Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria  il  20  novembre  2012  (della  Regione   Friuli-Venezia
Giulia). 
 
(GU n. 3 del 16.1.2013) 
 
    Ricorso  della  Regione  Friuli-Venezia   Giulia,   (Cod.   fisc.
…; P. IVA …)  in  persona  del  Presidente  della
Giunta regionale pro  tempore  dott.  Renzo  Tondo,  autorizzato  con
deliberazione della Giunta regionale n.  1899  del  9  novembre  2012
(doc. 1), rappresentata e difesa - come  da  procura  a  margine  del
presente atto - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon  di  Padova,  con
domicilio eletto in Roma presso  l'Ufficio  di  rappresentanza  della
Regione, in Piazza Colonna, 355; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,   per   la
dichiarazione   di   illegittimita'   costituzionale   del    decreto
legislativo 7 settembre  2012,  n.  155,  «Nuova  organizzazione  dei
tribunali ordinari e degli uffici del  pubblico  ministero,  a  norma
dell'articolo 1, comma 2, della legge  14  settembre  2011,  n.  148,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12 settembre 2012, n. 213,  nella
parte in cui: 
        all'art. 1, in collegamento con l'allegata Tabella A, esso si
riferisce, sopprimendoli, a  determinati  uffici  giudiziari  situati
nella regione Friuli-Venezia Giulia; 
        all'art. 2, comma 1, lett. a), in collegamento con l'allegato
1, sostituisce la tabella allegata al r.d. 30 gennaio  1941,  n.  12,
con riferimento agli Uffici giudiziari siti nel territorio regionale,
riporta alla competenza del solo Tribunale di Udine i territori delle
localita' gia' sedi degli Uffici giudiziari soppressi; 
        all'art. 3, comma l, nel sostituire con l'allegato 2, Tabella
A, la tabella allegata alla legge 26 luglio 1975, n. 354, non prevede
il Tribunale di Tolmezzo tra le sedi di Ufficio di sorveglianza; 
    per violazione: 
        degli articoli 5, 72, co. 4, 76 e 77 della Costituzione,  per
i profili e nei modi di seguito illustrati. 
 
                                Fatto 
 
    La  1egge  14.9.2011,  n.  148,  ha  convertito   in   legge   il
decreto-legge  n.  138/2011,  «Ulteriori  misure   urgenti   per   la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo». 
    Mentre il comma 1 dell'art. 1 della  legge  n.  148/2011  dispone
appunto la conversione in legge del decreto-legge n. 138/2011, con le
modificazioni riportate nell'allegato, il comma 2 conferisce ex  novo
una «Delega al Governo per la  riorganizzazione  della  distribuzione
sul territorio degli uffici giudiziari». 
    Sulla base di  questa  delega  e'  stato  adottato  il  d.lgs.  7
settembre 2012, n. 155,  oggetto  della  presente  impugnazione,  che
prevede appunto una «Nuova organizzazione dei  tribunali  ordinari  e
degli uffici del pubblico ministero». 
    Mediante  le  disposizioni  citate  in  epigrafe,  tale   decreto
sopprime, per quanto qui interessa, gli  Uffici  giudiziari  operanti
nelle localita' di San Vito al Tagliamento,  Tolmezzo,  Cividale  del
Friuli e Palmanova,  con  conseguente  concentrazione  di  tutti  gli
affari nel Tribunale di Udine. In particolare,  l'art.  1,  comma  1,
stabilisce che «sono  soppressi  i  tribunali  ordinari,  le  sezioni
distaccate e le procure  della  Repubblica  di  cui  alla  tabella  A
allegata al presente decreto»: e la Tabella A include tra gli  uffici
soppressi   quelli   delle   localita'   regionali   sopra    citate.
Corrispondentemente, l'Allegato 1 richiamato dall'art.  2,  comma  1,
lett. a) include i territori di tali localita' tra quelli  che  fanno
riferimento al Tribunale di Udine, mentre l'Allegato  2  non  include
piu'  il  Tribunale  di  Tolmezzo  tra  quelli  sedi  di  Ufficio  di
sorveglianza. 
