Ricorso n.19 dell'8 febbraio 2019 (della Regione Piemonte)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria l'8 febbraio 2019 (della Regione Piemonte).
(GU n. 13 del 2019-03-27)
Ricorso ex art. 127, comma 2, Cost. della Regione Piemonte, in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale del 18 gennaio 2019 n. 5-8301, rappresentata e difesa, come da procura speciale in calce al presente atto, dall'avv. Prof. Ugo Mattei e dall'avv. Giovanna Scollo con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Gabriele Pafundi, corso Giulio Cesare n. 14;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'intero decreto-legge 4 ottobre 2018 n. 113, convertito con modificazioni dalla legge di conversione 1° dicembre 2018 n. 132 (di seguito anche il «Decreto») recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 281 del 3 dicembre 2018 per violazione, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dell'art. 1 Cost.; dell'art. 2 Cost.; dell'art. 3 Cost.; dell'art. 5 Cost.; dell'art. 10 Cost.; dell'art. 13, comma 1 Cost.; dell'art. 14, comma 1 Cost.; dell'art. 16, comma 1 Cost.; dell'art. 70 Cost.; dell'art. 72 Cost.; dell'art. 77 Cost.; dell'art. 117, commi 1, 2, 3, 4 e 7 Cost.; dell'art. 118 Cost.; dell'art. 119, comma 5 Cost.; e, in subordine, oltre alle pregiudiziali idonee a travolgere l'intero decreto, la Regione Piemonte chiede:
in riferimento al trattamento di stranieri in pregiudizio delle proprie competenze, la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 9, 12, commi 5 e 6, 13 e 14 dello stesso decreto, anche nell'ipotesi di accoglimento delle censure generali, con conseguente sua possibile riproposizione per violazione dell'art. 2 Cost.; dell'art. 3 Cost.; dell'art. 10 Cost.; dell'art. 32 Cost.; dell'art. 38 Cost.; dell'art. 97 Cost.; dell'art. 114 Cost.; dell'art. 117, comma 1 in relazione agli articoli 2, 3, 5, 6, 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), e commi 3, 4 e 7 Cost.; dell'art. 118 Cost.; dell'art. 119 Cost.;
in riferimento al trattamento di soggetti deboli e vulnerabili in pregiudizio delle proprie competenze, la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 21 comma 1, lett. a), 30 commi 1 e 31-ter per violazione dell'art. 2 Cost.; dell'art. 3 Cost.; dell'art. 10 Cost.; dell'art. 32 Cost.; dell'art. 42 Cost.; dell'art. 47, comma 2 Cost.; dell'art. 97 Cost.; dell'art. 117, comma 1 in relazione all'art. 8 CEDU, e commi 2, 3 e 4 Cost.; dell'art. 118 Cost.; dell'art. 119, comma 5 Cost.; nei modi e per i profili di seguito illustrati.
Indice
1. Introduzione
2. Sull'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale qui sollevate
3. In via generale e pregiudiziale: sulla violazione dell'art. 77 Cost., e sulla conseguente illegittimita' dell'intero decreto e della relativa legge di conversione
4. Sulle singole disposizioni del decreto n. 113/2018 che violano le competenze regionali e che introducono un trattamento discriminatorio degli stranieri
(A) Sull'abolizione del permesso di soggiorno per protezione umanitaria
(B) Sugli interventi in materia di accoglienza
(C) Sul divieto di iscrizione all'anagrafe
(D) Sull'ottenimento e la revoca della cittadinanza italiana
5. Sulle singole disposizioni del decreto n. 113/2018 che violano le competenze regionali e che introducono un trattamento discriminatorio delle persone in situazione di poverta' e di marginalita' sociale
(A) Sull'estensione del DASPO urbano ai presidi sanitari
(B) Sulle misure relative ai casi di occupazioni per scopo abitativo
1. Introduzione
2. Si sperava di non dover vedere mai piu', nell'Italia repubblicana nata dalla Resistenza antifascista, scene come quelle andate in onda, proprio intorno al Giorno della Memoria, al CARA di Castelnuovo di Porto, dove numerosi migranti di colore, donne e bambini inclusi, gia' integrati nel territorio, sono stati caricati su autobus e deportati in localita' loro ignote. Si e' trattato del primo esempio di applicazione pratica del c.d. Decreto Salvini, norme che vanno cancellata dal nostro diritto positivo perche' mostrano le caratteristiche devastanti di un virus letale per il nostro ordine democratico.
3. Con il decreto-legge n. 113 del 4 ottobre 2018 - convertito, con modifiche, nella legge n. 132/2018, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 281 del 3 dicembre 2018 - il Governo ha introdotto, invocando un caso straordinario di necessita' e urgenza, dovuto ad asserite ragioni di tutela della «sicurezza» della popolazione italiana, un numero rilevante di disposizioni incidenti - in misura, come si vedra', significativa sulla «protezione internazionale e [l']immigrazione, [la] sicurezza pubblica nonche' ... la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata».
4. Si tratta, invero, di una congerie eterogenea di norme che - nel loro insieme - rispondono a un preciso indirizzo di politica del diritto, determinando una riforma organica della disciplina in materia di «protezione internazionale[,] immigrazione [e] sicurezza pubblica» (cosi' l'intitolazione del decreto-legge). Tale congerie normativa, imposta al Paese attraverso la decretazione d'urgenza e l'imposizione della fiducia, costituisce la concretizzazione in termini giuridici di una precisa strategia politica xenofoba e securitaria su cui una componente della maggioranza di governo fonda il proprio consenso elettorale. La concretizzazione normativa di tale intento politico di parte fa strame di valori fondamentali del nostro sistema costituzionale che codesta Corte costituzionale e' preposta a garantire. La Regione Piemonte, che a codesta Corte ricorre, ritiene che tale riforma, oltre a essere ispirata a un disegno gravemente incostituzionale di limitazione dei diritti delle persone e di marginalizzazione (per non dire vera e propria «criminalizzazione») dello straniero e di quanti, piu' in generale, si trovino in una condizione di vulnerabilita' sociale, incide in modo rilevante sulle prerogative costituzionali delle regioni e degli enti locali (cosi' come definite dagli articoli 117-118 Cost.). Regioni ed enti locali cui spetta tra l'altro - il compito costituzionale di «rimuovere gli squilibri economici e sociali [e] favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona» (art. 119, comma 5 Cost.) e che sono elementi costitutivi e parti integranti essenziali dell'ordinamento giuridico della Repubblica (articoli 114 e 117 Cost.), intesa non solo come «Stato apparato», ma anche e soprattutto come «Stato comunita'», scosso da questo decreto nei capisaldi dell'ordinamento giuridico repubblicano.
5. La Regione, infatti, come parte dello Stato comunita' e' chiamata a provvedere (sia in virtu' di precisi obblighi costituzionali, sia in quanto leale interprete dello spirito solidaristico che informa tanto i principi generali quanto lo stesso Titolo V) alle esigenze sottese a un disegno costituzionale sociale e inclusivo e non deve esser costretta a partecipare, con le proprie risorse e la propria organizzazione, al perseguimento del disegno incostituzionale (in quanto xenofobo ed escludente) di una parte politica che pro tempore riesce a determinare, in modo abusivo, come si dimostrera' piu' avanti, il processo di normazione statale. Occorre osservare che la riforma del Titolo V, seppur redatta in un momento storico e in un clima politico profondamente diverso da quello del 1948, non ne ha tradito gli ideali di inclusivita' e solidarieta' sociale di cui in particolare agli articoli 2 e 3 Cost. In effetti, il quinto comma dell'art. 119 mostra come il perseguimento di tali obiettivi sia un mandato per cosi' dire costituzionalmente rinforzato, anche nei termini materiali e fattuali che, secondo l'art. 3, comma 2 Cost., incombe su tutta la Repubblica e quindi anche sulle regioni. Per favorire il perseguimento materiale di tali scopi solidaristici, come si precisera' di seguito, sono infatti necessarie risorse economiche aggiuntive che lo Stato mette a disposizione delle regioni «per promuovere la solidarieta' sociale», «per rimuovere gli squilibri economici e sociali» e per «favorire gli effettivi diritti della persona» (si noti, non del solo cittadino: anche dello straniero).
6. La riforma introdotta con il decreto non e' suffragata da alcuna ragione, ne' di fatto ne' di diritto, coerente con il programma della nostra vigente Costituzione che codesta Corte costituzionale ha il potere/dovere di difendere come fonte suprema del diritto (art. 134). Essa intende i flussi migratori come un fenomeno necessariamente dannoso, che richiede un intervento preventivo, diretto a impedire nuovi arrivi sulle coste del nostro Paese. I dati, tuttavia, descrivono uno scenario opposto a quello che ha motivato l'azione legislativa, dal momento che gli sbarchi si sono ridotti addirittura dell'80% nel 2018 rispetto al 2017 (1) . Inoltre, la riforma, pur essendo stata adottata tramite decreto-legge, non e' suffragata da quelle effettive e reali ragioni di necessita' e urgenza che impone l'art. 77 Cost. e che codesta Corte ha specificato nella sua giurisprudenza, ormai consolidata. Le urgenti ragioni di sicurezza pubblica, pertanto, sono prive di ogni fondamento, fattuale e giuridico.
7. Per i suddetti motivi - che verranno sviluppati e approfonditi nel prosieguo del presente ricorso - la Regione Piemonte si e' determinata a impugnare davanti a codesto Giudice costituzionale il decreto-legge n. 113/2018 (ora convertito nella legge n. 132/2018) - nell'intero testo e, in subordine, limitatamente alle disposizioni indicate in epigrafe - facendo cosi' valere le proprie prerogative costituzionali di cui all'art. 117 Cost., nonche' quelle degli enti locali presenti sul suo territorio di cui agli articoli 114 e 118 Cost.; e, piu' in generale, esercitando il «dovere di resistenza» presente in capo a tutti gli enti costitutivi della Repubblica (oltre che ai singoli cittadini e alle formazioni sociali) a fronte della violazione di principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, a partire dal principio di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost., che - in base al disegno dei Costituenti - deve conformare la Repubblica italiana e la «comunita' nazionale» in tutte le sue articolazioni, sociali e territoriali.
8. Sull'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale qui sollevate.
9. Prima di soffermarsi sul merito delle singole censure di costituzionalita' del decreto, e' fondamentale evidenziare le ragioni di ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate con il presente ricorso.
10. In relazione al giudizio di legittimita' costituzionale in via principale ex art. 127 Cost., codesta Corte afferma che le regioni possono far valere la violazione:
11. diretta delle norme costituzionali riguardanti le competenze proprie delle regioni stesse (censure di violazione diretta, appunto, degli articoli 117 e ss. Cost.), nonche';
12. delle norme costituzionali diverse da quelle riguardanti le competenze delle regioni, purche' tale violazione si riverberi - o «ridondi», usando le stesse parole della Corte - sulle competenze medesime (ledendole quindi in via indiretta: per quanto precede, ex multis, sentenze nn. 33/2011, 46/2013, 220/2013, 22/2012, 80/2012, 199/2012).
13. Con riferimento al profilo indicato sub (a), e' d'obbligo rilevare, peraltro, come la Carta costituzionale non limiti al solo art. 117 Cost. la definizione delle competenze proprie delle regioni e degli enti locali, disegnando piuttosto un ordinamento nel quale tutte le articolazioni territoriali della Repubblica sono chiamate a tutelare i diritti dei singoli e delle formazioni sociali e a promuovere lo sviluppo della persona umana. In tale direzione, codesta Corte ha nel tempo opportunamente messo in luce, oltre alla tradizionale dimensione dello «Stato-apparato», l'esistenza di uno «Stato-comunita'», inteso come «comunita' di diritti e di doveri» (sentenza n. 172/1999, seguita di recente dalle sentenze n. 309/2013 e n. 119/2015, che hanno reinterpretato in chiave evolutiva l'art. 52 Cost.). Ma - preme qui evidenziare - e' nello stesso Titolo V della Parte II della Carta costituzionale (le cui norme rappresentano l'ordinario parametro di legittimita' nell'ambito del giudizio di costituzionalita' in via principale davanti a codesta Corte), cosi' come riformato dalla Cost. 3/2001 - e precisamente nella lettera dell'art. 119, comma 5 - che si rinviene l'esplicito riconoscimento della competenza delle regioni e degli enti locali a «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale», a "rimuovere gli squilibri economici sociali», e a «favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona». Invero, se lo Stato - in base alla disposizione costituzionale qui richiamata - «destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Citta' metropolitane e regioni» indirizzati a tali specifici scopi, e' evidente che «a monte» tali scopi rientrano a pieno titolo nella competenza istituzionale degli enti territoriali. Percio' (come si precisera' appresso), norme di legge statale che - come quelle del decreto impugnato - si pongano in contrasto con questi obiettivi costituzionali («generali» e «trasversali» alla Repubblica, si potrebbe dire) e ne impediscano il raggiungimento, sono senz'altro lesive delle competenze delle regioni e degli enti locali.
14. Con riferimento al profilo indicato sub (b) (ovvero l'ammissibilita' di censure relative alla violazione di norme costituzionali diverse da quelle riguardanti le competenze delle regioni), codesta Corte "ha ammesso, con giurisprudenza costante, che «le regioni possono evocare parametri di legittimita' diversi rispetto a quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni solo se la lamentata violazione determini una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite o ridondi sul riparto di competenze legislative tra Stato e regioni» (sentenza n. 33 del 2011; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 46, n. 20 e n. 8 del 2013; n. 311, n. 298, n. 200, n. 199, n. 198, n. 187, n. 178, n. 151, n. 80 e n. 22 del 2012)" (cosi', in particolare, la sentenza n. 220/2013). Inoltre, la Corte ha precisato che «le regioni possono evocare parametri di legittimita' diversi da quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni solo allorquando la violazione denunciata sia «potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle regioni» (sentenza n. 303 del 2003; di recente, nello stesso senso, sentenze n. 80 e n. 22 del 2012) e queste abbiano sufficientemente motivato in ordine ai profili di una «possibile ridondanza» della predetta violazione sul riparto di competenze, assolvendo all'onere di operare la necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione (sentenza n. 33 del 2011) (cosi' sempre, in particolare, la sentenza n. 199/2012).
15. Cio' premesso in termini generali, nel presente ricorso la Regione Piemonte - come si argomentera' specificamente nei paragrafi seguenti - denuncia la violazione, ad opera del decreto:
sia di norme costituzionali che riguardano direttamente il «riparto di competenze» tra lo Stato e (per quanto qui rileva) la Regione stessa, nonche' (come si e' gia' accennato nella premessa in fatto) gli enti locali presenti nel territorio regionale: censure di violazione degli articoli 114, 117, 118 e 119 Cost., dedotte nel paragrafo 3 del presente ricorso;
sia di norme costituzionali diverse da quelle di cui sopra, la cui violazione, ad avviso della ricorrente, si traduce in una lesione indiretta delle competenze proprie (per quanto qui rileva) della medesima Regione Piemonte, nonche' degli enti locali presenti nel territorio regionale: censure di violazione degli articoli 2, 3, 10, 32, 38, 42, 47, 97 Cost., dedotte nei paragrafi 63 e 5 del ricorso.
16. Per quanto riguarda l'ammissibilita' del primo gruppo di censure (violazione diretta di norme relative al riparto di competenze Stato-Regioni), se da un lato, con riferimento agli articoli 117 e 118 Cost., essa puo' ritenersi in re ipsa sulla base dell'art. 127 Cost. e della costante giurisprudenza di codesta Corte (richiamata supra), dall'altro lato, con riferimento all'art. 119 comma 5 Cost., vale appena il caso di sottolineare che la normativa impugnata, nella misura in cui preclude e interrompe ingiustificatamente un percorso di integrazione dello straniero, ostacola lo «sviluppo economico» del territorio (richiamato esplicitamente come compito delle regioni e degli enti locali dalla norma appena menzionata), il quale risulta dal complesso di attivita' realizzate dai suoi abitanti, compreso ogni straniero accolto e integrato, capace di alimentare, con il proprio contributo, questo virtuoso circuito. Come si vedra', nell'esperienza della Regione Piemonte, le politiche di accoglienza e integrazione attuabili prima dell'entrata in vigore del Decreto, hanno contribuito in modo effettivo e significativo non solo allo sviluppo della persona umana e dei suoi diritti ma anche a quello del tessuto economico, a vantaggio dell'intero territorio.
17. A cio' si aggiunge che l'ammissibilita' del primo gruppo di censure e' anche sostenuta da ulteriori effetti che questo decreto produrra', nella misura in cui esso:
determina il vistoso incremento della condizione di irregolarita' dello straniero, aumentando quel substrato sociale che alimenta (anziche' diminuire) fenomeni di criminalita', mina la «coesione sociale» e, aumentando il senso di insicurezza del cittadino, diminuisce la «solidarieta' sociale»; e limitando significativamente l'iscrizione anagrafica dello straniero nel territorio - da cui dipende la fruizione di servizi pubblici essenziali, come quelli sanitari e assistenziali - crea, anziche' rimuovere, «squilibri economici e sociali», impedendo - in definitiva - l'effettivo esercizio di diritti della persona. Persona che, come ha piu' volte sottolineato questa Corte, non coincide con la nozione giuridica di cittadino, ma e' la persona umana in quanto tale (come affermato, in particolare, nella sentenza n. 172/2012, i diritti inviolabili di cui all'art. 2 Cost. "spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri umani» (sentenza n. 105 del 2001). La condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata - per quanto riguarda la tutela di tali diritti - come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi").
18. Per quanto riguarda il secondo insieme di censure (violazione di norme diverse dagli articoli 114 e ss. Cost.) si rende necessario - in base alla giurisprudenza della Corte sopra richiamata - esporre le ragioni per le quali, ad avviso della Regione ricorrente, la violazione delle norme costituzionali invocate come parametro di legittimita' "sia «potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle regioni» (sentenza n. 303 del 2003; di recente, nello stesso senso, sentenze n. 80 e n. 22 del 2012)": cioe', in sostanza, la "possibile ridondanza"... sul riparto di competenze» (sentenze n. 33/2011 e n. 199/2012, citt.).
19. Al riguardo, e' stata la stessa Corte (sentenza n. 299/2010, seguita poi dalla n. 61/2011) a evidenziare che «l'intervento pubblico concernente gli stranieri non puo' ... limitarsi al controllo dell'ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio nazionale, ma deve necessariamente considerare altri ambiti - dall'assistenza sociale all'istruzione, dalla salute all'abitazione - che coinvolgono molteplici competenze normative, alcune attribuite allo Stato, altre alle regioni (sentenze n. 156 del 2006, n. 300 del 2005)». Sussiste dunque, addirittura in termini generali, un interesse effettivo delle Regioni (e quindi anche della Regione Piemonte) a impugnare disposizioni di legge statali che, come quelle contenute nel decreto-legge n. 113/2018, investano la disciplina «concernente gli stranieri», con necessarie e inevitabili ripercussioni sulle competenze regionali, quali appunto l'«assistenza sociale» l'«istruzione», la tutela della «salute» e del diritto di «abitazione».
20. Fermo cio', piu' specificamente, il decreto qui impugnato - nella sua totalita', e comunque nelle specifiche disposizioni indicate nell'epigrafe del presente ricorso - e' si dedicato alla «protezione internazionale», all'«immigrazione» e alla «sicurezza pubblica» (oltre che alle altre, invero eterogenee, materie di cui si dira' nel paragrafo seguente), ma si ripercuote proprio sulle suddette materie di competenza regionale.
