N.   19  RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 marzo 2008.
 
  Ricorso  per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 5 marzo 2008 (della Regione Veneto)
  
(GU n. 16 del 9-4-2008)

   Ricorso  per  la  Regione  Veneto,  in  persona del Presidente pro
tempore  della  Giunta  regionale, autorizzato mediante deliberazione
della  Giunta  stessa  del  12 febbraio 2008, n. 214, rappresentata e
difesa,  come  da procura speciale a margine del presente atto, dagli
avv.   prof.   Mario  Bertolissi  del  Foro  di  Padova,  Ezio  Zanon
dell'Avvocatura  regionale  e  Luigi  Manzi  del Foro di Roma, presso
quest'ultimo  domiciliata  in  Roma,  alla via Federico Confalonieri,
n. 5;  contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore,
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la  quale  e'  domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi,
n. 12,  per  la  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale per
violazione  degli artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione,
nonche'  del  principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e
120,   secondo   comma,   della   Costituzione   e   11  della  legge
costituzionale  18 ottobre 2001, n. 3; dell'art. 2, commi 17, 18, 19,
20, 21, 22, 35, 36, 46, 47, 48, 49, 158 lett. a), 165, 194, 195, 279,
280, 417, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424, 425, 458, 459, 460, 462,
474,  600  e dell'art. 3, commi 27, 28, 29, 30, 31, 32, 79, 162 della
legge   24  dicembre  2007,  n. 244,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione  del  bilancio  annuale  e  pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2008)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28
dicembre 2007 - S.O. n. 285/L.
                           Fatto e Diritto
   1.  - La legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria  2008)»,  contiene  norme che, secondo la Regione Veneto,
contrastano  con  la  Costituzione  e  ledono l'autonomia legislativa
(art. 117 Cost.), amministrativa (art. 118 Cost.) e finanziaria (art.
119  Cost.) regionale, oltre che il principio di leale collaborazione
tra Stato e Regione, desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120,
secondo  comma,  Cost.  e  dall'art. 11 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3.
   Ancora  una  volta,  dunque,  la  legge  finanziaria  dello  Stato
(rectius  parte delle disposizioni normative in essa contenute) viene
portata   all'attenzione   di   codesto  ecc.mo  giudice,  nella  sua
disorganicita'   ed  eterogeneita'  (caratteri  che  si  riverberano,
inevitabilmente,  -  anche se di questo ci si scusa - nella struttura
del  presente  ricorso),  perche'  nel  suo  potere  di  sindacare la
legittimita'  costituzionale  delle  norme  di legge restituisca alle
regioni almeno un po' dell'autonomia che la Costituzione ha disegnato
per esse e che lo Stato e' deciso a calpestare.
   Si  osservi,  in via generale ed introduttiva rispetto a quanto si
verra'  dicendo  successivamente,  che  non puo' certamente rivestire
alcun significato una norma come quella di cui all'art. 3, comma 162,
della legge finanziaria per l'anno 2008, secondo cui «le disposizioni
della  presente  legge  costituiscono  norme  di  coordinamento della
finanza pubblica per gli enti territoriali».
   Non  e'  superfluo  osservare, infatti, che il legislatore statale
non  puo'  certo  ritenere  che sia sufficiente etichettare una norma
(rectius tutte le norme della legge finanziaria per l'anno 2008) come
«di  coordinamento  della finanza pubblica» perche' questa (o queste)
assuma(no)  effettivamente  tale  carattere.  Viceversa,  perche' una
norma  statale sia di coordinamento della finanza pubblica, essa deve
essere  di  principio, e questo ai sensi di quanto disposto dall'art.
117,  terzo  comma,  Cost.,  secondo  cui  lo  Stato,  nella  materia
«armonizzazione  dei  bilanci  pubblici e coordinamento della finanza
pubblica  e  del  sistema tributario», deve limitarsi a determinare i
soli principi fondamentali regolatori della materia.
   Ebbene, le norme contenute nella legge finanziaria per l'anno 2008
non   possono   certamente   dirsi   tutte   norme  di  principio  di
coordinamento della finanza pubblica.
   Come  dire,  insomma,  che  non  puo' certo valere il motto latino
secondo cui nomen est homen.
   2. - Si vengono di seguito specificamente a considerare le censure
relative  alla  disciplina posta dal legislatore statale con riguardo
alle  Comunita' montane, non prima, pero', di aver riportato il testo
delle  disposizioni  impugnate,  ossia dell'articolo 2, commi da 17 a
22.
   Il  primo  comma  di  interesse  e' il numero 17, secondo cui: «Le
regioni,  al  fine di concorrere agli obiettivi di contenimento della
spesa  pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della
presente  legge,  provvedono  con  proprie  leggi, sentiti i consigli
delle  autonomie locali, al riordino della disciplina delle comunita'
montane,  ad  integrazione  di quanto previsto dall'art. 27 del testo
unico  delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti  locali, di cui al
decreto  legislativo  18  agosto  2002,  n. 267, in modo da ridurre a
regime la spesa corrente per il funzionamento delle comunita' montane
stesse  per  un importo pari almeno ad un terzo della quota del fondo
ordinario  di  cui al comma 16, assegnata per l'anno 2007 all'insieme
delle comunita' montane presenti nella regione».
   Il comma 18 prevede, poi, che: «Le leggi regionali di cui al comma
17 tengono conto dei seguenti principi fondamentali: a) riduzione del
numero  complessivo delle comunita' montane, sulla base di indicatori
fisico-geografici,  demografici  e  socio-economici e in particolare:
della   dimensione   territoriale,   della   dimensione  demografica,
dell'indice   di   vecchiaia,   del   reddito   medio   pro   capite,
dell'acclivita'  dei terreni, dell'altimetria del territorio comunale
con  riferimento  all'arco  alpino  e  alla  dorsale appenninica, del
livello  dei  servizi,  della  distanza  dal capoluogo di provincia e
delle  attivita'  produttive  extra-agricole; b) riduzione del numero
dei  componenti degli organi rappresentativi delle comunita' montane;
c)  riduzione  delle  indennita' spettanti ai componenti degli organi
delle comunita' montane, in deroga a quanto previsto dall'art. 82 del
citato  testo  unico  di  cui  al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, e successive modificazioni».
   Segue  il  comma 19: «I criteri di cui al comma 18 valgono ai fini
della  costituzione  delle comunita' montane e non rilevano in ordine
ai  benefici  e  agli  interventi  speciali per la montagna stabiliti
dall'Unione europea e dalle leggi statali e regionali».
   Mentre  al comma 20 si precisa che: «In caso di mancata attuazione
delle  disposizioni di cui al comma 17 entro il termine ivi previsto,
si  producono  i  seguenti  effetti:  a)  cessano di appartenere alle
comunita'  montane i comuni capoluogo di provincia, i comuni costieri
e  quelli  con  popolazione  superiore  ai  20.000  abitanti; b) sono
soppresse  le  comunita'  montane  nelle  quali  piu' della meta' dei
comuni  non  sono  situati  per  almeno  1'80  per  cento  della loro
superficie  al  di  sopra di 500 metri di altitudine sopra il livello
del  mare  ovvero  non sono comuni situati per almeno il 50 per cento
della  loro  superficie  al  di  sopra di 500 metri di altitudine sul
livello  del  mare e nei quali il dislivello tra la quota altimetrica
inferiore  e  la  superiore non e' minore di 500 metri; nelle regioni
alpine  il  limite  minimo  di altitudine e il dislivello della quota
altimetrica, di cui al periodo precedente, sono di 600 metri; c) sono
altresi'  soppresse le comunita' montane che, anche in conseguenza di
quanto  disposto  nella  lettera  a), risultano costituite da meno di
cinque  comuni,  fatti  salvi i casi in cui per la conformazione e le
caratteristiche  del  territorio  non  sia  possibile  procedere alla
costituzione  delle  stesse  con almeno cinque comuni, fermi restando
gli obiettivi di risparmio; d) nelle rimanenti comunita' montane, gli
organi  consiliari  sono  composti  in  modo da garantire la presenza
delle  minoranze, fermo restando che ciascun comune non puo' indicare
piu'  di  un  membro.  A  tal  fine  la  base  elettiva e' costituita
dall'assemblea  di  tutti  i  consiglieri  dei  comuni,  che elegge i
componenti dell'organo consiliare con voto limitato.
   Gli  organi  esecutivi  sono  composti  al massimo da un terzo dei
componenti l'organo consiliare».
   Questa,  invece,  la  previsione  di cui al comma 21: «L'effettivo
conseguimento  delle  riduzioni  di  spesa  di  cui  al  comma  17 e'
accertato,  entro il 31 luglio 2008, sulla base delle leggi regionali
promulgate   e  delle  relative  relazioni  tecnico-finanziarie,  con
decreto  del  Presidente  del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministro  dell'economia e delle finanze e del Ministro per gli affari
regionali   e   le  autonomie  locali,  sentite  le  singole  regioni
interessate.  Gli  effetti di cui al comma 20 si producono dalla data
di pubblicazione del predetto decreto».
   Infine,  il  comma  22  stabilisce  che:  «Le regioni provvedono a
disciplinare   gli   effetti   conseguenti   all'applicazione   delle
disposizioni  di  cui  ai  commi  17,  18 e 20 ed in particolare alla
soppressione   delle  comunita'  montane,  anche  con  riguardo  alla
ripartizione  delle risorse umane, finanziarie e strumentali, facendo
salvi i rapporti di lavoro, a tempo indeterminato esistenti alla data
di  entrata  in  vigore  della  presente  legge.  Sino all'adozione o
comunque  in  mancanza  delle predette discipline regionali, i comuni
succedono  alla  comunita'  montana  soppressa  in  tutti  i rapporti
giuridici e ad ogni altro effetto, anche processuale, ed in relazione
alle obbligazioni si applicano i principi della solidarieta' attiva e
passiva»
   In sostanza, con le disposizioni impugnate, il legislatore statale
impone  alle  regioni  di  effettuare, con proprie leggi, un riordino
della  disciplina  delle comunita' montane, ad integrazione di quanto
previsto  dall'art.  27  del testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli  enti  locali  (d.lgs.  n. 267/2000),  sulla  base di «principi
fondamentali»  contestualmente  dettati.  Cio'  al fine di ridurre la
spesa  corrente  per il funzionamento di un importo pari ad almeno un
terzo  della  quota  del fondo ordinario statale assegnato per l'anno
2007 all'insieme delle Comunita' montane presenti nella regione.
   Al  comma  20,  poi,  lo  Stato  prevede  una  peculiare  forma di
intervento  sostitutivo-sanzionatorio:  ove,  infatti, le regioni non
dovessero  provvedere  al  suddetto riordino nel breve termine di sei
mesi dall'entrata in vigore della legge finanziaria, sono previste la
modificazione  e,  in  alcuni  casi,  la  soppressione  ex lege delle
comunita' montane secondo i criteri indicati allo stesso comma.
   Inoltre,  mentre  il comma 21 si preoccupa di stabilire il termine
di  verifica  dell'effettivo  conseguimento  delle riduzioni di spesa
richieste,  la  disposizione di cui al comma 22 prevede che spettera'
alle  regioni  disciplinare  gli effetti conseguenti all'applicazione
della  normativa introdotta dal legislatore nazionale sulle comunita'
montane,  anche  ai  fini  della loro soppressione, con riguardo alla
ripartizione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, salvando
comunque  i  rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti al 1°
gennaio 2008.
   Il  comma  22  precisa,  infine, che fino all'adozione delle leggi
regionali,  o  comunque  in  mancanza  di  queste, saranno i comuni a
succedere  alle  comunita'  montane  soppresse  in  tutti  i rapporti
giuridici di natura sostanziale e/o processuale.
   La  Regione  Veneto  ritiene  che  il  complesso  normativo appena
richiamato  non  sia  conforme  a Costituzione e, in particolare, che
esso  violi  gli  artt.  3,  97,  117,  118  e  119 Cost., nonche' il
principio di leale collaborazione.
   2.1.  -  Prima di procedere oltre nell'illustrazione delle singole
censure  prospettate,  sembra  opportuno premettere un breve excursus
relativo  alla  nascita,  alla  disciplina  e  all'inquadramento  nel
sistema costituzionale delle Comunita' montane, che - come risulta da
quanto   fino  ad  ora  ricordato  -  costituiscono  l'oggetto  delle
previsioni impugnate.
   Se  la prima legge ordinaria nella quale - in ossequio al disposto
di  cui  all'art. 44, ultimo comma, Cost. - si ritrova traccia di una
particolare  attenzione  ai  territori  montani e' la legge 25 luglio
1952,  n. 991,  il  primo  fondamento normativo, seppur solo di fonte
regolamentare,  di  enti precipuamente montani si ha con il d.P.R. 10
giugno 1955, n. 987.
   Si  trattava  di  un  regolamento  in materia di decentramento dei
servizi  del  Ministero  dell'agricoltura  e  delle  foreste, in cui,
all'art.  13,  si disponeva che i comuni compresi in tutto o in parte
nel  perimetro  di  una  zona  montana  potessero  costituirsi  in un
consorzio  a  carattere permanente, denominato «Consiglio di valle» o
«Comunita' montana».
   Successivamente   il   programma   economico   nazionale   per  il
quinquennio   1966-1970,   approvato   con  legge  n. 685  del  1967,
segnalava,  al punto 161, la necessita', tra l'altro, che per le zone
di   montagna   si  provvedesse  a  «riconoscere,  nel  quadro  della
programmazione  regionale,  la  comunita'  montana  e il consiglio di
valle,   opportunamente   integrato  da  altri  enti  consortili  ivi
operanti,  come  organo  locale  della  programmazione decisionale ed
operativa»
   Con  legge  3 dicembre 1971, n. 1102 venivano create, con fonte di
rango   primario,   le  comunita'  montane.  Piu'  precisamente,  nel
provvedimento   legislativo   ricordato,   ribaditi   i   criteri  di
classificazione   dei  territori  montani  di  cui  al  provvedimento
legislativo del 1952, e stabilito, inoltre, l'obbligo di suddividere,
con  legge  regionale,  tali  territori,  in zone omogenee secondo un
principio di unita' territoriale ed economica, veniva, per l'appunto,
istituita una comunita' montana per ciascuna unita' omogenea.
   Per  quanto  attiene, in modo particolare, la Regione Veneto, essa
ha  dato  tempestiva  attuazione  alla legge statale n. 1102 del 1971
mediante  due  leggi regionali, le nn. 10 e 11 del 1973, con le quali
ha  delimitato e regolamentato il funzionamento di diciotto comunita'
montane.   A  queste,  con  legge  regionale  3  luglio  1992,  n. 19
(modificata  in modo incisivo, poi, dalla legge regionale 9 settembre
1999,   n. 39,   ma   tutt'oggi   in   vigore),  si  e'  aggiunta  la
diciannovesima comunita'.
   Successivamente una definizione compiuta delle comunita' montane e
delle  relative funzioni a livello statale e' stata fornita dall'art.
28  della  legge 8 giugno 1990, n. 142 e dall'art. 27 del testo unico
sull'ordinamento degli enti locali, ossia il tutt'oggi vigente d.lgs.
18 agosto 2000, n. 267.
   Nonostante  gli  auspici  di  parte della dottrina, favorevolmente
colpita  dai  risultati raggiunti nelle zone montane mediante la loro
istituzione,  il  legislatore  costituzionale  non approfittava della
riforma  del  2001  per  annoverare le comunita' montane tra gli enti
che,  ai  sensi  dell'art.  114  Cost., nuovo testo, costituiscono la
Repubblica.
   Cosi',  pur  godendo di una sicura copertura costituzionale (ossia
quella  derivante,  se  non  altro,  dal disposto di cui all'art. 44,
ultimo comma, Cost.), si e' posto il problema della loro collocazione
nell'ambito  del sistema delle autonomie venuto a definirsi a seguito
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
   La questione e' stata risolta da codesta ecc.ma Corte, la quale ha
rilevato quanto segue: «l'evoluzione della legislazione in materia si
caratterizza  per  il  riconoscimento  alla  Comunita'  montana della
natura  di  ente  locale autonomo, quale proiezione dei comuni che ad
essa  fanno  capo  (...).  La  piu'  recente  normativa ha, altresi',
specificato  quale  sia  la  effettiva natura giuridica di tali enti,
qualificandoli    dapprima    quali    "unioni   montane"   (...)   e
successivamente  quali  "unioni di comuni, enti locali costituiti fra
comuni  montani''».  Le  comunita'  montane  sono,  dunque,  un «caso
speciale  di  unioni  di comuni, create in vista della valorizzazione
delle  zone  montane, allo scopo di esercitare, in modo piu' adeguato
di  quanto  non  consentirebbe  la frammentazione dei comuni montani,
"funzioni   proprie",  "funzioni  conferite"  e  "funzioni  comunali"
(sentenza n. 229 del 2001)» (cfr. Corte cost., sent., 24 giugno 2005,
n. 244;  ma  nel medesimo senso anche Corte cost., sent., 23 dicembre
2005, n. 456).
   2.2.  - Fatta questa premessa di inquadramento generale, e' giunto
il  momento di concentrare l'attenzione sul complesso di disposizioni
normative impugnate.
   Esso   e'   chiaramente   ispirato   ad   una  duplice  finalita':
istituzionale,  di riordino della disciplina delle comunita' montane,
e   finanziaria,   ossia   di   riduzione  della  spesa  corrente  di
funzionamento delle comunita' stesse.
   E'  evidente,  altresi',  che la finalita' istituzionale si trova,
nei  confronti  della  finalita' di natura finanziaria in rapporto di
mezzo a fine.
   Sembra  opportuno,  per  questo,  procedere  trattando prima della
disciplina di riordino delle comunita' montane imposta alle regioni e
dei  relativi  profili  di  illegittimita'  costituzionale  (2.2.1  e
2.2.2),  per  passare  poi  a denunciare le molteplici violazioni del
testo  costituzionale  perpetrate  dalla  previsione  dell'intervento
sostitutivo-sanzionatorio  di  cui  ai  commi  20, 21 e 22 (2.2.3), e
proseguire  evidenziando  i  profili  lesivi dell'autonomia regionale
rilevati  con  riguardo  all'imposizione di una riduzione della spesa
(2.2.4)  ed,  infine,  rilevare  le  molteplici  violazioni del testo
costituzionale  derivanti  dalla  previsione  del subentro dei comuni
alle comunita' soppresse, di cui al comma 22 (2.2.5).
   2.2.1.  -  La  materia  cui  afferiscono  le  previsioni normative
impugnate e' incontestabilmente quella delle «comunita' montane».
   Codesta   ecc.ma  Corte  ha  chiarito  che  «la  disciplina  delle
Comunita'   montane   (...)   rientra  nella  competenza  legislativa
residuale  delle  Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma, della
Costituzione»  (Corte  cost.,  sent.,  24 giugno 2005, n. 244 e Corte
cost., sent., 23 dicembre 2005, n. 456).
   Quello  delle  comunita'  montane  e', dunque, un ambito in cui la
regione  ha  potesta'  esclusiva,  con  la  conseguenza  che non puo'
ritenersi   conforme  a  Costituzione  l'intervento  del  legislatore
nazionale   sul  punto,  anche  se  limitato  a  porre  dei  principi
fondamentali.  Di piu': la Corte costituzionale ha affermato che: «ai
fini dello scrutinio di costituzionalita' delle norme regionali (...)
non   puo'   neanche   farsi  utile  riferimento  (...)  ai  principi
fondamentali  che  sarebbero desumibili dalla legislazione statale, e
segnatamente  dal  d.lgs.  n. 267  del  2000 in materia di disciplina
delle  autonomie  locali:  e  cio'  perche',  vertendosi  in  materia
rientrante nella competenza residuale delle regioni, non puo' trovare
applicazione la disposizione di cui all'art. 117, terzo comma, ultima
parte,  della Costituzione, la quale presuppone, invece, che si verta
nelle  materie  di  legislazione concorrente» (Corte cost., sent., 23
dicembre 2005, n. 456).
   Deve  poi  considerarsi  che,  se  in  ordine  alla disciplina del
funzionamento  delle Comunita' montane indubbiamente competente e' la
legge regionale, con esclusione della competenza esclusiva statale ex
art.  117,  secondo comma, lett. p) (dal momento che quest'ultimo «fa
espresso   riferimento   ai  comuni,  alle  province  e  alle  citta'
metropolitane  e  l'indicazione  deve  ritenersi tassativa», cosi' in
Corte   cost.,   sent.   24  giugno  2005,  n. 244),  in  materia  di
organizzazione delle stesse persino il legislatore regionale soggiace
a dei limiti.
   Come codesto ecc.mo Giudice delle leggi ha, infatti, riconosciuto,
in  capo  alle comunita' montane, accanto alle funzioni conferite con
legge  e  a quelle delegate da parte dei comuni associati, si trovano
funzioni  proprie,  ossia  identificative  del tipo di ente in quanto
ente di governo di una determinata comunita'.
   La  presenza  di  funzioni  proprie  costituisce  un limite per il
legislatore  statale  ma anche per quello regionale, che non possono,
nel  definire l'ambito funzionale di ciascun ente, non riconoscere ad
esso dette funzioni. Il riconoscimento di funzioni proprie ad un ente
ne rende costituzionalmente necessaria la presenza.
   Le  stesse comunita' montane, quindi, in quanto dotate di funzioni
proprie,  sono  enti locali necessari e, quindi, non sopprimibili con
legge.
   Con   riguardo  all'organizzazione  di  tali  enti  i  poteri  del
legislatore,  in primis nazionale ma anche regionale, trovano pesanti
limiti:  come  gli  enti  di governo territoriale (comuni, province e
citta' metropolitane) sono dotati di un'ampia autonomia normativa nel
settore  dell'organizzazione,  autonomia garantita costituzionalmente
dall'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,  cosi' e' da ritenere che tale
autonomia sia assorbita anche dalle forme associative degli stesse e,
quindi, dalla comunita' montana.
