Ricorso n. 20 del 15 febbraio 2013 (Regione Sardegna)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 15 febbraio 2013 (della Regione autonoma della Sardegna).
(GU n. 11 del 13.3.2013)
Ricorso della Regione autonoma della Sardegna (codice fiscale ...) con sede legale in 09123 Cagliari (CA), Viale Trento, n. 69, in persona del Presidente pro tempore Dott. Ugo Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del presente atto, dagli Avv.ti Tiziana Ledda (cod. fisc. …, fax …, posta elettronica certificata …) e Prof. Massimo Luciani (cod. fisc. …; fax …; posta elettronica certificata …), elettivamente domiciliata presso lo Studio del secondo in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello
Sanzio, n. 9,
Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro-tempore, per la dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante
"Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012", pubblicato in G.U. n. 237 del 10 ottobre 2012, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213, pubblicata in G.U. n. 286 del 7 dicembre 2012, Suppl. Ord., ed in particolare gli articoli 1, 1-bis, 2, 3, 6 e 11-bis.
Fatto
1. - Il decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante "Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012", pubblicato in G.U. n. 237 del 10
ottobre 2012, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213, pubblicata in G.U. n. 286 del 7 dicembre 2012, Suppl. Ord., ha disciplinato una vasta pluralita' di oggetti, tra i quali - per citare solo quanto qui interessa direttamente - il regime dei controlli sull'attivita'
economico-finanziaria e di bilancio delle Regioni e degli enti locali (artt. 1, 3 e 6), i meccanismi sanzionatori a carico dei componenti degli organi di governo degli enti territoriali (art. 1-bis) e le misure di contenimento della spesa pubblica dei medesimi enti (art. 2).
E' agevole constatare che il programma di riforma del regime dei controlli sugli enti territoriali delineato da tale decreto-legge pretende di riguardare anche le Regioni a statuto speciale, che, del resto, l'art. 11-bis (come si vedra') richiama direttamente. Per vari e significativi profili, pero', questa estensione della disciplina alle Regioni speciali si rivela del tutto illegittima.
Specificamente illegittimi, e violativi delle attribuzioni della ricorrente, nelle parti che si indicheranno di seguito con maggior precisione, sono gli articoli 1, 1-bis, 2, 3, 6 e 1-bis del d.l. n.174 del 2012, per come conv. in l. n. 213 del 2012. Essi debbono essere pertanto dichiarati costituzionalmente illegittimi per i seguenti motivi di
Diritto
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 16, del d.l. n. 174 del 2012, come conv.
in l. n. 213 del 2012. L'art. 1 del d.l. n. 174 del 2012 contiene una
varia pluralita' di previsioni normative, tutte, peraltro,
finalizzate all'introduzione di nuove forme di controllo sulla
politica di bilancio e sulla gestione economico-finanziaria delle
Regioni o delle loro articolazioni. E' bene distinguere due gruppi di
disposizioni. Un primo gruppo di disposizioni concerne l'istituzione
di nuove forme di controllo sulla politica di bilancio e sulla
gestione finanziaria generale delle Regioni. Un secondo gruppo
concerne l'istituzione di nuove forme di controllo sulla gestione
economico-finanziaria dei fondi assegnati ai Gruppi consiliari presso
le Regioni. Di tali gruppi e' bene trattare separatamente.
1.1. - Quanto ai controlli sulla politica di bilancio e sulla
gestione finanziaria generale delle Regioni.
Il primo comma 1 indica la (pretesa) finalita' dell'intero
articolo, che sarebbe quella di "adeguare [...] il controllo della
Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle regioni".
Il secondo comma prevede che "ogni sei mesi le sezioni regionali
di controllo della Corte dei conti trasmettono ai consigli regionali
una relazione sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate
nelle leggi regionali approvate nel semestre precedente e sulle
tecniche di quantificazione degli oneri".
Il terzo comma prevede che "le sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti esaminano i bilanci preventivi e i rendiconti
consuntivi delle regioni e degli enti che compongono il Servizio
sanitario nazionale, con le modalita' e secondo le procedure di cui
all'art. 1, commi 166 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n.
266, [ossia recependo le relazioni provenienti dai revisori dei conti
degli enti vigilati e analizzandole anche attraverso esperti esterni
alla Corte medesima] per la verifica del rispetto degli obiettivi
annuali posti dal patto di stabilita' interno, dell'osservanza del
vincolo previsto in materia di indebitamento dall'art. 119, sesto
comma, della Costituzione, della sostenibilita' dell'indebitamento e
dell'assenza di irregolarita' suscettibili di pregiudicare, anche in
prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti". A questo
proposito, il secondo periodo dello stesso comma prescrive che "i
bilanci preventivi annuali e pluriennali e i rendiconti delle regioni
con i relativi allegati sono trasmessi alle competenti sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti dai presidenti delle
regioni con propria relazione".
Il quarto comma prevede che "le sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti verificano altresi' che i rendiconti delle
regioni tengano conto anche delle partecipazioni in societa'
controllate e alle quali affidata la gestione di servizi pubblici per
la collettivita' regionale e di servizi strumentali alla regione,
nonche' dei risultati definitivi della gestione degli enti del
Servizio sanitario nazionale".
Il quinto comma assoggetta il rendiconto generale della Regione
al giudizio di parifica della Corte dei conti, precisando che "alla
decisione di parifica e' allegata una relazione nella quale la Corte
dei conti formula le sue osservazioni in merito alla legittimita' e
alla regolarita' della gestione e propone le misure di correzione e
gli interventi di riforma che ritiene necessari al fine, in
particolare, di assicurare l'equilibrio del bilancio e di migliorare
l'efficacia e l'efficienza della spesa".
Il sesto comma obbliga il Presidente della Regione a trasmettere
"ogni dodici mesi alla sezione regionale di controllo della Corte dei
conti una relazione sulla regolarita' della gestione e sull'efficacia
e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato sulla
base delle linee guida deliberate dalla sezione delle autonomie della
Corte dei conti".
I primi sei commi dell'articolo in esame, sopra brevemente
descritti, disciplinano adempimenti preliminari, che sono preordinati
al sistema di controlli e sanzioni previsti dai commi successivi
(sicche' anche per essi valgono le censure che subito si diranno a
proposito di questi). Gia' con tali procedure, peraltro, lo Stato
condiziona lo svolgimento dell'organizzazione interna della Regione,
che e' costretta non solo a trasmettere i propri dati di bilancio al
Giudice contabile, ma anche a dare conto del "sistema dei controlli
interni" che adotta (cfr. il comma 6 ora riportato testualmente).
Gia' questo dato e' indicativo: non sono solo i conti della Regione
ad essere sotto osservazione, ma e' l'intera attivita' amministrativa
ad essere condizionata dallo Stato.
In particolare, il comma 7 prevede che, nel caso in cui i
controlli sopra indicati riscontrino "squilibri
economico-finanziari", "mancata copertura di spese" o "violazione di
norme finalizzate a garantire la regolarita' della gestione
finanziaria o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto
di stabilita' interno", le Amministrazioni interessate hanno
"l'obbligo di adottare, entro sessanta giorni dalla comunicazione del
deposito della pronuncia di accertamento, i provvedimenti idonei a
rimuovere le irregolarita' e a ripristinare gli equilibri di
bilancio". Su tali provvedimenti e' previsto un ulteriore controllo
da parte della Corte dei conti. Infine e' previsto che, nel caso in
cui "la regione non provveda alla trasmissione dei suddetti
provvedimenti o la verifica delle sezioni regionali di controllo dia
esito negativo, e' preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i
quali e' stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della
relativa sostenibilita' finanziaria".
Il comma 8, poi, prevede che "le relazioni redatte dalle sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti ai sensi dei commi
precedenti sono trasmesse alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
e al Ministero dell'economia e delle finanze per le determinazioni di
competenza".
Tutte le disposizioni ora richiamate impingono in profondita'
nell'autonomia regionale, toccando numerosi profili del suo
esercizio, reintroducendo il sistema dei controlli preventivi di
legittimita' e attribuendo particolari competenze sia alla Corte dei
conti che all'Amministrazione statale, che in parte illegittimamente
comprimono e in parte usurpano le attribuzioni costituzionali e
statutarie della Regione.
1.1.1. - Le disposizioni in esame violano anzitutto gli artt. 7 e
8 dello Statuto, in una con gli artt. 117, comma 3, e 119 Cost.
Elemento cardine dell'autonomia finanziaria della Regione,
riconosciuta dall'art. 7 dello Statuto e dall'art. 119 Cost. e
nutrita dai canali di finanziamento di cui all'art. 8 St., e'
l'autonoma redazione e approvazione (con legge regionale) del
bilancio regionale. L'istituzione di un nuovo controllo preventivo e
successivo di legittimita' sul bilancio si risolve in una violazione
dell'autonomia finanziaria regionale. In tanto l'autonomia di
bilancio ha un senso, infatti, in quanto le scelte di bilancio,
ancorche' possano essere delimitate nei loro contenuti da un quadro
di disciplina generale, siano effettivamente autonome, cio' che
invece e' da escludersi in particolare a fronte di controlli che -
come quelli qui contestati - si configurano anche come preventivi e
comportano gravi conseguenze di contenuto sostanzialmente
sanzionatorio.
Violato, poi, e' l'art. 117, comma 3, Cost., perche' la lesione
dell'autonomia finanziaria della Regione si traduce anche nella
compressione della competenza regionale concorrente nella materia
"coordinamento della finanza pubblica". Detta competenza, infatti,
nel caso della Regione Sardegna, non e' altro che la logica
conseguenza della garanzia fissata dalle ricordate norme statutarie,
che conferiscono alla Regione l'autonoma gestione delle sue risorse
economiche, cosa che e' qui impedita dai controlli prescritti dallo
Stato.
Violati sono anche gli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto e 117,
commi 3 e 4, e 118 Cost. (in riferimento all'art. 10 della l. cost.
n. 3 del 2001, che assicura alle autonomie speciali almeno le
medesime prerogative di quelle ordinarie), per il fatto che
l'impedimento alla "attuazione dei programmi di spesa" regionali,
prevista come sanzione nel caso di mancata ottemperanza alle
previsioni qui impugnate, si traduce nell'impossibilita' di svolgere
le funzioni pubbliche attribuite alla Regione dallo Statuto e dalla
Costituzione ai sensi delle disposizioni ora invocate. Gli artt. 3, 4
e 5 dello Statuto, infatti, enumerano le competenze legislative della
Regione, rispettivamente in via esclusiva, concorrente e integrativa
della disciplina statale. Gli artt. 117, commi 3 e 4, conferiscono
anche alla Regione Sardegna (in ragione della clausola di cui
all'art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001) ulteriori competenze
legislative in via concorrente o residuale. A tutte queste competenze
corrispondono, in ragione del c.d. "principio del parallelismo" tra
funzioni legislative e amministrative, le funzioni pubbliche svolte
dalla Regione, che sono illegittimamente compresse dalle misure
sanzionatorie previste dalla disposizione qui censurata.
Violati sono anche gli artt. 33 dello Statuto e 127 Cost. Il
primo prevede, quale unica forma di controllo "preventivo" delle
leggi regionali, la comunicazione al Governo della legge approvata
prima della sua promulgazione. Essendo i bilanci regionali approvati
con legge, il nuovo tipo di controllo richiesto dallo Stato,
esorbitando dal modello di cui all'art. 33 dello Statuto, per cio'
solo lo viola. Ma lo stesso controllo preventivo previsto dall'art.
33 St. e' ormai superato dall'art. 127 Cost., che ha eliminato il
controllo preventivo sulle leggi delle Regioni ad autonomia ordinaria
(e, in forza dell'art. 10 della l. cost. n. 3 del 2011, sulle Regioni
speciali). Anche e soprattutto tale parametro, pertanto, e' violato.
L'addizione di un controllo ulteriore determina, invero,
l'alterazione del regime della legge regionale, regime che e'
definito da norme di rango costituzionale e non puo' essere
modificato da una fonte legislativa ordinaria.