21. L'art. 1 («Disposizioni in materia di permessi di soggiorno per motivi umanitari e disciplina di casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario»), nella parte in cui e' prevista l'eliminazione del permesso di soggiorno per protezione umanitaria, sostituito da permessi temporanei e limitati a ipotesi speciali perlopiu' non convertibili, restringe le fattispecie legittimamente ascrivibili a esigenze tipizzate rispetto a quelle costituzionalmente necessarie in adempimento degli obblighi internazionali. Inoltre, elimina la possibilita' di rinnovo a condizioni di rilascio invariate del permesso di protezione umanitaria, riducendo i diritti assistenziali, sociali e sanitari riconosciuti agli immigrati e violando radicalmente le loro possibilita' di esercizio del diritto al lavoro. Da ultimo, la stessa norma impedisce alla Regione di organizzare in modo efficiente e ragionevole la sanita' e l'assistenza sociale. L'art. 12 («Disposizioni in materia di accoglienza dei richiedenti asilo»), commi 5 e 6, di fatto pone fine ai progetti di accoglienza previsti dalla legislazione vigente - art. 1-sexies decreto-legge n. 416/1989 convertito in legge n. 39/1989 - e invade irragionevolmente l'autonomia organizzativa della Regione (nonche' degli enti locali). L'art. 13 («Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica») stabilisce che il permesso di soggiorno per richiesta asilo non consente l'iscrizione anagrafica: la previsione comporta irragionevoli e discriminatorie complessita' che impattano sia legittime aspettative dello straniero rispetto alla propria partecipazione alla vita pubblica, sociale ed economica della Regione (cfr. art. 2, comma 4, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), sia le attribuzioni delle pubbliche amministrazioni regionale e degli enti locali. L'art. 14 («Disposizioni in materia di acquisizione e revoca della cittadinanza») risulta cosi' discriminatorio da porsi in violazione di fondamentali principi costituzionali. Il complesso articolo, infatti: rende piu' gravoso l'acquisto della cittadinanza; prolunga il periodo di incertezza dello straniero in merito alla propria condizione giuridica; impedisce alla persona straniera di esprimere le proprie capacita' adempiendo a obblighi di solidarieta' sociale e contribuendo allo sviluppo dell'economia regionale; introduce per il solo cittadino italiano di origine straniera la revoca della cittadinanza.
22. Come gia' rilevato, le suddette previsioni costituiscono nel complesso un intervento di matrice irragionevolmente discriminatoria in materie che, quand'anche formalmente riservate alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lettere a), b), h) e i) Cost.), non possono che trovare attuazione in una maniera trasversale, ossia con l'essenziale concorso normativo e amministrativo della Repubblica tutta e delle regioni in primis. Sul punto, e' appena il caso di aggiungere - ferma restando la giurisprudenza costituzionale richiamata poc'anzi - che la primaria rilevanza dell'art. 117, commi 3 e 4 Cost. e' attestata anche dal decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (c.d. Testo Unico Immigrazione), le cui disposizioni «[n]elle materie di competenza legislativa delle regioni (...) costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione» (art. 1, comma 4). Piu' nello specifico, il Testo Unico e' inequivocabile nello statuire (art. 3, comma 5) che «[n]ell'ambito delle rispettive attribuzioni e dotazioni di bilancio, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti locali adottano i provvedimenti concorrenti al perseguimento dell'obbiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con particolare riguardo a quelle inerenti all'alloggio, alla lingua, all'integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana».
23. E' evidente dunque che le regioni (e tra esse la Regione Piemonte, qui ricorrente) sono tenute - tanto ex art. 117 e ss. Cost., quanto in forza di principi fondamentali dettati da fonti legislative statali- a esercitare le proprie potesta' legislative e competenze amministrative in maniera costituzionalmente orientata.
24. Una simile conclusione, valida per la tutela e promozione dei diritti di tutte le persone straniere presenti sul territorio regionale, e' valida a fortiori per le disposizioni di legge censurate che - asseritamente intervenendo in materia di sicurezza pubblica - riguardano anche i cittadini italiani. In tal senso, l'art. 21 («Estensione dell'ambito di applicazione del divieto di accesso in specifiche aree urbane»), al comma 1 lett. a), estende il DASPO urbano ai presidi sanitari, con cio' restringendo in modo irragionevole, a discapito di ogni persona in condizione di fragilita' economica, la possibilita' di soggiornare e raggiungere aree deputate alla tutela anche emergenziale della salute, funzione, questa, rientrante negli obblighi assistenziali della Regione. L'art. 30 («Modifica dell'art. 633 del codice penale») al comma 1 introduce la procedibilita' d'ufficio, a carico di persone in condizioni di vulnerabilita' e di bisogno abitativo, per ipotesi di dimora in immobili anche non utilizzati, e dunque in situazioni in cui in capo al proprietario e' ragionevole desumere la tolleranza dell'uso abitativo di famiglie in difficolta'. L'art. 31-ter («Disposizioni in materia di occupazione arbitraria di immobili»), prospettando una macchinosa e complessa procedura che prevede un espresso e diretto coinvolgimento delle regioni, stabilisce che l'esecuzione di un provvedimento di rilascio avviene comunque entro un anno dalla data della sua azione, senza nulla prevedere in merito al collocamento abitativo delle persone destinatarie del provvedimento. Cio' pone a carico della Regione - cosi' come degli enti locali, come rilevato in seguito - irragionevoli oneri aggiuntivi in materia di gestione dell'emergenza. abitativa, comportando anche violazioni della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Il medesimo art. 31-ter, infine, nel riconoscere un indennizzo al proprietario per il mancato godimento dell'immobile causato dal differimento dell'esecuzione del provvedimento di rilascio, viola la competenza regionale in materia di politiche abitative.
25. Le disposizioni di legge censurate sono dunque suscettibili di pregiudicare o perfino impedire l'assolvimento di simili attribuzioni di rango costituzionale, cio' che determina senz'altro l'ammissibilita' delle censure proposte. I parametri complessivamente invocati sono gli articoli 2, 3, commi 1 e 2, 10, 32, 38, 42, comma 1, 2 e 3, 47, comma 2, 97, 114, 117, comma 1 (in relazione agli articoli 8 e 14 CEDU, all'art. 1 Primo Protocollo addizionale CEDU, all'art. 2, commi 1 e 2 Protocollo n. 4 CEDU), 117, commi 3, 4 e 7, 118, 119 Cost.
26. La Regione Piemonte, inoltre, ricorre in questa sede anche a tutela delle attribuzioni costituzionali degli enti locali presenti nel proprio territorio, che risultano parimenti lese dalle disposizioni impugnate. Al riguardo, codesta Corte ha affermato che «le regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali», addirittura «indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale» (sentenza n. 220/2013, relativa all'illegittimita' costituzionale del decreto-legge n. 201/2011 concernente la riforma delle Province; nonche', ex plurimis, sentenze n. 311/2012, n. 298/2009, n. 169 e n. 95/2007, n. 417/2005 e n. 196/2004). E qualora la Regione agisca a tutela delle attribuzioni degli enti locali, la possibile «ridondanza deve essere valutata [...] anche con riguardo alle attribuzioni degli enti locali» (sempre sentenza n. 220/2013).
27. Le attribuzioni e gli obblighi costituzionali degli enti locali sono senz'altro vulnerati dalle disposizioni legislative oggi censurate. Senza ripercorrere nuovamente il contenuto delle singole disposizioni di legge, e' sufficiente rilevare che la Costituzione (articoli 114, commi 1 e 2, 118, commi l, 2 e 4, 119, comma 5) e numerose fonti legislative (ci si limita a evocare nuovamente l'art. 3, comma 5 decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) attribuiscono agli enti locali, da un lato, precisi obblighi connotati dal punto di vista teleologico e, dall'altro, un margine autonomo di apprezzamento nell'esercizio delle funzioni amministrative detenute o attribuite. Ebbene, come gia' si e' osservato e come meglio si evidenziera' nel merito delle singole censure, l'operato del legislatore - nel risultare sostanzialmente discriminatorio e viziato sotto piu' profili da manifesta irragionevolezza - costringerebbe di fatto gli enti locali a esercitare le proprie fimzioni amministrative in violazione di primarie direttive costituzionali. Le censure risultano dunque ammissibili, appuntandosi sui seguenti parametri di legittimita' costituzionale: articoli 2, 3, commi 1 e 2, 10, 32, 38, 42, comma 1, 2 e 3, 47, comma 2, 97, 114, 117, comma 1 (in relazione agli articoli 8 e 14 CEDU, all'art. 1 Primo Protocollo addizionale CEDU, all'art. 2, commi 1 e 2 Protocollo n. 4 CEDU), 118, 119 Cost.
28. Per quanto le considerazioni di cui sopra siano di per se' sufficienti per argomentare la piena legittimazione della Regione Piemonte a impugnare le disposizioni in epigrafe - e dunque l'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale qui sollevate, e' d'obbligo ricordare come codesta Corte abbia altresi' progressivamente riconosciuto (v. le pronunce richiamate supra) una forte connessione fra norme competenziali (relative cioe' al «riparto di competenze» tra Stato e regioni) e norme sostanziali della Costituzione. Tale connessione trova la piu' significativa espressione nell'ambito della potesta' legislativa concorrente, di cui all'art. 117, comma 3 Cost., rispetto alla quale la riserva allo Stato della determinazione dei principi fondamentali circoscrive e definisce, al tempo stesso, anche le potenzialita' di esercizio della potesta' legislativa regionale.
29. Al riguardo, se da un lato la potesta' legislativa regionale non puo' tradursi in atti in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale, allora dall'altro, lo Stato non puo' pretendere di circoscriverla dettando principi incostituzionali. Il controllo di costituzionalita' non puo', in questi casi, non spingersi a verificare il modo in cui lo Stato ha esercitato la propria competenza, e a sindacarne anche il possibile contrasto con parametri diversi da quelli direttamente attributivi della competenza stessa.
30. Pur restando il ricorso della Regione Piemonte largamente ammissibile in questa sede anche alla luce della concezione tradizionale del giudizio in via principale come giudizio «su conflitto di attribuzioni legislative» (o «regolamento di competenze legislative» tra lo Stato e le Regioni, ex art. 117 Cost.); quanto da ultimo posto in luce legittima questa ricorrente anche secondo quella concezione evolutiva di tale giudizio, fatta propria dalla Corte stessa (sentenze nn. 262/2016; 287 e 284/2016; 13/2017 127 e 244/2016), come giudizio «sulla legittimita' sostanziale delle leggi», e quindi relativo alla conformita' delle leggi stesse alla Costituzione, a prescindere dalla spettanza del potere legislativo in capo all'uno o all'altro Ente.
31. In questa prospettiva, la Regione Piemonte sarebbe dunque ulteriormente legittimata a ricorrere a codesta Corte per lamentare il contrasto oggettivo tra la normativa statale impugnata e qualsivoglia parametro costituzionale, anche a prescindere dalla (e quindi senza dover preliminarmente dimostrare la) violazione di una propria specifica competenza legislativa, onere di dimostrazione che comunque puntualmente questa Regione si sobbarchera' ad abundantiam in ogni passaggio argomentativo di questo ricorso.
32. In via generale e pregiudiziale: sulla violazione dell'art. 77 Cost., e sulla conseguente illegittimita' dell'intero decreto e della relativa legge di conversione.
33. Passando al merito delle singole questioni di legittimita' costituzionale qui sollevate, la Regione Piemonte denuncia anzitutto la violazione dell'art. 77 Cost. in tema di decretazione d'urgenza da parte del Governo, sotto diversi profili (v. par. 36 e ss.).
34. Tale censura, nella misura in cui riguarda i presupposti stessi di adozione dell'atto normativo qui impugnato, e la correlativa scelta del Governo (cui e' seguita la conferma in sede parlamentare) di ricorrere allo strumento del decreto-legge per introdurre nell'ordinamento le disposizioni di cui trattasi (e quindi, in sostanza, il modo di esercizio della funzione legislativa):
dal punto di vista dell'oggetto, investe l'intero decreto-legge n. 113/2018 (e - in via consequenziale - la relativa intera legge di conversione, n. 132/2018, inidonea a «sanare» i vizi di formazione del decreto-legge per ormai pacifica giurisprudenza di codesta Corte); o comunque, in rigoroso subordine, almeno le specifiche disposizioni del decreto-legge n. 113/2018 indicate nell'epigrafe del presente ricorso (e censurate singolarmente, in relazione ad altri parametri costituzionali, nei paragrafi 63 e 5 del ricorso);
dal punto di vista del presente giudizio di costituzionalita', ha carattere pregiudiziale rispetto a tutte le altre censure sollevate (di cui ai paragrafi 63 e 5 del ricorso), come riconosciuto da codesta Corte: «La censura di violazione dell'art. 77 Cost., ancorche' prospettata [eventualmente: aggiunta nostra] ... solo in via residuale, va esaminata con carattere di priorita', per essere logicamente pregiudiziale rispetto ad ogni altra doglianza, configurandosi come potenzialmente assorbente della sua valutazione in caso di eventuale accoglimento» (sentenza n. 16/2017; v. anche, al riguardo, le sentenze nn. 220/2013, 22/2012, 52/2010, 216/2008, 6/2004, 303/2003, che hanno sottolineato l'autonomia della valutazione della censura in oggetto rispetto all'esame dell'incidenza della normativa impugnata sul riparto di competenze tra Stato e regioni).
35. Circa la piena ammissibilita', nel presente giudizio di legittimita' costituzionale, della censura relativa alla violazione dell'art. 77 Cost., si richiama quanto esposto nel paragrafo 2 (in particolare sub 285-2.21). Si aggiunge qui - ad abundantiam, perche' trattasi di principio ormai pacifico - che secondo codesta Corte le Regioni sono legittimate a eccepire, in sede di ricorso in via principale, la violazione di tale norma costituzionale per l'insussistenza (in particolare) dei requisiti di necessita' e urgenza del decreto-legge (per es., oltre alle pronunce citate al punto precedente, sentenze nn. 244 e 287/2016, n. 6/2004, n. 303/2003).
36. Venendo ai singoli profili per i quali, ad avviso della Regione ricorrente, sussiste nel caso in esame la - chiara - violazione dell'art. 77 Cost., si rileva in primo luogo che il decreto-legge impugnato difetta dei requisiti di «straordinari[a] necessita' ed urgenza» prescritti, in modo inderogabile, dalla norma costituzionale.
37. Invero, il preambolo del decreto cosi' recita (nella parte rilevante): «Ritenuta la necessita' e urgenza di prevedere misure volte a individuare i casi in cui sono rilasciati speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario, nonche' di garantire l'effettivita' dell'esecuzione dei provvedimenti di espulsione;
Ritenuta la necessita' e urgenza di adottare norme in materia di revoca dello status di protezione internazionale in conseguenza dell'accertamento della commissione di gravi reati e di norme idonee a scongiurare il ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale, a razionalizzare il ricorso al Sistema di protezione per i titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati, nonche' di disposizioni intese ad assicurare l'adeguato svolgimento dei procedimenti di concessione e riconoscimento della cittadinanza;
Considerata la straordinaria necessita' e urgenza di introdurre norme per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo e della criminalita' organizzata di tipo mafioso, al miglioramento del circuito informativo tra le Forze di polizia e l'Autorita' giudiziaria e alla prevenzione e al contrasto delle infiltrazioni criminali negli enti locali, nonche' mirate ad assicurare la funzionalita' del Ministero dell'interno;
Ritenuta, altresi', la straordinaria necessita' e urgenza di introdurre strumenti finalizzati a migliorare l'efficienza e la funzionalita' dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata, attraverso il rafforzamento della sua organizzazione, nell'intento di potenziare le attivita' di contrasto alle organizzazioni criminali ...».
38. Cio' posto, anzitutto si rileva che la (pretesa) «necessita' ed urgenza» di adottare la normativa impugnata e' solo affermata - in maniera che si vorrebbe apodittica - nel preambolo del decreto, ma non risulta sorretta da alcuna motivazione, cosi' come richiesto invece da codesta Corte che, in materia di presupposti del decreto-legge, ha esplicitamente affermato che «l'utilizzazione del decreto-legge...non puo' essere sostenuta dall'apodittica enunciazione dell'esistenza delle ragioni di necessita' e di urgenza» (sentenza n. 171/2007), ma e' necessario che il Governo dia conto degli elementi specifici, da esso rilevati, su cui si basano queste «ragioni».
39. Pare inoltre opportuno evidenziare un dato testuale che rappresenta un chiaro elemento sintomatico dell'assenza, di fatto, nel caso che ci occupa, dei requisiti di cui all'art. 77 Cost. invocati - e non motivati - dall'Esecutivo. La «necessita' e urgenza» di adottare le disposizioni di cui trattasi viene definita «straordinaria» (ancorche' - si ripete - non motivata specificamente) solo negli ultimi due capoversi del preambolo sopra riportati, cioe' in quelli relativi alle norme in materia di terrorismo e di criminalita' organizzata, di organizzazione del Ministero dell'interno e dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati alla criminalita' organizzata. Al contrario, nei capoversi precedenti, relativi alle norme in materia di immigrazione, protezione internazionale e concessione della cittadinanza, si fa riferimento semplicemente a una «necessita' e urgenza» non meglio qualificata.
40. In secondo luogo, i requisiti di «necessita' e urgenza» invocati (ma non motivati) dal Governo non risultano sussistenti nella realta'.
41. Come e' stato infatti immediatamente e autorevolmente riconosciuto in sede esegetica e come esaustivamente e documentatamente sottolineato in sede di esame parlamentare del d.d.l. di conversione del decreto-legge n. 113 (2) non esiste in Italia alcuna situazione di «emergenza» (e quindi di «necessita' ed urgenza del provvedere», usando le parole di codesta Corte) in relazione ai «numeri» della protezione temporanea umanitaria, o quanto alla presenza di rifugiati. Sono i dati forniti dall'Ufficio statistico dell'Unione europea (Eurostat) nel rapporto del 19 aprile 2018 (Eu Member States granted protection to more than half a milion asylum seekers in 2017) a confermare questa affermazione: infatti, l'Italia ha accolto nel 2017, 35.100 riceventi protezione, un numero esiguo, poco piu' del 10%, se confrontato con quello dei riceventi accolti in Germani, pari a «325.400 unita', oltre il 60% del complessivo numero europeo».
42. E' appena il caso di osservare, al riguardo, che - al contrario di quanto ha implicitamente affermato il Governo, invocando i suddetti casi di «necessita' e urgenza del provvedere» - l'immigrazione e, in particolare, la richiesta di protezione umanitaria degli stranieri nel nostro Paese sono fenomeni di natura strutturale, non certo «straordinari» e «nuovi» (al di fuori dell'«ordinario»). E neppure puo' essere fatta valere, ad avviso della Regione ricorrente, un'interpretazione estensiva dei presupposti di cui all'art. 77 Cost.: anche a voler ammettere - a tutto concedere - che in qualche periodo negli ultimi anni si siano verificate delle «emergenze» nel fenomeno-immigrazione, sono gli stessi dati del Ministero dell'interno, gia' citati supra e relativi al calo dell'80% degli sbarchi sulle coste italiane a dimostrare oggettivamente la cessazione di tali (eventuali) «emergenze».
43. In terzo luogo (ma in stretta correlazione con quanto argomentato al punto precedente, trattandosi parimenti di un profilo di insussistenza dei requisiti costituzionali del decreto-legge), si osserva che codesta Corte, nella nota sentenza n. 220/2013 relativa alla riforma delle Province adottata con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha affermato l'incompatibilita' tra lo strumento normativo del decreto-legge e una riforma organica e «di sistema». La Corte, in tale occasione, ha negato che si possano introdurre con decreto-legge «norme ordinamentali, che non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell'art. 77 Cost.»; e ha ricordato che questi "limiti" sono stati «concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall'insorgere di «casi straordinari di necessita' e d'urgenza».
44. Ora, il decreto-legge qui impugnato - lungi dall'effettuare degli «interventi [normativi: aggiunta nostra] specifici e puntuali, ... necessari e improcrastinabili" in relazione alla situazione di fatto esistente in Italia - modifica in modo significativo numerosi istituti giuridici previsti da tempo nell'ordinamento (dal permesso di soggiorno alla protezione internazionale, dall'espulsione alla cittadinanza, ed altri ancora), determinando proprio - pur nell'eterogeneita' delle materie trattate (v. il paragrafo seguente) - quella riforma organica del sistema dell'accoglienza dei migranti e della disciplina degli stranieri che non e', anche secondo l'insegnamento di codesta Corte, costituzionalmente compatibile con l'uso del decreto-legge stesso.