    Sennonche', tale decreto  legislativo  appare  costituzionalmente
illegittimo per le seguenti ragioni di 
 
                               Diritto 
 
1. Premessa sulla legittimazione della Regione Friuli-Venezia  Giulia
alla presente impugnazione e sulla lesivita' del decreto  legislativo
impugnato. 
    La   legittimazione   della   Regione    Friuli-Venezia    Giulia
all'impugnazione degli  atti  legislativi  statali  e'  regolata,  in
assenza  di  norme  specifiche  contenute  nello  Statuto   speciale,
dall'art. 127, co. 2, Cost. 
    Come noto, questa disposizione prevede  che  le  Regioni  possano
impugnare le leggi statali per «lesione  della  sfera  di  competenza
regionale»: e la specifica competenza legislativa  ed  amministrativa
della Regione non si estende all'organizzazione della giurisdizione. 
    E' anche noto, pero', che codesta stessa Corte costituzionale  in
piu' occasioni  ha  riconosciuto  alle  Regioni  la  possibilita'  di
intervenire al di fuori delle materie  specificamente  elencate  gia'
dal «vecchio» art. 117 Cost. (v., ad  es.,  la  sent.  251/1993),  in
virtu' del loro  carattere  di  enti  «esponenziali»,  rappresentanti
degli  interessi  generali  della  comunita'  regionale,   ricavabile
principalmente dall'art. 5 Cost. (la' dove prevede che «la Repubblica
riconosce  e  promuove...  le  autonomie  locali»,  in   quanto   per
«autonomie locali» si intendono le comunita' locali e non gli  enti),
ma fondato in dottrina anche su altri elementi  (quali  il  carattere
rappresentativo degli organi o il carattere  territoriale  dell'ente:
v. rispettivamente G. Mor, «Profili dell'amministrazione  regionale»,
Milano 1974; L. Paladin, «Il territorio degli enti autonomi», in Riv.
trim. dir. pubbl., 1961). Tale carattere puo' dirsi  poi  rafforzato,
nel  quadro  del  nuovo  Titolo  V,  dalla  qualificazione  di   ente
sostitutivo della Repubblica riconosciuto alle  Regioni  dal  collima
primo dell'art. 114. 
    Codesta Corte  ha  applicato  il  principio  dell'esponenzialita'
anche al  profilo  della  legittimazione  al  ricorso.  Cosi',  nella
sentenza n. 51 del 1991 la Corte ha ritenuto ammissibile un conflitto
di attribuzioni promosso dalla Regione Piemonte  contro  un'ordinanza
del Presidente della Regione  Valle  d'Aosta  che  aveva  vietato  la
«introduzione  nel  territorio  valdostano  di   'ovini   e   caprini
provenienti da  altre  Regioni  italiane»,  per  asserita  violazione
dell'art. 120 Cost. La  Corte  ha  osservato  che  l'art.  120  Cost.
«attribuisce  a  ciascuna  Regione  un  interesse  costituzionalmente
protetto a che un'altra Regione non adotti  provvedimenti  diretti  a
limitare la libera circolazione delle persone e delle cose sottoposte
al proprio potere, menomando cosi' il pieno sviluppo dell'autonomia»,
e che,  «in  ragione  di  tale  connessione  [con  l'art.  5  Cost.],
l'interesse costituzionale alla libera circolazione delle  persone  e
delle cose protetto dall'art.  120  fonda  in  ciascuna  Regione  una
legittimazione ad agire in giudizio a tutela della propria  posizione
costituzionale di ente autonomo». 