1.1.2. - Violati, conseguentemente, sono anche gli artt. 54 e 56
dello Statuto, in combinato disposto con i parametri sopra invocati,
nonche' con l'art. 116 Cost. e l'art. 10 del d.P.R. 16 gennaio 1978,
n. 21, recante "Norme di attuazione dello Statuto speciale per la
Sardegna concernente il controllo sugli atti della Regione".
Detto art. 10 del d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 21, prevede che "il
rendiconto generale della regione e' verificato dalla sezione
regionale, la quale ne riferisce al presidente della Corte dei conti.
Su di esso pronunciano le sezioni riunite della Corte dei conti in
conformita' all'art. 40 del testo unico delle leggi sulla Corte dei
conti approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214. Alla
decisione e' unita una relazione nella quale la Corte formula le sue
osservazioni intorno al modo con cui l'amministrazione regionale si
sia conformata alle leggi e suggerisce le variazioni o le riforme che
crede opportune. La decisione e la relazione sono trasmesse al
presidente del consiglio regionale che le sottopone al consiglio
insieme alla relazione della giunta. Copia della decisione e della
relazione suddette sono trasmesse al rappresentante del Governo". Il
giudizio di "verificazione" del quale qui si parla altro non e' se
non il giudizio di parificazione previsto dal comma 5 dell'articolo 1
del decreto-legge censurato nel presente ricorso. Che sia cosi',
oltre che dalla piana lettura del testo della legge, lo si desume
anche da quanto stabilito dallo stesso Giudice contabile, che ha
avuto modo di affermare che "In base all'art. 10, 1° comma, d.p.r. 16
gennaio 1978 n. 21, la sezione regionale del controllo della corte
dei conti per la regione Sardegna ha l'obbligo di verificare il
rendiconto generale della regione; tale adempimento si sostanzia
nell'esecuzione dei riscontri prescritti dall'art. 39, 1° e 2° comma,
t.u. 12 luglio 1934 n. 1214" (C. conti Sardegna, Sez. contr., 2
giugno 1992, n. 89). Si noti, peraltro, che le disposizioni del r.d.
n. 1214 del 1934 menzionate nella citata pronuncia della Corte dei
conti e nell'art. 10 del d.P.R. n. 21 del 1978 come norme applicabili
al giudizio di verificazione sono proprio quelle richiamate dal comma
5 dell'art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, sicche' nessun dubbio puo'
esservi su cio' che il comma in esame e l'art. 10 del d.P.R. n. 21
del 1978 abbiano ad oggetto la medesima fattispecie.
Tanto dimostra, senza ombra di dubbio, che i controlli sul
bilancio regionale possono essere disposti solo con norme
costituzionali, statutarie o di attuazione dello Statuto, perche'
detti controlli sono in grado, come sopra constatato, di mettere nel
nulla l'autonomia economico-finanziaria (e non solo) della Regione.
Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha costantemente affermato che
"le norme di attuazione degli statuti speciali possiedono un sicuro
ruolo interpretativo ed integrativo delle stesse espressioni
statutarie che delimitano le sfere di competenza delle Regioni ad
autonomia speciale e non possono essere modificate che mediante atti
adottati con il procedimento appositamente previsto negli statuti,
prevalendo in tal modo sugli atti legislativi ordinari (secondo
quanto ha piu' volte affermato questa Corte; si vedano, fra le molte,
le sentenze n. 341 del 2001, n. 213 e n. 137 del 1998)", sicche' non
e' certo possibile per lo Stato, oggi, disciplinare in assoluta
solitudine ulteriori e diverse forme di controllo sul bilancio
regionale, non ricorrendo alla revisione statutaria o quanto meno al
procedimento disciplinato dall'art. 56 della l. cost. n. 3 del 1948,
ove si demanda ad una commissione paritetica la predisposizione delle
norme di attuazione dello Statuto sardo.
Non si potrebbe certo replicare che vi sarebbero esigenze
d'ordine generale che avrebbero suggerito di introdurre le forme di
controllo qui contestate. Che tali esigenze esistano o meno, e che
esse reclamassero proprio gli interventi qui contestati, non cosa che
possa avere, qui, il minimo rilievo. Vale, infatti, sia pure mutatis
mutandis, quanto gia' affermato da codesta Ecc.ma Corte
costituzionale, quando, di fronte alla l. n. 124 del 2008, osservo'
che le prerogative di garanzia degli organi costituzionali devono
essere regolate attraverso fonti di rango costituzionale, perche'
"Questa complessiva architettura istituzionale, ispirata ai principi
della divisione dei poteri e del loro equilibrio, esige che la
disciplina delle prerogative contenuta nel testo della Costituzione
[nel caso riferiti alle guarentigie dei componenti degli organi
costituzionali, ma puo' dirsi lo stesso oggi quanto alle garanzie di
autonomia delle Regioni speciali] debba essere intesa come uno
specifico sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento e
assetto di interessi costituzionali; sistema che non e' consentito al
legislatore ordinario alterare ne' in peius ne' in melius" (cosi' la
sent. n. 262 del 2009, e, per esplicito richiamo, anche la sent. n.
23 del 2011).
Per tale ragione lo Stato, con le norme impugnate, ha anzitutto
violato l'art. 54 dello Statuto, che riserva alla legge
costituzionale (o alla speciale fonte di cui al comma 5) la revisione
dello Statuto. In ogni caso, poi, ha violato l'art. 56 dello Statuto
(che - rinviando alle norme di attuazione - prevede la forma minima
di definizione del regime dei controlli sulla Regione Sardegna), in
combinato disposto con l'art. 10 del d.P.R. n. 21 del 1978, che, come
detto, contiene le norme di attuazione che disciplinano il controllo
della Corte dei conti sul bilancio regionale.
Conseguentemente, e' violato anche l'art. 116 Cost., che tutela
la particolare autonomia delle Regioni a Statuto speciale, autonomia
cui e' preordinato lo stesso meccanismo di adozione delle norme di
attuazione dello Statuto.
Pel fatto che detto controllo e' esercitato attraverso il
giudizio di parificazione, infine, specificamente lesivi delle
attribuzioni statutarie di cui agli artt. 7, 8, 54 e 56 dello
Statuto, nonche' 119 della Costituzione, anche in relazione all'art.
10 del d.P.R. n. 21 del 1978, sono i commi 4 e 5 dell'articolo in
esame, che pretendono di disciplinare il contenuto del rendiconto
regionale e il relativo giudizio di parificazione da parte della
sezione regionale di controllo della Corte dei conti sostituendosi
alle norme di attuazione, in violazione dell'autonomia finanziaria e
di bilancio della Regione.
1.1.3. - In ogni caso, come chiarito dalla giurisprudenza
costituzionale, la previsione di una forma di controllo ulteriore
della Corte dei conti non puo' che configurare tale controllo in modo
collaborativo. Nella sent. n. 29 del 1995, codesta Ecc.ma Corte
costituzionale ha affermato che le forme di controllo della Corte dei
conti sul bilancio regionale debbono risolversi in "un compito
essenzialmente collaborativo posto al servizio di esigenze pubbliche
costituzionalmente tutelate". Tanto e' vero che l'art. 7 della l. n.
131 del 2003 (che e' anche richiamata dall'art. 1, comma 1, del
d.lgs. n. 174 del 2012 qui impugnato) prevede che "Le sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti verificano, nel rispetto
della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il
perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali
di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza,
nonche' la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il
funzionamento dei controlli interni e riferiscono sugli esiti delle
verifiche esclusivamente ai consigli degli enti controllati, salvo
quanto disposto dal terzo periodo del presente comma" (ossia nel caso
delle relazioni generali al Parlamento).
Nel caso di specie, invece, il controllo della Corte dei conti
non e' concepito in questa forma collaborativa, ma e' preordinato al
verificarsi di conseguenze sanzionatorie e repressive, tra le quali
la trasmissione degli atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri
e al Ministero dell'Economia e delle Finanze "per le determinazioni
di competenza" e - soprattutto - il blocco indifferenziato de
"l'attuazione dei programmi di spesa per i quali e' stata accertata
la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilita'
finanziaria" (si rifletta sugli effetti che avrebbe tale previsione
per la Regione Sardegna, che finanzia senza apporti dello Stato e
solo con le entrate da compartecipazioni servizi pubblici essenziali
come i trasporti e la sanita').
Tutto questo e' tanto e' vero che, ancora in tema di controlli
sugli enti autonomi, codesta Ecc.ma Corte costituzionale, nello
scrutinare alcune previsioni di legge che imponevano agli organi
degli enti locali di revisione economico-finanziaria il dovere di
trasmettere alle Sezioni regionali della Corte dei conti una
relazione sul bilancio di previsione dei detti enti e che affidavano
alle medesime Sezioni regionali la potesta' di pronunciarsi sui
bilanci, ha ritenuto non fondate le censure proposte dalla Regione
(autonoma) allora ricorrente proprio perche' si poteva "sottolineare
la natura collaborativa del controllo disciplinato dalle norme
impugnate, che si limita alla segnalazione all'ente controllato delle
rilevate disfunzioni e rimette all'ente stesso l'adozione delle
misure necessarie" (sent. n. 179 del 2007). Nel caso di specie,
invece, si' va ben oltre la "segnalazione" di eventuali disfunzioni.
Se la previsione del blocco dell'attuazione dei programmi di
spesa regionale fa temere per la tutela dei diritti costituzionali
dei cittadini, che non possono essere garantiti se non attraverso
alcuni servizi pubblici (la salute, innanzitutto), particolarmente
odiosa e lesiva dell'autonomia finanziaria della Regione e' la
previsione di una diretta intrusione dell'apparato amministrativo
ministeriale nella gestione del bilancio regionale. Non per niente,
infatti, la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto non lesivo
dell'autonomia regionale l'intervento (se in forma di collaborazione
con l'ente controllato, si ripete) da parte della Corte dei conti,
che e' "organo terzo (sentenza n. 64 del 2005) a servizio dello
«Stato-comunita'» (sentenze n. 29 del 1995 e n. 470 del 1997)"
(cosi', proprio in tema di controlli sugli enti locali, la sent. n.
267 del 2006).
Essendo, dunque, il controllo imposto dal legislatore statale non
di natura collaborativa e non essendo esercitato (solo) da soggetti
terzi, bensi' dall'apparato burocratico-ministeriale dello Stato, le
disposizioni impugnate violano, una volta di piu', gli artt. 7 e 8
dello Statuto e 119 Cost., che assicurano alla Regione un'autonomia
finanziaria qualificata; 117 Cost., che conferisce alla Regione
competenza legislativa concorrente in materia di "coordinamento della
finanza pubblica" (atteso che qui la fonte statale va ben al di la'
della fissazione dei principi fondamentali di tale coordinamento, per
abbandonarsi all'introduzione di vere e proprie norme di dettaglio);
116 Cost., 54, 56 dello Statuto e 10 del d.P.R. n. 21 del 1978, che
tutelano la maggiore autonomia economico-finanziaria della Regione
Sardegna (almeno) attraverso la previsione dello speciale
procedimento di attuazione statutaria; 3, 4, 5 e 6 dello Statuto e
117 Cost., che affidano alla Regione funzioni pubbliche che sarebbero
compromesse dal blocco dei programmi di spesa previsto dalle norme
impugnate.
1.2. - Quanto ai controlli sulla gestione economico-finanziaria
dei fondi assegnati ai Gruppi consiliari presso le Regioni, vale
quanto segue.
1.2.1. - Il comma 9 dell'art. 1 del d.l. n. 174 del 2012 prevede
che ogni "gruppo consiliare dei consigli regionali approva un
rendiconto di esercizio annuale, strutturato secondo linee guida
deliberate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e recepite
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per assicurare
la corretta rilevazione dei fatti di gestione e la regolare tenuta
della contabilita', nonche' per definire la documentazione necessaria
a corredo del rendiconto [...]".