   Ne  consegue  che la disciplina organizzativa di quest'ultima, nei
limiti dei principi costituzionali di riferimento (e, in particolare,
dell'art.  97  Cost.),  e'  adottata  in  autonomia dagli enti locali
medesimi all'atto di associarsi in Comunita'. E' cosi' che autorevole
dottrina  (cfr. V. Cerulli Irelli, Le comunita' montane, in Relazione
al  Convegno  UNCEM, Roma, 29 settembre 2005) addirittura esclude che
«la  singola  comunita' montana possa essere formata, come avviene in
base alla disciplina vigente, per atto della regione».
   Il  legislatore  della finanziaria per il 2008 ha, invece, preteso
di  intervenire  in  materia  di  comunita'  montane,  da  una parte,
imponendo  alle  regioni  un  riordino  della  materia  e dettando la
disciplina  di  principio alla quale conformarsi nello svolgimento di
tale attivita' (commi 17 e 18); dall'altra, arrogandosi un particolar
potere  sostitutivo-sanzionatorio,  per il caso di mancato intervento
delle regioni, ossia quello di sopprimere ex lege le comunita' (commi
20, 21 e 22).
   Con  riferimento  al primo profilo (in particolare, commi 17 e 18,
ma   anche  22),  si  riscontra  certamente,  sulla  base  di  quanto
antecedentemente   chiarito,  un'indebita  invasione  nella  potesta'
legislativa   esclusiva   delle  regioni  in  materia  di  «Comunita'
montane».
   E - sembra opportuno chiarirlo ora per evitare pretestuose difese,
ma rinviando sul punto anche al paragrafo 1.2.3 - una tale violazione
dell'art.  117  Cost.  non puo' essere scusata invocando il potere di
determinazione  dei  principi  fondamentali  da  parte dello Stato in
materia di «coordinamento della finanza pubblica».
   L'ambito  coperto  da  questa  materia,  di  potesta'  legislativa
concorrente  Stato-Regioni,  non puo', infatti, esser esteso al punto
di ricoprire qualsivoglia previsione legislativa dello Stato centrale
con  ripercussioni  indirette  sulle  finanze  pubbliche e, comunque,
certamente non interventi tanto incisivi sul piano ordinamentale e in
materie  su  cui,  tolto  lo spazio di autonomia dell'ente stesso, la
potesta' legislativa e' esclusiva regionale.
   Giova  ricordare,  inoltre, che negli ambiti di normale competenza
regionale, la possibilita' dello Stato di «chiamare in sussidiarieta»
alcune  funzioni  deve  ritenersi  -  come codesto ecc.mo Collegio ha
ritenuto - rigidamente limitato. Cosi', «e' ammissibile una deroga al
normale  riparto di competenze "solo se la valutazione dell'interesse
pubblico  sottostante  all'assunzione  di funzioni regionali da parte
dello   Stato   sia   proporzionata",   e  "non  risulti  affetta  da
irragionevolezza   alla   stregua   di   uno   scrutinio  stretto  di
costituzionalita'"», in quanto «perche' nelle materie di cui all'art.
117,   terzo   e   quarto  comma,  Cost.,  una  legge  statale  possa
legittimamente  attribuire funzioni amministrative a livello centrale
ed  al  tempo  stesso  regolarne  l'esercizio, e' necessario che essa
innanzitutto  rispetti i principi di sussidiarieta', differenziazione
e   adeguatezza  nella  allocazione  delle  funzioni  amministrative,
rispondendo  ad  esigenze  di esercizio unitario di tali funzioni. E'
necessario,  inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente
pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e
che  risulti  limitata  a  quanto  strettamente indispensabile a tale
fine»  (cosi' Corte cost., sent. 24 giungo 2005, n. 242; Corte cost.,
sent.,  1 ottobre 2003, n. 303 e Corte cost., sent., 13 gennaio 2004,
n. 6).
   Tale  esigenza  di  esercizio  unitario  della  competenza  non e'
prevista  nemmeno  in  accenno  nella disposizione in oggetto, non e'
comunque  esistente  nella  fattispecie in essa prevista e, comunque,
non  e' soddisfatta da una disciplina pertinente e logica con il fine
che  lo  Stato  avesse eventualmente preteso di perseguire, e cio' in
violazione pure dell'art. 3 Cost.
   Nella  denegata e non creduta ipotesi, tuttavia, in cui si dovesse
riconoscere   la  sussistenza  della  necessita'  di  una  disciplina
accentrata nel settore di cui si discute e si volesse ritenere quella
posta  con  i  commi  da  20 a 22 idonea e proporzionata a soddisfare
simile  necessita',  resterebbe palese la violazione del principio di
leale  collaborazione.  Come  la  Corte  adita  ha  in piu' occasioni
chiarito,  infatti,  perche'  l'esigenza  di  esercizio  unitario che
consente  di  attrarre,  insieme  alla funzione amministrativa, anche
quella   legislativa,   possa  «aspirare  a  superare  il  vaglio  di
costituzionalita»  e'  necessaria  la «presenza di una disciplina che
prefiguri  un  iter  in  cui  assumano il dovuto risalto le attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono  essere  condotte  in base al principio di lealta» (cfr. Corte
cost.,  sent., 24 giugno 2005, n. 242; Corte cost., sent., 1° ottobre
2003, n. 303).
   Nella  fattispecie astratta censurata, invece, la Regione si trova
a  subire una disciplina imposta unilateralmente a livello centrale e
cio'  nonostante  i tentativi di concertazione da anni portati avanti
dalla   stessa  Regione  Veneto  e  dall'Unione  Nazionale  Comuni  e
Comunita' Montane (UNCEM) per il riordino delle comunita' montane.
   Infine,   sembra   opportuno  rilevare  che,  comunque,  l'obbligo
generale  di riordino previsto dalla disciplina impugnata, sulla base
dei parametri autoritativamente imposti dallo Stato, oltre che - come
gia'  evidenziato  -lesivo delle competenze regionali disegnate dalla
Costituzione,  appare  molto  difficile  da  realizzare,  non solo in
rapporto  ad  una  razionale  e  storicamente  consolidata situazione
dell'assetto  delle  comunita'  del Veneto, ma anche, soprattutto, in
rapporto ad una corretta considerazione del territorio comprensivo di
aree omogenee sotto il profilo geografico-socio-economico.
   2.2.2.  - Qualche attenzione particolare merita, ora, il comma 19,
nel   quale   si   precisa   che   il   nuovo   assetto  territoriale
richiesto/imposto alle regioni sulla base dei «principi fondamentali»
di  cui  al comma 18 non modifica l'attuale situazione di definizione
di   «montanita»  del  territorio  ai  fini  dei  benefici  stabiliti
dall'Unione europea e dalle leggi regionale e statali.
   Tale  previsione  normativa,  oltre  ad essere viziata di riflesso
dalle   illegittimita'  costituzionali  dei  commi  17  e  18,  viene
censurata   dalla   regione   ricorrente   perche'  irragionevole  ed
inopportuna.
   Con  essa  si crea e si consente la contemporanea sopravvivenza di
molteplici  definizioni  legali  di  «montagna» a evidente detrimento
della coerenza e della sistematicita' dell'ordinamento.
   2.2.3. - Si viene qui a trattare della previsione di un intervento
statale  di  soppressione  delle  comunita'  montane  per  il caso di
mancato   intervento   del   riordino   regionale  entro  il  termine
irragionevolmente  breve  di  appena  sei mesi dall'entrata in vigore
della legge finanziaria (commi 20 e 21, in particolare).
   Sul   punto,   dandosi   per  integralmente  richiamate  tutte  le
considerazioni  e le censure svolte sopra (ed, in particolare, quelle
relative  alla  limitata  possibilita'  per lo Stato di avocare a se'
funzioni  regionali  e alla circostanza per cui le comunita' montane,
in  quanto dotate di funzioni proprie, sono enti necessari e, quindi,
insopprimibili,   anche   con   legge  statale),  preme  sottolineare
l'irrazionalita'  della  previsione  di  una  soppressione ex abrupto
delle comunita' montane.
   Si  consideri,  infatti, che, con la soppressione delle comunita',
verranno  meno  i  numerosi  servizi  da  esse  attualmente erogati a
sostegno  dei  comuni  montani, altrimenti abbandonati (servizi quali
quelli  sociali,  assistenziali, di trasporto scolastico, di raccolta
dei  rifiuti  ecc...),  senza  che  a riguardo il legislatore statale
preveda alcunche'.
   La  disciplina dettata dal legislatore della finanziaria sul punto
e',  infine,  inopportuna,  dal  momento  che,  in non poche realta',
interrompera' traumaticamente quel rapporto di consolidata convivenza
ed  aggregazione tra comuni con esigenze tra loro molto simili che si
e' venuto creando nel tempo e che ha portato meritori risultati sotto
il profilo della tutela della montagna e delle sue popolazioni.
   Da  quanto  gia'  chiarito  e qui evidenziato emerge, tra l'altro,
anche  la significativa violazione dell'autonomia di cui all'art. 118
Cost. perpetrata dalla disciplina in esame.
   2.2.4.  - Come gia' rilevato la seconda finalita' cui la normativa
statale  in  esame  espressamente  si ispira (in realta' l'unico vero
obiettivo del legislatore) e' quella del contenimento della spesa.
   Il  comma  17,  infatti,  impone  alle  Regioni  che  il  riordino
istituzionale  sia  tale da ridurre a regime la spesa corrente per il
funzionamento  delle  comunita' montane per un importo pari ad almeno
un terzo della quota del fondo ordinario di cui all'art. 34, comma 1,
lettera  a),  del  decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n. 504,
assegnata  per l'anno 2007 all'insieme delle comunita' presenti nella
regione.
   Si e' gia' detto come una tale previsione, intervenendo in materia
di «comunita' montane» di riconosciuta potesta' legislativa esclusiva
regionale, violi il dettato dell'art. 117 Cost., e si e' gia' escluso
che   la   necessita'   di  coordinare  le  finanze  pubbliche  possa
legittimare un intervento ordinamentale tanto permeante.
   Si  tratta ora di evidenziare che la previsione di cui al comma 17
non  puo' dirsi conforme al disegno di cui all'art. 117 Cost. neppure
nell'ipotesi in cui si ritenesse invocabile la materia «coordinamento
della  finanza  pubblica»,  di cui al suo terzo comma. Essa, infatti,
imponendo  un  limite  specifico  alla  spesa,  determinato  sia  nel
quantum,   (una   quota   fissa  del  fondo  ordinario  statale)  sia
nell'ambito  di  incidenza (spesa corrente per il funzionamento delle
Comunita),  non  ha  il  carattere  di un «principio fondamentale» e,
dunque,  fuoriesce  dall'ambito riservato allo Stato nelle materie di
potesta' concorrente.
   La  previsione  in  esame  viola,  poi,  anche  l'art.  119  Cost.
L'individuazione  di  singole  voci di spesa da limitare, tra l'altro
predeterminata  nel quantum, infatti, lede l'autonomia finanziaria di
spesa  delle  regioni,  che, invece, devono essere lasciate libere di
scegliere  quali  spese  limitare  a vantaggio di altre (Corte cost.,
sent.,  26 gennaio 2004, n. 36; Corte cost., sent., 17 dicembre 2004,
n. 390;  Corte  cost.,  sent., 14 novembre 2005, n. 417; Corte cost.,
sent.,  15  dicembre 2005, n. 449; Corte cost., sent., 10 marzo 2006,
n. 88).
   Per  sperare  di  superare  il  vaglio  di  costituzionalita',  la
previsione   del  legislatore  statale  si  sarebbe  dovuta  tradurre
nell'imposizione  di  un  «limite  complessivo,  che lascia agli enti
stessi  ampia  liberta'  di  allocazione  delle risorse fra i diversi
ambiti  e  obiettivi  di spesa» (cosi' Corte cost., sent., 26 gennaio
2004,  n. 36),  ma  e'  chiaro  che cosi' non e' avvenuto nel caso di
specie.
   Non  solo:  il  vincolo  alla  spesa,  cosi'  come determinato dal
legislatore  statale,  e'  comunque  viziato  sotto  il profilo della
ragionevolezza.
   Esso,  infatti,  non e' corredato di criteri volti a proporzionare
la  riduzione imposta rispetto alle situazioni attuali di spesa delle
singole  regioni,  mentre  una parametrazione che tenesse conto delle
realta'  peculiari  delle  singole comunita' incise (considerando, ad
esempio,  i  rapporti  spesa corrente-spesa complessiva di bilancio o
spesa    corrente-popolazione    residente/superficie    territoriale
occupata) sarebbe stata non solo opportuna, bensi' necessaria.
   Il  vincolo  alla  spesa,  come (troppo!) spesso accade, e' stato,
inoltre,  «calato»  dall'alto  in  modo  indifferenziato  su tutte le
regioni.   Esso   finisce,  cosi',  paradossalmente  per  penalizzare
maggiormente  le  regioni  che  gia'  sono  intervenute a limitare la
spesa.
   Per  chiarire  questo  punto,  sembra  opportuno  ricordare che la
finanza  delle  comunita'  montane  e'  essenzialmente  derivata:  le
risorse  correnti  provengono  in  primo  luogo  dalle  regioni  (con
196.748.336  euro  di trasferimenti) e, in secondo luogo, dallo Stato
(con   179.250.125  euro  di  trasferimenti)  Dati  reperibili  nella
relazione   «Le  Comunita'  Montane:  continuita'  nella  tradizione,
discontinuita' dell'azione», presentata alla Conferenza programmatica
UNCEM  «Montagna 2015: nuove comunita' montane, nuove alleanze, nuova
UNCEM», L'Aquila, 22-23 novembre 2007.
   Ora,  la Regione Veneto, in adempimento agli obblighi di riduzione
annuale   delle  spese  correnti  imposti  con  le  precedenti  leggi
finanziarie,  ha ridotto il contributo regionale per il funzionamento
delle  comunita'  montane (di cui all'art. 16 della legge regionale 3
luglio  1992,  n. 19)  dall'anno 2004 all'anno 2007 di 410.000 euro a
fronte  di  un  finanziamento  medio  nei  tre anni precedenti pari a
1.000.000 di euro.
   La  richiesta  di  un'ulteriore  e  consistente compressione delle
spese  correnti  di funzionamento, nel caso della regione ricorrente,
comporta,   dunque,   paradossalmente   proprio  a  causa  del  leale
adempimento  agli  obblighi imposti dallo Stato, serie difficolta' di
funzionamento  per  le  comunita'  montane ivi istituite o, comunque,
gravi ed inaccettabili ripercussioni sul loro buon andamento.
   2.2.5.    -    Infine,   alcune   considerazioni   con   riguardo,
specificamente, alla disciplina posta dal comma 22.
   Il  peculiare  fenomeno  ivi previsto, che prevede il subentro dei
comuni  alle soppresse comunita' montane, suscita, infatti, non poche
perplessita' circa la sua conformita' a Costituzione.
   Avendosi  per richiamate tutte le considerazioni svolta finora (in
particolare  quanto  ricordato circa le «funzioni proprie» attribuite
alle  comunita),  si  rileva  qui,  innanzitutto, che disciplinare la
successione  tra enti pubblici e, di conseguenza, il trasferimento di
poteri  pubblici  secondo le regola del diritto privato, come avviene
nella  disposizione  normativa  impugnata,  presenta non trascurabili
profili di irragionevolezza.
   Il  diritto  civile  sulle  successioni  universali,  infatti, non
sembra  in grado di rispondere adeguatamente alla fortissima esigenza
di continuita' che permea l'avvicendamento tra enti pubblici.
   Lo  stesso  Consiglio  di  Stato chiamato a decidere in materia di
successione  delle  U.S.L.  nei  rapporti  nati  in  capo  agli  enti
ospedalieri,   a   seguito   della  riforma  del  Servizio  sanitario
nazionale, infatti, ha definito «incongruo il riferimento ai principi
civilistici  sulle  successioni  universali»  all'avvicendamento  tra
soggetti  di  diritto pubblico e ha precisato che «concepire (...) la
successione  tra enti pubblici come fenomeno prevalentemente riferito
ad  un trapasso di titolarita' costituisce un punto di vista illogico
ed  asistematico»  (cfr.  Cons. St., sez. V, sent., 21 dicembre 1992,
n. 1539).
   Ma l'irragionevolezza della disposizione in esame emerge anche ove
si  considerino  le  pesantissime ripercussioni che essa e' capace di
creare  in  capo  ai  comuni.  Tra questi ultimi, infatti, saranno di
colpo  massicciamente  distribuiti i rapporti giuridici sostanziali e
processuali   delle   comunita'   montane   ed,  in  particolare,  le
passivita',  il  carico  delle  opere  sovracomunali  in esecuzione e
l'onere   del  personale  a  tempo  indeterminato  in  organico  alle
comunita' montane (attualmente pari a circa 7.500 unita).
   Infine,  last but not least, la Regione Veneto denuncia l'assoluta
incoerenza della previsione di cui al comma 22, ma anche dei commi 20
e  21,  rispetto  alla finalita' di contenimento della spesa corrente
cui  tutta  la disciplina normativa impugnata in materia di comunita'
montane asserisce d'esser ispirata.
   La,  piu'  che probabile, soppressione - se non di tutte almeno di
alcune  -  delle  comunita'  montane  esistenti  a partire dal luglio
prossimo  non  comportera', infatti, alcun risparmio di spesa, almeno
nel breve periodo.
   Sul  punto  ha  gia'  espresso  le  sue  perplessita'  il Servizio
bilancio  del Senato nel suo dossier sul disegno di legge finanziaria
2007,  di cui merita di esser riportato il seguente estratto: «Atteso
che parte dei possibili risparmi risulta subordinata all'approvazione
di  apposite  norme  da  parte  delle  regioni,  andrebbe chiarito se
ritardi  nell'approvazione delle leggi da parte delle regioni possano
incidere  negativamente  sui  risparmi  preventivati. Il subentro dei
comuni alle comunita' montane soppresse nei rapporti attivi e passivi
potrebbe presentare profili onerosi qualora l'incidenza degli aspetti
passivi  sia  maggiore  rispetto a quella dei profili attivi. Infine,
potrebbe  inficiare  i  risparmi  previsti  l'eventuale venir meno di
economie  di  scala  in  quei  casi  in cui la comunita' montana veda
ridotto  il  numero  dei  comuni componenti, ma non in misura tale da
richiederne  la  soppressione, con particolare riferimento agli oneri
fissi  che  non  sono  influenzati  dalla  grandezza  dell'ente e non
risultano  riducibili  per  effetto  del  ridimensionamento dell'ente
stesso»
   Infine,   la   previsione  di  cui  al  comma  22  e'  viziata  da
irragionevolezza  nella  parte  in  cui  prevede  che il subentro dei
comuni  alle  comunita'  montane  possa  avvenire  anche  solo in via
provvisoria,   ossia   fino   «all'adozione  (...)  delle  discipline
regionali», cio' con evidente menomazione, tra l'altro, del principio
di buon andamento.
   In conclusione, anche ove si decidesse di condividere l'intento di
riordinare  le comunita' montane, riscrivendo i parametri legislativi
di  configurazione  legale  della  montagna,  cosi'  come  quello  di
contenere  la  spesa  pubblica,  lo  strumento scelto dal legislatore
della  legge  finanziaria per il 2008 non potrebbe passare indenne al
vaglio  di  costituzionalita', non solo perche' viola palesemente gli
artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., non solo perche' neppure cerca una
cooperazione  con  le  regioni  titolari  della specifica potesta' in
materia,  ma  perche'  sembra  ignorare  ancora  una  volta  un  dato
fondamentale  quanto  elementare:  per  funzionare le istituzioni, in
questo  caso  le  comunita'  montane, hanno bisogno di contare su una
legislazione  razionale  e stabile e su risorse, per quanto limitate,
certe e sufficienti al buon andamento.
   Pertanto  si  chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2, commi 17, 18, 19, 20,
21,  22  della  legge  24 dicembre 2007, n. 244 per contrasto con gli
artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione e, in via subordinata,
per  contrasto  con  il principio di leale collaborazione tra Stato e
regioni,  desumibile,  in  particolare, dagli artt. 5 e 120, comma 2,
della  Costituzione  e  dall'art.  11  della  legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3.
   3.  -  Si  viene ora a censurare la contrarieta' a Costituzione di
due  disposizioni normative che si occupano di - si potrebbe dire, in
senso  lato,  -  organizzazione  di  consorzi di bacini imbriferi, di
bonifica  e  di  miglioramento  fondiario,  ossia  dei  commi 35 e 36
dell'art. 2 della legge finanziaria per il 2008.
   Il  comma  35 stabilisce che: «Entro un anno dalla data di entrata
in  vigore della presente legge, le regioni e le Province autonome di
Trento  e  di  Bolzano  provvedono  alla  riduzione  del  numero  dei
componenti  dei  consigli di amministrazione e degli organi esecutivi
dei  consorzi  tra  i  comuni  compresi nei bacini imbriferi montani,
costituiti  ai  sensi  dell'articolo  1 della legge 27 dicembre 1953,
n. 959, nonche' dei consorzi di bonifica e di miglioramento fondiario
di  cui  al  capo I, del titolo V del regio decreto 13 febbraio 1933,
n. 215,  e  successive  modificazioni.  La  riduzione  del numero dei
componenti degli organi di cui al presente comma deve essere conforme
a quanto previsto per le societa' partecipate totalmente anche in via
diretta dagli enti locali, ai sensi dell'articolo 1, comma 729, della
legge 27 dicembre 2006, n. 296».
   Il  comma  36  prevede,  invece,  che:  «In  alternativa  a quanto
previsto  dal  comma 35 ed entro il medesimo termine, le regioni e le
province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  d'intesa con lo Stato
possono procedere alla soppressione o al riordino di consorzi, di cui
al  medesimo comma 35, facendo comunque salvi le funzioni e i compiti
attualmente  svolti  dai medesimi consorzi e le relative risorse, ivi
inclusa  qualsiasi  forma  di  contribuzione  di  carattere statale o
regionale.  In  caso di soppressione le regioni adottano disposizioni
al  fine  di garantire che la difesa del suolo sia attuata in maniera
coordinata  fra  gli  enti  che  hanno  competenza  al  riguardo, nel
rispetto  dei principi dettati dal decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, e successive modificazioni, e delle competenze delle province
fissate dall'articolo 19 del testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli  enti  locali,  di  cui  al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267,   evitando  ogni  duplicazione  di  opere  o  di  interventi,
disponendo  il  subentro in tutti i rapporti attivi e passivi facenti
capo ai consorzi suddetti.
