Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 10 gennaio 2012 (della Regione Toscana).

 

 

(GU n. 7 del 15.02.2012 ) 

 

 

 

    Ricorso della Regione Toscana,  in  persona  del  Presidente  pro tempore, autorizzato con delibere della Giunta regionale n. 1245  del 27 novembre 2011, rappresentato e difeso, per  mandato  in  calce  al presente atto, dall'avv. Lucia Bora,  domiciliato  presso  lo  studio dell'avv. Marcello Cecchetti, in Roma, Via A. Mordini 14;

    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro  tempore  per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt.  6;  7, comma 1; 16; 17; 22; 23, comma 1; 29 e 30 del decreto  legislativo  8 ottobre 2011, n. 176, per violazione  dell'art.  117,  commi  1  e  3 nonche' dell' art. 118 Cost.

    Nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 258 del  5  novembre 2011 e' stato pubblicato il d.lgs. 8 ottobre 2011,  n.  176,  recante «Attuazione  della  direttiva  2009/54/CE,  sull'utilizzazione  e  la commercializzazione delle acque minerali naturali».

    Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze  regionali per i seguenti motivi di

 

                               Diritto

 

    1. - Illegittimita' costituzionale artt. 6 e 7, comma 1,  nonche' degli artt. 22 e  23,  comma  1,  nella  parte  in  cui  disciplinano l'utilizzazione di una sorgente d'acqua minerale naturale  ovvero  di un'acqua  di  sorgente  stabilendo   che   detta   utilizzazione   e' subordinata all'autorizzazione  regionale,  la  quale  e'  rilasciata previo accertamento dei requisiti previsti dallo stesso decreto,  per violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost.

    Le   disposizioni   in   esame   disciplinano    l'utilizzazione, rispettivamente, di una sorgente d'acqua  minerale  naturale  e/o  di acqua di sorgente.

    In  particolare  e'  stabilito  che   detta   utilizzazione   e/o immissione in commercio e' subordinata all'autorizzazione  regionale, la quale e' rilasciata previo accertamento che gli impianti destinati all'utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo di  inquinamento   e   da   conservare   all'acqua   le   proprieta', corrispondenti alla sua qualificazione, esistenti alla sorgente, e  - per le acque minerali - fatte salve  le  modifiche  apportate  con  i trattamenti di cui all'articolo 7, comma 1, lettere b), c) e d) dello stesso decreto; mentre  -  per  le  acque  di  sorgente  -  allorche' sussistano le condizioni di cui all'articolo 23, tenendo conto  delle operazioni consentite dall'articolo 24.

    Dette  norme  ripropongono  integralmente  quanto  gia'  previsto dall'art. 5  del  previgente  d.lgs.  n.  105/1992,  attuativo  della precedente  Direttiva  80/777/CE  in  materia  di  acque  minerali  e dall'art. 3 attuativo della direttiva 96/70/CE in materia di acque di sorgente.

    Tuttavia a seguito del citato d.lgs.  n.  105,  e  soprattutto  a seguito dei Regolamenti comunitari in materia di igiene dei  prodotti alimentari (Regolamenti comunitari numeri 852 e  853  del  2004),  la Regione Toscana aveva  gia'  provveduto  -  con  L.R.  n.  38/2004  e relativo regolamento attuativo n.  1/R  del  2009  -  a  disciplinare l'iter   autorizzativo   relativo   all'avvio    dell'attivita'    di utilizzazione dell'acqua  minerale  e/o  di  sorgente  attraverso  lo strumento della DIA. L'art. 41 della citata  legge  regionale  n.  38 dispone, infatti,  che  «L'avvio  di  un'attivita'  di  utilizzazione dell'acqua minerale naturale e di sorgente  e'  assoggettato  ad  una dichiarazione di inizio attivita', presentata al  comune,  attestante il possesso dei requisiti previsti dall'articolo 42 e dal regolamento (CE) 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio  del  29  aprile 2004 sull'igiene dei prodotti  alimentari.  L'attivita'  puo'  essere avviata dalla data di ricevimento della dichiarazione».