Il successivo comma 10 prevede che "il rendiconto e' trasmesso da
ciascun gruppo consiliare al presidente del consiglio regionale, che
lo trasmette al presidente della regione. Entro sessanta giorni dalla
chiusura dell'esercizio, il presidente della regione trasmette il
rendiconto di ciascun gruppo alla competente sezione regionale di
controllo della Corte dei conti perche' si pronunci, nel termine di
trenta giorni dal ricevimento, sulla regolarita' dello stesso con
apposita delibera, che e' trasmessa al presidente della regione per
il successivo inoltro al presidente del consiglio regionale, che ne
cura la pubblicazione. [...] Il rendiconto e', altresi', pubblicato
in allegato al conto consuntivo del consiglio regionale e nel sito
istituzionale della regione.
Il comma 11, prevede che, "qualora la competente sezione
regionale di controllo della Corte dei conti riscontri che il
rendiconto di esercizio del gruppo consiliare o la documentazione
trasmessa a corredo dello stesso non sia conforme alle prescrizioni
stabilite a norma del presente articolo, trasmette, entro trenta
giorni dal ricevimento del rendiconto, al presidente della regione
una comunicazione affinche' si provveda alla relativa
regolarizzazione", comunicazione che e' inoltrata al Presidente del
Consiglio regionale "per i successivi adempimenti da parte del gruppo
consiliare interessato". Nel caso in cui il gruppo non provveda alla
regolarizzazione, "decade, per l'anno in corso, dal diritto
all'erogazione di risorse da parte del consiglio regionale" ed e'
obbligato a "restituire le somme ricevute a carico del bilancio del
consiglio regionale e non rendicontate".
Stessa sanzione e' prevista, ai sensi del comma 12, nel caso di
"non regolarita' del rendiconto [accertata] da parte della sezione
regionale di controllo della Corte dei conti".
Anche tali disposizioni impingono in profondita' nell'autonomia
regionale, alterando numerosi profili del suo esercizio, intervenendo
nell'organizzazione interna dei Consigli regionali e, quindi, nel
regime degli organi "supremi" della Regione, sconvolgendo il sistema
delle fonti nell'ordinamento regionale.
1.2.2. - Le norme sopra riportate, anzitutto, ledono l'autonomia
finanziaria della Regione, della quale l'autonomia di gestione delle
relative risorse da parte dei Gruppi consiliari presso il Consiglio
regionale e' una forma particolare di svolgimento. Pertanto, ancora
una volta sono violati gli artt. 7 e 8 dello Statuto, nonche' 119
Cost., che tutelano e garantiscono detta autonomia
economico-finanziaria.
Violato, poi, e' l'art. 15 dello Statuto, che riserva alla legge
regionale, col solo limite della "armonia con la Costituzione e i
principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica" la
determinazione della "forma di governo della Regione". E', infatti,
evidente che la disciplina dell'attivita' dei gruppi consiliari e dei
contributi loro corrisposti concerne la forma di governo regionale,
che viene modificata in ispregio dell'esplicita riserva di competenza
in capo alla Regione.
La previsione di cui al comma 10, a tenor della quale nella
verifica dei rendiconti dei Gruppi consiliari ha competenza - seppure
solo al fine di raccolta e trasmissione degli atti - il Presidente
della Giunta regionale, e' violativa degli artt. 15 e 35 dello
Statuto, che disciplinano il rapporto tra Presidente e Consiglio
regionale, relazione che e' addirittura ribaltata dalla pretesa di
inserire il Presidente tra i soggetti attivi nel procedimento di
controllo dell'attivita' dei Consigli regionali.
Violato e' anche l'art. 26 dello Statuto, che riserva alla legge
regionale la fissazione dell'indennita' dei Consiglieri regionali. E'
evidente, infatti, che le disposizioni censurate impingono in questa
sfera di assoluta autonomia della Regione, perche' anche le
erogazioni a favore del gruppo regionale, cosi' come le indennita' di
carica dei singoli Consiglieri garantiscono l'indipendenza politica
del Gruppo che ne beneficia, in ossequio al principio del libero
mandato rappresentativo (sulla scia dell'art. 67 della Costituzione)
dagli artt. 23 e 24 dello Statuto. Per tale ragione e' evidente che
la competenza di cui all'art. 26 dello Statuto comprende anche la
(sotto)materia dell'erogazione e dei controlli sul denaro erogato ai
Gruppi consiliari della Regione.
Violato e' anche l'art. 19 dello Statuto, che riserva al
Consiglio regionale l'adozione del proprio "regolamento interno, che
esso adotta a maggioranza assoluta dei suoi componenti". L'art. 19 e'
preordinato a garantire al Consiglio regionale la particolare
autonomia che si attaglia all'organo regionale massimamente
rappresentativo, sicche' e' a quella fonte che deve essere demandata
la materia dei controlli sui Gruppi consiliari.
Violato e' anche l'art. 33 dello Statuto, che (fermo restando il
gia' detto caso del giudizio di parificazione del bilancio regionale,
disciplinato non a caso attraverso Norme di attuazione dello Statuto
dal d.P.R. n. 21 del 1978) limita le possibilita' di controllo dello
Stato sull'attivita' legislativa della Regione (si ricordi che i
bilanci sono approvati con legge regionale) alla sola comunicazione
che interviene tra l'approvazione e la promulgazione della legge. La
previsione di una nuova forma di controllo e', dunque, violativa
anche degli artt. 33 dello Statuto e 127 Cost. Come si e' gia'
osservato, la disposizione statuaria prevede, quale unica forma di
controllo "preventivo" delle leggi regionali, la comunicazione al
Governo della legge approvata prima della sua promulgazione. Essendo
i bilanci regionali approvati con legge, il nuovo tipo di controllo
richiesto dallo Stato, esorbitando dal modello di cui all'art. 33
dello Statuto, per cio' solo lo viola. Ma, anche questo lo si e' gia'
osservato, il controllo preventivo previsto dall'art. 33 St. e' ormai
superato dall'art. 127 Cost., che ha eliminato il controllo
preventivo sulle leggi delle Regioni ad autonomia ordinaria, sicche'
anche e soprattutto tale parametro e' violato, in quanto l'aggiunta
di un controllo ulteriore determina l'alterazione del regime della
legge regionale, che e' definito da norme di rango costituzionale e
non puo' essere modificato da una fonte legislativa ordinaria.
Anche in questo caso, poi, e' violato l'art. 56 dello Statuto, in
combinato disposto con l'art. 7 dello Statuto, l'art. 116 Cost. e con
gli artt. 4 e 5 del d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 21. Detti articoli del
d.P.R. n. 21 del 1978 riservano alla sezione regionale Corte dei
conti il controllo di legittimita' "sugli atti amministrativi della
regione, esclusa ogni valutazione di merito". Inoltre l'art. 5 del
d.P.R. n. 21 del 1978 prevede che "Il controllo di legittimita' sugli
atti amministrativi della regione [...] si esercita esclusivamente
sui regolamenti" e sugli "atti costituenti adempimento degli obblighi
derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea", sicche'
e' illegittima la pretesa dello Stato di sottoporre a controllo i
rendiconti dei Gruppi consiliari. Le norme ora richiamate dimostrano
che i controlli sui Gruppi consiliari possono essere disposti solo
attraverso una revisione statutaria o le norme di attuazione dello
Statuto, perche' detti controlli sono in grado, come si diceva, di
mettere nel nulla l'autonomia politica ed economico-finanziaria della
Regione. Avendo lo Stato, in assoluta solitudine previsto forme di
controllo sui gruppi consiliari, ha violato una volta di piu', gli
artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost., che assicurano alla Regione
un'autonomia finanziaria qualificata; 117 Cost., che conferisce alla
Regione competenza legislativa concorrente in materia di
"coordinamento della finanza pubblica" (atteso che qui la fonte
statale va ben al di la' della fissazione dei principi fondamentali
di tale coordinamento, per abbandonarsi all'introduzione di vere e
proprie norme di dettaglio); 116 Cost., 54, 56 dello Statuto e 4 e 5
del d.P.R. n. 21 del 1978, che tutelano la maggiore autonomia
economico-finanziaria della Regione Sardegna (almeno) attraverso la
previsione dello speciale procedimento di attuazione statutaria; 3,
4, 5 e 6 dello Statuto e 117 Cost., che affidano alla Regione
funzioni pubbliche che sarebbero compromesse dal blocco dei programmi
di spesa previsti dalle norme impugnate.
Anche per queste disposizioni, poi, si puo' osservare che manca
quella forma collaborativa, richiesta dalla giurisprudenza
costituzionale, del controllo esercitato dalla Corte dei conti sugli
enti autonomi (ed anzi, sul massimo organo rappresentativo della
Regione), perche' il controllo della Corte dei conti e' preordinato
al verificarsi di conseguenze sanzionatorie e repressive, quali sono
la decadenza dal diritto all'erogazione di risorse da parte del
Consiglio regionale e l'obbligo a restituire le somme gia' ricevute.
Tanto, con la conseguente violazione, per un ulteriore profilo, degli
artt. 117 e 119 Cost. e 7, 8, 15, 19, 33 e 56 dello Statuto, anche in
relazione agli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 21.
1.3. - Connesso alle norme sin qui censurate, ma meritevole di
distinto esame, e' infine il comma 16 dell'art. 1 del d. l. n. 174
del 2012.
Esso obbliga le "regioni a statuto speciale e le province
autonome di Trento e di Bolzano" ad adeguare "il proprio ordinamento
alle disposizioni del presente articolo entro un anno dalla data di
entrata in vigore" dello stesso d.l. n. 174 del 2012.
Stante tutto quanto gia' osservato nei precedenti paragrafi, e'
del tutto evidente che l'adeguamento dell'ordinamento regionale alle
disposizioni del presente articolo comporta necessariamente (se non
la revisione dello Statuto, quantomeno) la revisione delle Norme di
attuazione statutaria (eppercio' del d.P.R. n. 21 del 1978). Dato
che, ai sensi dell'art. 56 dello Statuto, la Regione non ha nella sua
esclusiva disponibilita' la modificazione delle norme di attuazione,
la disposizione in esame e' di bel nuovo violativa (oltre che
dell'art. 54) del medesimo art. 56 dello Statuto, nonche' dell'art.
116 Cost., che tutela la maggiore autonomia delle Regioni speciali
proprio attraverso il riconoscimento della particolare posizione
dello Statuto speciale (e, dunque, delle relative norme di
attuazione) nel sistema delle fonti. Dato che, come ha segnalato
codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella recente sent. n. 198 del
2012 "a tali fonti una legge ordinaria non puo' imporre limiti e
condizioni", la disposizione censurata e' radicalmente illegittima.
Oltre i parametri anzidetti, sono indirettamente violati ancora
una volta, e per le ragioni gia' viste, gli artt. 7, 8, 15, 19, 26,
33 e 35 dello Statuto e 117 e 119 Cost., nella misura in cui il comma
16 qui in esame intende costringere la Regione Sardegna a subire le
lesioni delle sue attribuzioni costituzionali e statutarie, messe in
luce - sin confida - ai precedenti paragrafi.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1-bis, commi 1 e 4,
del d.l. n. 174 del 2012, come conv. in I. n. 213 del 2012. L'art.
1-bis del d.l. n. 174 del 2012 reca modifiche al d.lgs. n. 149 del
2011. Quelle appresso indicate sono illegittime perche' violative
delle competenze e attribuzioni statutarie e costituzionali della
Regione.
2.1. - L'art. 1-bis, comma 1, lett. c), aggiunge il comma 3-bis
all'art. 1 del d.lgs. n. 149 del 2011. Detto comma prevede che la
relazione di fine legislatura che deve redigere il Presidente della
Giunta Regionale ai sensi dei commi 2 e 3 dello stesso art. 1 del
d.lgs. n. 149 del 2011 "e' trasmessa, entro dieci giorni dalla
sottoscrizione del Presidente della Giunta regionale, alla sezione
regionale di controllo della Corte dei conti, che, entro trenta
giorni dal ricevimento, esprime le proprie valutazioni al Presidente
della Giunta regionale". Inoltre, "Le valutazioni espresse dalla
sezione regionale di controllo della Corte dei conti sono pubblicate
nel sito istituzionale della regione entro il giorno successivo al
ricevimento da parte del Presidente della Giunta regionale".