45. Sotto un altro profilo, la Regione ricorrente rileva che il decreto-legge impugnato viola l'art. 77 Cost. in ragione dell'eterogeneita' dei suoi contenuti.
46. Codesta Corte ha affermato, in relazione ai presupposti costituzionali del decreto-legge, che «il presupposto del "caso" straordinario di necessita' e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza anche se articolato e differenziato al suo interno». Da cio' consegue che «la scomposizione atomistica della condizione di validita' prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il "caso" che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualita' temporale» (sentenza n. 22/2012; in senso analogo, fra le tante, ordinanza n. 34/2013, sentenze n. 32/2014 e n. 154/2015).
47. Ancora, come e' stato sottolineato anche in sede di audizione parlamentare durante l'iter di conversione del decreto-legge n. 113/2018 qui impugnato, «dalla sent. n. 22 del 2012 [ed in particolare dal passo appena citato: aggiunta nostra], si potrebbe ricavare il seguente principio: a ogni «caso straordinario di necessita' e di urgenza» deve corrispondere «un» decreto-legge; «omogeneita' finalistica» significa che il decreto-legge puo' avere contenuto materiale disomogeneo purche' accomunato dalla finalita' di reagire al «caso straordinario di necessita' e di urgenza»; se i casi straordinari sono piu' d'uno, piu' d'uno devono essere i dd.ll." (3)
48. Cio' premesso, la Regione ricorrente osserva che, esaminando il titolo e poi il preambolo del decreto-legge qui impugnato (oltre che poi, naturalmente, le singole - e quantitativamente assai numerose - disposizioni del decreto-legge stesso), emerge che i «casi straordinari» da esso previsti siano piu' di uno. Il titolo del decreto, infatti, fa riferimento a disposizioni «in materia di [1] protezione internazionale e immigrazione, [2] sicurezza pubblica, nonche' [a] misure per [3] la funzionalita' del Ministero dell'interno e [4] l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata». Ed il preambolo del provvedimento - gia' richiamato sopra - cosi recita:
«Ritenuta la necessita' e urgenza di prevedere misure volte a individuare i casi in cui sono rilasciati speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario, nonche' di garantire l'effettivita' dell'esecuzione dei provvedimenti di espulsione;
Ritenuta la necessita' e urgenza di adottare norme in materia di revoca dello status di protezione internazionale in conseguenza dell'accertamento della commissione di gravi reati e di norme idonee a scongiurare il ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale, a razionalizzare il ricorso al Sistema di protezione per i titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati, nonche' di disposizioni intese ad assicurare l'adeguato svolgimento dei procedimenti di concessione e riconoscimento della cittadinanza;
Considerata la straordinaria necessita' e urgenza di introdurre norme per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo e della criminalita' organizzata di tipo mafioso, al miglioramento del circuito informativo tra le Forze di polizia e l'Autorita' giudiziaria e alla prevenzione e al contrasto delle infiltrazioni criminali negli enti locali, nonche' mirate ad assicurare la funzionalita' del Ministero dell'interno;
Ritenuta, altresi', la straordinaria necessita' e urgenza di introdurre strumenti finalizzati a migliorare l'efficienza e la funzionalita' dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata, attraverso il rafforzamento della sua organizzazione, nell'intento di potenziare le attivita' di contrasto alle organizzazioni criminali ...».
49. Ora, c'e' da chiedersi - e la risposta, secondo la Regione Piemonte, non puo' che essere negativa - quale pretesa «omogeneita'» (e quale «urgenza») possa rinvenirsi nell'adozione di disposizioni inserite in un decreto-legge che accomuna, fin dall'intitolazione, oggetti sicuramente diversi quali la destinazione di beni confiscati alla criminalita' organizzata, la riorganizzazione del Ministero dell'interno, l'immigrazione e la sicurezza pubblica; basandosi peraltro, in quest'ultimo caso, su equazioni costituzionalmente viziate, come quella per cui la tutela della «sicurezza» dei cittadini si possa fondare, per esempio, sulla riduzione degli spazi della c.d. protezione umanitaria.
50. Anche sotto questo profilo, il decreto-legge n. 113/2018 si palesa illegittimo, perche' in contrasto con la «ratio» costituzionale propria del decreto-legge, ossia la necessita' di fare fronte - con un provvedimento normativo ad efficacia immediata adottato dal Governo al posto del Parlamento - ad un caso «straordinario» di necessita' ed urgenza, precisamente individuato.
51. In conclusione, la decretazione di urgenza e' senza dubbio strutturalmente inadatta a condurre riforme organiche, considerato che la potesta' legislativa nella nostra Costituzione spetta al Parlamento. La scelta del Governo di ricorrere alla decretazione d'urgenza al di fuori dei confini dell'art. 77 Cost. lede il principio di sovranita' popolare, sia esautorando il Parlamento quale sede naturale di confronto tra le forze politiche sia (e correlativamente) ostacolando lo sviluppo della discussione all'interno della societa' delle - numerose e rilevanti - misure adottate.
52. Per i motivi sopra esposti, il decreto-legge qui impugnato e' costituzionalmente illegittimo - in toto o quantomeno, in subordine, nelle sue specifiche disposizioni indicate nell'epigrafe del presente ricorso - per contrasto con l'art. 77 Cost. E tale illegittimita' «genetica» del decreto si estende naturalmente, in via derivata e consequenziale, alla legge di conversione dello stesso (n. 132/2018); legge che, per giurisprudenza costituzionale ormai costante, e' inidonea a «sanare» i vizi di formazione del decreto-legge.
53. Un'ultima censura di carattere generale che la ricorrente intende sollevare in limine e' idonea a travolgere l'intero decreto, ma certamente investe almeno il suo art. 1. Ci riferiamo alla forma dell'atto, il quale estremizza un malcostume legislativo da piu' parte lamentato anche in dottrina (4) che il nostro ordine costituzionale non puo' piu' tollerare. Il solo art. 1, lunghissimo e labirintico, nel testo compatto stampabile dal sito della Gazzetta Ufficiale si espande per ben 5 pagine, con 9 commi, molti dei quali suddivisi in lettere (nel primo comma si arriva sino alla lettera q), le quali a loro volta in alcuni casi contengono degli elenchi numerici. Se anche si trova la strada, comprendere il senso del percorso e' poi quasi impossibile: Recita l'art. 1, comma 1, lettera b), n. 1): «al comma 2-ter, al secondo periodo, le parole «per motivi umanitari» sono sostituite dalle seguenti: «per cure mediche nonche' dei permessi di soggiorno di cui agli articoli 18, 18-bis, 20-bis, 22, comma 12-quater, e 42-bis, e del permesso di soggiorno rilasciato ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25».
Irragionevolmente problematico capire l'oggetto della norma e il senso della modifica.
54. Come si vede, il ricorso a continui rinvii rende il testo del decreto quasi illeggibile con violazione dei principi di certezza del diritto e di prevedibilita'. Esso richiede lungo studio per la sua comprensione non da parte del quivis de populo (cui comunque nella tradizione della democrazia liberale occidentale il diritto dovrebbe parlare) ma addirittura da parte di professionisti.
55. Questa Corte e' piu' volte intervenuta, per raccomandare in generale che il legislatore disegni «norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell'intellegibilita' dei termini impiegati» (sentenza n. 96/1981) in tal guisa da rispettare in generale e non solo in materia penale - dove pure «l'assoluta oscurita' del testo legislativo» rende oggettivamente scusabile l'error iuris (sentenza n. 364/1988) - requisiti minimi di «riconoscibilita' ed intellegibilita'» del precetto che sono «anche peraltro requisiti minimi di razionalita' dell'azione legislativa in difetto dei quali la liberta' e la sicurezza giuridica dei cittadini sarebbero pregiudicati» (sent. n. 13/1992).
56. Non si tratta quindi di rilievi formali e astratti desideri di estetica nella redazione delle leggi. Questo stile redazionale confligge con precisi principi costituzionali e impatta concretamente la ricorrente. Esso costituisce innanzitutto un vulnus alla pubblicita' effettiva e non formale che e' alla base della democrazia e della sovranita' popolare (sentenze nn. 96/1981; 364/1988; 13/1992).
57. Il diritto deve essere agevolmente conoscibile. In concreto inoltre, tale esercizio sciatto, frettoloso e oscuro del potere legislativo statale rende irragionevolmente complessa la comprensione e la definizione degli ambiti di competenza regionali di cui all'art. 117, norma di per se' gia' non poco complessa. Una Regione ha la possibilita' di funzionare agevolmente soltanto conoscendo bene, in modo chiaro e preventivo, quali ambiti Io Stato apparato intende coprire attraverso il suo esercizio di competenze, soprattutto quelle c.d. trasversali o ibride. E' essenziale per il buon andamento dell'amministrazione regionale (art. 97 Cost.) non trovarsi a scoprire ex post di aver ecceduto o invaso ambiti riservati anche per evitare errori di diritto sanzionabili, con conseguente effetto di inibizione nel portare avanti competenze dubbie, e soprattutto, come meglio vedremo in seguito, evitare di operare investimenti destinati ad essere caduchi e dunque sprecati. Questa necessita' di chiarezza nei confini competenziali e' essenziale in uno schema di pluralismo normativo quale quello scelto dal titolo V sia in su (verso l'Europa) che in giu' (verso gli enti locali) cui spinge il principio costituzionale di sussidiarieta'.
In subordine: sull'illegittimita' del procedimento di approvazione della legge di conversione del decreto-legge n. 113/2018 (legge n. 132/2018), per violazione degli articoli 1 e 77 Cost., e sulla conseguente illegittimita' (quantomeno) della legge di conversione stessa.
58. In via logicamente subordinata alle censure svolte ai punti precedenti - che investono la formazione del decreto-legge impugnato e hanno percio' carattere prioritario ed assorbente - la Regione Piemonte denuncia altresi' l'illegittimita' del procedimento parlamentare di approvazione della legge di conversione, n. 132/2018.
59. Invero, come si evince dall'esame dei resoconti parlamentari, durante l'iter di conversione del decreto-legge n. 113/2018 il Governo (che aveva gia' adottato il decreto-legge) ha presentato al Senato un «maxiemendamento» interamente sostitutivo dell'articolo unico del d.d.l. di conversione (emendamento Gov. 1.900); e su tale «maxiemendamento» ha posto la questione di fiducia (votazione del Senato del 7 novembre 2018), bloccando la discussione parlamentare e costringendo di fatto i parlamentari della maggioranza ad approvare il testo cosi' come modificato dal Governo stesso e, dall'altro lato, impedendo ai parlamentari delle opposizioni di interloquire e di proporre modifiche a questo testo. La questione di fiducia sul testo riscritto dal Governo e' stata poi posta - si noti - anche alla Camera dei deputati, che la ha approvata il 27 novembre 2018 (con 336 voti favorevoli e 249 contrari).
60. Questo modo di procedere ha aggiunto un'ulteriore illegittimita' al provvedimento qui censurato. E' appena il caso di ricordare che la Carta costituzionale - e in particolare gli articoli 1, 70 e seguenti e soprattutto 72 Cost. - fa del Parlamento la sede unica di esercizio della sovranita' popolare. Pur ammettendosi, in particolari casi, l'adozione di decreti con forza di legge da parte del Governo, e' evidente che le Camere non possono essere «spogliate» del tutto del loro potere di discutere le leggi, nella fisiologica (e salutare) dialettica tra le diverse forze politiche, di maggioranza e di opposizione. Cio' e' invece precisamente quanto avvenuto nella vicenda in esame: il Parlamento non solo e' stato chiamato semplicemente a convertire un decreto adottato dal Governo avente ad oggetto materie, come si e' visto sopra, eterogenee e assai delicate, incidenti su diritti fondamentali delle persone e riformando organicamente l'intero sistema dell'immigrazione; ma durante l'iter di conversione, e' stato costretto dalla scelta del Governo stesso a votare la questione di fiducia su un testo - si ripete - interamente riscritto dall'Esecutivo, senza poterlo discutere in alcun modo.
61. La Regione ricorrente e' consapevole del fatto che, tradizionalmente, codesta Corte non si e' ritenuta abilitata a sindacare le dinamiche interne del procedimento parlamentare, e in particolare la scelta del Governo di porre la fiducia (e delle Camere di votarla) anche sui «maxiemendamenti» (ritenendo tutto cio' espressione di scelte squisitamente politiche, da trattare alla stregua di «interna corporis»). Tuttavia, la Regione stessa ha registrato con favore che, nel recente caso del conflitto di attribuzioni sollevato da un gruppo di senatori di opposizione in relazione alle modalita' di approvazione della legge di bilancio 2018, la Corte - pur non accogliendo il ricorso per ragioni particolari - ha censurato in modo esplicito un procedimento di approvazione delle leggi che, come appunto quello della legge di bilancio, leda in misura rilevanti il diritto («prerogativa») dei parlamentari di discutere il testo e di proporre modifiche (cosi' si evince dal Comunicato relativo all'ordinanza di cui trattasi, pubblicato sul sito della Corte costituzionale).
62. Alla luce di questo piu' recente - e del tutto condivisibile - orientamento, poiche' anche nel caso qui in esame sussiste la chiara violazione delle norme costituzionali sul procedimento legislativo parlamentare e la correlativa lesione del diritto dei parlamentari - e del Parlamento nel suo insieme - di discutere il testo normativo e di proporre e votare emendamenti, si propone anche questa censura, auspicando che tale orientamento possa trovare conferma.
63. Sulle singole disposizioni del decreto n. 113/2018 che violano le competenze regionali e che introducono un trattamento discriminatorio degli stranieri.
Le considerazioni generali sopra esposte fungono da contesto di riferimento per le seguenti censure specifiche:
(A) Sull'abolizione del permesso di soggiorno per protezione umanitaria.
64. L'art. l del decreto impugnato, nella parte in cui prevede l'abrogazione del permesso di soggiorno per protezione umanitaria in favore di una complessa, e piu' restrittiva, tipologia di permessi di soggiorno di natura precaria e temporanea, determina un grave pregiudizio materiale per la Regione e comporta un'invasione delle sue competenze, imponendo a quest'ultima di violare a sua volta precisi obblighi costituzionali.
65. Dal punto di vista delle competenze, l'art. 117, comma 1, della Costituzione costituisce norma di interposizione dei principi del diritto internazionale e dell'Unione europea (si vedano le note «sentenze gemelle» nn. 348 e 349/2007). Le regioni, infatti, devono esercitare la propria potesta' legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dal diritto dell'Unione Europea e dagli obblighi internazionali. Tale articolo, da un lato, delimita la competenza della Regione, che non puo' legiferare in modo contrario agli obblighi internazionali ma, dall'altro, le conferisce, in quanto componente essenziale della Repubblica e dello Stato Comunita', un dovere diretto, seppur condiviso in modo almeno parzialmente reciproco con lo Stato apparato, di verificare, nei modi previsti dall'art. 134 Cost., che il complesso normativo della Repubblica rimanga coerente con tali principi.
66. Sebbene la materia dell'immigrazione sia di competenza legislativa esclusiva dello Stato, la sua disciplina, come si illustrera', e' in grado di incidere direttamente sulle competenze legislative e amministrative regionali. Non e' un caso, a tal proposito, che l'immigrazione, insieme alla sicurezza pubblica, siano le uniche due materie attribuite all'esclusiva competenza statale in rapporto alla quale, tuttavia, la Costituzione impone un coordinamento fra Stato e regioni (art. 118, comma 3, Cost.).
67. In tal modo, la Costituzione riconosce nella Regione un soggetto contro-interessato (rectius cointeressato) al corretto rispetto, da parte dello Stato, dei limiti costituzionali che a tale materia direttamente afferiscono. A cio' contribuisce una tipica attitudine delle discipline che intervengono in materia di immigrazione, le quali costituiscono l'infrastruttura giuridica fondamentale per consentire il godimento di diritti fondamentali che il nostro ordinamento costituzionale riconosce a tutti, e non solo ai cittadini, e alla tutela dei quali esso prepone non solo lo Stato, ma anche le regioni, a partire dagli interventi nelle materie di sua competenza.
68. E' dunque appena il caso di notare che ne' lo Stato ne' le Regioni possono violare le garanzie che l'ordinamento costituzionale (e internazionale) riconoscono a tutti, a prescindere dalla cittadinanza. Tale principio trova la sua massima istanza di attuazione nell'art. 10, comma 3, della Costituzione, a mente del quale «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica». L'art. 10 Cost. ha quindi introdotto nel nostro ordinamento una nozione costituzionale di asilo (c.d. «asilo costituzionale»).
69. Prima dell'entrata in vigore del decreto impugnato, accanto alle forme di asilo che recepiscono convenzioni internazionali e discipline europee (ci si riferisce, in particolare, allo status di rifugiato, nonche' alla disciplina in materia di protezione sussidiaria), veniva prevista la protezione umanitaria, la quale configurava una forma di tutela atipica, che poteva essere accordata sulla base di gravi motivi di carattere umanitario risultanti da «obblighi costituzionali o internazionali» (5)
70. Tale assetto dava piena attuazione al c.d. asilo costituzionale, proprio poiche' permetteva, attraverso il ricorso alla protezione umanitaria, di accordare tutela pure a fronte di «condizioni di vulnerabilita' anche non coincidenti con le ipotesi normative delle misure tipiche» proprie dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (Cass., sez. VI, sentenza n. 3347/2015; Cassazione n. 4455/18 (6) ). Non a caso, la Corte di cassazione ha riconosciuto nella protezione umanitaria una proiezione diretta dell'asilo costituzionale (Cass. 10686/2012; Cassazione 16362/2016; Cassazione, sez. VI, ordinanza n. 12270/2013; Cassazione, sez. VI, ordinanza n. 26887/2013), in ossequio, peraltro, alla migliore prassi degli Stati e del Diritto dell'Unione europea, prassi che si attesta su forme di protezione che lasciano aperta la possibilita' di garantire alle persone che accedono alla protezione internazionale il diritto a permanere sul territorio dello Stato «su base discrezionale, per motivi compassionevoli o umanitari» (si vedano, a tal proposito, il Considerando n. 15 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria nonche' sul contenuto della protezione riconosciuta, oltre che l'art. 6, par. 4, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno e' irregolare) (7)
71. La previgente disciplina costituiva cosi' diretta conseguenza degli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, ai quali il legislatore non puo' sottrarsi; obblighi che, invero, mostra di riconoscere (nella relazione di accompagnamento al decreto l'adempimento di tali obblighi e' invocato per ben due volte, alle pagine 4 e 6 (8) ), salvo poi violarli.
72. Non a caso, il rispetto di tali obblighi e' stato espressamente richiamato dal Presidente della Repubblica in occasione dell'emanazione del decreto censurato e, in particolare, nella lettera del 4 ottobre 2018 inviata al Presidente del Consiglio dei ministri (9) .
73. Tali obblighi appaiono invero violati dall'attuale disciplina, la quale sostituisce alla clausola aperta che connotava i presupposti della precedente protezione umanitaria una serie di fattispecie tipiche, secondo una tecnica di formazione incompatibile con la legalita' costituzionale.
74. La presenza di una fattispecie atipica, normativamente costruita come clausola flessibile, e' infatti conseguenza diretta e necessaria della complessita' e dell'imprevedibilita' fattuale delle situazioni in astratto riconducibili a una forma di protezione complementare alle ipotesi (tipiche) di protezione internazionale. In altre parole, prevedere e catalogare le esigenze di carattere umanitario e' un'opzione impercorribile: queste sono infatti dipendenti da condizioni di vulnerabilita' della persona e da situazioni dei paesi di origine non tutte predeterminabili ex ante.
75. Sotto il profilo strettamente giuridico, cio' appare diretta conseguenza della stessa dizione dell'art. 10, comma 3, della Costituzione. Le liberta' democratiche a cui la norma fa riferimento attengono, infatti, in via immediata e diretta alla soddisfazione dei diritti fondamentali della persona. Sennonche', i diritti fondamentali sono strutturalmente incompatibili con costruzioni che ne imbriglino preventivamente il contenuto e le possibili forme di violazione. Cio' e', peraltro, confermato dalla lunga evoluzione interpretativa dell'art. 2 Cost., nel quale l'art. 10, comma 3, Cost. deve individuare il proprio principale cardine di interpretazione sistematica.
76. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle vulnerabilita' conseguenti le violenze patite in Libia (10) Come si poteva prevedere, prima del 2011, che il solo transito in tale Paese avrebbe esposto la persona a crimini quali, a titolo esemplificativo, sequestro di persona a scopo d'estorsione aggravato dalla morte e violenza sessuale (11) ? O, ancora, come si possono prevedere gravi epidemie, quali quelle che hanno recentemente colpito numerosi paesi (12) ?
77. Questi rilievi trovano, peraltro, conferma nel parere del 21 novembre 2018 emanato, ai sensi dell'art. 10 legge 24 marzo 1958, n. 195, dal Consiglio Superiore della Magistratura il quale ha espresso riserve sull'abrogazione della protezione umanitaria operata dal decreto censurato, proprio sulla base del fatto che «la tipizzazione legislativa delle ipotesi di protezione realizzata con il decreto-legge in esame, in astratto pienamente legittima, e, per alcuni versi anche auspicabile in un'ottica di certezza del diritto, e' pero' certamente non esaustiva, essendo ipotizzabili mutevoli e varie situazioni di vulnerabilita', potenzialmente idonee a fondare la richiesta di protezione dello straniero per motivi umanitari [...]. L'abrogazione dell'istituto della protezione per motivi umanitari potrebbe condurre ad una riespansione dell'ambito di operativita' dell'art. 10, comma 3 Cost. immediatamente azionabile innanzi al giudice ordinario. Parimenti analoga riespansione potrebbe verificarsi con riferimento a diverse posizioni soggettive costituzionalmente garantite, quali, ad esempio, quelle afferenti il diritto alla salute (art. 32 Cost.), cio' anche in considerazione della tassativita' delle fattispecie previste per il rilascio dei permessi c.d. speciali. Cio' potrebbe comportare il verificarsi di un'incertezza sullo status dello straniero al quale e' riconosciuta la tutela dei diritti costituzionali, senza la mediazione della fonte legislativa primaria, essendo rimesso all'autorita' giudiziaria il compito di definire il perimetro della condizione del titolare del diritto, con riferimento, ad esempio, al divieto di respingimento, al diritto a soggiornare nel territorio dello Stato, all'accesso al lavoro, alle cure mediche, ai servizi, all'iscrizione anagrafica, laddove, invece, il permesso per motivi umanitari determinava (e determina nel caso dei «neo» permessi per casi speciali) una condizione ben definita. La conseguenza di tale condizione di incertezza, generata dalla novella legislativa, potrebbe essere un possibile incremento del contenzioso ed un ritardo nella tutela dei diritti fondamentali degli stranieri vulnerabili» (13) .
78. La ristrettezza dei presupposti che sostituiscono la previgente protezione umanitaria e che nell'attuale assetto, nelle intenzioni del legislatore (o meglio del Governo, che a esso si e' illegittimamente surrogato), dovrebbero dare sufficiente attuazione all'art. 10, comma 3, della Costituzione, emerge non appena si vaglino le nuove forme di protezione complementare introdotte dalla disciplina impugnata.
79. E' l'art. 1 del decreto-legge n. 113/2018, piu' precisamente ai commi 1, lettere a), b), c), d); comma 2, lettera a); comma 6, lettera a), d); comma 7, lettera a); comma 8; comma 9, ad aver espunto dall'ordinamento la forma atipica di protezione complementare prevista espressamente dall'art. 5.6 decreto legislativo n. 286/1998. Cio' e' avvenuto mediante una minuziosa e precisa eliminazione dal decreto legislativo n. 286/1998 (T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), dal suo decreto del Presidente della Repubblica attuativo (decreto del Presidente della Repubblica n. 394/1999) e dalla disciplina in materia di protezione internazionale (decreto legislativo n. 251/2007 e decreto legislativo n. 25/2008) di ogni riferimento non solo alla protezione umanitaria, ma anche agli obblighi costituzionali e internazionali che essa contemplava o di cui era attuazione.
80. Alla protezione umanitaria e' stata sostituita, in primo luogo, la c.d. «protezione speciale», introdotta dell'art. 1, comma 2, lettera a) del decreto, che modifica l'art. 32, comma 3 del decreto legislativo n. 25/2008. L'accertamento dei presupposti di tale protezione «speciale» rimane di competenza delle Commissioni territoriali, per la valutazione nel merito e la conseguente trasmissione degli atti al Questore per il rilascio di un permesso annuale rinnovabile, non convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. I presupposti per il rilascio del permesso sono previsti dall'art. 19, commi 1 e 1.1 decreto legislativo n. 286/1998, e attengono (i) al rischio che lo straniero venga espulso o respinto verso uno Stato in cui egli potrebbe «essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali ovvero po[trebbe] rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione» nonche' (ii) al divieto (introdotto dalla legge n. 110/2017) di respingimento «di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani». La semplice lettura di tali articoli rende evidente il ristretto ambito applicativo di dette previsioni (ambito, peraltro, a tratti concorrente con le forme di protezione internazionale), le quali, per le ragioni esposte di seguito, non sono in ogni caso sufficienti ad assicurare il rispetto degli obblighi internazionali collegati al divieto di respingimento (c.d. principio di non refoulement). A cio' occorre, altresi', aggiungere che l'inconvertibilita' del permesso costringe lo straniero a una irragionevole precarieta' del soggiorno, in primo luogo poiche' essa determina la sua esclusione dal diritto all'accoglienza tanto degli SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati avviato nel 1989, art. 1-sexies del decreto-legge n. 416/1989 convertito nella legge n. 39/1989) quanto nei CAS (Centri Accoglienza Straordinaria).
81. Ulteriori tipologie di permessi, invece, sono stati interamente demandati alla valutazione del Questore.
82. La prima e' quella del permesso per cure mediche di cui all'art. 19, comma 2, lettera d)-bis decreto legislativo n. 286/1998, introdotto mediante la modifica apportata dall'art. 1, comma 1, lettera g) decreto-legge n. 113/2018, che viene riconosciuto allo straniero qualora versi «in condizioni di salute di particolare gravita', accertate mediante idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi, in caso di rientro nel Paese di origine o di provenienza». La durata di tale permesso e' vincolata all'esigenza di cura e non e' prevista la sua convertibilita' in altro titolo.
83. La seconda e' quella prevista dall'art. 1, comma 1, lettera h) del decreto impugnato, che introduce, all'art. 20-bis decreto legislativo n. 286/1998, il permesso per calamita' naturali, che puo' essere accordato allo straniero per le ipotesi in cui «il Paese verso il quale [egli] dovrebbe fare ritorno vers[i] in una situazione di contingente ed eccezionale calamita' che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza». Si tratta, nuovamente, di un titolo di soggiorno di breve durata (sei mesi, rinnovabili per ulteriori sei), il quale non puo' essere convertito in permesso per motivi di lavoro.
84. Infine, su proposta del Prefetto competente, il Ministro dell'interno puo' rilasciare, in favore dello straniero, un permesso qualora egli abbia compiuto «atti di particolare valore civile», (nuovo art. 42-bis decreto legislativo n. 286/1998 introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera q) del decreto impugnato). E', questa, l'unica ipotesi di non breve durata (due anni) e che consente la conversione del titolo in permesso per motivi di lavoro.
85. Occorre porre in luce come la natura di diritto soggettivo, riconosciuta da costante giurisprudenza alla protezione umanitaria (si veda, da ultimo, Cassazione, sez. un. , ordinanza n. 11535/2009), si pone in netto contrasto con la procedura prevista per le nuove ipotesi di protezione, la cui competenza viene attribuita al Questore, posto che la nuova disciplina nulla prevede in merito alle modalita' di rilascio e alla posizione giuridica dello straniero nel periodo di pendenza della propria richiesta innanzi all'autorita' amministrativa (14)
86. La disciplina descritta determina plurime violazione di principi costituzionali e di obblighi internazionali. L'abrogazione della protezione umanitaria non solo priva diverse tipologie di persone, che non rientrano nelle nuove tipizzazioni, di aspettative e diritti di cui sono titolari alla luce del diritto internazionale (e dunque anche della stessa Costituzione italiana). Come conseguenza di cio', essa impedisce alla Regione di adempiere ai doveri costituzionali che le sono propri in virtu' delle competenze ad essa attribuite. La disciplina impugnata, in altre parole, impone alla Regione la violazione di obblighi costituzionali strettamente legati a proprie competenze costituzionale dirette.
87. Per poter compiutamente argomentare il secondo profilo (quello che direttamente attiene alla violazione delle prerogative regionali), occorre, preliminarmente, vagliare il primo (e, cioe', quello relativo alla violazione dei diritti individuali che la disciplina impugnata comporta).
88. A tal proposito, va innanzitutto vagliata la posizione di quegli stranieri i quali, presenti sul territorio dello Stato e richiedenti la protezione internazionale o forme complementari di protezione, versano in situazioni di fatto che, rientranti nell'alveo applicativo della precedente protezione umanitaria, non trovano oggi tutela all'interno delle nuove forme di protezione tipiche introdotte dal decreto oggetto del presente ricorso.
89. Diverse sono le ipotesi in cui la situazione di fatto non trova piu' tutela (15) , alcune delle quali in aperta violazione degli obblighi internazionali. Ci si riferisce, in primo luogo, al diritto alla tutela della vita privata e familiare, assicurata dall'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che la nuova disciplina non permette di valutare ai fini di rilascio del permesso, in tal modo impedendo che i diritti che da tale norma discendono possano essere oggetto di valutazione (e conseguente bilanciamento) ai fini del riconoscimento di un valido titolo di permanenza sul territorio dello Stato.
90. E' infatti noto come la giurisprudenza della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali faccia discendere, dall'art. 8, non soltanto una tutela di natura negativa (che comporta un corrispondente dovere di non interferenza da parte del potere pubblico) ma anche obblighi di natura positiva, direttamente ascrivibili agli Stati contraenti (16) . Cio' avviene, tipicamente, in materia di immigrazione, ove l'applicazione di una misura di allontanamento nei confronti di una persona che, nello Stato di accoglienza, ha costruito legami personali e familiari forti e stabili (e, dunque, rilevanti ex art. 8 CEDU) finisce necessariamente per violare il richiamato parametro della Convenzione.
91. Occorre, a tal proposito, osservare come, proprio in forza di cio', la protezione umanitaria veniva tradizionalmente accordata, da parte delle Commissioni territoriali, anche sulla base di valutazioni afferenti alla vita privata e familiare dello straniero. Il caso tipico era quello dello straniero il quale aveva stabilito in Italia il centro dei propri interessi o, ancora, di colui che, sebbene «straniero», era nato in Italia, ove risiedevano i propri famigliari. Sulla base del medesimo presupposto giuridico (rispetto dell'art. 8 CEDU), veniva riconosciuto il permesso al minore (e ai genitori di quest'ultimo) il quale, nato e cresciuto in Italia, parlava principalmente la lingua italiana e in Italia aveva condotto il proprio percorso di studi (17) . Sempre ai sensi dell'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, la protezione umanitaria veniva accordata al richiedente che aveva costituito una coppia, anche di fatto, con una persona straniera proveniente da un diverso paese.
92. Cio' era in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale qualifica il rimpatrio quale atto potenzialmente idoneo a cagionare una violazione diretta dell'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ove esso sia conseguenza di un errato bilanciamento di interessi (si veda, sul punto, la condanna subita dall'Italia in Hamidovic v. Italia, sentenza n. 31956/05, ma si veda anche, sempre nella giurisprudenza Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, Uner c. Paesi Bassi, Grande Chambre, no. 46410/99). Tali considerazioni restano maggiormente valide nei casi di migranti di seconda generazione, alla luce della loro lunga permanenza nel territorio regionale.
93. Proprio da cio' nasce l'interesse della Regione a non vedere sprofondare nell'irregolarita', e nella conseguente «cifra oscura dell'immigrazione», stranieri per i quali sono stati messe in atto dall'amministrazione regionale, in adempimento del suo mandato costituzionale, misure e investimenti inerenti l'istruzione, la formazione, l'accesso al mercato del lavoro e alla sanita' (si veda, per gli investimenti di Regione Piemonte, l'Allegato 2).
94. L'interesse della comunita' a una societa' coesa infatti si accompagna e si proietta direttamente nel diritto del richiedente a vedere garantito il rispetto della propria vita privata e familiare (art. 8 CEDU). Il trascorrere di un lungo periodo di tempo nel paese ospitante, il quale ha promosso l'integrazione dello straniero nel proprio tessuto sociale, fa sorgere, infatti, in capo a quest'ultimo il diritto a continuare a godere della propria vita privata (alla cui costituzione ha contribuito in primis l'amministrazione della Regione e degli enti locali) e familiare (si pensi ai bambini nati in Italia), rispetto che e' strutturalmente dipendente dalla possibilita' di permanere nel territorio dello Stato. Tale diritto non ha piu', al momento, una tutela esigibile (alla luce della mancanza di una norma di tutela ad hoc e di un conseguente rilascio di un permesso di soggiorno), cio' che e' chiaramente in contrasto con i parametri di cui agli articoli 2, 3 e 117 Cost. (quest'ultimo con riferimento all'art. 8 CEDU).
95. Le richiamate esigenze di tutela appaiono particolarmente pressanti con riferimento a coloro che avevano presentato domanda di protezione internazionale prima dell'entrata in vigore della disciplina impugnata, con la (legittima) aspettativa di vedersi riconosciuta l'abrogata forma di protezione anche (e soprattutto) sulla base di motivi non sussumibili nelle neo-introdotte fattispecie tipiche. Per ragioni di natura procedurale, nonche' per lungaggini imputabili all'amministrazione pubblica, (18) tale legittima aspettativa e' oggi messa a rischio, e cio' con chiara violazione del principio di ragionevolezza, eguaglianza e di tutela dell'affidamento, i quali individuano negli articoli 3 e 97 Cost. gli agganci costituzionali diretti.
96. Il principio per cui, in materia di immigrazione e asilo, il ritardo dell'amministrazione non puo' risolversi in un danno per il richiedente e' stato, peraltro, affermato chiaramente dalla giurisprudenza europea e, in particolare, dalla Corte di giustizia (C-550/16, 550/16, A and S v Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, 12 aprile 2018 (19) ). D'altra parte, detto principio e' diretta conseguenza del necessario rispetto dell'eguaglianza di tutte le persone davanti alla legge, posto che trattare differentemente casi analoghi, per il solo fatto che l'uno e' stato esaminato prima dell'altro, ammonta a una chiara (e quasi scolastica) violazione dell'art. 3, primo comma, Cost.
97. La ristrettezza delle nuove fattispecie di protezione introdotte dal decreto concreta inoltre una diretta violazione delle norme internazionali, di origine sia pattizia sia consuetudinaria, che costituiscono parametri interposti e indiretti nel giudizio di legittimita' costituzionale.
98. Sul punto, si rileva in primo luogo come i presupposti a cui e' ancorato il rilascio della c.d. «protezione speciale» siano, nel contesto normativo che scaturisce dal decreto, insufficienti ad assicurare il pieno rispetto del divieto di respingimento (principio di non-refoulement), riconosciuto a livello europeo (CEDU) e internazionale (Art. 33 Convenzione di Ginevra) e parte integrante del nostro ordinamento costituzionale. Infatti, limitando la possibilita' di concedere tale forma di permesso nei soli casi in cui sussiste il rischio che in caso di espulsione lo straniero sia esposto a «persecuzione» o «tortura», l'attuale disciplina non consente di tenere conto di altre circostanze, quali il rischio di subire «trattamenti inumani e degradanti» (ex art. 3 CEDU) o altre severe violazioni dei diritti umani, che secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sono ugualmente idonee a far sorgere il divieto di respingimento sancito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. (20)
99. Sotto altro profilo, una violazione dell'obbligo internazionale di non refoulement e' ravvisabile anche nella nuova causa di inammissibilita' della domanda di protezione internazionale introdotta dall'art. 9, comma 1, lettera d), del decreto. Tale disposizione sancisce, infatti, che la domanda reiterata durante la fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento sia dichiarata automaticamente inammissibile, senza alcun esame preliminare, sulla base della presunzione assoluta che tale domanda sia stata presentata «al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione del provvedimento stesso», e sia quindi puramente abusiva e dilatoria. Indipendentemente dalla ragionevolezza di tale presunzione, e' evidente che l'automatismo introdotto dal decreto, nella misura in cui impedisce qualsiasi forma di valutazione, anche solo preliminare, da parte delle autorita' competenti, puo' condurre all'espulsione del richiedente in uno Stato in cui, a seguito del mutamento delle circostanze fattuali, si e' concretizzato un rischio di persecuzione, tortura o di qualunque altro abuso idoneo a far sorgere il divieto di refoulement, determinando cosi' una violazione del divieto di espulsione a cui l'Italia e' sottoposta ai sensi del diritto internazionale ed europeo. Significativamente, anche le fonti comunitarie, e segnatamente la direttiva 2013/32/UE, nel consentire agli Stati membri di regolare le procedure applicabili alle domande reiterate, prescrivono inderogabilmente uno scrutinio preliminare sulla presenza di circostanze nuove, affinche' «la decisione di rimpatrio non comporti il "refoulement" diretto o indiretto, in violazione degli obblighi incombenti allo Stato membro a livello internazionale e dell'Unione» (ex art. 41, comma 1, direttiva 2013/32/UE).
100. Piu' in generale, e' l'intero impianto della nuova disciplina che, perseguendo un drastico arretramento dei diritti fondamentali degli immigrati e creando un quadro normativo a loro ostile, si pone in contrasto con il principio internazionale di non refoulement. E' ormai ampiamente riconosciuto, infatti, che secondo il diritto internazionale vivente tale principio non si limita a porre un divieto di espulsioni dirette e formali ma che esso preclude anche l'adozione di provvedimenti che piu' in generale sono volti a creare le circostanze affinche' l'individuo protetto dal principio del non refoulement sia di fatto costretto a fare ritorno nel proprio Stato d'origine. (21) Ebbene, questa fattispecie e' integrata proprio dal decreto, il quale, come si vedra' anche in seguito, oltre a eliminare l'istituto della protezione umanitaria, impedisce il pieno accesso, anche per chi beneficia di una delle nuove forme di protezione, a diritti minimi e fondamentali, quali il diritto alla salute.
101. Occorre, inoltre, evidenziare come, in pendenza della domanda, i richiedenti protezione internazionale abbiano beneficiato dell'accoglienza (anche finanziata con risorse regionali) e abbiano partecipato ad attivita' formative (corsi di formazione professionale finanziati dalla Regione) e di accesso al lavoro (tirocini formativi, borse lavoro e scolastiche, corsi di italiano ecc). Tali soggetti sono stati inoltre oggetto di screening medico-sanitario, iscritti al SSN e inseriti in termini di programmazione tra i soggetti beneficiari dei servizi socio-sanitari regionali. La situazione giuridica in cui versano con l'adozione del decreto impugnato comporta, a tacere delle sofferenze individuali e familiari crudelmente inflitte per (riteniamo) pura propaganda politica, una mancanza di ritorno dell'investimento sostenuto dalla collettivita', con conseguente violazione dell'art. 117 Cost., causando un danno in cui e' possibile ravvisare un lucro cessante in capo all'amministrazione regionale.
102. Cio' appare evidente se si pensa a quanto la nuova disciplina prevede con riferimento a coloro che, gia' titolari, magari da diversi anni, di protezione umanitaria, ai sensi dell'art. 1.8 del decreto impugnato, non potranno averla rinnovata poiche' non rientranti nei piu' stringenti parametri delle nuove forme di protezione o non riusciranno nella conversione del permesso in motivi di lavoro/familiari.
103. D'altra parte, il decreto de quo prevede una disciplina di diritto intertemporale particolarmente lacunosa e confusa.