    Nella sent. n. 276/1991 la Corte ha seguito un analogo schema  di
ragionamento, in quanto, a fronte di un ricorso della Regione Toscana
contro una norma legislativa  statale  che  imponeva  al  Governo  di
consultare previamente la Regione Veneto ed il Comune di  Venezia  in
vista della designazione - nel decennio 1991-2000 - di sedi  italiane
di organismi internazionali, «al fine di privilegiare la  candidatura
di Venezia», la Corte ha  riconosciuto  ammissibile  che  la  Regione
facesse valere «la sua pretesa  alla  considerazione,  da  parte  del
legislatore nazionale che introduce una  disciplina  territorialmente
differenziata, dell'interesse  proprio  (o  degli  interessi  propri)
della comunita' regionale», osservando che  l'esigenza  del  rispetto
del «criterio di eguaglianza fra le Regioni»  va  «al  di  la'  della
salvaguardia della competenza legislativa regionale... e si ricollega
alla  natura  della  Regione  di  ente  politico  esponenziale  della
comunita'  regionale,  il  cui   fondamento   e   la   cui   garanzia
sostanziale... sta piuttosto nell'art. 5 Cost. stessa». 
    Ancora, nel caso di cui alla sent. 533/2002 la Regione Veneto  ed
il Governo avevano impugnato l'art. 44 della legge della Provincia di
Bolzano 28 dicembre 2001, n. 19, in base al quale i sovracanoni annui
dovuti  dai  concessionari  di  derivazioni  del   bacino   imbrifero
dell'Adige devono essere versati alla Provincia autonoma  di  Bolzano
contestualmente al pagamento dei canoni demaniali. La Corte condivise
la censura, osservando che «la semplice previsione che i  sovracanoni
siano riscossi dalla Provincia autonoma di Bolzano e  la  conseguente
loro sottrazione, non importa se  solo  temporanea,  ai  consorzi  di
Comuni del bacino imbrifero montano  lede,  con  il  principio  della
legislazione statale..., «anche l'autonomia finanziaria dei Comuni e,
mediatamente, della  stessa  Regione  Veneto,  che  vede  privato  il
proprio territorio  di  risorse  delle  quali,  in  base  alla  legge
statale, avrebbe dovuto essere destinataria» (corsivo aggiunto). 
    Dunque, come si puo' vedere,  la  Regione  e'  stata  ammessa  ad
impugnare  anche  leggi  che  non  ledevano   specifiche   competenze
costituzionali  della  Regione  stessa,  ma  che,  pregiudicando  gli
interessi della popolazione stanziata nel suo territorio, ledevano la
generale competenza costituzionale della Regione, legata alla  tutela
di tali interessi. 
    Questa impostazione e' pienamente fondata, in quanto e'  evidente
che i confini della «sfera di competenza»  regionale  debbono  essere
determinati non solo tramite le norme del Titolo V ma  anche  tramite
l'art. 5 Cost. 
    Essa del resto corrisponde al significato attribuito all'«eccesso
di competenza» di cui all'art. 127, co. 1, Cost.: come  la  sfera  di
competenza regionale ha i suoi confini,  in  negativo,  in  tutte  le
norme costituzionali e non solo in quelle che  elencano  le  materie,
cosi' si  potrebbe  ritenere  che  essa  spazi,  in  positivo,  oltre
l'autonomia legislativa-amministrativa-finanziaria  riconosciuta  dal
Titolo V, fino a dove la Costituzione lo  consenta:  e,  se  e'  vero
(come e' vero) che l'art. 5 Cost. attribuisce alle Regioni  il  ruolo
di rappresentanti degli interessi generali delle comunita' regionali,
la  «sfera  di  competenza»  regionale  puo'  ritenersi  comprensiva,
appunto, di questa posizione regionale, con  la  conseguenza  che  le
Regioni dovrebbero essere ammesse ad impugnare tutte le leggi statali
incostituzionali che ledano, genericamente, interessi della comunita'
regionale. 
    E' anche opportuno ricordare che,  in  base  alla  giurisprudenza
costituzionale, le Regioni possono  impugnare  leggi  statali  lesive
delle prerogative degli enti locali a prescindere dalla  presenza  di
una  lesione  della  competenza  regionale:  v.,  ad  es.,  la  sent.
