Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria  il  15  febbraio  2013  (della  Regione  autonoma  della Sardegna).

 

 

(GU n. 11 del 13.3.2013)

 

    Ricorso della Regione autonoma  della  Sardegna  (codice  fiscale ...) con sede legale in 09123 Cagliari (CA), Viale Trento, n. 69, in persona del Presidente  pro  tempore  Dott.  Ugo  Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del  presente  atto, dagli  Avv.ti  Tiziana  Ledda  (cod.  fisc.   …,   fax …,          posta          elettronica           certificata …) e Prof. Massimo Luciani  (cod.  fisc. …;  fax  …;  posta  elettronica   certificata …),   elettivamente   domiciliata presso lo Studio del secondo in  00153  Roma,  Lungotevere  Raffaello

Sanzio, n. 9,

    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in  persona  del Presidente  pro-tempore,  per  la  dichiarazione  dell'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 10 ottobre  2012,  n.  174,  recante

"Disposizioni urgenti in materia di  finanza  e  funzionamento  degli enti territoriali, nonche' ulteriori  disposizioni  in  favore  delle zone terremotate nel maggio 2012", pubblicato in G.U. n. 237  del  10 ottobre 2012, convertito in legge, con  modificazioni,  dall'art.  1,

comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213, pubblicata in  G.U.  n. 286 del 7 dicembre 2012, Suppl. Ord., ed in particolare gli  articoli 1, 1-bis, 2, 3, 6 e 11-bis.

 

                                Fatto

 

    1.  -  Il  decreto  legge  10  ottobre  2012,  n.  174,   recante "Disposizioni urgenti in materia di  finanza  e  funzionamento  degli enti territoriali, nonche' ulteriori  disposizioni  in  favore  delle zone terremotate nel maggio 2012", pubblicato in G.U. n. 237  del  10

ottobre 2012, convertito in legge, con  modificazioni,  dall'art.  1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213, pubblicata in  G.U.  n. 286 del 7 dicembre 2012,  Suppl.  Ord.,  ha  disciplinato  una  vasta pluralita' di oggetti, tra i quali  -  per  citare  solo  quanto  qui interessa direttamente  -  il  regime  dei  controlli  sull'attivita'

economico-finanziaria e di bilancio delle Regioni e degli enti locali (artt. 1, 3 e 6), i meccanismi sanzionatori a carico  dei  componenti degli organi di governo degli enti territoriali  (art.  1-bis)  e  le misure di contenimento della spesa pubblica dei medesimi  enti  (art. 2).

    E' agevole constatare che il programma di riforma del regime  dei controlli sugli enti territoriali  delineato  da  tale  decreto-legge pretende di riguardare anche le Regioni a statuto speciale, che,  del resto, l'art. 11-bis (come si vedra') richiama direttamente. Per vari e significativi profili, pero', questa  estensione  della  disciplina alle Regioni speciali si rivela del tutto illegittima.

    Specificamente illegittimi, e violativi delle attribuzioni  della ricorrente, nelle parti che si indicheranno di  seguito  con  maggior precisione, sono gli articoli 1, 1-bis, 2, 3, 6 e 1-bis del  d.l.  n.174 del 2012, per come conv. in l. n.  213  del  2012.  Essi  debbono essere  pertanto  dichiarati  costituzionalmente  illegittimi  per  i seguenti motivi di

 

                               Diritto

 

    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3, 4,

5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 16, del d.l. n. 174 del 2012, come  conv.

in l. n. 213 del 2012. L'art. 1 del d.l. n. 174 del 2012 contiene una

varia  pluralita'   di   previsioni   normative,   tutte,   peraltro,

finalizzate  all'introduzione  di  nuove  forme  di  controllo  sulla

politica di bilancio e  sulla  gestione  economico-finanziaria  delle

Regioni o delle loro articolazioni. E' bene distinguere due gruppi di

disposizioni. Un primo gruppo di disposizioni concerne  l'istituzione

di nuove forme di  controllo  sulla  politica  di  bilancio  e  sulla

gestione  finanziaria  generale  delle  Regioni.  Un  secondo  gruppo

concerne l'istituzione di nuove forme  di  controllo  sulla  gestione

economico-finanziaria dei fondi assegnati ai Gruppi consiliari presso

le Regioni. Di tali gruppi e' bene trattare separatamente.

    1.1. - Quanto ai controlli sulla politica  di  bilancio  e  sulla

gestione finanziaria generale delle Regioni.

    Il primo  comma  1  indica  la  (pretesa)  finalita'  dell'intero

articolo, che sarebbe quella di "adeguare [...]  il  controllo  della

Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle regioni".

