N. 19 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 marzo 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 7 marzo 2003 (della Regione autonoma Valle d'Aosta)
(GU n. 15 del 16-4-2003)

Ricorso della Regione autonoma Valle d'Aosta, in persona del
Presidente della regione e legale rappresentante pro tempore dott.
Roberto Louvin, rappresentata e difesa, giusta delega a margine del
presente atto ed in virtu' di deliberazione di giunta regionale
n. 687 del 24 febbraio 2003 (all. 1) di autorizzazione a stare in
giudizio, dall'avv. prof. Giuseppe Franco Ferrari, e con questi
elettivamente domiciliata presso l'avv. prof. Massimo Luciani, nel
suo studio in Roma, via Bocca di Leone, n. 78;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 27
dicembre 2002, n. 289, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, S.O.
n. 240/L, Serie gen. n. 305 del 31 dicembre 2002, recante
"Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2003)", con particolare riferimento
agli articoli 24, "Acquisto di beni e servizi", 28, "Acquisizione di
informazioni", 34, "Organici, assunzione di personale e
razionalizzazione di enti e organismi pubblici", e 90, "Disposizioni
per l'attivita' sportivo dilettantistica" (all. 2).

F a t t o

Nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31
dicembre 2002 e' stata pubblicata la legge finanziaria 2003 (n. 289
del 27 dicembre 2002).
Ove poste in raffronto al parametro costituzionale definito nel
nuovo Titolo V della Costituzione dall'art. 117, le disposizioni
della legge n. 289/2002 indicate in epigrafe ledono sotto molteplici
profili l'ordine costituzionale delle competenze legislative delle
regioni, e segnatamente della ricorrente Regione autonoma Valle
d'Aosta.
Di qui la necessita' della proposizione del presente ricorso, per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 24, 28,
34 e 90 della citata legge alla luce dei seguenti motivi di

D i r i t t o

1. - Quanto a tutte le norme censurate, violazione degli artt. 3,
5, 114 e 117 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
In via preliminare, occorre sottolineare l'atteggiamento generale
del legislatore che emerge dalla legge finanziaria 2003: detta legge,
infatti, rappresenta emblematicamente una diffusa tendenza del
legislatore statale, vale a dire quella di continuare a legiferare
come se la riforma costituzionale dell'ottobre 2001 non avesse
lasciato tracce. Da un lato, si assiste a continue incursioni della
legge statale in materie di esclusiva competenza regionale e,
dall'altro, si incontrano norme di analitico dettaglio anche nei
settori di legislazione concorrente.
Entrambi questi atteggiamenti appaiono in netto contrasto con i
principi enunciati dalla Carta costituzionale e, pertanto, le
disposizioni normative in cui essi trovano espressione sono senza
dubbio gravemente illegittime.
La Costituzione del 1948, dopo aver compiuto la scelta
fondamentale di riconoscere alle regioni la facolta' di adottare
leggi in senso formale, aveva optato per l'esplicita enumerazione
delle materie di competenza legislativa regionale (elencate
nell'art. 117), con la conseguenza che la competenza a legiferare per
le materie non comprese in detto elenco rimaneva in via generale e
residuale in capo allo Stato. Essa aveva d'altro canto delimitato le
scelte perseguibili dalle regioni nelle materie di loro competenza,
vincolandole a legiferare nei limiti dei principi stabiliti dalla
legge dello Stato: ne risultava una subordinazione della legge
regionale alla legge statale che, seppure non del tutto riducibile
allo schema del rapporto gerarchico, tuttavia restringeva al
dettaglio lo spazio normativo occupabile dalla legge regionale,
essendo riservata allo Stato la legislazione sui principi.
La legge costituzionale 3/2001 ha rovesciato le due opzioni di
fondo ora ricordate, come risulta dai commi 1 e 4 del nuovo art. 117.
Occorre muovere proprio dall'art. 117, comma 4, ai sensi del
quale "spetta alle regioni la potesta' legislativa in riferimento ad
ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello
Stato".
Se, quindi, fino alla riforma costituzionale del 2001 la legge
statale era fonte a competenza generale - sia pure subordinata alla
Costituzione -, ora essa deve fondare la propria competenza non su
una presunzione generale in proprio favore, bensi' su uno dei
"titoli" costituiti, da un lato, dall'art. 117, comma 2 (materie di
esclusiva competenza dello Stato) e comma 3 (materie di competenza
legislativa concorrente), e, dall'altro, dalle altre disposizioni
costituzionali dalle quali sia desumibile una riserva o una
preferenza a favore della legge statale (cfr., in tal senso, Corte
cost., sent. n. 282/2002).