L'illegittimita' della previsione ora menzionata emerge de plano
se la si confronta con quanto previsto al successivo art. 1-bis,
comma 1, lett. e), che, sostituisce interamente il comma 6 dell'art.
1 del d.lgs. n. 149 del 2011 nel modo che segue: "In caso di mancato
adempimento dell'obbligo di redazione e di pubblicazione, nel sito
istituzionale dell'ente, della relazione di fine legislatura, al
Presidente della Giunta regionale e, qualora non abbiano predisposto
la relazione, al responsabile del servizio bilancio e finanze della
regione e all'organo di vertice dell'amministrazione regionale e'
ridotto della meta', con riferimento alle successive tre mensilita',
rispettivamente, l'importo dell'indennita' di mandato e degli
emolumenti. Il Presidente della regione e', inoltre, tenuto a dare
notizia della mancata pubblicazione della relazione, motivandone le
ragioni, nella pagina principale del sito istituzionale dell'ente".
Con le disposizioni in esame il legislatore ha previsto una nuova
e particolare forma di controllo sull'operato della Giunta regionale
da parte della Corte dei conti, controllo che non si limita a
prospettare una forma di collaborazione tra il giudice contabile e
l'Ente, ma e' preordinato all'adozione di specifiche misure
sanzionatorie in capo al Presidente della Regione.
In questo modo, pero', lo Stato ha violato la competenza
esclusiva della ricorrente relativamente alla disciplina della "forma
di governo della Regione", prevista dall'art. 15 dello Statuto. La
redazione e la pubblicazione della relazione di fine legislatura si
risolve, infatti, in un dovere che risulta collegato
indissolubilmente all'esercizio delle funzioni
politico-amministrative del Presidente della Regione, il quale, ai
sensi dell'art. 34 dello Statuto, e' "organo esecutivo della
Regione". Un dovere collegato in maniera cosi' stretta all'esercizio
delle funzioni attribuite al Presidente quale vertice esecutivo della
Regione da incidere in maniera significativa nella "forma di governo
della Regione", per cio' solo impingendo nella sfera di competenza
esclusiva della Regione.
La norma contestata si intromette nella regolamentazione del
rapporto politico-istituzionale tra Consiglio e Presidente della
Regione, proprio perche' non solo regola adempimenti di natura
politica del Presidente (tra i quali e' la relazione di fine
mandato), ma perche', sul piano giuridico-istituzionale ne fa
derivare effetti sfavorevoli per il Presidente stesso, che, invece,
dovrebbe sopportare simili conseguenze pregiudizievoli, a tutto
concedere, solo in ragione di determinazioni assunte dall'unico
organo cui e' legato da un rapporto istituzionale qualificato, ossia
dal Consiglio regionale. Pertanto, oltre all'art. 15, sono violati
anche gli artt. 35 e 37 dello Statuto, che regolano il rapporto
politico-istituzionale tra Consiglio regionale e Presidente della
Regione.
L'art. 15 dello Statuto, anche in combinato disposto con gli
artt. 35 e 37 dello Statuto, e' violato anche per un diverso profilo,
e anche in combinato disposto con gli artt. 3 e 97 della
Costituzione. Il Presidente della Regione, infatti, non ha modo di
interloquire con la Corte dei conti, a seguito delle valutazioni
svolte da quest'ultima sulla relazione di fine legislatura. Anche
questo elemento e' in grado di modificare la struttura del rapporto
che intercorre tra Consiglio regionale e Presidente della Regione,
regolato dagli artt. 15, 33 e 37 dello Statuto, e risulta, comunque,
irragionevole, in quanto impedisce al Presidente di chiarire le
ragioni giustificatrici dell'azione della Regione, cosi pervenendo ad
esiti informativi che non sono compiutamente soddisfacenti ed
efficaci.
Ancora una volta, poi, sono violati gli artt. 54 e 56 dello
Statuto, in combinato disposto con gli artt. 15 e 37 dello Statuto,
l'art. 116 Cost. e gli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. 16 gennaio 1978, n.
21, recante "Norme di attuazione dello Statuto speciale per la
Sardegna concernente il controllo sugli atti della Regione". Gli
articoli in questione, come si e' gia' detto, disciplinano il
controllo della Corte dei conti sugli atti amministrativi della
Regione Sardegna, che e' demandato alla sezione regionale della Corte
dei conti ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. n. 21 del 1978, precludendo
ogni alterazione di tale disciplina che non passi da una revisione
statutaria o dalla modificazione delle norme di attuazione.
La nuova forma di controllo della Corte dei conti viola il
modello disciplinato nell'art. 5 del d.P.R. n. 21 del 1978. Ivi,
infatti, quanto al contenuto del controllo, le norme di attuazione
dello Statuto consentono solamente un "controllo di legittimita'",
essendo "esclusa ogni valutazione di merito" sull'operato
dell'Amministrazione regionale. Quanto all'oggetto, il controllo
della Corte dei conti si puo' esercitare "esclusivamente sui
regolamenti, eccetto quelli attinenti l'autonomia organizzativa,
funzionale e contabile del consiglio regionale". Nel caso in esame,
invece, alla Corte dei conti e' consentito entrare nel merito delle
concrete scelte politiche effettuate dagli organi di governo della
Regione e le sono conferite potesta' che esorbitano dal modello
previsto nelle norme di attuazione.
Ne viene ancora una volta, in una con la violazione degli artt.
54 e 56 dello Statuto (che consentono la ridefinizione del controllo
sugli atti della Regione solo tramite revisione statutaria o norme di
attuazione dello Statuto), la violazione degli artt. 7 e 8 dello
Statuto, che tutelano e garantiscono l'autonomia finanziaria della
Regione; dell'art. 116 Cost., che tutela la particolare autonomia
delle Regioni a Statuto speciale, degli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. n.
21 del 1978, che, come detto, disciplinano e fissano gli strumenti di
controllo degli atti regionali a disposizione della Corte dei conti.
2.2. - Il comma 4 dell'art. 1-bis del d.l. n. 174 del 2012 reca
modificazioni all'art. 5 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149.
In particolare, inserendo le parole "anche nei confronti delle
regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano" nell'alinea
di detto art. 5, estende - appunto - anche alle Regioni e alle
Province autonome la potesta' della Ragioneria generale dello Stato
di "attivare verifiche sulla regolarita' della gestione
amministrativo-contabile [...] qualora un ente evidenzi situazioni di
squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori: a) ripetuto
utilizzo dell'anticipazione di tesoreria: b) disequilibrio
consolidato della parte corrente del bilancio; c) anomale modalita'
di gestione dei servizi per conto di terzi; c-bis) aumento non
giustificato delle spese in favore dei gruppi consiliari e degli
organi istituzionali", verifiche previste all'art. 5 del d.l. n. 149
del 2011.
La disposizione in esame lede l'autonomia finanziaria della
Regione, in quanto ne sottopone l'esercizio a controlli effettuati
dall'Amministrazione ministeriale. Anche in questo caso vi e'
un'intromissione dell'Amministrazione statale nelle procedure di
controllo del bilancio della Regione che e' gravemente lesiva della
sua autonomia finanziaria. Anche in questo caso, dunque, puo' essere
richiamata quella giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto non
lesivo dell'autonomia regionale un intervento di controllo
(oltretutto solo nella forma della collaborazione con l'ente
controllato) da parte della sola Corte dei conti, perche' questa, a
differenza dell'apparato ministeriale, e' "organo terzo (sentenza n.
64 del 2005) a servizio dello «Stato-comunita'» (sentenze n. 29 del
1995 e n. 470 del 1997)" (sent. n. 267 del 2006). Per tali ragioni,
la disposizione in questione e' violativa degli artt. 7 e 8 dello
Statuto e 117 e 119 Cost., dai quali scaturisce l'autonomia
finanziaria e di bilancio della Regione.
Analogamente a quanto gia' rilevato, sono violati anche gli artt.
33 dello Statuto e 127 Cost. Si deve ripetere ancora una volta che la
disposizione statuaria prevede, quale unica forma di controllo
"preventivo" delle leggi regionali, la comunicazione al Governo della
legge approvata prima della sua promulgazione. Essendo i bilanci
regionali approvati con legge, il nuovo tipo di controllo richiesto
dallo Stato, esorbitando dal modello di cui all'art. 33 dello
Statuto, per cio' solo lo viola. Ma, anche questo lo si e' gia'
osservato, il controllo preventivo previsto dall'art. 33 St. e' ormai
superato dall'art. 127 Cost., che ha eliminato il controllo
preventivo sulle leggi delle Regioni ad autonomia ordinaria, sicche'
anche e soprattutto tale parametro e' violato, in quanto l'aggiunta
di un controllo ulteriore determina l'alterazione del regime della
legge regionale, che e' definito da norme di rango costituzionale e
non puo' essere modificato da una fonte legislativa ordinaria.
Anche in questo caso, poi, sono violati gli artt. 54 e 56 dello
Statuto, in combinato disposto con l'art. 7 dello Statuto, l'art. 116
Cost. e con l'art. 10 del d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 21, per le
ragioni gia' esaminate in precedenza, quanto al rapporto fra
tipologia dei controlli e tipologia delle fonti che possono
introdurli o modificarli.
Si deve ricordare ancora una volta che l'art. 10 del d.P.R. n. 21
del 1978 limita il controllo sugli atti relativi alla manovra di
bilancio della Regione Sardegna alla verifica del rendiconto generale
della Regione effettuata dalla sezione regionale della Corte dei
conti, sicche' deve escludersi la legittimita' di una disposizione di
legge ordinaria che istituisce altri tipi di controlli e di verifiche
(specie se operati dall'Amministrazione ministeriale) senza attivare
la procedura garantistica dell'art. 56 dello Statuto. Sono di bel
nuovo violati gli artt. 54 e 56 dello Statuto, che - rispettivamente
- prevedono il procedimento di revisione statutaria, che va seguito
per modificare il regime dei controlli, e (nella misura in cui cio'
non e' necessario) demandano ad una commissione paritetica la
predisposizione delle norme di attuazione dello Statuto. Nella
specie, si badi, e' soprattutto il primo parametro che appare
violato, perche' la norma censurata ha introdotto un controllo
ministeriale totalmente sconosciuto non solo allo Statuto, ma
all'intero sistema costituzionale, sicche' le stesse norme di
attuazione sarebbero state inadeguate alla bisogna. In una con gli
indicati parametri, poi, sono violati gli artt. 7 dello Statuto, che
tutelano e garantiscono l'autonomia finanziaria della Regione; l'art.
116 Cost., che tutela la particolare autonomia delle Regioni a
Statuto speciale, l'art. 10 del d.P.R. n. 21 del 1978, che, come
detto, disciplina il controllo della Corte dei conti.
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2, 3, 4
e 5, del d.l. n. 174 del 2012, come conv. in l. n. 213 del 2012.
L'art. 2 del d.l. n. 174 del 2012 reca numerose disposizioni che
obbligano le Regioni ad intervenire sull'attivita' dei loro organi di
governo. Esse sono talmente estranee alla logica stessa della
specialita' che e' piu' che lecito dubitare della loro stessa
applicabilita' alla Regione Sardegna. Poiche' il comma 4 impegna la
Regione all'adeguamento a tali previsioni, tuttavia, la loro censura
in sede di giudizio principale di legittimita' costituzionale e'
inevitabile.
Le disposizioni in esame sono qui gravate da due ordini di
censure.
