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N. 19 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 marzo 2008. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 5 marzo 2008 (della Regione Veneto)
(GU n. 16 del 9-4-2008) |
Ricorso per la Regione Veneto, in persona del Presidente pro
tempore della Giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione
della Giunta stessa del 12 febbraio 2008, n. 214, rappresentata e
difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli
avv. prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Ezio Zanon
dell'Avvocatura regionale e Luigi Manzi del Foro di Roma, presso
quest'ultimo domiciliata in Roma, alla via Federico Confalonieri,
n. 5; contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi,
n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale per
violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione,
nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e
120, secondo comma, della Costituzione e 11 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dell'art. 2, commi 17, 18, 19,
20, 21, 22, 35, 36, 46, 47, 48, 49, 158 lett. a), 165, 194, 195, 279,
280, 417, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424, 425, 458, 459, 460, 462,
474, 600 e dell'art. 3, commi 27, 28, 29, 30, 31, 32, 79, 162 della
legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2008)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28
dicembre 2007 - S.O. n. 285/L.
Fatto e Diritto
1. - La legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2008)», contiene norme che, secondo la Regione Veneto,
contrastano con la Costituzione e ledono l'autonomia legislativa
(art. 117 Cost.), amministrativa (art. 118 Cost.) e finanziaria (art.
119 Cost.) regionale, oltre che il principio di leale collaborazione
tra Stato e Regione, desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120,
secondo comma, Cost. e dall'art. 11 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3.
Ancora una volta, dunque, la legge finanziaria dello Stato
(rectius parte delle disposizioni normative in essa contenute) viene
portata all'attenzione di codesto ecc.mo giudice, nella sua
disorganicita' ed eterogeneita' (caratteri che si riverberano,
inevitabilmente, - anche se di questo ci si scusa - nella struttura
del presente ricorso), perche' nel suo potere di sindacare la
legittimita' costituzionale delle norme di legge restituisca alle
regioni almeno un po' dell'autonomia che la Costituzione ha disegnato
per esse e che lo Stato e' deciso a calpestare.
Si osservi, in via generale ed introduttiva rispetto a quanto si
verra' dicendo successivamente, che non puo' certamente rivestire
alcun significato una norma come quella di cui all'art. 3, comma 162,
della legge finanziaria per l'anno 2008, secondo cui «le disposizioni
della presente legge costituiscono norme di coordinamento della
finanza pubblica per gli enti territoriali».
Non e' superfluo osservare, infatti, che il legislatore statale
non puo' certo ritenere che sia sufficiente etichettare una norma
(rectius tutte le norme della legge finanziaria per l'anno 2008) come
«di coordinamento della finanza pubblica» perche' questa (o queste)
assuma(no) effettivamente tale carattere. Viceversa, perche' una
norma statale sia di coordinamento della finanza pubblica, essa deve
essere di principio, e questo ai sensi di quanto disposto dall'art.
117, terzo comma, Cost., secondo cui lo Stato, nella materia
«armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario», deve limitarsi a determinare i
soli principi fondamentali regolatori della materia.
Ebbene, le norme contenute nella legge finanziaria per l'anno 2008
non possono certamente dirsi tutte norme di principio di
coordinamento della finanza pubblica.
Come dire, insomma, che non puo' certo valere il motto latino
secondo cui nomen est homen.
2. - Si vengono di seguito specificamente a considerare le censure
relative alla disciplina posta dal legislatore statale con riguardo
alle Comunita' montane, non prima, pero', di aver riportato il testo
delle disposizioni impugnate, ossia dell'articolo 2, commi da 17 a
22.
Il primo comma di interesse e' il numero 17, secondo cui: «Le
regioni, al fine di concorrere agli obiettivi di contenimento della
spesa pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, provvedono con proprie leggi, sentiti i consigli
delle autonomie locali, al riordino della disciplina delle comunita'
montane, ad integrazione di quanto previsto dall'art. 27 del testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al
decreto legislativo 18 agosto 2002, n. 267, in modo da ridurre a
regime la spesa corrente per il funzionamento delle comunita' montane
stesse per un importo pari almeno ad un terzo della quota del fondo
ordinario di cui al comma 16, assegnata per l'anno 2007 all'insieme
delle comunita' montane presenti nella regione».
Il comma 18 prevede, poi, che: «Le leggi regionali di cui al comma
17 tengono conto dei seguenti principi fondamentali: a) riduzione del
numero complessivo delle comunita' montane, sulla base di indicatori
fisico-geografici, demografici e socio-economici e in particolare:
della dimensione territoriale, della dimensione demografica,
dell'indice di vecchiaia, del reddito medio pro capite,
dell'acclivita' dei terreni, dell'altimetria del territorio comunale
con riferimento all'arco alpino e alla dorsale appenninica, del
livello dei servizi, della distanza dal capoluogo di provincia e
delle attivita' produttive extra-agricole; b) riduzione del numero
dei componenti degli organi rappresentativi delle comunita' montane;
c) riduzione delle indennita' spettanti ai componenti degli organi
delle comunita' montane, in deroga a quanto previsto dall'art. 82 del
citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, e successive modificazioni».
Segue il comma 19: «I criteri di cui al comma 18 valgono ai fini
della costituzione delle comunita' montane e non rilevano in ordine
ai benefici e agli interventi speciali per la montagna stabiliti
dall'Unione europea e dalle leggi statali e regionali».
Mentre al comma 20 si precisa che: «In caso di mancata attuazione
delle disposizioni di cui al comma 17 entro il termine ivi previsto,
si producono i seguenti effetti: a) cessano di appartenere alle
comunita' montane i comuni capoluogo di provincia, i comuni costieri
e quelli con popolazione superiore ai 20.000 abitanti; b) sono
soppresse le comunita' montane nelle quali piu' della meta' dei
comuni non sono situati per almeno 1'80 per cento della loro
superficie al di sopra di 500 metri di altitudine sopra il livello
del mare ovvero non sono comuni situati per almeno il 50 per cento
della loro superficie al di sopra di 500 metri di altitudine sul
livello del mare e nei quali il dislivello tra la quota altimetrica
inferiore e la superiore non e' minore di 500 metri; nelle regioni
alpine il limite minimo di altitudine e il dislivello della quota
altimetrica, di cui al periodo precedente, sono di 600 metri; c) sono
altresi' soppresse le comunita' montane che, anche in conseguenza di
quanto disposto nella lettera a), risultano costituite da meno di
cinque comuni, fatti salvi i casi in cui per la conformazione e le
caratteristiche del territorio non sia possibile procedere alla
costituzione delle stesse con almeno cinque comuni, fermi restando
gli obiettivi di risparmio; d) nelle rimanenti comunita' montane, gli
organi consiliari sono composti in modo da garantire la presenza
delle minoranze, fermo restando che ciascun comune non puo' indicare
piu' di un membro. A tal fine la base elettiva e' costituita
dall'assemblea di tutti i consiglieri dei comuni, che elegge i
componenti dell'organo consiliare con voto limitato.
Gli organi esecutivi sono composti al massimo da un terzo dei
componenti l'organo consiliare».
Questa, invece, la previsione di cui al comma 21: «L'effettivo
conseguimento delle riduzioni di spesa di cui al comma 17 e'
accertato, entro il 31 luglio 2008, sulla base delle leggi regionali
promulgate e delle relative relazioni tecnico-finanziarie, con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per gli affari
regionali e le autonomie locali, sentite le singole regioni
interessate. Gli effetti di cui al comma 20 si producono dalla data
di pubblicazione del predetto decreto».
Infine, il comma 22 stabilisce che: «Le regioni provvedono a
disciplinare gli effetti conseguenti all'applicazione delle
disposizioni di cui ai commi 17, 18 e 20 ed in particolare alla
soppressione delle comunita' montane, anche con riguardo alla
ripartizione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, facendo
salvi i rapporti di lavoro, a tempo indeterminato esistenti alla data
di entrata in vigore della presente legge. Sino all'adozione o
comunque in mancanza delle predette discipline regionali, i comuni
succedono alla comunita' montana soppressa in tutti i rapporti
giuridici e ad ogni altro effetto, anche processuale, ed in relazione
alle obbligazioni si applicano i principi della solidarieta' attiva e
passiva»
In sostanza, con le disposizioni impugnate, il legislatore statale
impone alle regioni di effettuare, con proprie leggi, un riordino
della disciplina delle comunita' montane, ad integrazione di quanto
previsto dall'art. 27 del testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli enti locali (d.lgs. n. 267/2000), sulla base di «principi
fondamentali» contestualmente dettati. Cio' al fine di ridurre la
spesa corrente per il funzionamento di un importo pari ad almeno un
terzo della quota del fondo ordinario statale assegnato per l'anno
2007 all'insieme delle Comunita' montane presenti nella regione.
Al comma 20, poi, lo Stato prevede una peculiare forma di
intervento sostitutivo-sanzionatorio: ove, infatti, le regioni non
dovessero provvedere al suddetto riordino nel breve termine di sei
mesi dall'entrata in vigore della legge finanziaria, sono previste la
modificazione e, in alcuni casi, la soppressione ex lege delle
comunita' montane secondo i criteri indicati allo stesso comma.
Inoltre, mentre il comma 21 si preoccupa di stabilire il termine
di verifica dell'effettivo conseguimento delle riduzioni di spesa
richieste, la disposizione di cui al comma 22 prevede che spettera'
alle regioni disciplinare gli effetti conseguenti all'applicazione
della normativa introdotta dal legislatore nazionale sulle comunita'
montane, anche ai fini della loro soppressione, con riguardo alla
ripartizione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, salvando
comunque i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti al 1°
gennaio 2008.
Il comma 22 precisa, infine, che fino all'adozione delle leggi
regionali, o comunque in mancanza di queste, saranno i comuni a
succedere alle comunita' montane soppresse in tutti i rapporti
giuridici di natura sostanziale e/o processuale.
La Regione Veneto ritiene che il complesso normativo appena
richiamato non sia conforme a Costituzione e, in particolare, che
esso violi gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonche' il
principio di leale collaborazione.
2.1. - Prima di procedere oltre nell'illustrazione delle singole
censure prospettate, sembra opportuno premettere un breve excursus
relativo alla nascita, alla disciplina e all'inquadramento nel
sistema costituzionale delle Comunita' montane, che - come risulta da
quanto fino ad ora ricordato - costituiscono l'oggetto delle
previsioni impugnate.
Se la prima legge ordinaria nella quale - in ossequio al disposto
di cui all'art. 44, ultimo comma, Cost. - si ritrova traccia di una
particolare attenzione ai territori montani e' la legge 25 luglio
1952, n. 991, il primo fondamento normativo, seppur solo di fonte
regolamentare, di enti precipuamente montani si ha con il d.P.R. 10
giugno 1955, n. 987.
Si trattava di un regolamento in materia di decentramento dei
servizi del Ministero dell'agricoltura e delle foreste, in cui,
all'art. 13, si disponeva che i comuni compresi in tutto o in parte
nel perimetro di una zona montana potessero costituirsi in un
consorzio a carattere permanente, denominato «Consiglio di valle» o
«Comunita' montana».
Successivamente il programma economico nazionale per il
quinquennio 1966-1970, approvato con legge n. 685 del 1967,
segnalava, al punto 161, la necessita', tra l'altro, che per le zone
di montagna si provvedesse a «riconoscere, nel quadro della
programmazione regionale, la comunita' montana e il consiglio di
valle, opportunamente integrato da altri enti consortili ivi
operanti, come organo locale della programmazione decisionale ed
operativa»
Con legge 3 dicembre 1971, n. 1102 venivano create, con fonte di
rango primario, le comunita' montane. Piu' precisamente, nel
provvedimento legislativo ricordato, ribaditi i criteri di
classificazione dei territori montani di cui al provvedimento
legislativo del 1952, e stabilito, inoltre, l'obbligo di suddividere,
con legge regionale, tali territori, in zone omogenee secondo un
principio di unita' territoriale ed economica, veniva, per l'appunto,
istituita una comunita' montana per ciascuna unita' omogenea.
Per quanto attiene, in modo particolare, la Regione Veneto, essa
ha dato tempestiva attuazione alla legge statale n. 1102 del 1971
mediante due leggi regionali, le nn. 10 e 11 del 1973, con le quali
ha delimitato e regolamentato il funzionamento di diciotto comunita'
montane. A queste, con legge regionale 3 luglio 1992, n. 19
(modificata in modo incisivo, poi, dalla legge regionale 9 settembre
1999, n. 39, ma tutt'oggi in vigore), si e' aggiunta la
diciannovesima comunita'.
Successivamente una definizione compiuta delle comunita' montane e
delle relative funzioni a livello statale e' stata fornita dall'art.
28 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e dall'art. 27 del testo unico
sull'ordinamento degli enti locali, ossia il tutt'oggi vigente d.lgs.
18 agosto 2000, n. 267.
Nonostante gli auspici di parte della dottrina, favorevolmente
colpita dai risultati raggiunti nelle zone montane mediante la loro
istituzione, il legislatore costituzionale non approfittava della
riforma del 2001 per annoverare le comunita' montane tra gli enti
che, ai sensi dell'art. 114 Cost., nuovo testo, costituiscono la
Repubblica.
Cosi', pur godendo di una sicura copertura costituzionale (ossia
quella derivante, se non altro, dal disposto di cui all'art. 44,
ultimo comma, Cost.), si e' posto il problema della loro collocazione
nell'ambito del sistema delle autonomie venuto a definirsi a seguito
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
La questione e' stata risolta da codesta ecc.ma Corte, la quale ha
rilevato quanto segue: «l'evoluzione della legislazione in materia si
caratterizza per il riconoscimento alla Comunita' montana della
natura di ente locale autonomo, quale proiezione dei comuni che ad
essa fanno capo (...). La piu' recente normativa ha, altresi',
specificato quale sia la effettiva natura giuridica di tali enti,
qualificandoli dapprima quali "unioni montane" (...) e
successivamente quali "unioni di comuni, enti locali costituiti fra
comuni montani''». Le comunita' montane sono, dunque, un «caso
speciale di unioni di comuni, create in vista della valorizzazione
delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo piu' adeguato
di quanto non consentirebbe la frammentazione dei comuni montani,
"funzioni proprie", "funzioni conferite" e "funzioni comunali"
(sentenza n. 229 del 2001)» (cfr. Corte cost., sent., 24 giugno 2005,
n. 244; ma nel medesimo senso anche Corte cost., sent., 23 dicembre
2005, n. 456).
2.2. - Fatta questa premessa di inquadramento generale, e' giunto
il momento di concentrare l'attenzione sul complesso di disposizioni
normative impugnate.
Esso e' chiaramente ispirato ad una duplice finalita':
istituzionale, di riordino della disciplina delle comunita' montane,
e finanziaria, ossia di riduzione della spesa corrente di
funzionamento delle comunita' stesse.
E' evidente, altresi', che la finalita' istituzionale si trova,
nei confronti della finalita' di natura finanziaria in rapporto di
mezzo a fine.
Sembra opportuno, per questo, procedere trattando prima della
disciplina di riordino delle comunita' montane imposta alle regioni e
dei relativi profili di illegittimita' costituzionale (2.2.1 e
2.2.2), per passare poi a denunciare le molteplici violazioni del
testo costituzionale perpetrate dalla previsione dell'intervento
sostitutivo-sanzionatorio di cui ai commi 20, 21 e 22 (2.2.3), e
proseguire evidenziando i profili lesivi dell'autonomia regionale
rilevati con riguardo all'imposizione di una riduzione della spesa
(2.2.4) ed, infine, rilevare le molteplici violazioni del testo
costituzionale derivanti dalla previsione del subentro dei comuni
alle comunita' soppresse, di cui al comma 22 (2.2.5).
2.2.1. - La materia cui afferiscono le previsioni normative
impugnate e' incontestabilmente quella delle «comunita' montane».
Codesta ecc.ma Corte ha chiarito che «la disciplina delle
Comunita' montane (...) rientra nella competenza legislativa
residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma, della
Costituzione» (Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 244 e Corte
cost., sent., 23 dicembre 2005, n. 456).
Quello delle comunita' montane e', dunque, un ambito in cui la
regione ha potesta' esclusiva, con la conseguenza che non puo'
ritenersi conforme a Costituzione l'intervento del legislatore
nazionale sul punto, anche se limitato a porre dei principi
fondamentali. Di piu': la Corte costituzionale ha affermato che: «ai
fini dello scrutinio di costituzionalita' delle norme regionali (...)
non puo' neanche farsi utile riferimento (...) ai principi
fondamentali che sarebbero desumibili dalla legislazione statale, e
segnatamente dal d.lgs. n. 267 del 2000 in materia di disciplina
delle autonomie locali: e cio' perche', vertendosi in materia
rientrante nella competenza residuale delle regioni, non puo' trovare
applicazione la disposizione di cui all'art. 117, terzo comma, ultima
parte, della Costituzione, la quale presuppone, invece, che si verta
nelle materie di legislazione concorrente» (Corte cost., sent., 23
dicembre 2005, n. 456).
Deve poi considerarsi che, se in ordine alla disciplina del
funzionamento delle Comunita' montane indubbiamente competente e' la
legge regionale, con esclusione della competenza esclusiva statale ex
art. 117, secondo comma, lett. p) (dal momento che quest'ultimo «fa
espresso riferimento ai comuni, alle province e alle citta'
metropolitane e l'indicazione deve ritenersi tassativa», cosi' in
Corte cost., sent. 24 giugno 2005, n. 244), in materia di
organizzazione delle stesse persino il legislatore regionale soggiace
a dei limiti.
Come codesto ecc.mo Giudice delle leggi ha, infatti, riconosciuto,
in capo alle comunita' montane, accanto alle funzioni conferite con
legge e a quelle delegate da parte dei comuni associati, si trovano
funzioni proprie, ossia identificative del tipo di ente in quanto
ente di governo di una determinata comunita'.
La presenza di funzioni proprie costituisce un limite per il
legislatore statale ma anche per quello regionale, che non possono,
nel definire l'ambito funzionale di ciascun ente, non riconoscere ad
esso dette funzioni. Il riconoscimento di funzioni proprie ad un ente
ne rende costituzionalmente necessaria la presenza.
Le stesse comunita' montane, quindi, in quanto dotate di funzioni
proprie, sono enti locali necessari e, quindi, non sopprimibili con
legge.