    La disciplina oggetto del d.lgs. n. 176 in  esame  e'  senz'altro riconducibile  alle  materie  della  tutela  della  salute  e   della alimentazione,  entrambe  ricomprese  nell'elenco  delle  materie  di competenza concorrente regionale di cui all'art. 117, comma 3, Cost. Peraltro, fin dal d.P.R.  n.  616/77  (combinato  disposto  degli artt. 50 e  61)  sono  state  trasferite  alle  Regioni  le  funzioni amministrative relative alla materia «acque minerali e  termali»,  le quali - secondo il disposto  dei  citati  articoli  -  concernono  la ricerca e  l'utilizzazione  delle  acque  minerali  e  termali  e  la vigilanza sulle attivita' relative,  ivi  comprese  la  pronuncia  di decadenza del concessionario.

    Cio' e' stato successivamente confermato con la legge  Bassanini, legge n. 59/1997, all'art. 22,  secondo  cui  «Sono  trasferite  alle regioni le funzioni amministrative dello Stato in materia di  ricerca e utilizzazione delle acque minerali e termali e la  vigilanza  sulle attivita' relative».

    Alla luce di tutto quanto sopra, le norme in esame,  nella  parte in cui disciplinano puntualmente gli iter autorizzativi  per  l'avvio dell'utilizzazione   delle   acque   minerali   e/o   di    sorgente, rappresentano senz'altro un  inammissibile  passo  indietro  rispetto alle attribuzioni regionali cosi' come delineate  anche  dal  sistema normativo antecedente la riforma del Titolo V della Costituzione  (in tal senso si veda la sentenza della Corte costituzionale n.  200  del 2009). In ogni caso, trattandosi di materie (la tutela della salute e l'alimentazione)  di  competenza  concorrente,  lo   Stato   dovrebbe limitarsi ad indicare i principi fondamentali. Per contro,  andare  a disciplinare cosi' nel dettaglio il momento autorizzativo, si traduce in  una  lesione  delle  prerogative   regionali   costituzionalmente garantite, cio' in violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost.

    Va infine rilevato che gia' in sede di Conferenza  Stato-Regioni, le   Regioni    avevano    rilevato    i    suddetti    profili    di incostituzionalita';  lo  Stato,  controdeducendo  agli   emendamenti proposti dalle Regioni in ordine a dette  norme,  avrebbe  richiamato quale elemento ostativo  all'accoglimento  delle  proposte  regionali quanto previsto all'Allegato II della direttiva  2009/54/CE,  secondo cui «1. L'utilizzazione di una sorgente d'acqua minerale naturale  e' subordinata all'autorizzazione dell'autorita' responsabile del  Paese in cui l'acqua e'  stata  estratta,  previo  accertamento  della  sua conformita' ai criteri di cui all'allegato I, parte 1».

    A tal proposito si osserva innanzitutto che l'autorizzazione  cui si riferisce la direttiva comunitaria deve  essere  intesa  in  senso lato, tale da ricomprendere tutti gli strumenti autorizzatori tra cui anche la DIA e/o la SCIA.

    Inoltre, l'allegato I, parte I della direttiva 2009/54/CE, cui fa riferimento la norma comunitaria citata, definisce le caratteristiche che devono presentare le acque minerali naturali e  /o  le  acque  di sorgente per essere classificate come  tali,  specificando  quindi  i principi fondamentali alla base della definizione. Tali principi sono stati recepiti nel d.lgs. n. 176/2011 all'art.  2,  mentre  le  altre sezioni dell'Allegato I  della  direttiva  2009/54/CE  sono  recepite nell'articolo 3 che rimanda ad un  successivo  decreto  del  Ministro della salute, sentito il Consiglio  superiore  di  sanita',  con  cui saranno determinati i criteri di  valutazione  delle  caratteristiche delle acque minerali naturali.

    La  valutazione  delle  caratteristiche  delle   acque   minerali naturali, di cui all'Allegato I, parte I della direttiva  2009/54/CE, e' dunque alla  base  del  riconoscimento  ministeriale  disciplinato dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 176/2011.

    Pertanto, la previsione indicata nella parte 1  dell'Allegato  II della direttiva  2009/54/CE  in  ordine  alla  necessita'  che  siano previamente accertati i «criteri di cui all'allegato I, parte I»,  e' riferito  al  procedimento  di  riconoscimento  di   acqua   minerale naturale, senza che cio' contempli da parte dell'Autorita'  sanitaria locale specifici accertamenti di natura  tecnico-professionale.  Tale adempimento e' quindi compatibile  con  lo  strumento  autorizzatorio regionale che contempla la DIA e/o SCIA.