Da una parte, infatti, vi e' la palese violazione della
competenza legislativa della Regione ricorrente nella regolazione
della propria autonomia finanziaria e, specularmente, un abnorme
esercizio da parte dello Stato della competenza concorrente in
maniera di "coordinamento della finanza pubblica", oltrepassando di
gran lunga il confine che separa le disposizioni di principio,
riservate allo Stato, dalla concreta gestione della finanza
regionale, che spetta a tutte le Regioni (ai sensi dell'art. 117,
comma 3, Cost., da intendersi di seguito sempre in combinato disposto
con l'art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, che garantisce alle
Regioni speciali almeno la medesima autonomia delle ordinarie) e -
con ancor maggiore ambito di autonomia - alla ricorrente, che e'
titolare di attribuzioni in tema di autonomia finanziaria
guarentigiate da fonti costituzionali in ragione degli artt. 7 e 8
del proprio Statuto, confermati dagli artt. 116 e 119 Cost. Dette
modalita' non solo hanno illegittimamente travalicato l'ambito dei
principi del coordinamento della finanza pubblica riservati allo
Stato, ma, allo stesso tempo, hanno invaso le competenze statutarie
della ricorrente in una serie di specifiche materie, di cui si dara'
conto - si confida - puntualmente nei prossimi paragrafi.
Dall'altra parte, poi, lo Stato, con l'articolo qui censurato,
obbliga la ricorrente a produrre effetti di finanza pubblica che
possono darsi solo mediante la revisione dello Statuto. Ma, come e'
noto, lo Statuto speciale per la Sardegna e' stato approvato con
legge costituzionale, sicche' la ricorrente non ne puo' disporre
liberamente allo stesso modo di una Regione ordinaria. Pertanto, come
si confida di dimostrare anche facendo rinvio alla piu' recente
giurisprudenza costituzionale, le disposizioni contenute
nell'articolo in questione sono illegittime per violazione di singoli
parametri statutari (appresso partitamente indicati), sempre anche in
relazione all'art. 116 Cost., che riconosce e tutela la maggiore
autonomia delle Regioni speciali, e all'art. 54 Cost., che disciplina
il procedimento di revisione dello Statuto.
3.1. - Fatta questa necessaria premessa, dovuta anche alla
estrema lunghezza e complessita' (si direbbe: sostanziale
illeggibilita') delle disposizioni impugnate, e' necessario riportare
almeno in parte il contenuto dell'art. 2 del d.l. n. 174 del 2012.
Il comma 1 prevede che "una quota pari all'80 per cento dei
trasferimenti erariali a favore delle regioni, diversi da quelli
destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale e al
trasporto pubblico locale" sia erogata solo se la regione, "con le
modalita' previste dal proprio ordinamento, entro il 23 dicembre
2012, ovvero entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto qualora occorra procedere a
modifiche statutarie":
"a) abbia dato applicazione a quanto previsto dall'art. 14,
comma 1, lettere a), b), d) ed e), del decreto-legge 13 agosto 2011,
n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011,
n. 148", ossia abbia ridotto il numero dei consiglieri regionali e
degli assessori, nonche' i loro emolumenti;
"b) abbia definito l'importo dell'indennita' di funzione e
dell'indennita' di carica, nonche' delle spese di esercizio del
mandato, dei consiglieri e degli assessori regionali, spettanti in
virtu' del loro mandato, in modo tale che non ecceda complessivamente
l'importo riconosciuto dalla regione piu' virtuosa" A questo
proposito si prevede che "la regione piu' virtuosa e' individuata
dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Io Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano entro il 10 dicembre
2012" e che "Decorso inutilmente tale termine, la regione piu'
virtuosa e' individuata con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri o, su sua delega, del Ministro per gli affari regionali, il
turismo e lo sport, di concerto con i Ministri dell'interno, per la
pubblica amministrazione e la semplificazione e dell'economia e delle
finanze, adottato nei successivi quindici giorni";
"c) abbia disciplinato l'assegno di fine mandato dei
consiglieri regionali in modo tale che non ecceda l'importo
riconosciuto dalla regione piu' virtuosa", individuata nei modi di
cui alla lett. b), ma con l'avvertenza che "Le disposizioni di cui
alla presente lettera non si applicano alle regioni che abbiano
abolito gli assegni di fine mandato";
"d) abbia introdotto il divieto di cumulo di indennita' o
emolumenti, ivi comprese le indennita' di funzione o di presenza in
commissioni o organi collegiali, derivanti dalle cariche di
presidente della regione, di presidente del consiglio regionale, di
assessore o di consigliere regionale, prevedendo inoltre che il
titolare di piu' cariche sia tenuto ad optare, fin che dura la
situazione di cumulo potenziale, per uno solo degli emolumenti o
indennita';
e) abbia previsto, per i consiglieri, la gratuita' della
partecipazione alle commissioni permanenti e speciali, con
l'esclusione anche di diarie, indennita' di presenza e rimborsi di
spese comunque denominati;
f) abbia disciplinato le modalita' di pubblicita' e
trasparenza dello stato patrimoniale dei titolari di cariche
pubbliche elettive e di governo di competenza, prevedendo che la
dichiarazione, da pubblicare annualmente, all'inizio e alla fine del
mandato, nel sito istituzionale dell'ente, riguardi: i dati di
reddito e di patrimonio, con particolare riferimento ai redditi
annualmente dichiarati; i beni immobili e mobili registrati
posseduti; le partecipazioni in societa' quotate e non quotate; la
consistenza degli investimenti in titoli obbligazionari, titoli di
Stato o in altre utilita' finanziarie detenute anche tramite fondi di
investimento, SICAV o intestazioni fiduciarie, stabilendo altresi'
sanzioni amministrative per la mancata o parziale ottemperanza;
g) fatti salvi i rimborsi delle spese elettorali previsti
dalla normativa nazionale, abbia definito l'importo dei contributi in
favore dei gruppi consiliari, al netto delle spese per il personale,
da destinare esclusivamente agli scopi istituzionali riferiti
all'attivita' del consiglio regionale e alle funzioni di studio,
editoria e comunicazione, esclusa in ogni caso la contribuzione per
partiti o movimenti politici, nonche' per gruppi composti da un solo
consigliere, salvo quelli che risultino cosi' composti gia' all'esito
delle elezioni, in modo tale che non eccedano complessivamente
l'importo riconosciuto dalla regione piu' virtuosa, secondo criteri
omogenei, ridotto della meta'" (anche stavolta per l'individuazione
della Regione piu' virtuosa si rimanda alla lett. b) di cui supra);
"h) abbia definito, per le legislature successive a quella in
corso e salvaguardando per le legislature correnti i contratti in
essere, l'ammontare delle spese per il personale dei gruppi
consiliari, secondo un parametro omogeneo, tenendo conto del numero
dei consiglieri, delle dimensioni del territorio e dei modelli'
organizzativi di ciascuna regione";
i) abbia dato applicazione alle regole previste dall'art. 6 e
doli' art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e
successive modificazioni, dall'art. 22, commi da 2 a 4, dall'art.
23-bis, commi 5-bis e 5-ter, e dall'art. 23-ter del decreto-legge 6
dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22
dicembre 2011, n. 214 , dall'art. 3, commi 4, 5, 6 e 9, dall'art. 4,
dall'art. 5, comma 6, e dall'art. 9, comma l, del decreto-legge 6
luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
agosto 2012, n. 135;
l) abbia istituito, altresi', un sistema informativo al quak
affluiscono i dati relativi al finanziamento dell'attivita' dei
gruppi politici, curandone, altresi', la pubblicita' nel proprio sito
istituzionale", con la precisazione che "i dati sono resi
disponibili, per via telematica, al sistema informativo della Corte
dei conti, al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento
della Ragioneria generale dello Stato, nonche' alla Commissione per
la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei
movimenti politici di cui all'art. 9 della legge 6 luglio 2012, n.
96";
"m) abbia adottato provvedimenti volti a recepire quanto
disposto dall'art. 14, colma 1, lettera f), del decreto-legge 13
agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14
settembre 2011, n. 144. La regione, a decorrere dalla data di entrata
in vigore del presente decreto e fatti salvi i relativi trattamenti
gia' in erogazione a tale data, fino all'adozione dei provvedimenti
di cui al primo periodo, puo' prevedere o corrispondere trattamenti
pensionistici o vitalizi in favore di coloro che abbiano ricoperto la
carica di presidente della regione, di consigliere regionale o di
assessore regionale solo se, a quella data, i beneficiari: 1) hanno
compiuto sessantasei anni di eta'; 2) hanno ricoperto tali cariche,
anche non continuativamente, per un periodo non inferiore a dieci
anni. Fino all'adozione dei provvedimenti di cui alla presente
lettera, in assenza dei requisiti di cui ai numeri 1) e 2), la
regione non corrisponde i trattamenti maturati dopo la data di
entrata in vigore del presente decreto". Si prevede anche che "le
disposizioni di cui alla presente lettera non si applicano alle
regioni che abbiano abolito i vitalizi";
"n) abbia escluso, ai sensi degli articoli 28 e 29 del codice
penale, l'erogazione del vitalizio in favore di chi sia condannato in
via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione".
Il secondo comma, poi, aggiunge che, "ferme restando le riduzioni
di cui al comma 1, alinea, in caso di mancato adeguamento alle
disposizioni di cui al comma i entro i termini ivi previsti, a
decorrere dal 1° gennaio 2013 i trasferimenti erariali a favore della
regione inadempiente sono ridotti per un importo corrispondente alla
meta' delle somme da essa destinate per l'esercizio 2013 al
trattamento economico complessivo spettante ai membri del consiglio
regionale e ai membri della giunta regionale".
Il comma 3 del medesimo articolo prevede che "Gli enti
interessati comunicano il documentato rispetto delle condizioni di
cui al comma 1 mediante comunicazione da inviare alla Presidenza del
Consiglio dei ministri e al Ministero dell'economia e delle finanze
entro il quindicesimo giorno successivo alla scadenza dei termini di
cui al comma 1".
Del comma 4 si e' gia' accennato in premessa e meglio si dira'
sub 3.6.
L'ultimo comma, il quinto, prevede che, "qualora le regioni non
adeguino i loro ordinamenti entro i termini di cui al comma 1 ovvero
entro quelli di cui al comma 3, alla regione inadempiente e'
assegnato, ai sensi dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 ,
il termine di novanta giorni per provvedervi", con la precisazione
che "il mancato rispetto di tale ulteriore termine e' considerato
grave violazione di legge ai sensi dell'art. 126, primo comma, della
Costituzione".
3.2. - Le disposizioni dell'art. 5, comma 1, del d.l. n. 174 del
2012 esorbitano dalle attribuzioni dello Stato nella materia di
competenza concorrente "coordinamento della finanza pubblica",
perche' non si limitano a dettare disposizioni di principio, ma
arrivano a definire il piu' minuto dettaglio della materia che
regolano.
Questa difesa non ignora la sedimentata giurisprudenza
costituzionale che vuole che "il legislatore statale puo', con una
disciplina di principio, legittimamente «imporre agli enti autonomi,
per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi
nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle
politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente,
in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti» (da
ultimo, sentenza n. 182 del 2011)", vincoli che "possono considerarsi
rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali quando
stabiliscono un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi
ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e
obiettivi di spesa» (sentenza n. 182 del 2011, nonche' sentenze n.
297 del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007)", ossia fintanto che
e' consentita "l'estrapolazione, dalle singole disposizioni statali,
di principi rispettosi di uno spazio aperto all'esercizio
dell'autonomia regionale» (sentenza n. 182 del 2011)" (cosi', tra le
ultime, la sent. n. 139 del 2012).
