ricorso n. 2 del 7 gennaio 2015 (Regione Abruzzo)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 7 gennaio 2015 (della Regione Abruzzo).
(GU n. 6 del 2015-02-11)
Ricorso del Presidente della Giunta Regionale Regione Abruzzo
(Codice fiscale n. …), in persona del suo Presidente pro
tempore dott. Luciano D'Alfonso (Codice fiscale n. …),
giusta delibera della Giunta Regionale n. 861 del 16 dicembre 2014,
rappresentato e difeso dall'Avvocato Manuela de Marzo
(…) (…) dell' Avvocatura
Regionale, ai sensi della LR n. 9 del 14 febbraio 2000 ed in virtu'
di procura speciale a margine del presente atto, elettivamente
domiciliato presso e nello studio dell'Avv. Francesca Lalli, in Roma,
via Lucio Sestio, 12, Sc. C, Roma;
Contro
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso ex
lege dall'Avvocatura Generale dello Stato.
Per la declaratoria della illegittimita' costituzionale degli
artt. 37 e 38, decreto-legge 133/2014, quali risultanti dalla legge
di conversione n. 164/2014, per contrasto con gli artt. 117, 3°
comma, e 118, 1° comma, Cost., nonche' con l'art. 117, 1° comma,
Cost. in relazione alla Direttiva 94/22/CE recepita in Italia con
decreto legislativo n. 625/1996.
La proposizione del presente ricorso e' stata deliberata dalla
Giunta Regionale dell'Abruzzo nella seduta del 16 dicembre 2014.
Il decreto-legge n. 133/2014 (recante «Misure urgenti per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica,
l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle
attivita' produttive.») con legge n. 164 dell'11 novembre 2014,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 262 dell'11 novembre 2014, e'
stato convertito in legge con modificazioni, tra l'altro, anche degli
artt. 37 e 38 che dettano misure urgenti in materia di energia e che,
nell'intento dichiarato dai promotori, dovrebbero rilanciare e
valorizzare la produzione nazionale di idrocarburi, garantendone la
sicurezza.
La normativa sopra richiamata esplica la sua efficacia sul
territorio regionale della Regione Abruzzo in particolare in
relazione ai procedimenti ad oggi in corso e relativi proprio alle
attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi
che interessano la medesima Regione Abruzzo.
Dette disposizioni presentano profili di illegittimita'
costituzionale per i seguenti:
Motivi
Prima di entrare nel merito specifico delle censure, questa
difesa ritiene necessario premettere una breve disamina dell'origine
del testo normativo oggi impugnato.
In data 29 agosto 2014, il Consiglio dei Ministri ha approvato il
decreto-legge n. 133/2014, recante «Disposizioni urgenti per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica,
l'emergenza del dissesto idrogeologico, la ripresa delle attivita'
produttive», entrato in vigore il 13 settembre 2014.
Gia' all'indomani dell'entrata in vigore del decreto cd. «sblocca
Italia» le Regioni, ivi compreso l'Abruzzo, hanno manifestato al
Governo, in sede di Conferenza Stato-Regioni, le criticita' del
decreto medesimo e del relativo disegno di conversione come di
seguito brevemente riassunto.
Il decreto-legge n. 133/2014, nell'introdurre misure urgenti in
materia di energia, agli artt. 37 e 38 ha riconosciuto alle attivita'
di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi ed a quelle di
stoccaggio sotterraneo, la qualifica di interesse strategico,
pubblica utilita', urgenza ed indifferibilita' volendo con cio'
attrarre la materia nella competenza esclusiva statale sottraendola a
quella concorrente cui invece indubbiamente spetta ex art. 117, 3°
comma, Cost.
L'attribuzione del carattere «di interesse strategico», infatti,
risultava assolutamente generica e carente della fissazione dei
presupposti necessari ad individuarne specificamente l'ambito di
applicazione.
Le denunciate disposizioni configuravano, in realta', una
«chiamata in sussidiarieta'» (in materia di produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell'energia, riservata alla competenza
legislativa concorrente) senza che a monte vi fosse stata
l'imprescindibile intesa con le Regioni territorialmente interessate.
Ciononostante, il Governo ha proceduto all'approvazione della
legge di conversione (n. 164/2014) senza tener in alcun conto le
istanze manifestate in ordine agli articoli 37 e 38, che, pertanto,
presentano ancora profili di illegittimita' costituzionale come di
seguito motivato.
Preliminarmente si ribadisce che entrambi gli articoli censurati,
introdotti nel panorama normativo con ricorso allo strumento del
decreto-legge, oggi convertito in legge, appaiono scarsamente
motivati sul piano della sussistenza dei presupposti di straordinaria
necessita' ed urgenza, richiamati in realta' con formulazioni
apodittiche.
Al contrario, come ribadito da codesta Ecc.ma Corte (cfr. da
ultimo sent. n. 220/2013), «i decreti-legge traggono la loro
legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati ad
operare immediatamente, allo scopo di dare risposte normative rapide
a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a
fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessita'. Per questo motivo,
il legislatore ordinario, con una norma di portata generale, ha
previsto che il decreto-legge debba contenere «misure di immediata
applicazione» (art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400
«Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza
del Consiglio dei ministri»)».
