Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 2 febbraio 2012 (della Regione Piemonte). 
 
  (GU n. 10 del 07.03.2012 ) 



    Ricorso della Regione Piemonte (C.F.: ...),  in  persona del Presidente  pro-tempore  della  Giunta  Regionale  Roberto  Cota, autorizzato con delibera della Giunta Regionale  n.  12-3266  del  10 gennaio 2012 integrata dalla D.G.R. n. 3-3269 del  16  gennaio  2012,
rappresentato e difeso, per mandato  a  margine  del  presente  atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Giovanna Scollo, dell'Avvocatura Regionale (C.F.: ...,  fax: ..., pec: ...),  e  Gabriele  Pafundi (C.F.: ...,       fax:...,       pec:...), ed elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma, Viale Giulio Cesare n. 14;
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore,  per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, previa sospensione dell'art. 31 del decreto-legge  n.  201/2011  cosi'  come  convertito dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300, S.O. del 27 dicembre 2011, per  violazione dell'art. 117, quarto comma, della Cost., anche in relazione al primo e secondo comma lettera e) anche sotto il profilo di  violazione  del principio di leale collaborazione.

                           Fatto e diritto

    Prima di entrare nel merito della norma oggetto del  ricorso,  e' opportuno fare un breve excursus della normativa  sul  commercio  con particolare  riferimento  all'orario  di  apertura   degli   esercizi commerciali.
    Il d.lgs. n. 114 del 31 marzo 1998, avente ad oggetto la  riforma della disciplina relativa al settore del commercio a norma  dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, all'art. 11,  statuisce che «gli orari di apertura e di chiusura al pubblico  degli  esercizi di vendita al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel rispetto delle disposizioni del presente articolo e dei criteri emanati dai comuni,  sentite  le  organizzazioni  locali  dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti, in esecuzione di quanto disposto dall'art. 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142.
    Fatto salvo quanto disposto al comma 4, gli esercizi  commerciali di vendita al dettaglio possono restare aperti al pubblico in tutti i giorni della  settimana  dalle  ore  sette  alle  ore  ventidue.  Nel rispetto di tali  limiti  l'esercente  puo'  liberamente  determinare l'orario di apertura e chiusura del proprio esercizio  non  superando comunque il limite delle tredici ore giornaliere.
    L'esercente e' tenuto a rendere  noto  al  pubblico  l'orario  di effettiva apertura e chiusura del proprio esercizio mediante cartelli o altri mezzi idonei di informazione.
    Gli esercizi  di  vendita  al  dettaglio  osservano  la  chiusura domenicale e festiva dell'esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni, sentite le organizzazioni di cui al comma 1,  la  mezza  giornata  di chiusura infrasettimanale.
    Il comune, sentite le organizzazioni di cui al comma 1, individua i giorni e le zone del territorio nei  quali  gli  esercenti  possono derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva.
    Detti giorni comprendono comunque quelli del  mese  di  dicembre, nonche' ulteriori otto domeniche o festivita' nel corso  degli  altri mesi dell'anno».
    Il successivo art. 12 prevede la possibilita'  di  deroga  per  i comuni ad economia prevalentemente turistica e citta' d'arte. 
    La norma stabiliva dunque gia' una ampia possibilita' di apertura quanto alle fasce orarie ed alle festivita'.
    Dal canto suo la Regione  Piemonte,  con  Delibera  di  Consiglio Regionale n. 412-5585 del 16 febbraio 2005, ha  stabilito  i  criteri per  l'individuazione  delle  localita'  turistiche  nelle  quali  e' consentito, ai sensi del citato art. 12, un regime indifferenziato di
apertura al pubblico.
    E'  poi  intervenuto  il  d.l.  n.  223/2006,   convertito,   con modificazioni, dalla legge n. 248/2006 (e oggetto della modifica  qui impugnata) il cui art. 3, comma 1, elimina tutta una serie di  limiti e prescrizioni  alle  attivita'  commerciali  in  applicazione  delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela  della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi  al  fine di garantire la liberta' di concorrenza secondo  condizioni  di  pari opportunita' ed il corretto ed uniforme  funzionamento  del  mercato, nonche' di assicurare ai consumatori  finali  un  livello  minimo  ed uniforme di condizioni di accessibilita' all'acquisto di  prodotti  e servizi sul territorio  nazionale,  ai  sensi  dell'art.  117,  comma secondo, lettere e) ed m) della Costituzione.
    Il successivo art. 35, comma 6, del d.l. n.  98/2011,  convertito nella legge n. 111/2011, ha introdotto  una  lettera  d-bis)  che  ha incluso, «in via sperimentale, il rispetto degli orari di apertura  e chiusura, l'obbligo della  chiusura  domenicale  e  festiva,  nonche' quello   della   mezza   giornata   di   chiusura    infrasettimanale dell'esercizio ubicato nei comuni  inclusi  negli  elenchi  regionali delle localita' turistiche o citta' d'arte».
    Su questa norma e' intervenuto l'art. 31  del  d.l.  n.  201/2011 convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  214/2011  che  cosi' prevede: «in materia di esercizi commerciali, all'art.  3,  comma  1, lettera d-bis) del decreto-legge 4 luglio 2006  n.  223,  convertito, con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248,  sono  soppresse le parole «in via sperimentale» e  dopo  le  parole  «dell'esercizio» sono soppresse le seguenti «ubicato nei comuni inclusi negli  elenchi regionali delle localita' turistiche o citta' d'arte».