298/2009, secondo la quale «le Regioni sono legittimate a  denunciare
la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni  degli  enti
locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della
competenza legislativa regionale» (punto  7.2;  v.  anche  le  sentt.
278/2010, punto 14.1; 169/2007, punto 3; 95/2007). 
    Posta questa premessa  in  diritto,  non  vi  e'  dubbio  che  la
soppressione delle sedi  giudiziarie  di  San  Vito  al  Tagliamento,
Tolmezzo, Cividale del Friuli e  Palmanova  e  di  tutti  gli  Uffici
Giudiziari in esse operanti, con la corrispondente concentrazione  di
tutti gli affari nel Tribunale di Udine, si traduce  in  un  notevole
depauperamento di quella che si potrebbe chiamare infrastrutturazione
civile della comunita' regionale, determinando la  congestione  delle
strutture del centro maggiore e la desertificazione  delle  cittadine
intermedie, con  un  processo  che  va  esattamente  nella  direzione
contraria a quella desiderabile e, come  oltre  meglio  si  dira',  a
quella promessa dall'art. 5 della Costituzione. 
    Questo processo, purtroppo non riguarda solo le sedi giudiziarie:
basti pensare al corrispondente processo  di  riduzione  dei  presidi
ospedalieri nei centri  minori,  per  non  dire  del  riordino  delle
Province attualmente in corso, che vede  numerosi  centri  declassati
amministrativamente a periferia. Esso comporta, come e' evidente,  la
perdita di valori intellettuali e  di  peso  decisionale  di  realta'
locali spesso vivaci e tutt'altro che marginali, che rischiano invece
ora di divenirlo a seguito di tale processo. 
    Esso e' evidentemente mosso da ragioni finanziarie,  senza  pero'
che cio' lo renda inevitabile, nel quadro  di  possibili  alternative
che debbono essere valutate dal competente legislatore. Il che  porta
a cio' che maggiormente forma oggetto della  presente  contestazione,
cioe' la circostanza che tale processo sia stato promosso al di fuori
delle legittime forme costituzionali richieste  per  cosi'  rilevanti
scelte del Paese. 
II. Illegittimita' costituzionale del decreto  legislativo  impugnato
per violazione, in via derivata, dell'art. 77 della Costituzione. 
    Il  decreto   legislativo   n.   155/2012   appare   affetto   da
illegittimita'  costituzionale  in  primo  luogo  in  relazione  alla
circostanza che la relativa delega e' stata  conferita  dall'art.  1,
comma 2, della legge n. 148 del 2012,  in  sede  di  conversione  del
decreto-legge n. 138 del 2011. 
    Cio' costituisce, ad  avviso  della  ricorrente  Regione,  palese
violazione dell'art. 77 Cost., che individua la legge di  conversione
quale   speciale   procedura   destinata   alla    conversione    del
decreto-legge, senza possibili  contenuti  estranei,  secondo  quanto
affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 22/2012. 
    Ne risulta  l'incostituzionalita'  della  delega,  la  quale  poi
inevitabilmente si riflette sulla illegittimita'  costituzionale  del
decreto delegato sopra ricordato, relativo alla  nuova  distribuzione
territoriale delle sedi giudiziarie. 
    Il decreto-legge legge n. 138  del  2012,  contenente  «Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo  sviluppo»
e' stato convertito in legge, con numerosi emendamenti, dall'art.  1,
comma 1, della legge n. 148/2011. 
    Tuttavia, la delega che ha  portato  all'emanazione  del  decreto
legislativo qui impugnato non e' stata introdotta, come  emendamento,
nel testo del decreto-legge, ma e'  stata  «aggiunta»  come  comma  2
dell'art. 1 della legge di conversione. 
