Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 23 ottobre 2012 (della Regione Puglia).

 

 

(GU n. 1 del 2.1.2013)

 

     Ricorso della Regione Puglia,  in  persona  del  Presidente  pro tempore  della  Giunta  regionale  dott.  Nicola  Vendola,   a   cio' autorizzato con deliberazione della. Giunta regionale n. 1973 del  12 ottobre 2012, rappresentato e  difeso  dagli  avv.ti  prof.  Marcello

Cecchetti e Vittorio Triggiani ed elettivamente domiciliato presso lostudio   del   primo   in   Roma,   Via   Antonio    Mordini   n.   14 (...), come da procura

speciale a margine del presente atto;

    Contro lo Stato, in persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri  pro  tempore,  per  la  dichiarazione   di   illegittimita' costituzionale in parte qua dell'art. 19, comma 1,  lettere  a),  d), e), nonche'  commi  da  2  a  6,  del  d.l.  6  luglio  2012,  n.  95

(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 7  agosto  2012,  n.  135, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2012, n. 189, S.O., per violazione degli articoli 117, secondo, terzo e  quarto  comma,  118, secondo comma, 119, primo, secondo e sesto  comma,  e  123,  primo  e ultimo comma, della Costituzione.

    1. - Con l'approvazione dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, nel testo risultante dalla conversione in legge ad opera della  legge  n. 135 del 2012, e'  stata  introdotta  nell'ordinamento  una  normativa concernente le funzioni fondamentali dei comuni e il  loro  esercizio in forma associata, nonche' una complessiva e articolata  regolazione

dell'istituto delle unioni di  comuni,  in  larga  parte  sostitutiva della disciplina gia' a suo tempo contenuta nell'art. 14, commi 27  e ss., del d.l. n. 78 del 2010, come convertito in legge dalla legge n. 122 del 2010,  e  nell'art.  16  del  d.l.  n.  138  del  2011,  come convertito in legge dalla legge n. 148 del 2011. Queste  disposizioni disciplinano  le   procedure   di   istituzione,   la   delimitazione territoriale e la struttura organizzativa  delle  unioni  di  comuni, regolando altresi' le funzioni che le unioni di comuni sono destinate a  svolgere  e  contemplando  inoltre  alcune  specifiche  previsioni destinate ad incidere su importanti aspetti tributari e  patrimoniali dell'autonomia comunale.

    2. -  La  Regione  Puglia,  con  la  deliberazione  della  Giunta indicata in epigrafe, ha espresso la volonta' di impugnare davanti  a questa Corte le disposizioni contenute nell'art. 19 del  d.l.  n.  95 del 2012, come convertito in legge  dalla  legge  n.  135  del  2012,

limitatamente al comma 1, lettere a), d) ed e), e ai commi da 2 a  6,

perche' costituzionalmente illegittime e lesive dell'autonomia che la

Costituzione riconosce e garantisce alle Regioni e agli  territoriali

sub-regionali, in riferimento agli articoli 117, 118, 119 e 123 della

Costituzione.

    I molteplici profili  di  illegittimita'  costituzionale  che  si

denunciano con il presente ricorso si fondano sulle seguenti  ragioni

di

 

                               Diritto

 

    3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma  1,  lett.

a), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge  n.

135 del 2012, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett.  p),

dell'art. 117, terzo e quarto comma. nonche' dell'art.  118,  secondo

comma, della Costituzione, nella parte in cui include tra le funzioni

fondamentali dei Comuni anche funzioni  amministrative  ricadenti  in

materie di competenza legislativa concorrente o residuale regionale.

    3.1. - L'art. 19, comma 1, lett. a), del  d.l.  n.  95  del  2012

introduce  un  nuovo  testo  del  comma  27  dell'articolo   14   del

decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito,  con  modificazioni,

dalla legge 30 luglio 2010, n.  122.  Il  testo  attualmente  vigente

cosi' recita:

    «Ferme restando le funzioni di programmazione e di  coordinamento

delle regioni, loro spettanti nelle materie di cui all'articolo  117,

commi terzo e quarto, della Costituzione, e le funzioni esercitate ai

sensi   dell'articolo   118   della   Costituzione,   sono   funzioni

fondamentali dei comuni, ai sensi dell'articolo 117,  secondo  comma,

lettera  p),   della   Costituzione:   a)   organizzazione   generale

dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile  e  controllo;

b) organizzazione dei  servizi  pubblici  di  interesse  generale  di

ambito  comunale,  ivi  compresi  i  servizi  di  trasporto  pubblico

comunale;c) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato

dalla normativa vigente; d) la pianificazione urbanistica ed edilizia

di ambito comunale  nonche'  la  partecipazione  alla  pianificazione

territoriale  di  livello  sovracomunale;  e)  attivita',  in  ambito

comunale di pianificazione di protezione civile  e  di  coordinamento

dei primi soccorsi; f) l'organizzazione e la gestione dei servizi  di

raccolta e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione

dei relativi tributi; g) progettazione e gestione del sistema  locale

dei servizi sociali  ed  erogazione  delle  relative  prestazioni  ai

cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118,  quarto  comma,

della  Costituzione;  h)  edilizia  scolastica  per  la   parte   non

attribuita alla competenza delle province, organizzazione e  gestione

dei   servizi   scolastici;   i)   polizia   municipale   e   polizia

amministrativa locale; l) tenuta dei registri di stato  civile  e  di

popolazione e compiti in materia di  servizi  anagrafici  nonche'  in

materia di servizi  elettorali  e  statistici,  nell'esercizio  dalle

funzioni di competenza statale».

    3.2.  -  Questa  disciplina  viola  la   competenza   legislativa

regionale per le seguenti ragioni.

    La potesta' legislativa ordinaria dello Stato fondata sulla lett.

p) del secondo comma dell'art. 117 Cost.,  in  materia  di  «funzioni

fondamentali»  di  Province,  Comuni  e  Citta'   metropolitane,   si

presenta, per sua natura, limitata. Da essa non puo' certo  ricavarsi

un titolo che abiliti lo Stato a qualificare liberamente -  come  nel

caso di specie - qualunque  funzione  amministrativa  come  «funzione

fondamentale» dei Comuni o delle Province, potendo  per  cio'  stesso

disporne  l'integrale  disciplina.  Altrimenti  si  giungerebbe  alla

inaccettabile  conseguenza  di  svuotare   di   qualunque   contenuto

precettivo gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma,

Cost., i quali prescrivono che sia la legge regionale ad  allocare  e

disciplinare le funzioni  amministrative  nelle  materie  diverse  da

quelle  di  competenza  legislativa  statale.  Se  lo  Stato  potesse

qualificare come «fondamentali» funzioni amministrative in  qualunque

materia e di qualunque genere e tipo, sarebbe  sufficiente  procedere

in  tal  senso  per  «espropriare»  ad  libitum  le   Regioni   delle

prerogative ad esse riconosciute  dalle  disposizioni  costituzionali

appena citate.

    La giurisprudenza di questa  Corte  ha  piu'  volte  riconosciuto

espressamente il  carattere  «limitato»  della  potesta'  legislativa

statale di cui alla menzionata lett. p) del secondo  comma  dell'art.

117 (si vedano, al riguardo, le sentt. richiamate al successivo  par.

6.2), ma non ha ancora avuto modo  di  individuare  con  chiarezza  i

limiti entro i quali dovrebbe essere intesa  l'espressione  «funzioni

fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane».

    Ad avviso della Regione Puglia, le «funzioni fondamentali» cui fa

riferimento la disposizione costituzionale in esame devono  ritenersi

limitate a quelle in cui si  esprimono  la  potesta'  statutaria,  la

potesta' regolamentare  e  la  potesta'  amministrativa  a  carattere

«ordinamentale» concernente le funzioni essenziali che attengono alla

vita  stessa  e  al  governo  degli  enti  locali  territoriali   ivi

espressamente  contemplati.  In  nessun  caso  vi  potrebbero  essere

ricondotte funzioni  «amministrativo-gestionali»  in  senso  proprio,

ne', tanto meno, alcune di quelle individuate dalla norma legislativa

qui censurata.

    3.3. - A sostegno di  una  simile  conclusione  militano  diversi

argomenti.

    Innanzitutto,  l'argomento  «topografico»  riferito  allo  stesso

testo dell'art. 117,  secondo  comma,  lett.  p),  per  il  quale  le

«funzioni fondamentali» sono accomunate agli «organi  di  governo»  e

alla «legislazione elettorale».

    In   secondo   luogo,   la   considerazione   dei   principi   di

sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza di cui  all'art.  118,

primo comma, Cost.