   Per  l'adempimento  dei  fini istituzionali dei medesimi consorzi,
agli  enti  subentranti  e' attribuita la potesta', gia' riconosciuta
agli  stessi  consorzi,  di  cui all'articolo 59 del regio decreto 13
febbraio   1933,   n. 215,  di  imporre  contributi  alle  proprieta'
consorziate  nei  limiti  di costi sostenuti per le citate attivita'.
Nel  rispetto  di  quanto  previsto dal comma 37, il personale che al
momento  della  soppressione  risulti alle dipendenze dei consorzi di
bonifica  passa  alle  dipendenze delle regioni, delle province e dei
comuni,  secondo  modalita'  determinate  dalle  regioni,  sentita la
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
Province  autonome  di  Trento e Bolzano. Anche in caso di riordino i
contributi  consortili  devono  essere contenuti nei limiti dei costi
sostenuti per l'attivita' istituzionale».
   In   sostanza  il  legislatore  statale  impone  alle  regioni  di
provvedere entro un anno:
     o  alla  riduzione  del  numero  dei  componenti dei consigli di
amministrazione  e  degli organi esecutivi dei consorzi di bonifica e
di  miglioramento fondiario, nonche' dei consorzi tra comuni compresi
in   bacini  imbriferi  montani,  secondo  i  parametri  indicati  in
dettaglio all'art. 1, comma 729, della legge finanziaria per il 2007;
     o,  in alternativa, alla soppressione o al riordino dei suddetti
consorzi d'intesa con lo Stato.
   Per il caso di soppressione dei consorzi, il comma 36 si preoccupa
di  chiarire  che le regioni dovranno adottare disposizioni capaci di
garantire  che  la difesa del suolo sia attuata in maniera coordinata
fra  gli  enti  che hanno competenza al riguardo e avranno, altresi',
l'obbligo di disporre il subentro di un nuovo ente a tutti i rapporti
attivi  e  passivi  facenti  capo  ai consorzi, ente che godra' delle
medesime potesta' gia' riconosciute ai consorzi soppressi.
   V'e',   infine,  una  previsione  normativa  che  precisa  che  il
personale  alle dipendenze dei consorzi dovra' essere distribuito tra
regioni, province e comuni.
   3.1.  -  Dal  momento che le disposizioni impugnate si occupano di
consorzi   (tra   comuni   di   bacini  imbriferi  o  di  bonifica  e
miglioramento  fondiario), sembra, innanzitutto, opportuno premettere
qualche  breve  cenno  circa  la  qualificazione  giuridica di questi
soggetti, anche al fine di determinare, poi, con precisione, l'ambito
materiale in cui sussumere la disciplina censurata.
   Come codesta ecc.ma Corte ha gia' chiarito, con specifico riguardo
- e' vero - ai consorzi di bonifica, ma con affermazione che ben puo'
esser  estesa  anche  alle  altre tipologie consortili, i consorzi in
esame  possono  essere  definiti  come «enti pubblici locali operanti
nelle  materie  di  competenza  regionale»,  ovvero  anche come «enti
amministrativi dipendenti dalla regione» (cfr. Corte cost., sent., 24
luglio 1998, n. 326).
   Essi    operano    prevalentemente   nell'ambito   della   materia
«agricoltura  e  foreste»,  materia  che,  vigente l'originario testo
costituzionale,  era di competenza concorrente regionale e che, oggi,
a   seguito   della   riforma   del   Titolo  V,  operata  con  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, non essendo piu' annoverata tra
le  materie  di  cui  ai  commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost., deve senza
dubbio  ritenersi  di  potesta'  legislativa esclusiva regionale (sul
punto,  cfr. Corte cost., sent., 24 luglio 1998, n. 326; Corte cost.,
sent., 28 luglio 2004, n. 282).
   3.2.  -  Sulla  base di queste premesse, risulta, quindi, evidente
che  le  previsioni  normative  della  finanziaria per il 2008 ora in
esame  devono ritenersi costituzionalmente illegittime per violazione
dell'art.  117  Cost.,  dal momento che, tramite esse, il legislatore
statale  ha  inteso  intervenire  in  un  ambito  materiale su cui la
competenza della regione e' esclusiva.
   Quanto  appena affermato vale sia con riferimento al comma 35, ove
si  impone  alle regioni un netto taglio al numero dei componenti del
consiglio  di  amministrazione e degli organi esecutivi dei consorzi,
sia  con  riguardo al disposto di cui al comma 36, ove si prevede che
il  riordino  e la soppressione dei consorzi, pur venendo operata con
legge regionale, debba formare oggetto d'intesa con lo Stato.
   Nonostante   la   disciplina   normativa  in  esame  non  richiami
espressamente,   quale   titolo   di  legittimazione  dell'intervento
statale,   esigenze  di  contenimento  della  spesa  pubblica,  deve,
comunque  -  per  completezza - considerarsi la possibilita' che alla
censura   regionale   venga   opposta   la   competenza   concorrente
Stato-regione   in  materia  di  «coordinamento  delle  finanze».  La
riduzione  dei  componenti degli organi consortili o il riordino e la
soppressione  stessa  dei  suddetti enti mirano, infatti, certamente,
tra  l'altro,  ad  ottenere  una  riduzione  delle  uscite  di denaro
pubblico.
   La  Regione  Veneto,  fin  d'ora,  contesta la possibilita' per lo
Stato  di  invocare  la materia del «coordinamento della finanza», di
cui   all'art.   117,  terzo  comma,  Cost.  a  legittimazione  delle
previsioni di cui ai commi 35 e 36.
   Anche   a   non   voler  considerare  il  fatto  che  le  suddette
disposizioni normative non contengono alcun «principio fondamentale»,
infatti,  non  si  puo'  ignorare la circostanza che l'ambito coperto
dalla  materia «coordinamento della finanza» non puo' esser esteso al
punto  di  ricoprire  qualsivoglia previsione legislativa dello Stato
centrale  con  ripercussioni  indirette  sulle  finanze  pubbliche e,
comunque,   certamente   non  interventi  tanto  incisivi  sul  piano
ordinamentale,  per  di piu' riguardanti materie su cui la regione ha
potesta' esclusiva.
   In estremo subordine, nella denegata ipotesi in cui codesto ecc.mo
giudice  ritenesse di considerare, per il caso specifico, la potesta'
concorrente  dello  Stato  di  coordinamento  della  finanza,  ci  si
permette di ricordare quanto segue.
   Codesta Corte ha in diverse occasioni giustamente riconosciuto che
«la  complessita'  della realta' sociale da regolare comporta che, di
frequente,  le normative non possano essere riferite nel loro insieme
ad  una  sola  materia,  perche'  concernono situazioni non omogenee,
ricomprese  in  materie  diverse  sotto  il  profilo della competenza
legislativa»   (Corte   cost.,   sentenza  31  marzo  2006,  n. 133).
Conseguentemente,  ha  ritenuto di affermare: «"Per le ipotesi in cui
ricorra  una  ‘concorrenza  di  competenze',  la  Costituzione  non
prevede espressamente un criterio di composizione delle interferenze.
In  tal caso - ove (...) non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di
un  complesso  normativo  rispetto  ad  altri, che renda dominante la
relativa  competenza  legislativa - si deve ricorrere al canone della
‘leale   collaborazione',   che   impone   alla  legge  statale  di
predisporre  adeguati  strumenti  di  coinvolgimento delle regioni, a
salvaguardia delle loro competenze" (sentenze nn. 50 e 219 del 2005)»
(cosi' Corte cost., sentenza 18 giugno 2007, n. 201).
   Una leale collaborazione, nel caso in esame, non e' stata cercata,
ne' tanto meno attuata, dallo Stato.
   Le  previsioni di cui ai commi 35 e 36 in esame, infine, imponendo
alle  regioni un drastico taglio dei componenti dei principali organi
dei  consorzi  o,  in  alternativa,  la soppressione o il riordino di
questi  ultimi,  evidentemente finisce con l'operare un'inaccettabile
ingerenza   nell'autonomia   amministrativa-organizzativa   regionale
garantita all'art. 118 Cost.
   Pertanto  si  chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  commi 35 e 36, della
legge  24 dicembre 2007, n. 244 per contrasto con gli artt. 117 e 118
della  Costituzione  e,  in  via  subordinata,  per  contrasto con il
principio  di  leale  collaborazione  tra  Stato e regione, principio
desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, della
Costituzione  e  dall'art.  11  della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3.
   4.  -  Si  puo' passare, ora, all'analisi delle disposizioni della
finanziaria 2008 che disciplinano un duplice intervento finanziario a
risanamento dei deficit sanitari di alcune regioni.
   Il  riferimento e' ai commi 46, 47, 48 e 49 dell'art. 2, dei quali
si richiama - nella speranza di agevolare la comprensione del ricorso
- il testo.
   Il comma 46 prevede che: «In attuazione degli accordi sottoscritti
tra  lo Stato e le Regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia ai sensi
dell'art.  1,  comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con i
quali  le regioni interessate si obbligano al risanamento strutturale
dei   relativi   servizi  sanitari  regionali,  anche  attraverso  la
ristrutturazione  dei  debiti  contratti,  lo Stato e' autorizzato ad
anticipare   alle  predette  regioni,  nei  limiti  di  un  ammontare
complessivamente non superiore a 9.100 milioni di euro, la liquidita'
necessaria   per   l'estinzione  dei  debiti  contratti  sui  mercati
finanziari  e  dei  debiti  commerciali  cumulati fino al 31 dicembre
2005,  determinata in base ai procedimenti indicati nei singoli piani
e  comunque al netto delle somme gia' erogate a titolo di ripiano dei
disavanzi».
   Il  successivo  comma  47  prosegue  stabilendo  che:  «Le regioni
interessate,  in funzione delle risorse trasferite dallo Stato di cui
al  comma 46, sono tenute a restituire, in un periodo non superiore a
trenta  anni, le risorse ricevute. Gli importi cosi' determinati sono
acquisiti in appositi capitoli del bilancio dello Stato».
   E', poi, la volta del comma 48: «All'erogazione delle somme di cui
ai commi 46 e 47, da accreditare su appositi conti correnti intestati
alle   regioni  interessate,  lo  Stato  procede,  anche  in  tranche
successive,  a  seguito  del riaccertamento definitivo e completo del
debito   da   parte   delle  regioni  interessate,  con  il  supporto
dell'advisor contabile, come previsto nei singoli piani di rientro, e
della  sottoscrizione  di  appositi  contratti,  che  individuano  le
condizioni  per  la  restituzione,  da  stipulare  tra  il  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze  e  ciascuna regione. All'atto delle
erogazioni le regioni interessate provvedono all'immediata estinzione
dei  debiti  pregressi  per  l'importo  corrispondente  e trasmettono
tempestivamente la relativa documentazione ai Ministeri dell'economia
e delle finanze e della salute».
   Infine,  il  comma  49  recita:  «In presenza della sottoscrizione
dell'accordo  con  lo  Stato  per il rientro dai deficit sanitari, ai
sensi  dell'articolo  1,  comma  180,  della  legge 30 dicembre 2004,
n. 311, alle regioni interessate che non hanno rispettato il patto di
stabilita'  interno  in  uno  degli  anni  precedenti  il 2007 spetta
l'accesso   al   finanziamento  integrativo  del  Servizio  sanitario
nazionale  a  carico  dello  Stato previsto per l'anno di riferimento
dalla  legislazione  vigente,  nei  termini  stabiliti  dal  relativo
piano».
   I  commi  impugnati  prevedono  l'ennesimo  intervento  statale di
rientro  di  deficit  sanitari regionali, questa volta in una duplice
forma.
   Innanzitutto,  per  le  Regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia,
che  hanno  firmato  gli  accordi con lo Stato per il risanamento dei
relativi  servizi,  anche  attraverso  la ristrutturazione dei debiti
contratti,  e'  prevista  l'anticipazione dell'ingente somma di 9.100
milioni  di  euro  (al  netto  delle  somma  gia' erogate a titolo di
ripiano  dei  disavanzi)  per  l'estinzione  dei debiti contratti sui
mercati  finanziari  e  dei debiti cumulati fino al 31 dicembre 2005,
con l'accordo che tali risorse saranno restituite entro trent'anni.
   Poi,  per  le  regioni  che  non  hanno  rispettato  il  Patto  di
stabilita'  negli  anni  antecedenti  il 2007, la finanziaria prevede
l'accesso  ad  un  finanziamento  integrativo  del Servizio sanitario
nazionale a carico dello Stato.
   La  Regione  Veneto  ha gia' impugnato forme del tutto similari di
intervento  a  ripiano  dei deficit sanitari regionali per violazione
degli arti 3, 32, 97, 117, 118 e 119 Cost. oltre che del principio di
leale  collaborazione  (il riferimento e' al ricorso n. 25/07 avverso
il  decreto-legge  20 marzo 2007, n. 23 e al ricorso n. 32/07 avverso
la  legge  di  conversione del predetto decreto-legge 17 maggio 2007,
n. 64)  e  non  puo'  che  ribadire ora, dinnanzi ad un nuovo caso di
ingiustificata  elargizione  di  preziose  risorse  pubbliche, le sue
ragioni di doglianza.
   4.1. - Si ritiene opportuno, innanzitutto, ricordare quali sono le
linee  essenziali  del  sistema  costituzionale  e, piu' in generale,
ordinamentale nella materia che qui interessa.
   L'art.  32,  primo  comma,  Cost.,  stabilisce  che «la Repubblica
tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse
della collettivita', e garantisce cure gratuite agli indigenti».
   Dunque,  il  compito  di  tutelare  il  bene  della salute, inteso
complessivamente   come  benessere  psico-fisico  della  persona,  di
qualunque  persona  senza  discriminazione  di  sorta (in conformita'
all'art.  3  Cost.),  diritto fondamentale dell'uomo (art. 2 Cost.) e
interesse  della  collettivita',  e'  rimesso  alla Repubblica. Ma la
Repubblica,   ai   sensi  dell'art.  114  Cost.,  primo  comma,  come
modificato  dalla  legge  costituzionale  18  ottobre 2001, n. 3, «e'
costituita  dai  comuni,  dalle province, dalle citta' metropolitane,
dalle regioni e dallo Stato». E sono proprio Stato e regioni gli enti
protagonisti in materia di tutela della salute.
   A  seguito  della  riforma  del Titolo V, infatti, la nostra Carta
costituzionale  disegna  un  sistema  sanitario  di  stampo  federale
(federale   in   senso  lato),  nel  quale  il  centro  procede  alla
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da assicurare
su  tutto  il  territorio  e  si  fa  garante del coordinamento della
finanza   pubblica  ponendo  i  principi  fondamentali,  mentre  alle
autonomie e' riconosciuta una competenza legislativa che, concernendo
ora  la  «tutela  della  salute»  e  non  piu'  la  mera  «assistenza
ospedaliera»,  e'  «assai  piu' ampia rispetto a quella precedente» e
alla  quale  si  accompagnano  il  potere  di organizzare il servizio
modellandolo  sulla  base  delle  esigenze  della  popolazione  e, di
conseguenza,   la   responsabilita'  delle  risorse  da  impiegare  e
impiegate  (Corte cost., sent., 8 maggio 2007, n. 162. Ma gia' prima,
Corte  cost., sent., 2006, n. 134; Corte cost., sent., 7 luglio 2005,
n. 270 e Corte cost., sent., 26 maggio 2002, n. 282).
   Lo   strumento  concreto  mediante  il  quale  la  Repubblica  da'
attuazione  all'art.  32, primo comma, Cost. e' il Servizio sanitario
nazionale  (d'ora  in  poi  anche  S.S.N.),  istituito  con  legge 23
dicembre 1978, n. 833.
   A  partire  dall'entrata  in  vigore  del  decreto  legislativo 18
febbraio 2000, n. 56 il Sistema si finanzia mediante la previsione di
compartecipazioni  regionali ai tributi statali e l'istituzione di un
fondo perequativo nazionale.
   Le  risorse  sono  distribuite  alle regioni che le gestiscono per
l'erogazione  del  servizio  nel  proprio  territorio  e ne divengono
responsabili.
   Per  un  principio la cui validita' non puo' esser messa in dubbio
dopo  la  riforma  del 2001, ma del quale non si discuteva neppure in
passato,  infatti,  la responsabilita' di disciplina e organizzazione
deve  viaggiare parallelamente alla responsabilita' finanziaria (cfr.
Corte  cost.,  sent.,  28 luglio 1993, n. 355; Corte cost., sent., 18
giugno  1991,  n. 283;  Corte  cost., sent., 28 luglio 1995, n. 416 e
Corte cost., sent., 5 novembre 1984, n. 245).
   Cosi',  con  legge  23  dicembre  2000,  n. 388 (legge finanziaria
2001),  il legislatore statale ha posto la regola per cui spetta alle
regioni  provvedere  alla  copertura  degli  eventuali  disavanzi  di
gestione,  attivando  nella  misura necessaria l'autonomia impositiva
secondo modalita' e procedure prestabilite.
   Tale  affermazione  di  principio  e'  stata  da allora piu' volte
ribadita, in praticamente tutte le leggi finanziarie successive, e il
suo rispetto incentivato mediante la previsione di sanzioni.
   Con  la  legge  30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005),
tuttavia,  il  legislatore  statale ha, per la prima volta, deciso di
disporre, in deroga alla suddetta regola, il concorso dello Stato «al
ripiano dei disavanzi del S.S.N. per gli anni 2001, 2002 e 2003».
   Da allora lo Stato ha fatto dell'eccezione la regola, e viceversa,
stanziando  a piu' riprese fondi per ripianare il disavanzo sanitario
delle regioni, da ultimo con le disposizioni normative qui impugnate.
   4.2. - E' giunto, ora, il momento di prospettare specificamente le
censure rivolte alla normativa in esame dalla regione ricorrente.
   Giova,  innanzitutto,  chiarire che - come codesta ecc.ma Corte ha
piu'  volte  affermato  -  i  conflitti  che  sorgano  in  materia di
interventi  di  ripiano  dei  disavanzi  di gestione del S.S.N. vanno
valutati   «nel   quadro   della   competenza  legislativa  regionale
concorrente  in materia di salute (...) e specialmente nell'ambito di
quegli  obiettivi  di finanza pubblica e di contenimento della spesa,
al  cui rispetto sono tenute regioni e province autonome» (cfr. Corte
cost.,  sent.,  21  marzo 2007, n. 98; Corte cost., sent., 27 gennaio
2005, n. 36).
   Trattandosi  di  materie  di legislazione concorrente, lo Stato e'
legittimato a porre per esse solo i principi fondamentali.
   La  disciplina  impugnata  si segnala, pero', per il suo carattere
minuzioso, dettagliato, autoapplicativo, dal momento che indica quali
regioni   e   secondo   quali   modalita'  potranno  beneficiare  del
finanziamento  statale  per  ripianare  i  propri debiti sanitari. Di
piu': non solo le previsioni in esame non contengono alcun principio,
ma ne rovesciano uno fondamentale, ossia quello di responsabilita'.
   Per queste ragioni, i commi da 46 a 49, dell'art. 2 della legge 24
dicembre  2007,  n. 244  violano  l'art.  117  Cost.  e  devono esser
dichiarati illegittimi.
   4.3.  -  Il  fatto  che il legislatore centrale abbia previsto dei
finanziamenti   a  destinazione  vincolata  in  materie  di  potesta'
legislativa   concorrente   viola   anche   l'autonomia   finanziaria
riconosciuta alle regioni dall'art. 119 Cost.
   Come  codesto  ecc.mo Collegio ha chiarito, infatti, lo Stato puo'
istituire  e  disciplinare  fondi a destinazione vincolata solo nelle
materie  di  sua  competenza  legislativa esclusiva (in questo senso,
Corte  cost.,  sent.,  16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 29
gennaio 2004, n. 49. Il medesimo principio si ricava, tuttavia, anche
da  Corte cost., sent., 23 dicembre 2003, n. 370; Corte cost., sent.,
29  dicembre  2004,  n. 423;  Corte  cost.,  sent., 18 febbraio 2005,
n. 77; Corte cost., sent., 18 marzo 2005, n. 107; Corte cost., sent.,
24 marzo 2006, n. 118).
   In  linea  generale,  invece,  solamente  due  tipologie  di fondi
possono  essere  considerate  rispettose  del  dettato  dell'art. 119
Cost.: (i) un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i
territori  con minore capacita' fiscale per abitante (art. 119, terzo
comma,   Cost.),   che,   insieme  ad  entrate  e  tributi  propri  e
compartecipazione  al  gettito  di  tributi  erariali  riferibile  al
proprio   territorio  (art.  119,  secondo  comma,  Cost.),  serve  a
finanziare  integralmente  le funzioni pubbliche attribuite a regioni
ed  enti  locali  (art.  119,  quarto  comma,  Cost.) e (ii) «risorse
aggiuntive»   ed  «interventi  speciali»  in  favore  di  determinate
regioni,   province,  citta'  metropolitane  e  comuni,  al  fine  di
«promuovere  lo  sviluppo  economico,  la  coesione e la solidarieta'
sociale,  (...)  rimuovere  gli  squilibri economici e sociali, (...)
favorire  l'effettivo  esercizio  dei  diritti  della  persona, (...)
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni»
(art. 119, quinto comma, Cost.).
