Ricorso n. 2 del 10 gennaio 2012 (Regione Toscana)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 10 gennaio 2012 (della Regione Toscana).
(GU n. 7 del 15.02.2012 )
Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con delibere della Giunta regionale n. 1245 del 27 novembre 2011, rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora, domiciliato presso lo studio dell'avv. Marcello Cecchetti, in Roma, Via A. Mordini 14;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 6; 7, comma 1; 16; 17; 22; 23, comma 1; 29 e 30 del decreto legislativo 8 ottobre 2011, n. 176, per violazione dell'art. 117, commi 1 e 3 nonche' dell' art. 118 Cost.
Nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 258 del 5 novembre 2011 e' stato pubblicato il d.lgs. 8 ottobre 2011, n. 176, recante «Attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull'utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali».
Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze regionali per i seguenti motivi di
Diritto
1. - Illegittimita' costituzionale artt. 6 e 7, comma 1, nonche' degli artt. 22 e 23, comma 1, nella parte in cui disciplinano l'utilizzazione di una sorgente d'acqua minerale naturale ovvero di un'acqua di sorgente stabilendo che detta utilizzazione e' subordinata all'autorizzazione regionale, la quale e' rilasciata previo accertamento dei requisiti previsti dallo stesso decreto, per violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost.
Le disposizioni in esame disciplinano l'utilizzazione, rispettivamente, di una sorgente d'acqua minerale naturale e/o di acqua di sorgente.
In particolare e' stabilito che detta utilizzazione e/o immissione in commercio e' subordinata all'autorizzazione regionale, la quale e' rilasciata previo accertamento che gli impianti destinati all'utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo di inquinamento e da conservare all'acqua le proprieta', corrispondenti alla sua qualificazione, esistenti alla sorgente, e - per le acque minerali - fatte salve le modifiche apportate con i trattamenti di cui all'articolo 7, comma 1, lettere b), c) e d) dello stesso decreto; mentre - per le acque di sorgente - allorche' sussistano le condizioni di cui all'articolo 23, tenendo conto delle operazioni consentite dall'articolo 24.
Dette norme ripropongono integralmente quanto gia' previsto dall'art. 5 del previgente d.lgs. n. 105/1992, attuativo della precedente Direttiva 80/777/CE in materia di acque minerali e dall'art. 3 attuativo della direttiva 96/70/CE in materia di acque di sorgente.
Tuttavia a seguito del citato d.lgs. n. 105, e soprattutto a seguito dei Regolamenti comunitari in materia di igiene dei prodotti alimentari (Regolamenti comunitari numeri 852 e 853 del 2004), la Regione Toscana aveva gia' provveduto - con L.R. n. 38/2004 e relativo regolamento attuativo n. 1/R del 2009 - a disciplinare l'iter autorizzativo relativo all'avvio dell'attivita' di utilizzazione dell'acqua minerale e/o di sorgente attraverso lo strumento della DIA. L'art. 41 della citata legge regionale n. 38 dispone, infatti, che «L'avvio di un'attivita' di utilizzazione dell'acqua minerale naturale e di sorgente e' assoggettato ad una dichiarazione di inizio attivita', presentata al comune, attestante il possesso dei requisiti previsti dall'articolo 42 e dal regolamento (CE) 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sull'igiene dei prodotti alimentari. L'attivita' puo' essere avviata dalla data di ricevimento della dichiarazione».
La disciplina oggetto del d.lgs. n. 176 in esame e' senz'altro riconducibile alle materie della tutela della salute e della alimentazione, entrambe ricomprese nell'elenco delle materie di competenza concorrente regionale di cui all'art. 117, comma 3, Cost. Peraltro, fin dal d.P.R. n. 616/77 (combinato disposto degli artt. 50 e 61) sono state trasferite alle Regioni le funzioni amministrative relative alla materia «acque minerali e termali», le quali - secondo il disposto dei citati articoli - concernono la ricerca e l'utilizzazione delle acque minerali e termali e la vigilanza sulle attivita' relative, ivi comprese la pronuncia di decadenza del concessionario.
Cio' e' stato successivamente confermato con la legge Bassanini, legge n. 59/1997, all'art. 22, secondo cui «Sono trasferite alle regioni le funzioni amministrative dello Stato in materia di ricerca e utilizzazione delle acque minerali e termali e la vigilanza sulle attivita' relative».