104. All'art. 1.9 e' previsto che «Nei procedimenti in corso, alla data di entrata in vigore del presente decreto, per i quali la Commissione territoriale non ha accolto la domanda di protezione internazionale e ha ritenuto sussistenti gravi motivi di carattere umanitario allo straniero e' rilasciato un permesso di soggiorno recante la dicitura "casi speciali" ai sensi del presente comma, della durata di due anni, convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo o subordinato. Alla scadenza del permesso di soggiorno di cui al presente comma, si applicano le disposizioni di cui al comma 8». La disposizione in analisi, come evidente, non risolve la maggior parte delle questioni di diritto intertemporale conseguenti all'approvazione della nuova disciplina. Le norme suddette, a ben leggerle, riguardano (comma 8) la procedura del rinnovo del permesso umanitario gia' rilasciato secondo le vecchie norme (ove si tratti di dare corso al procedimento con il rilascio del permesso di soggiorno, apparendo la norma indirizzata ai Questori e volta a precisare talune modalita' di tipo attuativo nella peculiare ipotesi delineata) ed i casi (comma 9) nei quali la commissione territoriale si sia gia' pronunciata e non abbia accolto la domanda di protezione internazionale, riconoscendo invece la sussistenza dei gravi motivi di carattere umanitario.
105. In questo ultimo caso, la commissione rilascia una sorta di permesso di soggiorno speciale.
106. Per contro, non vi sono disposizioni specifiche per i casi in cui la commissione non si sia ancora pronunciata, o si sia pronunciata negativamente, con la conseguenza che il regime intertemporale non riguarda la fase amministrativa in corso di svolgimento davanti alla commissione. Del pari, il regime transitorio non riguarda nemmeno la successiva fase giurisdizionale (fase nella quale il diritto e' ancora nello stadio giuridico dell'accertamento).
107. Le norme transitorie riguardano dunque solo i casi nei quali il diritto sia gia' stato accertato sin dalla fase amministrativa. Esempi paradigmatici sono dunque il caso in cui l'istruttoria per la domanda di protezione sia da ritenersi pendente poiche' il richiedente ha gia' sostenuto l'audizione innanzi alla Commissione territoriale ovvero quello di coloro che non potrebbero ritenersi tutelati ai sensi della modificata normativa.
108. Cio' appare contrario a quanto piu' volte espresso dalla Corte di cassazione, la quale ha sostenuto che il principio di irretroattivita' della legge (art. 11 preleggi) puo' essere derogato solo qualora cio' sia espressamente previsto da un'apposita disposizione di diritto transitorio (sul punto si puo' vedere Cassazione, Sez. Lav., 9462/2015).
109. Con riferimento a coloro i quali sono invece gia' titolari di protezione umanitaria, l'art. 1.8. prevede che «e' rilasciato, alla scadenza, un permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, come modificato dal presente decreto, previa valutazione della competente Commissione territoriale sulla sussistenza dei presupposti di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». Come gia' rilevato, tali presupposti non corrispondono a quelli del primo rilascio e anche qualora la domanda di rinnovo avesse quale esito il riconoscimento della protezione speciale essa non comporta la medesima titolarita' di diritti e stabilita'.
110. La disciplina intertemporale risulta pertanto parziale e determina una confusione interpretativa che puo' causare applicazioni irragionevoli, discriminatorie e pregiudizievoli a danno dei richiedenti (in particolare di coloro che hanno fatto domanda della vigenza della precedente disciplina e non hanno ancora ricevuto risposta). Le disposizioni introdotte dal decreto che qui censuriamo necessitano pertanto di approfondito esame da parte di codesta Corte costituzionale essendo del tutto plausibile, soprattutto dal punto di vista dell'impatto (di natura inter-temporale) con le situazioni giuridiche pendenti, nelle quali il diritto puo' dirsi gia' entrato a far parte delle situazioni soggettive, che emergano profili sostanziali di rilevanza costituzionale invocabili dallo straniero entrato nel territorio nazionale. Le norme richiamate si pongono, secondo questo ricorrente, in contrasto con l'art. 3 Cost. sia sotto il profilo dell'eguaglianza formale sia sotto quello della ragionevolezza.
111. La lacunosita' della disciplina intertemporale approntata dal decreto censurato e' stata, peraltro, gia' posta in luce dalla giurisprudenza di merito, la quale ha affermato come, di fatto, nella disciplina impugnata manchi una vera e propria regolamentazione delle ipotesi di diritto intertemporale, al punto che, in taluni casi, si sono ritenute applicabili le preleggi (22) .
112. La disciplina in parola e' stata peraltro censurata anche dalla Procura generale presso la Corte di cassazione la quale, nella requisitoria del 15 gennaio 2019, ha posto in luce come il principio di irretroattivita' assurga a parametro costituzionale attraverso il medio dei canoni della ragionevolezza e dell'eguaglianza sostanziale, entrambi violati nella disciplina impugnata.
113. Essa risulta cosi' contrastante con i piu' elementari criteri di ragionevolezza e uguaglianza, cosi come tradizionalmente interpretati, con specifico riferimento al principio di irretroattivita', dalla giurisprudenza costituzionale (ex multis, C. cost., n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010), sovranazionale (pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi contro Italia; Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordino contro Italia) e di legittimita' (cfr. Cassazione civ., sez. I, 3 luglio 2013 n. 16620; Sezioni Unite nn. 2926/67, 2433/00 e 14073/02).
114. Venendo, ora, all'ultima categoria di soggetti, appare opportuno rilevare come, anche qualora riconosciute, le nuove forme di protezione (protezione speciale, cure mediche e calamita') determinano una violazione dei diritti fondamentali della persona, in grado di riverberarsi (ridondare) sulle prerogative e sulle competenze regionali. Esse comportano, infatti, permessi di breve periodo, non convertibili in titoli di soggiorno per motivi di lavoro, e, dunque, in titoli piu' stabili che consentono il radicamento del soggetto sul territorio.
115. In tal modo, lo sforzo, economico e sociale, sostenuto dalla Regione nell'erogazione di servizi a tali soggetti non si trasforma in un risultato collettivo di efficace inclusione nel tessuto sociale ed economico: una inclusione che, stante l'invecchiamento della popolazione piemontese e il conseguente bisogno di inserimento di energie nuove a supporto della intera collettivita' (per «pagare le pensioni», come talvolta si dice!) costituisce una politica non soltanto ragionevole ma anche necessaria (23) . Al contrario, a cio' vengono opposti irragionevoli ostacoli, il cui unico fondamento e' riscontrabile nella nazionalita' dei soggetti coinvolti, con palese violazione degli articoli 2 e 3 Cost. da parte di questa irragionevole impronta xenofoba del decreto.
116. A cio' occorre altresi' aggiungere che la disciplina censurata ha l'effetto di aumentare la platea dei soggetti irregolari sul territorio regionale. In tal modo, essa impedisce alla Regione di adempiere (e di farlo in modo efficiente) a obblighi che sono costituzionalmente di propria competenza, primi tra tutti quelli relativi alla tutela della salute (pubblica e individuale).
117. Occorre premettere che i diritti inviolabili di cui all'art. 2 Cost., secondo la giurisprudenza di codesta Corte (Corte cost., sentenza n. 249 del 2010), spettano ai singoli «non in quanto partecipi di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri umani»; pertanto, «la condizione giuridica dello straniero non deve essere... considerata - per quanto riguarda la tutela di tali diritti - come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi». A tal riguardo, e' sufficiente richiamare, ex multis, Corte costituzionale n. 172/2012; n. 329/2011; n. 249/2010; n. 306/2008; n. 287/2010; e, con specifico riferimento all'applicabilita' del principio universale di uguaglianza, Corte costituzionale n. 432/2005. Infine, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 299/2010, secondo cui: «la disciplina relativa alla condizione giuridica degli stranieri - pur se connotata da una discrezionalita' piu' ampia rispetto a quella che riguarda i cittadini, ancorata a parametri costituzionali di regola piu' stringenti e puntuali - "non puo' limitarsi al (doveroso) controllo dell'ingresso e soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, ma riguarda necessariamente altri ambiti, dall'assistenza all'istruzione, dalla salute all'abitazione, che coinvolgono - oltretutto - molteplici competenze normative, alcune attribuite allo Stato altre alle regioni"».
118. Tra questi diritti rientra senz'altro la tutela di quello, inviolabile, alla salute (Corte cost. sentenza n. 148 del 2008). Tuttavia il godimento di tale diritto, richiamato con la generale previsione di cui all'art. 2, comma 1 decreto legislativo n. 286/98 per quanto attiene la tutela delle esigenze essenziali della condizione umana, e' modulato, come chiarito dal comma 2 del citato articolo (24) , dal soggiorno legale sul territorio dello stato. Ne consegue che se da un lato si garantisce in ogni caso allo straniero l'accesso alle cure salvavita, dall'altro la caduta nella irregolarita' di persone che avevano diritto al riconoscimento a una protezione umanitaria o, ancor peggio, titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari non rinnovato, determina una significativa modifica dei loro diritti di accesso alle prestazioni socio-sanitarie di carattere preventivo. Tale assetto generera', in altre parole, un abuso dell'accesso a misure emergenziali. Cio' e' qui di indubbio interesse per la Regione: tanto in via generale, in quanto l'attuazione della normativa in esame aumenterebbe l'impatto quantitativo sui servizi d'emergenza e tanto, nello specifico, dal momento che, stanti le presenze ormai stabili da diversi anni, l'amministrazione ha incluso nella sua attivita' di programmazione dei servizi socio-sanitari i quasi 20.000 titolari di protezione umanitaria abitanti nel proprio territorio (25) . Improvvisamente si troverebbe, invece, a gestire un numero piu' alto di persone che pesano sui servizi emergenziali, rendendo vani gli investimenti fatti sui «servizi ordinari» e frustrando anche gli obiettivi di prevenzione della salute che la Regione ha fatto propri da tempo, con conseguente violazione articoli 32, 97 e 117 primo comma Costituzione. Infatti, vale la pena di ricordare a codesta illustre Corte che la ricorrente ha istituito, gia' a partire dagli anni '90, in occasione dei primi flussi migratori, i Centri informazione salute immigrati presso le Aziende sanitarie locali individuate (D.G.R. n. 56.10571 del 15 luglio 1996: legge regionale 12 dicembre 1997, n. 61). Il progetto oggi rappresenta un servizio capillare che copre l'intero territorio regionale, dal momento che a partire dal 2004 (con la delibera n. 43-14393 del 20 dicembre 2004) esso e' stato esteso a tutte le Aziende sanitarie locali: i Centri non soltanto coordinano l'erogazione delle prestazioni sanitarie in attuazione di quanto disposto a livello nazionale, ma si occupano altresi' degli interventi di medicina preventiva, anche nella forma di educazione sanitaria e formazione permanente. Ogni Centro, inoltre, si occupa di prestare cure ambulatoriali e ospedalieri urgenti o comunque essenziali, seguendo donne in gravidanza, assistendo i minori anche attraverso un servizio di vaccinazione ed eseguendo interventi di profilassi internazionali.
119. Il decreto impugnato e' idoneo a compromettere le attivita' di questi Centri, dal momento che, occupandosi di interventi di urgenza o comunque di prestazioni sanitarie che richiedono un processo di cura e attenzione del migrante, garantite anche attraverso l'istituzione di servizi di mediazione culturale, si troverebbero a ricevere un numero piu' alto di richieste di assistenza di carattere emergenziale, compromettendo la qualita' del servizio erogato e, con essa, l'investimento della Regione nella costruzione di un programma che ha sempre puntato all'efficienza dell'organizzazione e, quindi, della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).
(B) Sugli interventi in materia di accoglienza.
120. Con argomenti simili a quelli in ultimo esposti, la ricorrente Regione Piemonte intende altresi' lamentare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 12 del decreto ivi impugnato, su presupposto della sua irragionevolezza e portata discriminatoria che, ancora una volta, obbliga all'irregolarita' tanti stranieri, condannandoli alla «cifra oscura dell'immigrazione» e costringe la Regione, in pregiudizio alle sue competenze e in danno alla sua economia, a interrompere programmi consolidati che prevedevano la partecipazione di queste persone, con conseguente spreco di risorse cospicue investite negli anni in istruzione e formazione. Tutto cio' a detrimento dell'autonomia della Regione nel tracciare le linee dei propri investimenti e in danno all'economia regionale.
121. La disposizione impugnata e' l'art. 12 del decreto che ridisegna l'intero sistema di accoglienza dei rifugiati, titolari di protezione internazionale e umanitaria, nonche' richiedenti asilo, intervenendo sulla platea dei beneficiari del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Lo SPRAR, avviato nel 1989 (art. 1-sexies del decreto-legge n. 416/1989 convertito nella legge n. 39/1989) e' il sistema di accoglienza territoriale, pubblico e diffuso su tutto il territorio nazionale, che vede il coinvolgimento tanto delle istituzioni centrali che di quelle locali secondo una logica di cooperazione e di condivisione di responsabilita'. La recente riforma del sistema di accoglienza (d.lgs. n. 142/2015) di derivazione sovrannazionale ha confermato la configurazione dello SPRAR come sistema di seconda accoglienza volto a superare ogni logica emergenziale. Proprio il «Piano operativo nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari», (26) risultato della Intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 10 luglio 2014 tra Stato, regioni ed enti locali ha sancito l'ordinarieta' e la strutturalita' della presenza di richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale e umanitaria sul territorio della Repubblica.
122. I profili specifici qui di interesse attengono alle disposizioni transitorie contenute nei commi 5 e 6 dell'art. 12 del decreto censurato. Tali disposizioni prevedono che i richiedenti asilo e i titolari di protezione umanitaria presenti nei centri SPRAR potranno rimanere all'interno del sistema di accoglienza fino alla scadenza del progetto in corso gia' finanziato. Scaduto il progetto, i richiedenti asilo dovranno essere collocati in un Centro di accoglienza straordinaria. I titolari di protezione umanitaria saranno, invece, espulsi dal sistema dall'accoglienza, pur trattandosi di persone regolarmente soggiornanti sul territorio dello Stato.
123. Giova qui ricordare che a gennaio 2018 la Regione Piemonte ospitava all'interno dei centri CAS e SPRAR 13.523 persone (27) . Sono 348 (28) i comuni del Piemonte che ospitano centri di accoglienza. Un dato che rappresenta ben il 10% dei comuni che a livello nazionale ospitano richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale e umanitaria. Il modello piemontese, in ossequio alle migliori pratiche in materia, si basa soprattutto sul principio dell'accoglienza diffusa, il quale trova applicazione non solo negli SPRAR ma anche nei centri di accoglienza speciali (CAS). Cio' e' confermato dai dati: il numero medio degli ospiti dei CAS piemontesi e' pari a 12,7 unita' per centro (29) ; ciascuna provincia, in Piemonte, consta di una presenza uniforme di stranieri, con una presenza piuttosto uniforme e pari a circa lo 0.34% della popolazione in eta' lavorativa.
124. Si tratta di un'accoglienza diffusa, non emergenziale e che ha fatto dell'integrazione il suo carattere distintivo. Ai finanziamenti nazionali previsti per l'accoglienza, gestiti dalla Prefettura, la Regione ha affiancato, nel rispetto delle sue precipue competenze, risorse ingenti per favorire l'integrazione dei richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale e umanitaria presenti sul suo territorio. Gli interventi regionali per favorire l'integrazione delle persone di origine straniera sono numerosi e riguardano, per quanto qui di maggiore interesse, la formazione civico-linguistica dei soggetti ospiti nelle strutture, l'inclusione lavorativa e il rafforzamento della capacita' dei servizi di rispondere in maniera adeguata ai bisogni dei nuovi soggetti presenti sul suo territorio. Lo sforzo di programmazione e progettazione compiuto anche con gli enti locali ha portato la Regione a destinare fondi di sviluppo regionale, oltre ad altre risorse regionali, per interventi di inclusione e di informazione pubblica. Inoltre, nel biennio 2016-2018, la Regione ha investito circa 7 milioni di euro, ottenuti mediante la partecipazione a bandi competitivi di finanziamenti europei (fondi FAMI).
125. Per chiarire la portata non solo finanziaria ma organizzativa degli sforzi realizzati basti rilevare che tra il 2016-2018 sono stati realizzati 384 corsi di formazione linguistica e sono stati formati oltre 1500 operatori. Al 15 gennaio 2019 risultano iscritti al centro per l'impiego 6.803 persone (richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale e umanitaria) e 6.955 risultano occupati o in tirocinio formativo.
126. Gli ingenti investimenti rischiano oggi di venire vanificati causando un danno economico e sociale alla Regione. I titolari di protezione umanitaria espulsi dall'accoglienza rischiano di ritrovarsi in una situazione di completa marginalita' sociale qualora non siano in grado di accedere a una diversa soluzione abitativa, in proprio o in forza di altre risorse offerte dal territorio, con un aggravio dell'impegno economico della Regione, costretta a intervenire con nuove risorse. Allo stesso modo, gli investimenti sostenuti per la formazione e l'inclusione lavorativa di queste persone rischiano di essere vanificati dalla improvvisa precarieta' in cui esse sprofonderanno. L'ottenimento di nuovi finanziamenti europei per programmi di inclusione sociale diviene assai piu' difficile.
127. A tale profilo vanno aggiunte le ricadute in termini occupazionali sul territorio, non soltanto per i migranti ma anche per i cittadini italiani addetti a tali programmi. Parallelamente alle modifiche del decreto impugnato, il Ministero dell'interno ha approvato il nuovo capitolato di appalto per la gestione dei Centri di accoglienza che le Prefetture dovranno utilizzare nelle nuove procedure di evidenza pubblica. Il nuovo capitolato opera un significativo taglio dei finanziamenti, riducendo il cd. pro capite pro die da 35 euro a una forbice compresa tra 19 e 26 curo. Questi tagli, come individuato dai primi studi economici realizzati, tenderanno a favorire strutture di grandi dimensioni in grado di fare economie di scala a detrimento dell'accoglienza diffusa, individuata come best practice dalla Intesa Stato-regioni e da questa Regione attuata. Le stime realizzate a livello nazionale individuano i tagli occupazionali per i territori che non si riconvertiranno ai grandi centri di accoglienza pari al 50% degli attuali occupati. Inoltre, i tagli dei servizi investono in particolare i servizi sanitari e la tutela dei soggetti vulnerabili che cosi' ricadranno pesantemente e senza nessuna programmazione sul bilancio regionale.
128. In altre parole, l'art. 12 (commi 5 e 6) del decreto impugnato, nel porre fine ai progetti di accoglienza di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge n. 416/1989 convertito nella legge n. 39/1989, di fatto costringe le regioni a sprecare ingenti risorse (stranded costs) spese negli anni per l'integrazione, la formazione e l'accoglienza, materie di sua indiscussa competenza. Oltre alle risorse spese negli anni per la formazione di persone che mai potranno restituire all'economia formale ma che rischiano di andare ad arricchire il settore del mercato nero e della criminalita', (in violazione dell'autonomia economica e del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost.), l'interruzione di programmi di integrazione virtuosa delle popolazioni migranti producono un evidente fenomeno di lucro cessante, sotto forma dei programmi europei ed internazionali i cui flussi economici cesseranno di irrogare il tessuto economico della Regione.
(C) Sul divieto di iscrizione all'anagrafe.
129. Sono molti i sindaci che, nella propria qualita' di ufficiali dell'anagrafe, hanno dichiarato di voler disapplicare l'art. 13 del decreto impugnato, nella parte in cui prevede che i richiedenti asilo, in attesa di una decisione da parte della Commissione territoriale, non possano iscriversi ai registri anagrafici. La disposizione e' dettata da un palese intento discriminatorio nei confronti dei richiedenti protezione internazionale, i quali (lungi dall'essere considerati esseri umani dotati di diritti fondamentali protetti dall'ordinamento interno e internazionale) vengono di fatto presentati all'opinione pubblica come una crescente e incontenibile ondata di potenziali criminali pronti a ogni tipo di raggiro pur di entrare abusivamente a far parte della comunita' nazionale italiana. Come acutamente osservato da recente dottrina costituzionalistica (30) , lo stereotipo dello straniero criminogeno costituisce uno dei capisaldi della parte politica che si e' intestata il «merito» del decreto c.d. Sicurezza e innerva pure l'abominio giuridico di una cittadinanza precaria che mai consentira' agli stranieri di essere effettivamente equiparata agli italiani.
