RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 marzo 2009 , n. 19
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 6 marzo 2009 (della Regione Calabria). 
 
 
(GU n. 15 del 15-4-2009) 
 
    Ricorso per la Regione Calabria, in persona del l.r. pro  tempore
Presidente della Giunta regionale on.le Agazio Loiero,  rappresentata
e difesa, giusta delibera della Giunta regionale e correlato  decreto
del dirigente l'Avvocatura regionale di incarico, nonche'  in  virtu'
di procura speciale a margine del presente atto, dagli avvocati prof.
Massimo Luciani, Mariano Calogero e  Giuseppe  Naimo  dell'Avvocatura
regionale, ed elettivamente domiciliata in Roma, via Bocca di  Leone,
78, (Studio BDL), presso lo studio del primo difensore; 
    Contro Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
Presidente  pro  tempore,  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale degli artt. 2, comma 42, e 3, comma 1, della legge  n.
203/2008, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30  dicembre
2008, s.o. 285, dei  quali  il  secondo  sostituisce  l'art.  62  del
decreto-legge 25 giugno  2008,  n.  112,  convertito  in  legge,  con
modificazioni, dalla legge n. 133/2008, ed il  primo  integra  l'art.
77-ter del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge,
con modificazioni, dalla legge  n.  133/2008,  gia'  impugnati  dalla
Regione Calabria con il ricorso n. 86/2008 Registro ricorsi. 
    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 62 del d.l.  n.  112
del  2008,  sostituito  dall'art.  3, legge  n.  203  del  2008,  per
violazione degli articoli 23, 117, terzo comma, 97, 118 e 119  Cost.,
e per violazione del principio di effettiva e leale collaborazione. 
    1.1. - L'art. 62  del  d.l.  n.  112/2008,  per  come  sostituito
dall'art. 3 della legge  impugnata,  al  comma  6,  pone  il  divieto
assoluto di stipula di contratti relativi agli  strumenti  finanziari
derivati e di ricorso all'indebitamento in forme  diverse  da  quelle
ivi previste. 
    1.2. - Il divieto totale di cui al  comma  6  della  disposizione
impugnata, in combinato disposto con il comma 1, viola gli artt.  97;
117, terzo comma; 118; 119 Cost. 
    Come chiarito da  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  con  la
sentenza n. 376 del 2003,  «La  disciplina  delle  condizioni  e  dei
limiti dell'accesso degli enti territoriali al mercato  dei  capitali
rientra  principalmente  nell'ambito  di  quel  «coordinamento  della
finanza pubblica» che l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione
attribuisce alla  potesta'  legislativa  concorrente  delle  regioni,
vincolata al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi
dello Stato». 
    I poteri di coordinamento  «devono  essere  configurati  in  modo
consono  all'esistenza  di  sfere  di  autonomia,  costituzionalmente
garantite, rispetto a cui l'azione  di  coordinamento  non  puo'  mai
eccedere i limiti, al di la' dei quali si trasformerebbe in attivita'
di direzione o in indebito condizionamento dell'attivita' degli  enti
autonomi». 
    Non e' il caso di sottacere come il divieto di  cui  al  comma  6
collida con l'ultimo comma dell'art.  119  Cost.:  infatti  la  Carta
costituzionale   consente   il   ricorso   all'indebitamento   (senza
limitazione alcuna, quanto agli strumenti utilizzabili) per spese  di
investimento, mentre la norma sopra citata preclude in  radice  detto
ricorso anche per tale finalita'. 
    Violati, poi,  sono  gli  artt.  97  e  118  della  Costituzione.
L'astratta e generale previsione  normativa  statale  di  divieto  di
certe  tipologie  contrattuali  impedisce  la  considerazione   delle
peculiarita' delle singole regioni e appare in frontale contrasto con
l'esigenza    del    puntuale    apprezzamento     delle     esigenze
dell'amministrazione  regionale,  sottesa  al  principio   del   buon
andamento della  pubblica  amministrazione.  Inoltre,  determina  una
diretta invasione nel  dominio  dell'Amministrazione  regionale,  che
l'art. 118 Cost. riserva alle regioni stesse. 
    Il divieto imposto  dalla  norma  lede,  pertanto,  la  sfera  di
competenza riconosciuta alla Regione Calabria, la quale, infatti, con
l'art. 27, commi 6 e  7,  della  l.r.  4  febbraio  2002,  n.  8,  ha
disciplinato normativamente - per la parte di  sua  competenza  -  la
materia. 
    L'ultimo alinea del nuovo comma 6 prevede, poi, che «Resta  ferma
la possibilita' di ristrutturare il contratto derivato a  seguito  di
modifica della passivita' alla quale il medesimo  contratto  derivato
e' riferito, con la finalita' di mantenere la corrispondenza  tra  la
passivita' rinegoziata e la collegata operazione di copertura». 
