Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 13 dicembre 2012 (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
 
(GU n. 5 del 30.1.2013) 
 
    Ricorso  del  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri   (C.F.
…), rappresentato e difeso dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato    (C.F.     …)     Fax     0…     e     PEC
… presso i cui uffici in  Roma  alla
Via dei Portoghesi n. 12 e' domiciliato, nei confronti della  Regione
Umbria, in persona del suo  Presidente  per  la  dichiarazione  della
illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  24  e  34  della  legge
regionale n. 15 del 5 ottobre 2012, recante: "Ulteriori modificazioni
ed integrazione della legge regionale 28 novembre 2003, n. 23  (Norme
di riordino in materia di edilizia  residenziale  pubblica)"  (B.U.R.
del 10 ottobre 2012 n. 44). 
    Con la legge n. 15 del 24  ottobre  2012  la  Regione  Umbria  ha
introdotto  "Ulteriori  modificazioni  ed  integrazioni  della  legge
regionale 28 novembre 2003, n. 23 (Norme di riordino  in  materia  di
edilizia residenziale pubblica)" la  cui  finalita'  -  come  precisa
l'art. 1, comma 1 della medesima legge n.  23/2003  -  e'  quella  di
promuovere  "politiche  abitative  tese  ad  assicurare  il   diritto
all'abitazione e il soddisfacimento del fabbisogno abitativo primario
delle famiglie e persone meno abbienti  e  di  particolari  categorie
sociali". 
    Gli artt. 24  e  34  della  legge  impugnata  presentano  diversi
profili di illegittimita' costituzionale. 
    Essi sostituiscono, rispettivamente, gli articoli 20 e  29  della
legge n. 23/2003, prevedendo quali requisiti generali dei beneficiari
dei contributi e, in particolare, quali requisiti per  l'assegnazione
degli alloggi di edilizia residenziale  sociale  (ERS)  pubblica,  la
residenza o l'attivita' lavorativa nella regione per  un  periodo  di
cinque armi. 
    Tale  periodo  di   residenzialita'   prolungata   previsto   dal
legislatore  regionale   e'   difforme   dagli   orientamenti   della
giurisprudenza della  Corte  di  Giustizia  Europea  e  dalla  stessa
giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte Costituzionale. 
    In particolare  l'art.  24  (rubricato  "requisiti  generali  dei
beneficiari"') della legge in esame, che sostituisce l'art. 20  della
citata legge regionale 28  novembre  2003,  n.  23,  dispone  che  "I
beneficiari dei contributi previsti nel Titolo II devono possedere  i
seguenti requisiti: 
        a)  cittadinanza  italiana  o  di  un  Paese   che   aderisce
all'Unione Europea o di Paesi che non aderiscono  all'Unione  Europea
purche' in regola con le vigenti norme in materia di immigrazione; 
        b) residenza o attivita' lavorativa nella Regione  da  almeno
cinque anni, anche non consecutivi, ovvero residenza all'estero per i
cittadini italiani che manifestano la volonta' di rientrare in Italia
entro un anno dalla domanda; 
        c) capacita' economica del nucleo  familiare  valutata  sulla
base dell'ISEE di cui alla vigente normativa entro i limiti minimi  e
massimi stabiliti in relazione alle tipologie di intervento". 
    Anche il  successivo  art.  34,  sui  "requisiti  soggettivi  per
l'assegnazione"  degli  alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica
prevede, al comma 1, punto a),  i  medesimi  requisiti  di  residenza
quinquennale  o  attivita'  lavorativa   per   almeno   cinque   anni
consecutivi e nel comune territorialmente competente per  almeno  tre
anni consecutivi. 
    Le disposizioni impugnate sono illegittime in quanto  subordinano
la concessione dei contributi regionali in  favore  dei  beneficiari,
previsti nel Titolo II, alla residenza o  alla  attivita'  lavorativa
temporalmente  protratta  per   almeno   cinque   anni,   anche   non
consecutivi, in territorio regionale, in contrasto con l'art. 21,  n.
1 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea), a  mente
del quale "Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di
soggiornare liberamente nel  territorio  degli  Stati  membri,  fatte
salve le limitazioni e le condizioni previste dai  trattati  e  dalle