130. Nello specifico, l'art. 13 del decreto, cosi' come modificato in sede di conversione, prevede che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo «non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» (nuovo art. 4, comma 1-bis, decreto legislativo n. 142/2015).
131. Sebbene la disciplina in esame preveda che l'accesso ai servizi erogati sul territorio venga comunque assicurata nel luogo di domicilio indicato al momento della presentazione della domanda o comunque nel luogo dove e' ubicato il centro, ex articoli 6, 9 e 11, in cui il richiedente e' accolto o trattenuto, il mutato quadro normativo pone ostacoli a un effettivo accesso non solo ai servizi, ma al godimento dei diritti che ne conseguono. Sono, questi, ostacoli destinati a protrarsi anche per lungo tempo, posto che l'esame della domanda, nella sua fase amministrativa e giudiziale, puo' durare anche diversi anni.
132. Sotto questo profilo occorre anzitutto porre in luce come la residenza anagrafica costituisca presupposto necessario ai fini dell'iscrizione presso il servizio sanitario nazionale e, dunque, per poter beneficiare dei suoi meccanismi ordinari di funzionamento, primo tra tutti l'assegnazione del medico di base. L'attribuzione del medico di base, come noto, viene effettuata sulla base della residenza del soggetto sul territorio nazionale.
133. Il decreto impugnato impedisce, cosi', al richiedente asilo di poter essere inserito all'interno degli ordinari meccanismi del servizio sanitario, imperniati sul principio della prevenzione e della sussidiarieta'. In forza della norma censurata, il richiedente viene cosi' escluso dall'accesso alle cure, salvo che da quelle emergenziali offerte, prevalentemente, dalle strutture di pronto soccorso. In altre parole, il decreto in parola estromette un numero significativo di componenti della popolazione regionale dalla possibilita' di accedere ai meccanismi di cura che, sotto il profilo dei principi di politica pubblica, risultano piu' coerenti non soltanto con la tutela del paziente ma pure con la protezione dell'interesse generale e della salute pubblica.
134. Come noto, le migliori pratiche di organizzazione del servizio sanitario impongono di fondare sulla prevenzione - e dunque su una figura filtro quale quella del medico di base - e non sull'emergenza, l'intero impianto del servizio sanitario. In primo luogo, i costi connessi alla prevenzione sono di gran lunga inferiori a quelli richiesti per curare patologie che, se prevenute, potrebbero essere immediatamente guarite. In secondo luogo, estromettere dalle cure e dal monitoraggio del medico di base larghe porzioni della popolazione pone in serio pericolo la tutela della salute pubblica posto che espone la popolazione generale a rischi di contagio e di epidemie, che potrebbero essere invece evitati e prevenuti.
135. L'impossibilita' di effettuare l'iscrizione anagrafica impedisce, inoltre, al richiedente di poter fare ingresso nel mercato del lavoro e, dunque, di integrarsi e contribuire, con la propria opera, al progresso economico e sociale della Regione con pregiudizi collettivi analoghi a quelli discussi nelle sezioni che precedono.
136. Invero, la residenza costituisce requisito necessario ai fini dell'iscrizione presso i centri per l'impiego. Tale iscrizione, a mente del decreto legislativo n. 150/2015, e' presupposto indefettibile per l'ottenimento dello stato di disoccupazione il quale, a sua volta, si pone quale condizione per poter accedere a corsi di formazione professionale. In tal modo si estromette la Regione dalla possibilita' di ricorrere, secondo le migliori prassi internazionali, allo strumento tipico per integrare i richiedenti asilo nel mercato del lavoro: tirocini e corsi di formazione, vanificando, peraltro, lo sforzo economico che la Regione ha a tal fine gia' profuso. (v. Allegato 2). Il tutto costituisce di fatto una misura indiretta di refoulement vietata dal diritto internazionale (e dunque dalla Costituzione).
137. Va, infine, rilevata l'irragionevolezza e la portata discriminatoria della norma in esame, quando considerata alla luce della disciplina in materia di conferimento della cittadinanza.
138. La legge n. 91/1992, come noto, ai fini del conferimento della cittadinanza per naturalizzazione prevede che lo straniero possa dimostrare la residenza sul territorio dello Stato per un termine ininterrotto, previsto, a seconda dei differenti casi, dalla medesima disciplina. Poiche' la condizione di richiedente asilo non consente l'iscrizione anagrafica, colui il quale si veda alla fine accordato lo status di rifugiato o altre forme di protezione non potra' computare il periodo legittimamente trascorso sul territorio dello stato nell'attesa dell'esame della propria domanda ai fini del computo dei termini per ottenere la cittadinanza per naturalizzazione. E', questa, una disciplina estremamente discriminatoria e che irragionevolmente fa gravare sulla persona eventuali inefficienze e lungaggini della procedura (due soggetti che hanno trascorso, legittimamente, lo stesso periodo di tempo sul territorio dello Stato possono essere trattati differentemente ai fini della cittadinanza, per il solo fatto che la richiesta di protezione del primo e' stata vagliata piu' rapidamente di quella del secondo). Essa, inoltre, risulta del tutto incoerente con la natura della pronuncia che riconosce il titolo di protezione, la quale ha sempre efficacia dichiarativa. (Cass SU 19393/2009; Cass 4455/2018) (31) .
139. Dal punto di vista di questa Regione ricorrente, questo intento discriminatorio (neppure troppo convintamente celato sotto la retorica della sicurezza pubblica) irragionevolmente trascura il fatto che il richiedente asilo e' una persona dotata di legittime aspettative internazionalmente (e dunque costituzionalmente) protette, destinata a trascorrere in ogni caso un periodo di tempo significativo in Regione. Tra tali legittime aspettative rientra anche quella dell'iscrizione anagrafica, che costituisce un diritto soggettivo (in tal senso: Corte di cassazione 14 marzo 1986 n. 1738). Cio' fa si' che l'irragionevole complessita' imposta dal legislatore statale viola tanto la legittima aspettativa dello straniero rispetto alla sua piena partecipazione alla comunita' regionale, in particolare ma non solo con riferimento all'accesso ai servizi sociosanitari, quanto la competenza regionale (e a fortiori degli enti locali) nell'erogare razionalmente detti servizi. La parita' di trattamento tra stranieri regolarmente soggiornanti (quali sono i richiedenti asilo) e cittadini e' ritenuta fondamentale da codesta Corte, la quale ha affermato (sent. n. 306/2008) che «una volta che il diritto a soggiornare non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo nei loro confronti particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini».
140. La norma impugnata si pone dunque in contrasto con l'art. 3 Cost. perche' discrimina in modo irragionevole i richiedenti asilo sia rispetto ai cittadini, sia rispetto alle altre categorie di stranieri regolarmente presenti sul territorio, cui l'iscrizione anagrafica non e' preclusa (violando il principio di parita' di trattamento coi cittadini italiani prevista dall'art. 6 decreto legislativo n. 286/1998 per gli altri stranieri regolarmente soggiornanti) nonche' con l'art. 97 Cost., poiche' impedisce alla Regione di organizzare i propri servizi secondo criteri di efficienza, efficacia e imparzialita'.
141. Come nell'ipotesi di cui all'art. 1, la Regione Piemonte non solo subisce un vulnus nelle sue competenze ma anche un pregiudizio materiale concreto nel non poter pienamente integrare nel proprio tessuto economico e sociale soggetti per lo piu' giovani e in eta' lavorativa. Il parametro costituzionale e' da rinvenirsi negli articoli 2, 3 e 117 (competenza concorrente in materia di salute) poiche' esclude dal diritto fondamentale alla residenza anagrafica una specifica categoria di persone, in difetto di ragionevole motivazione che giustifichi il differente trattamento, con violazione dell'art. 3 Cost. Tale discriminazione non solo nega ad essi il diritto di essere parte a pieno titolo di una comunita' locale, ma anche rende per loro estremamente difficile l'accesso a quei rapporti privati (si pensi alla assunzione presso un datore di lavoro in assenza del tradizionale documento di riconoscimento sul quale normalmente un datore di lavoro fa affidamento, cioe' la carta di identita', o di conto corrente bancario) e a quei servizi pubblici che sino ad oggi sono stati erogati sulla base della residenza come accertata dalla iscrizione anagrafica.
142. Chiarita la prospettiva di violazione di natura costituzionale appare opportuno sottolineare l'evidente contrasto della disciplina in esame con le fonti sovraordinate. Cosi' ad esempio, e senza pretesa di esaustivita', la previsione in esame contrasta con l'art. 2 del Protocollo n. 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificato e reso esecutivo in Italia con decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1982, n. 217 sulla Liberta' di circolazione, che sancisce: «Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza», e con l'art. 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici: «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla liberta' di scelta della residenza in quel territorio», adottato dall'Assemblea generale il 16 dicembre 1966, e reso esecutivo in Italia con legge. n. 881 del 25 ottobre 1977.
(D) Sull'ottenimento e la revoca della cittadinanza italiana.
143. La Regione intende altresi' lamentare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14 del decreto ivi impugnato, che irragionevolmente e in maniera discriminatoria interviene, in senso peggiorativo, sull'iter per il conseguimento della cittadinanza italiana, allungandolo e, di fatto, introducendo nel nostro ordinamento due differenti modelli di cittadinanza di cui una precaria. Anche questo intervento, dettato da sentimenti persecutori nei confronti degli stranieri, colpisce in modo pregiudizievole le competenze regionali e danneggia il tessuto economico della Regione.
144. A ben vedere, infatti, l'art. 14 del decreto interviene sull'iter di acquisto della cittadinanza con modifiche che, in maniera esplicita, discriminano le persone in virtu' della loro provenienza nazionale e dunque di razza, lingua e religione, con una palese violazione dell'art. 3 Costituzione.
145. Venendo alle competenze regionali intaccate dalla norma di cui si discute e, piu' in generale, ai pregiudizi che tali lesioni arrecano alla comunita' tutta, occorre preliminarmente precisare che, sul piano delle competenze, la lesione di legittime aspettative al completamento di un iter di acquisto della cittadinanza determinato da ragioni di discriminazione per razza, lingua e religione, costituisce una violazione profonda dell'art. 117, comma l, Costituzione tanto alla luce di norme interposte Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali quanto degli stessi principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale. In particolare, l'art. 14 del decreto-legge censurato, come integrato in sede di conversione, introduce modifiche alla normativa in materia di cittadinanza (legge n. 91 del 1992) che, da un lato, rendono l'acquisto della cittadinanza piu' incerto e, dall'altro, prevedono per la prima volta delle ipotesi di revoca non assolutamente eccezionali della cittadinanza.
146. Gia' la coeva esistenza di queste due linee di politica del diritto solleva dubbi di legittimita' costituzionale dal momento che «nell'attuale quadro normativa il decreto di concessione della cittadinanza - in quanto attributivo di uno status - risulta irrevocabile» (Cons. Stato, sez. VI, n. 5103/2007) e la discrezionalita' molto ampia di cui gode l'amministrazione nella concessione della cittadinanza appariva, nel sistema normativo antecedente alle modifiche di cui all'art. 14 del decreto oggetto della presente censura, ragionevole in quanto «il relativo provvedimento, una volta emesso, non sia suscettibile di revoca per effetto di una rinnovata valutazione discrezionale (cfr. anche l'art. 22 della Costituzione, per il quale nessuno puo' essere privato, per motivi politici, della cittadinanza)» (Cons. Stato, sez. III n. 1084/2015).
147. Nello specifico, con il comma 1 dell'art. 14 alla lettera a) si abroga il comma 2 dell'art. 8 della legge n. 91 del 1992, che, in relazione alla istanza di acquisizione della cittadinanza per matrimonio, precludeva il rigetto dell'istanza ove fossero decorsi due anni dalla data di presentazione dell'istanza medesima, corredata dalla documentazione prevista dalla legge. Cio' significa che l'inerzia della pubblica amministrazione viene ad avere effetti negativi sullo straniero che non puo' piu' fare affidamento sulla previsione che decorsi i due anni dalla domanda non fosse piu' passibile per l'amministrazione rigettare la domanda di riconoscimento della cittadinanza iure matrimonii.
148. A cio' va aggiunto che l'art. 14 al comma 1 lettera o) estende da ventiquattro a quarantotto mesi il termine per la conclusione dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza per matrimonio (art. 5) e di concessione per c.d. naturalizzazione (art. 9), ampliando quindi il tempo a disposizione della pubblicazione amministrazione, in un quadro in cui il termine per completare il percorso istruttorio della domanda iure matrimonii era per costante e consolidata giurisprudenza ritenuto perentorio, mentre il termine per le ipotesi di concessione era considerato ordinatorio. Si prefigura quindi una procedura di concessione della cittadinanza potenzialmente sine die, in attesa di chiarimenti da parte della giurisprudenza di merito e di legittimita'. Si devono inoltre riprodurre qui le censure alla violazione di aspettative legittime gia' discusse supra a proposito dei problemi di diritto transitorio generati dall'abrogazione dei permessi umanitari. Intere persone e nuclei famigliari che stavano per raggiungere l'agognato traguardo del conseguimento della cittadinanza italiana, si vedono beffate dal suo allontanamento che non e' giustificato da alcuna regione, se non un atteggiamento politico emulativo (se non autolesionista) nei confronti di nazionalita', razze, etnie o religioni umane diverse da quella dominante in Italia.
149. Il protrarsi di prolungati periodi di incertezza circa lo status di cittadinanza di immigrati di lungo corso, rende particolarmente complesso il loro ingresso stabile nel mondo del lavoro, ne accentua la precarieta' e la vulnerabilita' economica e sociale e vanifica gli investimenti regionali in istruzione e formazione al lavoro. Inoltre, prendendo in esame l'accesso alle posizioni lavorative all'interno della pubblica amministrazione, tali individui, pur se dotati di alti livelli di scolarizzazione, per effetto del decreto non possono partecipare al alcun concorso pubblico e, in particolare, a quelli che dovessero essere banditi da questa amministrazione regionale, riducendo, dunque, la platea dei candidati e di quanti possono essere adatti a svolgere i pubblici uffici. E' dunque palese il contrasto con il principio della tutela dell'affidamento, ex art. 97 Cost.
150. Come anticipato, il decreto-legge n. 113/2018 come modificato in sede di conversione, introduce per la prima volta ipotesi di revoca della cittadinanza che valgono solo per i cittadini italiani di origine straniera, ben diverse dalle ipotesi previgenti tutte riconducibili a situazioni eccezionali di «intelligenza con il nemico in tempo di guerra».
151. Infatti, la revoca della cittadinanza avviene a seguito della condanna definitiva per reati di: terrorismo o eversione dell'ordine costituzionale, ricostituzione di associazioni sovversive di cui era stato ordinato lo scioglimento, partecipazione a banda armata, assistenza agli appartenenti ad associazioni sovversive o associazioni con finalita' di terrorismo, anche internazionale, sottrazione di beni o denaro sottoposto a sequestro per prevenire il finanziamento del terrorismo (nuovo art. 10-bis, legge n. 91/1992).
152. La norma, risulta in evidente contrasto con l'art. 3 ed e' irragionevole almeno sotto due profili:
le previsioni in essa contenute si applicano all'acquisto della cittadinanza per matrimonio, per naturalizzazione e all'ipotesi di acquisto da parte dello straniero nato in Italia che abbia risieduto in Italia fino alla maggiore eta': tutti casi che riguardano esclusivamente le persone di origine straniera;
i reati previsti possono essere compiuti sia da cittadini italiani iure sanguinis che da cittadini stranieri che abbiano acquistato la cittadinanza italiana eppure soltanto i secondi possono essere destinatari della revoca. Tale scelta del legislatore introduce, di fatto una sorta di cittadinanza precaria, capace non soltanto di generare discriminazioni ma anche di produrre dei veri e propri cortocircuiti. Infatti, sul piano degli obblighi internazionali (in primis, nello specifico quelli derivanti dalla sottoscrizione della Convenzione delle Nazioni Unite sulla riduzione dei casi di apolidia) tale scelta del legislatore statale risulta censurabile anche perche' qualora la persona intenzionata ad acquisire la cittadinanza italiana abbia dovuto rinunciare alla propria, essa si troverebbe, in caso di condanna in via definitiva per uno dei reati indicati dalla norma, in una situazione di apolidia. La condotta irresponsabile dello Stato, insomma, travolgerebbe anche la Regione, rendendola corresponsabile nei confronti della comunita' internazionale delle violazioni compiute dallo Stato.
153. Piu' in generale, il solo elenco di questi gravissimi crimini, accostato alla condizione di straniero, ha un impatto performativo molto evidente nella costruzione dello stereotipo dello straniero pericoloso criminale: sono gli stranieri, bisbiglia insinuante il legislatore (rectius il Governo pro tempore abusando dei poteri di decretazione, vedi supra) all'orecchio spaventato dei suoi potenziali elettori, a porre normalmente in essere tali efferati comportamenti! Egli tuttavia li rassicura: «Noi tratteremo diversamente i cittadini stranieri da quelli italiani, perche' i primi non smettono di essere pericolosi neppure quando, dopo le infinite peripezie cui li costringiamo, sono riusciti a raggiungere il traguardo della cittadinanza!»
154. Non ci puo' esser miglior prova di questa offerta dall'art. 14, del conflitto irrisolvibile fra un atteggiamento politico xenofobo e persecutorio da parte di una maggioranza di governo nei confronti di un segmento della cittadinanza, e i piu' profondi valori e principii del nostro ordine costituzionale, riassunti nel principio di uguaglianza fra i cittadini: « Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (art. 3, comma 1, Costituzione). Con il pensiero al recente ottantenario delle leggi razziali, la Regione Piemonte, che tanto sangue ha versato nella Liberazione, chiede a codesta Corte costituzionale di porre rimedio a questo conflitto prima che sia troppo tardi.
155. Sulle singole disposizioni del decreto che violano le competenze regionali e che introducono un trattamento discriminatorio delle persone in situazione di poverta' e di marginalita' sociale. 156. Non sono soltanto gli stranieri, il bersaglio del decreto che qui Regione Piemonte impugna. Come precisato in apertura, esso introduce una riforma organica della disciplina che riguarda l'immigrazione ma anche di quella prevista in materia di sicurezza pubblica. In entrambi casi, il disegno di politica del diritto che ha ispirato il legislatore appare orientato alla limitazione dei diritti e alla marginalizzazione di persone che vivono in situazione di poverta' e marginalita' sociale. Tale scelta non riguarda soltanto gli «stranieri» che si trovino nelle condizioni descritte nei precedenti paragrafi, ma anche tutti quei nativi italiani, purtroppo sempre piu' numerosi, che debbano ricorrere a espedienti o a soluzioni di piccola e indecorosa illegalita' per tutelare il proprio diritto alla vita. Le disposizioni da censurare sarebbero numerose, ma questa ricorrente deve limitarsi a quelle che tocchino le sue competenze.
(A) Sull'estensione del DASPO urbano ai presidi sanitari.
157. L'art. 21, primo comma, lettera a) del decreto impugnato estende la possibilita', per i regolamenti di polizia urbana, di introdurre il c.d. DASPO urbano anche per aree in cui insistono presidi sanitari nonche' aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli, ovvero adibite a verde pubblico. Come noto, il divieto di accedere alle manifestazioni sportive fu introdotto nel nostro ordinamento con la legge 13 dicembre 1989, n. 401 allo scopo di garantire la sicurezza degli spettatori alle manifestazioni sportive dando al Questore un ampio potere di impedire ai tifosi piu' pericolosi e facinorosi di parteciparvi. Successivi allargamenti della fattispecie furono previsti per allontanare tanto potenziali manifestanti politici quanto persone senza tetto da alcuni luoghi, come ad esempio le stazioni ferroviarie, al fine di garantirne la piena agibilita' pubblica ed il c.d. decoro urbano. Il modello del DASPO, si e' dunque progressivamente trasformato in una misura di prevenzione non solo di comportamenti pericolosi in determinati luoghi ma anche di repressione di stili di vita, non necessariamente violenti, ritenuti devianti o indecorosi.