Con riguardo all'organizzazione di tali enti i poteri del
legislatore, in primis nazionale ma anche regionale, trovano pesanti
limiti: come gli enti di governo territoriale (comuni, province e
citta' metropolitane) sono dotati di un'ampia autonomia normativa nel
settore dell'organizzazione, autonomia garantita costituzionalmente
dall'art. 117, sesto comma, Cost., cosi' e' da ritenere che tale
autonomia sia assorbita anche dalle forme associative degli stesse e,
quindi, dalla comunita' montana.
Ne consegue che la disciplina organizzativa di quest'ultima, nei
limiti dei principi costituzionali di riferimento (e, in particolare,
dell'art. 97 Cost.), e' adottata in autonomia dagli enti locali
medesimi all'atto di associarsi in Comunita'. E' cosi' che autorevole
dottrina (cfr. V. Cerulli Irelli, Le comunita' montane, in Relazione
al Convegno UNCEM, Roma, 29 settembre 2005) addirittura esclude che
«la singola comunita' montana possa essere formata, come avviene in
base alla disciplina vigente, per atto della regione».
Il legislatore della finanziaria per il 2008 ha, invece, preteso
di intervenire in materia di comunita' montane, da una parte,
imponendo alle regioni un riordino della materia e dettando la
disciplina di principio alla quale conformarsi nello svolgimento di
tale attivita' (commi 17 e 18); dall'altra, arrogandosi un particolar
potere sostitutivo-sanzionatorio, per il caso di mancato intervento
delle regioni, ossia quello di sopprimere ex lege le comunita' (commi
20, 21 e 22).
Con riferimento al primo profilo (in particolare, commi 17 e 18,
ma anche 22), si riscontra certamente, sulla base di quanto
antecedentemente chiarito, un'indebita invasione nella potesta'
legislativa esclusiva delle regioni in materia di «Comunita'
montane».
E - sembra opportuno chiarirlo ora per evitare pretestuose difese,
ma rinviando sul punto anche al paragrafo 1.2.3 - una tale violazione
dell'art. 117 Cost. non puo' essere scusata invocando il potere di
determinazione dei principi fondamentali da parte dello Stato in
materia di «coordinamento della finanza pubblica».
L'ambito coperto da questa materia, di potesta' legislativa
concorrente Stato-Regioni, non puo', infatti, esser esteso al punto
di ricoprire qualsivoglia previsione legislativa dello Stato centrale
con ripercussioni indirette sulle finanze pubbliche e, comunque,
certamente non interventi tanto incisivi sul piano ordinamentale e in
materie su cui, tolto lo spazio di autonomia dell'ente stesso, la
potesta' legislativa e' esclusiva regionale.
Giova ricordare, inoltre, che negli ambiti di normale competenza
regionale, la possibilita' dello Stato di «chiamare in sussidiarieta»
alcune funzioni deve ritenersi - come codesto ecc.mo Collegio ha
ritenuto - rigidamente limitato. Cosi', «e' ammissibile una deroga al
normale riparto di competenze "solo se la valutazione dell'interesse
pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte
dello Stato sia proporzionata", e "non risulti affetta da
irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di
costituzionalita'"», in quanto «perche' nelle materie di cui all'art.
117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa
legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale
ed al tempo stesso regolarne l'esercizio, e' necessario che essa
innanzitutto rispetti i principi di sussidiarieta', differenziazione
e adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative,
rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni. E'
necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente
pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e
che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale
fine» (cosi' Corte cost., sent. 24 giungo 2005, n. 242; Corte cost.,
sent., 1 ottobre 2003, n. 303 e Corte cost., sent., 13 gennaio 2004,
n. 6).
Tale esigenza di esercizio unitario della competenza non e'
prevista nemmeno in accenno nella disposizione in oggetto, non e'
comunque esistente nella fattispecie in essa prevista e, comunque,
non e' soddisfatta da una disciplina pertinente e logica con il fine
che lo Stato avesse eventualmente preteso di perseguire, e cio' in
violazione pure dell'art. 3 Cost.
Nella denegata e non creduta ipotesi, tuttavia, in cui si dovesse
riconoscere la sussistenza della necessita' di una disciplina
accentrata nel settore di cui si discute e si volesse ritenere quella
posta con i commi da 20 a 22 idonea e proporzionata a soddisfare
simile necessita', resterebbe palese la violazione del principio di
leale collaborazione. Come la Corte adita ha in piu' occasioni
chiarito, infatti, perche' l'esigenza di esercizio unitario che
consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche
quella legislativa, possa «aspirare a superare il vaglio di
costituzionalita» e' necessaria la «presenza di una disciplina che
prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono essere condotte in base al principio di lealta» (cfr. Corte
cost., sent., 24 giugno 2005, n. 242; Corte cost., sent., 1° ottobre
2003, n. 303).
Nella fattispecie astratta censurata, invece, la Regione si trova
a subire una disciplina imposta unilateralmente a livello centrale e
cio' nonostante i tentativi di concertazione da anni portati avanti
dalla stessa Regione Veneto e dall'Unione Nazionale Comuni e
Comunita' Montane (UNCEM) per il riordino delle comunita' montane.
Infine, sembra opportuno rilevare che, comunque, l'obbligo
generale di riordino previsto dalla disciplina impugnata, sulla base
dei parametri autoritativamente imposti dallo Stato, oltre che - come
gia' evidenziato -lesivo delle competenze regionali disegnate dalla
Costituzione, appare molto difficile da realizzare, non solo in
rapporto ad una razionale e storicamente consolidata situazione
dell'assetto delle comunita' del Veneto, ma anche, soprattutto, in
rapporto ad una corretta considerazione del territorio comprensivo di
aree omogenee sotto il profilo geografico-socio-economico.
2.2.2. - Qualche attenzione particolare merita, ora, il comma 19,
nel quale si precisa che il nuovo assetto territoriale
richiesto/imposto alle regioni sulla base dei «principi fondamentali»
di cui al comma 18 non modifica l'attuale situazione di definizione
di «montanita» del territorio ai fini dei benefici stabiliti
dall'Unione europea e dalle leggi regionale e statali.
Tale previsione normativa, oltre ad essere viziata di riflesso
dalle illegittimita' costituzionali dei commi 17 e 18, viene
censurata dalla regione ricorrente perche' irragionevole ed
inopportuna.
Con essa si crea e si consente la contemporanea sopravvivenza di
molteplici definizioni legali di «montagna» a evidente detrimento
della coerenza e della sistematicita' dell'ordinamento.
2.2.3. - Si viene qui a trattare della previsione di un intervento
statale di soppressione delle comunita' montane per il caso di
mancato intervento del riordino regionale entro il termine
irragionevolmente breve di appena sei mesi dall'entrata in vigore
della legge finanziaria (commi 20 e 21, in particolare).
Sul punto, dandosi per integralmente richiamate tutte le
considerazioni e le censure svolte sopra (ed, in particolare, quelle
relative alla limitata possibilita' per lo Stato di avocare a se'
funzioni regionali e alla circostanza per cui le comunita' montane,
in quanto dotate di funzioni proprie, sono enti necessari e, quindi,
insopprimibili, anche con legge statale), preme sottolineare
l'irrazionalita' della previsione di una soppressione ex abrupto
delle comunita' montane.
Si consideri, infatti, che, con la soppressione delle comunita',
verranno meno i numerosi servizi da esse attualmente erogati a
sostegno dei comuni montani, altrimenti abbandonati (servizi quali
quelli sociali, assistenziali, di trasporto scolastico, di raccolta
dei rifiuti ecc...), senza che a riguardo il legislatore statale
preveda alcunche'.
La disciplina dettata dal legislatore della finanziaria sul punto
e', infine, inopportuna, dal momento che, in non poche realta',
interrompera' traumaticamente quel rapporto di consolidata convivenza
ed aggregazione tra comuni con esigenze tra loro molto simili che si
e' venuto creando nel tempo e che ha portato meritori risultati sotto
il profilo della tutela della montagna e delle sue popolazioni.
Da quanto gia' chiarito e qui evidenziato emerge, tra l'altro,
anche la significativa violazione dell'autonomia di cui all'art. 118
Cost. perpetrata dalla disciplina in esame.
2.2.4. - Come gia' rilevato la seconda finalita' cui la normativa
statale in esame espressamente si ispira (in realta' l'unico vero
obiettivo del legislatore) e' quella del contenimento della spesa.
Il comma 17, infatti, impone alle Regioni che il riordino
istituzionale sia tale da ridurre a regime la spesa corrente per il
funzionamento delle comunita' montane per un importo pari ad almeno
un terzo della quota del fondo ordinario di cui all'art. 34, comma 1,
lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504,
assegnata per l'anno 2007 all'insieme delle comunita' presenti nella
regione.
Si e' gia' detto come una tale previsione, intervenendo in materia
di «comunita' montane» di riconosciuta potesta' legislativa esclusiva
regionale, violi il dettato dell'art. 117 Cost., e si e' gia' escluso
che la necessita' di coordinare le finanze pubbliche possa
legittimare un intervento ordinamentale tanto permeante.
Si tratta ora di evidenziare che la previsione di cui al comma 17
non puo' dirsi conforme al disegno di cui all'art. 117 Cost. neppure
nell'ipotesi in cui si ritenesse invocabile la materia «coordinamento
della finanza pubblica», di cui al suo terzo comma. Essa, infatti,
imponendo un limite specifico alla spesa, determinato sia nel
quantum, (una quota fissa del fondo ordinario statale) sia
nell'ambito di incidenza (spesa corrente per il funzionamento delle
Comunita), non ha il carattere di un «principio fondamentale» e,
dunque, fuoriesce dall'ambito riservato allo Stato nelle materie di
potesta' concorrente.
La previsione in esame viola, poi, anche l'art. 119 Cost.
L'individuazione di singole voci di spesa da limitare, tra l'altro
predeterminata nel quantum, infatti, lede l'autonomia finanziaria di
spesa delle regioni, che, invece, devono essere lasciate libere di
scegliere quali spese limitare a vantaggio di altre (Corte cost.,
sent., 26 gennaio 2004, n. 36; Corte cost., sent., 17 dicembre 2004,
n. 390; Corte cost., sent., 14 novembre 2005, n. 417; Corte cost.,
sent., 15 dicembre 2005, n. 449; Corte cost., sent., 10 marzo 2006,
n. 88).
Per sperare di superare il vaglio di costituzionalita', la
previsione del legislatore statale si sarebbe dovuta tradurre
nell'imposizione di un «limite complessivo, che lascia agli enti
stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi
ambiti e obiettivi di spesa» (cosi' Corte cost., sent., 26 gennaio
2004, n. 36), ma e' chiaro che cosi' non e' avvenuto nel caso di
specie.
Non solo: il vincolo alla spesa, cosi' come determinato dal
legislatore statale, e' comunque viziato sotto il profilo della
ragionevolezza.
Esso, infatti, non e' corredato di criteri volti a proporzionare
la riduzione imposta rispetto alle situazioni attuali di spesa delle
singole regioni, mentre una parametrazione che tenesse conto delle
realta' peculiari delle singole comunita' incise (considerando, ad
esempio, i rapporti spesa corrente-spesa complessiva di bilancio o
spesa corrente-popolazione residente/superficie territoriale
occupata) sarebbe stata non solo opportuna, bensi' necessaria.
Il vincolo alla spesa, come (troppo!) spesso accade, e' stato,
inoltre, «calato» dall'alto in modo indifferenziato su tutte le
regioni. Esso finisce, cosi', paradossalmente per penalizzare
maggiormente le regioni che gia' sono intervenute a limitare la
spesa.
Per chiarire questo punto, sembra opportuno ricordare che la
finanza delle comunita' montane e' essenzialmente derivata: le
risorse correnti provengono in primo luogo dalle regioni (con
196.748.336 euro di trasferimenti) e, in secondo luogo, dallo Stato
(con 179.250.125 euro di trasferimenti) Dati reperibili nella
relazione «Le Comunita' Montane: continuita' nella tradizione,
discontinuita' dell'azione», presentata alla Conferenza programmatica
UNCEM «Montagna 2015: nuove comunita' montane, nuove alleanze, nuova
UNCEM», L'Aquila, 22-23 novembre 2007.
Ora, la Regione Veneto, in adempimento agli obblighi di riduzione
annuale delle spese correnti imposti con le precedenti leggi
finanziarie, ha ridotto il contributo regionale per il funzionamento
delle comunita' montane (di cui all'art. 16 della legge regionale 3
luglio 1992, n. 19) dall'anno 2004 all'anno 2007 di 410.000 euro a
fronte di un finanziamento medio nei tre anni precedenti pari a
1.000.000 di euro.
La richiesta di un'ulteriore e consistente compressione delle
spese correnti di funzionamento, nel caso della regione ricorrente,
comporta, dunque, paradossalmente proprio a causa del leale
adempimento agli obblighi imposti dallo Stato, serie difficolta' di
funzionamento per le comunita' montane ivi istituite o, comunque,
gravi ed inaccettabili ripercussioni sul loro buon andamento.
2.2.5. - Infine, alcune considerazioni con riguardo,
specificamente, alla disciplina posta dal comma 22.
Il peculiare fenomeno ivi previsto, che prevede il subentro dei
comuni alle soppresse comunita' montane, suscita, infatti, non poche
perplessita' circa la sua conformita' a Costituzione.
Avendosi per richiamate tutte le considerazioni svolta finora (in
particolare quanto ricordato circa le «funzioni proprie» attribuite
alle comunita), si rileva qui, innanzitutto, che disciplinare la
successione tra enti pubblici e, di conseguenza, il trasferimento di
poteri pubblici secondo le regola del diritto privato, come avviene
nella disposizione normativa impugnata, presenta non trascurabili
profili di irragionevolezza.
Il diritto civile sulle successioni universali, infatti, non
sembra in grado di rispondere adeguatamente alla fortissima esigenza
di continuita' che permea l'avvicendamento tra enti pubblici.
Lo stesso Consiglio di Stato chiamato a decidere in materia di
successione delle U.S.L. nei rapporti nati in capo agli enti
ospedalieri, a seguito della riforma del Servizio sanitario
nazionale, infatti, ha definito «incongruo il riferimento ai principi
civilistici sulle successioni universali» all'avvicendamento tra
soggetti di diritto pubblico e ha precisato che «concepire (...) la
successione tra enti pubblici come fenomeno prevalentemente riferito
ad un trapasso di titolarita' costituisce un punto di vista illogico
ed asistematico» (cfr. Cons. St., sez. V, sent., 21 dicembre 1992,
n. 1539).
Ma l'irragionevolezza della disposizione in esame emerge anche ove
si considerino le pesantissime ripercussioni che essa e' capace di
creare in capo ai comuni. Tra questi ultimi, infatti, saranno di
colpo massicciamente distribuiti i rapporti giuridici sostanziali e
processuali delle comunita' montane ed, in particolare, le
passivita', il carico delle opere sovracomunali in esecuzione e
l'onere del personale a tempo indeterminato in organico alle
comunita' montane (attualmente pari a circa 7.500 unita).
Infine, last but not least, la Regione Veneto denuncia l'assoluta
incoerenza della previsione di cui al comma 22, ma anche dei commi 20
e 21, rispetto alla finalita' di contenimento della spesa corrente
cui tutta la disciplina normativa impugnata in materia di comunita'
montane asserisce d'esser ispirata.
La, piu' che probabile, soppressione - se non di tutte almeno di
alcune - delle comunita' montane esistenti a partire dal luglio
prossimo non comportera', infatti, alcun risparmio di spesa, almeno
nel breve periodo.
Sul punto ha gia' espresso le sue perplessita' il Servizio
bilancio del Senato nel suo dossier sul disegno di legge finanziaria
2007, di cui merita di esser riportato il seguente estratto: «Atteso
che parte dei possibili risparmi risulta subordinata all'approvazione
di apposite norme da parte delle regioni, andrebbe chiarito se
ritardi nell'approvazione delle leggi da parte delle regioni possano
incidere negativamente sui risparmi preventivati. Il subentro dei
comuni alle comunita' montane soppresse nei rapporti attivi e passivi
potrebbe presentare profili onerosi qualora l'incidenza degli aspetti
passivi sia maggiore rispetto a quella dei profili attivi. Infine,
potrebbe inficiare i risparmi previsti l'eventuale venir meno di
economie di scala in quei casi in cui la comunita' montana veda
ridotto il numero dei comuni componenti, ma non in misura tale da
richiederne la soppressione, con particolare riferimento agli oneri
fissi che non sono influenzati dalla grandezza dell'ente e non
risultano riducibili per effetto del ridimensionamento dell'ente
stesso»
Infine, la previsione di cui al comma 22 e' viziata da
irragionevolezza nella parte in cui prevede che il subentro dei
comuni alle comunita' montane possa avvenire anche solo in via
provvisoria, ossia fino «all'adozione (...) delle discipline
regionali», cio' con evidente menomazione, tra l'altro, del principio
di buon andamento.
In conclusione, anche ove si decidesse di condividere l'intento di
riordinare le comunita' montane, riscrivendo i parametri legislativi
di configurazione legale della montagna, cosi' come quello di
contenere la spesa pubblica, lo strumento scelto dal legislatore
della legge finanziaria per il 2008 non potrebbe passare indenne al
vaglio di costituzionalita', non solo perche' viola palesemente gli
artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., non solo perche' neppure cerca una
cooperazione con le regioni titolari della specifica potesta' in
materia, ma perche' sembra ignorare ancora una volta un dato
fondamentale quanto elementare: per funzionare le istituzioni, in
questo caso le comunita' montane, hanno bisogno di contare su una
legislazione razionale e stabile e su risorse, per quanto limitate,
certe e sufficienti al buon andamento.
Pertanto si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 17, 18, 19, 20,
21, 22 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 per contrasto con gli
artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione e, in via subordinata,
per contrasto con il principio di leale collaborazione tra Stato e
regioni, desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, comma 2,
della Costituzione e dall'art. 11 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3.
3. - Si viene ora a censurare la contrarieta' a Costituzione di
due disposizioni normative che si occupano di - si potrebbe dire, in
senso lato, - organizzazione di consorzi di bacini imbriferi, di
bonifica e di miglioramento fondiario, ossia dei commi 35 e 36
dell'art. 2 della legge finanziaria per il 2008.
Il comma 35 stabilisce che: «Entro un anno dalla data di entrata
in vigore della presente legge, le regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano provvedono alla riduzione del numero dei
componenti dei consigli di amministrazione e degli organi esecutivi
dei consorzi tra i comuni compresi nei bacini imbriferi montani,
costituiti ai sensi dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1953,
n. 959, nonche' dei consorzi di bonifica e di miglioramento fondiario
di cui al capo I, del titolo V del regio decreto 13 febbraio 1933,
n. 215, e successive modificazioni. La riduzione del numero dei
componenti degli organi di cui al presente comma deve essere conforme
a quanto previsto per le societa' partecipate totalmente anche in via
diretta dagli enti locali, ai sensi dell'articolo 1, comma 729, della
legge 27 dicembre 2006, n. 296».