La competenza generale della legge regionale, che definisce la
linea di riparto orizzontale fra le materie di competenza dello Stato
e quelle di competenza della regione, si affianca alla ridefinizione
del riparto verticale tra i due rnti nelle varie materie. Secondo
l'art. 117, comma 1, "la potesta' legislativa e' esercitata dallo
Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali".
Tale disposizione, se da un lato individua i limiti generali di
ogni competenza legislativa, sia statale che regionale, dall'altro
sancisce la piena equiordinazione tra legge statale e regionale.
Le due regole generali circa il riparto (orizzontale e verticale)
della funzione legislativa vanno poi lette in combinazione con gli
elenchi di materie di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost.: il
comma 2 elenca le materie di competenza esclusiva della legge
statale; la competenza concorrente riguarda invece le materie di cui
all'art. 117, comma 3, cui va aggiunta quella relativa al "sistema di
elezione e i casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' del
presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonche'
dei consiglieri regionali" di cui all'art. 122, comma 1 (come
modificato con legge costituzionale 1/1999).
Nel modello della competenza concorrente, il riparto verticale
delle competenze e' affidato alla distinzione tra norme di principio
e norme di dettaglio, le prime riservate allo Stato e le seconde alle
regioni. In altre parole, nei settori di cui al comma 3 dell'art. 117
Cost., il legislatore statale deve limitarsi a fissare larghe
direttive di principio e non puo', viceversa, spingersi a legiferare
in maniera completa e dettagliata, dovendo lasciare alle regioni
ambiti di manovra compatibili con la natura regolativa - e non
meramente attuativa - della loro competenza.
Cio' vale anche per le regioni a statuto speciale, per le quali
l'art. 10, legge cost. 3/2001, precisa che "sino all'adeguamento dei
rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge
costituzionale si applicano anche alle regioni a statuto speciale ed
alle Province autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui
prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia'
attribuite".
Alla luce di quanto sin qui rilevato, non puo' che concludersi
per l'inammissibilita' di un intervento legislativo statale nelle
materie di competenza regionale che consista nell'enunciazione di
norme di dettaglio, per quanto cedevoli possano essere. Ne' tale
normazione di dettaglio potrebbe trovare fondamento e giustificazione
nella ravvisabilita' di un "interesse nazionale": se nel vigore del
precedente testo costituzionale codesta ecc.ma Corte aveva
acconsentito in casi eccezionali a che si ricorresse a tale argomento
per legittimare una normazione statale di dettaglio nei settori di
competenza regionale, oggi esso potrebbe al piu' consentire
l'esercizio dei poteri sostitutivi ex art. 120, comma 2, Cost.
Non e' invece ammissibile l'adozione di norme statali di
dettaglio nelle materie elencate nell'art. 117, comma 3, Cost., ne' -
a maggior ragione - in materie non espressamente indicate nel testo
costituzionale (per le quali vale il principio della esclusivita'
delle prerogative regionali), a prescindere da un'accertata inerzia
regionale. Tuttavia, quello che si riscontra con tutta evidenza nella
legge qui impugnata e' proprio l'adozione da parte dello Stato di
norme di analitico dettaglio vuoi in settori di esclusiva competenza
regionale, vuoi in ambiti di legislazione concorrente.
Tutte le norme censurate sono pertanto radicalmente illegittime.
In ogni caso, con particolare riferimento a ciascuna di esse, debbono
svolgersi le censure che qui seguono.
2. - Quanto all'art. 24, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117,
118 e 119 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
L'articolo in esame contiene disposizioni concernenti
l'aggiudicazione di pubbliche forniture e di appalti pubblici di
servizi, di cui al d.lgs. n. 358/1992 ed al d.lgs. n. 157/1995 e
successive modificazioni, e segnatamente prevede l'obbligo per le
amministrazioni aggiudicatrici di espletare procedure aperte o
ristrette, con le modalita' previste dalla normativa nazionale di
recepimento della normativa comunitaria, anche quando si tratti di
aggiudicare contratti di valore inferiore alla soglia di rilievo
comunitario ma superiore a Euro 50.000.