    Ed ancora, la previsione dell'autorizzazione  formale  contrasta, peraltro, con il regime delle liberalizzazioni gia'  avviato  con  il d.l. n. 138/2011 (art. 3) ed oggi portato a compimento con il d.l. n. 201/2011, il quale  all'art.  34  prevede  «2.  La  disciplina  delle attivita' economiche  e'  improntata  al  principio  di  liberta'  di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le  esigenze imperative di  interesse  generale,  costituzionalmente  rilevanti  e compatibili con l'ordinamento comunitario, che  possono  giustificare l'introduzione  di   previ   atti   amministrativi   di   assenso   o autorizzazione  o  di  controllo,  nel  rispetto  del  principio   di proporzionalita'. [...] 4. L'introduzione di un regime amministrativo volto  a  sottoporre   a   previa   autorizzazione   l'esercizio   di un'attivita'  economica   deve   essere   giustificato   sulla   base dell'esistenza di un interesse generale, costituzionalmente rilevante e  compatibile  con  l'ordinamento  comunitario,  nel  rispetto   del principio di proporzionalita'. [...] 6. Quando e' stabilita, ai sensi del comma 4, la necessita' di alcuni  requisiti  per  l'esercizio  di attivita'  economiche,  la  loro  comunicazione   all'amministrazione competente deve poter essere data sempre tramite autocertificazione e l'attivita' puo'  subito  iniziare,  salvo  il  successivo  controllo amministrativo, da svolgere in un termine definito; restano salve  le

responsabilita'  per  i  danni   eventualmente   arrecati   a   terzi nell'esercizio dell'attivita'  stessa.  7.  Le  Regioni  adeguano  la legislazione di loro competenza ai principi e alle regole di  cui  ai commi 2, 4 e 6.».

    In   conclusione   le   disposizioni   in   esame   rappresentano un'illegittima lesione delle prerogative regionali costituzionalmente garantite in quanto disciplinano in maniera puntuale il  procedimento autorizzativo con riferimento a materie, quali la tutela della salute e l'alimentazione, di competenza concorrente, in relazione alla quale lo  Stato  deve  limitarsi  a  dettare  esclusivamente   i   principi fondamentali; cio' in violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost.

    2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1,  lettera a) e dell'art. 23, comma 1, lettera a), nella parte in cui  prevedono tra i criteri per il rilascio dell'autorizzazione di cui  si  tratta, tra le altre cose, l'accertamento che  la  sorgente  o  il  punto  di emergenza siano protetti contro ogni pericolo di inquinamento e siano applicate, ai fini della tutela dei corpi idrici, le disposizioni  di cui alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152, per violazione degli artt. 117, comma 3 e 118 Cost.

    Si rileva  ulteriormente  l'incostituzionalita'  degli  artt.  7, comma 1, lettera a) e 23, comma 1, lettera a), sotto  altro  profilo, ancorche' in via meramente cautelativa, nella parte in cui  prevedono tra i criteri per il rilascio dell'autorizzazione di cui  si  tratta, tra le altre cose, l'accertamento che  la  sorgente  o  il  punto  di emergenza siano protetti contro ogni pericolo di inquinamento e siano applicate, ai fini della tutela dei corpi idrici, le disposizioni  di cui alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

    In particolare, detto  ultimo  periodo  non  appare  conforme  al dettato costituzionale, nella misura in cui il riferimento alla Parte Terza  del  decreto  legislativo  n.  152/2006   non   possa   essere considerato dalle Regioni (solo) come livello minimo  di  protezione.

In altri termini detta  disposizione  appare  violare  la  competenza regionale ex art. 117, comma 3, in materia di tutela della salute  ed alimentazione, ove dovesse essere interpretata nel senso di  ritenere precluso per le Regioni l'applicazione di misure di  protezione  piu' rigorose.