Il comma 36 prevede, invece, che: «In alternativa a quanto
previsto dal comma 35 ed entro il medesimo termine, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano d'intesa con lo Stato
possono procedere alla soppressione o al riordino di consorzi, di cui
al medesimo comma 35, facendo comunque salvi le funzioni e i compiti
attualmente svolti dai medesimi consorzi e le relative risorse, ivi
inclusa qualsiasi forma di contribuzione di carattere statale o
regionale. In caso di soppressione le regioni adottano disposizioni
al fine di garantire che la difesa del suolo sia attuata in maniera
coordinata fra gli enti che hanno competenza al riguardo, nel
rispetto dei principi dettati dal decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, e successive modificazioni, e delle competenze delle province
fissate dall'articolo 19 del testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, evitando ogni duplicazione di opere o di interventi,
disponendo il subentro in tutti i rapporti attivi e passivi facenti
capo ai consorzi suddetti.
Per l'adempimento dei fini istituzionali dei medesimi consorzi,
agli enti subentranti e' attribuita la potesta', gia' riconosciuta
agli stessi consorzi, di cui all'articolo 59 del regio decreto 13
febbraio 1933, n. 215, di imporre contributi alle proprieta'
consorziate nei limiti di costi sostenuti per le citate attivita'.
Nel rispetto di quanto previsto dal comma 37, il personale che al
momento della soppressione risulti alle dipendenze dei consorzi di
bonifica passa alle dipendenze delle regioni, delle province e dei
comuni, secondo modalita' determinate dalle regioni, sentita la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano. Anche in caso di riordino i
contributi consortili devono essere contenuti nei limiti dei costi
sostenuti per l'attivita' istituzionale».
In sostanza il legislatore statale impone alle regioni di
provvedere entro un anno:
o alla riduzione del numero dei componenti dei consigli di
amministrazione e degli organi esecutivi dei consorzi di bonifica e
di miglioramento fondiario, nonche' dei consorzi tra comuni compresi
in bacini imbriferi montani, secondo i parametri indicati in
dettaglio all'art. 1, comma 729, della legge finanziaria per il 2007;
o, in alternativa, alla soppressione o al riordino dei suddetti
consorzi d'intesa con lo Stato.
Per il caso di soppressione dei consorzi, il comma 36 si preoccupa
di chiarire che le regioni dovranno adottare disposizioni capaci di
garantire che la difesa del suolo sia attuata in maniera coordinata
fra gli enti che hanno competenza al riguardo e avranno, altresi',
l'obbligo di disporre il subentro di un nuovo ente a tutti i rapporti
attivi e passivi facenti capo ai consorzi, ente che godra' delle
medesime potesta' gia' riconosciute ai consorzi soppressi.
V'e', infine, una previsione normativa che precisa che il
personale alle dipendenze dei consorzi dovra' essere distribuito tra
regioni, province e comuni.
3.1. - Dal momento che le disposizioni impugnate si occupano di
consorzi (tra comuni di bacini imbriferi o di bonifica e
miglioramento fondiario), sembra, innanzitutto, opportuno premettere
qualche breve cenno circa la qualificazione giuridica di questi
soggetti, anche al fine di determinare, poi, con precisione, l'ambito
materiale in cui sussumere la disciplina censurata.
Come codesta ecc.ma Corte ha gia' chiarito, con specifico riguardo
- e' vero - ai consorzi di bonifica, ma con affermazione che ben puo'
esser estesa anche alle altre tipologie consortili, i consorzi in
esame possono essere definiti come «enti pubblici locali operanti
nelle materie di competenza regionale», ovvero anche come «enti
amministrativi dipendenti dalla regione» (cfr. Corte cost., sent., 24
luglio 1998, n. 326).
Essi operano prevalentemente nell'ambito della materia
«agricoltura e foreste», materia che, vigente l'originario testo
costituzionale, era di competenza concorrente regionale e che, oggi,
a seguito della riforma del Titolo V, operata con legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, non essendo piu' annoverata tra
le materie di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost., deve senza
dubbio ritenersi di potesta' legislativa esclusiva regionale (sul
punto, cfr. Corte cost., sent., 24 luglio 1998, n. 326; Corte cost.,
sent., 28 luglio 2004, n. 282).
3.2. - Sulla base di queste premesse, risulta, quindi, evidente
che le previsioni normative della finanziaria per il 2008 ora in
esame devono ritenersi costituzionalmente illegittime per violazione
dell'art. 117 Cost., dal momento che, tramite esse, il legislatore
statale ha inteso intervenire in un ambito materiale su cui la
competenza della regione e' esclusiva.
Quanto appena affermato vale sia con riferimento al comma 35, ove
si impone alle regioni un netto taglio al numero dei componenti del
consiglio di amministrazione e degli organi esecutivi dei consorzi,
sia con riguardo al disposto di cui al comma 36, ove si prevede che
il riordino e la soppressione dei consorzi, pur venendo operata con
legge regionale, debba formare oggetto d'intesa con lo Stato.
Nonostante la disciplina normativa in esame non richiami
espressamente, quale titolo di legittimazione dell'intervento
statale, esigenze di contenimento della spesa pubblica, deve,
comunque - per completezza - considerarsi la possibilita' che alla
censura regionale venga opposta la competenza concorrente
Stato-regione in materia di «coordinamento delle finanze». La
riduzione dei componenti degli organi consortili o il riordino e la
soppressione stessa dei suddetti enti mirano, infatti, certamente,
tra l'altro, ad ottenere una riduzione delle uscite di denaro
pubblico.
La Regione Veneto, fin d'ora, contesta la possibilita' per lo
Stato di invocare la materia del «coordinamento della finanza», di
cui all'art. 117, terzo comma, Cost. a legittimazione delle
previsioni di cui ai commi 35 e 36.
Anche a non voler considerare il fatto che le suddette
disposizioni normative non contengono alcun «principio fondamentale»,
infatti, non si puo' ignorare la circostanza che l'ambito coperto
dalla materia «coordinamento della finanza» non puo' esser esteso al
punto di ricoprire qualsivoglia previsione legislativa dello Stato
centrale con ripercussioni indirette sulle finanze pubbliche e,
comunque, certamente non interventi tanto incisivi sul piano
ordinamentale, per di piu' riguardanti materie su cui la regione ha
potesta' esclusiva.
In estremo subordine, nella denegata ipotesi in cui codesto ecc.mo
giudice ritenesse di considerare, per il caso specifico, la potesta'
concorrente dello Stato di coordinamento della finanza, ci si
permette di ricordare quanto segue.
Codesta Corte ha in diverse occasioni giustamente riconosciuto che
«la complessita' della realta' sociale da regolare comporta che, di
frequente, le normative non possano essere riferite nel loro insieme
ad una sola materia, perche' concernono situazioni non omogenee,
ricomprese in materie diverse sotto il profilo della competenza
legislativa» (Corte cost., sentenza 31 marzo 2006, n. 133).
Conseguentemente, ha ritenuto di affermare: «"Per le ipotesi in cui
ricorra una ‘concorrenza di competenze', la Costituzione non
prevede espressamente un criterio di composizione delle interferenze.
In tal caso - ove (...) non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di
un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la
relativa competenza legislativa - si deve ricorrere al canone della
‘leale collaborazione', che impone alla legge statale di
predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni, a
salvaguardia delle loro competenze" (sentenze nn. 50 e 219 del 2005)»
(cosi' Corte cost., sentenza 18 giugno 2007, n. 201).
Una leale collaborazione, nel caso in esame, non e' stata cercata,
ne' tanto meno attuata, dallo Stato.
Le previsioni di cui ai commi 35 e 36 in esame, infine, imponendo
alle regioni un drastico taglio dei componenti dei principali organi
dei consorzi o, in alternativa, la soppressione o il riordino di
questi ultimi, evidentemente finisce con l'operare un'inaccettabile
ingerenza nell'autonomia amministrativa-organizzativa regionale
garantita all'art. 118 Cost.
Pertanto si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 35 e 36, della
legge 24 dicembre 2007, n. 244 per contrasto con gli artt. 117 e 118
della Costituzione e, in via subordinata, per contrasto con il
principio di leale collaborazione tra Stato e regione, principio
desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, della
Costituzione e dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3.
4. - Si puo' passare, ora, all'analisi delle disposizioni della
finanziaria 2008 che disciplinano un duplice intervento finanziario a
risanamento dei deficit sanitari di alcune regioni.
Il riferimento e' ai commi 46, 47, 48 e 49 dell'art. 2, dei quali
si richiama - nella speranza di agevolare la comprensione del ricorso
- il testo.
Il comma 46 prevede che: «In attuazione degli accordi sottoscritti
tra lo Stato e le Regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia ai sensi
dell'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con i
quali le regioni interessate si obbligano al risanamento strutturale
dei relativi servizi sanitari regionali, anche attraverso la
ristrutturazione dei debiti contratti, lo Stato e' autorizzato ad
anticipare alle predette regioni, nei limiti di un ammontare
complessivamente non superiore a 9.100 milioni di euro, la liquidita'
necessaria per l'estinzione dei debiti contratti sui mercati
finanziari e dei debiti commerciali cumulati fino al 31 dicembre
2005, determinata in base ai procedimenti indicati nei singoli piani
e comunque al netto delle somme gia' erogate a titolo di ripiano dei
disavanzi».
Il successivo comma 47 prosegue stabilendo che: «Le regioni
interessate, in funzione delle risorse trasferite dallo Stato di cui
al comma 46, sono tenute a restituire, in un periodo non superiore a
trenta anni, le risorse ricevute. Gli importi cosi' determinati sono
acquisiti in appositi capitoli del bilancio dello Stato».
E', poi, la volta del comma 48: «All'erogazione delle somme di cui
ai commi 46 e 47, da accreditare su appositi conti correnti intestati
alle regioni interessate, lo Stato procede, anche in tranche
successive, a seguito del riaccertamento definitivo e completo del
debito da parte delle regioni interessate, con il supporto
dell'advisor contabile, come previsto nei singoli piani di rientro, e
della sottoscrizione di appositi contratti, che individuano le
condizioni per la restituzione, da stipulare tra il Ministero
dell'economia e delle finanze e ciascuna regione. All'atto delle
erogazioni le regioni interessate provvedono all'immediata estinzione
dei debiti pregressi per l'importo corrispondente e trasmettono
tempestivamente la relativa documentazione ai Ministeri dell'economia
e delle finanze e della salute».
Infine, il comma 49 recita: «In presenza della sottoscrizione
dell'accordo con lo Stato per il rientro dai deficit sanitari, ai
sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004,
n. 311, alle regioni interessate che non hanno rispettato il patto di
stabilita' interno in uno degli anni precedenti il 2007 spetta
l'accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario
nazionale a carico dello Stato previsto per l'anno di riferimento
dalla legislazione vigente, nei termini stabiliti dal relativo
piano».
I commi impugnati prevedono l'ennesimo intervento statale di
rientro di deficit sanitari regionali, questa volta in una duplice
forma.
Innanzitutto, per le Regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia,
che hanno firmato gli accordi con lo Stato per il risanamento dei
relativi servizi, anche attraverso la ristrutturazione dei debiti
contratti, e' prevista l'anticipazione dell'ingente somma di 9.100
milioni di euro (al netto delle somma gia' erogate a titolo di
ripiano dei disavanzi) per l'estinzione dei debiti contratti sui
mercati finanziari e dei debiti cumulati fino al 31 dicembre 2005,
con l'accordo che tali risorse saranno restituite entro trent'anni.
Poi, per le regioni che non hanno rispettato il Patto di
stabilita' negli anni antecedenti il 2007, la finanziaria prevede
l'accesso ad un finanziamento integrativo del Servizio sanitario
nazionale a carico dello Stato.
La Regione Veneto ha gia' impugnato forme del tutto similari di
intervento a ripiano dei deficit sanitari regionali per violazione
degli arti 3, 32, 97, 117, 118 e 119 Cost. oltre che del principio di
leale collaborazione (il riferimento e' al ricorso n. 25/07 avverso
il decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 e al ricorso n. 32/07 avverso
la legge di conversione del predetto decreto-legge 17 maggio 2007,
n. 64) e non puo' che ribadire ora, dinnanzi ad un nuovo caso di
ingiustificata elargizione di preziose risorse pubbliche, le sue
ragioni di doglianza.
4.1. - Si ritiene opportuno, innanzitutto, ricordare quali sono le
linee essenziali del sistema costituzionale e, piu' in generale,
ordinamentale nella materia che qui interessa.
L'art. 32, primo comma, Cost., stabilisce che «la Repubblica
tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse
della collettivita', e garantisce cure gratuite agli indigenti».
Dunque, il compito di tutelare il bene della salute, inteso
complessivamente come benessere psico-fisico della persona, di
qualunque persona senza discriminazione di sorta (in conformita'
all'art. 3 Cost.), diritto fondamentale dell'uomo (art. 2 Cost.) e
interesse della collettivita', e' rimesso alla Repubblica. Ma la
Repubblica, ai sensi dell'art. 114 Cost., primo comma, come
modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, «e'
costituita dai comuni, dalle province, dalle citta' metropolitane,
dalle regioni e dallo Stato». E sono proprio Stato e regioni gli enti
protagonisti in materia di tutela della salute.
A seguito della riforma del Titolo V, infatti, la nostra Carta
costituzionale disegna un sistema sanitario di stampo federale
(federale in senso lato), nel quale il centro procede alla
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da assicurare
su tutto il territorio e si fa garante del coordinamento della
finanza pubblica ponendo i principi fondamentali, mentre alle
autonomie e' riconosciuta una competenza legislativa che, concernendo
ora la «tutela della salute» e non piu' la mera «assistenza
ospedaliera», e' «assai piu' ampia rispetto a quella precedente» e
alla quale si accompagnano il potere di organizzare il servizio
modellandolo sulla base delle esigenze della popolazione e, di
conseguenza, la responsabilita' delle risorse da impiegare e
impiegate (Corte cost., sent., 8 maggio 2007, n. 162. Ma gia' prima,
Corte cost., sent., 2006, n. 134; Corte cost., sent., 7 luglio 2005,
n. 270 e Corte cost., sent., 26 maggio 2002, n. 282).
Lo strumento concreto mediante il quale la Repubblica da'
attuazione all'art. 32, primo comma, Cost. e' il Servizio sanitario
nazionale (d'ora in poi anche S.S.N.), istituito con legge 23
dicembre 1978, n. 833.
A partire dall'entrata in vigore del decreto legislativo 18
febbraio 2000, n. 56 il Sistema si finanzia mediante la previsione di
compartecipazioni regionali ai tributi statali e l'istituzione di un
fondo perequativo nazionale.
Le risorse sono distribuite alle regioni che le gestiscono per
l'erogazione del servizio nel proprio territorio e ne divengono
responsabili.
Per un principio la cui validita' non puo' esser messa in dubbio
dopo la riforma del 2001, ma del quale non si discuteva neppure in
passato, infatti, la responsabilita' di disciplina e organizzazione
deve viaggiare parallelamente alla responsabilita' finanziaria (cfr.
Corte cost., sent., 28 luglio 1993, n. 355; Corte cost., sent., 18
giugno 1991, n. 283; Corte cost., sent., 28 luglio 1995, n. 416 e
Corte cost., sent., 5 novembre 1984, n. 245).
Cosi', con legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria
2001), il legislatore statale ha posto la regola per cui spetta alle
regioni provvedere alla copertura degli eventuali disavanzi di
gestione, attivando nella misura necessaria l'autonomia impositiva
secondo modalita' e procedure prestabilite.
Tale affermazione di principio e' stata da allora piu' volte
ribadita, in praticamente tutte le leggi finanziarie successive, e il
suo rispetto incentivato mediante la previsione di sanzioni.
Con la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005),
tuttavia, il legislatore statale ha, per la prima volta, deciso di
disporre, in deroga alla suddetta regola, il concorso dello Stato «al
ripiano dei disavanzi del S.S.N. per gli anni 2001, 2002 e 2003».
Da allora lo Stato ha fatto dell'eccezione la regola, e viceversa,
stanziando a piu' riprese fondi per ripianare il disavanzo sanitario
delle regioni, da ultimo con le disposizioni normative qui impugnate.
4.2. - E' giunto, ora, il momento di prospettare specificamente le
censure rivolte alla normativa in esame dalla regione ricorrente.
Giova, innanzitutto, chiarire che - come codesta ecc.ma Corte ha
piu' volte affermato - i conflitti che sorgano in materia di
interventi di ripiano dei disavanzi di gestione del S.S.N. vanno
valutati «nel quadro della competenza legislativa regionale
concorrente in materia di salute (...) e specialmente nell'ambito di
quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa,
al cui rispetto sono tenute regioni e province autonome» (cfr. Corte
cost., sent., 21 marzo 2007, n. 98; Corte cost., sent., 27 gennaio
2005, n. 36).
Trattandosi di materie di legislazione concorrente, lo Stato e'
legittimato a porre per esse solo i principi fondamentali.
La disciplina impugnata si segnala, pero', per il suo carattere
minuzioso, dettagliato, autoapplicativo, dal momento che indica quali
regioni e secondo quali modalita' potranno beneficiare del
finanziamento statale per ripianare i propri debiti sanitari. Di
piu': non solo le previsioni in esame non contengono alcun principio,
ma ne rovesciano uno fondamentale, ossia quello di responsabilita'.
Per queste ragioni, i commi da 46 a 49, dell'art. 2 della legge 24
dicembre 2007, n. 244 violano l'art. 117 Cost. e devono esser
dichiarati illegittimi.
4.3. - Il fatto che il legislatore centrale abbia previsto dei
finanziamenti a destinazione vincolata in materie di potesta'
legislativa concorrente viola anche l'autonomia finanziaria
riconosciuta alle regioni dall'art. 119 Cost.
Come codesto ecc.mo Collegio ha chiarito, infatti, lo Stato puo'
istituire e disciplinare fondi a destinazione vincolata solo nelle
materie di sua competenza legislativa esclusiva (in questo senso,
Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 29
gennaio 2004, n. 49. Il medesimo principio si ricava, tuttavia, anche
da Corte cost., sent., 23 dicembre 2003, n. 370; Corte cost., sent.,
29 dicembre 2004, n. 423; Corte cost., sent., 18 febbraio 2005,
n. 77; Corte cost., sent., 18 marzo 2005, n. 107; Corte cost., sent.,
24 marzo 2006, n. 118).