Alla luce di tutto quanto sopra, le norme in esame, nella parte in cui disciplinano puntualmente gli iter autorizzativi per l'avvio dell'utilizzazione delle acque minerali e/o di sorgente, rappresentano senz'altro un inammissibile passo indietro rispetto alle attribuzioni regionali cosi' come delineate anche dal sistema normativo antecedente la riforma del Titolo V della Costituzione (in tal senso si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2009). In ogni caso, trattandosi di materie (la tutela della salute e l'alimentazione) di competenza concorrente, lo Stato dovrebbe limitarsi ad indicare i principi fondamentali. Per contro, andare a disciplinare cosi' nel dettaglio il momento autorizzativo, si traduce in una lesione delle prerogative regionali costituzionalmente garantite, cio' in violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost.
Va infine rilevato che gia' in sede di Conferenza Stato-Regioni, le Regioni avevano rilevato i suddetti profili di incostituzionalita'; lo Stato, controdeducendo agli emendamenti proposti dalle Regioni in ordine a dette norme, avrebbe richiamato quale elemento ostativo all'accoglimento delle proposte regionali quanto previsto all'Allegato II della direttiva 2009/54/CE, secondo cui «1. L'utilizzazione di una sorgente d'acqua minerale naturale e' subordinata all'autorizzazione dell'autorita' responsabile del Paese in cui l'acqua e' stata estratta, previo accertamento della sua conformita' ai criteri di cui all'allegato I, parte 1».
A tal proposito si osserva innanzitutto che l'autorizzazione cui si riferisce la direttiva comunitaria deve essere intesa in senso lato, tale da ricomprendere tutti gli strumenti autorizzatori tra cui anche la DIA e/o la SCIA.
Inoltre, l'allegato I, parte I della direttiva 2009/54/CE, cui fa riferimento la norma comunitaria citata, definisce le caratteristiche che devono presentare le acque minerali naturali e /o le acque di sorgente per essere classificate come tali, specificando quindi i principi fondamentali alla base della definizione. Tali principi sono stati recepiti nel d.lgs. n. 176/2011 all'art. 2, mentre le altre sezioni dell'Allegato I della direttiva 2009/54/CE sono recepite nell'articolo 3 che rimanda ad un successivo decreto del Ministro della salute, sentito il Consiglio superiore di sanita', con cui saranno determinati i criteri di valutazione delle caratteristiche delle acque minerali naturali.
La valutazione delle caratteristiche delle acque minerali naturali, di cui all'Allegato I, parte I della direttiva 2009/54/CE, e' dunque alla base del riconoscimento ministeriale disciplinato dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 176/2011.
Pertanto, la previsione indicata nella parte 1 dell'Allegato II della direttiva 2009/54/CE in ordine alla necessita' che siano previamente accertati i «criteri di cui all'allegato I, parte I», e' riferito al procedimento di riconoscimento di acqua minerale naturale, senza che cio' contempli da parte dell'Autorita' sanitaria locale specifici accertamenti di natura tecnico-professionale. Tale adempimento e' quindi compatibile con lo strumento autorizzatorio regionale che contempla la DIA e/o SCIA.
Ed ancora, la previsione dell'autorizzazione formale contrasta, peraltro, con il regime delle liberalizzazioni gia' avviato con il d.l. n. 138/2011 (art. 3) ed oggi portato a compimento con il d.l. n. 201/2011, il quale all'art. 34 prevede «2. La disciplina delle attivita' economiche e' improntata al principio di liberta' di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l'ordinamento comunitario, che possono giustificare l'introduzione di previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di proporzionalita'. [...] 4. L'introduzione di un regime amministrativo volto a sottoporre a previa autorizzazione l'esercizio di un'attivita' economica deve essere giustificato sulla base dell'esistenza di un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario, nel rispetto del principio di proporzionalita'. [...] 6. Quando e' stabilita, ai sensi del comma 4, la necessita' di alcuni requisiti per l'esercizio di attivita' economiche, la loro comunicazione all'amministrazione competente deve poter essere data sempre tramite autocertificazione e l'attivita' puo' subito iniziare, salvo il successivo controllo amministrativo, da svolgere in un termine definito; restano salve le
responsabilita' per i danni eventualmente arrecati a terzi nell'esercizio dell'attivita' stessa. 7. Le Regioni adeguano la legislazione di loro competenza ai principi e alle regole di cui ai commi 2, 4 e 6.».