Tale ultima disposizione, pur non avendo, sul piano formale,
rango costituzionale, esprime ed esplicita cio' che deve ritenersi
intrinseco alla natura stessa del decreto-legge (sentenza n. 22 del
2012), che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse se
contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti
nel tempo, in quanto recanti, com'e' nel caso di specie, discipline
mirate alla individuazione di nuovi e definitivi meccanismi di
distribuzione delle competenze, peraltro a Costituzione invariata.
Per altro verso, e' altresi' incontestabile che i tempi realmente
necessari all'attivita' di ricerca delle fonti energetiche non si
conciliano con un intervento dichiarato urgente.
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 37, (Misure urgenti
per l'approvvigionamento e il trasporto di gas
naturale) decreto-legge n. 133/2014 quale risultante dalla legge di
conversione n. 164/2014 per violazione degli artt. 117, 3° comma, e
118, 1° comma, Cost.. L'art. 37 cit. stabilisce che «i gasdotti di
importazione di gas dall'estero, i terminali di rigassificazione di
GNL, gli stoccaggi di gas naturale e le infrastrutture della rete
nazionale di trasporto del gas naturale, incluse le operazioni
preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative
opere connesse rivestono carattere di interesse strategico e
costituiscono una priorita' a carattere nazionale e sono di pubblica
utilita', nonche' indifferibili e urgenti ai sensi del decreto del
Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327», e che, per tale
motivo, i relativi procedimenti saranno garantiti da una serie di
semplificazioni ed incentivi.
Orbene, la Regione Abruzzo rileva in primo luogo che la suddetta
materia, essendo attinente alle attivita' di ricerca e coltivazione
di idrocarburi liquidi e gassosi, va senza alcun dubbio ricompresa
nell'ambito della legislazione concorrente e che, dunque, l'art. 37
cit. e' lesivo della sfera di competenza delle Regioni e, come tale,
costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 117, 3°
comma, Cost.
La norma in questione si pone in contrasto anche con l'art. 118,
1° comma, Cost., e con il principio di leale collaborazione, nella
parte in cui, in materia appartenente alla competenza legislativa
concorrente di Stato e Regioni, ha attribuito d'imperio a tutte le
infrastrutture in questione la qualifica di opere di interesse
strategico senza alcuna previa intesa con le Regioni interessate.
Non solo, ma l'assoluta genericita' della norma oggi censurata,
rende addirittura impossibile definire quale sia l'esatta tipologia
delle infrastrutture da autorizzare, cosi' come il mancato
coinvolgimento delle amministrazioni regionali rende impossibile
valutare il grado di impatto attuale e futuro sui territori oggetto
delle attivita' in questione.
Essa, dunque, invece che aumentare la sicurezza di
approvvigionamento (come dichiarato dai suoi promotori) avra' quale
unica conseguenza quella di moltiplicare le infrastrutture in
questione senza che venga effettuata a monte una doverosa valutazione
(costituzionalmente di spettanza delle Regioni dei territori
interessati) delle necessita' e priorita', come anche dell'impatto
ambientale, sociale ed economico, di ciascuna opera.
La norma impugnata, inoltre, manca di una quantificazione
specifica delle forme di retribuzione economica che l'Autorita' per
l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico, puo' concedere,
nonche' dell'indicazione, quantomeno, dell'intensita' dell'aiuto
diretto alla ricerca nel sottosuolo di gas ed idrocarburi. Essa si
limita a disporre che l'Autorita' per l'energia elettrica, il gas e
il servizio idrico, stabilisce meccanismi tariffari incentivanti gli
investimenti per lo sviluppo di ulteriori prestazioni di punta
effettuati a decorrere dal 2015, in tal modo impedendo finanche di
verificare se cio' possa costituire o meno un aiuto di Stato agli
operatori nazionali coinvolti. Infine, si rileva che le misure
previste in materia di approvvigionamento energetico, attraverso
energie rinnovabili, riduce significativamente e retroattivamente gli
incentivi gia' previsti riducendo le possibilita' di avvantaggiarsi
degli investimenti internazionali e limitando il governo del
territorio da parte della Regione.
Da tutto quanto sopra esposto risulta evidente
l'incostituzionalita' dell'art. 37, decreto-legge n. 133/2014, come
convertito con legge n. 164/2014, per violazione degli artt. 117, 3°
comma, e 118, 1° comma, Cost.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 38, (Misure per la
valorizzazione delle risorse energetiche nazionali) decreto-legge n.
133/2014 quale risultante dalla legge di conversione n. 164/2014, per
violazione degli artt. 117, 3° comma, nonche' 1° comma (in relazione
alla Direttiva 94/22/CE recepita in Italia con decreto legislativo n.
625/1996) e 118, comma 1, Cost..
Anche l'art. 38 cit. merita le medesime censure di
incostituzionalita' gia' motivate in relazione all'art. 37, in quanto
attribuisce allo Stato, in via esclusiva, la potesta' autorizzatoria
in materia appartenente alla competenza concorrente in violazione
degli art. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost..