    Infatti, se si muove dalla premessa - ampiamente desumibile dalla

giurisprudenza di questa Corte - secondo  la  quale  la  ratio  della

attribuzione  allo  Stato  di  una  competenza  legislativa   e'   da

rintracciare  in  una  esigenza  unitaria   di   livello   nazionale,

risulterebbe del tutto incomprensibile individuare una tale  esigenza

unitaria nell'ipotesi in cui tra le funzioni fondamentali  menzionate

alla  lett.  p)  dell'art.  117,  secondo   comma,   Cost.,   fossero

annoverabili anche funzioni amministrative consistenti nella concreta

cura di interessi. Cio' perche'  tali  funzioni  dovrebbero  comunque

essere  allocate  tra  gli  enti  locali  in  base  ai  principi   di

sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza ex  art.  118,  primo

comma, Cost. E tale vincolo, ovviamente, graverebbe allo stesso  modo

sulla legge statale e su quella regionale (art. 118,  secondo  comma,

Cost.),  guidandole  verso  le  medesime  scelte.   Come   e'   stato

evidenziato  in  dottrina,  «se   le   funzioni   fondamentali   sono

amministrative, la legge statale non potrebbe allocarle  senza  tener

corto del vincolo  costituito  dal  principio  di  sussidiarieta':  e

quindi, non potrebbe assegnare alle Province funzioni  amministrative

che potrebbero essere adeguatamente svolte dai comuni (o  viceversa).

Ma in questo caso non si capisce perche' - nelle materie di spettanza

regionale - questa valutazione  di  sussidiarieta'/adeguatezza  debba

essere operata dalla legge statale  in  luogo  di  quella  regionale,

tanto piu' che la sussidiarieta' vincolerebbe allo stesso modo  tanto

il legislatore statale che quello regionale prescrivendo la  medesima

soluzione  allocativa»  (cosi'  O.  Chessa,  Pluralismo  paritario  e

autonomi locali nel regionalismo italiano,  in  www.astrid-online.it,

p. 14).

    D'altra parte, non si potrebbe certo ritenere  che  la  soluzione

proposta  in  questa  sede  sia  in  grado  di  pregiudicare   quella

uniformita' minima negli standard di prestazione  relativi  a  quelle

funzioni, particolarmente importanti per le collettivita' locali, che

in virtu' di tale importanza si volessero far  rientrare  tra  quelle

«fondamentali». Lo Stato,  infatti,  sarebbe  comunque  dotato  della

competenza ad individuare i «livelli essenziali delle prestazioni», e

inoltre avrebbe a disposizione, in ogni caso, lo strumento del potere

sostitutivo straordinario ex art.  120,  secondo  comma,  Cost.,  per

garantire l'effettivita' di questi ultimi.

    3.4.  -  Si  deve  notare,  peraltro,  che  -  al  di  la'  della

qualificazione delle medesime come «funzioni fondamentali» - lo Stato

ovviamente dispone della competenza a regolare e allocare  agli  enti

locali funzioni amministrative che ricadono nell'ambito delle proprie

materie di competenza legislativa esclusiva ai sensi  dell'art.  117,

secondo comma, Cost. La lesione delle competenze  regionali,  dunque,

si  produce   esclusivamente   in   relazione   a   quelle   funzioni

amministrative   che,   qualificate   come    «fondamentali»    dalla

disposizione  in  questa  sede  contestata,  ricadono  in  ambiti  di

competenza legislativa regionale, (di tipo concorrente o  residuale).

Il   riconoscimento   della   possibilita'   di   qualificare    come

«fondamentali» funzioni di questo tipo,  infatti,  determinerebbe  la

conseguenza della sostanziale «espropriazione»  delle  Regioni  della

possibilita'  di  disciplinare   e   allocare   importanti   funzioni

amministrative ricadenti negli ambiti materiali che  la  Costituzione

assegna alla loro competenza legislativa. A scorrere  l'elenco  delle

funzioni che,  nella  disposizione  oggetto  del  presente  giudizio,

ricevono la qualifica di «fondamentali», e' del  tutto  evidente  che

tale «effetto espropriativo» si produce in  relazione  a  settori  di

primissima   importanza.   Basti   considerare,   al   riguardo,   la

«organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di  ambito

comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale», che

inerisce alla materia dei «servizi  pubblici  locali»,  pacificamente

collocata, dalla giurisprudenza costituzionale, nell'ambito dell'art.

117, quarto comma, Cost.; la «pianificazione urbanistica ed  edilizia

di ambito comunale  nonche'  la  partecipazione  alla  pianificazione

territoriale di livello sovracomunale», evidentemente  riferibile  al

«governo del territorio»; la «progettazione e  gestione  del  sistema

locale dei servizi sociali ed erogazione della  relative  prestazioni

ai cittadini,  secondo  quanto  previsto  dall'articolo  118,  quarto

comma, della Costituzione»,  anch'essa  ascrivibile  alla  competenza

residuale regionale, in materia di «servizi sociali» (cfr. le  sentt.

nn. 61 del 2011, par. 3.1. del Considerato in diritto; 40  del  2011,

par. 4.1. del Considerato in diritto;  10  del  2010,  par.  6.3  del

Considerato in diritto; 50  del  2008,  par.  5  del  Considerato  in

diritto); le funzioni in tema di «edilizia scolastica  per  la  parte

non attribuita alla competenza delle province», nonche'  in  tema  di

«organizzazione e gestione dei servizi scolastici», dal  momento  che

lo Stato, in materia di istruzione, dispone soltanto della competenza

concernente le «norme generali sull'istruzione» di cui all'art.  117,

secondo comma, Cost., ed i  «principi  fondamentali»  in  materia  di

«istruzione» di cui all'art. 117,  terzo  comma,  Cost.;  ancora,  le

«attivita', in  ambito  comunale,  di  pianificazione  di  protezione

civile  e  di  coordinamento  dei  primi   soccorsi»,   pacificamente

rientranti nella  competenza  regionale  in  materia  di  «protezione

civile», ai sensi dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.;  infine,  le

funzioni in materia di «polizia municipale e  polizia  amministrativa

locale», espressamente escluse, dall'art. 117, secondo comma,  Cost.,

dalla competenza  esclusiva  statale,  e  riconducibili  invece  alla

potesta' legislativa regionale residuale.

    3.5. - Deve essere rilevato, peraltro, come l'idea che importanti

servizi pubblici locali non possano senz'altro essere «avocati»  alla

competenza legislativa dello  Stato  mediante  la  utilizzazione,  da

parte  di  quest'ultimo,  della  qualificazione  dei  medesimi   come

«funzioni fondamentali», sia stata fatta propria da questa Corte  con

le sentt. nn. 274 del 2004 e 325 del  2010.  Nella  prima  decisione,

infatti, e' stato escluso che le norme in tema  di  servizi  pubblici

locali possano rientrare nella  competenza  legislativa  statale  «in

tema  di  "funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province   e   Citta'

metropolitane» (art 117,  secondo  comma,  lettera  p),  giacche'  la

gestione  dei  predetti   servizi   non   puo'   certo   considerarsi

esplicazione di  una  funzione  propria  ed  indefettibile  dell'ente

locale, (par. 3 del Considerato in diritto). Nella  seconda,  d'altra

parte, e' stato chiarito al di la' di ogni possibile  dubbio  che  il

servizio idrico  integrato  «non  costituisce  funzione  fondamentale

dell'ente locale» (par. 6.2. del Considerato  in  diritto).  Come  e'

noto,   la   giurisprudenza   costituzionale   ha   riconosciuto   la

possibilita' per il legislatore statale di regolare,  anche  in  modo

penetrante, importanti aspetti del servizio  idrico  integrato  e  di

altri servizi pubblici locali. Lo ha fatto, pero', ascrivendo  questa

possibilita' alla competenza esclusiva statale in materia di  «tutela

della  concorrenza»  o   in   materia   di   «tutela   dell'ambiente»

evidenziando, invece, che - per il resto - il legislatore  competente

e' il legislatore regionale, ai sensi dell'art.  117,  quarto  comma,

Cost. (cosi' almeno a partire proprio dalla citata sent. n.  272  del

2004). Le indicazioni reperibili nelle sentt. nn. 274 del 2004 e  325

del 2010 - quest'ultima pur espressamente riferita al  solo  servizio

idrico integrato - si inseriscono  coerentemente  in  questo  quadro,

chiarendo che la «invasione» della potesta'  regionale  residuale  in

materia di servizi pubblici locali non puo'  mai  essere  legittimata

dalla competenza esclusiva  statale  di  cui  all'art.  117,  secondo

comma, lett. p), della Costituzione.

    Dalla giurisprudenza costituzionale sopra citata si desumono  due

ulteriori argomenti, entrambi  di  notevole  rilievo  nella  presente

sede.