    Il secondo comma prevede che "ogni sei mesi le sezioni  regionali

di controllo della Corte dei conti trasmettono ai consigli  regionali

una relazione sulla tipologia delle  coperture  finanziarie  adottate

nelle leggi regionali  approvate  nel  semestre  precedente  e  sulle

tecniche di quantificazione degli oneri".

    Il terzo comma prevede che "le  sezioni  regionali  di  controllo

della Corte dei conti esaminano i bilanci preventivi e  i  rendiconti

consuntivi delle regioni e degli  enti  che  compongono  il  Servizio

sanitario nazionale, con le modalita' e secondo le procedure  di  cui

all'art. 1, commi 166 e seguenti, della legge 23  dicembre  2005,  n.

266, [ossia recependo le relazioni provenienti dai revisori dei conti

degli enti vigilati e analizzandole anche attraverso esperti  esterni

alla Corte medesima] per la verifica  del  rispetto  degli  obiettivi

annuali posti dal patto di stabilita'  interno,  dell'osservanza  del

vincolo previsto in materia di  indebitamento  dall'art.  119,  sesto

comma, della Costituzione, della sostenibilita' dell'indebitamento  e

dell'assenza di irregolarita' suscettibili di pregiudicare, anche  in

prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti". A questo

proposito, il secondo periodo dello stesso  comma  prescrive  che  "i

bilanci preventivi annuali e pluriennali e i rendiconti delle regioni

con i  relativi  allegati  sono  trasmessi  alle  competenti  sezioni

regionali di controllo della Corte dei  conti  dai  presidenti  delle

regioni con propria relazione".

    Il quarto comma prevede che "le sezioni  regionali  di  controllo

della Corte dei conti verificano  altresi'  che  i  rendiconti  delle

regioni  tengano  conto  anche  delle  partecipazioni   in   societa'

controllate e alle quali affidata la gestione di servizi pubblici per

la collettivita' regionale e di  servizi  strumentali  alla  regione,

nonche' dei  risultati  definitivi  della  gestione  degli  enti  del

Servizio sanitario nazionale".

    Il quinto comma assoggetta il rendiconto generale  della  Regione

al giudizio di parifica della Corte dei conti, precisando  che  "alla

decisione di parifica e' allegata una relazione nella quale la  Corte

dei conti formula le sue osservazioni in merito alla  legittimita'  e

alla regolarita' della gestione e propone le misure di  correzione  e

gli  interventi  di  riforma  che  ritiene  necessari  al  fine,   in

particolare, di assicurare l'equilibrio del bilancio e di  migliorare

l'efficacia e l'efficienza della spesa".

    Il sesto comma obbliga il Presidente della Regione a  trasmettere

"ogni dodici mesi alla sezione regionale di controllo della Corte dei

conti una relazione sulla regolarita' della gestione e sull'efficacia

e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni  adottato  sulla

base delle linee guida deliberate dalla sezione delle autonomie della

Corte dei conti".

    I primi  sei  commi  dell'articolo  in  esame,  sopra  brevemente

descritti, disciplinano adempimenti preliminari, che sono preordinati

al sistema di controlli e  sanzioni  previsti  dai  commi  successivi

(sicche' anche per essi valgono le censure che subito  si  diranno  a

proposito di questi). Gia' con tali  procedure,  peraltro,  lo  Stato

condiziona lo svolgimento dell'organizzazione interna della  Regione,

che e' costretta non solo a trasmettere i propri dati di bilancio  al

Giudice contabile, ma anche a dare conto del "sistema  dei  controlli

interni" che adotta (cfr. il comma  6  ora  riportato  testualmente).

Gia' questo dato e' indicativo: non sono solo i conti  della  Regione

ad essere sotto osservazione, ma e' l'intera attivita' amministrativa

ad essere condizionata dallo Stato.

    In particolare, il comma  7  prevede  che,  nel  caso  in  cui  i

controlli      sopra      indicati       riscontrino       "squilibri

economico-finanziari", "mancata copertura di spese" o "violazione  di

norme  finalizzate  a  garantire  la   regolarita'   della   gestione

finanziaria o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto

di  stabilita'  interno",  le   Amministrazioni   interessate   hanno

"l'obbligo di adottare, entro sessanta giorni dalla comunicazione del

deposito della pronuncia di accertamento, i  provvedimenti  idonei  a

rimuovere  le  irregolarita'  e  a  ripristinare  gli  equilibri   di

bilancio". Su tali provvedimenti e' previsto un  ulteriore  controllo

da parte della Corte dei conti. Infine e' previsto che, nel  caso  in

cui  "la  regione  non  provveda  alla  trasmissione   dei   suddetti

provvedimenti o la verifica delle sezioni regionali di controllo  dia

esito negativo, e' preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i

quali e' stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della

relativa sostenibilita' finanziaria".