L'art. 117, comma 3, Cost., infatti, annovera la materia
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» tra le
materie di legislazione concorrente, ripartendone la legislazione tra
lo Stato, chiamato a stabilirne i principi fondamentali, e le Regioni
chiamate a dettarne la concreta disciplina nel rispetto degli stessi
principi.
Orbene, e' assolutamente incontestabile che nel suddetto ambito
rientrano le attivita' del settore energetico oggetto dell'intervento
normativo statale oggi censurato.
Al fine di dimostrare l'illegittimita' costituzionale dell'art.
38 cit., questa difesa ritiene utile argomentare per singoli commi.
Comma 1: «Al fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali
e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, le
attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e
quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere
di interesse strategico e sono di pubblica utilita', urgenti e
indifferibili. I relativi titoli abilitativi comprendono pertanto la
dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' ed urgenza
dell'opera e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei
beni in essa compresi, conformemente al decreto del Presidente della
Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, recante il testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione
per pubblica utilita'.».
La norma, nel qualificare le attivita' di prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas
naturale, come attivita' di interesse strategico, di pubblica
utilita', urgenti e indifferibili, risulta illegittimamente generica
e soprattutto priva di motivazione idonea a giustificare
l'attribuzione del predetto status giuridico. In particolare, i
requisiti dell'urgenza e dell'indifferibilita' degli interventi non
possono per definizione essere stabiliti a priori, quindi in via
generale ed astratta, ma richiedono una motivazione specifica,
circoscritta caso per caso a ciascun singolo intervento, e connessa a
circostanze o situazioni concrete e straordinarie, che mancano del
tutto nel caso in esame.
Inoltre, l'attribuzione del carattere di «strategicita'» comporta
l'applicazione alle attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione
di idrocarburi nonche' di stoccaggio sotterraneo di gas naturale,
della seguente procedura semplificata ed accelerata di Valutazione di
Impatto Ambientale:
la Commissione VIA esamina il progetto preliminare;
il CIPE valuta la compatibilita' ambientale (mentre le
amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente e dei beni
paesaggisti e culturali rendono solo un parere);
i cittadini e gli enti locali interessati possono presentare
osservazioni sul progetto preliminare, nel termine tassativo di 30
giorni (ma non sono previste controdeduzioni alle medesime);
dopo l'eventuale giudizio positivo, reso dal CIPE sul
progetto preliminare, il proponente sviluppa il progetto definitivo;
il progetto definitivo viene valutato semplicemente sotto il
profilo dell'ottemperanza o meno alle prescrizioni gia' date in sede
di esame di progetto preliminare (senza tener conto di tutti gli
impatti che emergeranno, invece, solo in sede di progetto
definitivo).
Prima di tale intervento normativo, al contrario, la procedura di
VIA in materia di sfruttamento di risorse energetiche richiedeva:
la valutazione di impatto ambientale sul progetto definitivo;
la presentazione di osservazioni da parte di chiunque
interessato al progetto entro 60 giorni;
la valutazione dei pareri forniti dalle P.A. e delle
osservazioni dei cittadini;
la conclusione del procedimento da parte del Ministero
dell'ambiente con emanazione di un provvedimento di VIA espresso,
motivato e reso anche nell'ambito di una Conferenza di servizi. Da
quanto sopra, risulta evidente che l'estensione delle procedure
semplificate ed accelerate ad una larghissima ed imprecisata
categoria di interventi, inibisce l'intervento delle Regioni
nell'iter autorizzativo in questione, in violazione degli artt. 117,
3° comma, e 118, 1° comma, Cost..
Comma 1-bis: «Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio
decreto, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono
consentite le attivita' di cui al comma 1.»
La norma autorizza il Ministro dello Sviluppo economico a
predisporre un piano che individui le aree nelle quali consentire le
attivita' in parola, senza, tuttavia, ne' coinvolgere le Regioni, ne'
individuare i criteri da seguire nell'elaborazione del piano
medesimo, il quale, potenzialmente, potrebbe riguardare tutto il
territorio nazionale, violando cosi' le prerogative delle Regioni.
Come chiarito infatti da codesta Ecc.ma Corte (cfr. sentenza n.
383/2005), in materia di «programmazione» energetica, e'
assolutamente necessaria l'acquisizione di una intesa «in senso
forte» da parte della Conferenza unificata.
Ne deriva che anche il comma 1 bis cit. si pone in contrasto con
gli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost., nonche' con il
principio di leale collaborazione; esso, infatti, esclude del tutto
le Regioni dalla programmazione delle reti infrastrutturali
energetiche di interesse nazionale e dalla loro articolazione
territoriale, benche' l'esercizio di tali funzioni incida sulle
competenze regionali in materia di energia, nonche' di governo del
territorio e tutela della salute.
Comma 4: «Per i procedimenti di valutazione di impatto ambientale
in corso presso le regioni alla data di entrata in vigore del
presente decreto, relativi alla prospezione, ricerca e coltivazione
di idrocarburi, la regione presso la quale e' stato avviato il
procedimento conclude lo stesso entro il 31 marzo 2015. Decorso
inutilmente tale termine, la Regione trasmette la relativa
documentazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare per i seguiti istruttori di competenza, dandone
notizia al Ministero dello sviluppo economico.