A tale obbligo sono sottratti i comuni con popolazione inferiore
a 5.000 abitanti, le pubbliche amministrazioni che ricorrano alle
convenzioni quadro definite dalla CONSIP o al mercato elettronico di
cui all'art. 11, d.P.R. n. 101/2002, nonche' le cooperative sociali.
Ai sensi del comma 3, sono tenute a ricorrere alle convenzioni
quadro definite dalla CONSIP le pubbliche amministrazioni indicate
nella tabella C allegata alla legge finanziaria (Ministeri) e gli
enti pubblici istituzionali.
Il successivo comma 4 sancisce la nullita' dei contratti
stipulati in violazione dei predetti obblighi e nel contempo
stabilisce che il dipendente che abbia sottoscritto un contratto in
violazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 3 ne risponde
personalmente, in via amministrativa e contabile.
Il comma 5 precisa che, anche laddove la vigente normativa
consenta la trattativa privata, le pubbliche amministrazioni possono
ricorrervi solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di
una documentata indagine di mercato e dandone comunicazione alla
sezione regionale della Corte dei conti.
Infine, il comma 9 qualifica le disposizioni di cui ai commi 1, 2
e 5 come "norme di principio e coordinamento" per le regioni.
Non si puo' fare a meno di rilevare come, nonostante tale ultima
precisazione, ed anzi in stridente contrasto con la stessa, le
disposizioni contenute nell'art. 24 della legge finanziaria 2003,
lungi dall'enunciare mere direttive di principio, si qualifichino
come norme di analitico dettaglio, che a ben vedere non lasciano alle
regioni margini di manovra nella disciplina delle modalita' di
aggiudicazione delle forniture di beni e servizi per le pubbliche
amministrazioni regionali adeguati al ruolo ed all'autonomia che la
Costituzione riconosce loro nel settore de quo.
La materia degli appalti pubblici di servizi e forniture, a
rigore, non essendo contemplata fra quelle di competenza statale
elencate dall'art. 117, comma 1, Cost., dovrebbe ritenersi attribuita
alla potesta' legislativa esclusiva delle regioni, ai sensi
dell'art. 117, comma 4, Cost.
In ogni caso, quand'anche si aderisse ad un'interpretazione piu'
restrittiva, che riconosca alle regioni una competenza meramente
concorrente in materia, le disposizioni censurate risulterebbero
comunque illegittime: la loro analiticita' e', infatti,
clamorosamente evidente.
Da un lato, (comma 1) viene puntualmente individuato il limite di
valore (Euro 50.000) al di sopra del quale sorge l'obbligo in capo
alle amministrazioni di cui all'art. 1, d.lgs. n. 358/1992, ed
all'art. 2, d.lgs. n. 157/1995 (ivi comprese dunque le regioni), di
esperire determinate procedure (aperte o ristrette) per
l'aggiudicazione dei contratti di fornitura di beni o servizi, pena
la nullita' dei contratti stessi (comma 4); dall'altro, vengono
tassativamente elencati i soggetti che si sottraggono al predetto
obbligo (comma 2); infine, si limita il ricorso alla trattativa
privata a casi eccezionali, e comunque a condizione che venga dato
conto della relativa motivazione, venga previamente esperita una
indagine di mercato e ne sia successivamente data comunicazione alla
sezione regionale della Corte dei conti (comma 5).
Se, dunque, i principi generali individuabili a fondamento delle
predette disposizioni sono quelli di trasparenza, favor per la gara
ad evidenza pubblica, introduzione di forme di controllo, risparmio e
contenimento della spesa ed efficienza nei sistemi di
approvvigionamento, non si puo' tuttavia accettare che il legislatore
statale abbia inteso vincolare le regioni non solo e non tanto al
rispetto di detti principi, ma altresi' all'applicazione di
disposizioni articolate e di dettaglio, che di tali principi
costituiscono gia' concreta attuazione, in tal modo scavalcando
completamente la legge regionale, unica fonte competente all'adozione
di previsioni normative di dettaglio in materia.