    «Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, liberta' di  stabilimento  e  libera  prestazione  di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura di nuovi  esercizi  commerciali  sul  territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli  di  qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della  salute,  dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei  beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni dall'entrata  in vigore della legge di conversione del presente decreto».
    Si ritiene che tale norma sia costituzionalmente illegittima  per violazione dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione in  quanto invasiva della competenza legislativa residuale regionale in  materia di commercio.
    Chi scrive ben  conosce  la  copiosa  giurisprudenza  di  Codesta Ecc.ma Corte che ritiene che l'ascrivibilita' della disciplina  degli orari degli esercizi commerciali  alla  materia  commercio  non  puo' determinare un vulnus alla tutela della concorrenza di  cui  all'art. 117, secondo comma, lettera e) della Cost.  E'  tuttavia  altrettanto pacifico che le due materie (commercio e tutela della concorrenza) si intersecano  «perche'   altrimenti   il   carattere   trasversale   e potenzialmente  omnicomprensivo  della   materia   -   tutela   della concorrenza - finirebbe con lo svuotare del tutto le nuove competenze regionali attribuite  dal  legislatore  costituente»  (sentenze:  nn. 150/2011, 288/2010, 283/2009, 430 e 431/2007). E' altresi'  vero  che l'affermazione di tale  principio  e'  stata,  nelle  varie  sentenze citate, riferita  a  discipline  regionali  che  determinano  effetti pro-concorrenziali, ma e' altrettanto vero che,  quello  che  qui  si intende dimostrare e'  che  la  norma  statale  adottata,  in  quanto sostanzialmente  non  portatrice  di   una   maggiore   garanzia   di concorrenza  fra  i   diversi   soggetti   del   mercato,   («valenza pro-competitiva»), e' invasiva della competenza legislativa residuale regionale.
    Quando il legislatore comunitario parla di liberta' di accesso ed esercizio delle attivita' di servizi (art.  10  d.lgs.  n.  59/2010), intende che gli stessi «non possono essere sottoposti  a  limitazioni non giustificate o discriminatorie». Ora e' del  tutto  evidente  che
l'eliminazione di qualsiasi regolamentazione dell'orario di  apertura degli esercizi commerciali non solo non agevola  la  concorrenza  ma, anzi, produce essa stessa delle discriminazioni. La  concorrenza,  lo dice la parola stessa, presuppone una parita' di condizioni a  fronte delle quali  anche  il  consumatore  trae  dei  vantaggi.  I  piccoli commercianti non hanno alcuna possibilita'  di  «competere»  con  dei grandi centri commerciali sul piano della  assoluta  liberalizzazione degli orari. E vi  e'  di  piu',  tale  liberalizzazione  cosiddetta, aggravera' anche le condizioni dei lavoratori (le cui  organizzazioni sindacali sono gia' in subbuglio) e, a maggior ragione,  dei  piccoli negozi posti all'interno dei centri commerciali.
    Questi ultimi infatti, per non rischiare la chiusura,  avevano  a suo tempo accettato di confluire all'interno del centro a  condizione (imposta)  di  rispettare  lo  stesso   orario   (in   allora   pero' regolamentato).
    Paradossalmente la  «liberalizzazione»  si  e'  trasformata,  per questa categoria, nel suo contrario, e cioe' in un  obbligo  che  gli stessi non sono in grado di rispettare.
    Non c'e' dunque alcun bilanciamento  dei  valori  contrapposti  e manca una previsione di quelle procedure  collaborative  e  condivise cui si fa invece riferimento nel d.lgs. n. 114/1998, e  c'e'  inoltre un abuso della decretazione d'urgenza di cui  non  si  ravvisano  gli estremi, non ravvisandosene gli  immediati  benefici.  L'interferenza con  la  materia  regionale  avrebbe  quanto  meno  dovuto  prevedere un'intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Con  la  norma  censurata, piu' che garantire la concorrenza,  si  introducono  illegittimamente delle differenziazioni all'interno  del  medesimo  mercato  rilevante determinando situazioni di squilibrio economico e sociale a danno  di esercizi  commerciali  dalle  modeste  dimensioni.  E'  evidente   lo squilibrio  competitivo  tra  grande  distribuzione  ed  esercizi  di vicinato a fronte della differenza di risorse  possedute.  La  totale eliminazione  delle  regole  cui  gli  operatori   economici   devono
attenersi in materia di orari di apertura avvantaggia solo la prima a danno dei secondi.
    Poiche' dunque la norma impugnata  non  detta  regole  di  tutela della concorrenza (seppure  le  enuncia),  intese  come  garanzia  di condizioni di pari  opportunita'  e  di  corretto  funzionamento  del mercato e di assicurare ai consumatori finali  un  livello  minimo  e uniforme di condizioni di accessibilita'  all'acquisto  di  prodotti;
ne' prende in considerazione parametri quali il settore  merceologico di appartenenza,  la  dimensione  dell'esercizio  commerciale  e  gli effetti  sull'occupazione,  essa  non  tutela   la   concorrenza   ma semplicemente viola la potesta' legislativa esclusiva della  Regione, privandola della facolta' di regolamentare gli orari  di  apertura  e chiusura degli esercizi commerciali. 