    La ragione  di  tale  singolarita'  potrebbe  ricercarsi  in  una
duplice direzione. Da una parte, la ragione potrebbe rinvenirsi nella
sostanziale estraneita' del contenuto della delega alla  materia  del
decreto-legge; dall'altra, essa potrebbe collegarsi alla  circostanza
che - per la funzione e natura  giuridica  che  la  Costituzione  gli
assegna - il decreto-legge non puo' contenere deleghe legislative. 
    In   entrambi   i   casi,    tuttavia,    la    delega    risulta
costituzionalmente illegittima. 
    Quanto alla circostanza  che  la  sostanziale  estraneita'  delle
nuove  norme  contenute  nella  legge   di   conversione   le   renda
costituzionalmente illegittime, essa non ha  bisogno  di  essere  qui
dimostrata, essendo tale principio costituzionale  sancito  nel  modo
piu' solenne da codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n.
22 del 2012, la quale  ha  qualificato  il  procedimento  particolare
volto alla conversione del decreto da parte del Parlamento  come  «un
potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalita' di
procedura, allo scopo tipico  di  convertire,  o  non,  in  legge  un
decreto-legge»;  ed  ha  precisato  che  nel  delineare   i   diversi
procedimenti legislativi la Costituzione pone «limiti  e  regole»,  e
che «il rispetto delle norme costituzionali, che dettano tali  limiti
e regole, e' condizione di  legittimita'  costituzionale  degli  atti
approvati» (punto 4.2 diritto). 
    Uno di tali limiti, corrispondente  alla  funzione  tipica  della
legge di conversione, e' dunque il  divieto  di  introdurre  in  esso
norme estranee all'oggetto del decreto-legge. Questo e' il  principio
che ha portato alla dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
della disposizione  impugnata  nella  vicenda  che  ha  portato  alla
sentenza n. 22 del 2012. 
    Ne' avrebbe senso obiettare che, nel presente caso, il  contenuto
estraneo e' stato introdotto non nel decreto-legge, ma  nel  separato
comma 2 dell'art. l della legge di conversione:  perche'  il  divieto
posto dalla Costituzione sarebbe davvero troppo  facilmente  aggirato
se - in  spregio  di  esso  -  bastasse  per  superarlo  inserire  le
corrispondenti  disposizioni  estranee  nella  legge  di  conversione
anziche' nel corpo del decreto-legge. E' evidente, al contrario,  che
il divieto vale per  la  legge  di  conversione  in  quanto  tale,  a
prescindere dalla collocazione formale della norma  estranea  che  si
voglia introdurre. 
    Dunque, l'introduzione della delega in materia di  organizzazione
giudiziaria quale elemento estraneo al contenuto del decreto-legge n.
138 del 2011 e' costituzionalmente illegittima, allo stesso modo  che
se essa fosse stata introdotta nel corpo del decreto-legge. 
    Vi e' pero', come detto, una ulteriore ragione di  illegittimita'
costituzionale della delega conferita con l'art. 1,  comma  2,  della
legge n.  148  del  2011,  collegata  alla  seconda  ragione  che  ha
presumibilmente  portato  all'inserimento  di  essa  nella  legge  di
conversione, anziche'  nel  corpo  del  decreto-legge.  Tale  ragione
consiste  nel  divieto  costituzionale  di   inserire   deleghe   nel
decreto-legge: divieto che - come  si  illustrera'  -  non  puo'  non
valere ugualmente per la legge di conversione. 
    Che una delega legislativa  non  potrebbe  essere  conferita  con
decreto-legge risulta in primo luogo dallo  stesso  tenore  dell'art.