    Il comma 8, poi, prevede che "le relazioni redatte dalle  sezioni

regionali di controllo della Corte  dei  conti  ai  sensi  dei  commi

precedenti sono trasmesse alla Presidenza del Consiglio dei  Ministri

e al Ministero dell'economia e delle finanze per le determinazioni di

competenza".

    Tutte le disposizioni ora  richiamate  impingono  in  profondita'

nell'autonomia  regionale,  toccando   numerosi   profili   del   suo

esercizio, reintroducendo il  sistema  dei  controlli  preventivi  di

legittimita' e attribuendo particolari competenze sia alla Corte  dei

conti che all'Amministrazione statale, che in parte  illegittimamente

comprimono e in  parte  usurpano  le  attribuzioni  costituzionali  e

statutarie della Regione.

    1.1.1. - Le disposizioni in esame violano anzitutto gli artt. 7 e

8 dello Statuto, in una con gli artt. 117, comma 3, e 119 Cost.

    Elemento  cardine  dell'autonomia  finanziaria   della   Regione,

riconosciuta dall'art. 7  dello  Statuto  e  dall'art.  119  Cost.  e

nutrita dai canali  di  finanziamento  di  cui  all'art.  8  St.,  e'

l'autonoma  redazione  e  approvazione  (con  legge  regionale)   del

bilancio regionale. L'istituzione di un nuovo controllo preventivo  e

successivo di legittimita' sul bilancio si risolve in una  violazione

dell'autonomia  finanziaria  regionale.  In  tanto   l'autonomia   di

bilancio ha un senso, infatti,  in  quanto  le  scelte  di  bilancio,

ancorche' possano essere delimitate nei loro contenuti da  un  quadro

di disciplina  generale,  siano  effettivamente  autonome,  cio'  che

invece e' da escludersi in particolare a fronte di  controlli  che  -

come quelli qui contestati - si configurano anche come  preventivi  e

comportano   gravi   conseguenze   di    contenuto    sostanzialmente

sanzionatorio.

    Violato, poi, e' l'art. 117, comma 3, Cost., perche'  la  lesione

dell'autonomia finanziaria  della  Regione  si  traduce  anche  nella

compressione della competenza  regionale  concorrente  nella  materia

"coordinamento della finanza pubblica".  Detta  competenza,  infatti,

nel  caso  della  Regione  Sardegna,  non  e'  altro  che  la  logica

conseguenza della garanzia fissata dalle ricordate norme  statutarie,

che conferiscono alla Regione l'autonoma gestione delle  sue  risorse

economiche, cosa che e' qui impedita dai controlli  prescritti  dallo

Stato.

    Violati sono anche gli artt. 3, 4, 5 e 6  dello  Statuto  e  117,

commi 3 e 4, e 118 Cost. (in riferimento all'art. 10 della  l.  cost.

n. 3 del  2001,  che  assicura  alle  autonomie  speciali  almeno  le

medesime  prerogative  di  quelle  ordinarie),  per  il   fatto   che

l'impedimento alla "attuazione dei  programmi  di  spesa"  regionali,

prevista  come  sanzione  nel  caso  di  mancata  ottemperanza   alle

previsioni qui impugnate, si traduce nell'impossibilita' di  svolgere

le funzioni pubbliche attribuite alla Regione dallo Statuto  e  dalla

Costituzione ai sensi delle disposizioni ora invocate. Gli artt. 3, 4

e 5 dello Statuto, infatti, enumerano le competenze legislative della

Regione, rispettivamente in via esclusiva, concorrente e  integrativa

della disciplina statale. Gli artt. 117, commi 3  e  4,  conferiscono

anche alla  Regione  Sardegna  (in  ragione  della  clausola  di  cui

all'art. 10 della l.  cost.  n.  3  del  2001)  ulteriori  competenze

legislative in via concorrente o residuale. A tutte queste competenze

corrispondono, in ragione del c.d. "principio del  parallelismo"  tra

funzioni legislative e amministrative, le funzioni  pubbliche  svolte

dalla Regione,  che  sono  illegittimamente  compresse  dalle  misure

sanzionatorie previste dalla disposizione qui censurata.