In linea generale, invece, solamente due tipologie di fondi
possono essere considerate rispettose del dettato dell'art. 119
Cost.: (i) un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i
territori con minore capacita' fiscale per abitante (art. 119, terzo
comma, Cost.), che, insieme ad entrate e tributi propri e
compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al
proprio territorio (art. 119, secondo comma, Cost.), serve a
finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a regioni
ed enti locali (art. 119, quarto comma, Cost.) e (ii) «risorse
aggiuntive» ed «interventi speciali» in favore di determinate
regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine di
«promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta'
sociale, (...) rimuovere gli squilibri economici e sociali, (...)
favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, (...)
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni»
(art. 119, quinto comma, Cost.).
Dal momento che si potrebbe esser tentati di sussumere la
fattispecie in esame nella seconda ipotesi di fondo, si ricorda che,
proprio in relazione a questi ultimi, codesto ecc.mo Giudice delle
leggi ha precisato che essi «non solo debbono essere aggiuntivi
rispetto al finanziamento integrale (...) delle funzioni spettanti ai
comuni o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione
e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a
scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma debbono essere
indirizzati a determinati comuni o categorie di comuni (o province,
citta' metropolitane, regioni)» e che «l'esigenza di rispettare il
riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e
regioni comporta altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino
ambiti di competenza delle regioni, queste siano chiamate ad
esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi
all'interno del proprio territorio» (cosi' Corte cost., sent., 16
gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 8 giugno 2005, n. 222).
Premesso che, per l'ormai costante sottostima del fabbisogno del
Servizio sanitario nazionale operato dallo Stato in sede di
distribuzione delle risorse finanziarie, si potrebbe fondatamente
dubitare del carattere «aggiuntivo» di tutte le somme distribuite a
copertura di disavanzi, si osserva quanto segue.
Con specifico riguardo agli stanziamenti di cui al comma 49, essi
non sono rivolti a enti determinati e non e' dato comprendere a quale
finalita' siano devoluti e, in particolare, se si tratti di una delle
finalita' tassativamente previste all'art. 119, quinto comma, Cost.,
vista, per altro, l'impossibilita' di riferirli al principio di
solidarieta', per quanto si spieghera' oltre.
Il medesimo discorso relativo alle finalita' si puo' fare per
quanto attiene ai 9.100 milioni di euro, che si aggiungono alle
ingenti somme gia' distribuite alle Regioni Lazio, Campania, Molise e
Sicilia gli anni scorsi.
E' certo, poi, che per nessuno dei finanziamenti in esame,
contrariamente a quanto richiesto da codesta ecc.ma Corte per ritener
rispettato l'art. 119 Cost., le regioni sono state interpellate,
cio', per altro, in aperta violazione del principio di leale
collaborazione.
4.4. - Molti altri sono poi i profili di non conformita' al
dettato costituzionale con riferimento alle previsioni normative di
cui ai commi 46, 47, 48 e 49 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre
2007, n. 244.
Innanzitutto, la disciplina di ripiano viola l'art. 3 Cost. sia
sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza, sia sotto
quello dell'irragionevolezza delle scelte del legislatore statale.
La disciplina di ripiano discrimina, infatti, le regioni c.d.
virtuose che hanno informato l'organizzazione e l'erogazione del
servizio sanitario ai criteri di efficacia ed efficienza e che hanno
fatto fronte alla carenza di finanziamento in materia sanitaria
imponendo ai cittadini residenti nel proprio territorio, sacrifici di
natura prettamente fiscale o, comunque, in termini di maggiore
partecipazione al costo delle prestazioni erogate; regioni che ora
sono addirittura costrette a concorrere a questa nuova ingiustificata
elargizione.
Tra queste certamente anche la Regione Veneto, come confermato
dalla stessa Corte dei conti regionale che, nell'ambito della
relazione annuale ex art. 3, legge 14 gennaio 1994, n. 20, approvata
con delibera del 27 novembre 2006, n. 96, al normale referto sulla
gestione della Regione Veneto per la verifica dell'attuazione delle
leggi regionali di principio e di programma, ha allegato una parte
speciale, intitolata «Indagine sull'assistenza sanitaria nel Veneto.
Aspetti finanziari e gestionali, con particolare riferimento alla
gestione dell'assistenza distrettuale - esercizio finanziario 2005
con ricostruzione di serie storiche a partire dal 2003», nella quale
si loda l'oculata gestione delle risorse conferite alla ricorrente.
A cio' si aggiunga la puntualizzazione della procura regionale
presso la medesima Corte (svolta in occasione dell'inaugurazione
dell'anno giudiziario 2008), secondo cui «il Veneto, regione
trainante per l'economia del Paese, offre complessivamente un quadro
positivo di buona amministrazione che la differenzia dalle situazioni
drammatiche che sono emerse in altre parti del territorio nazionale»
(sic! il 15 febbraio 2008).
La previsione di un nuovo intervento finanziario statale a
copertura di deficit pregressi e', poi, irragionevole ove decide di
dare nuovamente a chi gia' ha ricevuto in abbondanza e non ha
dimostrato di saper gestire le risorse provenienti dalla fiscalita'
generale, ed irrazionale, perche' non accompagnata, da un lato, da
misure capaci di incidere, eliminandole, sulle cause dei disavanzi,
e, dall'altro, da adeguate forme di controllo sull'utilizzo delle
risorse elargite.
In pratica si toglie a chi ha gestito oculatamente, talvolta con
rigore, le finanze pubbliche per dare a chi ha male amministrato e
potra' continuare a farlo, con evidente violazione del principio di
buon andamento di cui all'art. 97 Cost.
Lo scialacquamento dei gia' scarsi mezzi finanziari a
disposizione, poi, portera' inevitabilmente in futuro ad una
contrazione dei livelli essenziali delle prestazioni che, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera m), potranno essere garantiti
su tutto il territorio, con un evidente danno riflesso sulla tutela
della salute garantita ex art. 32 Cost.
Infine, interventi finanziari del livello di governo centrale
quale quello qui censurato, spostando preziose risorse verso
specifiche destinazioni, si risolvono in un'indebita interferenza
nella gestione piu' propriamente organizzativa della sanita', ossia,
in concreto, nell'esercizio delle funzioni amministrative che l'art.
118 Cost. vuole distribuite tra i diversi enti territoriali «sulla
base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza»
e, quindi, per una parte rilevantissima, alle regioni.
Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 2, commi 46, 47, 48 e 49, della legge 24 dicembre 2007,
n. 244, per contrasto con gli articoli 3, 32, 97, 117, 118 e 119
Cost., nonche' con il principio di leale collaborazione di cui agli
articoli 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3.
5. - Nell'art. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, si trovano,
poi, due disposizioni, quelle di cui ai commi 158, letera a) e 165,
che, per contenuti, certamente afferiscono alla materia «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e che la Regione
Veneto ritiene di dover impugnare perche' contrastanti con gli
articoli 117 e 118 Cost.
5.1. - Si tratta, innanzitutto, della previsione di cui al comma
158, di cui si impugna la sola lettera a).
La disposizione portata all'attenzione di codesto ecc.mo giudice
testualmente recita: «All'articolo 12 del decreto legislativo 29
dicembre 2003, n. 387, sono apportate le seguenti modificazioni: a)
al comma 3, le parole: "o altro soggetto istituzionale delegato" sono
sostituite dalle seguenti: "o dalle province delegate"; a) identica».
Mediante la modifica dell'art. 12 del decreto legislativo 29
dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE
relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti
energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita», in
pratica, il legislatore della finanziaria per il 2008 stabilisce che
d'ora in poi spetti alla provincia il compito di rilasciare
l'autorizzazione unica necessaria per la costruzione e l'esercizio
degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti
rinnovabili, cosi' come per gli interventi di modifica,
potenziamento, rifacimento e riattivazione, nonche' per le opere
connesse e le infrastrutture necessarie per la costruzione e
l'esercizio degli impianti stessi.
A riguardo, la regione ricorrente non puo' non evidenziare che
l'individuazione da parte dello Stato dell'ente locale, in questo
caso la provincia, abilitato a rilasciare l'autorizzazione unica,
viola gli articoli 117 e 118 Cost.
Per quanto attiene specificamente all'art. 117 Cost., la
previsione normativa si segnala per il suo carattere dettagliato ed
autoapplicativo, quando, al contrario, intervenendo in materia di
potesta' concorrente, il legislatore statale non si sarebbe dovuto
spingere oltre la «determinazione dei principi fondamentali».
Trattandosi di un ambito di competenza legislativa concorrente,
inoltre, spetta alla regione l'allocazione delle funzioni
amministrative relative alla materia, secondo i parametri di
«sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza» (cfr. Corte cost.,
sent.enza 1° ottobre 2003, n. 303). Ove cio' non accade, anche l'art.
118 Cost. e' violato.
La previsione normativa impugnata, infine, non puo' esser salvata
neppure ove intesa come una forma di c.d. chiamata in sussidiarieta'
di funzioni regionali a livello statale.
Perche' l'attrazione al centro di potesta' regionali possa dirsi
conforme a Costituzione, infatti, devono sussistere due condizioni.
Innanzitutto essa deve avvenire «sulla base dei principi di
differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma dell'art. 118
Cost.» ed e' legittima «solo se la valutazione dell'interesse
pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte
dello Stato sia proporzionata» e «non risulti affetta da
irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di
costituzionalita» (cfr. Corte cost., sentenza 1° ottobre 2003,
n. 303).
In secondo luogo, come gia' chiarito piu' volte da codesta ecc.ma
Corte, «la "chiamata in sussidiarieta'" di funzioni che
costituzionalmente spettano alle regioni comporta anche la necessita'
che lo Stato coinvolga sostanzialmente le regioni stesse, poiche'
l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme
alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare
a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza
di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto
risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale,
ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio
di lealta» (cosi', di nuovo, Corte cost., sent., 24 giugno 2005,
n. 242, citando Corte cost., sent., 1 ottobre 2003, n. 303. Ma anche
Corte cost., sent., 1 giugno 2006, n. 214).
Nessuna delle due condizioni e' stata soddisfatta nel caso delle
disposizioni impugnate dalla regione Veneto.
Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 158, lettera a),
della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli articoli
117 e 118 Cost. e, in subordine, con gli articoli 117 e 118 Cost.,
nonche' con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli
5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
5.2. - Il comma 165 stabilisce, invece, quanto segue: «Al comma 2
dell'articolo 14 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387,
sono aggiunte le seguenti lettere:
f-bis) sottopongono a termini perentori le attivita' poste a
carico dei gestori di rete, individuando sanzioni e procedure
sostitutive in caso di inerzia;
f-ter) prevedono, ai sensi del paragrafo 5 dell'articolo 23
della direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 26 giugno 2003, e dell'articolo 2, comma 24, lettera b), della
legge 14 novembre 1995, n. 481, procedure di risoluzione delle
controversie insorte fra produttori e gestori di rete con decisioni,
adottate dall'Autorita' per l'energia elettrica e il gas, vincolanti
tra le parti;
f-quater) prevedono l'obbligo di connessione prioritaria alla
rete degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, anche nel caso
in cui la rete non sia tecnicamente in grado di ricevere l'energia
prodotta ma possano essere adottati intervento di adeguamento
congrui;
f-quinquies) prevedono che gli interventi obbligatori di
adeguamento della rete di cui alla lettera f-quater) includano tutte
le infrastrutture tecniche necessarie per il funzionamento della rete
e tutte le installazioni di connessione, anche per gli impianti per
autoproduzione, con parziale cessione alla rete dell'energia
elettrica prodotta;
f-sexies) prevedono che i costi associati alla connessione siano
ripartiti con le modalita' di cui alla lettera f) e che i costi
associati allo sviluppo della rete siano a carico del gestore della
rete;
f-septies) prevedono le condizioni tecnico-economiche per
favorire la diffusione, presso i siti di consumo, della generazione
distribuita e della piccola cogenerazione mediante impianti eserciti
tramite societa' terze, operanti nel settore dei servizi energetici,
comprese le imprese artigiane e le loro forme consortili''».
Il comma 165, dunque, integra l'art. 14, comma 2, del decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (aggiungendovi sei lettere), al
fine di puntualizzare ed integrare i possibili contenuti delle
direttive che l'Autorita' per l'energia elettrica e il gas e'
chiamata ad adottare per definire le condizioni tecniche ed
economiche per la connessione alla rete di impianti alimentati da
fonti rinnovabili.
Con cio' il legislatore statale unilateralmente e, senza il
benche' minimo confronto con le regioni, e' intervenuto nella materia
di potesta' legislativa concorrente «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell'energia», attribuendo nuovi e specifici
compiti all'Autorita' per l'energia ed il gas.
Sembra opportuno rilevare, poi, che, grazie alla disposizione in
parola, l'Autorita' di cui sopra sara' legittimata ad emanare
direttive che interferiranno significativamente, menomandola,
sull'autonomia amministrativa regionale in materia.
Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale
dell'articolo 2, comma 165, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per
contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost., nonche' con il principio
di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. e 11 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
6. - E' necessario evidenziare, ora, i profili di illegittimita'
costituzionale che viziano le disposizioni normative di cui ai commi
194 e 195 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in
materia di turismo, non prima, pero', di averne richiamato i
contenuti.
Il comma 194 prevede che: «Al fine di incentivare lo sviluppo
strategico integrato del prodotto turistico nazionale mediante la
promozione di economie di scala e il contenimento dei costi di
gestione delle imprese del settore, con uno o piu' regolamenti da
adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto
1988, n. 400, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sono
definite, nel rispetto delle competenze regionali, le procedure
acceleratorie di semplificazione volte a favorire sia l'aumento dei
flussi turistici sia la nascita di nuove imprese del settore. Tali
procedure devono privilegiare le azioni finalizzate, tra l'altro,
alla razionalizzazione e alla riduzione degli adempimenti a carico
delle imprese e dei termini di durata dei procedimenti, nonche' a
definire specifici moduli procedimentali idonei a contestualizzare
l'esercizio dei poteri pubblici».
Il comma 195, invece, stabilisce che: «Il Dipartimento per lo
sviluppo e la competitivita' del turismo della Presidenza del
Consiglio dei ministri, avvalendosi delle risorse umane, strutturali
e finanziarie disponibili a legislazione vigente, provvede ad
assicurare il supporto tecnico-specialistico in favore dei soggetti
nazionali e internazionali che intendono promuovere progetti di
investimento volti a incrementare e a riqualificare il prodotto
turistico nazionale, attivando le procedure di cui al comma 194».
La materia cui inequivocabilmente le disposizioni richiamate
afferiscono e' quella del «turismo».
Fino alla riforma del Titolo V della Costituzione, il turismo e'
stato materia di competenza legislativa concorrente Stato-regioni;
sostanzialmente, pero', anche a causa del disinteresse dello Stato
sul punto, gia' prima del 2001 la materia era ampiamente affidata
alle competenze regionali, come confermato dalle previsioni di cui
agli articoli 43-46 del decreto legislativo n. 112/1998.
Oggi la materia «turismo» non risulta ricompresa ne' nell'elenco
di materie di competenza esclusiva statale (art. 117, secondo comma,
Cost.), ne' in quello di competenza legislativa concorrente
Stato-regioni. Come codesta ecc.ma Corte ha, anche recentemente,
rilevato, quindi, in materia di «turismo» la regione e' titolare di
una potesta' legislativa esclusiva-residuale ai sensi dell'art. 117,
quarto comma (cfr. Corte cost., sent., 10 marzo 2006, n. 90; Corte
cost., sent., 5 giugno 2003, n. 197, e Corte cost., sent., 1° giugno
2006, n. 214).
In questa materia lo Stato non e' legittimato neppure a dettare i
principi fondamentali, pena la violazione dell'art. 117, quarto
comma, Cost. e certamente non ha potesta' regolamentare. L'art. 117,
sesto comma, Cost., infatti, indica chiaramente che lo Stato puo'
emanare regolamenti solo nelle materie di sua competenza esclusiva.
La difesa della Regione Veneto, tuttavia, conosce la
giurisprudenza di codesto ecc.mo Collegio secondo la quale, il fatto
che si verta in materia di competenza esclusiva regionale, quale
nella fattispecie in esame il turismo, non esclude la possibilita',
per la legge statale, di attribuire funzioni legislative al livello
centrale e di regolarne l'esercizio (cfr. Corte cost., sent., 24
giugno 2005, n. 242; Corte cost., sent., 1° giugno 2006, n. 214).
Deve, pero', evidenziarsi che la richiamata attrazione a livello
centrale di determinate funzioni regionali, per aspirare a superare
il vaglio di legittimita' costituzionale, deve rispondere a due
condizioni.
Innanzitutto, la «chiamata in sussidiarieta» deve avvenire «sulla
base dei principi di differenziazione ed adeguatezza di cui al primo
comma dell'art. 118 Cost.» ed e' legittima «solo se la valutazione
dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni
regionali da parte dello Stato sia proporzionata» e «non risulti
affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di
costituzionalita» (cfr. Corte cost., sent., 1° ottobre 2003, n. 303).
In altre parole, e' necessario che l'attrazione al centro di
competenze regionali rispetti «i principi di sussidiarieta',
differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni
amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali
funzioni» ed anche che la legge statale «detti una disciplina
logicamente pertinente, dunque, idonea alla regolazione delle
suddette funzioni e che risulti limitata a quanto strettamente
indispensabile a tale fine» (cfr. Corte cost., sent., 13 gennaio
2004, n. 6, richiamata in Corte cost., sent., 24 giugno 2005,
n. 242).
In secondo luogo, come gia' chiarito piu' volte da codesta ecc.ma
Corte, «la "chiamata in sussidiarieta'" di funzioni che
costituzionalmente spettano alle regioni comporta anche la necessita'
che lo Stato coinvolga sostanzialmente le regioni stesse, poiche'
l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme
alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare
a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza
di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto
risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale,
ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio
di lealta» (cosi', di nuovo, Corte cost., sent., 24 giugno 2005,
n. 242, citando Corte cost., sent., 1 ottobre 2003, n. 303. Ma anche
Corte cost., sent., 1 giugno 2006, n. 214).
Per quanto attiene alla prima condizione, essa non puo' dirsi
soddisfatta dalla disciplina normativa portata oggi all'attenzione di
codesta ecc.ma Corte.