158. La disciplina successiva all'introduzione dell'art. 21 decreto n. 113/2018 prevede, che a fronte di una delle condotte presupposto della misura (stato di ubriachezza, compimento di atti contrari alla pubblica decenza, esercizio di commercio abusivo di spazi pubblici e attivita' di parcheggiatore abusivo), il soggetto possa essere colpito dal provvedimento di allontanamento anche da aree urbane in cui insistono presidi sanitari. Chi e' senza fissa dimora, costretto al freddo e alle intemperie, sovente abusa di sostanze alcoliche anche al fine di riscaldarsi. Molto spesso egli non ha accesso a servizi igienici ne' a luoghi di privacy sicche' i suoi comportamenti sono necessariamente indecorosi. Egli di conseguenza non solo e' ma appare povero, proprio come lo straniero oggetto della discriminazione per motivi di razza, appare tale (sulla rilevanza di tale apparire vedi infra). E' noto che i dati numerici attendibili sulla condizione di poverta' estrema (homelessness) siano scarsi e proverbialmente difficili da raccogliere. Fra i piu' di 2000 senza casa piemontesi, un po' meno della meta' sono gli italiani, e sebbene i maschi adulti siano maggioranza, non sono per nulla assenti donne, bambini e perfino nuclei famigliari (32) . Le persone homeless sono del tutto consce della propria vulnerabilita' tanto rispetto alla violenza criminale (di quando in guado la cronaca riporta di persone senza casa pestate o perfino arse vive) quanto rispetto a malattie spesso croniche a rischio di acutizzazione. Essi percio' spesso scelgono di stare in gruppo e provano a riposare in luoghi di passaggio (come le stazioni) o, specie qualora infermi cronici, presso gli ospedali. Questo esercizio del tutto ragionevole del proprio diritto costituzionalmente garantito alla mobilita' (art. 16 Cost.) al fine di reperire un domicilio (art. 14 Cost.; art. 8 CEDU) sicuro ancorche' precario, prossimo a luoghi in cui possa essere esercitato il diritto fondamentale alla salute (art. 32 Cost.) proprio e della propria famiglia, e' il comportamento tipico dei cittadini piu' socialmente e vulnerabili che l'estensione del DASPO urbano ai presidi sanitari viene a colpire.
159. Cio' determina una grave e irragionevole compressione del diritto alla salute, idoneo a impattare negativamente su precise competenze regionali. Qualsiasi persona homeless non potra' piu' cercare ricovero in zone ospedaliere, se non correndo il rischio per questo sol fatto di esser colpito dal DASPO. Alla persona sottoposta a DASPO sara' poi preclusa, magari fisicamente in una fase di crisi non esternamente manifesta, la possibilita' di accedere al luogo al quale il DASPO e' stato disposto, ossia l'ospedale dove sta cercando cure emergenziali o specialistiche per una crisi della cronicita' di cui egli solo (e non il poliziotto che dovesse fermarlo a causa del suo apparire) e' al corrente.
160. In caso di problemi di salute, la persona sottoposta a DASPO non potra' quindi disporre dei servizi sanitari erogati dalla struttura collocata nel territorio oggetto della misura e cio' senza alcuna valutazione concreta del possibile impatto che la medesima misura e' idonea di determinare sul diritto alla salute del soggetto colpito dal provvedimento. Si pensi, ancora, al caso di strutture sanitarie altamente specializzate su specifiche patologie. Esse, alla luce degli alti costi e dell'alta specializzazione richiesta, sono solitamente in numero esiguo. La disciplina in esame potrebbe cosi estromettere il paziente affetto da una malattia cronica da prestazioni erogate dall'unico presidio sanitario specializzato proprio per quella particolare malattia (che egli ben conosce e dove si sta recando sentendo che la crisi incombe) poiche' collocato all'interno della porzione di territorio urbano in rapporto al quale vige il divieto di accesso. Cio' non solo viola soltanto il diritto alla salute del soggetto, ma anche le competenze regionali.
161. La Regione deve adempiere al suo obbligo costituzionale di approntare un servizio sanitario efficiente e capace di soddisfare il diritto alla salute dei propri cittadini. Cio' e' impossibile se si estromettono alcune categorie di cittadini da talune strutture sanitarie sulla base del solo luogo entro il quale esse sono ubicate posto che la Regione non e' in grado di garantire che tutte le strutture sanitarie su tutto il proprio territorio possano garantire la medesima varieta' di cure.
162. La disciplina impugnata deve dunque ritenersi costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli 3, 14, 16, 38 e 117 Cost. perche' minaccia e rende applicabile il DASPO urbano per aree in cui insistono presidi sanitari dove soggetti piu' vulnerabili devono poter soggiornare o accedere senza impedimenti esercitati in modo discriminatorio (profiling) per ragioni di cura proprie o dei propri congiunti (si pensi anche, sotto quest'ultimo profilo, al caso di ricovero presso la struttura sanitaria di un parente, di un convivente o di un prossimo congiunto del soggetto destinatario della misura). Insomma, il decreto fa prevalere in modo del tutto arbitrario e irragionevole un bene giuridico come il «decoro urbano», che e' privo di qualsiasi riconoscimento costituzionale, su diritti fondamentali della persona quali mobilita', domicilio e specialmente rilevante per questa ricorrente, salute. L'incostituzionalita' (e forse disumanita') di questo dispositivo si riverbera (ridonda) su specifiche competenze regionali che Regione Piemonte ha il dovere da tutelare di fronte a codesta Corte.
(B) Sulle misure relative ai casi di occupazioni per scopo abitativo.
163. La Regione intende lamentare l'illegittimita' costituzionale degli articoli 30, comma 1, e 31-ter e, in particolare, le modifiche introdotte all'art. 633 codice penale e la disciplina del procedimento previsto per l'esecuzione del provvedimento di rilascio di un immobile abusivamente abitato. Occorre premettere che le censure lamentate dalla ricorrente non intendono incidere sulla competenza dello Stato, piena ed esclusiva, nel disciplinare l'ordinamento penale. Al contrario, e' il tema dell'abitare a chiamare in causa la Regione.
164. Vale la pena di ricordare che la materia dell'edilizia pubblica, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, e' di competenza regionale e, pertanto, anche le politiche abitative presentano il medesimo inquadramento: al legislatore statale spetta soltanto il compito di determinare e garantire i livelli minimi delle prestazioni, secondo quanto stabilito dall'art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione. A tale previsione di carattere generale, occorre aggiungere la competenza degli enti locali al contrasto dell'emergenza abitativa, attribuzione che, del resto, costituisce titolo preferenziale nell'assegnazione di contributi pubblici statali per qualsiasi tipo di edilizia economica e popolare. In questo scenario, vanno collocati gli interventi della Regione Piemonte diretti a sostenere gli enti locali nelle situazioni di emergenza abitativa e a prevedere strumenti speciali per il sostegno di persone che si trovino in situazioni di particolare disagio e non siano in grado di sostenere il prezzo delle locazioni sul libero mercato. In questo senso, sono numerosi gli interventi della regioni diretti alla costruzione di un welfare abitativo regionale, basato su una razionalizzazione delle Agenzie territoriali della casa e sull'investimento di circa 15 milioni per il finanziamento del Programma Casa. A cio' si aggiungano i fondi istituiti dalla Regione per il sostegno alla locazione, pubblica e privata, di famiglie che vivono una condizione di fragilita': si tratta di strumenti gestiti dagli enti locali i quali ricevono risorse regionali per sostenere quanti abbiano bisogno di stipulare un contratto di locazione che preveda un canone calmierato o si trovino in una situazione di «morosita' incolpevole», al fine di evitare lo sfratto esecutivo e la perdita della casa in casi in cui il canone di locazione non possa essere pagato a causa, per esempio, di un licenziamento. Si tratta di misure importanti, che la ricorrente ha fortemente voluto per introdurre vere e proprie politiche dell'abitare ma che, evidentemente, si basano su risorse finite e che richiedono il sostegno e la collaborazione anche dei privati.
165. Cio' detto, e con rammarico, nonostante gli impegni profusi dalla ricorrente, il diritto alla casa pare condannato a restare tra le righe dell'art. 47 della Costituzione: sono numerose le persone che restano escluse dai programmi previsti dalla Regione e dagli enti locali, che vivono per strada e cercano ogni rifugio possibile.
166. L'occupazione abusiva a scopo abitativo, pertanto, costituisce sovente un'azione resa necessaria dalla difesa del diritto alla vita e del diritto alla salute di intere famiglie che vivano in condizione di disagio e poverta'. L'art. 633 codice penale sanziona l'invasione di terreni ed edifici: di questa norma occorre sottolineare da una parte, l'elemento costitutivo del reato, di natura normativa, il «bene altrui» e quindi il concetto civilistico di proprieta' a esso sotteso e, dall'altra, il principio di offensivita' della condotta. Sottolineiamo questi elementi, si torna a dire, non per censurare la novella normativa introdotta dal decreto impugnato da un punto di vista dell'ordinamento penale, ma perche' l'atto avente forza di legge oggetto di questo ricorso confonde diversi piani normativi e procedimentali e, nel farlo, coinvolge direttamente la Regione. Questo esplicito riconoscimento del legislatore nazionale di un interesse regionale in materia abilita codesta regione a riflettere sulle implicazioni in chiave costituzionale dell'impianto piu' generale con cui il decreto ivi impugnato affronta la questione delle occupazioni abitative.
167. L'art. 30 del decreto modifica l'art. 633 codice penale (invasione di terreni o edifici) e introduce al secondo comma la procedibilita' di ufficio del reato qualora la fattispecie sia posta in essere da piu' di cinque persone. L'art. 31-ter nel disciplinare l'utilizzo della forza pubblica nel contrastare tale occupazione arbitraria di immobili coinvolge direttamente ed esplicitamente la Regione prevedendo la presenza di due suoi rappresentanti nel Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, deputato a governare i processi di sgombero. Lo stesso articolo al comma 3.1 prevede che il Prefetto, «qualora ravvisi la necessita' di definire un piano delle misure emergenziali necessarie per la tutela dei soggetti in situazione di fragilita' che non sono in grado di reperire autonomamente una sistemazione alloggiativa alternativa», sentito il suddetto Comitato, la cui composizione di per se' dimostra senza dubbio l'interesse di questa Regione ricorrente alla tematica dell'occupazione di spazi, «istituisca una cabina di regia incaricata di provvedere nel termine di novanta giorni». Nuovamente, della cabina di regia fanno parte «anche rappresentanti della Regione e degli enti locali interessati». Questa procedura e' necessaria per procedere all'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile che, in ogni caso deve avvenire «entro un anno dalla data di adozione del relativo provvedimento» (art. 31-ter 3.3.). Questo complicato schema e' completato dall'art. 31, commi 3.2 e 3.4 il quale prevede che nel caso in cui al termine dei novanta giorni la Cabina di regia dovesse ritenere di prorogare lo sgombero fino al termine massimo di un anno gia' menzionato, «al proprietario o al titolare di altro diritto reale di godimento sull'immobile e' liquidata una indennita' onnicomprensiva per il mancato godimento del bene».
168. Il combinato di queste farraginose norme evidenzia tanto l'interesse diretto di questa ricorrente (resa protagonista sia in Comitato provinciale sicurezza che in cabina di regia), quanto il carattere incostituzionale del dispositivo messo in opera dal decreto sicurezza ancora una volta ai danni di segmenti fragili della popolazione siano essi stranieri o italiani. E' in particolare la procedibilita' d'ufficio di cui all'art. 30, in combinato con la procedura esecutiva a evidenziare gravi profili di incostituzionalita' che riverberano direttamente sulle competenze di questa ricorrente. Per evidenziare questo animus aemulationis del decreto, condito dei soliti problemi di autolesionismo, perche' certamente lo Stato non trae alcun beneficio diverso da quello elettoralistico e simbolico per il Ministero degli interni, che anzi deve sborsare due milioni di curo annui solo per indennizzi a partire dal 2018 (art. 31-ter 3.4), si consenta di descrivere un'ipotesi del tutto plausibile.
169. Qualora il reato sia perseguito d'ufficio, sono due le principali situazioni che possono essersi verificate dal lato della proprieta' del bene occupato. La prima: un proprietario assente, che non gode direttamente e indirettamente del suo immobile, nulla sa dell'occupazione e a questa sua inerzia si sostituisce lo Stato; la seconda: il proprietario, che anche in questa ipotesi non gode in alcun modo direttamente o indirettamente dell'immobile, tollera attraverso il non esercizio del suo potere di escludere e di querela, l'occupazione di cui pure e' a conoscenza, per le ragioni piu' disparate, tra le quali si puo' comprendere la solidarieta' nei confronti di un nucleo famigliare che nei suoi locali (non abitabili) avesse trovato un riparo.
170. Occorre dunque chiedersi quale siano la condotta concretamente lesiva del bene tutelato nonche' la lesione dell'interesse proprietario, soprattutto laddove la concreta occupazione (forse meglio descrittibile in lingua italiana con la locuzione rifugio) si dovesse manifestare come priva di allarme sociale: la riforma proposta dal decreto impugnato contribuisce percio' a esasperare l'assenza di un criterio ordinante il rapporto tra l'art. 633 codice penale e l'art. 1168 del codice civile (spoglio civile), due norme evidentemente contigue dal momento che chi cerca rifugio per se' e per la propria famiglia ricorre di fatto a fattispecie di acquisto del possesso immobiliare civilisticamente assimilabili allo spoglio (laddove la violenza e la clandestinita' di cui all'art. 1168 sono interpretate in maniera particolarmente ampia dalla giurisprudenza della Corte di cassazione: si v. ex multis, Cassazione 2 dicembre 2013, n. 26985; Cassazione ordinanza 4 novembre 2013 n. 24673) dando dunque ampi spazi di azione al titolare del diritto reale di godimento concretamente leso. E' ben evidente che tale coordinamento va cercato nei principii costituzionali, proprio quelli che il decreto stravolge in questo che non si andrebbe troppo lontani dal vero a definire ambiti di diritto privato regionale in cui la sussidiarieta' vorrebbe che le questioni piu' vicine ai beni fossero lasciate al diritto civile e non avocate alla extrema ratio penalistica di esclusiva competenza statale.
171. Il legame introdotto dal decreto tra procedibilita' d'ufficio e rilascio dell'immobile da eseguirsi solamente avuto riguardo della condizione dell'occupante, a prescindere - quindi - da ogni valutazione che riguardi l'interesse del proprietario che non si e' attivato per la difesa del bene immobile che gli appartiene, scarica irragionevolmente i costi di tale scelta politica sulla Regione (e sugli enti locali), costretti a farsi carico di un nuovo significativo numero di italiani e stranieri poveri e senza tetto. Il decreto cioe' produce irragionevolmente una emergenza di competenza regionale sia dal punto di vista abitativo sia da quello sanitario, date le ovvie conseguenze di rimanere homeless gia' discusse supra.
172. Infatti, coloro i quali fossero costretti a rilasciare l'immobile che occupano (perfino nel disinteresse del proprietario o con la sua tolleranza solidaristica) si candidano a essere nuovi utenti dei servizi abitativi di Regione ed enti locali. E dal momento che «il reato» (rectius lo spoglio tollerato) era stato commesso, in grave stato di bisogno abitativo, proprio per la obiettiva difficolta' in capo alle politiche pubbliche di perseguire la piena abitazione, il cortocircuito emerge in tutta la sua complessita', contribuendo ad aggravare, in violazione di diritti fondamentali della persona, spesso purtroppo del fanciullo, situazioni personali gia' molto precarie.
173. L'approccio del decreto, in questo senso, e' ideologico, nella misura in cui non assume e analizza gli elementi civilistici che innervano la disposizione penale, dalla cui qualificazione dipende anche il costo scaricato sulla Regione. La procedibilita' di ufficio travolge infatti anche i casi di abbandono di un immobile da parte di un proprietario assenteista che pero', continuando a manifestare forme anche labili di interesse sul bene, forse in vista di un uso futuro, potrebbe tollerare la situazione di bisogno umanitario contribuendo cosi', allo sforzo collettivo di soccorrere questi bisognosi in nome della solidarieta' sociale. La norma, dunque, nella parte modificata dal decreto qui impugnato, viola diverse disposizioni costituzionali e, in particolare, l'art. 2 Cost. che riconosce i diritti inviolabili dell'uomo e impone «l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale». L'art. 3 Cost., nel sancire il principio di uguaglianza anche sostanziale, che da se' solo fonda la forma di Stato sociale propria del nostro ordinamento, impone un concreto intervento statale al fine di consentire un accesso di tutti alle risorse materiali e immateriali, al fine di garantire lo sviluppo della persona umana.
174. Purtroppo non solo uno schema come quella introdotto dagli articoli 30 e seguenti che qui censuriamo, rende impossibile la solidarieta' del proprietario che tollera, ma esso giunge fino a tutelare in astratto, addirittura con lo strumento penale, un mero diritto di speculazione su un immobile (difficile credere che la norma avvantaggi soggetti diversi dalle societa' immobiliari) e dunque confligge con il principio solidaristico immanente della Costituzione e tradotto in materia proprietaria all'art. 42. (ex multis, Corte costituzionale, sentenza n. 55/1968 secondo cui «senza dubbio la garanzia della proprieta' privata e' condizionata nel sistema della Costituzione, dagli articoli 41 al 44, alla subordinazione a fini, dichiarati ora di utilita' sociale, ora di funzione sociale, ora di equi rapporti sociali, ora di interesse ed utilita' generale [...] Secondo i concetti, sempre piu' progredienti, di solidarieta' sociale, resta escluso che il diritto di proprieta' possa venire inteso come dominio assoluto ed illimitato sui beni propri»). Il decreto, al posto di stanziare risorse affinche' regioni ed enti locali possano prevedere misure attive di tutela dei bisogni fondamentali, cosi' come previsto dall'art. 119, comma 5, stanzia fondi (due milioni annui, art. 31-ter, comma 3.4) per compensare proprietari anche estrattivi e assenteisti che attendono solamente il momento piu' propizio per accaparrarsi la rendita fondiaria. L'indennizzo, infatti, compensa il «mancato godimento» di un immobile
in stato di abbandono che mai il proprietario avrebbe goduto. Tutto cio' ovviamente costituisce una violazione, a tacer d'altro, dell'art. 3 Costituzione che al minimo deve prevedere l'eguaglianza formale fra proprietari e non proprietari in un bilanciamento fra diritti contrapposti costituzionalmente protetti. Nello specifico, l'art. 42, nel descrivere compiutamente lo statuto costituzionale della proprieta', dando particolare attuazione ai principi costituzionali fondamentali sopra richiamati, introduce limitazioni alle facolta' del proprietario che possono anche consistere con forme di utilizzo di un bene con finalita' anche sociali e che certamente stridono con la messa a sua disposizione delle forza pubblica in modo automatico (in ogni caso dopo un anno) e noncurante dei bisogni fondamentali di altri consociati non proprietari.
175. Ne' in verita' un atteggiamento solidaristico del proprietario si puo' considerare dettato solamente da sensibilita' etica: infatti, il soccorso al bisogno primario, soprattutto di minori, e' costituzionalmente protetto sia al livello nazionale (art. 47) che al livello della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e costituisce uno di quei «doveri inderogabili di solidarieta' politica economica e sociale» che sono richiesti a tutti i cittadini dall'art. 2 Costituzione.
176. Per dar maggior concretezza a quanto si nasconde nella farraginosa e oscura forma dell'art. 31-ter (solo il primo comma e' lungo due pagine e diviso in nove punti enumerati con una logica incomprensibile) gia' censurata supra per tutto il decreto, occorre descrivere l'ipotesi procedurale che il decreto organizza: l'ipotetica famiglia (italiana o straniera) in stato di bisogno abitativo qualora composta di un numero di adulti superiori a quattro, integrerebbe la fattispecie di cui all'art. 633 che il decreto rende perseguibile di ufficio. L'integrazione del reato da' luogo percio', indipendentemente dalla volonta' del proprietario tollerante leso, allo sgombero coatto dell'immobile che puo' essere, tuttavia, sospeso per ragioni legate alla particolare fragilita' del nucleo ma soltanto per un termine massimo di un anno. Decorso l'anno, dunque, un nuovo nucleo familiare si troverebbe accampato sotto i portici di Via Sacchi, cosa evitabile soltanto con un programma di accoglienza temporanea costoso tanto per la Regione quanto per gli enti locali. Questo schema, dunque, non solo risulta invasivo di razionali competenze programmatorie della Regione che indirettamente beneficerebbe della tolleranza umanitaria del proprietario, ma e' contrario palesemente al parametro di cui agli articoli 42 e 47 della Costituzione il cui impianto solidaristico e' peraltro confermato nel titolo V dal summenzionato art. 119, comma 5, Cost.