   Dal  momento  che  si  potrebbe  esser  tentati  di  sussumere  la
fattispecie  in esame nella seconda ipotesi di fondo, si ricorda che,
proprio  in  relazione  a questi ultimi, codesto ecc.mo Giudice delle
leggi  ha  precisato  che  essi  «non  solo debbono essere aggiuntivi
rispetto al finanziamento integrale (...) delle funzioni spettanti ai
comuni  o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione
e  di  garanzia  enunciate  nella  norma costituzionale, o comunque a
scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma debbono essere
indirizzati  a  determinati comuni o categorie di comuni (o province,
citta'  metropolitane,  regioni)»  e che «l'esigenza di rispettare il
riparto  costituzionale  delle  competenze  legislative  fra  Stato e
regioni  comporta  altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino
ambiti   di  competenza  delle  regioni,  queste  siano  chiamate  ad
esercitare   compiti   di  programmazione  e  di  riparto  dei  fondi
all'interno  del  proprio  territorio»  (cosi' Corte cost., sent., 16
gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 8 giugno 2005, n. 222).
   Premesso  che,  per l'ormai costante sottostima del fabbisogno del
Servizio   sanitario   nazionale  operato  dallo  Stato  in  sede  di
distribuzione  delle  risorse  finanziarie,  si potrebbe fondatamente
dubitare  del  carattere «aggiuntivo» di tutte le somme distribuite a
copertura di disavanzi, si osserva quanto segue.
   Con  specifico riguardo agli stanziamenti di cui al comma 49, essi
non sono rivolti a enti determinati e non e' dato comprendere a quale
finalita' siano devoluti e, in particolare, se si tratti di una delle
finalita'  tassativamente previste all'art. 119, quinto comma, Cost.,
vista,  per  altro,  l'impossibilita'  di  riferirli  al principio di
solidarieta', per quanto si spieghera' oltre.
   Il  medesimo  discorso  relativo  alle  finalita' si puo' fare per
quanto  attiene  ai  9.100  milioni  di  euro, che si aggiungono alle
ingenti somme gia' distribuite alle Regioni Lazio, Campania, Molise e
Sicilia gli anni scorsi.
   E'  certo,  poi,  che  per  nessuno  dei  finanziamenti  in esame,
contrariamente a quanto richiesto da codesta ecc.ma Corte per ritener
rispettato  l'art.  119  Cost.,  le  regioni sono state interpellate,
cio',  per  altro,  in  aperta  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione.
   4.4.  -  Molti  altri  sono  poi  i  profili di non conformita' al
dettato  costituzionale  con riferimento alle previsioni normative di
cui  ai commi 46, 47, 48 e 49 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre
2007, n. 244.
   Innanzitutto,  la  disciplina  di ripiano viola l'art. 3 Cost. sia
sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza, sia sotto
quello dell'irragionevolezza delle scelte del legislatore statale.
   La  disciplina  di  ripiano  discrimina,  infatti, le regioni c.d.
virtuose  che  hanno  informato  l'organizzazione  e l'erogazione del
servizio  sanitario ai criteri di efficacia ed efficienza e che hanno
fatto  fronte  alla  carenza  di  finanziamento  in materia sanitaria
imponendo ai cittadini residenti nel proprio territorio, sacrifici di
natura  prettamente  fiscale  o,  comunque,  in  termini  di maggiore
partecipazione  al  costo  delle prestazioni erogate; regioni che ora
sono addirittura costrette a concorrere a questa nuova ingiustificata
elargizione.
   Tra  queste  certamente  anche  la Regione Veneto, come confermato
dalla  stessa  Corte  dei  conti  regionale  che,  nell'ambito  della
relazione  annuale ex art. 3, legge 14 gennaio 1994, n. 20, approvata
con  delibera  del  27 novembre 2006, n. 96, al normale referto sulla
gestione  della  Regione Veneto per la verifica dell'attuazione delle
leggi  regionali  di  principio e di programma, ha allegato una parte
speciale,  intitolata «Indagine sull'assistenza sanitaria nel Veneto.
Aspetti  finanziari  e  gestionali,  con particolare riferimento alla
gestione  dell'assistenza  distrettuale -  esercizio finanziario 2005
con  ricostruzione di serie storiche a partire dal 2003», nella quale
si loda l'oculata gestione delle risorse conferite alla ricorrente.
   A  cio'  si  aggiunga  la puntualizzazione della procura regionale
presso  la  medesima  Corte  (svolta  in occasione dell'inaugurazione
dell'anno   giudiziario   2008),  secondo  cui  «il  Veneto,  regione
trainante  per l'economia del Paese, offre complessivamente un quadro
positivo di buona amministrazione che la differenzia dalle situazioni
drammatiche  che sono emerse in altre parti del territorio nazionale»
(sic! il 15 febbraio 2008).
   La  previsione  di  un  nuovo  intervento  finanziario  statale  a
copertura  di  deficit pregressi e', poi, irragionevole ove decide di
dare  nuovamente  a  chi  gia'  ha  ricevuto  in  abbondanza e non ha
dimostrato  di  saper gestire le risorse provenienti dalla fiscalita'
generale,  ed  irrazionale,  perche' non accompagnata, da un lato, da
misure  capaci  di incidere, eliminandole, sulle cause dei disavanzi,
e,  dall'altro,  da  adeguate  forme di controllo sull'utilizzo delle
risorse elargite.
   In  pratica  si toglie a chi ha gestito oculatamente, talvolta con
rigore,  le  finanze  pubbliche per dare a chi ha male amministrato e
potra'  continuare  a farlo, con evidente violazione del principio di
buon andamento di cui all'art. 97 Cost.
   Lo   scialacquamento   dei   gia'   scarsi   mezzi   finanziari  a
disposizione,   poi,   portera'  inevitabilmente  in  futuro  ad  una
contrazione  dei  livelli  essenziali delle prestazioni che, ai sensi
dell'art.  117,  secondo comma, lettera m), potranno essere garantiti
su  tutto  il territorio, con un evidente danno riflesso sulla tutela
della salute garantita ex art. 32 Cost.
   Infine,  interventi  finanziari  del  livello  di governo centrale
quale   quello   qui  censurato,  spostando  preziose  risorse  verso
specifiche  destinazioni,  si  risolvono  in un'indebita interferenza
nella  gestione piu' propriamente organizzativa della sanita', ossia,
in  concreto, nell'esercizio delle funzioni amministrative che l'art.
118  Cost.  vuole  distribuite tra i diversi enti territoriali «sulla
base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza»
e, quindi, per una parte rilevantissima, alle regioni.
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'art.  2,  commi  46,  47, 48 e 49, della legge 24 dicembre 2007,
n. 244,  per  contrasto  con  gli  articoli 3, 32, 97, 117, 118 e 119
Cost.,  nonche'  con il principio di leale collaborazione di cui agli
articoli  5  e  120  Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3.
   5. - Nell'art. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, si trovano,
poi,  due  disposizioni, quelle di cui ai commi 158, letera a) e 165,
che,  per contenuti, certamente afferiscono alla materia «produzione,
trasporto  e  distribuzione  nazionale dell'energia» e che la Regione
Veneto  ritiene  di  dover  impugnare  perche'  contrastanti  con gli
articoli 117 e 118 Cost.
   5.1.  -  Si tratta, innanzitutto, della previsione di cui al comma
158, di cui si impugna la sola lettera a).
   La  disposizione  portata all'attenzione di codesto ecc.mo giudice
testualmente  recita:  «All'articolo  12  del  decreto legislativo 29
dicembre  2003,  n. 387, sono apportate le seguenti modificazioni: a)
al comma 3, le parole: "o altro soggetto istituzionale delegato" sono
sostituite dalle seguenti: "o dalle province delegate"; a) identica».
   Mediante  la  modifica  dell'art.  12  del  decreto legislativo 29
dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE
relativa  alla  promozione  dell'energia  elettrica prodotta da fonti
energetiche  rinnovabili  nel  mercato  interno dell'elettricita», in
pratica,  il legislatore della finanziaria per il 2008 stabilisce che
d'ora   in  poi  spetti  alla  provincia  il  compito  di  rilasciare
l'autorizzazione  unica  necessaria  per la costruzione e l'esercizio
degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti
rinnovabili,   cosi'   come   per   gli   interventi   di   modifica,
potenziamento,  rifacimento  e  riattivazione,  nonche'  per le opere
connesse   e  le  infrastrutture  necessarie  per  la  costruzione  e
l'esercizio degli impianti stessi.
   A  riguardo,  la  regione  ricorrente non puo' non evidenziare che
l'individuazione  da  parte  dello  Stato dell'ente locale, in questo
caso  la  provincia,  abilitato  a rilasciare l'autorizzazione unica,
viola gli articoli 117 e 118 Cost.
   Per   quanto   attiene   specificamente  all'art.  117  Cost.,  la
previsione  normativa  si segnala per il suo carattere dettagliato ed
autoapplicativo,  quando,  al  contrario,  intervenendo in materia di
potesta'  concorrente,  il  legislatore statale non si sarebbe dovuto
spingere oltre la «determinazione dei principi fondamentali».
   Trattandosi  di  un  ambito di competenza legislativa concorrente,
inoltre,   spetta   alla   regione   l'allocazione   delle   funzioni
amministrative   relative   alla  materia,  secondo  i  parametri  di
«sussidiarieta',  differenziazione ed adeguatezza» (cfr. Corte cost.,
sent.enza 1° ottobre 2003, n. 303). Ove cio' non accade, anche l'art.
118 Cost. e' violato.
   La  previsione normativa impugnata, infine, non puo' esser salvata
neppure  ove intesa come una forma di c.d. chiamata in sussidiarieta'
di funzioni regionali a livello statale.
   Perche'  l'attrazione  al centro di potesta' regionali possa dirsi
conforme a Costituzione, infatti, devono sussistere due condizioni.
   Innanzitutto  essa  deve  avvenire  «sulla  base  dei  principi di
differenziazione  ed  adeguatezza di cui al primo comma dell'art. 118
Cost.»  ed  e'  legittima  «solo  se  la  valutazione  dell'interesse
pubblico  sottostante  all'assunzione  di funzioni regionali da parte
dello   Stato   sia   proporzionata»   e   «non  risulti  affetta  da
irragionevolezza   alla   stregua   di   uno   scrutinio  stretto  di
costituzionalita»   (cfr.  Corte  cost.,  sentenza 1°  ottobre  2003,
n. 303).
   In  secondo luogo, come gia' chiarito piu' volte da codesta ecc.ma
Corte,   «la   "chiamata   in   sussidiarieta'"   di   funzioni   che
costituzionalmente spettano alle regioni comporta anche la necessita'
che  lo  Stato  coinvolga  sostanzialmente le regioni stesse, poiche'
l'esigenza  di  esercizio  unitario che consente di attrarre, insieme
alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare
a  superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza
di  una  disciplina  che  prefiguri un iter in cui assumano il dovuto
risalto  le  attivita'  concertative  e di coordinamento orizzontale,
ovverosia  le intese, che devono essere condotte in base al principio
di  lealta»  (cosi',  di  nuovo,  Corte cost., sent., 24 giugno 2005,
n. 242,  citando Corte cost., sent., 1 ottobre 2003, n. 303. Ma anche
Corte cost., sent., 1 giugno 2006, n. 214).
   Nessuna  delle  due condizioni e' stata soddisfatta nel caso delle
disposizioni impugnate dalla regione Veneto.
   Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2, comma 158, lettera a),
della  legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli articoli
117  e  118  Cost. e, in subordine, con gli articoli 117 e 118 Cost.,
nonche' con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli
5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
   5.2.  - Il comma 165 stabilisce, invece, quanto segue: «Al comma 2
dell'articolo  14  del  decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387,
sono aggiunte le seguenti lettere:
     f-bis)  sottopongono  a  termini  perentori le attivita' poste a
carico  dei  gestori  di  rete,  individuando  sanzioni  e  procedure
sostitutive in caso di inerzia;
     f-ter)  prevedono,  ai  sensi  del  paragrafo 5 dell'articolo 23
della  direttiva  2003/54/CE  del Parlamento europeo e del Consiglio,
del  26  giugno  2003, e dell'articolo 2, comma 24, lettera b), della
legge  14  novembre  1995,  n. 481,  procedure  di  risoluzione delle
controversie  insorte fra produttori e gestori di rete con decisioni,
adottate  dall'Autorita' per l'energia elettrica e il gas, vincolanti
tra le parti;
     f-quater)  prevedono  l'obbligo  di connessione prioritaria alla
rete  degli  impianti alimentati da fonti rinnovabili, anche nel caso
in  cui  la  rete non sia tecnicamente in grado di ricevere l'energia
prodotta   ma  possano  essere  adottati  intervento  di  adeguamento
congrui;
     f-quinquies)   prevedono   che  gli  interventi  obbligatori  di
adeguamento  della rete di cui alla lettera f-quater) includano tutte
le infrastrutture tecniche necessarie per il funzionamento della rete
e  tutte  le installazioni di connessione, anche per gli impianti per
autoproduzione,   con   parziale   cessione  alla  rete  dell'energia
elettrica prodotta;
     f-sexies) prevedono che i costi associati alla connessione siano
ripartiti  con  le  modalita'  di  cui  alla lettera f) e che i costi
associati  allo  sviluppo della rete siano a carico del gestore della
rete;
     f-septies)   prevedono   le  condizioni  tecnico-economiche  per
favorire  la  diffusione, presso i siti di consumo, della generazione
distribuita  e della piccola cogenerazione mediante impianti eserciti
tramite  societa' terze, operanti nel settore dei servizi energetici,
comprese le imprese artigiane e le loro forme consortili''».
   Il  comma  165,  dunque,  integra  l'art. 14, comma 2, del decreto
legislativo  29 dicembre 2003, n. 387 (aggiungendovi sei lettere), al
fine  di  puntualizzare  ed  integrare  i  possibili  contenuti delle
direttive  che  l'Autorita'  per  l'energia  elettrica  e  il  gas e'
chiamata   ad   adottare  per  definire  le  condizioni  tecniche  ed
economiche  per  la  connessione  alla rete di impianti alimentati da
fonti rinnovabili.
   Con  cio'  il  legislatore  statale  unilateralmente  e,  senza il
benche' minimo confronto con le regioni, e' intervenuto nella materia
di   potesta'   legislativa   concorrente  «produzione,  trasporto  e
distribuzione  nazionale dell'energia», attribuendo nuovi e specifici
compiti all'Autorita' per l'energia ed il gas.
   Sembra  opportuno  rilevare, poi, che, grazie alla disposizione in
parola,  l'Autorita'  di  cui  sopra  sara'  legittimata  ad  emanare
direttive   che   interferiranno   significativamente,   menomandola,
sull'autonomia amministrativa regionale in materia.
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'articolo 2, comma 165, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per
contrasto  con gli articoli 117 e 118 Cost., nonche' con il principio
di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. e 11 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
   6.  -  E' necessario evidenziare, ora, i profili di illegittimita'
costituzionale  che viziano le disposizioni normative di cui ai commi
194  e  195  dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in
materia  di  turismo,  non  prima,  pero',  di  averne  richiamato  i
contenuti.
   Il  comma  194  prevede  che:  «Al fine di incentivare lo sviluppo
strategico  integrato  del  prodotto  turistico nazionale mediante la
promozione  di  economie  di  scala  e  il  contenimento dei costi di
gestione  delle  imprese  del  settore, con uno o piu' regolamenti da
adottare  ai  sensi  dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto
1988,  n. 400, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sono
definite,  nel  rispetto  delle  competenze  regionali,  le procedure
acceleratorie  di  semplificazione volte a favorire sia l'aumento dei
flussi  turistici  sia  la nascita di nuove imprese del settore. Tali
procedure  devono  privilegiare  le  azioni finalizzate, tra l'altro,
alla  razionalizzazione  e  alla riduzione degli adempimenti a carico
delle  imprese  e  dei  termini di durata dei procedimenti, nonche' a
definire  specifici  moduli  procedimentali idonei a contestualizzare
l'esercizio dei poteri pubblici».
   Il  comma  195,  invece,  stabilisce  che: «Il Dipartimento per lo
sviluppo  e  la  competitivita'  del  turismo  della  Presidenza  del
Consiglio  dei ministri, avvalendosi delle risorse umane, strutturali
e   finanziarie  disponibili  a  legislazione  vigente,  provvede  ad
assicurare  il  supporto tecnico-specialistico in favore dei soggetti
nazionali  e  internazionali  che  intendono  promuovere  progetti di
investimento  volti  a  incrementare  e  a  riqualificare il prodotto
turistico nazionale, attivando le procedure di cui al comma 194».
   La  materia  cui  inequivocabilmente  le  disposizioni  richiamate
afferiscono e' quella del «turismo».
   Fino  alla  riforma del Titolo V della Costituzione, il turismo e'
stato  materia  di  competenza legislativa concorrente Stato-regioni;
sostanzialmente,  pero',  anche  a causa del disinteresse dello Stato
sul  punto,  gia'  prima  del 2001 la materia era ampiamente affidata
alle  competenze  regionali,  come confermato dalle previsioni di cui
agli articoli 43-46 del decreto legislativo n. 112/1998.
   Oggi  la  materia «turismo» non risulta ricompresa ne' nell'elenco
di  materie di competenza esclusiva statale (art. 117, secondo comma,
Cost.),   ne'   in   quello  di  competenza  legislativa  concorrente
Stato-regioni.  Come  codesta  ecc.ma  Corte  ha, anche recentemente,
rilevato,  quindi,  in materia di «turismo» la regione e' titolare di
una  potesta' legislativa esclusiva-residuale ai sensi dell'art. 117,
quarto  comma  (cfr.  Corte cost., sent., 10 marzo 2006, n. 90; Corte
cost.,  sent., 5 giugno 2003, n. 197, e Corte cost., sent., 1° giugno
2006, n. 214).
   In  questa materia lo Stato non e' legittimato neppure a dettare i
principi  fondamentali,  pena  la  violazione  dell'art.  117, quarto
comma,  Cost. e certamente non ha potesta' regolamentare. L'art. 117,
sesto  comma,  Cost.,  infatti,  indica chiaramente che lo Stato puo'
emanare regolamenti solo nelle materie di sua competenza esclusiva.
   La   difesa   della   Regione   Veneto,   tuttavia,   conosce   la
giurisprudenza  di codesto ecc.mo Collegio secondo la quale, il fatto
che  si  verta  in  materia  di competenza esclusiva regionale, quale
nella  fattispecie  in esame il turismo, non esclude la possibilita',
per  la  legge statale, di attribuire funzioni legislative al livello
centrale  e  di  regolarne  l'esercizio  (cfr. Corte cost., sent., 24
giugno 2005, n. 242; Corte cost., sent., 1° giugno 2006, n. 214).
   Deve,  pero',  evidenziarsi che la richiamata attrazione a livello
centrale  di  determinate funzioni regionali, per aspirare a superare
il  vaglio  di  legittimita'  costituzionale,  deve  rispondere a due
condizioni.
   Innanzitutto,  la «chiamata in sussidiarieta» deve avvenire «sulla
base  dei principi di differenziazione ed adeguatezza di cui al primo
comma  dell'art.  118  Cost.» ed e' legittima «solo se la valutazione
dell'interesse   pubblico   sottostante  all'assunzione  di  funzioni
regionali  da  parte  dello  Stato  sia proporzionata» e «non risulti
affetta  da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di
costituzionalita» (cfr. Corte cost., sent., 1° ottobre 2003, n. 303).
   In  altre  parole,  e'  necessario  che  l'attrazione al centro di
competenze   regionali   rispetti   «i  principi  di  sussidiarieta',
differenziazione  ed  adeguatezza  nella  allocazione  delle funzioni
amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali
funzioni»  ed  anche  che  la  legge  statale  «detti  una disciplina
logicamente   pertinente,   dunque,  idonea  alla  regolazione  delle
suddette  funzioni  e  che  risulti  limitata  a  quanto strettamente
indispensabile  a  tale  fine»  (cfr.  Corte cost., sent., 13 gennaio
2004,  n. 6,  richiamata  in  Corte  cost.,  sent.,  24  giugno 2005,
n. 242).
   In  secondo luogo, come gia' chiarito piu' volte da codesta ecc.ma
Corte,   «la   "chiamata   in   sussidiarieta'"   di   funzioni   che
costituzionalmente spettano alle regioni comporta anche la necessita'
che  lo  Stato  coinvolga  sostanzialmente le regioni stesse, poiche'
l'esigenza  di  esercizio  unitario che consente di attrarre, insieme
alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare
a  superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza
di  una  disciplina  che  prefiguri un iter in cui assumano il dovuto
risalto  le  attivita'  concertative  e di coordinamento orizzontale,
ovverosia  le intese, che devono essere condotte in base al principio
di  lealta»  (cosi',  di  nuovo,  Corte cost., sent., 24 giugno 2005,
n. 242,  citando Corte cost., sent., 1 ottobre 2003, n. 303. Ma anche
Corte cost., sent., 1 giugno 2006, n. 214).
   Per  quanto  attiene  alla  prima  condizione, essa non puo' dirsi
soddisfatta dalla disciplina normativa portata oggi all'attenzione di
codesta ecc.ma Corte.
   L'intervento  legislativo  statale  di  cui  ai  commi  194  e 195
dell'art.  2  della  legge finanziaria per il 2008, infatti, non puo'
essere   considerato   rispettoso  dei  principi  di  sussidiarieta',
differenziazione  ed  adeguatezza  giacche'  attrae in capo al potere
esecutivo   centrale   una   generale   attivita'   di   riordino   e
semplificazione   di   tutto  il  settore  turistico,  comma  194,  e
sostanzialmente  affida  ad  un  Dipartimento  della  Presidenza  del
Consiglio il compito generalissimo di sostenere e promuovere progetti
di   investimento  capaci  di  riqualificare  il  prodotto  turistico
nazionale.
   Con  riguardo  alla  seconda  condizione,  poi,  la violazione del
principio  di leale collaborazione appare palese. Mentre, infatti, il
comma  195  non prevede alcuna forma di concertazione con le regioni,
la  previsione  di  cui  al comma 194 si limita a stabilire che prima
dell'adozione  dei  regolamenti  statali  sia  «sentita la Conferenza
permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le Province
autonome  di  Trento  e  Bolzano».  Anche quest'ultima previsione non
garantisce, infatti, una reale forma di partecipazione delle regioni,
dal  momento  che,  non  essendo obbligatoria un'intesa, lo Stato ben
potra'  provvedere  ugualmente anche in presenza di un dissenso della
Conferenza  Stato-regioni  (sul  punto,  cfr.  Corte  cost., sent., 8
giugno 2005, n. 222).