    I. Appare chiaro, innanzi tutto, che secondo la sent. n. 272  del

2004,  possono  essere   considerate   «fondamentali»   solo   quelle

«funzion(i) propri(e)  ed  indefettibil(e)»  degli  enti  locali.  Si

tratta di una precisazione estremamente rilevante, poiche'  porta  ad

escludere - conformemente a quanto affermato  piu'  sopra  -  che  le

«funzioni fondamentali» di  cui  alla  lett.  p)  del  secondo  comma

dell'art. 117 Cost. possano  essere  funzioni  di  cura  concreta  di

interessi. Le funzioni di questo tipo, come e' noto,  devono  infatti

essere  attribuite  dalla  legge  sulla   base   del   principio   di

sussidiarieta', che conduce  a  ritenere  inadeguato  un  determinato

livello di governo quando la legge stessa  conforma  la  funzione  in

modo tale da conferirle un ambito  valutativo  ultroneo  rispetto  ai

confini territoriali del livello di governo citato. Ora, dal  momento

che ben potrebbe la legge conformare  le  singole  funzioni  di  cura

concreta di interessi  in  modo  tale  da  conferir  loro  un  ambito

valutativo ultracomunale (cosi', ad esempio, l'art. 3-bis del d.l. n.

138 del 2011), appare chiaro che nessuna funzione di cura concreta di

interessi e' ontologicamente propria e indefettibile  per  i  comuni.

Funzioni proprie  e  indefettibili  possono  dunque  essere  soltanto

quelle «ordinamentali», come si e' provato ad argomentare piu' sopra.

    II. In secondo luogo, quand'anche  non  si  ritenga  di  adottare

questo punto di vista, dalle due decisioni piu' sopra evocate  emerge

chiaramente che: a) la  qualificazione  di  «fondamentale»  non  puo'

essere ascritta ad  libitum  dallo  Stato  a  qualunque  funzione  di

Province, Comuni e Citta' metropolitane, ma che  tale  qualificazione

e' assoggettata ad un controllo di costituzionalita'; b) che -  nella

specie - tale qualificazione e' gia' stata ritenuta contrastante  con

la Costituzione da parte di questa Corte, con specifico  riguardo  ai

servizi pubblici locali (sent. n. 272 del 2004) ed in particolar modo

al servizio idrico integrato (sent. n. 325 del 2010).

    3.5. - In questa sede appare inoltre indispensabile, fin da  ora,

richiamare la recente sent. n. 148 del  2012,  con  la  quale  questa

Corte ha ritenuto non fondata una analoga censura, prospettata  dalla

Regione Puglia, nei confronti dell'art. 14, comma 27, del d.l. n.  78

del 2010 (par. 8 del Considerato  in  diritto).  Cio'  in  quanto  la

disposizione   allora   impugnata,    nel    qualificare    «funzioni

fondamentali» alcune funzioni amministrative a carattere gestionale e

di cura concreta di interessi, rispondeva all'esigenza  di  sopperire

«sia pure transitoriamente ed ai limitati fini indicati nella  stessa

norma impugnata,  alla  mancata  attuazione  della  delega  contenuta

nell'art. 2 della legge 5  giugno  2003,  n.  131  (Disposizioni  per

l'adeguamento   dell'ordinamento   della   Repubblica   alla    legge

costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3)» (par. 8.1 del  Considerato  in

diritto).

    Senza voler in questa sede criticare in alcun modo  la  decisione

adottata da questa Corte con la citata sent.  n.  148  del  2012,  la

Regione Puglia si limita a rilevare che, nel presente  caso,  mancano

del tutto le condizioni che avevano spinto a rigettare  la  questione

di costituzionalita' proposta nei confronti dell'art. 14,  comma  27,

del d.l. n. 78 del 2010. La disciplina oggi in discussione,  infatti,

non  si  presenta   in   alcun   modo   come   caratterizzata   dalla

«transitorieta'» di cui discorreva la sent. n. 148; ne',  del  resto,

e' posta a fini circoscritti e limitati, come  invece  il  precedente

art. 14, comma 27, citato.  Si  tratta,  invece,  di  una  disciplina

generale,  e  «a  regime»,  di  funzioni  amministrative  qualificate

stabilmente  (ed  erroneamente,   come   si   e'   visto)   «funzioni

fondamentali».  Mancano,  dunque,  quelle  circostanze  che   avevano

indotto la sent.  n.  148  del  2012  a  ritenere  non  lesiva  della

competenza  regionale  la  normativa  allora  oggetto  del  giudizio,

imponendosi, di conseguenza, una decisione di accoglimento nel  senso

specificato nella presente doglianza.

    3.6. - Da quanto sopra esposto emerge chiaramente come l'art. 19,

comma 1, lett. a), del d.l. n. 95  del  2012  violi  gli  artt.  117,

secondo comma, lett. p), terzo e quarto comma, e 118, secondo  comma,

Cost., nella parte in cui include tra le  funzioni  fondamentali  dei

Comuni anche funzioni ricadenti in materie di competenza  legislativa

concorrente o residuale regionale.

    4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma  1,  lett.

d), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge  n.

135 del 2012, per violazione dell'art. 117. quarto comma, e dell'art.

118, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui si rivolge

anche  a  funzioni  amministrative  ricadenti  in  ambiti   materiali

affidati, ex art. 117, quarto comma, Cost., alla potesta' legislativa

regionale residuale.

    4.1. - L'art. 19, comma 1, lett. d), del d.l.  n.  95  del  2012,

introduce  un  nuovo  testo  del  comma  30  dell'articolo   14   del

decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. Nella  versione  attualmente  in

vigore, il citato comma 30 cosi' prescrive: «La regione nelle materie

di cui all'articolo 117, commi terzo  e  quarto,  della  Costituzione

individua, previa concertazione con i comuni interessati  nell'ambito

del Consiglio delle  autonomie  locali,  la  dimensione  territoriale

ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento, in  forma

obbligatoriamente  associata  da  parte  dei  comuni  delle  funzioni

fondamentali di cui al comma 28, secondo  i  principi  di  efficacia,

economicita', di efficienza e di riduzione delle  spese.  Nell'ambito

della  normativa  regionale,  i  comuni  avviano  l'esercizio   delle

funzioni fondamentali in forma associata entro  il  termine  indicato

dalla stessa normativa». Questa normativa si pone  in  contrasto  con

gli artt. 117, quarto comma, e  118,  secondo  comma,  Cost.  per  le

ragioni che di seguito si espongono.

    4.2. - Come si e' visto, si tratta di una disciplina inerente  la

allocazione   delle   funzioni   amministrative   qualificate    come

«fondamentali» ai sensi del sopra citato comma 28 (recte 27), nonche'

la regolazione delle modalita'  del  loro  esercizio,  in  attuazione

dell'art. 118, primo comma, Cost., ed in particolare, per il  tramite

del riferimento agli ambiti territoriali ottimali, del  principio  di

differenziazione in esso contenuto. Se si parte dal presupposto, gia'

illustrato nell'ambito della precedente censura, in riferimento  alla

previsione di cui alla lett. a) del medesimo comma 1 dell'art. 19 del

d.l. in  esame  -  secondo  il  quale  le  funzioni  fondamentali  in

relazione alle quali lo Stato dispone  della  competenza  legislativa

esclusiva ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,  lett.  p),  Cost.,

possono  essere  soltanto  quelle  «ordinamentali»,  concernenti   le

funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo degli

enti locali - risulta pero'  evidente  la  incostituzionalita'  della

disciplina sopra richiamata, nella parte in cui si  rivolge  anche  a

funzioni amministrative ricadenti in ambiti  materiali  affidati,  ex

art. 117, quarto comma, Cost., alla  potesta'  legislativa  regionale

residuale.

    Come e' noto, infatti, lo Stato dispone di un titolo per allocare

le  sole  funzioni  amministrative  che  ricadano  nell'ambito  delle

proprie competenze esclusive. Ove si ritenga, secondo  quanto  appena

accennato, che  le  funzioni  fondamentali  suddette  siano  soltanto

quelle  «ordinamentali»,  concernenti  le  funzioni  essenziali   che

attengono alla vita stessa e al governo degli enti locali,  apparira'

chiaro che l'art. 117, secondo comma, lett. p), non potra' costituire

il titolo di legittimazione dello Stato per dettare disposizioni  che

disciplinino l'allocazione e l'esercizio di  funzioni  amministrative

sol perche' queste ultime vengano  qualificate  «fondamentali»  dalla

stessa legge statale.