    Tale modifica, innanzi tutto, conferma la tesi posta a fondamento
dell'impugnazione all'art. 62,  nella  sua  precedente  formulazione,
oggetto del ricorso n. 86/2008,  riguardante  il  totale  divieto  di
rinegoziazione  precedentemente  imposto,  che  ha   avuto   concreta
applicazione  nell'impedire  all'ente  di  ristrutturare  il  proprio
debito nei termini contrattualmente fissati. 
    Cio' posto, anche  il  limite  alla  ristrutturazione,  per  come
imposto dalla norma, nella nuova formulazione,  lede,  con  norma  di
eccessivo dettaglio, la sfera di competenza concorrente  riconosciuta
alla Regione Calabria, la quale, come gia' sopra indicato, con l'art.
27, commi 6 e 7, della l.r. 4 febbraio 2002, n.  8,  ha  disciplinato
normativamente - per la parte di sua competenza - la materia. 
    1.3. - Anche il comma  3,  in  combinato  disposto  con  i  commi
precedenti, determina la  sopra  lamentata  lesione  della  sfera  di
competenza  regionale,  nella  parte  in  cui  rimanda  ad  un   atto
esclusivamente  statale  (regolamento  ministeriale)  la  dettagliata
determinazione delle tipologie di contratti  che  la  regione  potra'
stipulare, la fissazione unilaterale di criteri  e  condizioni  della
stipula  e  l'indicazione  delle  componenti  derivate,  implicite  o
esplicite, che gli enti hanno facolta' di prevedere nei contratti  di
finanziamento. 
    Il comma 3, come sopra accennato, prevede  che,  con  regolamento
emanato dal Ministro dell'economia, vengano individuate le  tipologie
dei contratti relativi a strumenti finanziari che la  regione  potra'
stipulare, nonche' i criteri e le condizioni per la conclusione delle
relative operazioni e indicate le componenti derivate ,  implicite  o
esplicite, che la regione avra' facolta' di prevedere  nei  contratti
di finanziamento. 
    Tale norma lede gravemente  le  attribuzioni  regionali  per  una
pluralita' di ragioni. 
    Innanzi tutto, e' violato  l'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,  a
tenore del quale il regolamento statale non e' ammesso nelle  materia
di  legislazione  concorrente.  Si  aggiunga   che   il   regolamento
ministeriale e' ammesso solo nelle materie di competenza del Ministro
(art. 17, comma 3, legge n. 400 del 1988), cio' che  qui  non  e',  a
differenza di quanto indicato nel comma 3. 
    In secondo luogo, e' violato l'art. 117, terzo comma, poiche'  si
stabiliscono (asseriti)  principi  fondamentali,  vincolanti  per  le
regioni, con una fonte diversa dalla legge. Non solo:  la  legge  203
del 2008 non indica al  regolamento  ministeriale  alcun  criterio  o
limite, con la conseguenza  che  l'autonomia  regionale  finisce  per
essere condizionata da una fonte di rango terziario. 
    Violato, poi, e' l'art.  119  Cost.,  in  quanto  al  regolamento
ministeriale si consente - addirittura! - di dilazionare  nel  tempo,
senza limite alcuno (e  quindi,  potenzialmente,  ad  infinitum),  la
possibilita'  per  le  regioni  di  stipulare  contratti  relativi  a
strumenti  finanziari  derivati.  Anche  qui,  l'autonomia  regionale
finisce per essere affidata alle mani del Ministro dell'economia. 
    Violato,  infine,  e'  l'art.  23  Cost.,  atteso  che  la  legge
attribuisce al regolamento ministeriale il  potere  di  definire  nel
dettaglio i limiti di una vera e  propria  prestazione  imposta  alla
regione, ma in assenza di qualunque criterio o  principio  che  possa
delimitare  la  discrezionalita'  del  Ministro.  Non  e'  osservata,
pertanto, la riserva  di  legge  stabilita  nell'invocata  previsione
costituzionale. 
    E' il caso di rimarcare, anche alla luce  di  quanto  gia'  sopra
dedotto, che le violazioni appena indicate in ordine all'uso  e  alla
tipologia  dello  strumento  regolamentare  ledono  direttamente   le
competenze della regione, quale titolare di autonomia  finanziaria  e
di competenza legislativa concorrente in materia. 
    Ne' si potrebbe obiettare che il  regolamento  ministeriale  deve
essere adottato d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, atteso  che
lo  strumento  dell'intesa  e'  inidoneo  a  soddisfare  le  esigenze
autonomistiche  in  una  fattispecie  affatto  particolare  come   la
presente, che concerne le scelte di finanziamento  che  ogni  singola
regione puo' compiere per  soddisfare  le  peculiari  ed  individuali
esigenze della propria collettivita' e della propria amministrazione. 