77, co. 1, Cost., che parla di «Camere» («Il Governo non puo',  senza
delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge
ordinaria»). Inoltre, La Costituzione, in altre  parole,  richiedendo
che la delegazione provenga dalle «Camere», pone una riserva di legge
«formale» in materia di delega legislativa, escludendo che la  delega
sia  data  con  atti  aventi  forza  di  legge.  Al  dato   «formale»
corrisponde poi  ovviamente  un'esigenza  sostanziale:  queste  leggi
(delega, conversione d.1., autorizzazione alla ratifica dei trattati,
approvazione dei bilanci) presuppongono una «dualismo» tra Governo  e
Parlamento,  perche'  non  sarebbe  ammissibile  che  il  Governo  si
«autodelegasse» o si «autoapprovasse i  bilanci»  (si  veda  tra  gli
altri, in dottrina, L. Paladin, Diritto costituzionale, Padova, 1995,
169). 
    A  queste  ragioni  se  ne  aggiungono  delle  altre  altrettanto
fondamentali: «il decreto-legge non puo' recare  deleghe  legislative
perche'  sarebbe  un   caso   macroscopico   di   evidente   mancanza
dell'urgenza, oltre che di violazione della riserva di legge formale»
(cosi' R. Bin - G. Pitruzzella, Le fonti del  diritto,  Torino  2009,
113 ss. e 145). 
    E' evidente, infatti, che il concetto stesso della delega, con la
sua  strumentazione  di  principi  e  criteri  direttivi  e  con   la
fissazione di un termine per il suo esercizio, contraddice in  radice
all'idea della straordinaria necessita' ed urgenza che sta alla  base
della previsione costituzionale del decreto-legge. 
    Percio', e' in termini ricognitivi  della  regola  costituzionale
che l'art. 15, comma 2, della 1. n. 400 del 1988 stabilisce  che  «il
Governo non puo', mediante decreto-legge»,  tra  l'altro,  «conferire
deleghe legislative ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione». 
    Posto dunque che il decreto-legge non avrebbe potuto contenere la
delega  legislativa  in  materia  di  riorganizzazione   delle   sedi
giudiziarie, risulta ad avviso della ricorrente Regione evidente  che
tale  delega  non  poteva  essere  introdotta  neppure  in  sede   di
conversione: e cio' a prescindere dalla  circostanza  che  la  delega
venga inserita nel corpo stesso del decreto-legge o, invece, che essa
sia inserita (come accaduto nel caso della legge  n.  148  del  2011)
quale disposizione aggiuntiva della legge di conversione. 
    Infatti, come gia' sopra esposto, nella sentenza n. 22  del  2012
la Corte costituzionale non  ha  soltanto  affermato  il  divieto  di
introdurre nel decreto-legge  norme  ad  esso  estranee  in  sede  di
conversione, ma ha anche riconosciuto che il procedimento particolare
volto  alla  conversione  del  decreto  da   parte   del   Parlamento
corrisponde ad «un potere che la Costituzione  gli  attribuisce,  con
speciali modalita' di procedura, allo scopo tipico di  convertire,  o
non, in legge un decreto-legge», nel quadro di «limiti e  regole»  il
cui rispetto costituisce «condizione di  legittimita'  costituzionale
degli atti approvati». 
    Ne  consegue  che  lo  speciale  procedimento   di   conversione,
caratterizzato da modalita' procedurali e scansioni temporali diverse
da  quelle  ordinarie,  non  puo'  essere  utilizzato  oltre  la  sua
finalita' tipica, e che dunque esso non puo' contenere norme  diverse
da quelle che avrebbero coerentemente e legittimamente potuto trovare
posto nel decreto-legge medesimo. 
    E la delega legislativa, come sopra esposto, non  avrebbe  potuto
mai trovare posto nel decreto-legge. 
    La scelta del Parlamento di collocare eventuali norme  ulteriori,
rispetto a quelle contenute nel decreto, nel corpo del decreto stesso
o invece nella legge di conversione,  non  puo'  dunque  avere  alcun
riflesso sul problema della loro ammissibilita'. 
    La funzione tipica della legge di conversione,  indissolubilmente
legata all'urgenza propria del decreto-legge, che  si  esprime  nelle
speciali  caratteristiche  del  procedimento  legislativo,   preclude
l'inserimento di norme che il Governo stesso non avrebbe  potuto  mai
introdurre  nel  decreto-legge,  a  prescindere  dalla   collocazione
formale di tali norme nel decreto o nella legge di conversione. 