    Infatti, l'invocata disciplina della Parte Terza  del  d.lgs.  n. 152/2006 (art. 94) e' relativa alle aree di salvaguardia delle  acque superficiali  e  sotterranee  destinate  al  consumo   umano   (acque disciplinate dal d.lgs. n. 31/2001, di  recepimento  della  direttiva 98/83/CE),   per   le   quali   e'   previsto   un   trattamento   di potabilizzazione; al contrario, per le acque minerali naturali e/o di sorgente  non  e'  ammesso  alcun  trattamento  di  potabilizzazione, pertanto le misure del  d.lgs.  n.  152/2006  potrebbero  non  essere sufficienti  a  garantire  la  protezione  del  giacimento  di  acque

minerale.  Non  potrebbe  pertanto  (legittimamente)  escludersi   la possibilita' per le Regioni di valutare, sulla base di  criteri  piu' restrittivi  rispetto  a  quelli  imposti  dal  d.lgs.  n.  152/2006, l'identificazione delle necessarie aree di salvaguardia.

    La Corte Costituzionale a tal proposito ha affermato che «L'esame di alcune delle  censure  proposte  nei  ricorsi  presuppone  che  si risponda all'interrogativo se i valori-soglia (limiti di esposizione, valori di attenzione, obiettivi di qualita' definiti come  valori  di campo), la cui fissazione  e'  rimessa  allo  Stato,  possano  essere modificati dalla Regione, fissando valori-soglia piu' bassi, o regole piu' rigorose o tempi piu' ravvicinati per la loro adozione.

    La  risposta  richiede  che  si  chiarisca  la  ratio   di   tale fissazione. Se essa consistesse  esclusivamente  nella  tutela  della salute», come e' evidentemente nel caso delle autorizzazioni  di  cui al d.lgs. n. 176/2011 qui contestato, «potrebbe invero essere  lecito considerare ammissibile un intervento delle  Regioni  che  stabilisse limiti piu' rigorosi  rispetto  a  quelli  fissati  dallo  Stato,  in coerenza con il principio, proprio anche del diritto comunitario, che ammette deroghe alla disciplina comune, in specifici  territori,  con effetti di maggiore protezione dei valori tutelati (cfr. sentenze  n. 382 del 1999 e n. 407 del 2002)» (cfr.  sentenze  nn.  307/2003).  Ed ancora, «le disposizioni  [rectius  regionali]  censurate  contengono prescrizioni cautelative volte ad incidere,  in  primo  luogo,  sugli strumenti urbanistici generali e sulle loro  varianti,  con  riguardo alle distanze tra le aree destinate a nuove costruzioni residenziali, scolastiche e sanitarie e le linee elettriche aeree esterne, nonche', al tempo stesso, sulle distanze che vanno mantenute fra  le  medesime linee elettriche,  ove  di  nuova  installazione,  e  le  costruzioni esistenti.

    L'espresso riferimento della  legge  agli  strumenti  urbanistici dimostra come la Regione si  mantenga,  pur  sempre,  nell'ambito  di attribuzioni sue proprie ed in particolare nell'ambito di  competenze che -  anche  a  trascurare  il  piu'  recente  intervento  normativo rappresentato dagli artt. 51 e seguenti del  decreto  legislativo  31 marzo 1998, n. 112 - attengono, secondo la definizione di urbanistica enucleabile dall'art. 80 del d.P.R. 24  luglio  1977,  n.  616,  alla «disciplina  del  territorio  comprensiva  di   tutti   gli   aspetti conoscitivi, normativi e  gestionali  riguardanti  le  operazioni  di salvaguardia e di trasformazione  del  suolo  nonche'  la  protezione dell'ambiente».

    Come si evince dalla disposizione teste' riportata, alla funzione di governo del territorio  si  riallaccia  anche  una  competenza  in materia  di  interessi  ambientali,  da  reputare  costituzionalmente garantita e funzionalmente collegata, secondo quanto gia' a suo tempo evidenziato da questa Corte (sentenza n. 183 del  1987),  alle  altre spettanti  alla  Regione,  tra  cui,  oltre  all'urbanistica,   quale funzione ordinatrice  dell'uso  e  delle  trasformazioni  del  suolo, quella  dell'assistenza  sanitaria,  intesa  come   complesso   degli interventi positivi per la tutela e promozione della salute umana.