    Ora, qui non si vuole affermare che lo Stato  non  possa  dettare

alcuna norma in relazione all'allocazione e all'esercizio di funzioni

amministrative ricadenti in ambiti differenti da quelli  elencati  al

comma  secondo  dell'art.  117  Cost.   Viceversa,   come   gia'   la

giurisprudenza costituzionale ha avuto  modo  di  evidenziare,  nelle

materie di potesta' ripartita ex art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  lo

Stato ben potra'  dettare  principi  di  allocazione  delle  funzioni

amministrative, i quali dovranno essere successivamente svolti  dalla

legislazione regionale. E la disciplina qui in discussione e' proprio

di tale genere: pone alcuni principi fondamentali  sulla  allocazione

di funzioni amministrative.

    Da quanto accennato risulta dunque chiaramente che  lo  Stato  e'

legittimato a dettarla soltanto in relazione a  quelle  funzioni  che

ricadano oltre che nelle  materie  di  propria  competenza  esclusiva

anche nelle materie di competenza  concorrente  ex  art.  117,  terzo

comma. Cost. Da qui il contrasto dell'art. 19, comma 1, lett. d), del

d.l. n. 95 del 2012 con gli artt. 117, quarto  comma,  e  118,  primo

comma, Cost., per la parte in cui  pretende  di  rivolgersi  anche  a

funzioni  amministrative  riconducibili  a  materia   di   competenza

legislativa residuale  delle  Regioni,  ai  sensi  del  quarto  comma

dell'art. 117 Cost.

    5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma  1,  lett.

d), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge  n.

135 del 2012, per violazione dell'art.  123,  primo  e  ultimo  comma

della Costituzione,  nella  parte  in  cui  impone  alla  Regione  di

attivare una «concertazione con i comuni interessati nell'ambito  del

Consiglio delle autonomie locali».

    5.1. - Sotto altro profilo, la disciplina contenuta nell'art. 19,

comma  1,  lett.  d),  del  d.l.  n.  95  del  2012,   e'   parimenti

incostituzionale in parte qua per contrasto con la riserva  di  fonte

statutaria regionale stabilita dall'art. 123, primo e  ultimo  comma,

Cost.

    La violazione di questa disposizione costituzionale  puo'  essere

agevolmente apprezzata sol  che  si  consideri  che  la  disposizione

impugnata prescrive che la Regione,  debba  definire  la  «dimensione

territoriale ottimale  e  omogenea»  anche  per  il  tramite  di  una

«concertazione con i comuni  interessati  nell'ambito  del  Consiglio

delle  autonomie  locali».  Questa  previsione,  infatti,  invade  la

potesta'  statutaria  regionale  riconosciuta  dall'art.  123  Cost.,

violando in particolare la riserva di statuto ivi contenuta. Ai sensi

dell'art.  123,  primo  comma,  infatti,  e'  affidata   alla   fonte

statutaria la disciplina  della  materia  dell'organizzazione  e  del

funzionamento della Regione, mentre ai sensi dell'ultimo comma  della

medesima disposizione costituzionale  e'  affidata  alla  sola  fonte

statutaria regionale la  disciplina  del  Consiglio  delle  autonomie

locali e delle sue funzioni «quale organo  di  consultazione  fra  la

Regione  e  gli  enti  locali».  Ne',  d'altronde,  e'  individuabile

nell'art. 117, secondo e terzo comma,  Cost.  un  qualche  titolo  di

legittimazione della potesta' legislativa  dello  Stato  che  abiliti

quest'ultimo a dettare una disciplina che attribuisca  una  qualunque

funzione al Consiglio delle autonomie  locali,  che  la  Costituzione

espressamente  qualifica  quale   organo   regionale   necessario   e

indefettibile.

    La incostituzionalita' dell'art. 19, comma 1, lett. d), del  d.l.

n. 95 del 2012, per violazione dell'art. 123, primo e  ultimo  comma,

Cost.,  si  apprezza  agevolmente,   inoltre,   considerando   quanto

affermato da questa Corte con le sentt. nn. 387 del  2007  (par.  6.1

del Considerato in diritto), 201 del 2008 (par. 3 del Considerato  in

diritto), e ribadito, piu' di recente, con la sent. n. 22  del  2012,

che ha dichiarato incostituzionale la normativa statale censurata  in

quella  sede  perche'  lesiva  dell'«autonomia  statutaria  regionale

nell'individuare con norma statale l'organo della Regione titolare di

determinate funzioni (par. 6 del Considerato in diritto).

    In tali decisioni, in  sintesi,  si  afferma  con  chiarezza  che

quella della organizzazione interna  delle  Regioni  e'  una  materia

riservata alla fonte statutaria prevista dall'art. 123, primo  comma,

Cost., di talche' nessun'altra fonte  -  e  meno  che  mai  la  legge

statale -puo'  individuare  gli  organi  Regionali  titolari  di  una

determinata funzione, e, piu' in generale, assegnare ad  essi  alcuna

funzione. Da  qui,  per  tabulas,  la  illegittimita'  costituzionale

dell'art. 19, comma 1, lett. d), del d.l. n. 95 del 2012, nella parte

in cui impone alla Regione  di  attivare  una  «concertazione  con  i

comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali»,

per violazione dell'art. 123, primo e ultimo comma, Cost.

    6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma  1,  lett.

e), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge  n.

135 del 2012, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett.  p).

e quarto comma, Cost.

    6.1. - L'art. 19. comma 1, lett. e), del d.l.  n.  95  del  2012,

sostituisce il comma 31  dell'art.  14  del  d.l.  n.  78  del  2010,

individuando il limite demografico minimo delle unioni di  comuni  in

10.000 abitanti, salva diversa determinazione da parte della  Regione

«entro i tre mesi antecedenti il primo termine di esenzione associato

obbligatorio delle funzioni fondamentali, ai sensi del comma 31-ter».

    La norma  e'  incostituzionale,  per  violazione  dell'art.  117,

secondo comma,  lett.  p),  e  quarto  comma,  Cost.,  in  quanto  il

legislatore  statale  ordinario  non  dispone   di   un   titolo   di

legittimazione a  regolare  l'istituzione  e  l'organizzazione  delle

unioni di comuni, poiche',  in  materia  di  ordinamento  degli  enti

locali,   come   ripetutamente   affermato    dalla    giurisprudenza

costituzionale, gode soltanto della competenza a stabilire  norme  in

tema di legislazione elettorale, funzioni fondamentali  e  organi  di

governo di Province, Comuni e Citta' metropolitane.

    6.2.  -  Le  considerazioni  che  e'  necessario   svolgere   per

illustrare  la  presente   censura   sono   di   grande   importanza,

nell'economia del presente ricorso, poiche' essere  costituiscono  la

base anche della maggior parte delle censure  che  verranno  proposte

nel prossimo par. 7 e ss. Esse riguardano  i  limiti  della  potesta'

legislativa statale, nell'ambito del vigente sistema  costituzionale,

in relazione all'ordinamento degli enti locali.

    Come e' noto, la materia dell'ordinamento degli enti  locali  non

e' oggi prevista espressamente tra quelle attribuite alla  competenza

legislativa  esclusiva  statale,  ne'  tra   quelle   affidate   alla

competenza concorrente di  Stato  e  Regioni.  Allo  Stato  pertiene,

invece,  la  competenza  esclusiva  in   materia   di   «legislazione

elettorale, organi di governo  e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,

Province e Citta' metropolitane» (art. 117, comma secondo,  lett.  p,

Cost.). Risulta dunque  chiaro  che,  mentre  prima  dell'entrata  in

vigore della legge cost. n. 3 del  2001  lo  Stato  disponeva  di  un

titolo generale per disciplinare  l'ordinamento  degli  enti  locali,

anche alla luce dell'allora vigente art. 128 Cost.,  ad  oggi  questo

titolo generale non e' piu' reperibile, anche in considerazione della

esplicita abrogazione proprio della  disposizione  costituzionale  da

ultimo citata,  la  quale  demandava  ad  una  legge  generale  della

Repubblica la individuazione  dei  principi  entro  i  quali  avrebbe

dovuto svolgersi l'autonomia di Comuni e Province.

    Oggi l'assetto e' decisamente differente. Lo Stato  ha  perso  la

competenza  legislativa  generale-residuale,  che  ora  spetta   alle

Regioni in virtu' dell'art. 117,  quarto  comma,  Cost.,  l'art.  128

Cost. e' stato abrogato, e l'unica norma che attribuisce  alla  legge

statale una competenza in materia di enti locali territoriali  e'  il

gia' richiamato art. 117, comma secondo, lett. p), Cost.