3. - Quanto all'art. 28, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117,
118 e 119 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
L'art. 28, dopo aver riconosciuto al Ministero dell'economia e
delle finanze il potere di acquisire ogni utile informazione sul
comportamento degli enti e organismi pubblici di cui all'art. 1,
comma 2, d.lgs. n. 165/2001, anche con riferimento all'obbligo di
utilizzo delle convenzioni CONSIP, avvalendosi a tal fine dei propri
rappresentanti nei collegi sindacali o di revisione presso i suddetti
enti ed organismi, ovvero avvalendosi anche dei nuclei di valutazione
o dei servizi di controllo interno di cui al d.lgs. n. 286/1999,
prescrive che tutti gli incassi, i pagamenti e i dati di competenza
economica rilevati dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1,
comma 2, d.lgs. n. 165/2001, devono essere codificati con criteri
uniformi su tutto il territorio nazionale.
Parallelamente, il comma 4, istituisce un espresso divieto per le
banche incaricate dei servizi di tesoreria e di cassa e per gli
uffici postali che svolgono servizi analoghi di accettare
disposizioni di pagamento prive di tale codificazione.
Il comma 5 demanda poi al Ministro dell'economia e delle finanze,
che vi provvede con propri decreti adottati sentita la Conferenza
unificata Stato-regioni, il compito di stabilire la codificazione di
cui al comma 3 e le modalita' ed i tempi per l'attuazione delle
disposizioni di cui ai commi 3 e 4, nonche' di provvedere ad
apportare tutte le necessarie integrazioni e/o modifiche alla
codificazione stabilita.
La norma impugnata incide su una materia, la finanza pubblica,
che e' sottratta alla competenza legislativa dello Stato, non essendo
ricompresa negli elenchi di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost.
Pertanto, essa e' lesiva della sfera di competenza legislativa
residuale riconosciuta e garantita alle regioni dal quarto comma
dell'art. 117 Cost.
Qualora, invece, si dovesse ritenere che l'oggetto della
disciplina impugnata possa essere ricondotto alla materia
"armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica affidata alla legislazione concorrente dall'art. 117, comma
3, Cost., le disposizioni de quibus risulterebbero comunque lesive
della competenza legislativa regionale, in quanto vanno ben al di la'
della mera enucleazione di principi fondamentali cui il legislatore
regionale deve ispirarsi, giacche' contiene norme dalla stringente
portata restrittiva.
Con le disposizioni impugnate, infatti, sono dettate in modo
analitico alcune norme direttamente regolanti la materia e, in
seconda battuta, viene demandato a successivi decreti ministeriali il
compito di ulteriormente specificare con norme di dettaglio quanto
qui enunciato a livello di principio.
Considerato il suo contenuto puntuale ed immediatamente
operativo, la disposizione in esame non e' qualificabile ne' come
principio fondamentale, come tale riservato alla legislazione dello
Stato, ne' come disciplina di dettaglio di carattere "suppletivo",
come tale derogabile dal legislatore regionale al quale spetta la
potesta' legislativa nella materia, in quanto attributiva di una
specifica competenza al Ministero per l'economia e le finanze.
Sotto quest'ultimo profilo, l'art. 28 impugnato attribuisce al
Ministro un potere regolamentare chiaramente escluso dall'art. 117,
comma 6, Cost., in base al quale nelle materie di legislazione
concorrente e di legislazione residuale regionale la potesta'
regolamentare spetta in via esclusiva alle regioni.
4. - Quanto all'art. 34, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117,
118 e 119 Cost. e dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
L'articolo 34 detta una serie di disposizioni in materia di
assunzioni del personale e ordinamento degli uffici.
In particolare, il comma 4 della norma in esame pone un esplicito
divieto di nuove assunzioni a tempo indeterminato per le pubbliche
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, per
tutto l'anno solare 2003, divieto rispetto al quale vengono
introdotte alcune parziali deroghe fissate nei commi successivi.
Il comma 11, poi, stabilisce che "ai fini del concorso delle
autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza
pubblica, con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri da
emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, previo accordo tra Governo, regioni e autonomie
locali da concludere in sede di Conferenza unificata, sono fissati
per le amministrazioni regionali, per le province e i comuni con
popolazione superiore a 5.000 abitanti che abbiano rispettato le
regole del patto di stabilita' interno per l'anno 2002, per gli altri
enti locali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri
e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2003.