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'art.  2,  commi 194 e 195, della legge 24 dicembre 2007, n. 244,
per contrasto con l'art. 117 Cost. nonche', in via subordinata, degli
articoli 117, 118 e del principio di leale collaborazione di cui agli
articoli  5  e  120  Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3.
   7.  -  Si  passa,  ora,  a  trattare dei profili di illegittimita'
costituzionale  che  la  Regione  Veneto  denuncia  con riguardo alle
previsioni  normative di cui ai commi 279 e 280 dell'articolo 2 della
legge  24  dicembre 2007, n. 244, in materia di finanziamenti statali
per  la  ristrutturazione edilizia e l' ammodernamento tecnologico in
sanita'.
   Il  comma 279 testualmente recita: «All'art. 1, comma 796, lettera
n),  primo  periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le parole:
"20 miliardi di euro" sono sostituite dalle seguenti: "23 miliardi di
euro"».
   Il  successivo  comma 280, invece, prevede quanto segue: «All'art.
1,  comma  796,  lettera  n),  primo periodo, della legge 27 dicembre
2006, n. 296, sono apportate le seguenti modificazioni:
     a)  nel  secondo periodo, dopo le parole: "Il maggior importo di
cui  alla  presente  lettera e' vincolato" sono inserite le seguenti:
"per 100 milioni di euro per l'esecuzione di un programma pluriennale
di   interventi   in   materia  di  ristrutturazione  edilizia  e  di
ammodernamento   tecnologico   del   patrimonio  sanitario  pubblico,
finalizzato  al  potenziamento  delle 'unita' di risveglio dal coma':
per 7 milioni di euro per l'esecuzione di un programma pluriennale di
interventi   in   materia   di   ristrutturazione   edilizia   e   di
ammodernamento   tecnologico   del   patrimonio  sanitario  pubblico,
destinati  al  potenziamento  e  alla  creazione di unita' di terapia
intensiva  neonatale (TIN); per 3 milioni di euro per l'esecuzione di
un  programma  pluriennale di interventi in materia di ammodernamento
tecnologico del patrimonio sanitario pubblico, destinati all'acquisto
di  nuove  metodiche analitiche, basate sulla spettrometria di 'massa
tandem',  per effettuare screening neonatali allargati, per patologie
metaboliche   ereditarie,   per  la  cui  terapia  esistono  evidenze
scientifiche efficaci"';
     b)  nel  secondo  periodo,  le  parole:  "100 milioni di euro ad
interventi  per  la  realizzazione di strutture residenziali dedicate
alle cure palliative" sono sostituite dalle seguenti: "150 milioni di
euro  ad  interventi per la realizzazione di strutture residenziali e
l'acquisizione di tecnologie per gli interventi territoriali dedicati
alle  cure  palliative,  ivi  comprese quelle relative alle patologie
degenerative neurologiche croniche invalidanti";
     c)  dopo  il  secondo  periodo  sono inseriti i seguenti: "nella
sottoscrizione  di  accordi  di  programma  con  le regioni, e' data,
inoltre,  priorita'  agli  interventi  relativi  ai  seguenti settori
assistenziali,  tenuto  conto  delle  esigenze  della  programmazione
sanitaria nazionale e regionale: realizzazione di strutture sanitarie
territoriali,  residenziali  e  semiresidenziali.  Il Ministero della
salute,   attraverso  la  valutazione  preventiva  dei  programmi  di
investimento  e  il  monitoraggio  della loro attuazione, assicura il
raggiungimento  dei  predetti obiettivi prioritari, verificando nella
programmazione  regionale  la copertura del fabbisogno relativo anche
attraverso i precedenti programmi di investimento"».
   Le  due  disposizioni in parola modificano la previsione normativa
di  cui  all'art.  1,  comma 796, lettera n), della legge 27 dicembre
2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007).
   Nel  suo  originario  testo,  il  suddetto  comma 796, lettera n),
elevava fino a 20 miliardi di euro il budget di finanziamenti statali
per  la  ristrutturazione  edilizia e l'ammodernamento tecnologico in
sanita', come previsti dall'art. 20 della legge 11 marzo 1998, n. 67,
al  contempo  vincolando  tale  maggior  somma nel seguente modo: 500
milioni di euro per la riqualificazione strutturale e tecnologica dei
servizi  di  radiodiagnostica  e radioterapia di interesse oncologico
(con  corsia preferenziale per «regioni meridionali e insulari»); 100
milioni  di  euro  per le strutture per le cure palliative; altri 100
per  i  sistemi  informatici  di  aziende  sanitarie e ospedaliere e,
infine, 100 per le strutture di assistenza domiciliare.
   La  Regione  Veneto,  con  proprio  ricorso  inserito  al registro
ricorsi  con  il  numero  10/07,  ha impugnato il suddetto comma 796,
lettera  n),  perche' contrastante con gli articoli 3, 97, 117, 118 e
119  Cost.  e,  in  via  subordinata, per violazione del principio di
leale  collaborazione  di  cui  agli articoli 5 e 120, secondo comma,
Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
   A seguito dell'intervento del legislatore della finanziaria per il
2008,  il  contenuto  di  quella previsione normativa esce mutato: lo
stanziamento  per  la  ristrutturazione  edilizia  e l'ammodernamento
tecnologico in sanita' e' stato, infatti, incrementato di ulteriori 3
miliardi  di  euro per raggiungere l'importo complessivo totale di 23
miliardi di euro e sono state parzialmente modificate ed integrate le
previsioni di vincolo sulla destinazione delle risorse.
   In  particolare,  sono  previsti  ex  novo i seguenti vincoli: 100
milioni  di  euro per il potenziamento delle «unita' di risveglio dal
comma»;  7  milioni  al  potenziamento  e alla creazione di unita' di
terapia  intensiva  neonatale  e  3  milioni  all'acquisto  di  nuove
metodiche  analitiche  basate  sulla spettrometria di «massa tandem»,
per   effettuare   screening   neonatali   allargati,  per  patologie
metaboliche   ereditarie,   per  la  cui  terapia  esistono  evidenze
scientifiche efficaci.
   L'originario  fondo  a destinazione vincolata per la realizzazione
di  strutture  residenziali  dedicate  alle  cure palliative, poi, e'
stato incrementato da 100 a 150 milioni di euro, da impiegare, pero',
anche  per  l'acquisizione  di  interventi territoriali dedicati alle
cure  palliative, ivi comprese le patologie degenerative neurologiche
croniche invalidanti.
   Infine,  il  legislatore statale ha previsto che, in sede di firma
degli  accordi  di  programma con le regioni, sia data priorita' agli
interventi   di  strutture  sanitarie  territoriali,  residenziali  e
semiresidenziali.
   La  previsione  di cui ai commi 279 e 280 della finanziaria per il
2008    finisce   con   il   presentare   gli   stessi   profili   di
incostituzionalita'  di  cui all'art. 1, comma 796, lettera n), della
finanziaria  dello  scorso  anno,  dal  momento  che, nel modificarne
parzialmente   il  testo,  perpetua  ed  aggrava  l'esistenza  di  un
intervento finanziario statale non conforme a Costituzione.
   Sembra,   innanzitutto,   opportuno   osservare   che  le  materie
interessate  dalle  previsioni normative oggi in esame sono, con ogni
evidenza,   la   «tutela   della  salute»,  di  potesta'  legislativa
concorrente, e l'«edilizia sanitaria» che, non essendo menzionata ne'
nel  secondo  ne' nel terzo comma dell'art. 117 Cost., deve ritenersi
di competenza residuale esclusiva regionale.
   La previsione di finanziamenti a destinazione vincolata in materie
su  cui  la  regione ha potesta' legislativa esclusiva o concorrente,
pero',  non e', a seguito della riforma costituzionale del 2001, piu'
compatibile  con  il dettato degli articoli 117, 118 e 119 Cost., dal
momento  che,  ben  lungi  dall'essere una determinazione di principi
fondamentali,  si risolve in una penetrante violazione dell'autonomia
legislativa,   amministrativa-organizzativa   e  di  spesa  dell'ente
regionale (cfr. Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16).
   Uno  stanziamento  di  risorse  per una specifica e predeterminata
finalita'   potrebbe  ritenersi  costituzionalmente  legittimo,  come
rilevato  anche  da  codesto ecc.mo Collegio, solo se riguardante una
materia di competenza esclusiva dello Stato, o se qualificabile tra i
fondi  perequativi  e i finanziamenti speciali di cui al quinto comma
dell'art. 119 Cost.
   Cosi' non e' per i finanziamenti qui censurati dalla ricorrente.
   Nella  denegata  e  non  creduta ipotesi, poi, che si ritenesse di
sussumere  la  fattispecie  normativa  di  cui  ai commi 279 e 280 in
quella   dell'art.   119,   quinto  comma,  le  previsioni  impugnate
rimarrebbero  censurabili  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione,   dal   momento  che,  pur  attenendo  ad  ambiti  di
competenza  concorrente  o  esclusiva  regionale, le regioni non sono
state coinvolte nella programmazione di detti fondi (sul punto, cfr.,
Corte  cost.,  sent.,  16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 21
aprile 2005, n. 162).
   Infine,  deve  rilevarsi  che  l'intervento  statale  in parola e'
viziato  anche  sotto il profilo della ragionevolezza e, di riflesso,
del rispetto del principio del buon andamento.
   Lo  Stato,  infatti,  anche  in  questo  caso  conferma la propria
incapacita'  a porre discipline normative ponderate e stabili, idonee
a  orientare  in modo coerente e per un periodo medio-lungo le scelte
della  regione,  sia sotto il profilo legislativo, sia con riguardo a
quello  organizzativo-amministrativo, finendo con l'elargire, di anno
in  anno,  ingenti  quantita'  di  risorse  pubbliche,  sulla base di
esigenze contingenti o programmi spesso estemporanei.
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'art.  2,  commi  279 e 280 della legge 24 dicembre 2007, n. 244,
per  contrasto  con  gli  articoli  3,  32, 97, 117, 118 e 119 Cost.,
nonche', in via subordinata, del principio di leale collaborazione di
cui  agli  articoli  5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3.
   8. - Si affronta, ora, l'analisi dei commi 417, 418, 419, 420, 421
e 422 dell'art. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in materia di
istruzione.
   Il  comma  417  testualmente  recita:  «Con  atto di indirizzo del
Ministro  della  pubblica  istruzione,  di  concerto  con il Ministro
dell'economia  e  delle  finanze,  adottato  entro  il 31 marzo 2008,
d'intesa  con  la  Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabiliti finalita', criteri
e  metodi  della  sperimentazione di un modello organizzativo volto a
innalzare  la  qualita'  del  servizio  di istruzione e ad accrescere
efficienza  ed efficacia della spesa. La sperimentazione riguarda gli
anni  scolastici  2008/2009,  2009/2010  e  2010/2011  e  gli  ambiti
territoriali,  di norma provinciali, individuato nel medesimo atto di
indirizzo».
   Segue  il  comma  418:  «L'atto  di  indirizzo di cui al comma 417
contiene riferimenti relativi a:
     a)   tipologie   degli   interventi  possibili  per  attuare  il
miglioramento  della  programmazione  dell'offerta  formativa,  della
distribuzione territoriale della rete scolastica, dell'organizzazione
del  servizio delle singole istituzioni scolastiche, ivi compresi gli
eventuali   interventi   infrastrutturali   e  quelli  relativi  alla
formazione  e  alla  organizzazione  delle classi, anche in deroga ai
parametri previsti dal decreto del Ministro della pubblica istruzione
24  luglio  1998, pubblicato nel supplemento ordinario della Gazzetta
Ufficiale n. 264 dell'11 novembre 1998;
     b) modalita' con cui realizzare il coordinamento con le regioni,
gli  enti  locali  e  le  istituzioni  scolastiche  competenti  per i
suddetti interventi;
     c)  obiettivi  di miglioramento della qualita' del servizio e di
maggiore efficienza in termini di rapporto insegnanti-studenti;
     d)  elementi  informativi  dettagliati  relativi alle previsioni
demografiche  e  alla popolazione scolastica effettiva, necessari per
predisporre,  attuare  e monitorare gli obiettivi e gli interventi di
cui sopra;
     e)  modalita'  di  verifica  e  di  monitoraggio  dei  risultati
conseguiti  al  fine della quantificazione delle relative economie di
spesa  tenendo  conto  della  dinamica  effettiva  della  popolazione
scolastica;
     f)  possibili  finalizzazioni  delle  risorse finanziarie che si
rendano  disponibili  grazie  all'aumento complessivo dell'efficienza
del servizio di istruzione nell'ambito territoriale di riferimento;
     g)  modalita'  con  cui  realizzare una valutazione dell'effetto
degli interventi e base informativa necessaria a tale valutazione».
     Tanto  chiarito,  il  comma  419 prevede che: «In ciascuno degli
ambiti  territoriali  individuati  ai  sensi  del comma 417, opera un
organismo  paritetico  di  coordinamento costituito da rappresentanti
regionali   e   provinciali   dell'Amministrazione   della   pubblica
istruzione,  delle  regioni,  degli  enti  locali e delle istituzioni
scolastiche statali, con il compito di:
     a)  predispone  un piano triennale territoriale che, anche sulla
base  degli  elementi  informativi previsti dall'atto di indirizzo di
cui al comma 417, definisca in termini qualitativi e quantitativi gli
obiettivi da raggiungere;
     b)  supportare  le azioni necessarie all'attuazione del piano di
cui  alla  lettera  a),  nonche'  proporre  gli opportuni adeguamenti
annuali  al  piano  triennale  stesso  anche alla luce di scostamenti
delle  previsioni, previa ricognizione degli interventi necessari per
il raggiungimento degli obiettivi».
   Tocca,  poi,  al  comma  420  statuire  che: «Le proposte avanzate
dall'organismo  paritetico di coordinamento sono adottate, con propri
provvedimenti,    dalle   amministrazioni   competenti.   L'organismo
paritetico  di coordinamento opera senza oneri a carico della finanza
pubblica».
   Segue  il  comma  421:  «I piani di cui al comma 419 sono adottati
fermo restando, per la parte di competenza, quanto disposto dall'art.
1,  comma  620,  della  legge  27 dicembre 2006, n. 296, e successive
modificazioni»
   Ecco  la  previsione  di  cui  al comma 422: «L'ufficio scolastico
regionale  effettua  il  monitoraggio  circa  il raggiungimento degli
obiettivi  fissati  dal  piano  di  cui  al  comma  419, ne riferisce
all'organismo  paritetico di coordinamento e predispone una relazione
contenente tutti gli elementi necessari da inviare al Ministero della
pubblica  istruzione  al  fine  di  effettuare,  di  concerto  con il
Ministero  dell'economia  e delle finanze, la verifica delle economie
aggiuntive  effettivamente  conseguite,  per  la riassegnazione delle
stesse   allo  stato  di  previsione  del  Ministero  della  pubblica
istruzione».
   Spetta,  poi,  al  comma  423  stabilire  che:  «Nel  triennio  di
sperimentazione,  le  economie di cui al comma 422 confluiscono in un
fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero della pubblica
istruzione, per essere destinate alle istituzioni pubbliche che hanno
concorso  al  raggiungimento  degli  obiettivi,  per  le finalita' di
miglioramento della qualita' del settore della pubblica istruzione».
   Ai  sensi  del  comma  424:  «Entro  la  fine dell'anno scolastico
2010/2011,  sulla  base  del monitoraggio condotto ai sensi del comma
422  e della valutazione degli effetti di tale sperimentazione di cui
al  comma  418, lettera g), il Ministro della pubblica istruzione, di
concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle finanze, adotta,
previa  intesa  con  la  Conferenza  unificata  di cui all'art. 8 del
decreto  legislativo  28  agosto  1997,  n. 281, un atto di indirizzo
finalizzato   all'estensione   all'intero  territorio  nazionale  del
modello  organizzativo adottato negli ambiti territoriali individuati
ai  sensi  del  comma  417, tenendo conto degli elementi emersi dalla
sperimentazione».
   Infine,  il  comma  425  prevede  che: «Al fine di pervenire a una
gestione    integrata    delle    risorse    afferenti   il   settore
dell'istruzione,  per  gli  interventi  a  carico del fondo di cui al
comma 13 puo' trovare applicazione l'art. 8 del regolamento di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367».
   Il  legislatore  statale ha, in sostanza, previsto che il Ministro
della  pubblica istruzione, di concerto con il Ministro dell'economia
e   delle   finanze,  previa  intesa  con  la  Conferenza  unificata,
stabilisca,  con atti di indirizzo, finalita', criteri e metodi della
sperimentazione  di  un  modello  organizzativo  volto a innalzare la
qualita'  del  servizio  di  istruzione e ad accrescere efficienza ed
efficacia  della  spesa  (comma  417).  Alcuni criteri e specificita'
della  suddetta  sperimentazione,  che  comprendera'  le  tre  annate
2008/2009, 2009/2010 e 2010/2011, sono gia' stabiliti al comma 418.
   A  livello  territoriale  si  prevede,  poi, la costituzione di un
organismo  con  il compito di attuare gli obiettivi fissati a livello
centrale  adattandoli  alle necessita' del territorio di competenza e
di fare proposte che potranno essere attuate dalle amministrazioni di
competenza (commi 419 e 420).
   All'ufficio  scolastico  regionale  e'  attribuito  il  compito di
monitorare  il  grado  di  raggiungimento degli obiettivi fissati con
piano  dell'organismo  paritetico e di riferire i risultati di questa
attivita'   all'organismo   stesso  e  al  Ministero  della  pubblica
istruzione, con relazione (comma 422).
   Il comma 423 stabilisce, inoltre, che i risparmi conseguiti, nella
fase  transitoria, saranno riassegnati alle istituzioni pubbliche che
avranno  attivato le iniziative di riorganizzazione volte a contenere
la   spesa.   Per  gestire  piu'  agevolmente  le  risorse,  poi,  le
amministrazioni interessate potranno individuare un unico funzionario
al quale delegare le funzioni di amministrazione delle risorse stesse
(comma 425).
   Infine,  il  comma  424  prevede  che,  al termine del triennio di
sperimentazione,  il Ministero della pubblica istruzione, di concerto
con il Ministro dell'economia e d'intesa con la Conferenza unificata,
possa   estendere,   con   atto  d'indirizzo,  all'intero  territorio
nazionale il modello sperimentato.
   E',  innanzitutto,  necessario  chiarire  quale  sia  l'ambito  di
afferenza  della  disciplina  impugnata.  Si tratta, senza dubbio, di
«istruzione», materia di potesta' legislativa concorrente.
   Le  disposizioni  normative  in  parola,  infatti,  ruotano  tutte
attorno   alla   definizione   e   all'attuazione   di  un  programma
sperimentale   che,  incidendo,  tra  l'altro,  sulla  programmazione
dell'offerta  formativa,  sulla  distribuzione  della rete scolastica
territoriale,   sull'organizzazione   del   servizio   delle  singole
istituzioni  scolastiche  e  sulla  formazione  e distribuzione delle
classi  o, ancora, sul rapporto insegnanti-studenti, evidentemente si
muove  proprio  in  quell'ambito  di  competenze che gia' prima della
riforma del 2001, con decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sono
state delegate alle regioni e che ad oggi devono certamente ritenersi
di potesta' legislativa concorrente.
   Con  riferimento  alle  funzioni  di  programmazione  dell'offerta
scolastica e di organizzazione del servizio scolastico codesta ecc.ma
Corte  ha avuto modo di chiarire, infatti, che «e' (...) implausibile
che  il  legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le regioni
di  una  funzione  che  era  gia' ad esse conferita nella forma della
competenza  delegata dall'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del
1998   (...)   Una  volta  attribuita  l'istruzione  alla  competenza
concorrente, il riparto imposto dall'art. 117 postula che, in tema di
programmazione  scolastica  e di gestione amministrativa del relativo
servizio,  compito dello Stato sia solo quello di fissare i principi»
(cosi',  Corte cost., sent., 13 gennaio 2004, n. 13. Cfr. anche Corte
cost.,  sent.,  23  dicembre  2003,  n. 370;  Corte  cost.,  sent., 5
novembre 2004, n. 320; Corte cost., sent., 25 marzo 2005, n. 120).
   Se  cosi'  e',  quindi, nel caso di specie non puo' legittimamente
invocarsi la competenza esclusiva statale ex art. 117, comma 2, lett.
n), in materia di «norme generali sull'istruzione».
   Ma,  ai  sensi  dell'ultimo  periodo del terzo comma dell'art. 117
Cost., «nelle materie di potesta' legislativa concorrente spetta alle
regioni  la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione statale».
   La  disciplina  normativa  in esame, tuttavia, non contiene alcuna
disposizione  di principio limitandosi, da un lato, ad autorizzare un
intervento  ministeriale in materia, dall'altro, a istituire un nuovo
organismo  di  coordinamento  e controllo e ad attribuire agli uffici
regionali  funzioni  di  monitoraggio.  Pertanto  essa  e'  posta  in
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.
   Deve,  poi,  evidenziarsi  che a seguito della riforma operata con
legge  costituzionale  18  ottobre 2001, n. 3, non e' consentito allo
Stato  di  intervenire in materie di potesta' legislativa concorrente
con atti normativi di rango sublegislativo, stante il chiaro disposto
di  cui  all'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,  che  pure qui risulta
violato.
   Come  codesta  ecc.ma  Corte ha gia' avuto modo di affermare negli
ambiti di potesta' legislativa concorrente, quale l'«istruzione», «e'
da  escludere  la permanenza in capo allo Stato del potere di emanare
atti  di  indirizzo  e  coordinamento (...) anche alla luce di quanto
disposto  dall'art.  8,  comma  6,  della legge 5 giugno 2003, n. 131
(Disposizioni  per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale stabilisce
che  "nelle  materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della
Costituzione,  non  possono  essere  adottati gli atti di indirizzo e
coordinamento''» (cfr. Corte cost., sent., 4 novembre 2003, n. 329).