    Da cio' si deduce agevolmente  che,  nel  diritto  costituzionale

vigente,  la  competenza  generale   e   residuale   a   disciplinare

l'ordinamento degli enti locali pertiene alla legge regionale, mentre

lo Stato puo'  intervenire  soltanto  per  disciplinare  le  funzioni

fondamentali, la legislazione elettorale, e gli organi di governo dei

soli enti  locali  costituzionalmente  necessari,  ovverosia  Comuni,

Province, e Citta' metropolitane. A  fianco  di  cio'  si  collocano,

inoltre,  quelle  «incursioni»  che  lo  Stato  e',   senza   dubbio,

legittimato  a  porre  in  essere,  in  virtu'  di  altri  titoli  di

intervento, quale ad esempio quello del «coordinamento della  finanza

pubblica». In sintesi, come e' stato osservato in dottrina,  si  deve

ritenere che «la competenza in  materia  di  ordinamento  degli  enti

locali spetti oggi alle Regioni, salvo per quel che riguarda cio' che

attiene a legislazione  elettorale,  organi  di  governo  e  funzioni

fondamentali di Comuni, Province e  Citta'  metropolitane  e  per  le

norme che lo Stato puo' porre in essere in tale materia  giustificate

da  altri  titoli  di  intervento  che  siano,  rispetto   ad   essa,

«trasversali»,  in  quarto  non  individuati  mediante  il   criterio

"oggettivo"»  (cosi'  S.  Pajno,  Lo  strano  caso  della  competenza

legislativa in materia di enti  locali.  Un  percorso  attraverso  la

giurisprudenza costituzionale, in www.federalismi.it, 2/2010).

    Dopo alcuni tentennamenti iniziali (si vedano, in particolare, le

sentt. nn. 159 del 2008, 377 del  2003  e  48  del  2003),  anche  la

giurisprudenza   costituzionale   ha   accolto   chiaramente   questa

prospettiva. Al riguardo rilevano, innanzi  tutto,  alcune  ben  note

decisioni in tema di comunita' montane: le sentt. nn. 244 e  456  del

2005, 397 del 2006, e 237 del 2009.

    La sent. n. 244 del 2005  riconosce  alla  comunita'  montana  la

«natura di ente locale autonomo, quale proiezione dei Comuni  che  ad

essa fanne capo». Secondo questa decisione si tratta, in particolare,

«di un caso speciale di unioni  di  Comuni»,  quindi  particolarmente

rilevante nella presente sede. Questa considerazione  e'  sufficiente

per escludere che la  disciplina  concernente  le  comunita'  montane

sottoposta al giudizio costituzionale in quella  circostanza  rientri

nell'ambito dell'art. 117, secondo comma, lett. p) ,  Cost.,  e  cio'

«in quanto la citata disposizione fa espresso riferimento ai  Comuni,

alle Province  e  alle  Citta'  metropolitane  e  l'indicazione  deve

ritenersi tassativa». Da cio' una ulteriore conseguenza:  secondo  la

sent. n. 244 del 2005, «la disciplina delle Comunita' montane, pur in

presenza della loro qualificazione come  enti  locali  contenuta  nel

d.lgs.  n.  267  del  2000,  rientra  nella  competenza   legislativa

residuale delle Regioni ai sensi dell'art 117,  quarto  comma,  della

Costituzione». Come e' stato notato in dottrina, «dalla sent. n.  244

del 2005 risulta chiaramente dunque, che non basta la  qualificazione

delle  Comunita'  montane  come  "enti  locali"   per   fondare   una

qualsivoglia competenza statale in relazione ad esse. E cio' perche',

evidentemente,  non   esiste   nessuna   norma   costituzionale   che

attribuisce allo Stato una competenza generale  in  materia  di  enti

locali. L'unica norma che e' espressamente rivolta a disciplinare  la

competenza legislativa su tale oggetto e'  il  menzionato  art.  117,

secondo comma, lett. p), Cost., il quale pero' limita  il  titolo  di

intervento statale non soltanto in relazione al "tipo" di enti locali

(Comuni, Province e Comunita' montane), ma anche  in  relazione  agli

aspetti degli ordinamenti di questi ultimi (legislazione  elettorale,

organi di governo e funzioni fondamentali)» (cosi', ancora, S. Pajno,

Lo strano caso  della  competenza  legislativa  in  materia  di  enti

locali, cit., p. 9). Non vi e' chi non veda  come  tale  ragionamento

debba per necessita' estendersi  anche  a  quelle  unioni  di  comuni

diverse dalle comunita'  montane,  delle  quali  in  questa  sede  si

discute.

    Nello stesso senso della sent. n. 244  del  2005  sono  orientate

anche le successive  sentt.  n.  456  del  2005  (parr.  4  e  5  del

Considerato in diritto), n. 397 del 2006 (par. 7 del  Considerato  in

diritto) e n. 237 del 2009,  la  quale  esplicitamente  riconduce  la

materia de qua alla  potesta'  legislativa  residuale  delle  Regioni

(par.  15  del   Considerato   in   diritto).   Successivamente,   la

giurisprudenza costituzionale ha  consolidato  l'orientamento  appena

richiamato, estendendolo anche ad aspetti della disciplina degli enti

locali "necessari" (Comuni, Province e Citta' metropolitane)  diversi

da quelli specificamente indicati dall'art. 117, secondo comma, lett.

p) , Cost. In tale ottica, sono stati ricondotti  espressamente  alla

potesta' legislativa regionale residuale di cui all'art. 117,  quarto

comma, Cost., il  "subsettore"  della  "organizzazione  degli  uffici

regionali e  degli  enti  locali"  e,  all'interno  di  quest'ultima,

dell'«organizzazione delle societa' dipendenti, esercenti l'industria

o i servizi» (sent. n. 326  del  2008,  par.  8  del  Considerato  in

diritto). Ove si consideri anche la piu' recente  sent.  n.  173  del

2012 (in part., il par. 12  del  Considerato  in  diritto),  si  puo'

affermare che si  tratta  di  un  indirizzo  giurisprudenziale  ormai

consolidato.

    6.3. -  Facendo  uso  dei  principi  di  diritto  statuiti  dalla

giurisprudenza costituzionale teste' ricostruita, non ci  vuol  molto

per evidenziare la assoluta incostituzionalita' dell'art.  19,  comma

1, lett. e), che  in  questa  sede  si  impugna.  Tale  disposizione,

infatti, stabilisce il limite  demografico  minimo  delle  unioni  di

comuni. Quindi concerne un aspetto dell'ordinamento degli enti locali

che: a) non e' in alcun modo riconducibile al  tema  delle  "funzioni

fondamentali", degli  "organi  di  governo",  e  della  "legislazione

elettorale" di cui all'art. 117, secondo comma, lett.  p),  Cost.;  4

per di piu' riguarda enti locali differenti da quelli in relazione ai

quali lo Stato dispone della competenza esclusiva di cui  alla  norma

costituzionale appena citata. La violazione  dell'art.  117,  secondo

comma, lett. p) , e quarto comma, Cost., non potrebbe risultare  piu'

evidente.

    7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, commi da 2 a  6,

d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135  del

2012, per violazione dell'art. 117, secondo comma. lett. p)  terzo  e

quarto comma, dell'art. 118. secondo comma,  nonche'  dell'art.  119,

primo, secondo e sesto comma, Cost.

    7.1. - I commi da 2 a 6 dell'art. 19 del  d.l.  n.  95  del  2012

pongono una  articolata  disciplina  delle  unioni  di  comuni.  Tale

normativa presenta profili differenti, ciascuno dei quali merita  una

autonoma e differente trattazione.

    7.2. - Innanzi tutto devono essere menzionate quelle disposizioni

che regolano le procedure di istituzione e la struttura organizzativa

delle unioni di comuni.  A  questa  famiglia  appartengono  le  norme

contenute nei nuovi commi 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 dell'art. 16 del d.l.

n. 138 del 2011, nonche' nei nuovi commi 1, 2, 3 e 4 dell'art. 32 del

d.lgs. n. 267 del 2000, cosi' come sostituiti,  rispettivamente,  dal

comma 2 e dal comma 3 dell'art. 19 del d.l. n. 95 del  2012;  ancora,

al medesimo gruppo appartengono il comma 4, il comma 5 e il  comma  6

del citato art. 19.