    Ove si ammettesse il contrario, infatti, la legge di  conversione
verrebbe a perdere il collegamento con il decreto-legge, e ad  essere
utilizzata quale procedura legislativa ordinaria,  in  contrasto  con
quanto statuito dalla sentenza n. 22 del 2012. 
    Poiche' il decreto legislativo impugnato e' stato emanato in base
ad una delega introdotta in sede di conversione del decreto-legge  n.
138  del  2011,  e  tale  delega   era   percio'   costituzionalmente
illegittima,   ne   risulta   in   via   derivata    l'illegittimita'
costituzionale del decreto legislativo emanato in base ad essa. 
III.  Illegittimita'  costituzionale  del  decreto  legislativo   per
violazione, in  via  derivata,  dell'art.  72,  quarto  comma,  della
Costituzione. 
    Accanto  alla  violazione  dell'art.   77   Cost.   puo'   essere
riscontrata altresi' la violazione, da parte della  legge  delegante,
dell'art. 72, quarto comma, Cost., secondo cui «la procedura  normale
di esame e di approvazione diretta da parte della  Camera  e'  sempre
adottata»,  tra  l'altro,  «per  i  disegni  di  legge   in   materia
costituzionale  ed   elettorale   e   per   quelli   di   delegazione
legislativa». 
    Infatti, ad avviso della Regione ricorrente si deve ritenere che,
nel richiedere la procedura normale di approvazione diretta da  parte
della Camera, la Costituzione abbia inteso escludere la  possibilita'
di utilizzare - per le leggi  di  delegazione  -  altri  procedimenti
speciali: da quelli abbreviati ai quali si riferisce lo  stesso  art.
72,  comma  secondo,  agli  altri  procedimenti  diversi  da   quello
ordinario, ai quali ha fatto cenno la  stessa  Corte  costituzionale,
includendovi   espressamente   sia   quello   di   conversione    del
decreto-legge sia quello concernente la posizione della questione  di
fiducia da parte del Governo (cfr. sentenza n. 391 del 1995). 
    Sembra evidente,  infatti,  che  l'aggettivo  «normale»  inserito
nella disposizione non possa essere inteso semplicemente come un mero
e pleonastico rafforzativo del rinvio alla procedura «di esame  e  di
approvazione diretta da parte della Camera», ma  ponga  un  requisito
autonomo ed ulteriore: nel senso che debba trattarsi della  ordinaria
procedura legislativa parlamentare: con  esclusione  dunque  di  ogni
altro procedimento che per funzione e caratteristiche procedurali  si
differenzi da essa. 
    In un corrispondente ordine di idee va altresi' sottolineato  che
al procedimento che  ha  condotto  all'approvazione  della  legge  di
conversione n. 148 del 2011 ben  difficilmente  potrebbe  addirsi  la
qualificazione di «normale». 
    Esso infatti e' stato caratterizzato dalla presentazione in  aula
e dalla approvazione mediante apposizione del voto di fiducia  di  un
c.d. maxiemendamento proposto dal Governo,  integralmente  sostituivo
sia del decreto che della stessa legge di conversione. 
    Dunque, solo formalmente ed esteriormente e' stato  seguito  quel
procedimento per commissione referente seguito dall'esame e  voto  in
assemblea che sia il  regolamento  della  Camera  (art.  96-bis)  che
quello del Senato  (artt.  35  e  78)  richiedono  per  le  leggi  di
conversione: perche' in effetti del testo del c.d.  maxiemendamento -
cioe' della totalita' della disciplina disposta dal  decreto-legge  e
dalla legge di conversione - non  vi  e'  stato  alcun  passaggio  in
commissione referente, ed anche la procedura  di  esame  in  aula  e'
stata distorta dall'apposizione della questione di fiducia. 