In conclusione le disposizioni in esame rappresentano un'illegittima lesione delle prerogative regionali costituzionalmente garantite in quanto disciplinano in maniera puntuale il procedimento autorizzativo con riferimento a materie, quali la tutela della salute e l'alimentazione, di competenza concorrente, in relazione alla quale lo Stato deve limitarsi a dettare esclusivamente i principi fondamentali; cio' in violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, lettera a) e dell'art. 23, comma 1, lettera a), nella parte in cui prevedono tra i criteri per il rilascio dell'autorizzazione di cui si tratta, tra le altre cose, l'accertamento che la sorgente o il punto di emergenza siano protetti contro ogni pericolo di inquinamento e siano applicate, ai fini della tutela dei corpi idrici, le disposizioni di cui alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost.
Si rileva ulteriormente l'incostituzionalita' degli artt. 7, comma 1, lettera a) e 23, comma 1, lettera a), sotto altro profilo, ancorche' in via meramente cautelativa, nella parte in cui prevedono tra i criteri per il rilascio dell'autorizzazione di cui si tratta, tra le altre cose, l'accertamento che la sorgente o il punto di emergenza siano protetti contro ogni pericolo di inquinamento e siano applicate, ai fini della tutela dei corpi idrici, le disposizioni di cui alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
In particolare, detto ultimo periodo non appare conforme al dettato costituzionale, nella misura in cui il riferimento alla Parte Terza del decreto legislativo n. 152/2006 non possa essere considerato dalle Regioni (solo) come livello minimo di protezione.
In altri termini detta disposizione appare violare la competenza regionale ex art. 117, comma 3, in materia di tutela della salute ed alimentazione, ove dovesse essere interpretata nel senso di ritenere precluso per le Regioni l'applicazione di misure di protezione piu' rigorose.
Infatti, l'invocata disciplina della Parte Terza del d.lgs. n. 152/2006 (art. 94) e' relativa alle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano (acque disciplinate dal d.lgs. n. 31/2001, di recepimento della direttiva 98/83/CE), per le quali e' previsto un trattamento di potabilizzazione; al contrario, per le acque minerali naturali e/o di sorgente non e' ammesso alcun trattamento di potabilizzazione, pertanto le misure del d.lgs. n. 152/2006 potrebbero non essere sufficienti a garantire la protezione del giacimento di acque
minerale. Non potrebbe pertanto (legittimamente) escludersi la possibilita' per le Regioni di valutare, sulla base di criteri piu' restrittivi rispetto a quelli imposti dal d.lgs. n. 152/2006, l'identificazione delle necessarie aree di salvaguardia.
La Corte Costituzionale a tal proposito ha affermato che «L'esame di alcune delle censure proposte nei ricorsi presuppone che si risponda all'interrogativo se i valori-soglia (limiti di esposizione, valori di attenzione, obiettivi di qualita' definiti come valori di campo), la cui fissazione e' rimessa allo Stato, possano essere modificati dalla Regione, fissando valori-soglia piu' bassi, o regole piu' rigorose o tempi piu' ravvicinati per la loro adozione.
La risposta richiede che si chiarisca la ratio di tale fissazione. Se essa consistesse esclusivamente nella tutela della salute», come e' evidentemente nel caso delle autorizzazioni di cui al d.lgs. n. 176/2011 qui contestato, «potrebbe invero essere lecito considerare ammissibile un intervento delle Regioni che stabilisse limiti piu' rigorosi rispetto a quelli fissati dallo Stato, in coerenza con il principio, proprio anche del diritto comunitario, che ammette deroghe alla disciplina comune, in specifici territori, con effetti di maggiore protezione dei valori tutelati (cfr. sentenze n. 382 del 1999 e n. 407 del 2002)» (cfr. sentenze nn. 307/2003). Ed ancora, «le disposizioni [rectius regionali] censurate contengono prescrizioni cautelative volte ad incidere, in primo luogo, sugli strumenti urbanistici generali e sulle loro varianti, con riguardo alle distanze tra le aree destinate a nuove costruzioni residenziali, scolastiche e sanitarie e le linee elettriche aeree esterne, nonche', al tempo stesso, sulle distanze che vanno mantenute fra le medesime linee elettriche, ove di nuova installazione, e le costruzioni esistenti.