    I nuovi commi da 4 a 10 dell'art. 16 del d.l. n.  138  del  2011,

nel testo in vigore per effetto del d.l.  n.  95  del  2012,  infatti

cosi' dispongono: «4.  Le  unioni  sono  istituite  in  modo  che  la

complessiva   popolazione   residente   nei   rispettivi   territori,

determinata ai sensi dell'articolo 156, comma  2,  del  citato  testo

unico di cui al decreto legislativo n. 267 del  2000,  sia  di  norma

superiore a 5.000 abitanti, ovvero a 3.000 abitanti se i  comuni  che

intendono  comporre  una  medesima   unione   appartengono   o   sono

appartenuti a Comunita' montane. 5. I comuni di cui al comma  1,  con

deliberazione del consiglio comunale, da adottare a  maggioranza  dei

componenti, conformemente  alle  disposizioni  di  cui  al  comma  4,

avanzano alla regione  una  proposta  di  aggregazione,  di  identico

contenuto, per l'istituzione della  rispettiva  unione.  Nel  termine

perentorio del 31 dicembre 2013,  la  regione  provvede,  secondo  il

proprio ordinamento, a sancire l'istituzione di tutte le  unioni  del

proprio territorio come nelle proposte di cui al  primo  periodo.  La

regione provvede anche in caso di proposta di aggregazione mancante o

non conforme alle disposizioni di cui al presente  articolo.  6.  Gli

organi dell'unione di cui al comma 1 sono il consiglio, il presidente

e la giunta. 7. Il consiglio e'  composto  da  tutti  i  sindaci  dei

comuni che sono membri dell'unione nonche', in prima applicazione, da

due consiglieri comunali per ciascuno di essi. I consiglieri  di  cui

al primo periodo sono eletti, non oltre venti giorni dopo la data  di

istruzione dell'unione in tutti i comuni che sono membri  dell'unione

dai rispettivi consigli comunali, con la garanzia  che  uno  dei  due

appartenga  alle  opposizioni.  Fino  all'elezione   del   presidente

dell'unione ai sensi dal comma  8,  primo  periodo,  il  sindaco  del

comune avente il maggiore numero di  abitanti  tra  quelli  che  sono

membri  dell'unione  esercita  tutte  le   funzioni   di   competenza

dell'unione medesima. Al consiglio spettano le competenze  attribuite

dal citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del  2000

al consiglio comunale, fermo restando quanto previsto dal comma 2 del

presente articolo 8. Entra trenta giorni dalla  data  di  istituzione

dell'unione il  consiglio  e'  convocato  di  diritto  ed  elegge  il

presidente  dell'unione  tra  i  sindaci  dei  comuni  associati   Al

presidente, che dura in carica due anni e mezzo  ed  e'  rinnovabile,

spettano le competenze attribuite al  sindaco  dall'articolo  50  del

citato testo unico di cui al decreto legislativo  n.  267  del  2000,

ferme restando in capo ai sindaci di ciascuno  dei  comuni  che  sono

membri  dell'unione  le  attribuzioni  di  cui  all'articolo  54  del

medesimo testo  unico,  e  successive  modificazioni.  9.  La  giunta

dell'unione e' composta dal presidente,  che  la  presiede,  e  dagli

assessori,  nominati  dal  medesimo  fra  i  sindaci  componenti   il

consiglio in numero non superiore a  quello  previsto  per  i  comuni

aventi corrispondente popolazione. Alla giunta spettano le competenze

di cui all'articolo 48 del citato  testo  unico  di  cui  al  decreto

legislativo  n.  267  del  2000;  essa  decade  contestualmente  alla

cessazione del rispettive  presidente.  10.  Lo  statuto  dell'unione

individua le modalita'  di  funzionamento  dei  propri  organi  e  ne

disciplina i rapporti. Il consiglio adotta  lo  statuto  dell'unione,

con deliberazione a maggioranza assoluta dei propri componenti, entro

venti giorni dalla data di istituzione dell'unione.».

    I nuovi commi da 1 a 4 dell'art. 32 del d.lgs. n. 267  del  2000,

nel testo oggi vigente, dispongono invece quanto segue: «1.  L'unione

di comuni e' l'ente locale costituito da due o piu' comuni, di  norma

contermini,  finalizzato  all'esercizio  associato  di   funzioni   e

servizi. Ove costituita in prevalenza da comuni montani, essa  assume

la denominazione di unione di comuni montani e puo' esercitare  anche

le specifiche competenze di tutela e  di  promozione  della  montagna

attribuite in  attuazione  dell'articolo  44,  secondo  comma,  della

Costituzione e delle leggi in favore dei territori montani.  2.  Ogni

comune puo' far parte di una sola unione  di  comuni.  Le  unioni  di

comuni possono stipulare apposite convenzioni tra loro o con  singoli

comuni. 3. Gli organi dell'unione, presidente,  giunta  e  consiglio,

sono formati, senza nuovi o maggiori oneri per la  finanza  pubblica,

da amministratori in carica dei comuni associati e a essi non possono

essere attribuite retribuzioni, gettoni e indennita' o emolumenti  in

qualsiasi formi percepiti. Il presidente e' scelto tra i sindaci  dei

comuni associati e la giunta  tra  i  componenti  dell'esecutivo  dei

comuni  associati.  Il  consiglio  e'  composto  da  un   numero   di

consiglieri, eletti dai singoli consigli dei comuni associati  tra  i

propri componenti, non superiore a quello previsto per i  comuni  con

popolazione  pari  a  quella  complessiva  dell'ente,  garantendo  la

rappresentanza  delle  minoranze  e  assicurando  ove  possibile,  la

rappresentanza di ogni comune. 4. L'unione ha autonomia statutaria  e

potesta' regolamentare e ad essa si applicano, in quanto compatibili,

i principi previsti per l'ordinamento  dei  comuni,  con  particolare

riguardo   allo   status   degli   amministratori,    all'ordinamento

finanziario e contabile, al personale e all'organizzazione».

    Anche i commi 4, 5 e 6 dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, come

accennato, riguardano la istituzione e la organizzazione delle unioni

di comuni.

    Ai  sensi  della  prima  disposizione,  infatti,  «i  commi   con

popolazione fino a 5.000 abitanti che fanno  parte  di  un'unione  di

comuni gia' costituita alla data di entrata in  vigore  del  presente

decreto optano, ove ricorrano i presupposti, per la disciplina di cui

all'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78,  convertito

con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  e  successive

modificazioni, come  modificato  dal  presente  decreto,  ovvero  per

quella di cui all'articolo 16 del decreto-legge 13  agosto  2011,  n.

138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.

148, come modificato dal presente decreto».  In  base  alla  seconda,

invece, «entro due mesi dalla data di entrata in vigore» del d.l.  n.

95 del 2012 «ciascuna  regione  ha  facolta'  di  individuare  limiti

demografici diversi rispetto a quelli di cui all'articolo  16,  comma

4, del citato decreto-legge n. 138  del  2011».  Infine,  in  base  a

quanto previsto nel comma 6, «ai fini di cui all'articolo  16,  comma

5, del citato decreto-legge  n.  138  del  2011  (...),  nel  termine

perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore» del  d.l.  n.

95 del 2012 «i comuni di cui al citato  articolo  16,  comma  1,  con

deliberazione del consiglio comunale da adottare  a  maggioranza  dei

componenti, conformemente alle disposizioni di cui  al  comma  4  del

medesimo  articolo  16,  avanzano  alla  regione  una   proposta   di

aggregazione,  di  identico  contenuto,   per   l'istituzione   della

rispettiva unione».

    Le  norme  di   questo   tipo   sono   senz'altro   da   ritenere

incostituzionali per violazione dell'art. 117, secondo  comma,  lett.

p). e quarto comma, Cost.

    Come si e' avuto modo di argomentare piu' sopra, al par. 6.2  del

presente   ricorso,   e   come   riconosciuto   pacificamente   dalla

giurisprudenza costituzionale in quella sede richiamata, la Stato non

dispone  della  competenza  legislativa  a  dettare  una   disciplina

generale egli enti locali differenti da quelli espressamente indicati

dall'art. 117, secondo comma, lett. p) , in quanto, a  seguito  della

riforma costituzionale del 2001,  ed  in  particolare  del  combinato

disposto del nuovo testo dell'art. 117 e  dell'abrogazione  dell'art.

128 Cost., lo Stato non dispone piu' di una  competenza  generale  in

questa materia, potendo invece dettare  soltanto  le  norme  inerenti

alla legislazione  elettorale,  alle  funzioni  fondamentali  e  agli

organi di governo di Province, Comuni e Citta'  metropolitane  (artt.

117, secondo comma, lett. p), Cost.).

    Da cio'  consegue,  evidentemente,  che  il  legislatore  statale

ordinario non  ha  alcun  titolo  per  disciplinare  l'istituzione  e

l'organizzazione  di  enti  locali  differenti   da   quelli   appena

menzionati, quali le unioni di comuni, tanto piu' e a maggior ragione

se la suddetta disciplina pretende di assumere -  come  nel  caso  di

specie - natura vincolante e conformativa delle potesta' normative  e

amministrative della Regione e dei  comuni  interessati.  Si  tratta,

infatti, di un ambito oggi affidato alla potesta' regionale residuale

di cui all'art. 117, quarto comma, Cost. Da qui,  dunque,  la  palese

violazione, ad opera delle disposizioni sopra menzionate, degli  art.

117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost.