disposizioni adottate in applicazione degli stessi". 
    Peraltro, la previsione di un periodo di residenza o lavoro cosi'
prolungato  non  appare  giustificato,  giacche'  eccede  quanto   e'
necessario al raggiungimento del legittimo  obiettivo  di  preservare
l'equilibrio finanziario del sistema  locale  di  assistenza  sociale
mediante la previsione di  un  collegamento  tra  il  richiedente  il
contributo e l'ente competente alla sua erogazione,  cosi'  ponendosi
in contrasto con il Trattato,  come  precisato  dalla  giurisprudenza
formatasi in materia della Corte  di  Giustizia  dell'Unione  europea
(sentenze Stewart C-503/09, punti 90/95,  sentenza  11  luglio  2002,
D'Hoop, C-224/98, punto 39). 
    Le norme contrastano pertanto  con  i  principi  di  liberta'  di
circolazione e di stabilimento previsti all'art. 21 TFUE. 
    A tale riguardo  giova  porre  in  evidenza  che  la  Commissione
europea ha avviato una procedura di infrazione (n. 2009/2001) in data
25 febbraio 2011, in  relazione  a  disposizioni  normative,  emanate
dalla  Regione  Friuli  Venezia  Giulia  in   materia   di   edilizia
residenziale  pubblica,  che   subordinavano   le   attribuzioni   di
prestazioni sociali alla sussistenza di requisiti di  residenzialita'
in contrasto con la direttiva n. 2004/38/CE, relativa al diritto  dei
cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare
liberamente nel territorio degli Stati membri. 
    In tale occasione la Commissione ha posto in rilievo  che  l'art.
24,  par.  1,  della  Direttiva  2004/38/CE  ha  previsto  che  "ogni
cittadino dell'Unione che risiede nel territorio dello  Stato  membro
ospitante gode di pari trattamento  rispetto  ai  cittadini  di  tale
Stato;  tale  diritto  si  estende  ai  familiari   non   aventi   la
cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari  del  diritto  di
soggiorno o del diritto di soggiorno permanente". 
    In  fattispecie  pressocche'  analoga  codesta  Ecc.ma  Corte  ha
affermato  (sentenza  n.  40  del  2011)  che  "tali  discriminazioni
contrastano con la funzione e la ratio normativa stessa delle  misure
che compongono il  complesso  e  articolato  sistema  di  prestazioni
individuato dal legislatore regionale  nell'esercizio  della  propria
competenza in materia di servizi sociali, in violazione del limite di
ragionevolezza imposto dal  rispetto  del  principio  di  uguaglianza
(art. 3 Cost.)". 
    Sempre con  recente  decisione  n.  61  del  2011  codesta  Corte
Costituzionale ha avuto modo di precisare  che,  «una  volta  che  il
diritto  a  soggiornare  alle  condizioni   predette   non   sia   in
discussione, non si possono discriminare gli  stranieri,  stabilendo,
nei loro confronti, particolari  limitazioni  per  il  godimento  dei
diritti  fondamentali   della   persona,   riconosciuti   invece   ai
cittadini». 
    Le  norme  all'esame  contrastano  inoltre  con   le   previsioni
dell'art. 9, comma 12, lettera c) del decreto legislativo  25  luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), come sostituito dall'art. l del D.Lvo 8 gennaio 2007,  n.
3 che attua l'art.  11,  paragrafo  1,  lettera  i)  della  direttiva
2003/109/CEE, in quanto la previsione di un requisito temporale cosi'
prolungato discrimina i soggiornanti di lungo periodo, che dovrebbero
godere del medesimo trattamento dei cittadini  nazionali  per  quanto
riguarda le procedure di ottenimento dl un alloggio e  che  sarebbero
pertanto discriminati nella ricorrente ipotesi che abbiano  trascorso
anche in altre regioni il periodo quinquennale di residenzialita'. 
    Le norme contrastano anche con l'art. 40, comma  6  della  citata
legge n. 286/1998, come modificata dalla legge  30  luglio  2002,  n.
189, in quanto determinano una disparita' di trattamento a danno  dei
cittadini comunitari. 
    Ed infatti, la disciplina statale di cui al citato art. 40, comma
6, prevede che "Gli stranieri titolari di carta di  soggiorno  e  gli
stranieri  regolarmente  soggiornanti  in  possesso  di  permesso  di
soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attivita'  di
lavoro subordinato o di lavoro autonomo hanno diritto di accedere, in
condizioni dl parita' con  i  cittadini  italiani,  agli  alloggi  di
edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione  delle
agenzie sociali eventualmente predisposte da  ogni  Regione  o  dagli
enti locali per agevolare l'accesso alle  locazioni  abitative  e  al
credito agevolato  in  materia  di  edilizia,  recupero,  acquisto  e
locazione della prima casa di abitazione". 
    Mentre, quindi, per gli extra-comunitari il  legislatore  statale
richiede, per poter beneficiare delle sopra descritte provvidenze, un
soggiorno (nel territorio  nazionale)  di  almeno  due  anni,  per  i
cittadini comunitari, per i quali non trova  applicazione  il  citato
Testo unico sull'immigrazione, la  disposizione  regionale  censurata
richiede,  per  lo  stesso  fine,  il   requisito   della   residenza
quinquennale nel territorio regionale. 
    L'art. 24, nel riformare  l'art.  20  della  legge  regionale  n.
23/2003,  contrasta  con  l'art.  24  della   Direttiva   comunitaria
2004/38/CE (recepita dal D.lgs. 6 gennaio 2007, n. 30),  nella  parte
in cui prevede, quale requisito alternativo, "la residenza all'estero
per i cittadini italiani che manifestano la volonta' di rientrare  in
Italia entro un anno dalla domanda": essa  introduce  un  trattamento
discriminatorio in quanto  per  tali  cittadini  (italiani  residenti
all'estero)  risulta  indubbiamente  piu'   semplice   soddisfare   i
requisiti stabiliti  per  l'ottenimento  del  beneficio  rispetto  ai
cittadini   migranti   dell'Unione    europea    e    ai    cittadini
extra-comunitari, ne' la medesima disposizione appare  obiettivamente
giustificata  e  proporzionata  al  conseguimento  di  un   obiettivo
legittimo. 
    Sul punto e' opportuno rilevare  che,  anche  sulla  base  di  un
consolidato  orientamento  della  Corte  di   Giustizia   dell'Unione
europea, le norme relative alla parita' di  trattamento  vietano  non
solo le discriminazioni palesi, in base alla cittadinanza,  ma  anche
qualsiasi  discriminazione  dissimulata  che,  fondandosi  su   altri
criteri di distinzione, pervenga in effetti al medesimo risultato. 
    Per le sopra esposte motivazioni l'art.  24  e  l'art.  34  della
legge regionale  n.  15/2012  contrastano  con  le  citate  normative
statali e comunitarie, e pertanto violano  l'art.  117,  primo  comma
della Costituzione, che impone al legislatore regionale  il  rispetto
dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e  dagli  obblighi
internazionali. 
    Entrambe  le  disposizioni  violano  inoltre  il   principio   di
uguaglianza  di  cui  all'art.   3   della   Costituzione,   giacche'
introducono  nel  tessuto  normativo  un  elemento   di   distinzione
arbitrario, non essendovi alcuna ragionevole  correlabilita'  tra  la
condizione  positiva  di  ammissibilita'  al  beneficio  -  quale  la
residenza protratta o l'attivita' lavorativa per almeno cinque anni -
e gli altri particolari requisiti che costituiscono il presupposto di
fruibilita' di un contributo sociale che, per la sua  stessa  natura,
non tollera distinzioni basate su particolari tipologie di  residenza
in grado di escludere proprio coloro che risultano  i  soggetti  piu'
esposti alle condizioni di bisogno e di disagio. 
    Del resto, come ha precisato codesta Corte  Costituzionale  nella
citata sentenza n. 40 del 2011, "tali discriminazioni contrastano con
la funzione e la ratio normativa stessa delle misure  che  compongono
il complesso e articolato  sistema  di  prestazioni  individuato  dal
legislatore regionale  nell'esercizio  della  propria  competenza  in
materia  di  servizi   sociali,   in   violazione   del   limite   di
ragionevolezza imposto dal rispetto del principio di uguaglianza". 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si conclude perche' le  disposizioni  regionali  impugnate  siano
dichiarate costituzionalmente illegittime. 
    Si producono: 
        estratto della delibera del Consiglio dei Ministri in data  6
dicembre 2012; 
        relazione, allegata alla medesima delibera, del Ministro  per
gli affari regionali, il turismo e lo sport. 
 
          Roma, 7 dicembre 2012 
 
                  L'Avvocato dello Stato: D'Avanzo 

 

Menu

Contenuti