L'espresso riferimento della legge agli strumenti urbanistici dimostra come la Regione si mantenga, pur sempre, nell'ambito di attribuzioni sue proprie ed in particolare nell'ambito di competenze che - anche a trascurare il piu' recente intervento normativo rappresentato dagli artt. 51 e seguenti del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 - attengono, secondo la definizione di urbanistica enucleabile dall'art. 80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, alla «disciplina del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonche' la protezione dell'ambiente».
Come si evince dalla disposizione teste' riportata, alla funzione di governo del territorio si riallaccia anche una competenza in materia di interessi ambientali, da reputare costituzionalmente garantita e funzionalmente collegata, secondo quanto gia' a suo tempo evidenziato da questa Corte (sentenza n. 183 del 1987), alle altre spettanti alla Regione, tra cui, oltre all'urbanistica, quale funzione ordinatrice dell'uso e delle trasformazioni del suolo, quella dell'assistenza sanitaria, intesa come complesso degli interventi positivi per la tutela e promozione della salute umana.
Nell'ambito di un tale assetto ordinamentale, la Regione, come ente rappresentativo della molteplicita' degli interessi legati alla dimensione territoriale, non puo' non reputarsi titolare anche del potere di verifica della compatibilita' degli interventi che, attuati dai vari soggetti, comportano effetti sul territorio. Ed e' questa indubbiamente la prospettiva nella quale appare collocarsi la legge denunciata, che rimane nell'ambito delle competenze regionali, anche se comporta l'imposizione di distanze superiori a quelle richieste per il rispetto dei limiti massimi di esposizione ai campi elettrico
e magnetico, quali stabiliti dallo Stato nell'esercizio delle attribuzioni ad esso riservate dall'art. 4 della legge n. 833 del 1978 e dall'art. 2, comma 14, della legge n. 349 del 1986. Ma tali attribuzioni non possono indurre a ritenere incostituzionale la denunciata disciplina, specie a considerare che essa se, da un canto, implica limiti piu' severi di quelli fissati dallo Stato, non vanifica, dall'altro, in alcun modo gli obiettivi di protezione della salute da quest'ultimo perseguiti» (cfr. in tal senso sentenza n. 382/1999).
Si rileva pertanto la lesione delle competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di tutela della salute e alimentazione, da parte delle norme in esame, ove i richiamati limiti di cui alla Parte Terza del d.lgs. n. 152/2006 dovessero considerarsi inderogabili dalle Regioni a favore di misure piu' rigorose, con conseguente violazione degli arti. 17, comma 3, e 118 Cost.
3. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 16 e 17 nonche' degli artt. 29 e 30, nella parte in cui disciplinano puntualmente l'attivita' di vigilanza sulle utilizzazioni e sul commercio, rispettivamente, delle acque minerali e delle acque di sorgente, per violazione dell'art. 117, commi 1 e 3, e art. 118 Cost.
Le disposizioni richiamate disciplinano l'attivita' di vigilanza sulle utilizzazioni e sul commercio, rispettivamente, delle acque minerali e delle acque di sorgente, riproducendo nella sostanza la disciplina contenuta nei previgenti d.lgs. n. 105/1992 (artt. 14 e 15) e d.lgs. n. 339/1999 (artt. 11 e 12). La riproposizione delle disposizioni in tema di vigilanza cosi' come previste dai su citati decreti del 1992 e del 1999 (disciplina peraltro non contenuta nella direttiva 2009/54/CE, cui il d.lgs. n. 176/2011 da' attuazione), finiscono per configurare un doppio sistema di controllo, uno specifico sulle acque minerali naturali e/o di sorgente, disciplinato dal decreto legislativo in esame ed uno sulla sicurezza alimentare, derivante dal regolamento CE 882/20004, nel cui ambito di operativita' vanno evidentemente ricondotti anche i controlli in ordine alle acque di cui si tratta. Tale duplicazione non trova giustificazioni normative, amministrative, tecniche e sanitarie e determina un aggravio di costi per i sistemi sanitari regionali, senza alcun beneficio in punto di tutela della salute pubblica.