    7.3. - Una diversa considerazione meritano  invece  quelle  norme

concernenti le funzioni che le unioni  di  comuni  sono  destinate  a

svolgere.

    Si consideri, ad esempio, il nuovo comma 1 dell'art. 16 del  d.l.

n. 138 del 2011, cosi' come sostituito dal comma 2 dell'art.  19  del

d.l. n. 95 del 2012. Ai sensi di questa disposizione, «i  comuni  con

popolazione fino a 1.000 abitanti, in alternativa a  quanto  previsto

dall'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n  78,  convertito

con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n  122,  e  successive

modificazioni, e a condizione  di  non  pregiudicarne  l'applicazione

possono esercitare in forma associata, tutte le funzioni  e  tutti  i

servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente

mediante un'unione di comuni». Si  tratta  di  una  disposizione  che

interviene  nella  individuazione  del   livello   istituzionale   di

esercizio delle funzioni amministrative, poiche' rende possibile  che

esse vengano svolte presso un ente locale diverso da quello comunale,

anche se di carattere associativo e frutto anche della partecipazione

dei comuni stessi. D'altra parte,  ove  si  consideri  "isolatamente"

questa disposizione, ci si  rende  conto  che  la  mera  possibilita'

dell'esercizio in  forma  associata  fa  si'  che  lo  Stato  non  si

ingerisca  nella  disciplina  delle  unioni  di  comuni,   rendendole

obbligatorie, ma si limiti a  prevedere  che  -  ove  il  legislatore

competente ne abbia previsto  la  costituzione  -  per  i  comuni  e'

possibile percorrere  tale  strada.  Inutile  dire  che,  secondo  la

prospettazione  offerta  nel   presente   ricorso,   il   legislatore

competente e' soltanto quello regionale.

    Alla luce di tali considerazioni, e'  possibile  concludere  come

segue.

    La legge ordinaria dello Stato puo' certamente dettare  norme  di

tal genere in relazione alle materie  sulle  quali  disponga  di  una

competenza esclusiva ai sensi dell'art. 117, secondo comma, Cost.,  e

l'odierna  ricorrente  non  intende  disconoscere  questa  competenza

statale neanche in relazione alla funzioni che ricadono in materia di

competenza concorrente, dal momento che alla norma  in  questione  e'

senz'altro possibile riconoscere la natura di principio fondamentale.

Altrettanto certamente, pero', lo  Stato  non  ha  alcun  titolo  per

dettare la  disciplina  sopra  richiamata  per  quelle  funzioni  che

risultino ascrivibili ad ambiti materiali differenti da quelli di cui

ai commi secondo e terzo dell'art. 117 Cost.

    Da qui, pertanto, la conclusione secondo la quale la disposizione

considerata - ossia il nuovo art. 16, comma 1, del d.l.  n.  138  del

2011, come sostituito dal comma 2 dell'art. 19 del  d.l.  n.  95  del

2012 - e' incostituzionale nella parte in  cui  si  rivolge  anche  a

funzioni ricadenti nell'ambito del quarto comma dell'art. 117  Cost.,

per  violazione  di  questa  disposizione   costituzionale,   nonche'

dell'art. 118, secondo  comma,  Cost.,  il  quale  prescrive  che  le

funzioni amministrative siano  allocate,  in  base  al  principio  di

sussidiarieta', dal legislatore competente per materia.

    Analoghe  argomentazioni  devono  essere  spese  anche  per   due

ulteriori disposizioni, ossia per i primi due periodi del nuovo comma

3 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011.  come  sostituito  dall'art.

19, comma 2, del d.l. n.  95  del  2012.  Secondo  il  primo  periodo

«l'unione succede a tutti  gli  effetti  nei  rapporti  giuridici  in

essere alla data di costituzione che siano inerenti alle  funzioni  e

ai servizi ad essa affidati ai sensi del comma 1, ferme  restando  le

disposizioni di cui all'articolo 111 del codice di procedura  civile.

In base al secondo, invece, «alle unioni  di  cui  al  comma  1  sono

trasferite  tutte  le  risorse  umane  e  strumentali  relative  alle

funzioni ed ai servizi loro affidati,  nonche'  i  relativi  rapporti

finanziari risultanti dal bilancio».

    E'  agevole  rendersi  conto  che  si  tratta   di   disposizioni

"meramente accessorie" rispetto a quella, considerata piu' sopra, che

contiene un "principio di allocazione" delle funzioni amministrative.

La loro legittimita' costituzionale, dunque,  sussiste  nei  medesimi

limiti  in  cui  sia  predicabile  quella  della  norma  dalla  quale

dipendono. Pertanto, sulla  base  delle  ragioni  appena  esposte  in

riferimento al nuovo comma 1 dell'art. 16 del d.l. n. 138  del  2011,

anche i primi due periodi del comma 3 del medesimo art. 16, nel testo

in vigore per effetto della sostituzione  operata  dall'art.  19  del

d.l.  n.  95  del  2012,  sono  costituzionalmente  illegittimi   per

violazione degli artt. 117,  quarto  comma,  e  118,  secondo  comma,

Cost., nella parte in cui si rivolgono anche a funzioni ricadenti  in

materie affidate alla competenza residuale regionale.

    Infine, al medesimo gruppo di norme deve essere ascritto anche il

nuovo comma 12 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, ovviamente come

risultante dalle modifiche apportate dall'art. 19, comma 2, del  d.l.

n. 95 del 2012. Questa  disposizione  cosi  recita:  «L'esercizio  in

forma associata di cui  al  comma  1  puo'  essere  assicurato  anche

mediante una o piu' convenzioni ai sensi dell'articolo 30  del  testo

unico, che hanno durata  almeno  triennale.  Ove  alla  scadenza  del

predetto periodo, non sia comprovato, da parte dei  comuni  aderenti,

il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed  efficienza

nella gestione, secondo modalita' stabilite con  il  decreto  di  cui

all'articolo 14, comma 31-bis, del decreto-legge 31 maggio  2010,  n.

78, convertito, con modificazioni, dalla legge  30  luglio  2010,  n.

122, e successive modificazioni, agli stessi si applica la disciplina

di cui al comma 1».

    Come si vede, si tratta di una disciplina volta a prefigurare una

strada alternativa  nelle  modalita'  di  esercizio  associato  delle

funzioni rispetto a quella della  costituzione  di  un  "nuovo"  ente

locale (l'unione di comuni).  Invece  di  costituire  il  nuovo  ente

locale, e affidare ad esso le funzioni, i comuni  possono  utilizzare

lo strumento delle "convenzioni" regolate dal  T.U.EE.LL.  La  norma,

dunque,  regola   una   modalita'   di   esercizio   delle   funzioni

amministrative, che -  nel  caso  in  cui  i  comuni  optino  per  la

possibilita' prefigurata dalla norma in esame  -  restano  ai  comuni

anziche' essere trasferite all'unione.

    Anche in questo caso, dunque, non si puo' che concludere in  modo

analogo a quanto evidenziato  piu'  sopra:  lo  Stato  dispone  della

competenza a dettare norme di tal fatta soltanto  in  relazione  alle

funzioni che ricadano in materie ascrivibili al secondo  o  al  terzo

comma dell'art. 117 Cost. Non per funzioni ricadenti  in  materie  di

competenza residuale regionale. Il nuovo comma 12  dell'art.  16  del

d.l. n. 138 del 2011, cosi' come risultante dalle modifiche apportate

dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del  2012,  e'   dunque

incostituzionale per violazione dell'art. 117, quarto  comma,  Cost.,

nella parte in cui si  rivolge  anche  a  funzioni  ascrivibili  alle

materie di competenza residuale regionale.

    E' appena il caso di notare che, in questo  caso,  non  viene  in

considerazione quale parametro  l'art.  118,  secondo  comma,  Cost.,

poiche', come si e' visto, la norma in  questione,  a  differenza  di

quella prima considerata, non  e'  una  norma  sulla  allocazione  di

funzioni ma solo sul loro esercizio.

    7.4. - Alle unioni di comuni, infine, vengono affidate, ai  sensi

del nuovo comma 2 dell'art.  16  del  d.l.  n.  138  del  2001,  come

sostituito dal comma 2 dell'art. 19 in esame, «la  titolarita'  della

potesta' impositiva sui tributi locali dei comuni  associati  nonche'

quella patrimoniale, con riferimento alle funzioni da essi esercitate

per mezzo dell'unione». Analogamente, il nuovo comma 7  dell'art.  32

del d.lgs. n. 267 del 2000, come sostituito dal comma 3 dell'art.  19

qui  considerato,  stabilisce  in  via  generale  che  «alle   unioni

competono gli introiti derivanti dalle tasse,  dalle  tariffe  e  dai

contributi sui servizi ad esse affidati».