    Nell'ambito di un tale assetto ordinamentale,  la  Regione,  come ente rappresentativo della molteplicita' degli interessi legati  alla dimensione territoriale, non puo' non reputarsi  titolare  anche  del potere di verifica della compatibilita' degli interventi che, attuati dai vari soggetti, comportano effetti sul territorio.  Ed  e'  questa indubbiamente la prospettiva nella quale appare collocarsi  la  legge denunciata, che rimane nell'ambito delle competenze regionali,  anche se comporta l'imposizione di distanze superiori  a  quelle  richieste per il rispetto dei limiti massimi di esposizione ai campi  elettrico

e  magnetico,  quali  stabiliti  dallo  Stato  nell'esercizio   delle attribuzioni ad esso riservate dall'art. 4 della  legge  n.  833  del 1978 e dall'art. 2, comma 14, della legge n. 349 del  1986.  Ma  tali attribuzioni non  possono  indurre  a  ritenere  incostituzionale  la denunciata disciplina, specie a considerare che essa se, da un canto, implica limiti  piu'  severi  di  quelli  fissati  dallo  Stato,  non vanifica, dall'altro, in alcun modo gli obiettivi di protezione della salute da quest'ultimo perseguiti» (cfr. in  tal  senso  sentenza  n. 382/1999).

    Si  rileva  pertanto  la  lesione  delle   competenze   regionali costituzionalmente garantite in materia  di  tutela  della  salute  e alimentazione, da parte delle norme in esame, ove i richiamati limiti di cui alla Parte Terza del d.lgs. n. 152/2006 dovessero considerarsi inderogabili dalle Regioni a favore  di  misure  piu'  rigorose,  con conseguente violazione degli arti. 17, comma 3, e 118 Cost.

    3. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 16  e  17  nonche' degli artt. 29 e 30, nella parte  in  cui  disciplinano  puntualmente l'attivita'  di  vigilanza  sulle  utilizzazioni  e  sul   commercio, rispettivamente, delle acque minerali e delle acque di sorgente,  per violazione dell'art. 117, commi 1 e 3, e art. 118 Cost.

    Le disposizioni richiamate disciplinano l'attivita' di  vigilanza sulle utilizzazioni e sul  commercio,  rispettivamente,  delle  acque minerali e delle acque di sorgente, riproducendo  nella  sostanza  la disciplina contenuta nei previgenti d.lgs. n. 105/1992  (artt.  14  e 15) e d.lgs. n. 339/1999 (artt. 11 e  12).  La  riproposizione  delle disposizioni in tema di vigilanza cosi' come previste dai  su  citati decreti del 1992 e del 1999 (disciplina peraltro non contenuta  nella direttiva 2009/54/CE, cui il  d.lgs.  n.  176/2011  da'  attuazione), finiscono  per  configurare  un  doppio  sistema  di  controllo,  uno specifico sulle acque minerali naturali e/o di sorgente, disciplinato dal decreto legislativo in esame ed uno sulla  sicurezza  alimentare, derivante  dal  regolamento  CE  882/20004,   nel   cui   ambito   di operativita' vanno evidentemente  ricondotti  anche  i  controlli  in ordine alle acque di cui  si  tratta.  Tale  duplicazione  non  trova giustificazioni normative, amministrative,  tecniche  e  sanitarie  e determina un aggravio di costi  per  i  sistemi  sanitari  regionali, senza alcun beneficio in punto di tutela della salute pubblica.

    Tali norme appaiono, in primo luogo,  lesive  delle  attribuzioni regionali in quanto intervengono,  con  una  disciplina  puntuale,  a regolamentare le funzioni di  vigilanza  attribuite  da  sempre  alle Regioni (si vedano le considerazioni  gia'  svolte  al  punto  1  del presente ricorso), ed attinenti - come visto  -  alla  materia  della tutela della  salute  e  dell'alimentazione  in  cui  lo  Stato  puo' intervenire solo con disposizioni di principio; cio' in contrasto con gli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.

    Inoltre, si ripete, la disciplina in esame delinea un sistema  di vigilanza e di controllo mututato dalla vecchia normativa statale  la quale, evidentemente, non tiene in alcun conto della  disciplina  nel frattempo adottata  a  livello  comunitario  con  il  regolamento  CE 882/2004, recante Regolamento del Parlamento europeo e del  Consiglio relativo ai controlli ufficiali intesi a  verificare  la  conformita' alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul  benessere  degli  animali,  che  regola  la  disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, nonche' con il Regolamento  CE  n.  178/2002,  recante Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che  stabilisce  i principi  e  i  requisiti  generali  della  legislazione  alimentare, istituisce l'Autorita' europea per la sicurezza  alimentare  e  fissa procedure nel  campo  della  sicurezza  alimentare,  che  prevede  un procedimento di allerta per alimenti e mangimi, non conforme a quello previsto dal decreto legislativo n. 176 in esame.