Tali norme appaiono, in primo luogo, lesive delle attribuzioni regionali in quanto intervengono, con una disciplina puntuale, a regolamentare le funzioni di vigilanza attribuite da sempre alle Regioni (si vedano le considerazioni gia' svolte al punto 1 del presente ricorso), ed attinenti - come visto - alla materia della tutela della salute e dell'alimentazione in cui lo Stato puo' intervenire solo con disposizioni di principio; cio' in contrasto con gli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
Inoltre, si ripete, la disciplina in esame delinea un sistema di vigilanza e di controllo mututato dalla vecchia normativa statale la quale, evidentemente, non tiene in alcun conto della disciplina nel frattempo adottata a livello comunitario con il regolamento CE 882/2004, recante Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformita' alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali, che regola la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, nonche' con il Regolamento CE n. 178/2002, recante Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorita' europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, che prevede un procedimento di allerta per alimenti e mangimi, non conforme a quello previsto dal decreto legislativo n. 176 in esame.
A titolo esemplificativo si evidenzia che:
all'art. 17 e all'art. 30, si richiamano, in quanto compatibili, le norme vigenti in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande (di cui al Reg. CE 882/2004), solo con riferimento alle modalita' da osservare per le denunce all'autorita' sanitaria e giudiziaria, per i sequestri da effettuare a tutela della salute pubblica e per le revisioni di analisi che, tuttavia, rappresentano soltanto alcune delle attivita' riguardanti il controllo ufficiale;
ed ancora, gli artt. 16, comma 6, e 29, comma 6, dispongono che nel caso in cui venga accertato che un'acqua minerale naturale e/o di sorgente, proveniente da uno Stato membro dell'Unione europea, non risulti conforme alle disposizioni del presente decreto o presenti un pericolo per la salute pubblica, ferma restando l'adozione di provvedimenti urgenti a tutela della salute pubblica, e' fatto obbligo alle autorita' competenti di darne immediata comunicazione al Ministero della salute precisando i motivi dei provvedimenti adottati. Detta procedura contrasta con il sistema rapido di allerta per alimenti e mangimi vigente in ambito di
sicurezza alimentare.
Sotto questo profilo puo' evidenziarsi quindi l'ulteriore violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in quanto la normativa statale di cui si tratta contrasta con quanto disposto a livello comunitario.
Anche in tal caso, poi, come per il regime autorizzativo, la disciplina statale in esame e' difforme da quanto ha disposto la Regione Toscana, conformemente alla su citata normativa comunitaria, con l'art. 46 della l.r. n. 38/2004 (poi specificato negli artt. 25 e ss. del DPGR 11/R/2009), ove si legge:
«1. Il controllo ufficiale sull'attivita' di utilizzazione delle acque minerali naturali e di sorgente e' effettuato dalle aziende USL in conformita' alle disposizioni del regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento e del Consiglio, del 29 aprile 2004 relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformita' alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali.
1-bis. Con regolamento d'attuazione sono individuate le modalita' di svolgimento del controllo ufficiale sulle acque minerali naturali e di sorgente, e in particolare:
a) le procedure e le modalita' del prelievo dei campioni delle acque minerali naturali e di sorgente e dell'esecuzione delle relative analisi compresi i criteri e le modalita' per l'aggiornamento anticipato delle analisi in etichetta;
b) le modalita' di trasporto dei campioni e la definizione del personale competente all'esecuzione dei prelievi e delle ispezioni;
c) le frequenze minime di controllo nelle varie parti della filiera;
d) le modalita' di effettuazione dei controlli, ivi compresi quelli analitici, e di ripartizione dei costi;
e) i metodi analitici per la determinazione dei parametri chimici, chimico-fisici e microbiologici;
f) le procedure per l'emissione del giudizio di accettabilita' sui campioni prelevati e per l'invio dei referti analitici;
g) le procedure di verifica della corretta applicazione del piano di autocontrollo.».
Le norme in esame violano pertanto gli artt. 117, commi 1 e 3, e 118 Cost.
P. Q. M.
Si conclude affinche' piaccia all'ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 6; 7, comma 1; 16; 17; 22; 23, comma 1; 29 e 30 del decreto legislativo 8 ottobre 2011, n. 176, per violazione dell'art. 117, commi 1 e 3, nonche' dell'art. 118 Cost.
Si allega la delibera della Giunta Regionale n. 1245 del 27
dicembre.
Firenze-Roma, addi' 2 gennaio 2012
Avv. Bora