Nel caso in questione, pero', la realta' e' ben altra. La piana
lettura delle disposizioni impugnate "rende evidente la
impossibilita' di ricondurre la disposizione censurata ad un
esercizio del potere legislativo di determinazione di principi
fondamentali, nel rispetto del tipo di legislazione concorrente di
cui al terzo comma dell'art. 117 della Costituzione", perche' le
disposizioni normative "sono tutte assai particolareggiate ed anche
in parte tra loro eterogenee" e "non possono non applicarsi
integralmente, senza spazi per adeguamento alcuno, anche a Regioni e
Province autonome", sicche', "quand'anche la norma impugnata venga
collocata nell'area del coordinamento della finanza pubblica, e'
palese che il legislatore statale, vincolando Regioni e Province
autonome all'adozione di misure analitiche e di dettaglio, ne ha
compresso illegittimamente l'autonomia finanziaria, esorbitando dal
compito di formulare i soli principi fondamentali della materia"
(cosi', in modo particolarmente efficace tra le tante, la sent. n.
159 del 2008).
Che nella fattispecie che ne occupa sia esattamente cosi' risulta
da molteplici dati:
- la lett. a) prescrive un rigido livello massimo di
consiglieri e assessori regionali, nonche' la diminuzione dei loro
emolumenti;
- le lett. b), c) e g) addirittura impongono un livellamento
generale delle misure di spesa tra tutte le Regioni italiane. Questo
e' un dato assolutamente dirimente: le Regioni dovranno prevedere
tutte la stessa cifra, assimilata a quella dell'Ente piu' virtuoso,
per indennita' di funzione, assegni di fine mandato e importi a
favore dei gruppi. E, si badi, l'intervento della Conferenza
Stato-Regioni non lascia alle Regioni spazio di autonomia, visto che
la Conferenza dovra' solo prendere atto di quale sia la Regione piu'
virtuosa;
- le lett. d), e), h) e n) indicano non dei livelli di
riduzione di spesa, ma cogenti modelli di regolamentazione della
spesa, vietando il cumulo tra indennita' ed. emolumenti, prescrivendo
la gratuita partecipazione alle commissioni, un tetto massimo di
spese per il personale, una rigida relazione tra eventuale condanna
penale dell'ex consigliere regionale e revoca del vitalizio;
- le lett. f) e l), prevedono dettagliate forme di
pubblicita' dello stato patrimoniale e l'istituzione di un sistema
informativo sul finanziamento ai gruppi politici.
E' impossibile, dunque, ricollegare dette disposizioni al
semplice principio della "riduzione dei costi della politica nelle
regioni", come vorrebbe la rubrica dell'art. 2 in esame, sicche'
risulta evidente la loro illegittimita', per violazione dell'art.
117, somma 3, Cost. (che limita alla fissazione dei principi la
competenza statale in materia di coordinamento della finanza
pubblica), ma anche degli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost. (dai
quali si desume la specifica garanzia dell'autonomia finanziaria e di
bilancio della Regione Sardegna).
Di conseguenza, sono illegittimi anche i commi 2, 3 e 5, che
ricollegano effetti ancor piu' lesivi dell'autonomia regionale alla
(mancata) ottemperanza alle prescrizioni del comma 1. Effetti che,
ripercuotendosi sull'intero e generale finanziamento della Regione,
si palesano violativi degli artt. 7 e 8 dello Statuto e 117 e 119
Cost., ma anche degli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto, perche'
impediscono alla ricorrente di svolgere le funzioni pubbliche
confidatele dalla Costituzione, dallo Statuto, dalle leggi.
3.3. - Se e' evidente la lesione dell'autonomia finanziaria della
Regione, non meno evidenti sono le violazioni di singole disposizioni
statutarie relative alle fattispecie che il legislatore statale
pretende oggi di regolare. Le disposizioni del comma 1, infatti,
violano l'art. 16 dello Statuto, che stabilisce direttamente il
numero dei componenti del Consiglio regionale della Sardegna.
Violato e' anche l'art. 15 dello Statuto, che affida alla legge
regionale la determinazione della forma di governo della Regione e
dei rapporti fra i suoi organi. Non v'e' dubbio, infatti, che anche
la determinazione del numero (e degli stessi emolumenti) dei
consiglieri e degli assessori regionali incida sui rapporti tra gli
organi istituzionali che ne qualificano la forma di governo. Piu'
ancora, e' specificamente violato l'art. 26 dello Statuto, che
assegna alla legge regionale la competenza a fissare l'indennita' dei
Consiglieri regionali.
Piu' in generale, e' violata l'autonomia della Regione Sardegna
nella determinazione della sua organizzazione interna, garantita
anche dall'art. 116 Cost. e dall'art. 3, comma 1, lett. b), dello
Statuto.
Quanto al comma 2, sono violati anche gli artt. 3 e 119 Cost.,
anche in combinato disposto con gli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto,
perche' il trasferimento dei fondi necessari per Io svolgimento delle
funzioni statutarie e' - come gia' si diceva - irragionevolmente
subordinato alla rinuncia della Regione alla sua autonomia
costituzionalmente garantita, con violazione anche dell'autonomia
finanziaria regionale.
Violato, poi, e', per uno specifico profilo, l'art. 8 dello
Statuto, perche' i trasferimenti erariali che si prevede di bloccare
rientrano tra le quote di compartecipazione erariale fissate nel
parametro statutario ora invocato. Il che significa che la legge ha
di fatto imposto una sostanziale riserva erariale a favore dello
Stato, che e' violativa, appunto dell'art. 8 dello Statuto. Per la
stessa ragione, il blocco dei trasferimenti erariali, inteso quale
sostanziale disapplicazione o elusione del regime di
compartecipazione fissa alle entrate erariali di cui all'art. 8 dello
Statuto, e' equivalente ad un contributo sine causa e indeterminato
nel tempo a favore dello Stato, contributo che, per consolidata
giurisprudenza costituzionale, esorbita dalla competenza statale
concorrente nella materia "coordinamento della finanza pubblica" e
impinge nella relativa competenza concorrente regionale. Anche per
questo profilo, dunque, e' violato ancora l'art. 117 Cost., in
relazione all'art. 8 dello Statuto.
I medesimi vizi affliggono il comma 3. La prova del "documentato
rispetto delle condizioni di cui al comma 1 mediante comunicazione da
inviare alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero
dell'economia e delle finanze entro il quindicesimo giorno successivo
alla scadenza dei termini" e' strumentale e funzionale all'attuazione
delle illegittime previsioni di cui ai commi 1 e 2.
3.4. - Il comma 5, poi, disciplinando una specifica ipotesi di
scioglimento del Consiglio regionale e contestuale rimozione del
Presidente della Regione, auto-qualifica quale "grave violazione di
legge ai sensi dell'art. 126, primo comma, della Costituzione" il
mancato adeguamento della Regione alle disposizioni dell'intero art.
2 del d.l. n. 174 del 2012.
E' piu' che ragionevole dubitare sull'applicabilita' questa
prescrizione alla Regione Sardegna, atteso che e' richiamata un
parametro costituzionale (art. 126) applicabile alle sole Regioni
ordinarie. Nondimeno, in mancanza di esplicita esclusione deve dirsi
che, in questo modo, il legislatore statale ha violato specificamente
non solo lo stesso art. 126 Cost., ma anche gli artt. 15, 35 e 50
dello Statuto, in cui sono disciplinati i rapporti fra gli organi
regionali e sono dettati tassativamente i casi di scioglimento del
Consiglio regionale medesimo e della Giunta regionale, nonche' di
fine anticipata del mandato del Presidente della Regione, e (art. 50)
sono altresi' previste speciali forme di (leale) collaborazione tra
Stato e Consiglio regionale nel caso in cui a perpetrare le
violazioni di legge sia la Giunta regionale.
Innanzitutto, non basta l'autoqualificazione legislativa per far
sussumere la fattispecie di cui all'art. 2, comma 5, del d.l. n. 174
del 2012 tra le "gravi violazioni di legge" di cui all'art. 126 Cost.
Tanto anche perche' l'art. 2, comma 1, alinea, del d.l. n. 174 del
2012, si limita a prevedere mere conseguenze finanziarie penalizzanti
(per quanto estremamente severe) per le Regioni che decidano di non
adeguarsi al lungo elenco di oneri di cui al medesimo comma 1. Il che
rende contraddittoria (e violativa dell'art. 3 Cost.) la previsione
dello scioglimento nel caso di mancato adeguamento. Tanto piu'
contraddittoria e irragionevole, si badi, se si tiene conto
dell'esiguita' dei termini stabiliti dal medesimo art. 2, comma 5,
qui censurato.
In secondo luogo, si deve considerare che l'"adeguamento" della
Regione alle prescrizioni dell'intero art. 2 del d.l. n. 174 del 2012
non richiede solo determinazioni del Consiglio regionale, ma ha
necessita' anche di provvedimenti di competenza del solo organo
esecutivo (si pensi agli incombenti di cui all'art. 2, comma 1, lett.
l), del d.l. n. 174 del 2012, che obbliga la Regione a comunicazioni
periodiche di dati e alla divulgazione degli stessi attraverso il
sito internet istituzionale dell'Ente).
Cio' considerato, si deve ricordare che gli artt. 35 e 50 dello
Statuto stabiliscono procedure e casistiche particolari per la
cessazione del mandato del Presidente della Regione e per lo
scioglimento del Consiglio sardo, laddove la norma censurata pretende
di dettare una disciplina valevole per tutte le Regioni, ma che qui
e' coperta da una fonte costituzionale.
Si aggiunga che l'art. 50 dello Statuto prevede lo scioglimento
del Consiglio regionale quando "non proceda alla sostituzione della
Giunta regionale o del Presidente che abbiano compiuto analoghi atti
o violazioni". Come si vede, l'art. 50 prevede la possibilita' che il
Consiglio regionale, avvertito dal Governo, possa deliberare
autonomamente di sostituire la Giunta regionale e il Presidente della
Regione. Questa forma di coinvolgimento del massimo organo di
rappresentanza politica non e' prevista, tuttavia, ne' dall'art. 2
del d.l. n. 174 del 2012 ne' dall'art. 126 della Costituzione."
Il comma 5 viola anche l'art. 3 Cost., in combinato disposto con
gli artt. 50 e 54 dello Statuto e 116 Cost., perche' ricollega
l'ipotesi di scioglimento del Consiglio regionale e di rimozione del
Presidente della Regione ad eventi che, come si vedra' subito
appresso, non sono nella disponibilita' (e dunque nella
responsabilita') della Regione medesima, quali la revisione dello
Statuto. La disposizione, per tale motivo, si palesa violativa anche
del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., nella parte in
cui tratta la Regione Sardegna in modo deteriore rispetto alle
Regioni ordinarie, che possono liberamente modificare il loro
Statuto, ma anche del principio di ragionevolezza, nella parte in cui
ricollega l'apparato sanzionatorio dell'art. 126, comma 1, Cost., ad
ipotesi che sfuggono alla responsabilita' dei componenti degli organi
del governo regionale.
3.5. - Non basta. Come si e' visto nei precedenti paragrafi, la
gran parte delle "condizioni" richieste dai commi in esame possono
avverarsi solo attraverso una revisione dello Statuto regionale. Che
sia cosi' lo dimostra la prima "condizione" posta alle Regioni dalla
lett. a) del comma 1 dell'articolo qui censurato. Essa rimanda
all'art. 14 del d.l. n. 138 del 2011, di cui codesta Ecc.ma Corte
costituzionale si e' occupata nella sent. n. 198 del 2012. Detto art.
14 si componeva di due commi, che utilizzavano una tecnica normativa
assai simile a quella impiegata nell'art. 3 del d.l. n. 174 del 2012.
Il primo comma prevedeva e prevede alcune limitazioni puntuali alla
spesa delle Regioni, il secondo, dedicato alle autonomie speciali,
stabiliva effetti negativi di finanza pubblica per le Regioni e le
Province autonome che non si fossero adeguate a quanto prescritto al
comma 1.
Di fronte alle censure rivolte dalle Regioni a Statuto speciale
all'art. 14 del d.l. n. 138 del 2011, la Corte ha affermato che "La
disciplina relativa agli organi delle Regioni a statuto speciale e ai
loro componenti e' contenuta nei rispettivi statuti. Questi, adottati
con legge costituzionale, ne garantiscono le particolari condizioni
di autonomia, secondo quanto disposto dall'art. 116 Cost.