Tali assunzioni, fatto salvo il ricorso alle procedure di mobilita',
devono, comunque, essere contenute, fatta eccezione per il personale
infermieristico del Servizio sanitario nazionale, entro percentuali
non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio
verificatesi nel corso dell'anno 2002 ... Non puo' essere stabilita,
in ogni caso, una percentuale superiore al 20 per cento per i comuni
con popolazione superiore a 5.000 abitanti e le province che abbiano
un rapporto dipendenti-popolazione superiore a quello previsto
dall'art. 119, comma 3, del decreto legislativo 25 febbraio 1995,
n. 77, e successive modificazioni, maggiorato del 30 per cento o la
cui percentuale di spesa del personale rispetto alle entrate correnti
sia superiore alla media regionale per fasce demografiche. I singoli
enti locali in caso di assunzioni di personale devono autocertificare
il rispetto delle disposizioni relative al patto di stabilita'
interno per l'anno 2002.
Nei confronti delle province e dei comuni con popolazione
superiore a 5.000 abitanti che non abbiano rispettato le regole del
patto di stabilita' interno per l'anno 2002 rimane confermata la
disciplina delle assunzioni a tempo indeterminato prevista
dall'art. 19 della legge 28 dicembre 2001, n. 448. In ogni caso sono
consentite, previa autocertificazione degli enti, le assunzioni
connesse al passaggio di funzioni e competenze alle regioni e agli
enti locali il cui onere sia coperto dai trasferimenti erariali
compensativi della mancata assegnazione delle unita' di personale".
Con gli stessi d.P.C.m. sopra menzionati, prosegue il comma 11,
"e' altresi' definito, per le regioni, per le autonomie locali e per
gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'ambito applicativo delle
disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3" (rideterminazione delle
dotazioni organiche, principio dell'invarianza della spesa,
individuazione provvisoria delle dotazioni organiche in misura pari
ai posti coperti al 31 dicembre 2002 fino al perfezionamento dei
provvedimenti di rideterminazione di cui al comma 1).
Le disposizioni contenute nell'art. 34, come e' agevole rilevare
a prima lettura, incidono con una disciplina estremamente dettagliata
sul rapporto tra le regioni e gli enti locali ed il relativo
personale. Tale disciplina e' palesemente illegittima.
Preliminarmente, occorre ribadire quanto gia' sottolineato piu'
sopra a proposito del divieto per lo Stato di dettare una disciplina
di dettaglio, peraltro nient'affatto cedevole, sia nelle materie di
competenza esclusiva regionale che in quelle di competenza
concorrente.
Cio' premesso, si deve rilevare come la materia del pubblico
impiego presso regioni ed enti locali sia riservata alla competenza
esclusiva regionale. Cio' in quanto essa non rientra tra le materie
tassativamente elencate come appartenenti alla competenza esclusiva
dello Stato, ne' tra quelle a legislazione concorrente, con la
conseguenza che, in forza del disposto dell'art. 117, comma 4, Cost.,
essa deve essere intesa ricadere nell'ambito riservato al legislatore
regionale.
Da quanto sopra deriva che lo Stato non puo' intervenire con
legge in tale settore, men che meno introducendo una disciplina di
dettaglio. Viceversa, la legge qui impugnata, in totale spregio della
riforma del Titolo V della Costituzione, determina una inaccettabile
invasione del campo dell'autonomia regionale.
Sul grado di dettaglio delle disposizioni contenute nell'art. 34
non e' neppure il caso di soffermarsi, tanto esso appare in tutta la
sua evidenza.
La norma impugnata, dunque, interviene in una materia di
esclusiva competenza regionale, pretendendo di disciplinare
analiticamente aspetti essenziali del rapporto di impiego del
personale delle regioni e degli enti locali in totale spregio dei
principi costituzionali sul riparto delle competenze.
Anche la rideterminazione degli organici e' indubbiamente materia
di competenza esclusiva delle regioni: qui la lesivita' delle
disposizioni contestate e' doppia, dal momento che non solo l'art. 34
interviene direttamente a disciplinare la materia de qua, ma
addirittura autorizza una fonte secondaria (d.P.C.m.) ad intervenire
in merito.
Del resto, non puo' ritenersi sufficientemente tutelata
l'autonomia regionale in virtu' della mera previsione di un previo
accordo da raggiungersi in sede di Conferenza unificata in vista
dell'adozione dei predetti decreti.