    6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  42, legge
n. 203/2008, che inserisce il comma 5-bis all'art. 77-ter del d.l. n.
112 del 2008,  conv.  con  modif.  in legge  n.  133  del  2008,  per
violazione degli artt. 3, 11, 117 e 119 Cost. e del  generale  canone
di ragionevolezza delle leggi; degli artt. 158 e 159 del Trattato CE,
del regolamento CE n. 1083/06 del Consiglio dell'11 luglio 2006,  che
reca disposizioni generali sui  Fondi  strutturali,  e  del  reg.  CE
1260/1999. 
    L'art. 77-ter del d.l. n. 112 del 2008, introdotto dalla legge di
conversione, fissa il patto di stabilita' per le regioni.  Dopo  aver
delineato al comma 1 la finalita' della norma («Ai fini della  tutela
dell'unita' economica della Repubblica»), al comma 4 prevede  che  il
complesso delle spese finali e' determinato dalla somma  delle  spese
correnti ed in conto capitale,  al  netto  delle:  a)  spese  per  la
sanita', cui si applica la specifica disciplina di settore; b)  spese
per la concessione di crediti. 
    Con la norma impugnata vengono introdotti i commi 5-bis e  5-ter:
in particolare, il comma 5-bis prevede che 
    «A decorrere dall'anno 2008,  le  spese  in  conto  capitale  per
interventi  cofinanziati  correlati  ai   finanziamenti   dell'Unione
europea, con  esclusione  delle  quote  di  finanziamento  statale  e
regionale, non sono computate nella base di calcolo e  nei  risultati
del patto di  stabilita'  interno  delle  regioni  e  delle  province
autonome». 
    Il comma 5-bis  esclude  quindi  dalla  base  di  calcolo  e  dai
risultati  del  patto  di  stabilita'  interno,  in  relazione   agli
interventi cofinanziati dall'Unione europea, i soli trasferimenti  in
denaro derivanti da aiuti europei, il che e' palesemente illegittimo. 
    Anzitutto, tale previsione viola gli artt. 3 e 119, quinto comma,
della Costituzione: infatti, pone sullo stesso piano regioni (come la
ricorrente) che lo stesso Stato italiano - nella Carta degli aiuti di
Stato di carattere regionale per l'Italia (la relativa Carta e' stata
approvata  con  decisione  della  Commissione  europea:  v.  Nota  28
novembre 2007, C(2007)5618 def. cor.) - ha ritenuto, con il  consenso
della Commissione, di far  rientrare  integralmente  tra  le  regioni
ammesse ad aiuti ex art. 87, par. 3, lett. a), del Trattato CE con la
percentuale nazionale piu' alta (40 %), e regioni - come ad  esempio,
il Piemonte - che hanno visto ammessa ad aiuti una sola  zona  e  con
percentuale minima (10%). 
    Inoltre tale inclusione porta ad una manifesta illogicita'  della
norma, con conseguente ulteriore profilo di violazione degli artt.  3
e 119, quinto comma, Cost. e del generale criterio di  ragionevolezza
delle leggi: se, infatti,  la  regione  «spende»  i  fondi  propri  e
statali assegnatile come da progetti approvati, nonche'  le  relative
quote comunitarie, rischia di restare fuori dal Patto  di  stabilita'
nazionale per la parte di fondi «nazionali» spesi, con le conseguenti
sanzioni, pur avendo adempiuto a  precisi  obblighi  assunti  in  tal
senso; se non li spende per restare entro tale patto (pur trattandosi
di   fondi   esplicitamente   finalizzati   al   riequilibrio   delle
disuguaglianze fra regioni, come da previsione dell'art. 119,  quinto
comma, Cost., e non scindibili, come di seguito dimostrato),  rischia
la censura della Comunita' europea (e  dello  stesso  Stato)  con  il
disimpegno dei  fondi  non  spesi,  vanificando  cosi'  la  finalita'
«equilibratrice» che ne ha motivato la concessione. 
    Tale disposizione viola, inoltre, gli  artt.  117  e  119  Cost.:
infatti, con norma  di  estremo  dettaglio,  dettata  in  materia  di
legislazione concorrente (coordinamento della finanza  pubblica),  lo
Stato pone un vincolo all'autonomia  di  entrata  e  di  spesa  della
regione, soprattutto in relazioni a fondi propri della regione. 
    La legge  infatti  impone,  senza  alcun  bilanciamento  tra  gli
interessi potenzialmente concorrenti della stabilita'  finanziaria  e
dell'autonomia  degli  enti,  vincoli  eccessivi,   irragionevolmente
rigidi e uniformi, che non tengono conto  della  concreta  situazione
finanziaria degli enti e  della  loro  capacita'  fiscale,  che  sono
irragionevolmente  parametrati  alla  spesa  dell'anno  2008,  e  che
riguardano anche somme (appunto, i fondi regionali) non rivenienti da
trasferimenti statali. 