L'intervento legislativo statale di cui ai commi 194 e 195
dell'art. 2 della legge finanziaria per il 2008, infatti, non puo'
essere considerato rispettoso dei principi di sussidiarieta',
differenziazione ed adeguatezza giacche' attrae in capo al potere
esecutivo centrale una generale attivita' di riordino e
semplificazione di tutto il settore turistico, comma 194, e
sostanzialmente affida ad un Dipartimento della Presidenza del
Consiglio il compito generalissimo di sostenere e promuovere progetti
di investimento capaci di riqualificare il prodotto turistico
nazionale.
Con riguardo alla seconda condizione, poi, la violazione del
principio di leale collaborazione appare palese. Mentre, infatti, il
comma 195 non prevede alcuna forma di concertazione con le regioni,
la previsione di cui al comma 194 si limita a stabilire che prima
dell'adozione dei regolamenti statali sia «sentita la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano». Anche quest'ultima previsione non
garantisce, infatti, una reale forma di partecipazione delle regioni,
dal momento che, non essendo obbligatoria un'intesa, lo Stato ben
potra' provvedere ugualmente anche in presenza di un dissenso della
Conferenza Stato-regioni (sul punto, cfr. Corte cost., sent., 8
giugno 2005, n. 222).
Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 2, commi 194 e 195, della legge 24 dicembre 2007, n. 244,
per contrasto con l'art. 117 Cost. nonche', in via subordinata, degli
articoli 117, 118 e del principio di leale collaborazione di cui agli
articoli 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3.
7. - Si passa, ora, a trattare dei profili di illegittimita'
costituzionale che la Regione Veneto denuncia con riguardo alle
previsioni normative di cui ai commi 279 e 280 dell'articolo 2 della
legge 24 dicembre 2007, n. 244, in materia di finanziamenti statali
per la ristrutturazione edilizia e l' ammodernamento tecnologico in
sanita'.
Il comma 279 testualmente recita: «All'art. 1, comma 796, lettera
n), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le parole:
"20 miliardi di euro" sono sostituite dalle seguenti: "23 miliardi di
euro"».
Il successivo comma 280, invece, prevede quanto segue: «All'art.
1, comma 796, lettera n), primo periodo, della legge 27 dicembre
2006, n. 296, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) nel secondo periodo, dopo le parole: "Il maggior importo di
cui alla presente lettera e' vincolato" sono inserite le seguenti:
"per 100 milioni di euro per l'esecuzione di un programma pluriennale
di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di
ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico,
finalizzato al potenziamento delle 'unita' di risveglio dal coma':
per 7 milioni di euro per l'esecuzione di un programma pluriennale di
interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di
ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico,
destinati al potenziamento e alla creazione di unita' di terapia
intensiva neonatale (TIN); per 3 milioni di euro per l'esecuzione di
un programma pluriennale di interventi in materia di ammodernamento
tecnologico del patrimonio sanitario pubblico, destinati all'acquisto
di nuove metodiche analitiche, basate sulla spettrometria di 'massa
tandem', per effettuare screening neonatali allargati, per patologie
metaboliche ereditarie, per la cui terapia esistono evidenze
scientifiche efficaci"';
b) nel secondo periodo, le parole: "100 milioni di euro ad
interventi per la realizzazione di strutture residenziali dedicate
alle cure palliative" sono sostituite dalle seguenti: "150 milioni di
euro ad interventi per la realizzazione di strutture residenziali e
l'acquisizione di tecnologie per gli interventi territoriali dedicati
alle cure palliative, ivi comprese quelle relative alle patologie
degenerative neurologiche croniche invalidanti";
c) dopo il secondo periodo sono inseriti i seguenti: "nella
sottoscrizione di accordi di programma con le regioni, e' data,
inoltre, priorita' agli interventi relativi ai seguenti settori
assistenziali, tenuto conto delle esigenze della programmazione
sanitaria nazionale e regionale: realizzazione di strutture sanitarie
territoriali, residenziali e semiresidenziali. Il Ministero della
salute, attraverso la valutazione preventiva dei programmi di
investimento e il monitoraggio della loro attuazione, assicura il
raggiungimento dei predetti obiettivi prioritari, verificando nella
programmazione regionale la copertura del fabbisogno relativo anche
attraverso i precedenti programmi di investimento"».
Le due disposizioni in parola modificano la previsione normativa
di cui all'art. 1, comma 796, lettera n), della legge 27 dicembre
2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007).
Nel suo originario testo, il suddetto comma 796, lettera n),
elevava fino a 20 miliardi di euro il budget di finanziamenti statali
per la ristrutturazione edilizia e l'ammodernamento tecnologico in
sanita', come previsti dall'art. 20 della legge 11 marzo 1998, n. 67,
al contempo vincolando tale maggior somma nel seguente modo: 500
milioni di euro per la riqualificazione strutturale e tecnologica dei
servizi di radiodiagnostica e radioterapia di interesse oncologico
(con corsia preferenziale per «regioni meridionali e insulari»); 100
milioni di euro per le strutture per le cure palliative; altri 100
per i sistemi informatici di aziende sanitarie e ospedaliere e,
infine, 100 per le strutture di assistenza domiciliare.
La Regione Veneto, con proprio ricorso inserito al registro
ricorsi con il numero 10/07, ha impugnato il suddetto comma 796,
lettera n), perche' contrastante con gli articoli 3, 97, 117, 118 e
119 Cost. e, in via subordinata, per violazione del principio di
leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120, secondo comma,
Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
A seguito dell'intervento del legislatore della finanziaria per il
2008, il contenuto di quella previsione normativa esce mutato: lo
stanziamento per la ristrutturazione edilizia e l'ammodernamento
tecnologico in sanita' e' stato, infatti, incrementato di ulteriori 3
miliardi di euro per raggiungere l'importo complessivo totale di 23
miliardi di euro e sono state parzialmente modificate ed integrate le
previsioni di vincolo sulla destinazione delle risorse.
In particolare, sono previsti ex novo i seguenti vincoli: 100
milioni di euro per il potenziamento delle «unita' di risveglio dal
comma»; 7 milioni al potenziamento e alla creazione di unita' di
terapia intensiva neonatale e 3 milioni all'acquisto di nuove
metodiche analitiche basate sulla spettrometria di «massa tandem»,
per effettuare screening neonatali allargati, per patologie
metaboliche ereditarie, per la cui terapia esistono evidenze
scientifiche efficaci.
L'originario fondo a destinazione vincolata per la realizzazione
di strutture residenziali dedicate alle cure palliative, poi, e'
stato incrementato da 100 a 150 milioni di euro, da impiegare, pero',
anche per l'acquisizione di interventi territoriali dedicati alle
cure palliative, ivi comprese le patologie degenerative neurologiche
croniche invalidanti.
Infine, il legislatore statale ha previsto che, in sede di firma
degli accordi di programma con le regioni, sia data priorita' agli
interventi di strutture sanitarie territoriali, residenziali e
semiresidenziali.
La previsione di cui ai commi 279 e 280 della finanziaria per il
2008 finisce con il presentare gli stessi profili di
incostituzionalita' di cui all'art. 1, comma 796, lettera n), della
finanziaria dello scorso anno, dal momento che, nel modificarne
parzialmente il testo, perpetua ed aggrava l'esistenza di un
intervento finanziario statale non conforme a Costituzione.
Sembra, innanzitutto, opportuno osservare che le materie
interessate dalle previsioni normative oggi in esame sono, con ogni
evidenza, la «tutela della salute», di potesta' legislativa
concorrente, e l'«edilizia sanitaria» che, non essendo menzionata ne'
nel secondo ne' nel terzo comma dell'art. 117 Cost., deve ritenersi
di competenza residuale esclusiva regionale.
La previsione di finanziamenti a destinazione vincolata in materie
su cui la regione ha potesta' legislativa esclusiva o concorrente,
pero', non e', a seguito della riforma costituzionale del 2001, piu'
compatibile con il dettato degli articoli 117, 118 e 119 Cost., dal
momento che, ben lungi dall'essere una determinazione di principi
fondamentali, si risolve in una penetrante violazione dell'autonomia
legislativa, amministrativa-organizzativa e di spesa dell'ente
regionale (cfr. Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16).
Uno stanziamento di risorse per una specifica e predeterminata
finalita' potrebbe ritenersi costituzionalmente legittimo, come
rilevato anche da codesto ecc.mo Collegio, solo se riguardante una
materia di competenza esclusiva dello Stato, o se qualificabile tra i
fondi perequativi e i finanziamenti speciali di cui al quinto comma
dell'art. 119 Cost.
Cosi' non e' per i finanziamenti qui censurati dalla ricorrente.
Nella denegata e non creduta ipotesi, poi, che si ritenesse di
sussumere la fattispecie normativa di cui ai commi 279 e 280 in
quella dell'art. 119, quinto comma, le previsioni impugnate
rimarrebbero censurabili per violazione del principio di leale
collaborazione, dal momento che, pur attenendo ad ambiti di
competenza concorrente o esclusiva regionale, le regioni non sono
state coinvolte nella programmazione di detti fondi (sul punto, cfr.,
Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 21
aprile 2005, n. 162).
Infine, deve rilevarsi che l'intervento statale in parola e'
viziato anche sotto il profilo della ragionevolezza e, di riflesso,
del rispetto del principio del buon andamento.
Lo Stato, infatti, anche in questo caso conferma la propria
incapacita' a porre discipline normative ponderate e stabili, idonee
a orientare in modo coerente e per un periodo medio-lungo le scelte
della regione, sia sotto il profilo legislativo, sia con riguardo a
quello organizzativo-amministrativo, finendo con l'elargire, di anno
in anno, ingenti quantita' di risorse pubbliche, sulla base di
esigenze contingenti o programmi spesso estemporanei.
Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 2, commi 279 e 280 della legge 24 dicembre 2007, n. 244,
per contrasto con gli articoli 3, 32, 97, 117, 118 e 119 Cost.,
nonche', in via subordinata, del principio di leale collaborazione di
cui agli articoli 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3.
8. - Si affronta, ora, l'analisi dei commi 417, 418, 419, 420, 421
e 422 dell'art. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in materia di
istruzione.
Il comma 417 testualmente recita: «Con atto di indirizzo del
Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, adottato entro il 31 marzo 2008,
d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabiliti finalita', criteri
e metodi della sperimentazione di un modello organizzativo volto a
innalzare la qualita' del servizio di istruzione e ad accrescere
efficienza ed efficacia della spesa. La sperimentazione riguarda gli
anni scolastici 2008/2009, 2009/2010 e 2010/2011 e gli ambiti
territoriali, di norma provinciali, individuato nel medesimo atto di
indirizzo».
Segue il comma 418: «L'atto di indirizzo di cui al comma 417
contiene riferimenti relativi a:
a) tipologie degli interventi possibili per attuare il
miglioramento della programmazione dell'offerta formativa, della
distribuzione territoriale della rete scolastica, dell'organizzazione
del servizio delle singole istituzioni scolastiche, ivi compresi gli
eventuali interventi infrastrutturali e quelli relativi alla
formazione e alla organizzazione delle classi, anche in deroga ai
parametri previsti dal decreto del Ministro della pubblica istruzione
24 luglio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario della Gazzetta
Ufficiale n. 264 dell'11 novembre 1998;
b) modalita' con cui realizzare il coordinamento con le regioni,
gli enti locali e le istituzioni scolastiche competenti per i
suddetti interventi;
c) obiettivi di miglioramento della qualita' del servizio e di
maggiore efficienza in termini di rapporto insegnanti-studenti;
d) elementi informativi dettagliati relativi alle previsioni
demografiche e alla popolazione scolastica effettiva, necessari per
predisporre, attuare e monitorare gli obiettivi e gli interventi di
cui sopra;
e) modalita' di verifica e di monitoraggio dei risultati
conseguiti al fine della quantificazione delle relative economie di
spesa tenendo conto della dinamica effettiva della popolazione
scolastica;
f) possibili finalizzazioni delle risorse finanziarie che si
rendano disponibili grazie all'aumento complessivo dell'efficienza
del servizio di istruzione nell'ambito territoriale di riferimento;
g) modalita' con cui realizzare una valutazione dell'effetto
degli interventi e base informativa necessaria a tale valutazione».
Tanto chiarito, il comma 419 prevede che: «In ciascuno degli
ambiti territoriali individuati ai sensi del comma 417, opera un
organismo paritetico di coordinamento costituito da rappresentanti
regionali e provinciali dell'Amministrazione della pubblica
istruzione, delle regioni, degli enti locali e delle istituzioni
scolastiche statali, con il compito di:
a) predispone un piano triennale territoriale che, anche sulla
base degli elementi informativi previsti dall'atto di indirizzo di
cui al comma 417, definisca in termini qualitativi e quantitativi gli
obiettivi da raggiungere;
b) supportare le azioni necessarie all'attuazione del piano di
cui alla lettera a), nonche' proporre gli opportuni adeguamenti
annuali al piano triennale stesso anche alla luce di scostamenti
delle previsioni, previa ricognizione degli interventi necessari per
il raggiungimento degli obiettivi».
Tocca, poi, al comma 420 statuire che: «Le proposte avanzate
dall'organismo paritetico di coordinamento sono adottate, con propri
provvedimenti, dalle amministrazioni competenti. L'organismo
paritetico di coordinamento opera senza oneri a carico della finanza
pubblica».
Segue il comma 421: «I piani di cui al comma 419 sono adottati
fermo restando, per la parte di competenza, quanto disposto dall'art.
1, comma 620, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive
modificazioni»
Ecco la previsione di cui al comma 422: «L'ufficio scolastico
regionale effettua il monitoraggio circa il raggiungimento degli
obiettivi fissati dal piano di cui al comma 419, ne riferisce
all'organismo paritetico di coordinamento e predispone una relazione
contenente tutti gli elementi necessari da inviare al Ministero della
pubblica istruzione al fine di effettuare, di concerto con il
Ministero dell'economia e delle finanze, la verifica delle economie
aggiuntive effettivamente conseguite, per la riassegnazione delle
stesse allo stato di previsione del Ministero della pubblica
istruzione».
Spetta, poi, al comma 423 stabilire che: «Nel triennio di
sperimentazione, le economie di cui al comma 422 confluiscono in un
fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero della pubblica
istruzione, per essere destinate alle istituzioni pubbliche che hanno
concorso al raggiungimento degli obiettivi, per le finalita' di
miglioramento della qualita' del settore della pubblica istruzione».
Ai sensi del comma 424: «Entro la fine dell'anno scolastico
2010/2011, sulla base del monitoraggio condotto ai sensi del comma
422 e della valutazione degli effetti di tale sperimentazione di cui
al comma 418, lettera g), il Ministro della pubblica istruzione, di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, adotta,
previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, un atto di indirizzo
finalizzato all'estensione all'intero territorio nazionale del
modello organizzativo adottato negli ambiti territoriali individuati
ai sensi del comma 417, tenendo conto degli elementi emersi dalla
sperimentazione».
Infine, il comma 425 prevede che: «Al fine di pervenire a una
gestione integrata delle risorse afferenti il settore
dell'istruzione, per gli interventi a carico del fondo di cui al
comma 13 puo' trovare applicazione l'art. 8 del regolamento di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367».
Il legislatore statale ha, in sostanza, previsto che il Ministro
della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro dell'economia
e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata,
stabilisca, con atti di indirizzo, finalita', criteri e metodi della
sperimentazione di un modello organizzativo volto a innalzare la
qualita' del servizio di istruzione e ad accrescere efficienza ed
efficacia della spesa (comma 417). Alcuni criteri e specificita'
della suddetta sperimentazione, che comprendera' le tre annate
2008/2009, 2009/2010 e 2010/2011, sono gia' stabiliti al comma 418.
A livello territoriale si prevede, poi, la costituzione di un
organismo con il compito di attuare gli obiettivi fissati a livello
centrale adattandoli alle necessita' del territorio di competenza e
di fare proposte che potranno essere attuate dalle amministrazioni di
competenza (commi 419 e 420).
All'ufficio scolastico regionale e' attribuito il compito di
monitorare il grado di raggiungimento degli obiettivi fissati con
piano dell'organismo paritetico e di riferire i risultati di questa
attivita' all'organismo stesso e al Ministero della pubblica
istruzione, con relazione (comma 422).
Il comma 423 stabilisce, inoltre, che i risparmi conseguiti, nella
fase transitoria, saranno riassegnati alle istituzioni pubbliche che
avranno attivato le iniziative di riorganizzazione volte a contenere
la spesa. Per gestire piu' agevolmente le risorse, poi, le
amministrazioni interessate potranno individuare un unico funzionario
al quale delegare le funzioni di amministrazione delle risorse stesse
(comma 425).
Infine, il comma 424 prevede che, al termine del triennio di
sperimentazione, il Ministero della pubblica istruzione, di concerto
con il Ministro dell'economia e d'intesa con la Conferenza unificata,
possa estendere, con atto d'indirizzo, all'intero territorio
nazionale il modello sperimentato.
E', innanzitutto, necessario chiarire quale sia l'ambito di
afferenza della disciplina impugnata. Si tratta, senza dubbio, di
«istruzione», materia di potesta' legislativa concorrente.
Le disposizioni normative in parola, infatti, ruotano tutte
attorno alla definizione e all'attuazione di un programma
sperimentale che, incidendo, tra l'altro, sulla programmazione
dell'offerta formativa, sulla distribuzione della rete scolastica
territoriale, sull'organizzazione del servizio delle singole
istituzioni scolastiche e sulla formazione e distribuzione delle
classi o, ancora, sul rapporto insegnanti-studenti, evidentemente si
muove proprio in quell'ambito di competenze che gia' prima della
riforma del 2001, con decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sono
state delegate alle regioni e che ad oggi devono certamente ritenersi
di potesta' legislativa concorrente.
Con riferimento alle funzioni di programmazione dell'offerta
scolastica e di organizzazione del servizio scolastico codesta ecc.ma
Corte ha avuto modo di chiarire, infatti, che «e' (...) implausibile
che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le regioni
di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma della
competenza delegata dall'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del
1998 (...) Una volta attribuita l'istruzione alla competenza
concorrente, il riparto imposto dall'art. 117 postula che, in tema di
programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo
servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare i principi»
(cosi', Corte cost., sent., 13 gennaio 2004, n. 13. Cfr. anche Corte
cost., sent., 23 dicembre 2003, n. 370; Corte cost., sent., 5
novembre 2004, n. 320; Corte cost., sent., 25 marzo 2005, n. 120).