   La  disciplina  statale  impugnata,  inoltre,  ove  non dichiarata
costituzionalmente   illegittima,   consentendo   al   Ministero   di
intervenire  assai  incisivamente  in  materia  di organizzazione del
servizio e dell'offerta scolastica, implichera' una forte menomazione
dell'autonomia  amministrativa  delle  regioni,  ossia una violazione
dell'art. 118 Cost.
   Deve, poi, rilevarsi che la previsione della necessaria intesa con
la  Conferenza  unificata  per  l'emanazione  dell'atto  di indirizzo
ministeriale  non  sembra  idonea,  comunque, a garantire l'autonomia
legislativa  ed  amministrativa  riconosciuta costituzionalmente alla
Regione:  ove,  infatti, quest'ultima venisse a trovarsi in posizione
minoritaria in sede di Conferenza, sarebbe comunque tenuta ad attuare
quanto previsto in sede di indirizzo.
   Le  previsioni  normative  impugnate, inoltre, - per mero scrupolo
difensivo  lo  si  rileva  -  non  possono neppure considerarsi forme
legittime  di  «chiamata  in  sussidiarieta» di funzioni regionali ad
opera dello Stato.
   Codesto  ecc.mo Collegio ha, infatti, chiarito che «e' ammissibile
una  deroga  al normale riparto di competenze "solo se la valutazione
dell'interesse   pubblico   sottostante  all'assunzione  di  funzioni
regionali  da  parte  dello Stato sia proporzionata'', e "non risulti
affetta  da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di
costituzionalita'''»,  in  quanto  «"perche'  nelle  materie  di  cui
all'art.  117,  terzo  e quarto comma, Cost., una legge statale possa
legittimamente  attribuire funzioni amministrative a livello centrale
ed  al  tempo  stesso  regolarne  l'esercizio, e' necessario che essa
innanzitutto  rispetti i principi di sussidiarieta', differenziazione
e   adeguatezza  nella  allocazione  delle  funzioni  amministrative,
rispondendo  ad  esigenze  di esercizio unitario di tali funzioni. E'
necessario,  inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente
pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e
che  risulti  limitata  a  quanto  strettamente indispensabile a tale
fine''»  (cosi'  Corte  cost.,  sent.,  24 giugno 2005, n. 242; Corte
cost.,  sent.,  1°  ottobre  2003,  n. 303  e  Corte cost., sent., 13
gennaio 2004, n. 6).
   Nel  caso  di  specie,  non  esiste  alcuna  esigenza di esercizio
unitario,  e  comunque  la  disciplina in esame non si limita certo a
stabilire quanto essenziale all'interesse unitario da perseguire, dal
momento  che  si  attribuisce  al  Ministero  l'amplissimo  potere di
ridisciplinare,  mediante  un  atto  di  indirizzo  circa  un  futuro
programma   sperimentale,   l'intera   organizzazione   del  servizio
scolastico  (dal  rapporto  alunni-docenti, alle infrastrutture, alla
formazione  delle classi, alla determinazione del programma formativo
ecc...).
   Infine,   al   comma   423,   si   prevede  una  distribuzione  di
finanziamenti  a  destinazione  vincolata: si tratta dei risparmi che
saranno conseguiti mediante l'attuazione del programma sperimentale e
che saranno destinati alle istituzioni pubbliche che avranno concorso
al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
   Ora,  come  si  e'  piu'  volte  ricordato,  secondo  il  costante
orientamento  di  codesta ecc.ma Corte, l'art. 119 Cost. non consente
allo  Stato  di istituire e disciplinare finanziamenti a destinazione
vincolata ne' nelle materie di potesta' legislativa concorrente (art.
117,  terzo  comma, Cost.), ne' nelle materie di potesta' legislativa
residuale  della  regione  (art.  117,  quarto comma, Cost.), sia che
questi  fondi prevedano la diretta attribuzione di risorse a regioni,
province,  citta'  metropolitane  o  comuni  (Corte  cost., sent., 23
dicembre  2003,  n. 370;  Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16;
Corte  cost.,  sent.,  29  gennaio 2004, n. 49), sia che prevedano la
diretta attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche o
giuridiche  (Corte  cost.,  sent.,  29  dicembre  2004, n. 423; Corte
cost.,  sent.,  18 febbraio 2005, n. 77; Corte cost., sent., 18 marzo
2005, n. 107; Corte cost., sent., 24 marzo 2006, n. 118).
   Nel contesto dell'art. 119 Cost., infatti, sono previste solamente
due  tipologie di fondi: un fondo perequativo (art. 119, terzo comma,
Cost.)  e  «risorse aggiuntive» ed «interventi speciali» in favore di
determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine
di  «promuovere  lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta'
sociale,  (...)  rimuovere  gli  squilibri economici e sociali, (...)
favorire  l'effettivo  esercizio  dei  diritti  della  persona, (...)
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni»
(art. 119, quinto comma, Cost.).
   Il  finanziamento portato all'attenzione di codesto ecc.mo giudice
non  possiede i caratteri di alcuno dei due, trattandosi piuttosto di
un'elargizione  premiale,  che davvero mal si concilia con il disegno
costituzionale.
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 2, commi 417, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424 e 425 della
legge  24  dicembre 2007, n. 244, per contrasto con gli articoli 117,
118  e  119  Cost.,  nonche'  del  principio di leale collaborazione,
desumibile,  in  particolare,  agli  articoli 5 e 120, secondo comma,
Cost.  e  dall'art.  11  della  legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3.
   9.  -  I  commi 458, 459 e 460 dell'art. 2 della legge finanziaria
per  l'anno  2008,  invece,  stabiliscono: «Per l'organizzazione e il
funzionamento  di  servizi  socio-educativi  per  la  prima  infanzia
destinati ai minori di eta' fino a 36 mesi, presso enti e reparti del
Ministero  della difesa, e' istituito un fondo con una dotazione di 3
milioni  di  euro  per  ciascuno  degli anni 2008, 2009 e 2010 [comma
458].
   La programmazione e la progettazione relativa ai servizi di cui al
comma  458, nel rispetto delle disposizioni normative e regolamentari
vigenti  nelle  regioni  presso  le quali sono individuate le sedi di
tali  servizi, viene effettuata in collaborazione con il Dipartimento
per  le  politiche  della famiglia della Presidenza del Consiglio dei
ministri,   sentito   il   comitato  tecnico-scientifico  del  Centro
nazionale   di   documentazione   e   di  analisi  per  l'infanzia  e
l'adolescenza,  di  cui al decreto del Presidente della Repubblica 14
maggio 2007, n. 103 [comma 459].
   I  servizi  socio-educativi  di  cui al comma 458 sono accessibili
anche    da    minori    che    non   siano   figli   di   dipendenti
dell'Amministrazione della difesa e concorrono ad integrare l'offerta
complessiva  del sistema integrato dei servizi socio-educativi per la
prima  infanzia  e  del relativo Piano straordinario di intervento di
cui  all'art.  1,  comma  1259, della legge 27 dicembre 2006, n. 296,
come modificato dal comma 457 [comma 460]».
   9.1.  -  E' necessario, preliminarmente, individuare la materia di
riferimento.
   A  tal  fine  e'  indispensabile  richiamare  la giurisprudenza di
codesto  ecc.mo  Collegio  e, in particolare, la sentenza 23 dicembre
2003,  n. 370  (confermata dalla successiva sentenza 5 novembre 2004,
n. 320).
   In  quella  occasione la Corte costituzionale, dopo aver affermato
che,  avuto  riguardo  alla  legislazione  passata,  gli  asili  nido
potevano  considerarsi  -  come  effettivamente  essa stessa li aveva
considerati   -   speciali  servizi  sociali  di  interesse  pubblico
riconducibili alla materia «assistenza e beneficenza pubblica» di cui
al  precedente  art. 117 Cost. (v. Corte cost., nn. 139 del 1985, 319
del  1983,  174  del  1981),  ha  affermato  (richiamando  la propria
precedente  sentenza  n. 467 del 2002) che, alla luce dell'evoluzione
legislativa  in materia, «"il servizio fornito dall'asilo nido non si
riduce ad una funzione di sostegno alla famiglia nella cura dei figli
o  di  mero supporto per facilitare l'accesso dei genitori al lavoro,
ma  comprende  anche  finalita' formative, essendo rivolto a favorire
l'espressione  delle potenzialita' cognitive, affettive e relazionali
del  bambino''», con la conseguenza che, «pur negandosi l'inserimento
degli  asili  nido  nell'ambito  delle  vere  e  proprie  istituzioni
scolastiche,  si  e'  rilevata  "la  assimilazione,  ad  opera  della
legislazione    ordinaria,    delle   finalita'   di   formazione   e
socializzazione   perseguite  dagli  asili  nido  rispetto  a  quelle
propriamente  riconosciute  alle  istituzioni  scolastiche''»  (Corte
cost.,  sent.,  23  dicembre 2003, n. 370, punto 3 del Considerato in
diritto).
   Conseguentemente  -  afferma la Corte costituzionale - , «per quel
che   attiene  in  particolare  agli  asili  nido,  per  quanto  gia'
evidenziato   in   relazione  alle  funzioni  educative  e  formative
riconosciute  loro,  nonche'  in  considerazione  della  finalita' di
rispondere  alle  esigenze  dei genitori lavoratori, e' indubbio che,
utilizzando  un  criterio  di  prevalenza, la relativa disciplina non
possa  che  ricadere  nell'ambito  della materia dell'istruzione (sia
pure  in  relazione  alla  fase pre-scolare del bambino), nonche' per
alcuni profili nella materia della tutela del lavoro, che l'art. 117,
terzo   comma,   della   Costituzione   (...)  affida  alla  potesta'
legislativa  concorrente (fatti salvi naturalmente gli interventi del
legislatore   statale   che   trovino   legittimazione   nei   titoli
"trasversali''   di   cui   all'art.   117,   secondo   comma,  della
Costituzione)».
   E'  evidente,  allora,  che  la disciplina normativa in materia di
asili  nido  deve  essere  ricondotta a materie (prevalentemente alla
materia  «istruzione»,  in  parte  anche  alla  materia  "tutela  del
lavoro")  rientranti  tra  quelle di potesta' legislativa concorrente
(art.  117,  terzo  comma, Cost.), materie, dunque, in relazione alle
quali spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali e
alle regioni la fissazione della normativa di dettaglio.
   Pertanto,  le  norme  di  cui  ai commi 458, 459 e 460 dell'art. 2
della  legge  finanziaria  per  l'anno 2008, che - come si e' detto -
sono   riconducibili   ad   una   materia   di  potesta'  legislativa
concorrente,  violano  l'art.  117,  terzo comma, della Costituzione,
stante la loro natura di norme di dettaglio.
   9.2.  -  Le  predette  norme  violano,  altresi', l'art. 119 della
Costituzione.
   Secondo  il  costante  orientamento  di  codesto  ecc.mo Collegio,
l'art.  119 Cost. non consente allo Stato di istituire e disciplinare
finanziamenti  a destinazione vincolata ne' nelle materie di potesta'
legislativa  concorrente  (art.  117,  terzo comma, Cost.), ne' nelle
materie  di  potesta'  legislativa residuale della regione (art. 117,
quarto  comma,  Cost.),  sia  che  questi  fondi prevedano la diretta
attribuzione  di  risorse a regioni, province, citta' metropolitane o
comuni  (Corte  cost.,  sentenze 23 dicembre 2003, n. 370; 16 gennaio
2004,  n. 16;  29  gennaio 2004, n. 49), sia che prevedano la diretta
attribuzione  di  risorse  a  soggetti  privati,  persone  fisiche  o
giuridiche  (Corte  cost.,  sentenze  29  dicembre  2004,  n. 423; 18
febbraio  2005, n. 77; 18 marzo 2005, n. 107; 24 marzo 2006, n. 118),
poiche'  «il  ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire
uno  strumento  indiretto,  ma  pervasivo,  di  ingerenza dello Stato
nell'esercizio delle funzioni delle regioni e degli enti locali, e di
sovrapposizione  di politiche e di indirizzi governati centralmente a
quelli  legittimamente decisi dalle regioni negli ambiti materiali di
propria competenza» (cosi' Corte cost., 16 gennaio 2004, n. 16).
   Nel contesto dell'art. 119 Cost., infatti, sono previste solamente
due  tipologie  di  fondi: (i) un fondo perequativo, senza vincoli di
destinazione,  per  i  territori  con  minore  capacita'  fiscale per
abitante  (art.  119,  terzo comma, Cost.), che, insieme ad entrate e
tributi  propri  e  compartecipazione  al gettito di tributi erariali
riferibile  al  proprio  territorio (art. 119, secondo comma, Cost.),
serve  a  finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a
regioni  ed  enti  locali  (art.  119,  quarto  comma,  Cost.) e (ii)
«risorse   aggiuntive»   ed   «interventi   speciali»  in  favore  di
determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine
di  "promuovere  lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta'
sociale,  (...)  rimuovere  gli  squilibri economici e sociali, (...)
favorire  l'effettivo  esercizio  dei  diritti  della  persona, (...)
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni"
(art. 119, quinto comma, Cost.).
   In  ordine  a  questi ultimi, codesto ecc.mo Collegio ha precisato
che   essi   «non   solo   debbono   essere  aggiuntivi  rispetto  al
finanziamento  integrale  (...)  delle funzioni spettanti ai comuni o
agli  altri  enti,  e  riferirsi  alle finalita' di perequazione e di
garanzia  enunciate  nella  norma  costituzionale, o comunque a scopi
diversi  dal  normale  esercizio  delle  funzioni,  ma debbono essere
indirizzati  a  determinati comuni o categorie di comuni (o province,
citta'  metropolitane,  regioni)»  e che «l'esigenza di rispettare il
riparto  costituzionale  delle  competenze  legislative  fra  Stato e
regioni  comporta  altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino
ambiti   di  competenza  delle  regioni,  queste  siano  chiamate  ad
esercitare   compiti   di  programmazione  e  di  riparto  dei  fondi
all'interno  del  proprio territorio» (cosi' Corte cost., sentenze 16
gennaio 2004, n. 16; 8 giugno 2005, n. 222).
   Codesto  ecc.mo  Collegio  ha riconosciuto, peraltro, che lo Stato
puo'  istituire  e  disciplinare fondi a destinazione vincolata nelle
materie  di  sua  competenza  legislativa  esclusiva (in questo senso
Corte  cost.,  sentenze  16  gennaio  2004,  n. 16;  29 gennaio 2004,
n. 49).
   9.3.  -  Da quanto sin qui detto consegue, de plano, la violazione
dell'art. 118 della Costituzione.
   9.4.   -   In  subordine,  peraltro,  considerato  che  potrebbero
ravvisarsi  delle  interferenze  con  materie di potesta' legislativa
esclusiva  dello  Stato  (art. 117, secondo comma, Cost.), quale, per
esempio,  la stessa «difesa e Forze armate» (art. 117, secondo comma,
lett.  d),  si  censurano le norme de quibus anche per violazione del
fondamentale  principio  di leale collaborazione tra Stato e regione,
desumibile,  in  particolare,  dagli articoli 5 e 120, secondo comma,
Cost. e 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
   Codesto  ecc.mo  Collegio  ha  in  diverse  occasioni  giustamente
riconosciuto  che  «la complessita' della realta' sociale da regolare
comporta  che, di frequente, le normative non possano essere riferite
nel  loro  insieme ad una sola materia, perche' concernono situazioni
non  omogenee,  ricompresse in materie diverse sotto il profilo della
competenza   legislativa»  (Corte  cost.,  sentenza  31  marzo  2006,
n. 133).  Conseguentemente,  esso  ha ritenuto quanto segue: «"Per le
ipotesi   in  cui  ricorra  una  ‘concorrenza  di  competenze',  la
Costituzione  non  prevede  espressamente un criterio di composizione
delle  interferenze.  In tal caso - ove (...) non possa ravvisarsi la
sicura  prevalenza  di  un complesso normativo rispetto ad altri, che
renda   dominante  la  relativa  competenza  legislativa  -  si  deve
ricorrere  al  canone  della U¬leale collaborazione', che impone alla
legge  statale  di  predisporre  adeguati strumenti di coinvolgimento
delle  regioni,  a salvaguardia delle loro competenze'' (sentenze nn.
50  e  219  del  2005).  (...)  "a  tal  fine  l'individuazione della
disciplina   piu'   congrua   compete   alla   discrezionalita'   del
legislatore''» (cosi' Corte cost., sentenza 18 giugno 2007, n. 201).
   9.5.  -  Si  chiede,  pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia
dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2, commi 458,
459  e  460,  della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per contrasto con
gli  articoli  117,  comma  3, 118 e 119 della Costituzione e, in via
subordinata,  per  contrasto con il principio di leale collaborazione
tra  Stato  e  regione,  principio  desumibile, in particolare, dagli
artt. 5 e 120, comma 2, della Costituzione e dall'art. 11 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
   10. - L'art. 2, comma 462, della legge finanziaria per l'anno 2008
dispone:  «All'articolo  1, comma 1251, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296, sono aggiunte le seguenti lettere:
   "c-bis)  favorire  la  permanenza  od  il  ritorno nella comunita'
familiare di persone parzialmente o totalmente non autosufficienti in
alternativa  al ricovero in strutture residenziali socio-sanitarie. A
tal fine il Ministro delle politiche per la famiglia, di concerto con
i  Ministri  della  solidarieta' sociale e della salute, promuove, ai
sensi  dell'art.  8,  comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, una
intesa  in sede di conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto
legislativo  28 agosto 1997, n. 281, avente ad oggetto la definizione
dei  criteri  e  delle  modalita' sulla base dei quali le regioni, in
concorso  con  gli  enti  locali, definiscono ed attuano un programma
sperimentale  di  interventi  al quale concorrono i sistemi regionali
integrati  dei  servizi alla persona; c-ter) finanziare iniziative di
carattere  informativo  ed  educativo  volte alla prevenzione di ogni
forma   di   abuso   sessuale   nei  confronti  di  minori,  promosse
dall'Osservatorio   per   il   contrasto   della  pedofilia  e  della
pornografia  minorile  di cui all'art. 17, comma 1-bis, della legge 3
agosto 1998, n. 269''».
   10.1.   -  Con  ricorso  notificato  in  data  23  febbraio  2007,
depositato  in  cancelleria  in  data 1 marzo 2007 e tuttora pendente
dinanzi  codesto  ecc.mo  Collegio  al  n. di  R.G. 10/07, la Regione
Veneto  ha  impugnato  i  commi 1250, 1251 e 1252 dell'unico articolo
della  legge  finanziaria  per  l'anno  2007 (legge n. 296 del 2006),
disciplinanti   il  «Fondo  per  le  politiche  della  famiglia»  per
contrasto  con  gli  articoli  117,  quarto  comma,  118  e 119 della
Costituzione.
   I  commi  1250,  1251  e  1252  dell'unico  articolo  della  legge
finanziaria  per  l'anno  2007 dispongono: «Il Fondo per le politiche
della  famiglia  di  cui  all'art.  19,  comma 1, del decreto-legge 4
luglio  2006,  n. 223,  convertito,  con modificazioni, dalla legge 4
agosto  2006,  n. 248,  e'  incrementato  di  210 milioni di euro per
l'anno  2007  e di 180 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e
2009.  Il Ministro delle politiche per la famiglia utilizza il Fondo:
per  istituire  e  finanziare l'Osservatorio nazionale sulla famiglia
prevedendo la rappresentanza paritetica delle amministrazioni statali
da  un  lato  e delle regioni, delle Province autonome di Trento e di
Bolzano  e  degli  enti  locali dall'altro, nonche' la partecipazione
dell'associazionismo   e   del   terzo  settore;  per  finanziare  le
iniziative  di  conciliazione  del  tempo  di vita e di lavoro di cui
all'art.  9  della  legge  8  marzo  2000,  n. 53;  per  sperimentare
iniziative  di abbattimento dei costi dei servizi per le famiglie con
numero di figli pari o superiore a quattro; per sostenere l'attivita'
dell'Osservatorio   per   il   contrasto   della  pedofilia  e  della
pornografia  minorile  di  cui all'art. 17 della legge 3 agosto 1998,
n. 269,  e  successive modificazioni, dell'Osservatorio nazionale per
l'infanzia  e del Centro nazionale di documentazione e di analisi per
l'infanzia di cui alla legge 23 dicembre 1997, n. 451; per sviluppare
iniziative  che  diffondano  e  valorizzino le migliori iniziative in
materia di politiche familiari adottate da enti locali e imprese; per
sostenere   le   adozioni   internazionali   e   garantire  il  pieno
funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali [comma
1250].
   Il Ministro delle politiche per la famiglia si avvale altresi' del
fondo  per  le  politiche  della  famiglia  al fine di: a) finanziare
l'elaborazione,  realizzata  d'intesa  con  le  altre amministrazioni
statali  competenti  e  con la Conferenza unificata di cui all'art. 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, di un piano nazionale
per la famiglia che costituisca il quadro conoscitivo, promozionale e
orientativo  degli  interventi  relativi  all'attuazione  dei diritti
della famiglia, nonche' acquisire proposte e indicazioni utili per il
Piano   e  verificarne  successivamente  l'efficacia,  attraverso  la
promozione  e l'organizzazione con cadenza biennale di una conferenza
nazionale sulla famiglia; b) realizzare, unitamente al Ministro della
salute, una intesa in sede di conferenza unificata ai sensi dell'art.
8,  comma  6,  della  legge  5 giugno 2003, n. 131, avente ad oggetto
criteri e modalita' per la riorganizzazione dei consultori familiari,
finalizzata  a  potenziarne  gli  interventi  sociali in favore delle
famiglie;  c) promuovere e attuare in sede di conferenza unificata di
cui  all'art.  8  del  decreto  legislativo  28  agosto 1997, n. 281,
d'intesa  con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e con
il  Ministro  della  pubblica istruzione, un accordo tra lo Stato, le
regioni  e  le  Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano per la
qualificazione del lavoro delle assistenti familiari [comma 1251]. Il
Ministro  delle  politiche  per  la  famiglia,  con  proprio decreto,
ripartisce gli stanziamenti del Fondo delle politiche per la famiglia
tra gli interventi di cui ai commi 1250 e 1251 [comma 1252]».