I conseguenti oneri di spesa istruttori rimangono a carico delle
societa' proponenti e sono versati all'entrata del bilancio dello
Stato per essere successivamente riassegnati al Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.»
Gia' dalla semplice lettura del testo normativo, nonche' della
relazione al disegno di legge di conversione (cfr. doc. 2), e'
assolutamente agevole comprendere che la normativa in questione
costituisce un'avocazione allo Stato, in materia di rilascio dei
titoli abilitativi per la ricerca e produzione di idrocarburi, di
competenza regionale, cosi' motivata: «l'attuale legislazione, frutto
di una progressiva stratificazione normativa, ha condotto a un
procedimento articolato e complesso, che conduce in molti casi al
blocco dello stesso per mancanza di intese, e comunque alla
conclusione in tempi molto lunghi, quasi il doppio di quelli degli
altri Paesi OCSE.»
Per superare tali criticita', dunque, la norma oggetto di censure
ha imposto un termine temporale secco (31 marzo 2015) entro il quale,
in mancanza di conclusione dei procedimenti VIA in corso presso le
Regioni (relativi alla prospezione, ricerca e coltivazione di
idrocarburi), il Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare di fatto avoca a se' la relativa attivita'
istruttoria.
La norma, dunque, determinando un accentramento delle funzioni in
materia di VIA in capo allo Stato, in assenza di un coinvolgimento
della Regione quale soggetto attualmente titolare del procedimento
(alla quale viene assegnato unicamente ed unilateralmente un termine,
peraltro ristretto, per la conclusione dello stesso) si pone in
contrasto con i principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione
di cui all'art. 118, 1° comma, Cost., soprattutto alla luce del fatto
che tale passaggio di funzioni si riferisce a procedimenti gia' in
corso. Il legislatore statale pretende che procedimenti di VIA
avviati dalle Regioni (sulla base di norme diverse per ogni
amministrazione e che quindi prevedono modalita' diverse di
svolgimento e di assunzione delle decisioni finali) abbiano a cessare
«per decorrenza dei termini», passando automaticamente nelle mani del
Ministero dell'ambiente e seguendo una procedura semplificata ed
accelerata, senza nemmeno prevedere meccanismi transitori di
esaurimento delle procedure in atto.
Alla luce di quanto sopra esposto, e' fuor di dubbio che anche
tale disposizione concretizza un'ingerenza da parte dello Stato
rispetto a compiti e funzioni che la Regione sta legittimamente
esercitando, nel rispetto delle competenze costituzionalmente
attribuite in materia, ed il cui risultato sara' (forse) quello di
sbloccare i procedimenti in corso di autorizzazione, ma in violazione
degli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost..
Comma 5: «Le attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi
liquidi e gassosi di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, sono svolte
a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di
un programma generale di lavori articolato in una prima fase di
ricerca, per la durata di sei anni, prorogabile due volte per un
periodo di tre anni nel caso sia necessario completare le opere di
ricerca, a cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento
tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal
Ministero dello sviluppo economico, la fase di coltivazione della
durata di trenta anni, prorogabile per una o piu' volte per un
periodo di dieci anni ove siano stati adempiuti gli obblighi
derivanti dal decreto di concessione e il giacimento risulti ancora
coltivabile, e quella di ripristino finale.»
Anche il su riportato comma, nell'introdurre un «titolo
concessorio unico», per ricerca e coltivazione di idrocarburi, viene
a porsi in contrasto con l'art. 117, 1° comma, Cost., in relazione
alla Direttiva 94/22/CE (recepita in Italia con decreto legislativo
n. 625/1996) in base alla quale, invece, i titoli abilitanti devono
essere due: a) permesso di ricerca; b) concessione di coltivazione.
Tale distinzione, imposta dal diritto europeo, trova anche
internamente il suo fondamento giuridico non solo nel dovere di
rispettare i diversi regimi autorizzatori (perche' diverse sono le
opere strumentali da realizzare, nonche' le aree su cui insistere,
mare e terraferma) ma anche nel dovere di tutelare il diritto di
proprieta' dei privati.
Con riferimento a quest'ultimo aspetto, infatti, l'art. 840 c.c.
stabilisce che il proprietario del suolo e' anche proprietario dello
spazio sovrastante e di tutto cio' che si trovi sopra e sotto la
superficie. Il sottosuolo, quindi, appartiene al proprietario del
fondo fino a quando il giacimento minerario non sia scoperto e ne sia
dichiarata la coltivabilita'. Solo a partire da questo momento si ha
l'acquisizione del giacimento al patrimonio indisponibile pubblico e
solo successivamente il giacimento puo' essere dato in concessione.
Da quanto detto risulta evidente, anche sotto tale profilo, la
sostanziale diversita' tra il permesso di ricerca e la concessione di
coltivazione e stoccaggio: il primo costituisce un limite al
godimento della proprieta', la seconda costituisce nuove capacita',
poteri e diritti che altrimenti non si avrebbero.