    Dunque, non e' stata affatto seguita la  procedura  «normale»  di
esame e di approvazione diretta da parte della Camera». 
IV.  Illegittimita'  costituzionale  del  decreto   legislativo   per
violazione dell'art 5 della Costituzione. 
    Benche' le ragioni precedentemente esposte siano, ad avviso della
ricorrente Regione, ampiamente idonee a giustificare la richiesta  di
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'impugnato decreto
legislativo,  essa  desidera  sottolineare  come  anche  nel  proprio
specifico contenuto  dispositivo  tale  decreto  si  allontani  dalle
fondamentali linee ispiratrici della Costituzione. 
    Ci si riferisce, qui, all'art. 5 di essa, il  quale  -  come  ben
noto - era stato  inizialmente  concepito  nel  contesto  del  Titolo
quinto della Parte seconda, ma che e' stato poi portato  nella  parte
iniziale, tra i Principi fondamentali, a sottolineare  che  con  tale
disposizione  si  intendeva  non  indicare  un   elemento   puramente
organizzativo, ma il carattere  stesso  dell'ordinamento  che  ci  si
accingeva a rifondare. 
    In esso - come ben noto - si afferma bensi' che la Repubblica  e'
«una e indivisibile», ma al tempo stesso si afferma non solo che essa
«riconosce e promuove le autonomie  locali»,  ma  altresi'  che  essa
«attua  nei  servizi  che  dipendono  dallo  Stato  il   piu'   ampio
decentramento amministrativo» e che addirittura «adegua i principi ed
i metodi della sua legislazione alle esigenze  dell'autonomia  e  del
decentramento». 
    Che l'approvazione della delega in  sede  di  conversione  di  un
decreto-legge,  ponendo  sul  tutto  la  questione  di  fiducia,  non
costituisca metodo appropriato alle  esigenze  dell'autonomia  e  del
decentramento sembra davvero evidente; ma ancor piu' evidente  appare
che con tale riordinamento la Repubblica non attua, nei  servizi  che
dipendono dallo Stato (come il servizio  della  giustizia),  il  piu'
ampio decentramento amministrativo, in un senso ampio che  certamente
non esclude, in questo contesto, l'amministrazione della giustizia. 
    Anche da questo punto di vista, dunque,  il  decreto  legislativo
impugnato e - per quanto riguarda la regione Friuli-Venezia Giulia  -
la soppressione delle sedi  giudiziarie  esistenti  ed  operanti  nei
centri di media dimensione e la  concentrazione  degli  affari  nella
sede di Udine risultano nel  contenuto  incoerenti  con  la  volonta'
espressa della Costituzione nei suoi principi fondamentali. 
    A maggiore ragione, dunque, scelte di tale natura da incidere nei
principi  fondamentali  della  Costituzione  debbono  essere  assunte
attraverso  le  procedure  prescritte   dalla   stessa   Costituzione
affinche' esse siano il frutto non di  affrettate  considerazioni  di
pochi ma di effettiva e ponderata volonta' della  rappresentanza  del
popolo nel Parlamento. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Voglia codesta Ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando l'illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 7
settembre 2012, n. 155, «Nuova organizzazione dei tribunali  ordinari
e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma
2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», pubblicato nella  Gazzetta
Ufficiale 12 settembre 2012, n. 213, nella parte in cui: 
        all'art. l, in collegamento con l'allegata Tabella A, esso si
riferisce, sopprimendoli, a  determinati  uffici  giudiziari  situati
nella regione Friuli-Venezia Giulia; 
        all'art. 2, comma 1, lett. a), in collegamento con l'allegato
1, sostituisce la tabella allegata al R.D. 30.1 1941, n. 12,  per  la
parte che riguarda il territorio regionale, per i motivi  e  sotto  i
profili illustrati nel presente ricorso. 
          Padova, 10 novembre 2012 
 
                             Avv. Falcon 

 

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