   La Regione Veneto ha ravvisato nelle norme de quibus la violazione
dell'art.  117, quarto comma, Cost. dal momento che esse intervengono
con  riguardo  ad  una  materia, «politiche sociali», che rientra tra
quelle di potesta' legislativa residuale della regione.
   Ha  ravvisato,  altresi',  la  violazione dell'art. 119 Cost., dal
momento  che  lo  Stato non puo' dettare norme volte ad istituire e a
disciplinare finanziamenti a destinazione vincolata ne' nelle materie
di  potesta'  legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.),
ne'  nelle  materie  di  potesta' legislativa residuale della regione
(art.  117,  quarto  comma, Cost.), sia che questi fondi prevedano la
diretta   attribuzione   di   risorse  a  regioni,  province,  citta'
metropolitane  o  comuni  (Corte  cost.,  sentenze  23 dicembre 2003,
n. 370;  16  gennaio  2004,  n. 16;  29 gennaio 2004, n. 49), sia che
prevedano attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche
o  giuridiche  (Corte  cost.,  sentenze  29 dicembre 2004, n. 423; 18
febbraio  2005, n. 77; 18 marzo 2005, n. 107; 24 marzo 2006, n. 118),
poiche'  norme  del  genere  sono  gravemente  lesive  dell'autonomia
finanziaria  regionale.  In  quella  occasione,  inoltre,  la Regione
Veneto  ha  evidenziato che, in una precedente sentenza (Corte cost.,
24  marzo  2006, n. 118), la Corte costituzionale non aveva esitato a
dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  di  una norma analoga a
quelle de quibus.
   La  Regione  Veneto,  infine,  ha censurato le norme de quibus per
violazione,  conseguente  de  plano  alla denunciata violazione degli
articoli 117, quarto comma, 118 e 119 Cost.
   10.2.  -  Come noto, il «Fondo per le politiche della famiglia» e'
stato  originariamente  istituito  dall'art. 19, comma 1, del decreto
legge  4  luglio  2006,  n. 223, convertito, con modificazioni, dalla
legge  4  agosto  2006,  n. 248,  che  cosi'  dispone:  «Al  fine  di
promuovere  e  realizzare interventi per la tutela della famiglia, in
tutte le sue componenti e le sue problematiche generazionali, nonche'
per  supportare  l'Osservatorio  nazionale  sulla famiglia, presso la
Presidenza   del   Consiglio  dei  ministri  e'  istituito  un  fondo
denominato  "Fondo  per  le  politiche  della famiglia'', al quale e'
assegnata  la  somma  di 3 milioni di euro per l'anno 2006 e di dieci
milioni di euro a decorrere dall'anno 2007».
   Anche  la  predetta norma e' stata impugnata dalla Regione Veneto.
Il  ricorso, pero', e' stato definitivamente dichiarato inammissibile
da codesto ecc.mo Collegio con sentenza 21 dicembre 2007, n. 453.
   Con  la  predetta sentenza codesto ecc.mo Collegio ha ritenuto che
«la disposizione censurata, nell'istituire i fondi sopra indicati, si
limita  ad  indicare  mere  finalita'  di  intervento  nei settori di
rispettiva   competenza,   risultando,   secondo  il  principio  gia'
affermato   da   questa  Corte,  inidonea  a  ledere  "le  competenze
regionali, potendo la lesione derivare non gia' dall'enunciazione del
proposito  di  destinare risorse per finalita' indicate in modo cosi'
ampio e generico, bensi' (eventualmente) dalle norme nelle quali quel
proposito  si  concretizza,  sia  per  entita'  delle risorse sia per
modalita'  di  intervento  sia, ancora, per le materie direttamente e
indirettamente  implicate  da  tali  interventi  (sentenza n. 141 del
2007)''».
   All'udienza  pubblica  del  12  febbraio  2008,  e  nella relativa
memoria conclusiva, la Regione Veneto ha insistito per l'accoglimento
del  ricorso  proposto  contro  i  commi 1250, 1251 e 1252 dell'unico
articolo della legge finanziaria per l'anno 2007, osservando che, pur
non  potendo  condividersi  i  principi  enunciati  da codesto ecc.mo
Collegio  nelle sentenze nn. 141 e 453 del 2007, comunque la coerente
applicazione   degli  stessi  avrebbe  necessariamente  implicato  la
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale degli articoli 1250,
1251  e  1252  dell'unico articolo della legge finanziaria per l'anno
2007.
   In  particolare,  la  Regione  Veneto  ha osservato che i principi
affermati da codesto ecc.mo Collegio nelle sentenze nn. 141 e 453 del
2007  non  sono  perfettamente  in  linea con il sistema di giustizia
costituzionale  vigente  in  Italia,  dal  momento che il giudizio di
costituzionalita'  in  via  principale  e' quel giudizio nel quale il
Giudice  costituzionale  e' adito da organi o soggetti che propongono
un'astratta  questione di legittimita' costituzionale, una questione,
cioe',  indipendente  - ed era questo il punto su cui maggiormente la
Regione Veneto ha insistito - dalla circostanza che la norma o l'atto
impugnato ricevano questo o quel tipo di applicazioni.
   La  Regione  Veneto  non ha mancato di osservare, comunque, che la
linea  di  pensiero accolta da codesto ecc.mo Collegio nelle sentenze
nn.  141  e  453  del  2007 avrebbe imposto allo stesso di dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dei commi 1250, 1251, 1252, dell'art.
1  della  legge  finanziaria  per l'anno 2007, perche' essi, rispetto
all'art.  19  del  decreto-legge  n. 223  del  2006,  convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, non si limitano - a voler
usare  le  stesse parole di codesto ecc.mo Collegio - ad enunciare il
proposito  di  destinare  risorse,  ma,  al  contrario, concretizzano
quello  stesso  proposito,  «sia  per  entita'  delle risorse sia per
modalita'  di  intervento  sia, ancora, per le materie direttamente e
indirettamente implicate da tali interventi» (v. Corte cost., nn. 141
e 453 del 2007).
   10.3.  -  Un  tanto  (doverosamente)  premesso,  la Regione Veneto
censura  la  norma de qua (art. 2, comma 462, della legge finanziaria
per  l'anno  2008) per violazione degli stessi parametri in relazione
alla  violazione  dei quali sono stati censurati i commi 1250, 1251 e
1252  dell'articolo  unico della legge finanziaria per l'anno 2007, e
quindi  per violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost.
per le stesse ragioni di cui si e' detto supra.
   Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2, comma 462, della legge
24  dicembre  2007,  n. 244,  per contrasto con gli artt. 117, quarto
comma, 118 e 119 della Costituzione.
   11. - L'art. 2, comma 474, della legge finanziaria per l'anno 2008
dispone:  «E'  istituito  presso il Ministero dei trasporti il "Fondo
per  la  mobilita'  dei  disabili'', con una dotazione annua pari a 5
milioni  di  euro  per l'anno 2008 e a 3 milioni di euro per ciascuno
degli  anni  2009  e  2010.  Il  Fondo  finanzia interventi specifici
destinati alla realizzazione di un parco ferroviario per il trasporto
in  Italia  e all'estero dei disabili assistiti dalle associazioni di
volontariato  operanti  sul  territorio  italiano.  Al  Fondo possono
affluire  le  somme  derivanti da atti di donazione e di liberalita',
nonche'  gli  importi  derivanti da contratti di sponsorizzazione con
soggetti  pubblici e privati. Con decreto del Ministro dei trasporti,
di  concerto  con  i  Ministri  dell'economia e delle finanze e della
salute   (sic),  sentite  le  rappresentanze  delle  associazioni  di
volontariato operanti sul territorio, sono stabilite le modalita' per
il funzionamento del Fondo di cui al presente comma».
   11.1.  - E' necessario, preliminarmente, individuare la materia di
riferimento.
   La  norma  in  esame  puo'  essere inquadrata, alternativamente, o
nella  materia  «assistenza  e  beneficenza pubblica» o nella materia
«politiche  sociali»,  che,  non  essendo  ricomprese  tra le materie
elencate  nell'art.  117,  secondo  comma, Cost. (materie di potesta'
legislativa esclusiva dello Stato), ne' nelle materie di cui all'art.
117,   terzo   comma,   Cost.   (materie   di   potesta'  legislativa
concorrente),  appartengono alla potesta' legislativa residuale della
regione.
   Nel senso qui prospettato depongono, altresi', due (relativamente)
recenti pronunce di codesto ecc.mo Collegio (Corte cost., sentenze 19
luglio 2005, n. 287 e 29 dicembre 2004, n. 423).
   Pertanto, dal momento che la norma in esame interviene sicuramente
in  una  materia  di  potesta'  legislativa residuale regionale, essa
viola l'art. 117, quarto comma, Cost.
   11.2. - La predetta norma viola, altresi', l'art. 119 Cost.
   Anche qui vale quanto gia' detto supra a margine dell'impugnazione
di molti commi dell'art. 2 della legge finanziaria per l'anno 2008, e
cioe'  che  lo  Stato  non  puo' dettare norme volte ad istituire e a
disciplinare finanziamenti a destinazione vincolata ne' nelle materie
di  potesta'  legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.),
ne'  nelle  materie  di  potesta' legislativa residuale della regione
(art.  117,  quarto  comma, Cost.), sia che questi fondi prevedano la
diretta   attribuzione   di   risorse  a  regioni,  province,  citta'
metropolitane  o  comuni  (Corte  cost.,  sentenze  23 dicembre 2003,
n. 370;  16  gennaio  2004,  n. 16;  29 gennaio 2004, n. 49), sia che
prevedano  la  diretta  attribuzione  di  risorse a soggetti privati,
persone fisiche o giuridiche (Corte cost., sentenze 29 dicembre 2004,
n. 423;  18  febbraio  2005,  n. 77;  18 marzo 2005, n. 107; 24 marzo
2006,  n. 118),  poiche'  norme  del  genere  sono  gravemente lesive
dell'autonomia finanziaria regionale.
   11.3.  -  Da  quanto  detto  consegue,  de  plano,  la  violazione
dell'art. 118 Cost.
   11.4.  -  In  subordine, peraltro, visto che potrebbero ravvisarsi
delle  interferenze  con  materie  di  potesta' legislativa esclusiva
dello  Stato (art. 117, secondo comma, Cost.), quali, per esempio, la
«determinazione  dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i  diritti  civili  e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio  nazionale» (art. 117, secondo comma, lett. m), si censura
la norma in esame per violazione del fondamentale principio di «leale
collaborazione», desumibile dagli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost.
e 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
   Vale  allora,  anche  in  questo  caso, quanto osservato a margine
dell'impugnazione  dei  commi  458, 459 e 460 dell'art. 2 della legge
finanziaria   per   l'anno   2008.   Pertanto,   quando  ricorre  una
«concorrenza   di   competenze»  e  non  puo'  ravvisarsi  la  sicura
prevalenza   di   un  complesso  normativo  rispetto  ad  altri,  non
prevedendo  espressamente la Costituzione un criterio di composizione
delle  interferenze,  «si  deve  ricorrere  al  canone  della  "leale
collaborazione",   che  impone  alla  legge  statale  di  predisporre
adeguati  strumenti  di  coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia
delle   loro   competenze»,   spettando   alla  discrezionalita'  del
legislatore   l'individuazione   della   tipologia  piu'  congrua  di
strumenti  di  coinvolgimento (in questo senso Corte cost., sent., 18
giugno 2007, n. 201).
   Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2, comma 474, della legge
24  dicembre  2007,  n. 244  per  contrasto con gli artt. 117, quarto
comma,  118  e  119  della  Costituzione  e,  in via subordinata, per
contrasto  con  il  principio  di  leale  collaborazione  tra Stato e
regione,  principio  desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120,
secondo   comma,  della  Costituzione  e  dall'art.  11  della  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
   12. - L'art. 2, comma 600, della legge finanziaria per l'anno 2008
dispone:  «Le  regioni,  le province autonome e gli enti del Servizio
sanitario  nazionale,  entro  novanta giorni dalla data di entrata in
vigore  della presente legge, adottano, secondo i propri ordinamenti,
gli  atti  di  rispettiva  competenza  al  fine di attuare i principi
fondamentali  di  coordinamento della finanza pubblica desumibili dai
commi da 588 a 602».
   12.1. - Le disposizioni di cui ai commi dal 588 al 602 dell'art. 2
della  legge  finanziaria per l'anno 2008 contengono norme volte alla
riduzione della spesa pubblica.
   Si  ritiene doveroso indicarne, nel modo piu' sintetico possibile,
il relativo contenuto.
   Il  comma  588  stabilisce  che, a partire dal 2008, la cilindrata
media  delle  auto  di  servizio  delle  amministrazioni statali (con
alcune eccezioni) non puo' superare i 1.600 centimetri cubici.
   Il  comma  589 stabilisce che le pubbliche amministrazioni debbono
adeguare  la propria modalita' operativa alle disposizioni del Codice
dell'amministrazione  digitale  (d.lgs.  n. 82  del  2005)  entro una
percentuale  minima  del  50  (in  particolare,  dovranno attuare le
previsioni relative all'utilizzo della posta elettronica certificata,
della  firma  digitale e dell'impiego della telematica, allo scopo di
gestire i procedimenti amministrativi e le modalita' di relazione con
i  cittadini). La violazione degli obiettivi fissati determina per le
pubbliche   amministrazioni  dello  Stato,  comprese  le  aziende  ed
amministrazioni  dello  Stato ad ordinamento autonomo, e per gli enti
pubblici  non  economici  nazionali,  una  stretta sulle spese per le
modalita'  non  telematiche  di  gestione dei documenti. Infatti, nel
successivo  esercizio  finanziario le risorse per finanziare le spese
di invio della corrispondenza saranno ridotte del 30 per cento.
   Il comma 590 demanda ad un regolamento ministeriale la definizione
delle modalita' attuative del comma 589.
   Il  comma  591  (che  novella l'art. 78 del d.lgs. n. 82 del 2005)
impone  alle amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e
scuole  di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende
ed   amministrazioni   dello   Stato   ad  ordinamento  autonomo,  le
istituzioni universitarie, gli enti pubblici non economici nazionali,
l'Agenzia   per   la   rappresentanza   negoziale   delle   pubbliche
amministrazioni  (ARAN), le agenzie di cui al d.lgs. n. 300/1999, gli
istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative
e  le  istituzioni  universitarie, di utilizzare i servizi VoIP (voce
tramite protocollo internet). Il Cnipa verifichera' il rispetto delle
previsioni  di  cui  sopra  e, nel caso in cui le amministrazioni non
provvedano,  nel  successivo  esercizio  finanziario  sconteranno  la
riduzione delle risorse stanziate per spese di telefonia, del 30.
   Il comma 592 demanda ad un regolamento ministeriale la definizione
delle modalita' attuative del comma 591.
   Il comma 593 individua la previsione di risparmio per l'attuazione
dei  sistemi  di  gestione  digitale dei documenti e delle telefonate
VoIP  per  ognuno  degli  anni fino al 2010. Stabilisce, inoltre, che
anche le pubbliche amministrazioni non direttamente interessate dalla
novella dell'art. 78 del d.lgs. n. 82 del 2005 devono adottare misure
di   contenimento   delle  spese  telefoniche  e  di  gestione  della
corrispondenza  cartacea  per  ottenere certi determinati risparmi di
spesa.  Stabilisce,  infine,  che,  in caso di accertamento di minori
economie  rispetto a quelle previste, si provvede alle corrispondenti
riduzioni  dei  trasferimenti  statali  nei confronti delle pubbliche
amministrazioni inadempienti.
   I   commi   594,   595,   596   impongono  a  tutte  le  pubbliche
amministrazioni   di  adottare,  previa  valutazione  di  convenienza
economica, piani triennali, finalizzati alla riorganizzazione interna
ed   al  conseguimento  di  risparmi  gestionali.  Si  prevedono,  in
particolare,     le    seguenti    misure:    la    razionalizzazione
dell'utilizzazione  delle  dotazioni strumentali, anche informatiche;
la  razionalizzazione dell'uso delle vetture di servizio; risparmi di
gestione  sui  beni  immobili  ad  uso  abitativo  o di servizio (con
esclusione  dei beni infrastrutturali); la razionalizzazione dell'uso
delle apparecchiature di telefonia mobile.
   Il comma 597 prevede che «a consuntivo annuale, le amministrazioni
trasmettono  una  relazione  agli  organi di controllo interno e alla
sezione regionale della Corte dei conti competente».
   Il  comma  598  prevede  le  modalita'  tramite  le  quali rendere
pubblici i piani triennali di cui al comma 594.
   Il  comma  599  disciplina gli obblighi informativi gravanti sulle
pubbliche amministrazioni nei confronti del Ministero dell'economia e
delle  finanze con riguardo ai risparmi di gestione sui beni immobili
ad uso abitativo o di servizio.
   Il  comma  601  dispone  quanto segue: «All'articolo 4 del decreto
legislativo  12  febbraio  1993,  n. 39  [Norme in materia di sistemi
informativi  automatizzati  delle  amministrazioni pubbliche, a norma
dell'art.  2,  comma  1,  lettera  m),  della  legge 23 ottobre 1992,
n. 421],  le  parole:  "quattro  membri'',  ovunque  ricorrano,  sono
sostituite dalle seguenti: "due membri''. Il comma 602 dispone: "Fino
al  2 agosto 2009 l'organo collegiale di cui all'articolo 4, comma 2,
del decreto legislativo n. 39 del 1993 e' costituito dal presidente e
da  tre membri; fino alla predetta data, ai fini delle deliberazioni,
in caso di parita' di voti, prevale quello del presidente''».
   12.2.  -  La  norma  di  cui  all'art.  2,  comma 600, della legge
finanziaria  per  l'anno  2008  solo apparentemente potrebbe sembrare
legittima.
   Imponendo  alle  regioni,  alle  province autonome e agli enti del
Servizio sanitario nazionale di attuare quelli che lo Stato definisce
«i  principi  fondamentali  di  coordinamento  della finanza pubblica
desumibili  dai commi da 588 a 602», lo Stato finisce per interferire
con la materia «organizzazione amministrativa interna della regione e
degli  enti  pubblici regionali», che, non essendo ricompresa ne' tra
le  materie  di potesta' legislativa esclusiva dello Stato (art. 117,
secondo  comma,  Cost.),  ne'  tra le materie di potesta' legislativa
concorrente   (art.   117,   terzo   comma,   Cost.),   deve   essere
necessariamente  ascritta  alla  potesta' legislativa residuale della
regione (art. 117, quarto comma, Cost.).
   In  questo  senso,  allora,  la  norma  in esame viola l'art. 117,
quarto comma, Cost. e, conseguentemente, gli artt. 118 e 119 Cost.
   12.3.  - D'altra parte, ammettendo pure che la materia nella quale
la  norma  debba  essere  inquadrata  sia «armonizzazione dei bilanci
pubblici  e  coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema
tributario»,  materia  di potesta' legislativa concorrente (art. 117,
terzo  comma,  Cost.),  essa,  comunque,  e' illegittima, poiche', ai
sensi  dell'art.  117,  terzo comma, Cost., e' lo Stato che deve - si
badi  bene  -  determinare  i  principi  fondamentali (e, infatti, il
predetto  precetto  costituzionale  cosi'  dispone: «nelle materie di
potesta'  legislativa  concorrente  spetta  alle  regioni la potesta'
legislativa,   salvo   che   per   la   determinazione  dei  principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato»).
   Ebbene,  nel  caso  de  quo,  lo  Stato  non  ha affatto fissato i
principi  fondamentali,  ma  ha rimesso alla regione l'individuazione
degli  stessi  a  partire  dalle norme di cui ai commi dal 588 al 602
dell'art. 2 della legge finanziaria per il 2008, in palese violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost.
   A tale conclusione conducono non solo il chiaro disposto dell'art.
117, terzo comma, Cost., ma anche una nota sentenza di codesto ecc.mo
Collegio  (Corte  cost.,  sent.,  26  giugno  2002,  n. 282) e l'art.
1, comma  3,  della  legge  5  giugno 2003, n. 131 («Disposizioni per
l'adeguamento    dell'ordinamento   della   Repubblica   alla   legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3»).
   Con la sentenza n. 282 del 2002, codesto ecc.mo Collegio, infatti,
ha  affermato:  «La  nuova  formulazione  dell'art. 117, terzo comma,
rispetto  a  quella  previgente  dell'art.  117, primo comma, esprime
l'intento  di  una  piu' netta distinzione fra la competenza statale,
limitata   alla   determinazione   dei  principi  fondamentali  della
disciplina.  Cio'  non  significa pero' che i principi possano trarsi
solo  da  leggi  statali  nuove,  espressamente rivolte a tale scopo.
Specie  nella  fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di
riparto  delle  competenze,  la  legislazione  regionale  concorrente
dovra'  svolgersi  nel  rispetto dei principi fondamentali risultanti
dalla  legislazione  statale gia' in vigore» (punto 4 del Considerato
in diritto).
   Cio'  che pare potersi ricavare dalla predetta sentenza e', da una
parte,  che  lo  Stato  non  puo'  inceppare  la potesta' legislativa
regionale   in   una  materia  di  potesta'  legislativa  concorrente
omettendo  di  determinare  i  principi fondamentali regolatori della
stessa  (la regione, infatti, qualora legiferi, potra' ricavare dalla
legislazione statale vigente i principi fondamentali regolatori della
materia), dall'altra, che la regione non puo', in assenza di principi
fondamentali  espressi  stabiliti  da  leggi  dello Stato, legiferare
omettendo  di  desumere  i  principi  fondamentali  regolatori  della
materia   di   potesta'   legislativa   concorrente  dal  sistema  di
legislazione vigente.