Istanza di sospensione.
    L'art. 35 della legge n. 87/1953,  come  sostituito  dall'art.  9 della legge n. 131/2003, consente che la Corte sospenda  l'esecuzione delle norme impugnate se c'e'  un  rischio  di  pregiudizio  grave  e irreparabile all'interesse pubblico o per i diritti dei cittadini.
    La norma impugnata e' autoapplicativa e sta'  gia'  producendo  i suoi effetti negativi e, di fatto, distorsivi della  concorrenza  con danno degli interessi coinvolti anche con  specifico  riferimento  ai 500 negozianti dei centri commerciali (Le Gru,  Parco  Dora,  Auchan, etc.) che hanno scelto di tenere aperto tutte le domeniche e  non  le 23 - piu' quelle di dicembre - gia' decise. I negozianti che  tengono chiuso rischiano una multa di 500 euro.


                              P. Q. M.

    La   Corte   costituzionale    dichiara,    previa    sospensione dell'esecuzione, l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  31  del d.l. n. 201/2011 cosi' come convertito dalla legge  n.  214/2011  per violazione  dell'art.  117,  quarto  comma  della  Cost.,  anche   in
relazione al primo ed al secondo comma, lettera e) e  per  violazione del principio di leale collaborazione.

        Torino-Roma, addi' 27 gennaio 2012

                            Avv. Scrollo

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