Orbene, poiche' il legislatore nazionale e' tenuto ex art. 117,
1° comma, Cost., a rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario, la norma impugnata, che prevede un titolo autorizzatorio
unico, risulta costituzionalmente illegittima in quanto contrastante
con la previsione comunitaria (gia' recepita internamente), secondo
la quale i titoli in questione devono scaturire da due distinti
procedimenti.
Diversamente, la concessione di coltivazione verrebbe rilasciata
ancor prima della scoperta del giacimento e, dunque, paradossalmente
in carenza di una dimostrata utilita' generale. Non solo, ma essa
dovrebbe contenere sin dalla fase della ricerca persino il vincolo
preordinato all'esproprio.
Commi da 6 a 7: "Il titolo concessorio unico di cui al comma 5 e'
accordato: a) a seguito di un procedimento unico svolto nel termine
di centottanta giorni tramite apposita conferenza di servizi, nel cui
ambito e' svolta anche la valutazione ambientale preliminare del
programma complessivo dei lavori espressa, entro sessanta giorni, con
parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale
VIA/VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e
del mare; b) con decreto del Ministro dello sviluppo economico,
previa intesa con la regione o la provincia autonoma di Trento o di
Bolzano territorialmente interessata, per le attivita' da svolgere in
terraferma, sentite la Commissione per gli idrocarburi e le risorse
minerarie e le Sezioni territoriali dell'Ufficio nazionale minerario
idrocarburi e georisorse; c) a soggetti che dispongono di capacita'
tecnica, economica ed organizzativa ed offrono garanzie adeguate alla
esecuzione e realizzazione dei programmi presentati e con sede
sociale in Italia o in altri Stati membri dell'Unione europea e, a
condizioni di reciprocita', a soggetti di altri Paesi.
Il rilascio del titolo concessorio unico ai medesimi soggetti e'
subordinato alla presentazione di idonee fideiussioni bancarie o
assicurative commisurate al valore delle opere di recupero ambientale
previste." "I progetti di opere e di interventi relativi alle
attivita' di ricerca e di coltivazione di idrocarburi liquidi e
gassosi relativi a un titolo concessorio unico di cui al comma 5 sono
sottoposti a valutazione di impatto ambientale nel rispetto della
normativa dell'Unione europea. La valutazione di impatto ambientale
e' effettuata secondo le modalita' e le competenze previste dalla
parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e
successive modificazioni." "Il rilascio di nuove autorizzazioni per
la ricerca e per la coltivazione di idrocarburi e' vincolato a una
verifica sull'esistenza di tutte le garanzie economiche da parte
della societa' richiedente, per coprire i costi di un eventuale
incidente durante le attivita', commisurati a quelli derivanti dal
piu' grave incidente nei diversi scenari ipotizzati in fase di studio
ed analisi dei rischi." "Con disciplinare tipo, adottato con decreto
del Ministero dello sviluppo economico, sono stabilite, entro
centoottanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le
modalita' di conferimento del titolo concessorio unico di cui al
comma 5, nonche' le modalita' di esercizio delle relative attivita'
ai sensi del presente articolo."
Le disposizioni da ultimo trascritte disciplinano il procedimento
amministrativo per il rilascio del "titolo concessorio unico".
Al riguardo si evidenzia la totale estromissione, dai
procedimenti autorizzativi riguardanti le attivita' offshore, degli
Enti locali, la cui partecipazione era invece diritto riconosciuto
dalla legge n. 239/2004, sebbene nei limiti di cui alla successiva
legge n. 99/2009.
Oltre all'esclusione degli enti locali, nella su riportata
normativa risulta evidente anche la marginalizzazione delle Regioni
che vengono ivi considerate alla stregua di tutte le amministrazioni
che concorrono al processo decisionale.
Anche in tal caso, dunque, e' incontestabile l'illegittimita'
della norma per violazione delle competenze attribuite alle Regioni
dagli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost., che, come gia'
detto, in materia di energia presuppongono la necessita' di "intese
forti" nel rispetto del principio di leale collaborazione.
Nel dettato normativo oggi censurato, infatti, non e' previsto
che la previa intesa con la regione territorialmente interessata
avvenga in sede di Conferenza di servizi, ne' che la sua mancanza
abbia alcuna conseguenza giuridica; la' dove l'intesa forte con la
Regione si rende invece necessaria proprio al fine di compensare la
perdita di competenza avvenuta a seguito della sua attrazione in capo
allo Stato. La stessa giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte (cfr.
sent. n. 383/2005) in materia energetica, ricorda che tali intese
costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimita'
costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la
"chiamata in sussidiarieta'" di una funzione amministrativa in
materie affidate alla legislazione regionale e che, in questi casi,
la volonta' della Regione interessata non puo' essere sostituita da
una determinazione unilaterale dello Stato. (cfr. anche le sentenze
n. 482/1991 e n. 383/2005, secondo cui la Regione ha diritto di
partecipare alle decisioni assunte in sede statale con l'intesa, la
cui mancanza potrebbe provocare un conflitto di attribuzione).