   Quel  che  e'  indubbio, comunque, e' che, quando lo Stato intende
stabilire  i  principi  fondamentali  regolatori  di  una  materia di
potesta'  legislativa  concorrente,  deve  farlo espressamente (ed in
questo  senso  e', a ben vedere, lo stesso precetto costituzionale di
cui all'art. 117, terzo comma, Cost., secondo periodo).
   L'art.  1,  comma  3,  della  c.d.  legge La Loggia stabilisce che
«nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le regioni
esercitano   la   potesta'   legislativa   nell'ambito  dei  principi
fondamentali  espressamente  determinati  dallo  Stato o, in difetto,
quali desumibili dalle leggi statali vigenti».
   Il  successivo  comma  4 delega il Governo ad adottare «uno o piu'
decreti  legislativi  meramente ricognitivi dei principi fondamentali
che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall'art.
117,  terzo  comma, della Costituzione, attenendosi ai principi della
esclusivita',    adeguatezza,    chiarezza,    proporzionalita'    ed
omogeneita»,  il  tutto  all'espresso  fine  -  si  badi  bene  -  di
«orientare  l'iniziativa legislativa dello Stato e delle regioni fino
all'entrata  in  vigore  delle  leggi  con  le  quali  il  Parlamento
definira' i nuovi principi fondamentali».
   Le  predette  norme,  da  interpretare conformemente all'art. 117,
terzo comma, secondo periodo, della Costituzione, confermano, dunque,
quanto  si  e'  detto  supra,  e cioe' che, nelle materie di potesta'
legislativa concorrente, lo Stato deve, ai sensi dell'art. 117, terzo
comma,  Cost.,  determinare  (espressamente,  come  afferma l'art. 1,
comma 3, della legge c.d. La loggia) i principi fondamentali.
   12.4. - D'altra parte, in via ulteriormente subordinata, ammesso e
non   concesso   che   lo   Stato   possa   demandare   alla  regione
l'individuazione  dei  principi  fondamentali  disciplinatori  di una
materia di potesta' legislativa concorrente, come ha fatto con l'art.
2,  comma  600, della legge finanziaria per l'anno 2008, non v'e' chi
non veda che lo Stato, imponendo alle regioni, alle province autonome
e  agli  enti  del Servizio sanitario nazionale di attuare i principi
fondamentali  di  coordinamento della finanza pubblica desumibili dai
commi  dal  588 al 602 dell'art. 2 della legge finanziaria per l'anno
2008,  finisce,  nei  fatti, per individuare singole voci di spesa da
limitare, in palese contrasto sia con l'art. 117, terzo comma, Cost.,
che  impone  che  lo  Stato,  nelle  materie  di potesta' legislativa
concorrente, quale e', per l'appunto, il «coordinamento della finanza
pubblica», si limiti a fissare norme di principio, sia con l'art. 119
Cost.,   che  garantisce  piena  autonomia  di  spesa  alle  Regioni,
autonomia  che  si  traduce  nello  scegliere  quali spese limitare a
vantaggio di altre.
   Codesto  ecc.mo  Collegio,  infatti,  ha ritenuto che le misure di
coordinamento  della  finanza  pubblica  finalizzate  al rispetto dei
vincoli  comunitari  di  politica  economica  di  cui  al Trattato di
Maastricht  (artt.  98  e  ss.),  prima,  e  al Patto di stabilita' e
crescita  (Risoluzione  del  Consiglio  europeo  di  Amsterdam del 17
giugno 1997 e Regolamenti Ce nn. 1466 e 1467 del 1997 e ss. mm. ii.),
poi,    in   tanto   possano   considerarsi   conformi   al   dettato
costituzionale,  ed,  in  particolare,  agli articoli 117 e 119 della
Costituzione,  in  quanto  abbiano  ad  oggetto il saldo di bilancio,
potendosi ammettere, eventualmente, limiti alla crescita della spesa,
solo  ed  esclusivamente,  «in  via  transitoria  ed  in  vista degli
specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti
dal  legislatore  statale»  (in  questo senso, Corte cost., sent., 26
gennaio 2004, n. 36).
   Esso  ha  riconosciuto, inoltre, che, ove previsto, il limite alla
spesa, al fine di essere conforme a Costituzione, deve tradursi in un
«limite  complessivo,  che  lascia agli enti stessi ampia liberta' di
allocazione  delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»
(cosi' Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36).
   Di conseguenza, quando, come avviene nel caso di specie, si adotta
una  norma che, per come e' strutturata, finisce per prevedere limiti
all'entita'  di  una singola voce di spesa, quella norma e' in palese
contrasto  sia  con  l'art. 117, terzo comma, Cost., da cui si ricava
che  lo Stato deve fissare solo i principi fondamentali della materia
«coordinamento  della  finanza pubblica», sia con l'art. 119 Cost. da
cui  si  ricava che le regioni hanno autonomia di spesa (Corte cost.,
sentenze  17  dicembre  2004,  n. 390;  14  novembre 2005, n. 417; 15
dicembre 2005, n. 449; 10 marzo 2006, n. 88; 17 maggio 2007, n. 169).
   12.5.  -  Da quanto da ultimo detto, consegue, comunque, de plano,
la violazione dell'art. 118 Cost. sull'autonomia amministrativa.
   12.6.  -  Pertanto  si  chiede  che codesto ecc.mo Collegio voglia
dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2, comma 600,
della legge 24 dicembre 2007, n. 244 per contrasto con gli artt. 117,
quarto comma, 118 e 119 della Costituzione e, in via subordinata, per
violazione   dell'art.  117,  terzo  comma,  secondo  periodo,  della
Costituzione  e,  in via ulteriormente subordinata, per contrasto con
gli arti. 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione.
   13. - L'art. 3, commi dal 27 al 32, dispone quanto segue: «Al fine
di  tutelare  la  concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui
all'articolo  1,  comma  2,  del  decreto  legislativo 30 marzo 2001,
n. 165,  non possono costituire societa' aventi per oggetto attivita'
di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il
perseguimento  delle  proprie finalita' istituzionali, ne' assumere o
mantenere  direttamente  o  indirettamente  partecipazioni,  anche di
minoranza,  in  tali  societa'.  E' sempre ammessa la costituzione di
societa'  che  producono servizi di interesse generale e l'assunzione
di  partecipazioni in tali societa' da parte delle amministrazioni di
cui  all'art.  1,  comma  2,  del  decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165, nell'ambito dei rispettivi livelli di competenza [comma 27].
   L'assunzione  di  nuove  partecipazioni  e  il  mantenimento delle
attuali devono essere autorizzati dall'organo competente con delibera
motivata  in  ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma
27 [comma 28].
   Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo  30  marzo  2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad
evidenza  pubblica,  cedono  a  terzi le societa' e le partecipazioni
vietate ai sensi del comma 27 [comma 29].
   Le  amministrazioni  che, nel rispetto del comma 27, costituiscono
societa'  o  enti,  comunque denominati, o assumono partecipazioni in
societa',  consorzi o altri organismi, anche a seguito di processi di
riorganizzazione,  trasformazione  o decentramento, adottano, sentite
le  organizzazioni sindacali per gli effetti derivanti sul personale,
provvedimenti  di  trasferimento  delle  risorse umane, finanziarie e
strumentali  in  misura  adeguata alle funzioni esercitate mediante i
soggetti  di  cui  al presente comma e provvedono alla corrispondente
rideterminazione della propria dotazione organica [comma 30].
   Fino  al  perfezionamento dei provvedimenti di rideterminazione di
cui  al  comma  30,  le  dotazioni  organiche  sono  provvisoriamente
individuate in misura pari al numero dei posti coperti al 31 dicembre
dell'anno    precedente    all'istituzione    o   all'assunzione   di
partecipazioni di cui al comma 30, tenuto anche conto dei posti per i
quali  alla  stessa data risultino in corso di espletamento procedure
di  reclutamento,  di  mobilita' o di riqualificazione del personale,
diminuito  delle unita' di personale effettivamente trasferito [comma
31]».
   13.1.  -  Le  norme  in  esame,  in realta', nella parte in cui si
indirizzano   anche   alle   regioni  (ricomprese  nell'elenco  delle
pubbliche  amministrazioni  di  cui  all'art.  1, comma 2, del d.lgs.
n. 165   del   2001),   finiscono  per  interferire  con  la  materia
«organizzazione  amministrativa  della  regione»,  che,  non  essendo
elencata ne' tra le materie di cui all'art. 117, secondo comma, Cost.
(materie  di  potesta' legislativa esclusiva dello Stato), ne' tra le
materie  di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. (materie di potesta'
legislativa   concorrente),   deve   essere  ascritta  alla  potesta'
legislativa residuale della regione.
   Esse, pertanto, violano l'art. 117, quarto comma, Cost.
   13.2.  -  Alla  violazione  dell'art.  117,  quarto  comma, Cost.,
consegue, de plano, la violazione dell'art. 118 Cost.
   13.3.  -  Ammesso pure che l'intervento di cui alle norme in esame
debba  essere  inquadrato  (come il legislatore statale mostra) nella
materia, di potesta' legislativa esclusiva dello Stato, «tutela della
concorrenza»  (art. 117, secondo comma, lett. e), non e' chi non veda
che,  comunque,  questa materia interferisce, nel caso de quo, con la
materia di cui supra («organizzazione amministrativa della regione»),
spettante alla potesta' legislativa residuale della regione.
   In  questo  senso,  allora,  in  via  subordinata, non possono che
censurarsi  le  norme  in esame per violazione del principio di leale
collaborazione,  che,  come  noto,  si  ricava  dagli  artt. 5 e 120,
secondo   comma,  della  Costituzione  e  dall'art.  11  della  legge
costituzionale n. 3 del 2001.
   Si  e'  gia' detto supra che codesto ecc.mo Collegio ha in diverse
occasioni giustamente riconosciuto che «la complessita' della realta'
sociale  da  regolare  comporta  che,  di frequente, le normative non
possano essere riferite nel loro insieme ad una sola materia, perche'
concernono  situazioni  non  omogenee,  ricomprese in materie diverse
sotto  il  profilo della competenza legislativa» (Corte cost., sent.,
31  marzo  2006,  n. 133).  Conseguentemente, esso ha ritenuto quanto
segue:  «"Per  le  ipotesi  in  cui  ricorra  una  ‘concorrenza  di
competenze', la Costituzione non prevede espressamente un criterio di
composizione  delle  interferenze.  In tal caso - ove (...) non possa
ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad
altri,  che  renda  dominante la relativa competenza legislativa - si
deve  ricorrere  al canone della ‘leale collaborazione', che impone
alla   legge   statale   di   predisporre   adeguati   strumenti   di
coinvolgimento  delle  regioni, a salvaguardia delle loro competenze"
(sentenze  nn. 50 e 219 del 2005). (...) "a tal fine l'individuazione
della  disciplina  piu'  congrua  compete  alla  discrezionalita' del
legislatore''» (cosi' Corte cost., sentenza 18 giugno 2007, n. 201).
   13.4.  -  Pertanto  si  chiede  che codesto ecc.mo Collegio voglia
dichiarare  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi dal 27
al  32,  della  legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui si
indirizzano  alle  Regioni,  per  contrasto con gli artt. 117, quarto
comma, e 118 della Costituzione e, in via subordinata, per violazione
del  principio di leale collaborazione tra Stato e regione, principio
desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, della
Costituzione  e  dall'art.  11  della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3.
   14.  - L'art. 3, comma 79, della legge finanziaria per l'anno 2008
dispone  quanto  segue:  «L'art.  36 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, e' sostituito dal seguente:
   "Art.  36.  (Utilizzo  di contratti di lavoro flessibile). - 1. Le
pubbliche  amministrazioni  assumono  esclusivamente con contratti di
lavoro  subordinato  a  tempo  indeterminato  e non possono avvalersi
delle  forme  contrattuali  di  lavoro flessibile previste dal codice
civile  e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa
se  non  per  esigenze  stagionali  o per periodi non superiori a tre
mesi,  fatte  salve le sostituzioni per maternita' relativamente alle
autonomie territoriali. Il provvedimento di assunzione deve contenere
l'indicazione del nominativo della persona da sostituire.
   2. In nessun caso e' ammesso il rinnovo del contratto o l'utilizzo
del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale.
   3.  Le  amministrazioni  fanno  fronte  ad  esigenze temporanee ed
eccezionali  attraverso  l'assegnazione  temporanea  di  personale di
altre  amministrazioni  per  un periodo non superiore a sei mesi, non
rinnovabile.
   4.  Le  disposizioni  di  cui ai commi 1, 2 e 3 non possono essere
derogate dalla contrattazione collettiva.
   5.  Le  amministrazioni  pubbliche trasmettono alla Presidenza del
Consiglio  dei  ministri -  Dipartimento della funzione pubblica e al
Ministero   dell'economia   e   delle  finanze -  Dipartimento  della
Ragioneria generale dello Stato le convenzioni concernenti l'utilizzo
dei lavoratori socialmente utili.
   6.   In  ogni  caso,  la  violazione  di  disposizioni  imperative
riguardanti  l'assunzione  o  l'impiego di lavoratori, da parte delle
pubbliche  amministrazioni,  non  puo'  comportare la costituzione di
rapporti  di  lavoro  a tempo indeterminato con le medesime pubbliche
amministrazioni,  ferma  restando ogni responsabilita' e sanzione. Il
lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante
dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.
Le  amministrazioni  hanno  l'obbligo di recuperare le somme pagate a
tale  titolo  nei  confronti  dei  dirigenti responsabili, qualora la
violazione  sia  dovuta  a  dolo  o  colpa  grave. Le amministrazioni
pubbliche  che  operano  in  violazione  delle disposizioni di cui al
presente  articolo  non possono effettuare assunzioni ad alcun titolo
per il triennio successivo alla suddetta violazione.
   7.  Le  disposizioni  di cui al presente articolo non si applicano
agli  uffici  di  cui all'articolo 14, comma 2, del presente decreto,
nonche'  agli uffici di cui all'articolo 90 del testo unico di cui al
decreto  legislativo  18 agosto 2000, n. 267. Sono altresi' esclusi i
contratti    relativi    agli    incarichi   dirigenziali   ed   alla
predisposizione  ad  organi  di  direzione, consultivi e di controllo
delle  amministrazioni  pubbliche, ivi inclusi gli organismi operanti
per  le  finalita'  di cui all'articolo 1 della legge 17 maggio 1999,
n. 144.
   8.   Per   l'attuazione  di  programmi  e  progetti  di  tutela  e
valorizzazione  delle  aree  marine  protette  di  cui  alle leggi 31
dicembre  1982, n. 979, e 6 dicembre 1991, n. 394, il parco nazionale
dell'arcipelago  della  Maddalena,  di cui alla legge 4 gennaio 1994,
n. 10,  e gli enti cui e' delegata la gestione ai sensi dell'articolo
2,  comma  37,  della  legge  9  dicembre  1998, n. 426, e successive
modificazioni,   sono   autorizzati,   in   deroga  ad  ogni  diversa
disposizione,  ad  assumere personale con contratto di lavoro a tempo
determinato,   della   durata   massima  di  due  anni  eventualmente
rinnovabili,  nel  contingente complessivo stabilito con disposizione
legislativa  e  ripartito  tra  gli  enti interessati con decreto del
Ministro   per   le   riforme   e   le   innovazioni  nella  pubblica
amministrazione,  su  proposta  del  Ministro  dell'ambiente  e della
tutela  del  territorio  e  del  mare,  di  concerto  con il Ministro
dell'economia  e  delle  finanze.  In prima applicazione, il predetto
contingente  e'  fissato  in  centocinquanta  unita' di personale non
dirigenziale  alla  cui  copertura  si  provvede prioritariamente con
trasformazione  del  rapporto  di  lavoro degli operatori attualmente
utilizzati con contratti di lavoro flessibile.
   9. Gli enti locali non sottoposti al patto di stabilita' interno e
che  comunque  abbiano  una  dotazione  organica  non  superiore alle
quindici  unita'  possono  avvalersi  di forme contrattuali di lavoro
flessibile,  oltre  che  per  le  finalita' di cui al comma 1, per la
sostituzione  di lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto
alla  conservazione  del  posto, sempreche' nel contratto di lavoro a
termine  sia  indicato  il  nome del lavoratore sostituito e la causa
della sostituzione.
   10.  Gli  enti  del  Servizio sanitario nazionale, in relazione al
personale  medico, con esclusivo riferimento alle figure infungibili,
al  personale  infermieristico  ed  al  personale  di  supporto  alle
attivita'  infermieristiche,  possono avvalersi di forme contrattuali
di  lavoro  flessibile, oltre che per le finalita' di cui al comma 1,
per  la  sostituzione  di  lavoratori  assenti o cessati dal servizio
limitatamente  ai  casi  in  cui  ricorrano  urgenti  e indifferibili
esigenze   correlate   alla  erogazione  dei  livelli  essenziali  di
assistenza,  compatibilmente  con  i  vincoli  previsti in materia di
contenimento  della  spesa  di  personale dall'articolo 1, comma 565,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
   11. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di contratti di
lavoro  flessibile  per lo svolgimento di programmi o attivita' i cui
oneri  sono  finanziati con fondi dell'Unione europea e del Fondo per
le aree sottoutilizzate. Le universita' e gli enti di ricerca possono
avvalersi  di  contratti  di  lavoro flessibile per lo svolgimento di
progetti  di  ricerca  e  di  innovazione tecnologica i cui oneri non
risultino  a  carico  dei  bilanci  di funzionamento degli enti o del
Fondo  di  finanziamento  degli  enti  o  del  Fondo di finanziamento
ordinario   delle   universita'.  Gli  enti  del  Servizio  sanitario
nazionale  possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo
svolgimento  di  progetti  di  ricerca  finanziati  con  le modalita'
indicate  nell'articolo  1,  comma  565, lettera b), secondo periodo,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296. L'utilizzazione dei lavoratori,
con  i  quali si sono stipulati i contratti di cui al presente comma,
per   fini   diversi  determina  responsabilita'  amministrativa  del
dirigente  e  del  responsabile  del  progetto.  La  violazione delle
presenti disposizioni e' causa di nullita' del provvedimento"».
   14.1.  -  La norma in esame, nella parte in cui si indirizza anche
alle  regioni, viola l'art. 117, quarto comma, Cost., poiche' finisce
per   intervenire   in   una   materia,  quella  dell'«organizzazione
amministrativa  della  regione e del personale regionale e degli enti
strumentali, ivi compresi gli enti del Servizio sanitario nazionale»,
che,  non  essendo  elencata  ne'  tra quelle di potesta' legislativa
esclusiva  dello  Stato  (art.  117,  secondo  comma, Cost.), ne' tra
quelle  di  potesta'  legislativa concorrente (art. 117, terzo comma,
Cost.),  non  puo'  che  essere  ascritta  alla  potesta' legislativa
residuale della regione.
   14.2.  - D'altra parte, anche ammettendo che la norma de qua debba
essere  inquadrata,  con riguardo alla parte in cui si indirizza alle
regioni,   nella  materia  «armonizzazione  dei  bilanci  pubblici  e
coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema tributario»,
materia  di  potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma,
Cost.),  essa,  comunque,  visto  il suo carattere dettagliato, viola
l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.  che  impone che, nelle materie di
potesta'  legislativa concorrente, lo Stato si limiti a determinare i
principi fondamentali regolatori della materia.
   14.3.  -  Sia  che  la norma venga inquadrata nell'una materia (di
potesta'  legislativa residuale), sia che venga inquadrata nell'altra
(di potesta' legislativa concorrente), essa comunque viola l'art. 119
Cost.
   Avendosi  qui  per  richiamate  le considerazioni svolte a margine
dell'impugnazione dell'art. 2, comma 600, della legge finanziaria per
l'anno 2008, ci si limita a ribadire che una norma come quella di cui
all'art.  3,  comma  79, della legge finanziaria per l'anno 2008, nel
porre  limiti  a  singole determinate voci di spesa, viola l'art. 119
Cost.,  che,  garantendo  piena  autonomia  di  spesa  alle  regioni,
conferisce  loro  la  liberta'  di  scegliere  quali spese limitare a
vantaggio di altre.
   14.4.  -  Da quanto detto, quale che sia la materia nella quale si
inquadra  la  norma  de  qua  nella  parte  in  cui si indirizza alle
regioni, ne consegue, in ogni caso, de plano, la violazione dell'art.
118 Cost.
   14.5. - Con riguardo, in particolare, al comma 10 dell'art. 36 del
d.lgs.  n. 165 del 2001, come modificato dall'art. 3, comma 79, della
legge  finanziaria  per l'anno 2008, non puo' non rilevarsi, inoltre,
la violazione degli artt. 32 e 97, comma 1, della Costituzione, che -
come  noto  - tutelano, rispettivamente, «la salute come fondamentale
diritto  dell'individuo  e  interesse  della collettivita» e il «buon
andamento (...) dell' amministrazione».
   14.6.  -  Pertanto  si  chiede  che codesto ecc.mo Collegio voglia
dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3, comma 79,
della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui si indirizza
alle  regioni, per contrasto con gli artt. 32, 117, quarto comma, 118
e  119 della Costituzione e, in via subordinata, per violazione degli
artt. 32, 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione.
                              P. Q. M.
   Si   chiede   che   codesto   ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2, commi 17, 18, 19, 20,
21,  22,  35,  36,  46, 47, 48, 49, 158 lett. a), 165, 194, 195, 279,
280, 417, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424, 425, 458, 459, 460, 462,
474,  600  e dell'art. 3, commi 27, 28, 29, 30, 31, 32, 79, 162 della
legge   24  dicembre  2007,  n. 244,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione  del  bilancio  annuale  e  pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2008)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28
dicembre  2007 - S.O. n. 285/L, per violazione degli artt. 3, 32, 97,
117,  118  e  119  della Costituzione, nonche' del principio di leale
collaborazione  di  cui  agli  artt.  5  e  120, secondo comma, della
Costituzione e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
   Si  allega  deliberazione della Giunta della Regione Veneto n. 214
del  12  febbraio 2008 recante l'autorizzazione alla proposizione del
ricorso.
     Padova - Venezia - Roma, addi' 25 febbraio 2008
                             Avv. prof.

 
 
 
 

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