Accanto ad una grave violazione dell'art. 117 Cost., e'
riscontrabile nella fattispecie una altrettanto grave violazione
anche dell'art. 118 Cost., nella parte in cui esso riconosce alle
regioni la titolarita' di funzioni amministrative proprie, tra cui -
innegabilmente - quella di autorganizzazione. E' evidente, del resto,
che, oltre a invadere un ambito di normazione regionale, l'art. 34
impugnato finisce per incidere proprio sull'autonomia organizzativa
della regione, che si trova fortemente limitata nelle proprie scelte
discrezionali in tema di rapporti con il personale dai vincoli
imposti dal legislatore statale.
Preme sottolineare che il contestato intervento legislativo
statale nel settore de quo non potrebbe trovare giustificazione
neppure ove esso fosse ritenuto ispirato all'esigenza dello Stato di
dettare principi per il "coordinamento della finanza pubblica":
trattandosi, infatti, di materia in cui l'art. 117, comma 3, Cost.,
riconosce comunque alle regioni una potesta' legislativa concorrente,
la norma impugnata dovrebbe in ogni caso essere riconosciuta
illegittima per violazione del precetto costituzionale appena
menzionato, in forza del quale lo Stato dovrebbe limitarsi a dettare
mere norme di principio.
Se, poi, la ratio della norma fosse individuata nell'esigenza di
garantire il rispetto del patto di stabilita' interno, e con esso
degli impegni assunti dall'Italia a livello comunitario, dovrebbe
comunque concludersi per l'incostituzionalita' della normativa in
epigrafe, viziata anche sotto il profilo della manifesta
irragionevolezza e della sproporzione dei mezzi impiegati rispetto al
fine perseguito (art. 3 Cost.): da un lato, infatti, all'attuazione
degli impegni comunitari provvedono direttamente le regioni negli
ambiti di loro competenza, ai sensi dell'art. 117, comma 5, Cost.;
dall'altro lato, l'esigenza di assicurare il rispetto del patto di
stabilita' potrebbe essere perseguita soltanto attraverso
l'indicazione degli obiettivi, ma non anche mediante l'imposizione
dei mezzi, dal momento che si versa in un ambito in cui le regioni
godono di prerogative costituzionalmente riconosciute.
5. - Quanto all'art. 90, violazione degli artt. 3, 5, 114, 117,
118 e 119 dell'art. 10, legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
L'art. 90 detta una serie di disposizioni in materia di attivita'
sportiva dilettantistica, che affrontano diversi aspetti: dai profili
tributari (commi da 1 a 11), all'istituzione e regolamentazione di un
Fondo di garanzia per la fornitura di garanzia sussidiaria a quella
ipotecaria per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento,
all'attrezzatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti
sportivi (commi da 12 a 16), alla costituzione e regolamentazione
delle societa' e associazioni sportive dilettantistiche (commi da 17
a 19), all'istituzione presso il CONI di un registro nazionale delle
societa' ed associazioni sportive dilettantistiche, l'iscrizione al
quale diviene condizione necessaria per poter accedere ai contributi
pubblici di qualsiasi natura (commi da 20 a 22), all'uso e alla
gestione degli impianti sportivi (commi da 24 a 26).
Deve senz'altro riconoscersi come l'art. 90 impugnato verta su
questioni strettamente legate alla materia "ordinamento sportivo",
ambito di potesta' legislativa regionale concorrente ai sensi
dell'art. 117, comma 3, Cost.
Proprio la norma costituzionale appena invocata appare con tutta
evidenza violata nella fattispecie, ancora una volta in virtu' del
grado di dettaglio della normativa statale contestata, che determina
una illegittima invasione di un ambito riservato alla competenza
regionale ed in cui il legislatore statale dovrebbe invece limitarsi
a dettare larghe direttive di principio.
Si consideri, per esempio, quanto statuito dai commi 20 e 21
dell'art. 90. Ivi si prevede l'istituzione, la regolamentazione e la
gestione di un registro nazionale delle societa' ed associazioni
sportive dilettantistiche da parte del CONI. A tale registro dovranno
evidentemente far capo tanto le societa' affiliate alle Federazioni -
che sono percio' naturalmente legate e dipendenti dal CONI -, quanto
le societa' ed associazioni affiliate agli Enti di promozione
sportiva - che di norma, occupandosi della promozione dello "sport
per tutti" in collaborazione con gli enti locali, non sono collegate
al CONI.