    Altra violazione dell'art. 117 Cost. si rinviene in relazione  al
riparto di  competenze  legislative  nell'attuazione  degli  obblighi
comunitari. 
    Infatti, il patto di stabilita' interno, nato con l'art. 28 della
legge 23 dicembre 1998, n. 448, e  ulteriormente  disciplinato  dalle
norme  (quale  quella  impugnata)   susseguitesi   negli   anni,   ha
l'obiettivo di imporre  agli  enti  territoriali  il  rispetto  degli
obblighi di bilancio assunti dall'Italia in sede comunitaria. 
    In realta', l'attuazione degli impegni comunitari, nelle  materie
di propria competenza, e' riservata alla regione (come confermato, ad
esempio,  dalla legge  n. 11  del  4  febbraio  2005),   sicche'   e'
radicalmente illegittimo che sia la  legge  dello  Stato  ad  imporre
obiettivi e mezzi proprio alla regione per raggiungere tale scopo  in
relazione a fondi, quali quelli regionali, la  cui  «spesa»  comporta
solo benefici  per  le  popolazioni  di  regioni  disagiate  come  la
Calabria. 
    Ma, soprattutto, la norma  impugnata  -  per  come  congegnata  -
finisce per violare i principi di complementarieta' ed addizionalita'
sanciti dalla normativa  comunitaria  in  relazione  agli  interventi
cofinanziati, operando una  indebita  scissione  (fondi  comunitari -
fondi  «nazionali»)  all'interno  di  un  complesso   necessariamente
unitario. 
    L'art. 9 del reg. CE 1083/06, infatti, espressamente  prevede  al
p. 1 che «i Fondi intervengono a complemento delle azioni  nazionali,
comprese le azioni a livello  regionale  e  locale,  integrandovi  le
priorita' comunitarie»; l'art. 15 del medesimo Regolamento disciplina
in dettaglio il principio di addizionalita'; il considerando n. 29  -
in  coerenza  con  l'art.  15  -  prevede  che  il  mancato  rispetto
dell'addizionalita' possa portare ad una rettifica finanziaria per le
regioni  dell'Obiettivo  Convergenza,  quale   appunto   la   Regione
Calabria. 
    A conferma si veda anche il reg. CE 1260/99, il quale, per quanto
abrogato dal reg. CE 1083/06, ai sensi dell'art. 105 del  Regolamento
da ultimo citato, continua a disciplinare  i  programmi  cofinanziati
approvati nella sua vigenza. 
    Si vedano: il considerando n. 27 (considerando che l'azione della
Comunita' e' complementare a quella degli Stati membri); l'art. 8 (Le
azioni   comunitarie   sono   concepite   come   complementari   alle
corrispondenti azioni nazionali  o  come  contributi  alle  stesse.);
l'art. 11, che disciplina il principio di addizionalita'. 
    L'inclusione, al presunto fine di rispettare i vincoli comunitari
(in realta', per espressa indicazione normativa - 
    v. comma 1 dell'art. 77-ter - per finalita'  meramente  interne),
di somme non scindibili  dai  fondi  comunitari  che  cofinanziano  i
progetti da realizzare, determina l'insanabile contrasto della  norma
interna col diritto comunitario e quindi anche  con  gli  artt. 11  e
117, primo comma Cost. (l'ammissibilita' di censure che, nei  giudizi
principali, assumono quale parametro l'art. 117, primo comma,  Cost.,
integrandolo con il richiamo,  quali  norme  interposte,  alle  norme
comunitarie, e' ormai saldamente affermata  nella  giurisprudenza  di
codesta ecc.ma Corte costituzionale: cosi', da ultimo, sent.  n.  102
del 2008). 

        
      
                               P. Q. M. 
    Si  chiede  che  codesta  ecc.ma  Corte   costituzionale   voglia
dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 42, e
3, comma 1, della legge n. 203/2008, pubblicata in Gazzetta Ufficiale
n. 303 del 30 dicembre 2008,  S.0.  n.  285,  dei  quali  il  secondo
sostituisce l'art. 62 del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112,
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n.  133/2008,  ed
il primo integra l'art. 77-ter del decreto-legge 25 giugno  2008,  n.
112, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008. 
    Con  riserva  di  articolare  eventuali  questioni  ex  art.  234
Trattato  CE  in  ordine  alle  lamentate  violazioni   del   diritto
comunitario. 
        Catanzaro/Roma, addi' 23 febbraio 2009 
Prof. Avv. Massimo Luciani - Avv. Mariano Calogero  -  Avv.  Giuseppe
                                Naimo 

        

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