Le disposizioni normative statali da ultimo richiamate,
costituiscono altresi' un uso improprio delle valutazioni ambientali,
poiche' confondono la valutazione ambientale di un programma di
ricerca (legato alla realizzazione di un singolo progetto, come tale
sottoposto a VIA), con un piano/programma che riguarda un intero
settore o categoria di interventi, quali quelli energetici (da
sottoporre invece a VAS, ai sensi della Direttiva 2001/42/CE e degli
artt. 5, commi 1 e 6, D.Lgs. n. 152/2006).
Ne consegue che la cd. Strategia Energetica Nazionale, di cui
alle norme impugnate, non e' sottoposta a VAS, mentre vi si sottopone
il singolo e specifico progetto di ricerca, dimenticando che nel
corso della ricerca si svolgono anche attivita' con impatto
ambientale, da sottoporre, invece, a VIA.
A questo ultimo proposito si rileva che il T.A.R. Puglia - Lecce,
Sez. I, (sentenze nn. 1295, 1296 e 1341 del 13-14 luglio 2011) in
fattispecie identiche a quella in esame (tre distinte ma contigue
aree di permesso per la ricerca in mare di idrocarburi con la tecnica
dell'Air Gun), ha affermato che "quando l'intervento progettato, pur
essendo suddiviso in singole frazioni anche al solo fine di
soddisfare esigenze di snellezza procedimentale dell'impresa, appare
riconducibile ad un unico programma imprenditoriale, la conseguenza
che si registra sul terreno del doveroso assoggettamento a VIA e'
senz'altro quella di una analisi che tenga conto necessariamente dei
cd impatti cumulativi".
Comma 8: "I commi 5, 6 e 6-bis si applicano, su istanza del
titolare o del richiedente, da presentare entro novanta giorni dalla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto, anche ai titoli rilasciati successivamente alla data di
entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e ai
procedimenti in corso. Il comma 4 si applica fatta salva l'opzione,
da parte dell'istante, di proseguimento del procedimento di
valutazione di impatto ambientale presso la regione, da esercitare
entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto."
La norma estende le disposizioni inerenti il titolo concessorio
unico, ed il relativo procedimento, anche ai titoli rilasciati
successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006
ed ai procedimenti in corso.
Valgano, al riguardo, le medesime considerazioni espresse con
riferimento al comma 4.
Comma 10: "All'articolo 8 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
"1-bis. Al fine di tutelare le risorse nazionali di idrocarburi
in mare localizzate nel mare continentale e in ambiti posti in
prossimita' delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di
attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi, per assicurare il
relativo gettito fiscale allo Stato e al fine di valorizzare e
provare in campo l'utilizzo delle migliori tecnologie nello
svolgimento dell'attivita' mineraria, il Ministero dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare, sentite le Regioni interessate, puo'
autorizzare, previo espletamento della procedura di valutazione di
impatto ambientale che dimostri l'assenza di effetti di subsidenza
dell'attivita' sulla costa, sull'equilibrio dell'ecosistema e sugli
insediamenti antropici, per un periodo non superiore a cinque anni,
progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti. I progetti sono
corredati sia da un'analisi tecnico-scientifica che dimostri
l'assenza di effetti di subsidenza dell'attivita' sulla costa,
sull'equilibrio dell'ecosistema e sugli insediamenti antropici e sia
dai relativi progetti e programmi dettagliati di monitoraggio e
verifica, da condurre sotto il controllo del Ministero dello sviluppo
economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare. Ove nel corso delle attivita' di verifica vengano
accertati fenomeni di subsidenza sulla costa determinati
dall'attivita', il programma dei lavori e' interrotto e
l'autorizzazione alla sperimentazione decade. Qualora al termine del
periodo di validita' dell'autorizzazione venga accertato che
l'attivita' e' stata condotta senza effetti di subsidenza
dell'attivita' sulla costa, nonche' sull'equilibrio dell'ecosistema e
sugli insediamenti antropici, il periodo di sperimentazione puo'
essere prorogato per ulteriori cinque anni, applicando le medesime
procedure di controllo.
1-ter. Nel caso di attivita' di cui al comma 1-bis, ai territori
costieri si applica quanto previsto dall'articolo 1, comma 5, della
legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni.
1-quater. All'articolo 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n.
239, e successive modificazioni, dopo le parole: "Le regioni" sono
inserite le seguenti: ", gli enti pubblici territoriali"."
La norma stabilisce che in relazione a determinate "risorse
nazionali di idrocarburi" il Ministero dello Sviluppo Economico,
sentite le regioni interessate, puo' autorizzare progetti
"sperimentali" di coltivazione di giacimenti di idrocarburi.
Anche tale disposizione e' costituzionalmente illegittima poiche'
comporta una deroga al divieto (ex art. 6, comma 17, D.Lgs. n.
152/2006) di esercizio di nuove attivita' in mare, che ricadano entro
le 12 miglia marine dalla costa, senza che sia prevista la necessaria
partecipazione regionale cd. "forte" vertendosi in materia di
legislazione concorrente.