Se cosi' e', quindi, nel caso di specie non puo' legittimamente
invocarsi la competenza esclusiva statale ex art. 117, comma 2, lett.
n), in materia di «norme generali sull'istruzione».
Ma, ai sensi dell'ultimo periodo del terzo comma dell'art. 117
Cost., «nelle materie di potesta' legislativa concorrente spetta alle
regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione statale».
La disciplina normativa in esame, tuttavia, non contiene alcuna
disposizione di principio limitandosi, da un lato, ad autorizzare un
intervento ministeriale in materia, dall'altro, a istituire un nuovo
organismo di coordinamento e controllo e ad attribuire agli uffici
regionali funzioni di monitoraggio. Pertanto essa e' posta in
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.
Deve, poi, evidenziarsi che a seguito della riforma operata con
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, non e' consentito allo
Stato di intervenire in materie di potesta' legislativa concorrente
con atti normativi di rango sublegislativo, stante il chiaro disposto
di cui all'art. 117, sesto comma, Cost., che pure qui risulta
violato.
Come codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di affermare negli
ambiti di potesta' legislativa concorrente, quale l'«istruzione», «e'
da escludere la permanenza in capo allo Stato del potere di emanare
atti di indirizzo e coordinamento (...) anche alla luce di quanto
disposto dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131
(Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale stabilisce
che "nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della
Costituzione, non possono essere adottati gli atti di indirizzo e
coordinamento''» (cfr. Corte cost., sent., 4 novembre 2003, n. 329).
La disciplina statale impugnata, inoltre, ove non dichiarata
costituzionalmente illegittima, consentendo al Ministero di
intervenire assai incisivamente in materia di organizzazione del
servizio e dell'offerta scolastica, implichera' una forte menomazione
dell'autonomia amministrativa delle regioni, ossia una violazione
dell'art. 118 Cost.
Deve, poi, rilevarsi che la previsione della necessaria intesa con
la Conferenza unificata per l'emanazione dell'atto di indirizzo
ministeriale non sembra idonea, comunque, a garantire l'autonomia
legislativa ed amministrativa riconosciuta costituzionalmente alla
Regione: ove, infatti, quest'ultima venisse a trovarsi in posizione
minoritaria in sede di Conferenza, sarebbe comunque tenuta ad attuare
quanto previsto in sede di indirizzo.
Le previsioni normative impugnate, inoltre, - per mero scrupolo
difensivo lo si rileva - non possono neppure considerarsi forme
legittime di «chiamata in sussidiarieta» di funzioni regionali ad
opera dello Stato.
Codesto ecc.mo Collegio ha, infatti, chiarito che «e' ammissibile
una deroga al normale riparto di competenze "solo se la valutazione
dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni
regionali da parte dello Stato sia proporzionata'', e "non risulti
affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di
costituzionalita'''», in quanto «"perche' nelle materie di cui
all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa
legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale
ed al tempo stesso regolarne l'esercizio, e' necessario che essa
innanzitutto rispetti i principi di sussidiarieta', differenziazione
e adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative,
rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni. E'
necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente
pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e
che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale
fine''» (cosi' Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 242; Corte
cost., sent., 1° ottobre 2003, n. 303 e Corte cost., sent., 13
gennaio 2004, n. 6).
Nel caso di specie, non esiste alcuna esigenza di esercizio
unitario, e comunque la disciplina in esame non si limita certo a
stabilire quanto essenziale all'interesse unitario da perseguire, dal
momento che si attribuisce al Ministero l'amplissimo potere di
ridisciplinare, mediante un atto di indirizzo circa un futuro
programma sperimentale, l'intera organizzazione del servizio
scolastico (dal rapporto alunni-docenti, alle infrastrutture, alla
formazione delle classi, alla determinazione del programma formativo
ecc...).
Infine, al comma 423, si prevede una distribuzione di
finanziamenti a destinazione vincolata: si tratta dei risparmi che
saranno conseguiti mediante l'attuazione del programma sperimentale e
che saranno destinati alle istituzioni pubbliche che avranno concorso
al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Ora, come si e' piu' volte ricordato, secondo il costante
orientamento di codesta ecc.ma Corte, l'art. 119 Cost. non consente
allo Stato di istituire e disciplinare finanziamenti a destinazione
vincolata ne' nelle materie di potesta' legislativa concorrente (art.
117, terzo comma, Cost.), ne' nelle materie di potesta' legislativa
residuale della regione (art. 117, quarto comma, Cost.), sia che
questi fondi prevedano la diretta attribuzione di risorse a regioni,
province, citta' metropolitane o comuni (Corte cost., sent., 23
dicembre 2003, n. 370; Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16;
Corte cost., sent., 29 gennaio 2004, n. 49), sia che prevedano la
diretta attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche o
giuridiche (Corte cost., sent., 29 dicembre 2004, n. 423; Corte
cost., sent., 18 febbraio 2005, n. 77; Corte cost., sent., 18 marzo
2005, n. 107; Corte cost., sent., 24 marzo 2006, n. 118).
Nel contesto dell'art. 119 Cost., infatti, sono previste solamente
due tipologie di fondi: un fondo perequativo (art. 119, terzo comma,
Cost.) e «risorse aggiuntive» ed «interventi speciali» in favore di
determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine
di «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta'
sociale, (...) rimuovere gli squilibri economici e sociali, (...)
favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, (...)
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni»
(art. 119, quinto comma, Cost.).
Il finanziamento portato all'attenzione di codesto ecc.mo giudice
non possiede i caratteri di alcuno dei due, trattandosi piuttosto di
un'elargizione premiale, che davvero mal si concilia con il disegno
costituzionale.
Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 2, commi 417, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424 e 425 della
legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli articoli 117,
118 e 119 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione,
desumibile, in particolare, agli articoli 5 e 120, secondo comma,
Cost. e dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3.
9. - I commi 458, 459 e 460 dell'art. 2 della legge finanziaria
per l'anno 2008, invece, stabiliscono: «Per l'organizzazione e il
funzionamento di servizi socio-educativi per la prima infanzia
destinati ai minori di eta' fino a 36 mesi, presso enti e reparti del
Ministero della difesa, e' istituito un fondo con una dotazione di 3
milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010 [comma
458].
La programmazione e la progettazione relativa ai servizi di cui al
comma 458, nel rispetto delle disposizioni normative e regolamentari
vigenti nelle regioni presso le quali sono individuate le sedi di
tali servizi, viene effettuata in collaborazione con il Dipartimento
per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei
ministri, sentito il comitato tecnico-scientifico del Centro
nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e
l'adolescenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14
maggio 2007, n. 103 [comma 459].
I servizi socio-educativi di cui al comma 458 sono accessibili
anche da minori che non siano figli di dipendenti
dell'Amministrazione della difesa e concorrono ad integrare l'offerta
complessiva del sistema integrato dei servizi socio-educativi per la
prima infanzia e del relativo Piano straordinario di intervento di
cui all'art. 1, comma 1259, della legge 27 dicembre 2006, n. 296,
come modificato dal comma 457 [comma 460]».
9.1. - E' necessario, preliminarmente, individuare la materia di
riferimento.
A tal fine e' indispensabile richiamare la giurisprudenza di
codesto ecc.mo Collegio e, in particolare, la sentenza 23 dicembre
2003, n. 370 (confermata dalla successiva sentenza 5 novembre 2004,
n. 320).
In quella occasione la Corte costituzionale, dopo aver affermato
che, avuto riguardo alla legislazione passata, gli asili nido
potevano considerarsi - come effettivamente essa stessa li aveva
considerati - speciali servizi sociali di interesse pubblico
riconducibili alla materia «assistenza e beneficenza pubblica» di cui
al precedente art. 117 Cost. (v. Corte cost., nn. 139 del 1985, 319
del 1983, 174 del 1981), ha affermato (richiamando la propria
precedente sentenza n. 467 del 2002) che, alla luce dell'evoluzione
legislativa in materia, «"il servizio fornito dall'asilo nido non si
riduce ad una funzione di sostegno alla famiglia nella cura dei figli
o di mero supporto per facilitare l'accesso dei genitori al lavoro,
ma comprende anche finalita' formative, essendo rivolto a favorire
l'espressione delle potenzialita' cognitive, affettive e relazionali
del bambino''», con la conseguenza che, «pur negandosi l'inserimento
degli asili nido nell'ambito delle vere e proprie istituzioni
scolastiche, si e' rilevata "la assimilazione, ad opera della
legislazione ordinaria, delle finalita' di formazione e
socializzazione perseguite dagli asili nido rispetto a quelle
propriamente riconosciute alle istituzioni scolastiche''» (Corte
cost., sent., 23 dicembre 2003, n. 370, punto 3 del Considerato in
diritto).
Conseguentemente - afferma la Corte costituzionale - , «per quel
che attiene in particolare agli asili nido, per quanto gia'
evidenziato in relazione alle funzioni educative e formative
riconosciute loro, nonche' in considerazione della finalita' di
rispondere alle esigenze dei genitori lavoratori, e' indubbio che,
utilizzando un criterio di prevalenza, la relativa disciplina non
possa che ricadere nell'ambito della materia dell'istruzione (sia
pure in relazione alla fase pre-scolare del bambino), nonche' per
alcuni profili nella materia della tutela del lavoro, che l'art. 117,
terzo comma, della Costituzione (...) affida alla potesta'
legislativa concorrente (fatti salvi naturalmente gli interventi del
legislatore statale che trovino legittimazione nei titoli
"trasversali'' di cui all'art. 117, secondo comma, della
Costituzione)».
E' evidente, allora, che la disciplina normativa in materia di
asili nido deve essere ricondotta a materie (prevalentemente alla
materia «istruzione», in parte anche alla materia "tutela del
lavoro") rientranti tra quelle di potesta' legislativa concorrente
(art. 117, terzo comma, Cost.), materie, dunque, in relazione alle
quali spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali e
alle regioni la fissazione della normativa di dettaglio.
Pertanto, le norme di cui ai commi 458, 459 e 460 dell'art. 2
della legge finanziaria per l'anno 2008, che - come si e' detto -
sono riconducibili ad una materia di potesta' legislativa
concorrente, violano l'art. 117, terzo comma, della Costituzione,
stante la loro natura di norme di dettaglio.
9.2. - Le predette norme violano, altresi', l'art. 119 della
Costituzione.
Secondo il costante orientamento di codesto ecc.mo Collegio,
l'art. 119 Cost. non consente allo Stato di istituire e disciplinare
finanziamenti a destinazione vincolata ne' nelle materie di potesta'
legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), ne' nelle
materie di potesta' legislativa residuale della regione (art. 117,
quarto comma, Cost.), sia che questi fondi prevedano la diretta
attribuzione di risorse a regioni, province, citta' metropolitane o
comuni (Corte cost., sentenze 23 dicembre 2003, n. 370; 16 gennaio
2004, n. 16; 29 gennaio 2004, n. 49), sia che prevedano la diretta
attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche o
giuridiche (Corte cost., sentenze 29 dicembre 2004, n. 423; 18
febbraio 2005, n. 77; 18 marzo 2005, n. 107; 24 marzo 2006, n. 118),
poiche' «il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire
uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato
nell'esercizio delle funzioni delle regioni e degli enti locali, e di
sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a
quelli legittimamente decisi dalle regioni negli ambiti materiali di
propria competenza» (cosi' Corte cost., 16 gennaio 2004, n. 16).
Nel contesto dell'art. 119 Cost., infatti, sono previste solamente
due tipologie di fondi: (i) un fondo perequativo, senza vincoli di
destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per
abitante (art. 119, terzo comma, Cost.), che, insieme ad entrate e
tributi propri e compartecipazione al gettito di tributi erariali
riferibile al proprio territorio (art. 119, secondo comma, Cost.),
serve a finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a
regioni ed enti locali (art. 119, quarto comma, Cost.) e (ii)
«risorse aggiuntive» ed «interventi speciali» in favore di
determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine
di "promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta'
sociale, (...) rimuovere gli squilibri economici e sociali, (...)
favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, (...)
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni"
(art. 119, quinto comma, Cost.).
In ordine a questi ultimi, codesto ecc.mo Collegio ha precisato
che essi «non solo debbono essere aggiuntivi rispetto al
finanziamento integrale (...) delle funzioni spettanti ai comuni o
agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione e di
garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a scopi
diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma debbono essere
indirizzati a determinati comuni o categorie di comuni (o province,
citta' metropolitane, regioni)» e che «l'esigenza di rispettare il
riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e
regioni comporta altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino
ambiti di competenza delle regioni, queste siano chiamate ad
esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi
all'interno del proprio territorio» (cosi' Corte cost., sentenze 16
gennaio 2004, n. 16; 8 giugno 2005, n. 222).
Codesto ecc.mo Collegio ha riconosciuto, peraltro, che lo Stato
puo' istituire e disciplinare fondi a destinazione vincolata nelle
materie di sua competenza legislativa esclusiva (in questo senso
Corte cost., sentenze 16 gennaio 2004, n. 16; 29 gennaio 2004,
n. 49).
9.3. - Da quanto sin qui detto consegue, de plano, la violazione
dell'art. 118 della Costituzione.
9.4. - In subordine, peraltro, considerato che potrebbero
ravvisarsi delle interferenze con materie di potesta' legislativa
esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.), quale, per
esempio, la stessa «difesa e Forze armate» (art. 117, secondo comma,
lett. d), si censurano le norme de quibus anche per violazione del
fondamentale principio di leale collaborazione tra Stato e regione,
desumibile, in particolare, dagli articoli 5 e 120, secondo comma,
Cost. e 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Codesto ecc.mo Collegio ha in diverse occasioni giustamente
riconosciuto che «la complessita' della realta' sociale da regolare
comporta che, di frequente, le normative non possano essere riferite
nel loro insieme ad una sola materia, perche' concernono situazioni
non omogenee, ricompresse in materie diverse sotto il profilo della
competenza legislativa» (Corte cost., sentenza 31 marzo 2006,
n. 133). Conseguentemente, esso ha ritenuto quanto segue: «"Per le
ipotesi in cui ricorra una ‘concorrenza di competenze', la
Costituzione non prevede espressamente un criterio di composizione
delle interferenze. In tal caso - ove (...) non possa ravvisarsi la
sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che
renda dominante la relativa competenza legislativa - si deve
ricorrere al canone della U¬leale collaborazione', che impone alla
legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento
delle regioni, a salvaguardia delle loro competenze'' (sentenze nn.
50 e 219 del 2005). (...) "a tal fine l'individuazione della
disciplina piu' congrua compete alla discrezionalita' del
legislatore''» (cosi' Corte cost., sentenza 18 giugno 2007, n. 201).
9.5. - Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 458,
459 e 460, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con
gli articoli 117, comma 3, 118 e 119 della Costituzione e, in via
subordinata, per contrasto con il principio di leale collaborazione
tra Stato e regione, principio desumibile, in particolare, dagli
artt. 5 e 120, comma 2, della Costituzione e dall'art. 11 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
10. - L'art. 2, comma 462, della legge finanziaria per l'anno 2008
dispone: «All'articolo 1, comma 1251, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296, sono aggiunte le seguenti lettere:
"c-bis) favorire la permanenza od il ritorno nella comunita'
familiare di persone parzialmente o totalmente non autosufficienti in
alternativa al ricovero in strutture residenziali socio-sanitarie. A
tal fine il Ministro delle politiche per la famiglia, di concerto con
i Ministri della solidarieta' sociale e della salute, promuove, ai
sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, una
intesa in sede di conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, avente ad oggetto la definizione
dei criteri e delle modalita' sulla base dei quali le regioni, in
concorso con gli enti locali, definiscono ed attuano un programma
sperimentale di interventi al quale concorrono i sistemi regionali
integrati dei servizi alla persona; c-ter) finanziare iniziative di
carattere informativo ed educativo volte alla prevenzione di ogni
forma di abuso sessuale nei confronti di minori, promosse
dall'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della
pornografia minorile di cui all'art. 17, comma 1-bis, della legge 3
agosto 1998, n. 269''».
10.1. - Con ricorso notificato in data 23 febbraio 2007,
depositato in cancelleria in data 1 marzo 2007 e tuttora pendente
dinanzi codesto ecc.mo Collegio al n. di R.G. 10/07, la Regione
Veneto ha impugnato i commi 1250, 1251 e 1252 dell'unico articolo
della legge finanziaria per l'anno 2007 (legge n. 296 del 2006),
disciplinanti il «Fondo per le politiche della famiglia» per
contrasto con gli articoli 117, quarto comma, 118 e 119 della
Costituzione.
I commi 1250, 1251 e 1252 dell'unico articolo della legge
finanziaria per l'anno 2007 dispongono: «Il Fondo per le politiche
della famiglia di cui all'art. 19, comma 1, del decreto-legge 4
luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4
agosto 2006, n. 248, e' incrementato di 210 milioni di euro per
l'anno 2007 e di 180 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e
2009. Il Ministro delle politiche per la famiglia utilizza il Fondo:
per istituire e finanziare l'Osservatorio nazionale sulla famiglia
prevedendo la rappresentanza paritetica delle amministrazioni statali
da un lato e delle regioni, delle Province autonome di Trento e di
Bolzano e degli enti locali dall'altro, nonche' la partecipazione
dell'associazionismo e del terzo settore; per finanziare le
iniziative di conciliazione del tempo di vita e di lavoro di cui
all'art. 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53; per sperimentare
iniziative di abbattimento dei costi dei servizi per le famiglie con
numero di figli pari o superiore a quattro; per sostenere l'attivita'
dell'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della
pornografia minorile di cui all'art. 17 della legge 3 agosto 1998,
n. 269, e successive modificazioni, dell'Osservatorio nazionale per
l'infanzia e del Centro nazionale di documentazione e di analisi per
l'infanzia di cui alla legge 23 dicembre 1997, n. 451; per sviluppare
iniziative che diffondano e valorizzino le migliori iniziative in
materia di politiche familiari adottate da enti locali e imprese; per
sostenere le adozioni internazionali e garantire il pieno
funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali [comma
1250].
Il Ministro delle politiche per la famiglia si avvale altresi' del
fondo per le politiche della famiglia al fine di: a) finanziare
l'elaborazione, realizzata d'intesa con le altre amministrazioni
statali competenti e con la Conferenza unificata di cui all'art. 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, di un piano nazionale
per la famiglia che costituisca il quadro conoscitivo, promozionale e
orientativo degli interventi relativi all'attuazione dei diritti
della famiglia, nonche' acquisire proposte e indicazioni utili per il
Piano e verificarne successivamente l'efficacia, attraverso la
promozione e l'organizzazione con cadenza biennale di una conferenza
nazionale sulla famiglia; b) realizzare, unitamente al Ministro della
salute, una intesa in sede di conferenza unificata ai sensi dell'art.