L'adeguamento da parte delle Regioni a statuto speciale e delle
Province autonome ai parametri di cui all'art. 14, comma 1, del
decreto-legge n. 138 del 2011 richiede, quindi, la modifica di fonti
di rango costituzionale. A tali fonti una legge ordinaria non puo'
imporre limiti e condizioni".
Anche ora, come allora, la legge ordinaria, pretendendo di
condizionarne i contenuti, aspira a porsi in posizione
gerarchicamente sovraordinata allo Statuto speciale, in palese
violazione dell'art. 54 dello Statuto e dell'art. 116 Cost.
Inoltre, si deve considerare che lo Statuto, ai sensi proprio
dell'art. 54 dello stesso, si puo' riformare (salva la specifica
fattispecie prevista dal comma 5, per le quali si prevedono comunque
forme di garanzia e partecipazione per la Regione) solo con il
procedimento stabilito per la revisione costituzionale, sicche'
l'adeguamento ai parametri dell'art. 3 del d.l. n. 174 del 2012 non
e' nella disponibilita' della Regione Sardegna, che puo' solamente
avviare il procedimento di revisione, ma non puo' portarlo a
compimento. Cio' aggrava i profili di illegittimita' e di
irragionevolezza della disposizione censurata, che contribuisce a
creare un meccanismo perverso di distribuzione degli oneri di finanza
pubblica tra gli enti territoriali, che non tiene in alcun conto la
specifica situazione della Regione Sardegna, determinata, nel caso di
specie, dalle regole che disciplinano le fonti dell'autonomia
speciale. Si giunge cosi' ad un duplice paradosso. Anzitutto, che la
Sardegna e' resa responsabile per scelte (come quelle relative al
numero dei consiglieri regionali) delle quali non ha la
disponibilita'. In secondo luogo, che essa, pur essendo ad autonomia
speciale (cosa che importa, di conseguenza, una maggiore autonomia
anche finanziaria e di bilancio), in forza della disposizione
censurata non puo' ottenere i trasferimenti erariali cui ha diritto.
3.6. - Si era postergato, prima, l'esame del comma 4
dell'articolo in oggetto. Ebbene: esso prevede che "Le regioni a
statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano
provvedono ad adeguare i propri ordinamenti a quanto previsto dal
comma 1 compatibilmente con i propri statuti di autonomia e con le
relative norme di attuazione".
Detto comma e' anch'esso violativo di tutti i parametri statutari
e costituzionali individuati al paragrafo precedente, in una col
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., perche' non
limita l'applicabilita' dell'art. 2 del d.l. n. 174 del 2012 ai soli
ambiti di competenza del legislatore statale. In altri termini:
quella in oggetto e' una clausola che, sebbene in apparenza sembri
finalizzata alla tutela delle attribuzioni statutarie della Regioni
ad autonomia speciale, finisce, al contrario, per mortificarle.
La pretesa clausola di salvaguardia, infatti, e' rivolta
solamente alle Regioni, le quali dovranno "adeguare i propri
ordinamenti a quanto previsto dal comma I compatibilmente con i
propri statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione".
Questa formula (che peraltro, facendo riferimento al solo "comma 1",
fa ragionevolmente dubitare che gli altri si possano logicamente
applicare alle Regioni speciali) non e' adatta a limitare il raggio
applicativo delle disposizioni che detta, proprio perche' non prevede
espressamente che gli ambiti di competenza delle Regioni a Statuto
speciale si intendevano comunque fatti salvi dall'applicazione
dell'art. 5 d.l. n. 174 del 2012, con buona pace delle illegittime
incursioni dello Stato non solo negli ambiti materiali riservati al
legislatore, ma addirittura nei singoli istituti direttamente
disciplinati nello Statuto.
La questione dell'operativita' della clausola di salvaguardia e'
stata chiarita da codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella sent. n.
241 del 2012. In quel caso si interpretava l'art. 19-bis del d.l. n.
138 del 2011, ove si prevedeva che "l'attuazione delle disposizioni
del presente decreto nelle regioni a statuto speciale e nelle
province autonome di Trento e Bolzano avviene nel rispetto dei loro
statuti e delle relative norme di attuazione e secondo quanto
previsto dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42". Codesta
Ecc.ma Corte costituzionale affermo' che attraverso "la clausola di
salvaguardia, gli evocati parametri di rango statutario assumono
[...] la funzione di generale limite per l'applicazione delle norme
del decreto-legge n. 138 del 2011, nel senso che queste sono
inapplicabili agli enti a statuto speciale ove siano in contrasto con
gli statuti e le relative norme di attuazione. Detta inapplicabilita'
esclude la fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale
basate sulla violazione di tali parametri statutari" salva
l'evenienza che "singole norme del decreto-legge prevedano
espressamente, derogando alla clausola in esame, la propria diretta
ed immediata applicabilita' agli enti ad autonomia speciale".
Ora, la differenza che intercorre tra l'art. 5, comma 4, del d.l.
n. 174 del 2012 e l'art. 19-bis del d.l. n. 138 del 2011 e'
assolutamente evidente. Solo replicando la stessa formula dell'art.
19-bis del d.l. n. 138 del 2011 (e non quella ben piu' restrittiva
qui in questione) poteva prodursi quel meccanismo inteso a
salvaguardare sia la legittimita' dell'intervento statale che le
attribuzioni delle Regioni speciali che e' stato limpidamente
ricostruito nella cit. sent. n. 241 del 2012.
Di conseguenza, non avendo delimitato l'efficacia del d.l. n. 174
del 2012 nel rispetto della rigida ripartizione delle competenze e
delle specifiche previsioni recate dallo Statuto, il legislatore e'
incorso una volta di piu' nella violazione di tutti i parametri
invocati per il presente articolo, ovverosia degli artt. 3, 4, 5, 6
7, 8, 15, 16, 26 35, 50 e 54 dello Statuto e 3, 116, 117, 119 e 126
della Costituzione, anche in relazione all'art. 10 della l. cost. n.
3 del 2001.
4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lett.
e), del d.l. n. 174 del 2012, come conv. in l. n. 213 del 2012.
L'art. 3 del d.l. n. 174 del 2012 ha apportato significative
modifiche al d.lgs. n. 267 del 2012, recante testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali (TUEL). Per quanto qui interessa,
il comma 1, lett. e) ha interamente sostituito l'art. 148 del TUEL.
Nella nuova formulazione il testo dell'art. 148 del TUEL prevede
quanto segue: "1. Le sezioni regionali della Corte dei conti
verificano, con cadenza semestrale, la legittimita' e la regolarita'
delle gestioni, nonche' il funzionamento dei controlli interni ai
fini del rispetto delle regole contabili e dell'equilibrio di
bilancio di ciascun ente locale. A tale fine, il sindaco,
relativamente ai comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti,
o il presidente della provincia, avvalendosi del direttore generale,
quando presente, o del segretario negli enti in cui non e' prevista
la figura del direttore generale, trasmette semestralmente alla
sezione regionale di controllo della Corte dei conti un referto sulla
regolarita' della gestione e sull'efficacia e sull'adeguatezza del
sistema dei controlli interni adottato, sulla base delle linee guida
deliberate dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti entro
trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
disposizione; il referto e', altresi', inviato al presidente del
consiglio comunale o provinciale.
2. Il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento
della Ragioneria generale dello Stato puo' attivare verifiche sulla
regolarita' della gestione amministrativo-contabile, ai sensi
dell'art. 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n.
196, oltre che negli altri casi previsti dalla legge, qualora un ente
evidenzi, anche attraverso le rilevazioni SIOPE, situazioni di
squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori:
a) ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria;
b) disequilibrio consolidato della parte corrente del
bilancio;
c) anomale modalita' di gestione dei servizi per conto di
terzi;
d) aumento non giustificato di spesa degli organi politici
istituzionali.
3. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti
possono attivare le procedure di cui al comma 2.
4. In caso di rilevata assenza o inadeguatezza degli strumenti e
delle metodologie di cui al secondo periodo del comma 1 del presente
articolo, fermo restando quanto previsto dall'art. 1 della legge 14
gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, e dai commi 5 e
5-bis dell'art. 248 del presente testo unico, le sezioni
giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano agli
amministratori responsabili la condanna ad una sanzione pecuniaria da
un minimo di cinque fino ad un massimo di venti volte la retribuzione
mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione".
Il medesimo art. 3, comma 1, lett. e), del d.l. n. 174 del 2012
ha anche aggiunto al TUEL l'art. 148-bis. Detto articolo prescrive
quanto segue: "1. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti esaminano i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi degli
enti locali ai sensi dell'art. 1, commi 166 e seguenti, della legge
23 dicembre 2005, n. 266, per la verifica del rispetto degli
obiettivi annuali posti dal patto di stabilita' interno,
dell'osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento
dall'art. 119, sesto comma, della Costituzione, della sostenibilita'
dell'indebitamento, dell'assenza di irregolarita', suscettibili di
pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri
economico-finanziari degli enti.
2. Ai fini della verifica prevista dal comma 1, le sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti accertano altresi' che i
rendiconti degli enti locali tengano conto anche delle partecipazioni
in societa' controllate e alle quali e' affidata la gestione di
servizi pubblici per la collettivita' locale e di servizi strumentali
all'ente.
3. Nell'ambito della verifica di cui ai commi 1 e 2,
l'accertamento, da parte delle competenti sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti, di squilibri economico-finanziari,
della mancata copertura di spese, della violazione di norme
finalizzate a garantire la regolarita' della gestione finanziaria, o
del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilita'
interno comporta per gli enti interessati l'obbligo di adottare,
entro sessanta giorni dalla comunicazione del deposito della
pronuncia di accertamento, i provvedimenti idonei a rimuovere le
irregolarita' e a ripristinare gli equilibri di bilancio. Tali
provvedimenti sono trasmessi alle sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti che li verificano nel termine di trenta giorni
dal ricevimento. Qualora l 'ente non provveda alla trasmissione dei
suddetti provvedimenti o la verifica delle sezioni regionali di
controllo dia esito negativo, e' preclusa l'attuazione dei programmi
di spesa per i quali e' stata accertata la mancata copertura o
l'insussistenza della relativa sostenibilita' finanziaria".
4.1. - Per cogliere immediatamente l'illegittimita'
costituzionale delle norme qui censurate si deve considerare che la
Regione Sardegna ha competenza legislativa esclusiva nella materia
"ordinamento degli enti locali" ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett.
b), dello Statuto, in combinato disposto con l'art. 46. Detta
competenza, come ha rilevato codesta Ecc.ma Corte costituzionale
nella sent. n. 275 del 2007, implica che la "materia della finanza
locale [...] per la Regione sarda, e' devoluta alla competenza
legislativa esclusiva della Regione in forza dell'art. 3, lettera b),
del relativo statuto speciale". E' evidente, dunque, che lo Stato,
nel disciplinare le forme dei controlli esterni sulla finanza locale,
ha inciso la competenza legislativa esclusiva della Regione
ricorrente. La competenza attribuita dall'art. 3, comma 1, lett. b),
dello Statuto concerne non solo l'ordinamento degli enti locali, ma
anche i relativi controlli, ivi compresi quelli sulla finanza. Lo ha
rilevato codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella sent. n. 415 del
1994, affermando che "la materia del controllo sugli atti [degli enti
locali sardi] di cui all'art. 46 dello Statuto sardo, rientra a pieno
titolo nell'oggetto contemplato dalla lettera b) dell'art. 3 dello
statuto stesso. Con la conseguenza che la natura della potesta'
legislativa regionale in ordine alla materia dei controlli, dopo la
riforma operata dalla legge costituzionale, diventa esclusiva e,
quindi, regolata dalla lett. b) dell'art. 3 dello statuto".