Le disposizioni esaminate appaiono manifestamente in contrasto
con il nuovo assetto dei poteri disegnato dalla riforma
costituzionale del 2001: l'istituzione di un elenco o albo di
associazioni, con l'introduzione di una forma di riconoscimento di
tali soggetti, sia pure a fini sportivi, si ritiene non possa non
essere oggi riconosciuta come prerogativa regionale.
Va sottolineato, peraltro, come l'istituzione di un registro a
livello nazionale non si giustifichi neppure con un'esigenza legata
al carattere nazionale degli "enti chiamati ad iscriversi: sotto
questo profilo, pertanto, viene in evidenza anche la manifesta
irragionevolezza della disciplina contestata, che si muove nella
direzione opposta a quella seguita dal legislatore in riferimento ad
altre forme associative (organizzazioni di volontariato, associazioni
di promozione sociale, societa' cooperative), vale a dire quella di
favorire l'istituzione di albi e registri a livello locale.
Con il successivo comma 22, l'art. 90 impugnato intende vincolare
la concessione di contributi pubblici a societa' ed associazioni
sportive dilettantistiche alla previa iscrizione presso il registro
CONI di cui si e' detto.
Anche questa disposizione si rivela, a ben vedere, gravemente
illegittima, anche perche' incide in senso limitativo sulla
possibilita' per la regione, cosi' come per gli altri enti pubblici,
di sostenere e favorire con propri finanziamenti le societa' ed
associazioni sportive dilettantistiche.
Una manifesta violazione del riparto costituzionale delle
competenze, con una illegittima invasione degli ambiti di competenza
regionale da parte dello Stato, si riscontra anche con riferimento
alle disposizioni contenute nell'art. 90 dedicate alla disciplina -
analitica ed immediatamente operativa - della istituzione e della
regolamentazione delle societa' ed associazioni di cui si discute.
Non solo si rinviene, nel comma 17, la definizione puntuale delle
forme giuridiche che tali associazioni possono assumere (associazione
priva di personalita' giuridica disciplinata a norma degli artt. 36 e
ss. c.c.; associazione con personalita' giuridica di diritto privato
ai sensi del d.P.R. n. 361/2000; societa' di capitali costituita
secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono
le finalita' di lucro), ma addirittura il successivo comma 18 demanda
ad uno o piu' regolamenti, da adottarsi ai sensi dell'art. 17, comma
2, legge n. 400/1988 il compito di individuare:
a) i contenuti dello statuto e dell'atto costitutivo delle
societa' ed associazioni sportive dilettantistiche;
b) le modalita' di approvazione dello statuto stesso, di
riconoscimento ai fini sportivi e di affiliazione ad una o piu'
Federazioni nazionali del CONI o alle discipline associate o a uno
degli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, anche su
base regionale;
c) i provvedimenti da adottare in caso di irregolare
funzionamento o gravi irregolarita' di gestione o gravi infrazioni
all'ordinamento sportivo.
Non puo' quindi non riconoscersi, in uno con il grado di
dettaglio ed analiticita' delle disposizioni menzionate, la grave
violazione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite
perpetrata per il tramite di tali disposizioni, attribuzioni
regionali tanto piu' frustrate in quanto scavalcate anche da norme
regolamentari.
Le medesime considerazioni valgono, infine, anche con riferimento
ai commi 24, 25 e 26 dell'art. 90. Del resto, e' innegabile che la
gestione e l'uso degli impianti sportivi debbano essere ricompresi
nel generale ambito della materia "ordinamento sportivo", e quindi
riservati all'espressione della potesta' legislativa regionale
concorrente. Lungi dal limitarsi ad enunciare meri principi e
direttive atti a guidare il legislatore regionale, tuttavia, le
disposizioni censurate si spingono a dettare una disciplina che non
lascia adeguati margini di manovra alle regioni, e che deve pertanto
essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

P. Q. M.
Voglia codesta ecc.ma Corte, in accoglimento del presente
ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale della legge 27
dicembre 2002, n. 289, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, S.O.
n. 240/L, Serie gen. n. 305 del 31 dicembre 2002, con particolare
riferimento agli artt. 24, 28, 34 e 90.
Milano, addi' 27 febbraio 2003
Avv. Prof.: Gisueppe Franco Ferrari

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