8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, avente ad oggetto
criteri e modalita' per la riorganizzazione dei consultori familiari,
finalizzata a potenziarne gli interventi sociali in favore delle
famiglie; c) promuovere e attuare in sede di conferenza unificata di
cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
d'intesa con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e con
il Ministro della pubblica istruzione, un accordo tra lo Stato, le
regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano per la
qualificazione del lavoro delle assistenti familiari [comma 1251]. Il
Ministro delle politiche per la famiglia, con proprio decreto,
ripartisce gli stanziamenti del Fondo delle politiche per la famiglia
tra gli interventi di cui ai commi 1250 e 1251 [comma 1252]».
La Regione Veneto ha ravvisato nelle norme de quibus la violazione
dell'art. 117, quarto comma, Cost. dal momento che esse intervengono
con riguardo ad una materia, «politiche sociali», che rientra tra
quelle di potesta' legislativa residuale della regione.
Ha ravvisato, altresi', la violazione dell'art. 119 Cost., dal
momento che lo Stato non puo' dettare norme volte ad istituire e a
disciplinare finanziamenti a destinazione vincolata ne' nelle materie
di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.),
ne' nelle materie di potesta' legislativa residuale della regione
(art. 117, quarto comma, Cost.), sia che questi fondi prevedano la
diretta attribuzione di risorse a regioni, province, citta'
metropolitane o comuni (Corte cost., sentenze 23 dicembre 2003,
n. 370; 16 gennaio 2004, n. 16; 29 gennaio 2004, n. 49), sia che
prevedano attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche
o giuridiche (Corte cost., sentenze 29 dicembre 2004, n. 423; 18
febbraio 2005, n. 77; 18 marzo 2005, n. 107; 24 marzo 2006, n. 118),
poiche' norme del genere sono gravemente lesive dell'autonomia
finanziaria regionale. In quella occasione, inoltre, la Regione
Veneto ha evidenziato che, in una precedente sentenza (Corte cost.,
24 marzo 2006, n. 118), la Corte costituzionale non aveva esitato a
dichiarare l'illegittimita' costituzionale di una norma analoga a
quelle de quibus.
La Regione Veneto, infine, ha censurato le norme de quibus per
violazione, conseguente de plano alla denunciata violazione degli
articoli 117, quarto comma, 118 e 119 Cost.
10.2. - Come noto, il «Fondo per le politiche della famiglia» e'
stato originariamente istituito dall'art. 19, comma 1, del decreto
legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla
legge 4 agosto 2006, n. 248, che cosi' dispone: «Al fine di
promuovere e realizzare interventi per la tutela della famiglia, in
tutte le sue componenti e le sue problematiche generazionali, nonche'
per supportare l'Osservatorio nazionale sulla famiglia, presso la
Presidenza del Consiglio dei ministri e' istituito un fondo
denominato "Fondo per le politiche della famiglia'', al quale e'
assegnata la somma di 3 milioni di euro per l'anno 2006 e di dieci
milioni di euro a decorrere dall'anno 2007».
Anche la predetta norma e' stata impugnata dalla Regione Veneto.
Il ricorso, pero', e' stato definitivamente dichiarato inammissibile
da codesto ecc.mo Collegio con sentenza 21 dicembre 2007, n. 453.
Con la predetta sentenza codesto ecc.mo Collegio ha ritenuto che
«la disposizione censurata, nell'istituire i fondi sopra indicati, si
limita ad indicare mere finalita' di intervento nei settori di
rispettiva competenza, risultando, secondo il principio gia'
affermato da questa Corte, inidonea a ledere "le competenze
regionali, potendo la lesione derivare non gia' dall'enunciazione del
proposito di destinare risorse per finalita' indicate in modo cosi'
ampio e generico, bensi' (eventualmente) dalle norme nelle quali quel
proposito si concretizza, sia per entita' delle risorse sia per
modalita' di intervento sia, ancora, per le materie direttamente e
indirettamente implicate da tali interventi (sentenza n. 141 del
2007)''».
All'udienza pubblica del 12 febbraio 2008, e nella relativa
memoria conclusiva, la Regione Veneto ha insistito per l'accoglimento
del ricorso proposto contro i commi 1250, 1251 e 1252 dell'unico
articolo della legge finanziaria per l'anno 2007, osservando che, pur
non potendo condividersi i principi enunciati da codesto ecc.mo
Collegio nelle sentenze nn. 141 e 453 del 2007, comunque la coerente
applicazione degli stessi avrebbe necessariamente implicato la
declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 1250,
1251 e 1252 dell'unico articolo della legge finanziaria per l'anno
2007.
In particolare, la Regione Veneto ha osservato che i principi
affermati da codesto ecc.mo Collegio nelle sentenze nn. 141 e 453 del
2007 non sono perfettamente in linea con il sistema di giustizia
costituzionale vigente in Italia, dal momento che il giudizio di
costituzionalita' in via principale e' quel giudizio nel quale il
Giudice costituzionale e' adito da organi o soggetti che propongono
un'astratta questione di legittimita' costituzionale, una questione,
cioe', indipendente - ed era questo il punto su cui maggiormente la
Regione Veneto ha insistito - dalla circostanza che la norma o l'atto
impugnato ricevano questo o quel tipo di applicazioni.
La Regione Veneto non ha mancato di osservare, comunque, che la
linea di pensiero accolta da codesto ecc.mo Collegio nelle sentenze
nn. 141 e 453 del 2007 avrebbe imposto allo stesso di dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dei commi 1250, 1251, 1252, dell'art.
1 della legge finanziaria per l'anno 2007, perche' essi, rispetto
all'art. 19 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, non si limitano - a voler
usare le stesse parole di codesto ecc.mo Collegio - ad enunciare il
proposito di destinare risorse, ma, al contrario, concretizzano
quello stesso proposito, «sia per entita' delle risorse sia per
modalita' di intervento sia, ancora, per le materie direttamente e
indirettamente implicate da tali interventi» (v. Corte cost., nn. 141
e 453 del 2007).
10.3. - Un tanto (doverosamente) premesso, la Regione Veneto
censura la norma de qua (art. 2, comma 462, della legge finanziaria
per l'anno 2008) per violazione degli stessi parametri in relazione
alla violazione dei quali sono stati censurati i commi 1250, 1251 e
1252 dell'articolo unico della legge finanziaria per l'anno 2007, e
quindi per violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost.
per le stesse ragioni di cui si e' detto supra.
Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 462, della legge
24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli artt. 117, quarto
comma, 118 e 119 della Costituzione.
11. - L'art. 2, comma 474, della legge finanziaria per l'anno 2008
dispone: «E' istituito presso il Ministero dei trasporti il "Fondo
per la mobilita' dei disabili'', con una dotazione annua pari a 5
milioni di euro per l'anno 2008 e a 3 milioni di euro per ciascuno
degli anni 2009 e 2010. Il Fondo finanzia interventi specifici
destinati alla realizzazione di un parco ferroviario per il trasporto
in Italia e all'estero dei disabili assistiti dalle associazioni di
volontariato operanti sul territorio italiano. Al Fondo possono
affluire le somme derivanti da atti di donazione e di liberalita',
nonche' gli importi derivanti da contratti di sponsorizzazione con
soggetti pubblici e privati. Con decreto del Ministro dei trasporti,
di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della
salute (sic), sentite le rappresentanze delle associazioni di
volontariato operanti sul territorio, sono stabilite le modalita' per
il funzionamento del Fondo di cui al presente comma».
11.1. - E' necessario, preliminarmente, individuare la materia di
riferimento.
La norma in esame puo' essere inquadrata, alternativamente, o
nella materia «assistenza e beneficenza pubblica» o nella materia
«politiche sociali», che, non essendo ricomprese tra le materie
elencate nell'art. 117, secondo comma, Cost. (materie di potesta'
legislativa esclusiva dello Stato), ne' nelle materie di cui all'art.
117, terzo comma, Cost. (materie di potesta' legislativa
concorrente), appartengono alla potesta' legislativa residuale della
regione.
Nel senso qui prospettato depongono, altresi', due (relativamente)
recenti pronunce di codesto ecc.mo Collegio (Corte cost., sentenze 19
luglio 2005, n. 287 e 29 dicembre 2004, n. 423).
Pertanto, dal momento che la norma in esame interviene sicuramente
in una materia di potesta' legislativa residuale regionale, essa
viola l'art. 117, quarto comma, Cost.
11.2. - La predetta norma viola, altresi', l'art. 119 Cost.
Anche qui vale quanto gia' detto supra a margine dell'impugnazione
di molti commi dell'art. 2 della legge finanziaria per l'anno 2008, e
cioe' che lo Stato non puo' dettare norme volte ad istituire e a
disciplinare finanziamenti a destinazione vincolata ne' nelle materie
di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.),
ne' nelle materie di potesta' legislativa residuale della regione
(art. 117, quarto comma, Cost.), sia che questi fondi prevedano la
diretta attribuzione di risorse a regioni, province, citta'
metropolitane o comuni (Corte cost., sentenze 23 dicembre 2003,
n. 370; 16 gennaio 2004, n. 16; 29 gennaio 2004, n. 49), sia che
prevedano la diretta attribuzione di risorse a soggetti privati,
persone fisiche o giuridiche (Corte cost., sentenze 29 dicembre 2004,
n. 423; 18 febbraio 2005, n. 77; 18 marzo 2005, n. 107; 24 marzo
2006, n. 118), poiche' norme del genere sono gravemente lesive
dell'autonomia finanziaria regionale.
11.3. - Da quanto detto consegue, de plano, la violazione
dell'art. 118 Cost.
11.4. - In subordine, peraltro, visto che potrebbero ravvisarsi
delle interferenze con materie di potesta' legislativa esclusiva
dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.), quali, per esempio, la
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale» (art. 117, secondo comma, lett. m), si censura
la norma in esame per violazione del fondamentale principio di «leale
collaborazione», desumibile dagli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost.
e 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Vale allora, anche in questo caso, quanto osservato a margine
dell'impugnazione dei commi 458, 459 e 460 dell'art. 2 della legge
finanziaria per l'anno 2008. Pertanto, quando ricorre una
«concorrenza di competenze» e non puo' ravvisarsi la sicura
prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, non
prevedendo espressamente la Costituzione un criterio di composizione
delle interferenze, «si deve ricorrere al canone della "leale
collaborazione", che impone alla legge statale di predisporre
adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia
delle loro competenze», spettando alla discrezionalita' del
legislatore l'individuazione della tipologia piu' congrua di
strumenti di coinvolgimento (in questo senso Corte cost., sent., 18
giugno 2007, n. 201).
Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 474, della legge
24 dicembre 2007, n. 244 per contrasto con gli artt. 117, quarto
comma, 118 e 119 della Costituzione e, in via subordinata, per
contrasto con il principio di leale collaborazione tra Stato e
regione, principio desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120,
secondo comma, della Costituzione e dall'art. 11 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
12. - L'art. 2, comma 600, della legge finanziaria per l'anno 2008
dispone: «Le regioni, le province autonome e gli enti del Servizio
sanitario nazionale, entro novanta giorni dalla data di entrata in
vigore della presente legge, adottano, secondo i propri ordinamenti,
gli atti di rispettiva competenza al fine di attuare i principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica desumibili dai
commi da 588 a 602».
12.1. - Le disposizioni di cui ai commi dal 588 al 602 dell'art. 2
della legge finanziaria per l'anno 2008 contengono norme volte alla
riduzione della spesa pubblica.
Si ritiene doveroso indicarne, nel modo piu' sintetico possibile,
il relativo contenuto.
Il comma 588 stabilisce che, a partire dal 2008, la cilindrata
media delle auto di servizio delle amministrazioni statali (con
alcune eccezioni) non puo' superare i 1.600 centimetri cubici.
Il comma 589 stabilisce che le pubbliche amministrazioni debbono
adeguare la propria modalita' operativa alle disposizioni del Codice
dell'amministrazione digitale (d.lgs. n. 82 del 2005) entro una
percentuale minima del 50 (in particolare, dovranno attuare le
previsioni relative all'utilizzo della posta elettronica certificata,
della firma digitale e dell'impiego della telematica, allo scopo di
gestire i procedimenti amministrativi e le modalita' di relazione con
i cittadini). La violazione degli obiettivi fissati determina per le
pubbliche amministrazioni dello Stato, comprese le aziende ed
amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, e per gli enti
pubblici non economici nazionali, una stretta sulle spese per le
modalita' non telematiche di gestione dei documenti. Infatti, nel
successivo esercizio finanziario le risorse per finanziare le spese
di invio della corrispondenza saranno ridotte del 30 per cento.
Il comma 590 demanda ad un regolamento ministeriale la definizione
delle modalita' attuative del comma 589.
Il comma 591 (che novella l'art. 78 del d.lgs. n. 82 del 2005)
impone alle amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e
scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende
ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le
istituzioni universitarie, gli enti pubblici non economici nazionali,
l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni (ARAN), le agenzie di cui al d.lgs. n. 300/1999, gli
istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative
e le istituzioni universitarie, di utilizzare i servizi VoIP (voce
tramite protocollo internet). Il Cnipa verifichera' il rispetto delle
previsioni di cui sopra e, nel caso in cui le amministrazioni non
provvedano, nel successivo esercizio finanziario sconteranno la
riduzione delle risorse stanziate per spese di telefonia, del 30.
Il comma 592 demanda ad un regolamento ministeriale la definizione
delle modalita' attuative del comma 591.
Il comma 593 individua la previsione di risparmio per l'attuazione
dei sistemi di gestione digitale dei documenti e delle telefonate
VoIP per ognuno degli anni fino al 2010. Stabilisce, inoltre, che
anche le pubbliche amministrazioni non direttamente interessate dalla
novella dell'art. 78 del d.lgs. n. 82 del 2005 devono adottare misure
di contenimento delle spese telefoniche e di gestione della
corrispondenza cartacea per ottenere certi determinati risparmi di
spesa. Stabilisce, infine, che, in caso di accertamento di minori
economie rispetto a quelle previste, si provvede alle corrispondenti
riduzioni dei trasferimenti statali nei confronti delle pubbliche
amministrazioni inadempienti.
I commi 594, 595, 596 impongono a tutte le pubbliche
amministrazioni di adottare, previa valutazione di convenienza
economica, piani triennali, finalizzati alla riorganizzazione interna
ed al conseguimento di risparmi gestionali. Si prevedono, in
particolare, le seguenti misure: la razionalizzazione
dell'utilizzazione delle dotazioni strumentali, anche informatiche;
la razionalizzazione dell'uso delle vetture di servizio; risparmi di
gestione sui beni immobili ad uso abitativo o di servizio (con
esclusione dei beni infrastrutturali); la razionalizzazione dell'uso
delle apparecchiature di telefonia mobile.
Il comma 597 prevede che «a consuntivo annuale, le amministrazioni
trasmettono una relazione agli organi di controllo interno e alla
sezione regionale della Corte dei conti competente».
Il comma 598 prevede le modalita' tramite le quali rendere
pubblici i piani triennali di cui al comma 594.
Il comma 599 disciplina gli obblighi informativi gravanti sulle
pubbliche amministrazioni nei confronti del Ministero dell'economia e
delle finanze con riguardo ai risparmi di gestione sui beni immobili
ad uso abitativo o di servizio.
Il comma 601 dispone quanto segue: «All'articolo 4 del decreto
legislativo 12 febbraio 1993, n. 39 [Norme in materia di sistemi
informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche, a norma
dell'art. 2, comma 1, lettera m), della legge 23 ottobre 1992,
n. 421], le parole: "quattro membri'', ovunque ricorrano, sono
sostituite dalle seguenti: "due membri''. Il comma 602 dispone: "Fino
al 2 agosto 2009 l'organo collegiale di cui all'articolo 4, comma 2,
del decreto legislativo n. 39 del 1993 e' costituito dal presidente e
da tre membri; fino alla predetta data, ai fini delle deliberazioni,
in caso di parita' di voti, prevale quello del presidente''».
12.2. - La norma di cui all'art. 2, comma 600, della legge
finanziaria per l'anno 2008 solo apparentemente potrebbe sembrare
legittima.
Imponendo alle regioni, alle province autonome e agli enti del
Servizio sanitario nazionale di attuare quelli che lo Stato definisce
«i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica
desumibili dai commi da 588 a 602», lo Stato finisce per interferire
con la materia «organizzazione amministrativa interna della regione e
degli enti pubblici regionali», che, non essendo ricompresa ne' tra
le materie di potesta' legislativa esclusiva dello Stato (art. 117,
secondo comma, Cost.), ne' tra le materie di potesta' legislativa
concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), deve essere
necessariamente ascritta alla potesta' legislativa residuale della
regione (art. 117, quarto comma, Cost.).
In questo senso, allora, la norma in esame viola l'art. 117,
quarto comma, Cost. e, conseguentemente, gli artt. 118 e 119 Cost.
12.3. - D'altra parte, ammettendo pure che la materia nella quale
la norma debba essere inquadrata sia «armonizzazione dei bilanci
pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario», materia di potesta' legislativa concorrente (art. 117,
terzo comma, Cost.), essa, comunque, e' illegittima, poiche', ai
sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e' lo Stato che deve - si
badi bene - determinare i principi fondamentali (e, infatti, il
predetto precetto costituzionale cosi' dispone: «nelle materie di
potesta' legislativa concorrente spetta alle regioni la potesta'
legislativa, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato»).
Ebbene, nel caso de quo, lo Stato non ha affatto fissato i
principi fondamentali, ma ha rimesso alla regione l'individuazione
degli stessi a partire dalle norme di cui ai commi dal 588 al 602
dell'art. 2 della legge finanziaria per il 2008, in palese violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost.
A tale conclusione conducono non solo il chiaro disposto dell'art.
117, terzo comma, Cost., ma anche una nota sentenza di codesto ecc.mo
Collegio (Corte cost., sent., 26 giugno 2002, n. 282) e l'art.
1, comma 3, della legge 5 giugno 2003, n. 131 («Disposizioni per
l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3»).