In ogni caso, ferma la violazione anche dell'art. 3 dello
Statuto, si deve rilevare che e' comunque violato specificamente
l'art. 46, che prevede che "il controllo sugli atti degli enti locali
e' esercitato da organi della Regione nei modi e nei limiti stabiliti
con legge regionale". Le norme in esame hanno disciplinato in estremo
dettaglio la materia dei controlli sulla finanza degli enti locali,
individuando addirittura le singole specifiche rilevazioni
economico-finanziarie che il Ministero potrebbe e dovrebbe operare
(cfr. art. 148, comma 2, del TUEL come novellato dalla disposizione
impugnata) e anche la tipologia delle sanzioni che potrebbero essere
comminate ai componenti degli organi di governo degli enti locali
(successivo comma 4). Conseguentemente, anche per gli enti locali ai
quali non si estendesse la competenza esclusiva di cui all'art. 3,
comma 1, lett. b), dello Statuto (cfr. sentt. n. 24 del 1957 e 415
del 1994) verrebbe comunque oltrepassata la competenza statale
limitata ai principi fondamentali della materia.
Non basta. Con la disposizione impugnata lo Stato ha affidato a
soggetti esterni all'ordinamento regionale lo svolgimento delle
funzioni amministrative concernenti la diretta attuazione di norme
che ricadono nell'ambito materiale della competenza legislativa
regionale. Per tale motivo e' violato anche l'art. 6 dello Statuto,
che, in ossequio al c.d. "principio del parallelismo" (cfr. cit.
sent. n. 51 del 2006), attribuisce l'esercizio delle funzioni
amministrative allo stesso soggetto istituzionale dotato di
competenza legislativa.
Infine, l'art. 3, comma 1, lett. e) del d.l. n. 174 del 2012
viola gli artt. 3, comma 1, lett. b), 6 e 46 dello Statuto, anche in
relazione agli artt. 54 e 56 dello Statuto. Un'ennesima volta si deve
osservare che le regole sui controlli della Corte dei conti sulla
Regione Sardegna sono state introdotte attraverso norme di attuazione
dello Statuto, a tutela della competenza regionale a disporre
dell'autonomia economico-finanziaria. Dato che i controlli sugli enti
locali incidono, come si e' visto, nella competenza legislativa
esclusiva della ricorrente ai sensi dei richiamati art. 3, comma 1,
lett. b), e 46 dello Statuto e nelle attribuzioni di funzioni
amministrative ai sensi dell'art. 6 dello Statuto, allora anche in
questo caso era necessario procedere con revisione statutaria o
(almeno) attraverso le "norme di attuazione dello Statuto". Avendo,
invece, lo Stato adottato un atto avente forza di legge senza le
forme di partecipazione della Regione di cui all'art. 56 dello
Statuto, la disposizione gravata si palesa radicalmente illegittima.
Di conseguenza e' violato anche l'art. 116 Cost., che riconosce una
maggiore autonomia alle Regioni speciali rispetto alle Regioni
ordinarie, maggiore autonomia che e' garantita anche dalle norme di
attuazione dello Statuto.
5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.l. n. 174
del 2012, come conv. in l. n. 213 del 2012. L'art. 6 del d.l. n. 174
del 2012 attribuisce all'Amministrazione ministeriale e alla Corte
dei conti ulteriori poteri di controllo sull'attivita' degli enti
locali.
In particolare, il comma 1 prevede che il Commissario per la
revisione della spesa previsto dall'art. 2 del d.l. n. 52 del 2012
possa avvalersi dei servizi ispettivi della Ragioneria Generale dello
Stato "per lo svolgimento di analisi sulla spesa pubblica effettuata
dagli enti locali".
Il successivo comma 2 prevede che le analisi cosi' effettuate
siano "comunicate alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti e alla Sezione delle autonomie".
Il comma 3, poi, prevede che le Sezioni regionali della Corte dei
conti, una volta effettuati i controlli sull'attivita' degli enti
locali, "assegnano alle amministrazioni interessate un termine, non
superiore a trenta giorni, per l'adozione delle necessarie misure
correttive dirette a rimuovere le criticita' gestionali evidenziate e
vigilano sull'attuazione delle misure correttive adottate".
Infine, il comma 4 prevede che "in presenza di interpretazioni
discordanti delle norme rilevanti per l'attivita' di controllo o
consultiva o per la risoluzione di questioni di massima di
particolare rilevanza, la Sezione delle autonomie emana delibera di
orientamento alla quale le Sezioni regionali di controllo si
conformano".
5.1. - Anche l'art. 6 del d.l. n. 174 del 2012 viola l'art. 3,
comma 1, lett. b), dello Statuto, che affida alla competenza
legislativa esclusiva della Regione la materia "ordinamento degli
enti locali". Detta materia, come si e' detto, compre anche l'ambito
materiale della "finanza locale", come ha osservato codesta Ecc.ma
Corte costituzionale nella sent. n. 275 del 2007, sicche' e' evidente
che le forme dei controlli esterni sulla finanza locale non possono
essere disciplinate dallo Stato, oltretutto nel dettaglio, se non al
costo della lesione delle attribuzioni statutarie della ricorrente.
Di bel nuovo e' violato l'art. 46 dello Statuto. Anche in questo
caso, come gia' rilevato a proposito dell'art. 3, comma 1, lett. e),
del d.l. n. 174 del 2012, le norme in esame attribuiscono a soggetti
esterni all'ordinamento regionale compiti che incidono in maniera
significativa sull'autonomia degli Enti locali, cosi' violando la
competenza legislativa della Regione, che e' tutelata dalle
richiamate nonne statutarie.
Come si e' visto, poi, le disposizioni impugnate, oltre ad
usurpare la competenza legislativa della Regione, affidano a soggetti
non riconducibili all'ordinamento regionale le funzioni
amministrative cosi' disciplinate. Per questo motivo, come gia'
visto, e' violato l'art. 6 dello Statuto, che affida alla Regione le
funzioni amministrative nelle materie in cui l'Ente ha potesta'
legislativa.
5.2. - Gli artt. 3, comma 1, lett. b), 6 e 46 dello Statuto,
inoltre, sono violati anche in combinato disposto con l'art. 56 dello
Statuto, con l'art. 116 Cost. e con l'art. 1 del d.P.R. 16 gennaio
1978, n. 21, recante "Norme di attuazione dello Statuto speciale per
la Sardegna concernente il controllo sugli atti della Regione". Come
gia' piu' volte osservato, il comma 4 dell'art. 6 del d.l. n. 174 del
2012, attribuendo alla Sezione delle autonomie della Corte dei conti
la possibilita' di adottare una "delibera di orientamento" per il
controllo sugli enti locali, di fatto affida la nromazione sul
controllo sugli enti locali della Regione ad un'articolazione della
medesima Corte.
Per tale ragione Io Stato, con le norme impugnate, ha anzitutto
violato l'art. 54 dello Statuto, che riserva alla legge
costituzionale (o alla speciale fonte di cui al comma 5) la revisione
dello Statuto. In ogni caso, poi, ha violato l'art. 56 dello Statuto:
anche ad ammettere (quod non) che non vi sia un ostacolo direttamente
nello Statuto (ostacolo non superabile nemmeno dalle norme di
attuazione statutaria), sarebbe appunto violato l'art. 56 dello
Statuto, che prevede che sia una specifica fonte primaria adottata
sulla base delle indicazioni di una commissione paritetica, e non il
legislatore statale, in solitudine, a dettare norme di attuazione
dello Statuto. E' violato, di conseguenza, anche l'art. 116 Cost.,
che riconosce una maggiore autonomia alle Regioni speciali rispetto
alle Regioni ordinarie, maggiore autonomia garantita anche dalle
Norme di attuazione dello Statuto.
Come gia' osservato a proposito dell'art. 3, comma 1, lett. e)
del d.l. n. 174 del 2012, gli artt. 3, comma 1, lett. a), 6 e 46
dello Statuto, anche in relazione all'art. 56 dello Statuto e agli
artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. n. 21 del 1978, sono violati anche nella
misura in cui l'intera disciplina dei controlli di cui all'art. 6 del
d.l. n. 174 del 2012 e' stata introdotta non attraverso le "norme di
attuazione dello Statuto", bensi' da un atto avente forza di legge
adottato dallo Stato senza alcuna partecipazione della Regione.
6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 11-bis del d.l. n.
174 del 2012, come conv. in l. n. 213 del 2012. L'art. 11-bis del
d.l. n. 174 del 2012 prevede che "le regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e di Bolzano attuano le disposizioni di
cui al presente decreto nelle forme stabilite dai rispettivi statuti
di autonomia e dalle relative norme di attuazione".
Esattamente come la gia' esaminata disposizione di cui all'art.
2, comma 4, del d.l. n. 174 del 2012, anche quella ora in esame e'
una clausola inadatta a fare salve le attribuzioni delle Regioni a
Statuto speciale. Essa, infatti, e' rivolta solamente alle Regioni,
le quali dovranno "attuare le disposizioni di cui al presente decreto
nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle
relative norme di attuazione".
Al contrario, il legislatore (non ci si puo' esimere dal ribadire
quanto gia' detto supra) doveva direttamente limitare il raggio
applicativo delle disposizioni che andava dettando, espressamente
prevedendo che gli ambiti di competenza delle Regioni a Statuto
speciale si intendevano comunque fatti salvi dall'applicazione del
d.l. n. 174 del 2012, come chiarito dalla cit. sent. n. 241 del 2012
a proposito dell'art. 19-bis del d.l. n. 138 del 20122 (cfr. par.
4.2. del Considerato in diritto). Anche in questo caso, la differenza
che intercorre tra l'art. 11-bis del d.l. n. 174 del 2012 e l'art.
19-bis del d.l. n. 138 del 2011 e' assolutamente evidente e depone
per l'insufficienza della formulazione della pretesa clausola di
salvaguardia. Solo replicando la stessa formula dell'art. 19-bis del
d.l. n. 138 del 2011 (e non quella ben piu' restrittiva qui in
questione) poteva prodursi quel meccanismo inteso a salvaguardare sia
la legittimita' dell'intervento statale che le attribuzioni delle
Regioni speciali che e' stato limpidamente ricostruito nella cit.
sent. n. 241 del 2012.
Per tale ragione l'articolo in esame e' violativo degli artt. 3,
4, 5, 6, 7, 8, 15, 16, 19, 33, 34, 35, 46, 50 e 54 dello Statuto,
degli artt. 3, 117, 118 e 119 Cost. e del principio di
ragionevolezza, nella misura in cui consente che il d.l. n. 174 del
2012 si applichi anche in violazione delle disposizioni statutarie e
costituzionali indicate ai precedenti paragrafi.
P.Q.M.
Chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento
del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 1, (con particolare riferimento ai commi
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 16); 1-bis, (con particolare
riferimento ai commi 1, lett c) e 4); 2, (con particolare riferimento
ai commi 1, 2, 3, 4 e 5); 3, comma 1, lett. e), 6 e 11-bis del
decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante "Disposizioni urgenti
in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali,
nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel
maggio 2012", pubblicato in G.U. n. 237 del 10 ottobre 2012,
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 7 dicembre 2012, n. 213, pubblicata in G.U. n. 286 del 7
dicembre 2012, Suppl. Ord., per violazione degli artt. 3, 4, 5, 6, 7,
8, 15, 16, 19, 26, 33, 35, 37, 54 e 56 della l.cost. n. 3 del 1948,
recante Statuto speciale per la Sardegna, e degli artt. 3, 116, 117,
119, 127 Cost., anche in relazione all'art. 10 della I. cost. n. 3
del 2001 e agli artt. 4, 5 e 10 del d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 21.
Si deposita copia conforme all'originale della Delibera della
Giunta regionale della Regione Autonoma della Sardegna n. 6/1 del 31
gennaio 2013.
Comunicazioni ai recapiti del difensore domiciliatario indicafi
in epigrafe.
Roma - Cagliari, 4 febbraio 2012.
Avv. Ledda - Avv. Luciani