    A titolo esemplificativo si evidenzia che:

        all'art.  17  e  all'art.  30,  si  richiamano,   in   quanto compatibili, le norme vigenti in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle  bevande (di cui al Reg. CE 882/2004), solo con riferimento alle modalita'  da osservare per le denunce all'autorita' sanitaria e giudiziaria, per i sequestri da effettuare a tutela  della  salute  pubblica  e  per  le revisioni di analisi che,  tuttavia,  rappresentano  soltanto  alcune delle attivita' riguardanti il controllo ufficiale;

        ed ancora, gli artt. 16, comma 6, e 29, comma  6,  dispongono che nel caso in cui venga accertato che  un'acqua  minerale  naturale e/o di sorgente, proveniente da uno Stato membro dell'Unione europea, non  risulti  conforme  alle  disposizioni  del  presente  decreto  o presenti  un  pericolo  per  la  salute  pubblica,   ferma   restando l'adozione di provvedimenti urgenti a tutela della  salute  pubblica, e'  fatto  obbligo  alle  autorita'  competenti  di  darne  immediata comunicazione al Ministero  della  salute  precisando  i  motivi  dei provvedimenti adottati. Detta  procedura  contrasta  con  il  sistema rapido di allerta  per  alimenti  e  mangimi  vigente  in  ambito  di

sicurezza alimentare.

    Sotto  questo  profilo  puo'  evidenziarsi   quindi   l'ulteriore violazione dell'art. 117, comma 1,  Cost.,  in  quanto  la  normativa statale di cui si tratta contrasta  con  quanto  disposto  a  livello comunitario.

    Anche in tal caso, poi, come  per  il  regime  autorizzativo,  la disciplina statale in esame e' difforme  da  quanto  ha  disposto  la Regione Toscana, conformemente alla su citata normativa  comunitaria, con l'art. 46 della l.r. n. 38/2004 (poi specificato negli artt. 25 e ss. del DPGR 11/R/2009), ove si legge:

    «1. Il controllo ufficiale sull'attivita' di utilizzazione  delle acque minerali naturali e di sorgente e' effettuato dalle aziende USL in conformita' alle disposizioni del regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento e del Consiglio, del 29 aprile 2004 relativo ai  controlli ufficiali intesi  a  verificare  la  conformita'  alla  normativa  in materia di mangimi e di alimenti e alle  norme  sulla  salute  e  sul benessere degli animali.

    1-bis. Con regolamento d'attuazione sono individuate le modalita' di svolgimento del controllo ufficiale sulle acque minerali  naturali e di sorgente, e in particolare:

        a) le procedure e le  modalita'  del  prelievo  dei  campioni delle acque minerali naturali e di sorgente e  dell'esecuzione  delle relative  analisi   compresi   i   criteri   e   le   modalita'   per l'aggiornamento anticipato delle analisi in etichetta;

        b) le modalita' di trasporto dei campioni  e  la  definizione del  personale  competente  all'esecuzione  dei  prelievi   e   delle ispezioni;

        c) le frequenze minime di controllo nelle varie  parti  della filiera;

        d) le modalita' di effettuazione dei controlli, ivi  compresi quelli analitici, e di ripartizione dei costi;

        e) i metodi analitici per  la  determinazione  dei  parametri chimici, chimico-fisici e microbiologici;

        f)   le   procedure   per   l'emissione   del   giudizio   di accettabilita' sui campioni  prelevati  e  per  l'invio  dei  referti analitici;

        g) le procedure di verifica della corretta  applicazione  del piano di autocontrollo.».

    Le norme in esame violano pertanto gli artt. 117, commi 1 e 3,  e 118 Cost.

 

 

                              P. Q. M.

 

    Si conclude affinche'  piaccia  all'ecc.ma  Corte  costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 6; 7, comma 1; 16; 17; 22; 23, comma 1; 29 e 30 del decreto  legislativo  8  ottobre 2011, n. 176, per violazione dell'art. 117,  commi  1  e  3,  nonche' dell'art. 118 Cost.

    Si allega la delibera della  Giunta  Regionale  n.  1245  del  27

dicembre.

 

        Firenze-Roma, addi' 2 gennaio 2012

 

                              Avv. Bora

 

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