Con la sentenza n. 282 del 2002, codesto ecc.mo Collegio, infatti,
ha affermato: «La nuova formulazione dell'art. 117, terzo comma,
rispetto a quella previgente dell'art. 117, primo comma, esprime
l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza statale,
limitata alla determinazione dei principi fondamentali della
disciplina. Cio' non significa pero' che i principi possano trarsi
solo da leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo.
Specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di
riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente
dovra' svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali risultanti
dalla legislazione statale gia' in vigore» (punto 4 del Considerato
in diritto).
Cio' che pare potersi ricavare dalla predetta sentenza e', da una
parte, che lo Stato non puo' inceppare la potesta' legislativa
regionale in una materia di potesta' legislativa concorrente
omettendo di determinare i principi fondamentali regolatori della
stessa (la regione, infatti, qualora legiferi, potra' ricavare dalla
legislazione statale vigente i principi fondamentali regolatori della
materia), dall'altra, che la regione non puo', in assenza di principi
fondamentali espressi stabiliti da leggi dello Stato, legiferare
omettendo di desumere i principi fondamentali regolatori della
materia di potesta' legislativa concorrente dal sistema di
legislazione vigente.
Quel che e' indubbio, comunque, e' che, quando lo Stato intende
stabilire i principi fondamentali regolatori di una materia di
potesta' legislativa concorrente, deve farlo espressamente (ed in
questo senso e', a ben vedere, lo stesso precetto costituzionale di
cui all'art. 117, terzo comma, Cost., secondo periodo).
L'art. 1, comma 3, della c.d. legge La Loggia stabilisce che
«nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le regioni
esercitano la potesta' legislativa nell'ambito dei principi
fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto,
quali desumibili dalle leggi statali vigenti».
Il successivo comma 4 delega il Governo ad adottare «uno o piu'
decreti legislativi meramente ricognitivi dei principi fondamentali
che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall'art.
117, terzo comma, della Costituzione, attenendosi ai principi della
esclusivita', adeguatezza, chiarezza, proporzionalita' ed
omogeneita», il tutto all'espresso fine - si badi bene - di
«orientare l'iniziativa legislativa dello Stato e delle regioni fino
all'entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento
definira' i nuovi principi fondamentali».
Le predette norme, da interpretare conformemente all'art. 117,
terzo comma, secondo periodo, della Costituzione, confermano, dunque,
quanto si e' detto supra, e cioe' che, nelle materie di potesta'
legislativa concorrente, lo Stato deve, ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, Cost., determinare (espressamente, come afferma l'art. 1,
comma 3, della legge c.d. La loggia) i principi fondamentali.
12.4. - D'altra parte, in via ulteriormente subordinata, ammesso e
non concesso che lo Stato possa demandare alla regione
l'individuazione dei principi fondamentali disciplinatori di una
materia di potesta' legislativa concorrente, come ha fatto con l'art.
2, comma 600, della legge finanziaria per l'anno 2008, non v'e' chi
non veda che lo Stato, imponendo alle regioni, alle province autonome
e agli enti del Servizio sanitario nazionale di attuare i principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica desumibili dai
commi dal 588 al 602 dell'art. 2 della legge finanziaria per l'anno
2008, finisce, nei fatti, per individuare singole voci di spesa da
limitare, in palese contrasto sia con l'art. 117, terzo comma, Cost.,
che impone che lo Stato, nelle materie di potesta' legislativa
concorrente, quale e', per l'appunto, il «coordinamento della finanza
pubblica», si limiti a fissare norme di principio, sia con l'art. 119
Cost., che garantisce piena autonomia di spesa alle Regioni,
autonomia che si traduce nello scegliere quali spese limitare a
vantaggio di altre.
Codesto ecc.mo Collegio, infatti, ha ritenuto che le misure di
coordinamento della finanza pubblica finalizzate al rispetto dei
vincoli comunitari di politica economica di cui al Trattato di
Maastricht (artt. 98 e ss.), prima, e al Patto di stabilita' e
crescita (Risoluzione del Consiglio europeo di Amsterdam del 17
giugno 1997 e Regolamenti Ce nn. 1466 e 1467 del 1997 e ss. mm. ii.),
poi, in tanto possano considerarsi conformi al dettato
costituzionale, ed, in particolare, agli articoli 117 e 119 della
Costituzione, in quanto abbiano ad oggetto il saldo di bilancio,
potendosi ammettere, eventualmente, limiti alla crescita della spesa,
solo ed esclusivamente, «in via transitoria ed in vista degli
specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti
dal legislatore statale» (in questo senso, Corte cost., sent., 26
gennaio 2004, n. 36).
Esso ha riconosciuto, inoltre, che, ove previsto, il limite alla
spesa, al fine di essere conforme a Costituzione, deve tradursi in un
«limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»
(cosi' Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36).
Di conseguenza, quando, come avviene nel caso di specie, si adotta
una norma che, per come e' strutturata, finisce per prevedere limiti
all'entita' di una singola voce di spesa, quella norma e' in palese
contrasto sia con l'art. 117, terzo comma, Cost., da cui si ricava
che lo Stato deve fissare solo i principi fondamentali della materia
«coordinamento della finanza pubblica», sia con l'art. 119 Cost. da
cui si ricava che le regioni hanno autonomia di spesa (Corte cost.,
sentenze 17 dicembre 2004, n. 390; 14 novembre 2005, n. 417; 15
dicembre 2005, n. 449; 10 marzo 2006, n. 88; 17 maggio 2007, n. 169).
12.5. - Da quanto da ultimo detto, consegue, comunque, de plano,
la violazione dell'art. 118 Cost. sull'autonomia amministrativa.
12.6. - Pertanto si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 600,
della legge 24 dicembre 2007, n. 244 per contrasto con gli artt. 117,
quarto comma, 118 e 119 della Costituzione e, in via subordinata, per
violazione dell'art. 117, terzo comma, secondo periodo, della
Costituzione e, in via ulteriormente subordinata, per contrasto con
gli arti. 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione.
13. - L'art. 3, commi dal 27 al 32, dispone quanto segue: «Al fine
di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165, non possono costituire societa' aventi per oggetto attivita'
di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il
perseguimento delle proprie finalita' istituzionali, ne' assumere o
mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di
minoranza, in tali societa'. E' sempre ammessa la costituzione di
societa' che producono servizi di interesse generale e l'assunzione
di partecipazioni in tali societa' da parte delle amministrazioni di
cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165, nell'ambito dei rispettivi livelli di competenza [comma 27].
L'assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle
attuali devono essere autorizzati dall'organo competente con delibera
motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma
27 [comma 28].
Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad
evidenza pubblica, cedono a terzi le societa' e le partecipazioni
vietate ai sensi del comma 27 [comma 29].
Le amministrazioni che, nel rispetto del comma 27, costituiscono
societa' o enti, comunque denominati, o assumono partecipazioni in
societa', consorzi o altri organismi, anche a seguito di processi di
riorganizzazione, trasformazione o decentramento, adottano, sentite
le organizzazioni sindacali per gli effetti derivanti sul personale,
provvedimenti di trasferimento delle risorse umane, finanziarie e
strumentali in misura adeguata alle funzioni esercitate mediante i
soggetti di cui al presente comma e provvedono alla corrispondente
rideterminazione della propria dotazione organica [comma 30].
Fino al perfezionamento dei provvedimenti di rideterminazione di
cui al comma 30, le dotazioni organiche sono provvisoriamente
individuate in misura pari al numero dei posti coperti al 31 dicembre
dell'anno precedente all'istituzione o all'assunzione di
partecipazioni di cui al comma 30, tenuto anche conto dei posti per i
quali alla stessa data risultino in corso di espletamento procedure
di reclutamento, di mobilita' o di riqualificazione del personale,
diminuito delle unita' di personale effettivamente trasferito [comma
31]».
13.1. - Le norme in esame, in realta', nella parte in cui si
indirizzano anche alle regioni (ricomprese nell'elenco delle
pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs.
n. 165 del 2001), finiscono per interferire con la materia
«organizzazione amministrativa della regione», che, non essendo
elencata ne' tra le materie di cui all'art. 117, secondo comma, Cost.
(materie di potesta' legislativa esclusiva dello Stato), ne' tra le
materie di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. (materie di potesta'
legislativa concorrente), deve essere ascritta alla potesta'
legislativa residuale della regione.
Esse, pertanto, violano l'art. 117, quarto comma, Cost.
13.2. - Alla violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost.,
consegue, de plano, la violazione dell'art. 118 Cost.
13.3. - Ammesso pure che l'intervento di cui alle norme in esame
debba essere inquadrato (come il legislatore statale mostra) nella
materia, di potesta' legislativa esclusiva dello Stato, «tutela della
concorrenza» (art. 117, secondo comma, lett. e), non e' chi non veda
che, comunque, questa materia interferisce, nel caso de quo, con la
materia di cui supra («organizzazione amministrativa della regione»),
spettante alla potesta' legislativa residuale della regione.
In questo senso, allora, in via subordinata, non possono che
censurarsi le norme in esame per violazione del principio di leale
collaborazione, che, come noto, si ricava dagli artt. 5 e 120,
secondo comma, della Costituzione e dall'art. 11 della legge
costituzionale n. 3 del 2001.
Si e' gia' detto supra che codesto ecc.mo Collegio ha in diverse
occasioni giustamente riconosciuto che «la complessita' della realta'
sociale da regolare comporta che, di frequente, le normative non
possano essere riferite nel loro insieme ad una sola materia, perche'
concernono situazioni non omogenee, ricomprese in materie diverse
sotto il profilo della competenza legislativa» (Corte cost., sent.,
31 marzo 2006, n. 133). Conseguentemente, esso ha ritenuto quanto
segue: «"Per le ipotesi in cui ricorra una ‘concorrenza di
competenze', la Costituzione non prevede espressamente un criterio di
composizione delle interferenze. In tal caso - ove (...) non possa
ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad
altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa - si
deve ricorrere al canone della ‘leale collaborazione', che impone
alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di
coinvolgimento delle regioni, a salvaguardia delle loro competenze"
(sentenze nn. 50 e 219 del 2005). (...) "a tal fine l'individuazione
della disciplina piu' congrua compete alla discrezionalita' del
legislatore''» (cosi' Corte cost., sentenza 18 giugno 2007, n. 201).
13.4. - Pertanto si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi dal 27
al 32, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui si
indirizzano alle Regioni, per contrasto con gli artt. 117, quarto
comma, e 118 della Costituzione e, in via subordinata, per violazione
del principio di leale collaborazione tra Stato e regione, principio
desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, della
Costituzione e dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3.
14. - L'art. 3, comma 79, della legge finanziaria per l'anno 2008
dispone quanto segue: «L'art. 36 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, e' sostituito dal seguente:
"Art. 36. (Utilizzo di contratti di lavoro flessibile). - 1. Le
pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di
lavoro subordinato a tempo indeterminato e non possono avvalersi
delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dal codice
civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa
se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre
mesi, fatte salve le sostituzioni per maternita' relativamente alle
autonomie territoriali. Il provvedimento di assunzione deve contenere
l'indicazione del nominativo della persona da sostituire.
2. In nessun caso e' ammesso il rinnovo del contratto o l'utilizzo
del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale.
3. Le amministrazioni fanno fronte ad esigenze temporanee ed
eccezionali attraverso l'assegnazione temporanea di personale di
altre amministrazioni per un periodo non superiore a sei mesi, non
rinnovabile.
4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 non possono essere
derogate dalla contrattazione collettiva.
5. Le amministrazioni pubbliche trasmettono alla Presidenza del
Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al
Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della
Ragioneria generale dello Stato le convenzioni concernenti l'utilizzo
dei lavoratori socialmente utili.
6. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative
riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle
pubbliche amministrazioni, non puo' comportare la costituzione di
rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche
amministrazioni, ferma restando ogni responsabilita' e sanzione. Il
lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante
dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.
Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a
tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la
violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. Le amministrazioni
pubbliche che operano in violazione delle disposizioni di cui al
presente articolo non possono effettuare assunzioni ad alcun titolo
per il triennio successivo alla suddetta violazione.
7. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano
agli uffici di cui all'articolo 14, comma 2, del presente decreto,
nonche' agli uffici di cui all'articolo 90 del testo unico di cui al
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Sono altresi' esclusi i
contratti relativi agli incarichi dirigenziali ed alla
predisposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo
delle amministrazioni pubbliche, ivi inclusi gli organismi operanti
per le finalita' di cui all'articolo 1 della legge 17 maggio 1999,
n. 144.
8. Per l'attuazione di programmi e progetti di tutela e
valorizzazione delle aree marine protette di cui alle leggi 31
dicembre 1982, n. 979, e 6 dicembre 1991, n. 394, il parco nazionale
dell'arcipelago della Maddalena, di cui alla legge 4 gennaio 1994,
n. 10, e gli enti cui e' delegata la gestione ai sensi dell'articolo
2, comma 37, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, e successive
modificazioni, sono autorizzati, in deroga ad ogni diversa
disposizione, ad assumere personale con contratto di lavoro a tempo
determinato, della durata massima di due anni eventualmente
rinnovabili, nel contingente complessivo stabilito con disposizione
legislativa e ripartito tra gli enti interessati con decreto del
Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica
amministrazione, su proposta del Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze. In prima applicazione, il predetto
contingente e' fissato in centocinquanta unita' di personale non
dirigenziale alla cui copertura si provvede prioritariamente con
trasformazione del rapporto di lavoro degli operatori attualmente
utilizzati con contratti di lavoro flessibile.
9. Gli enti locali non sottoposti al patto di stabilita' interno e
che comunque abbiano una dotazione organica non superiore alle
quindici unita' possono avvalersi di forme contrattuali di lavoro
flessibile, oltre che per le finalita' di cui al comma 1, per la
sostituzione di lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto
alla conservazione del posto, sempreche' nel contratto di lavoro a
termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa
della sostituzione.
10. Gli enti del Servizio sanitario nazionale, in relazione al
personale medico, con esclusivo riferimento alle figure infungibili,
al personale infermieristico ed al personale di supporto alle
attivita' infermieristiche, possono avvalersi di forme contrattuali
di lavoro flessibile, oltre che per le finalita' di cui al comma 1,
per la sostituzione di lavoratori assenti o cessati dal servizio
limitatamente ai casi in cui ricorrano urgenti e indifferibili
esigenze correlate alla erogazione dei livelli essenziali di
assistenza, compatibilmente con i vincoli previsti in materia di
contenimento della spesa di personale dall'articolo 1, comma 565,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
11. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di contratti di
lavoro flessibile per lo svolgimento di programmi o attivita' i cui
oneri sono finanziati con fondi dell'Unione europea e del Fondo per
le aree sottoutilizzate. Le universita' e gli enti di ricerca possono
avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di
progetti di ricerca e di innovazione tecnologica i cui oneri non
risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del
Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di finanziamento
ordinario delle universita'. Gli enti del Servizio sanitario
nazionale possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo
svolgimento di progetti di ricerca finanziati con le modalita'
indicate nell'articolo 1, comma 565, lettera b), secondo periodo,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296. L'utilizzazione dei lavoratori,
con i quali si sono stipulati i contratti di cui al presente comma,
per fini diversi determina responsabilita' amministrativa del
dirigente e del responsabile del progetto. La violazione delle
presenti disposizioni e' causa di nullita' del provvedimento"».
14.1. - La norma in esame, nella parte in cui si indirizza anche
alle regioni, viola l'art. 117, quarto comma, Cost., poiche' finisce
per intervenire in una materia, quella dell'«organizzazione
amministrativa della regione e del personale regionale e degli enti
strumentali, ivi compresi gli enti del Servizio sanitario nazionale»,
che, non essendo elencata ne' tra quelle di potesta' legislativa
esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.), ne' tra
quelle di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma,
Cost.), non puo' che essere ascritta alla potesta' legislativa
residuale della regione.
14.2. - D'altra parte, anche ammettendo che la norma de qua debba
essere inquadrata, con riguardo alla parte in cui si indirizza alle
regioni, nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»,
materia di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma,
Cost.), essa, comunque, visto il suo carattere dettagliato, viola
l'art. 117, terzo comma, Cost. che impone che, nelle materie di
potesta' legislativa concorrente, lo Stato si limiti a determinare i
principi fondamentali regolatori della materia.
14.3. - Sia che la norma venga inquadrata nell'una materia (di
potesta' legislativa residuale), sia che venga inquadrata nell'altra
(di potesta' legislativa concorrente), essa comunque viola l'art. 119
Cost.
Avendosi qui per richiamate le considerazioni svolte a margine
dell'impugnazione dell'art. 2, comma 600, della legge finanziaria per
l'anno 2008, ci si limita a ribadire che una norma come quella di cui
all'art. 3, comma 79, della legge finanziaria per l'anno 2008, nel
porre limiti a singole determinate voci di spesa, viola l'art. 119
Cost., che, garantendo piena autonomia di spesa alle regioni,
conferisce loro la liberta' di scegliere quali spese limitare a
vantaggio di altre.
14.4. - Da quanto detto, quale che sia la materia nella quale si
inquadra la norma de qua nella parte in cui si indirizza alle
regioni, ne consegue, in ogni caso, de plano, la violazione dell'art.
118 Cost.
14.5. - Con riguardo, in particolare, al comma 10 dell'art. 36 del
d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dall'art. 3, comma 79, della
legge finanziaria per l'anno 2008, non puo' non rilevarsi, inoltre,
la violazione degli artt. 32 e 97, comma 1, della Costituzione, che -
come noto - tutelano, rispettivamente, «la salute come fondamentale
diritto dell'individuo e interesse della collettivita» e il «buon
andamento (...) dell' amministrazione».
14.6. - Pertanto si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 79,
della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui si indirizza
alle regioni, per contrasto con gli artt. 32, 117, quarto comma, 118
e 119 della Costituzione e, in via subordinata, per violazione degli
artt. 32, 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione.
P. Q. M.
Si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 17, 18, 19, 20,
21, 22, 35, 36, 46, 47, 48, 49, 158 lett. a), 165, 194, 195, 279,
280, 417, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424, 425, 458, 459, 460, 462,
474, 600 e dell'art. 3, commi 27, 28, 29, 30, 31, 32, 79, 162 della
legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2008)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28
dicembre 2007 - S.O. n. 285/L, per violazione degli artt. 3, 32, 97,
117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, secondo comma, della
Costituzione e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Si allega deliberazione della Giunta della Regione Veneto n. 214
del 12 febbraio 2008 recante l'autorizzazione alla proposizione del
ricorso.
Padova - Venezia - Roma, addi' 25 febbraio 2008
Avv. prof.
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