Piu' in particolare, con il comma 10 cit. il legislatore statale
ha trasformato gli studi relativi alla verifica del mantenimento del
divieto delle attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione in
Alto Adriatico (imposto dall'art. 8, legge n. 112/2008, per il
rischio di subsidenza) in "progetti sperimentali di coltivazione",
con rilevanti ripercussioni ambientali.
Per meglio comprendere quanto sopra affermato, si ritiene
opportuno riportare il testo dell'art. 8, comma 1, cit.: "Il divieto
di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del
golfo di Venezia, di cui all'articolo 4 della legge 9 gennaio 1991,
n. 9, come modificata dall'articolo 26 della legge 31 luglio 2002, n.
179, si applica fino a quando il Consiglio dei Ministri, su proposta
del Ministro dell'ambiente, del territorio e del mare, non abbia
definitivamente accertato la non sussistenza di rischi apprezzabili
di subsidenza sulle coste, sulla base di nuovi e aggiornati studi,
che dovranno essere presentati dai titolari di permessi di ricerca e
delle concessioni di coltivazione, utilizzando i metodi di
valutazione piu' conservativi e prevedendo l'uso delle migliori
tecnologie disponibili per la coltivazione."
Se ne deduce che: mentre sinora le attivita' di prospezione,
ricerca e coltivazione di idrocarburi nell'Alto Adriatico facevano
capo al solo Ministero dell'Ambiente (cosi' da subordinarle alla
mancanza di rischi di subsidenza), con l'introduzione dei "progetti
sperimentali" quelle stesse attivita', giustificatamente interdette
per motivi ambientali e di protezione civile, vengono ora ad essere
subordinate anche al parere del Ministero dello Sviluppo Economico e,
dunque, al fine economico e produttivo.
Ne risulta evidente la soggezione della tutela dell'ambiente
all'esigenza di riprendere le attivita' di produzione, che erano
state interrotte nel 2002 nel rispetto del principio di precauzione.
E tutto questo nonostante le evidenze del fenomeno: secondo i
dati dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale il litorale
ravennate (dove e' presente un'intensa attivita' estrattiva
offshore), presenta abbassamenti generalmente fino a circa 5 mm/anno,
con alcune aree piu' critiche, come l'area costiera compresa tra il
Lido Adriano e la foce del Bevano che presenta una depressione piu'
importante, facendo registrare un abbassamento pari a 20 mm/anno in
corrispondenza della foce dei Fiumi Uniti.
Il comma 10 cit., infine, pone anche un rilevante dubbio
interpretativo: l'espresso riferimento alle "risorse nazionali" e,
allo stesso tempo, agli "altri Paesi rivieraschi" (invece che alle
"aree di cui al comma 1 del presente articolo") consente di ritenere
che essa sia riferita non solo all'Alto Adriatico ma anche ad altre
aree, ad esempio al Canale di Sicilia?
Conclusioni
Da tutto quanto esposto, risulta incontestabile che tutta la
normativa impugnata contiene una chiamata in sussidiarieta' e che,
per essere costituzionalmente legittima, avrebbe dovuto rispettare il
principio di leale collaborazione.
Orbene, detto principio impone il rispetto di una procedura
articolata, a struttura necessariamente bilaterale, tale da
assicurare lo svolgimento di reiterate trattative e non superabile
con decisione unilaterale di una delle parti.
Applicato al caso di specie, il principio di leale collaborazione
impone che il Piano Energetico Nazionale venga predisposto per il
tramite di un'azione programmata e condivisa coi territori.
Al contrario, gli artt. 37 e 38 impugnati, privi di riferimenti a
quella procedura articolata che sola garantirebbe la richiesta
condivisione, contrastano irrimediabilmente con l'attuale assetto
costituzionale di competenze tra Stato e Regioni.
Inoltre, l'avocazione sussidiaria da parte dello Stato di
competenze concernenti l'individuazione e la realizzazione degli
interventi in materia di produzione, trasmissione e distribuzione
dell'energia, ai sensi dell'art. 118, 1° comma, Cost., e' legittima
solo ove scaturente da un imprescindibile giudizio positivo sulla
proporzionalita' degli interventi stessi (cfr. C. Cost. sent. n.
165/2011).
Le disposizioni impugnate, invece, si sono limitate a qualificare
come di "natura strategica" gli interventi in questione; ma cio' non
soddisfa affatto il principio di proporzionalita', essendo all'uopo
necessario e sufficiente che l'intervento statale garantisca una
realizzazione unitaria e coordinata degli interventi medesimi.
In altri termini, se da una parte la natura "strategica"
legittima uno spostamento di competenze, e dunque una chiamata in
sussidiarieta', dall'altra, essa da sola non legittima l'adozione di
un atto unilaterale dello Stato (cfr. C. Cost. sent. n. 117/2013).
Conferma la tesi di questa difesa il ragionamento giuridico
seguito in una recente sentenza (n. 239/2013) da codesta Ecc.ma Corte
in altro giudizio costituzionale avente ad oggetto l'asserita
illegittimita' di una norma statale con riferimento all'art. 117, 3°
comma, Cost., ed al principio di leale collaborazione (art. 118
Cost., 1° comma).