    Tali previsioni violano  l'artt.  119,  commi  primo,  secondo  e

sesto, Cost., i  quali,  nel  riconoscere  esclusivamente  agli  enti

autonomi costitutivi  della  Repubblica  l'autonomia  finanziaria  di

entrata e di spesa, il potere di stabilire ed applicare  "tributi  ed

entrate propri" (in armonia con la Costituzione e secondo "i principi

di coordinamento della finanza pubblica e del  sistema  tributario"),

nonche' la disponibilita' di un proprio patrimonio,  impediscono  che

la legge statale possa sottrarre autonomia impositiva  e  di  entrata

nonche' risorse  patrimoniali  ai  suddetti  enti,  attribuendole  in

titolarita' a nuovi e diversi  enti  territoriali  Cosi  facendo,  le

norme qui censurate contrastano altresi' con i limiti che l'art. 117,

terzo comma, Cost. impone alla potesta' legislativa  dello  Stato  in

materia di  "coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema

tributario", fuoriuscendo dall'ambito dei "principi  fondamentali"  e

invadendo percio' gli spazi costituzionalmente affidati alla potesta'

legislativa regionale sia dal terzo che dal  quarto  comma  dell'art.

117 Cost.

    Possono bastare poche considerazioni per  approfondire  e  questa

censura.

    Come e' noto, ai sensi del primo comma dell'art.  119  Cost.,  «i

Comuni, le Province, le  Citta'  metropolitane  e  le  Regioni  hanno

autonomia finanziaria di entrata e di spesa»; mentre,  ai  sensi  del

secondo comma del medesimo art. 119, «i Comuni, le Province le Citta'

metropolitane e le Regioni hanno  risorse  autonome.  Stabiliscono  e

applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e

secondo i principi coordinamento della finanza pubblica e del sistema

tributario». Ora, e'  evidente  che  il  legislatore  competente  ben

potrebbe  attribuire  ad  enti  locali  diversi  da  quelli  indicati

nell'art. 119 - ed anche a enti  associativi  -  la  possibilita'  di

esercitare autonomia di entrata e di  spesa,  imponendo  le  relative

norme di «coordinamento». Lo Stato, dunque, ben puo' attribuire  alle

unioni di comuni, ad esempio, la potesta' di  decidere  tra  aliquota

minima e massima di tributi che siano  stati  istituiti  dallo  Stato

medesimo. Cio' che pero' non puo'  fare  e'  attribuire  alle  unioni

spazi di autonomia di entrata sottraendola ai  comuni  che  ne  fanno

parte e pretendendo di disciplinare l'intera materia  della  potesta'

impositiva e delle entrate di questi  enti.  In  altre  parole,  come

emerge chiaramente dalla giurisprudenza costituzionale in materia  di

comunita' montane citata piu' sopra, le unioni di  comuni  sono  enti

locali differenti dai comuni che ne fanno parte.  E  se  si  desidera

attribuire a questi "nuovi" enti margini  di  autonomia  lo  si  puo'

fare, ma non e' possibile farlo sottraendola a  quegli  enti  cui  la

Costituzione la riconosce - ossia, nel caso di  specie,  i  comuni  -

oltretutto  incidendo  anche  su  ambiti  affidati  alla   competenza

legislativa regionale e sottratti alla  potesta'  conformativa  della

legislazione statale (si pensi. ad es., alle entrate  di  vario  tipo

connesse con lo svolgimento di servizi pubblici da parte dei comuni).

    Discorso del tutto analogo vale, infine, per  il  patrimonio:  in

base al comma sesto dell'art. 119 «i Comuni, le  Province  le  Citta'

metropolitane e le Regioni hanno un  proprio  patrimonio,  attribuito

secondo i principi generali determinati  dalla  legge  dello  Stato».

Anche in questo caso, e' senz'altro possibile  dotare  le  unioni  di

comuni di un proprio  patrimonio.  Ma  questo  obiettivo  non  potra'

essere conseguito spogliando di quel patrimonio i  soggetti  che,  in

base  alla  citata  disposizione  costituzionale,   debbono   esserne

titolari o, ancor peggio, che ne risultino gia' titolari  allo  stato

attuale.

    8. - Sintesi delle questioni proposte.

    8.1. - In  chiusura  del  presente  ricorso,  la  Regione  Puglia

ritiene opportuno, per  maggiore  chiarezza,  offrire  una  sintetica

ricapitolazione  delle  questioni  di   legittimita'   costituzionale

sottoposte al giudizio di questa Corte.

    I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, lett. a),

del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n.  135

del 2012, nella parte in cui include tra le  «funzioni  fondamentali»

dei Comuni anche funzioni  amministrative  ricadenti  in  materie  di

competenza  legislativa  concorrente  o  residuale   regionale,   per

violazione:

        dell'art. 117, secondo comma, lett. p), dell'art. 117,  terzo

e  quarto  comma,  nonche'  dell'art.  118,  secondo   comma,   della

Costituzione.

    II) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19,  comma  1,  lett.

d), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge  n.

135 del 2012,  nella  parte  in  cui  si  rivolge  anche  a  funzioni

amministrative ricadenti in ambiti materiali affidati, ex  art.  117,

quarto comma, Cost., alla potesta' legislativa  regionale  residuale,

per violazione:

        dell'art. 117, quarto comma, e dell'art. 118, secondo  comma,

della Costituzione.

    III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma  1,  lett.

d), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge  n.

135 del 2012, nella parte in cui impone alla Regione di attivare  una

«concertazione con i comuni  interessati  nell'ambito  del  Consiglio

delle autonomie locali», per violazione:

        dell'art. 123, primo e ultimo comma, della Costituzione.

    IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19,  comma  1,  lett.

e), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge  n.

135 del 2012, per violazione:

        dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost.

    V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, commi da  2  a  6,

d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135  del

2012, per violazione:

        dell'art. 117, secondo comma, lett. p) terzo e quarto  comma,

nonche' dell'art. 118, secondo comma;

        dell'art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost.

    Sono dedotte, in particolare:

        V.1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, del

d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui sostituisce i commi 4, 5,  6,

7, 8, 9 e 10 dell'art. 16 del d.l. n. 138  del  2011;  dell'art.  19,

comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 nella parte  in  cui  sostituisce  i

commi l, 2, 3 e 4 dell'art. 32 del d.lgs. n  267  del  2000,  nonche'

dell'art. 19, commi 4, 5 e 6, del medesimo d.l. n. 95 del  2012,  per

violazione:

          dell'art. 117, secondo comma, lett.  p),  e  quarto  comma,

Cost.

        V.2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, del

d.l. n. 95 del 2012, nella parte  in  cui,  sostituendo  il  comma  1

dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, si rivolge  anche  a  funzioni

ricadenti nell'ambito  della  potesta'  legislativa  residuale  delle

Regioni, per violazione:

          dell'art. 117, quarto comma, nonche' dell'art. 118, secondo

comma, Cost.

        V.3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, del

d.l. n. 95 del 2012, nella parte in  cui,  sostituendo  il  comma  3,

primo e secondo periodo, dell'art. 16 del d.l. n. 138  del  2011,  si

rivolge  anche  a  funzioni  ricadenti  nell'ambito  della   potesta'

legislativa residuale delle Regioni per violazione:

          dell'art. 117, quarto comma, nonche' dell'art. 118, secondo

comma, Cost.

        V.4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, del

d.l. n. 95 del 2012, nella parte in  cui,  sostituendo  il  comma  12

dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, si rivolge  anche  a  funzioni

ricadenti nell'ambito  della  potesta'  legislativa  residuale  delle

Regioni, per violazione:

          dell'art. 117, quarto comma, Cost.

        V.5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, del

d.l. n. 95 del 2012, nella  parte  in  cui  sostituisce  il  comma  2

dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011 per violazione:

          dell'art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost.

          dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.

        V.6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19. comma 3, del

d.l. n. 95 del 2012, nella  parte  in  cui  sostituisce  il  comma  7

dell'art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, per violazione:

          dell'art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost.

          dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.

 

                               P.Q.M.

 

    Si chiede che questa ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento

del  presente  ricorso,  dichiari   l'illegittimita'   costituzionale

dell'art. 19, comma 1, lettere a), d), e), e commi da 2 a 6, del d.l.

6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti  per  la  revisione  della

spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure

di rafforzamento patrimoniale delle imprese  del  settore  bancario),

come convertito in legge, con modificazioni,  dalla  legge  7  agosto

2012, n. 135, nei limiti e nei termini sopra esposti.

    Con ossequio.

    Bari-Roma, 12 ottobre 2012

 

                Avv. Prof. Cecchetti - Avv. Triggiani

  

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