177. L'impostazione della norma segue un'antropologia proprietaria triste e persino allarmante: il legislatore, infatti, ha previsto un sistema di incentivi introdotti surrettiziamente per promuovere da parte del proprietario, anche assente e magari speculativo, una reazione escludente e non solidale. Infatti, qualora con il contributo dei responsabili della Regione, la commissione dovesse ritenere di non eseguire il provvedimento di rilascio dell'immobile, addivenendo alla proroga di un anno nel mantenimento della famiglia nei locali abitati, lo Stato dovrebbe dedicare risorse indennizzare il proprietario (art. 31-ter comma 3.2) piuttosto che a stanziare i fondi aggiuntivi di cui al 119 comma 5. Cio' e' fuori discussione se il proprietario non solidale dovesse aver querelato gli abitanti del suo immobile: egli infatti, salvo l'ipotesi estrema in cui prima dovesse aver negligentemente o financo dolosamente consentito l'ingresso nell'immobile, otterra' l'indennizzo pari a quello che e' l'effettivo prezzo di mercato per il mancato godimento dell'immobile che, pero', non si puo' presumere come invece fa il decreto. Al contrario, il proprietario che non querela, gia' potrebbe dimostrare quell'atteggiamento di solidarieta' che il decreto incostituzionalmente censura fino al punto da essere privato del medesimo indennizzo qualora successivamente alla proroga annuale ritenesse di chiederlo. E' chiaro percio' che questa profferta di denaro ha lo scopo, da un lato, di incentivare comportamenti individualistici ed egoistici contrari alla Costituzione; dall'altro costituisce un surrettizio modo da parte del legislatore di farsi carico di esigenze di emergenza abitativa che comunque sono di competenza di codesta Regione.
178. La Regione Piemonte dunque chiede che questa corresponsione di denaro pubblico, che allontana il cittadino dai doveri sociali di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost., sia dichiarata costituzionalmente illegittima, cosi' come costituzionalmente illegittimo andrebbe dichiarato tutto l'impianto che introduce le rigidita' della procedura d'ufficio e della penalizzazione forzata di relazioni sociali che assai spesso conviene lasciare governare dal diritto informale o dal diritto civile piuttosto che da un'ideologia securitaria e legalistica le cui conseguenze sono sotto gli occhi di chiunque transiti sotto i portici del capoluogo della nostra regione.
179. A quanto sino a ora argomentato occorre aggiungere un rilievo conclusivo ma non meno dirimente. La complicata normativa risultante dalle innovazioni legislative censurate deve essere criticata anche con riguardo a cio': che l'esecuzione di un provvedimento di rilascio, decorso l'anno attualmente previsto dai commi 3.2 e 3.3 del novellato art. 11 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, non e' accompagnata da indicazione alcuna in merito alla collocazione della famiglia indigente sgomberata.
180. All'evidenza, il quadro normativo cosi' delineato presenta profili doppiamente contraddittori e incostituzionali. In primo luogo, e' agevole ipotizzare che l'applicazione delle summenzionate disposizioni cagionera' situazioni che obbligheranno gli enti pubblici - a partire dalle regioni e dagli enti locali, competenti per materia - a sopportare plurime conseguenze negative: l'esborso di risorse pubbliche per indennizzare le proprieta' si risolvera' in una «mancia» quantificata secondo criteri assai opinabili, circostanza questa che verosimilmente frustrera' perfino la discutibile intentio di scongiurare contenziosi; la procedura burocratica immaginata dal legislatore risultera' tanto macchinosa quanto poco utile, poiche' non consentira' in alcun modo di tutelare - tramite ragionevoli meccanismi di bilanciamento con le ragioni della proprieta' - i diritti fondamentali (alla vita, all'abitazione, alla salute) di soggetti e famiglie piu' poveri e vulnerabili.
181. Sotto altro e connesso profilo, quel che si e' appena rilevato consente di evidenziare che le disposizioni censurate sono incostituzionali ai sensi dell'art. 117, comma 1 Cost., per contrasto con la norma interposta rappresentata dall'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali («Diritto al rispetto della vita privata e familiare»). Come si e' gia' sottolineato, infatti, il meccanismo di rilascio dell'immobile previsto dal legislatore non contempla in alcun modo l'obbligo dei pubblici poteri di proporre o di predisporre, per i soggetti in condizione di vulnerabilita' e bisogno che siano interessati dalle procedure di rilascio coattivo, adeguate soluzioni abitative alternative alla strada. In tal senso, la violazione dell'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, anche e non solo per assenza di un fair balance tra le posizioni giuridiche rilevanti, risulta tanto palese da poter spingere la ricorrente a ipotizzare - mutuando le categorie adottate dalla Corte di Strasburgo - una «violazione strutturale» del sistema convenzionale. Sul punto la giurisprudenza e' copiosa e non puo' certo essere equivocata: ex multis, solo negli ultimi anni, Yordanova e altri c. Bulgaria nel 2012, Winterstein e altri c. Francia nel 2013, e Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria nel 2016; ma l'orientamento della Corte europea dei diritti dell'uomo risale sino ai c.d. gipsy cases, quali Connors c. Regno Unito del 2004 e Buckley c. Regno Unito del 1996, aventi a oggetto la tutela ex art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali della popolazione rom. Dalla lettura di tali numerose sentenze puo' dunque desumersi il principio secondo cui i soggetti che rischiano di subire uno sgombero hanno diritto a un esame della proporzionalita' dell'interferenza in accordo con i requisiti previsti dall'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Inoltre, una violazione della disposizione convenzionale e' ravvisabile anche con riguardo a soggetti che abbiano richiesto una nuova collocazione abitativa in alloggi familiari, laddove le pubbliche autorita' difettino nel dare sufficiente considerazione ai loro bisogni (sentenza Winterstein, par. 167). In altri termini - lungi da quanto avvenuto con le disposizioni oggi censurate - e' necessario riconoscere che la Repubblica e' tenuta, tanto in forza di disposizioni costituzionali nazionali come gli articoli 2, 3, 42 e 47 Cost., quanto ai sensi degli articoli 117, comma 1 Cost. e 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, a dispiegare le proprie scelte politiche e normative esercitando un margine di apprezzamento assai ristretto «quando il diritto in causa e' importante per garantire all'individuo il godimento effettivo dei diritti fondamentali o di ordine "intimo" che gli sono riconosciuti. Tale e' il caso dei diritti garantiti dall'art. 8, che sono diritti di importanza cruciale per l'identita' della persona, la sua autodeterminazione, la sua integrita' fisica e morale, il mantenimento delle relazioni sociali nonche' la stabilita' e sicurezza della sua posizione in seno alla societa'» (sentenza Winterstein, par. 148).
182. Sulle condizioni materiali per rispettare questi obblighi costituzionali e di civilta' giuridica internazionale, questa Regione Piemonte ricorrente incentra le proprie priorita' e intende continuare a farlo senza invasioni di competenza da parte di un legislatore emulativo nei confronti dei settori piu' deboli della popolazione regionale.
(1) Si veda http://www.interno.gov.it/sites/default/files/cruscotto_giornaliero_18-01-2019.pdf
(2) Audizione presso la Commissione affari costituzionali del Senato in relazione all'esame in sede referente del disegno di legge n. 840 (decreto-legge 113/2018 - sicurezza pubblica) del prof. M. Ruotalo, la cui trascrizione e' disponibile al seguente indirizzo on-line https://www.osservatorioaicit/images/rivista/pdf/13-Marco_Ruotolo_definitivo.pdf (Brevi note sui possibili vizi formali e sostanziali del decreto-legge n. 113 del 2018 (c.d. decreto «sicurezza e immigrazione»).
(3) M. Ruotolo, Brevi note sui possibili vizi formali e sostanziali del decreto-legge n. 113 del 2018 (c.d. decreto «sicurezza e immigrazione»), cit., p. 175.
(4) Ex multis, R. Bin, II diritto alla sicurezza giuridica come diritto fondamentale, in Forum di Quaderni costituzionali, 2018.
(5) Si v. a tal riguardo, la requisitoria 15 gennaio 2019 della Procura Generale presso la Corte di cassazione.
(6) Secondo quest'ultima sentenza, in tutti i casi in cui, all'esito di un giudizio comparativo tra le prospettive di vita in Italia e nel paese di origine, «risulti un'effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)» sara' possibile individuare una condizione di vulnerabilita', con conseguente individuazione dei seri motivi di carattere umanitario di cui all'art. 5, comma 6, T.U. Imm.
(7) Sul punto si veda, peraltro, la Nota tecnica dell'UNHCR al decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, reperibile online al seguente link: https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2018/10/Nota-tecnica-su-Decreto-legge-FINAL_REV_DRAFT1_V2.pdf, spec. pp. 2 ss.
(8) Si veda anche, tra gli atti del Senato della Repubblica, il Comunicato alla Presidenza del 4 ottobre 2018, reperibile online al seguente link: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/340143.pdf
(9) Recita la missiva «sento l'obbligo di sottolineare che, in materia [...], restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo, e, in particolare, quanto direttamente disposto dall'art. 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall'Italia».
(10) Sulle violenze sofferte in Libia quale motivo per il riconoscimento della protezione umanitaria si veda, ex multis tribunale Genova, decreto del 29 gennaio 2018.
(11) Alcuni dei reati per cui e' stato condannato l'imputato. Corte d'assise di Milano, sentenza 10 ottobre 2017.
(12) Si pensi, ad esempio, all'epidemia dell'Ebola, che ha recentemente colpito, tra gli altri, la Liberia e la Sierra Leone. D'altra parte la sussunzione all'interno dei presupposti di protezione umanitaria di categorie di natura oggettiva e' stata riconosciuta dalla nostra giurisprudenza di merito in relazione alla protezione umanitaria per motivi ambientali e correlati alla conseguente condizione di indigenza del ricorrente, cittadino bengalese, si veda Tribunale di L'Aquila, ordinanza del 18 febbraio 2018.
(13) Delibera del CSM del 21 novembre 2018, pp. 6-7. Nel discorso inaugurale di questo nuovo anno giudiziario, il Primo Presidente della Corte di cassazione Giovanni Mammone ha messo in evidenza come il primo effetto del decreto ivi impugnato sul sistema giustizia abbia determinato un aumento dei ricorsi civili in materia di protezione internazionale del 512,4%.
(14) Questo profilo e' stato, peraltro, espressamente censurato dalla Nazioni Unite, si veda Nota tecnica dell'UNHCR al decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, reperibile on line al seguente link: https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2018/10/Nota-tecnica-su-Deereto-legge-FINAL_REV_DRAFT1_V2.pdf; p. 3.
(15) Si pensi alla condizione giuridica dei minori che, con la legittima aspettativa di vedersi riconosciuta la protezione umanitaria, non hanno intrapreso il percorso del permesso per minore eta' o, ancora, agli apolidi che, per l'ottenimento in via amministrativa dello status di apolide necessitano di un titolo di soggiorno.
(16) In tal senso si veda ECHR, Guide on Article 8 of the European Convention on Human Rights p. 8 e ss. (v. la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, III sez., 24 luglio 2018, caso Lozovyye v. Russia; Corte europea dei diritti dell'uomo Grand Chamber, 16 luglio 2014, caso Hämäläinen v. Finland).
(17) Tale riconoscimento non andava a sovrapporsi con quanto previsto dall'art. 31 decreto legislativo n. 286/98 in quanto la valutazione che competente al Tribunale per i minorenni riguarda «gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'eta' e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano».
(18) I termini di cui all'art. 27 decreto legislativo n. 25/2008 non vengono, di fatto, rispettati.
(19) Sebbene la questione possa apparire diversa da quella ivi dedotta, il principio di diritto introdotto dalla Corte e' indubbiamente valido per il caso che qui ci occupa: infatti, la Corte ha affermato che i rifugiati gia' minori non accompagnati, i quali siano diventati adulti in costanza di procedura di asilo e facciano domanda di ricongiungimento familiare entro termini ragionevoli dalla sua conclusione, devono continuare a poter essere considerati minorenni ai fini del diritto al ricongiungimento familiare.
(20) «Di fatto, l'obbligo di non respingimento puo' essere innescato da una violazione o da un rischio di violazione dell'essenza di qualsiasi diritto garantito dalla Convenzione europea, come il diritto alla vita, il diritto all'integrita' fisica o al suo corollario, il divieto della tortura e dei maltrattamenti, o dalla flagrante violazione» del diritto ad un processo equo, del diritto alla liberta', del diritto alla vita privata o di qualsiasi altro diritto garantito dalla Convenzione», cosi' Corte europea dei diritti dell'uomo, Hirsi Jamaa e altri c. Italia, decisione del 23 febbraio 2012, ric. 27765/09, Opinione concordante del Giudice Pinto De Albuquerque -enfasi aggiunta.
Si veda anche Corte europea dei diritti dell'uomo, Soering c. Regno Unito, decisione del 7 luglio 1989, ric. 14038/88, par. 88; Corte europea dei diritti dell'uomo, Vilvarajah e altri c. Regno Unito, decisione del 30 ottobre 1991, ric. 13163/87, 13164/87, 13165/87, 13447/87, 13448/87, par. 103; Corte europea dei diritti dell'uomo, Einhorn c. Francia, decisione del 16 ottobre 2001, ric. 71555/01, par. 32; Corte europea dei diritti dell'uomo, Al-Saadoon e Mufdhi c. Regno Unito, decisione del 4 ottobre 2010, ric. 61498/08, par. 149; Corte europea dei diritti dell'uomo, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito, decisione del 9 maggio 2012, ric. 8139/09, par. 233; Corte europea dei diritti dell'uomo, Bensaid c. Regno Unito, decisione del 6 maggio 2001, ric. 44599/98, par. 46; Corte europea dei diritti dell'uomo, Boultif c. Svizzera, decisione del 2 agosto 2001, ric. 54273/00, par. 39; Corte europea dei diritti dell'uomo, Mawaka c. Paesi Bassi, decisione del 1° giugno 2010, ric. 29031/04, par. 58.
(21) L'esistenza di questa articolazione della norma di diritto internazionale consuetudinario relativa al divieto di espulsione e' stata riconosciuta e codificata nel 2014 dalla Commissione dei diritto internazionale all'art. 10 (»Prohibition of disguised expulsion») dei Draft Articles on the Expulsion of Aliens, with Commentaries, UN Doc A/69/10, 2014. Essa trova supporto anche nella giurisprudenza del Tribunale Iran-USA (Iran-USA Claims Tribunal): Short c. Repubblica Islamica dell'Iran, Lodo del 14 luglio 1987, Iran-United States Claims Tribunal Reports, vol. 16 (1987-III), pp. 85-86; International Technical Products Corporation c. Repubblica Islamica dell'Iran, Lodo del 19 agosto 1985, Iran-United States Claims Tribunal Reports, vol. 9 (1985-II), p. 18; e Rankin c. Repubblica Islamica dell'Iran, Lodo del 3 novembre 1987, Iran-United States Claims Tribunal Reports, vol. 17 (1987-IV), pp. 147-148. Nella giurisprudenza internazionale, si veda anche la decisione della Commissione tra Eritrea ed Etiopia (Eritrea-Ethiopia Claims Commission), Partial Award, Civilians Claims, Ethiopia's Claim 5, UN Reports of International Arbitral Awards, vol. XXVI. In dottrina, si veda ad esempio A. Zimmermann, F. Machts, J. Dörschner, The 1951 Convention Relating to the Status of Refugees and its 1967 Protocol: A Commentary, Oxford, 2011, p. 1369 e ICRC, Note on migration and the principle of non-refoulement, International Review of the Red Cross (2018) secondo cui «... States may not create circumstances which leave an individual who is protected by the principle of non-refoulement with no real alternative other than returning» (traduzione di cortesia: gli Stati non possono creare le circostanze che lasciano un individuo protetto dal principio di non-refoulement con nessuna reale alternativa se non quella di far ritorno).
(22) Tribunale Firenze, nona sez., RG 866/2016.
(23) Le statistiche mostrano il progressivo ed apparentemente inarrestabile invecchiamento medio della popolazione piemontese. L'eta' media ha superato oggi i 46.3 anni con oltre 1.106.000 persone di eta' superiore ai 65 anni (circa un quarto della popolazione) https://www.tuttitalia.it/piemonte/statistiche/indici-demografic istruttura-popolazione/
(24) Il testo unico immigrazione precisa infatti che «Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano».
(25) Si vedano i dati dell'Osservatorio regionale sull'immigrazione e sul diritto d'asilo http://www.piemonteimmigrazione.it/temi/rifugiati.
(26) Si veda: http://www.interno.gov.it/sites/default/files/sub-allegato_n._25_-_intesaconferenza_stato_regioni_del_10_luglio_2014.pdf.
(27) Regione Piemonte, «Governare l'immigrazione. Le politiche e gli interventi regionali in materia di immigrazione e accoglienza», Dicembre 2018.
(28) Rapporto sulla protezione internazionale 2017, p. 124.
(29) V. i dati elaborati dalla Fondazione Rodolfo Benedetti «Richiedenti asilo e rifugiati nei CAS del Piemonte», 18 gennaio 2019.
(30) Si v. A. Algostino, Il decreto «sicurezza e immigrazione» (decreto-legge n. 113 del 2018): estinzione del diritto di asilo, repressione del dissenso e diseguaglianza, in Costituzionalismo.it, 30 novembre 2018 dove si articolano diversi condivisibili profili di incostituzionalita'.
(31) La direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 recante «norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficare della protezione sussidiaria, nonche' sul contenuto della protezione riconosciuta» al considerando 21 evidenzia che «Il riconoscimento dello status di rifugiato e' un atto ricognitivo».
(32) Si veda per dati recenti ed autorevoli sul capoluogo di questa regione: Diocesi di Torino, Fragilita' e disagio nella societa' torinese: Analisi di alcuni indicatori (a cura di Mario Zangola, Maggio 2018).
P.Q.M.
La Regione Piemonte, come sopra rappresentata e difesa, chiede, voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso, dichiarando:
in via principale l'illegittimita' costituzionale dell'intero decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132 per violazione dell'art. 1 Cost.; dell'art. 2 Cost.; dell'art. 3 Cost.; dell'art. 5 Cost.; dell'art. 10 Cost.; dell'art. 13, comma 1 Cost.; dell'art. 14, comma 1 Cost.; dell'art. 16, comma 1 Cost.; dell'art. 70 Cost.; dell'art. 72 Cost.; dell'art. 77 Cost.; dell'art. 117, commi 1, 2, 3, 4 e 7 Cost.; dell'art. 118 Cost.; dell'art. 119, comma 5 Cost.;
in via subordinata l'illegittimita' costituzionale:
a) degli articoli 1, 9, 12 comma 5 e 6, 13, 14 per violazione dell'art. 2 Cost.; dell'art. 3 Cost.; dell'art. 10 Cost.; dell'art. 32 Cost.; dell'art. 38 Cost.; dell'art. 97 Cost.; dell'art. 114 Cost.; dell'art. 117, comma 1 in relazione agli articoli 2, 3, 5, 6, 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e commi 3, 4 e 7 Cost.; dell'art. 118 Cost.; dell'art. 119 Cost.;
b) degli articoli 21, comma 1, lettera a), 30, comma 1, 31-ter per violazione dell'art. 2 Cost.; dell'art. 3 Cost.; dell'art. 10 Cost.; dell'art. 32 Cost.; dell'art. 42 Cost.; dell'art. 47, comma 2 Cost.; dell'art. 97 Cost.; dell'art. 117, comma 1 in relazione all'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e commi 2, 3 e 4 Cost.; dell'art. 118 Cost.; dell'art. 119, comma 5 Cost.
Torino, 30 gennaio 2019
Prof. avv. Mattei