In quel caso la norma censurata era l'art. 38, comma 1, d.l. n.
83/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134/2012,
nella parte in cui dispone: «... nel caso di mancata espressione da
parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di
intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7
e 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni
dalla richiesta nonche' nel caso di mancata definizione dell'intesa
... il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a
provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso di
ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali
interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla
rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione
interessata...».
Orbene, in quell'ipotesi codesta Ecc.ma Corte ebbe a rigettare la
questione di legittimita', proposta dalla Regione Basilicata, sulla
base della circostanza che la norma impugnata mirava a superare
quelle forme di inerzia che danno luogo ad ingiustificate stasi del
procedimento.
Nella motivazione della sentenza si legge che la norma impugnata
non meritava la censura di incostituzionalita' in quanto facente
riferimento "... al caso di «mancata espressione da parte delle
amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa comunque
denominati», al caso «di mancata definizione dell'intesa» e ai casi
«di mancato rispetto da parte delle amministrazioni regionali dei
termini per l'espressione dei pareri o per l'emanazione degli atti di
propria competenza». Dinanzi a queste fattispecie, gia' concretanti
di per se' forme di inerzia delle amministrazioni regionali, il
legislatore statale, solo in caso di «ulteriore inerzia» delle
amministrazioni stesse, a seguito dell'invito rivolto alle medesime
di provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni, prevede
la rimessione degli atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri,
la quale decide in merito con la partecipazione della Regione
interessata."
In quel caso, dunque, codesta Ecc.ma Corte non ritenne la norma
incostituzionale solo in quanto la medesima contiene procedure idonee
a consentire le "reiterate trattative" assolutamente necessarie a
superare le divergenze.
Al contrario, le norme oggi censurate non prevedono alcun
sollecito nei confronti delle Regioni, prima di addivenire
all'avocazione delle competenze in favore dello Stato, ne' altre
procedure di reiterazione delle trattative, ne', infine, la
partecipazione della Regione alle fasi preparatorie del provvedimento
statale (cfr. Corte Cost. sentenze n. 165 e n. 33 del 2011). Esse si
limitano a prevedere l'intervento del Ministero come mera conseguenza
automatica della mancata conclusione del relativo procedimento in un
termine fisso, con sacrificio della sfera di competenza
costituzionalmente attribuita alla Regione e violazione, per
l'effetto, del principio di leale collaborazione.
Ne consegue, seguendo il richiamato ragionamento giuridico di
codesta Ecc.ma Corte, secondo cui le parti hanno l'onere di sostenere
un dialogo e di tenere un comportamento collaborativo,
l'illegittimita' costituzionale delle norme impugnate.
Infine, si ritiene utile, riassumere le conseguenze negative
delle norme impugnate dal punto di vista piu' strettamente tecnico.
In tale ottica, le disposizioni impugnate:
a) consentono di applicare le procedure semplificate ed
accelerate, proprie delle infrastrutture strategiche di cui al D.Lgs.
n. 163/2006, ad una intera categoria di interventi senza che ne sia
stata individuata alcuna priorita' reale;
b) rischiano che i benefici economici che il Governo ritiene
di poter trarre dalla semplificazione delle procedure autorizzative
siano frustrati dalla mancanza di verifica della sostenibilita'
dell'impatto delle attivita' di prospezione, ricerca, coltivazione e
stoccaggio delle risorse energetiche nazionali, sui territori sui
quali vanno ad insistere;
c) trasferiscono d'autorita' le VIA sulle attivita' a terra
dalle Regioni al Ministero dell'Ambiente senza neanche tenere conto
della necessita' di esaurire le procedure in corso presso
l'amministrazione che le ha avviate e violando le disposizioni
costituzionali, artt. 117, 3° comma, e 118, in materia di competenza
legislativa concorrente tra Stato e Regioni;
d) subordinano il rischio subsidenza in Adriatico ad un
incerto profitto economico;
e) costituiscono una distorsione rispetto alla tutela estesa
dell'ambiente e della biodiversita' rispetto a quanto disposto dalla
Direttiva Offshore 2013/13/UE;
f) non rispettano l'attenzione dedicata alla tutela della
biodiversita', nonche' al ruolo delle Regioni e degli enti locali,
dalla nuova Direttiva 2014/52/UE sulla Valutazione di Impatto
Ambientale.
P.Q.M.
Si chiede che codesta Ecc.ma Corte voglia dichiarare
l'illegittimita' costituzionale degli artt. 37 e 38, DL 133/2014,
quali risultanti dalla legge di conversione n. 164/2014, per
contrasto con gli artt. 117, 3° comma, e 118, 1° comma, Cost.,
nonche' con l'art. 117, 1° comma, Cost., in relazione alla Direttiva
94/22/CE recepita in Italia con D.lgs n. 625/1996.
Si depositano:
1) delibera di Giunta Regione Abruzzo n. 861/2014;
2) estratto relazione al disegno di legge di conversione n.
164/2014.
Roma, 19 dicembre 2014
Avv. Manuela de Marzo