo 50, rubricato «Stagione venatoria, giornata di caccia,
legge regionale n. 9/1996» fissa il calendario  venatorio  regionale.
La modifica introdotta, relativa alle specie cacciabili ed ai periodi
di attivita' venatoria, confligge con la normativa statale  contenuta
nell'art. 18 della legge n. 157/1992, il quale, al comma  2,  dispone
che i periodi di attivita' venatoria previsti dal  comma  1,  possono
essere modificati per determinate specie in relazione alle situazioni
ambientali delle  diverse  realta'  territoriali  e  che  le  regioni
possano  autorizzare  le  modifiche   previo   parere   dell'Istituto
superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA); il comma
4,  dispone  che  le  regioni  pubblichino  il  calendario  venatorio
regionale  acquisendo  il  parere  del  citato  ISPRA.  Peraltro   la
normativa in  esame  non  rispetta  la  «Guida  per  la  stesura  dei
calendari venatori ai sensi  della  legge  n.  157/1992,  cosi'  come
modificata  dalla  legge  comunitaria  2009,  articolo  42»   redatta
dall'ISPRA alla luce delle recenti modifiche introdotte alla legge n.
157/1992 in applicazioni  della  Direttiva  «Uccelli»  (2009/147/CE).
Tale  procedimento  di  carattere  amministrativo,  ai  sensi   della
normativa statale, deve essere concluso entro il 15  giugno  di  ogni
anno. Non e' previsto dalla normativa statale,  peraltro  espressione
di una competenza esclusiva dello Stato che tale materia possa essere
disciplinata con legge regionale (cfr. sent. Corte costituzionale  n.
233/2010).  La  norma  eccede  quindi  dalla   competenza   regionali
risultando invasiva della competenza esclusiva dello Stato in materia
di tutela dell'ambiente affermata dall'articolo 117,  secondo  comma,
lettera s) della Costituzione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si chiede che venga dichiarata la  illegittimita'  costituzionale
degli artt. 11, comma 1; 14; 15; 16 comma 1 e comma 5;  18;  29;  46;
49; 50 della legge regionale della Regione Calabria del  29  dicembre
2010, n. 34, pubblicata nel BUR n. 24  del  31  dicembre  2010  della
Regione Calabria, recante «Provvedimento generale  recante  norme  di
tipo ordinamentale e procedurale (collegato alla manovra  di  finanza
regionale per l'anno 2011). Art. 3, comma 4, della legge regionale n.
8/2002». 
    Si producono la norma impugnata e  per  estratto  copia  conforme
della delibera del Consiglio dei Ministri del 23 febbraio  2011  (con
allegata relazione). 
        Roma, addi' 28 febbraio 2011 
 
          Gli Avvocati dello Stato: Aiello - Guida - Russo 
 

Menu

Contenuti