    Violati sono anche gli artt. 33 dello  Statuto  e  127  Cost.  Il

primo prevede, quale unica  forma  di  controllo  "preventivo"  delle

leggi regionali, la comunicazione al Governo  della  legge  approvata

prima della sua promulgazione. Essendo i bilanci regionali  approvati

con  legge,  il  nuovo  tipo  di  controllo  richiesto  dallo  Stato,

esorbitando dal modello di cui all'art. 33 dello  Statuto,  per  cio'

solo lo viola. Ma lo stesso controllo preventivo  previsto  dall'art.

33 St. e' ormai superato dall'art. 127 Cost.,  che  ha  eliminato  il

controllo preventivo sulle leggi delle Regioni ad autonomia ordinaria

(e, in forza dell'art. 10 della l. cost. n. 3 del 2011, sulle Regioni

speciali). Anche e soprattutto tale parametro, pertanto, e'  violato.

L'addizione   di   un   controllo   ulteriore   determina,    invero,

l'alterazione  del  regime  della  legge  regionale,  regime  che  e'

definito  da  norme  di  rango  costituzionale  e  non  puo'   essere

modificato da una fonte legislativa ordinaria.

    1.1.2. - Violati, conseguentemente, sono anche gli artt. 54 e  56

dello Statuto, in combinato disposto con i parametri sopra  invocati,

nonche' con l'art. 116 Cost. e l'art. 10 del d.P.R. 16 gennaio  1978,

n. 21, recante "Norme di attuazione dello  Statuto  speciale  per  la

Sardegna concernente il controllo sugli atti della Regione".

    Detto art. 10 del d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 21, prevede che  "il

rendiconto  generale  della  regione  e'  verificato  dalla   sezione

regionale, la quale ne riferisce al presidente della Corte dei conti.

Su di esso pronunciano le sezioni riunite della Corte  dei  conti  in

conformita' all'art. 40 del testo unico delle leggi sulla  Corte  dei

conti approvato con regio decreto  12  luglio  1934,  n.  1214.  Alla

decisione e' unita una relazione nella quale la Corte formula le  sue

osservazioni intorno al modo con cui l'amministrazione  regionale  si

sia conformata alle leggi e suggerisce le variazioni o le riforme che

crede opportune. La  decisione  e  la  relazione  sono  trasmesse  al

presidente del consiglio regionale  che  le  sottopone  al  consiglio

insieme alla relazione della giunta. Copia della  decisione  e  della

relazione suddette sono trasmesse al rappresentante del Governo".  Il

giudizio di "verificazione" del quale qui si parla altro  non  e'  se

non il giudizio di parificazione previsto dal comma 5 dell'articolo 1

del decreto-legge censurato nel  presente  ricorso.  Che  sia  cosi',

oltre che dalla piana lettura del testo della  legge,  lo  si  desume

anche da quanto stabilito dallo  stesso  Giudice  contabile,  che  ha

avuto modo di affermare che "In base all'art. 10, 1° comma, d.p.r. 16

gennaio 1978 n. 21, la sezione regionale del  controllo  della  corte

dei conti per la regione  Sardegna  ha  l'obbligo  di  verificare  il

rendiconto generale della  regione;  tale  adempimento  si  sostanzia

nell'esecuzione dei riscontri prescritti dall'art. 39, 1° e 2° comma,

t.u. 12 luglio 1934 n. 1214"  (C.  conti  Sardegna,  Sez.  contr.,  2

giugno 1992, n. 89). Si noti, peraltro, che le disposizioni del  r.d.

n. 1214 del 1934 menzionate nella citata pronuncia  della  Corte  dei

conti e nell'art. 10 del d.P.R. n. 21 del 1978 come norme applicabili

al giudizio di verificazione sono proprio quelle richiamate dal comma

5 dell'art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, sicche'  nessun  dubbio  puo'

esservi su cio' che il comma in esame e l'art. 10 del  d.P.R.  n.  21

del 1978 abbiano ad oggetto la medesima fattispecie.

    Tanto dimostra, senza  ombra  di  dubbio,  che  i  controlli  sul

bilancio  regionale  possono   essere   disposti   solo   con   norme

costituzionali, statutarie o di  attuazione  dello  Statuto,  perche'

detti controlli sono in grado, come sopra constatato, di mettere  nel

nulla l'autonomia economico-finanziaria (e non solo)  della  Regione.

Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha  costantemente  affermato  che

"le norme di attuazione degli statuti speciali possiedono  un  sicuro

ruolo  interpretativo  ed  integrativo   delle   stesse   espressioni

statutarie che delimitano le sfere di  competenza  delle  Regioni  ad

autonomia speciale e non possono essere modificate che mediante  atti

adottati con il procedimento appositamente  previsto  negli  statuti,

prevalendo in tal  modo  sugli  atti  legislativi  ordinari  (secondo

quanto ha piu' volte affermato questa Corte; si vedano, fra le molte,

le sentenze n. 341 del 2001, n. 213 e n. 137 del 1998)", sicche'  non

e' certo possibile per  lo  Stato,  oggi,  disciplinare  in  assoluta

solitudine ulteriori  e  diverse  forme  di  controllo  sul  bilancio

regionale, non ricorrendo alla revisione statutaria o quanto meno  al

procedimento disciplinato dall'art. 56 della l. cost. n. 3 del  1948,

ove si demanda ad una commissione paritetica la predisposizione delle

norme di attuazione dello Statuto sardo.

    Non  si  potrebbe  certo  replicare  che  vi  sarebbero  esigenze

d'ordine generale che avrebbero suggerito di introdurre le  forme  di

controllo qui contestate. Che tali esigenze esistano o  meno,  e  che

esse reclamassero proprio gli interventi qui contestati, non cosa che

possa avere, qui, il minimo rilievo. Vale, infatti, sia pure  mutatis

mutandis,   quanto   gia'   affermato   da   codesta   Ecc.ma   Corte

costituzionale, quando, di fronte alla l. n. 124 del  2008,  osservo'

che le prerogative di garanzia  degli  organi  costituzionali  devono

essere regolate attraverso fonti  di  rango  costituzionale,  perche'

"Questa complessiva architettura istituzionale, ispirata ai  principi

della divisione dei poteri  e  del  loro  equilibrio,  esige  che  la

disciplina delle prerogative contenuta nel testo  della  Costituzione

[nel caso riferiti  alle  guarentigie  dei  componenti  degli  organi

costituzionali, ma puo' dirsi lo stesso oggi quanto alle garanzie  di

autonomia delle  Regioni  speciali]  debba  essere  intesa  come  uno

specifico sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento e

assetto di interessi costituzionali; sistema che non e' consentito al

legislatore ordinario alterare ne' in peius ne' in melius" (cosi'  la

sent. n. 262 del 2009, e, per esplicito richiamo, anche la  sent.  n.

23 del 2011).

    Per tale ragione lo Stato, con le norme impugnate,  ha  anzitutto

violato  l'art.  54   dello   Statuto,   che   riserva   alla   legge

costituzionale (o alla speciale fonte di cui al comma 5) la revisione

dello Statuto. In ogni caso, poi, ha violato l'art. 56 dello  Statuto

(che - rinviando alle norme di attuazione - prevede la  forma  minima

di definizione del regime dei controlli sulla Regione  Sardegna),  in

combinato disposto con l'art. 10 del d.P.R. n. 21 del 1978, che, come

detto, contiene le norme di attuazione che disciplinano il  controllo

della Corte dei conti sul bilancio regionale.

    Conseguentemente, e' violato anche l'art. 116 Cost.,  che  tutela

la particolare autonomia delle Regioni a Statuto speciale,  autonomia

cui e' preordinato lo stesso meccanismo di adozione  delle  norme  di

attuazione dello Statuto.

    Pel  fatto  che  detto  controllo  e'  esercitato  attraverso  il

giudizio  di  parificazione,  infine,  specificamente  lesivi   delle

attribuzioni statutarie di cui  agli  artt.  7,  8,  54  e  56  dello

Statuto, nonche' 119 della Costituzione, anche in relazione  all'art.

10 del d.P.R. n. 21 del 1978, sono i commi 4  e  5  dell'articolo  in

esame, che pretendono di disciplinare  il  contenuto  del  rendiconto

regionale e il relativo giudizio  di  parificazione  da  parte  della

sezione regionale di controllo della Corte  dei  conti  sostituendosi

alle norme di attuazione, in violazione dell'autonomia finanziaria  e

di bilancio della Regione.

    1.1.3.  -  In  ogni  caso,  come  chiarito  dalla  giurisprudenza

costituzionale, la previsione di una  forma  di  controllo  ulteriore

della Corte dei conti non puo' che configurare tale controllo in modo

collaborativo. Nella sent. n.  29  del  1995,  codesta  Ecc.ma  Corte

costituzionale ha affermato che le forme di controllo della Corte dei

conti sul  bilancio  regionale  debbono  risolversi  in  "un  compito

essenzialmente collaborativo posto al servizio di esigenze  pubbliche

costituzionalmente tutelate". Tanto e' vero che l'art. 7 della l.  n.

131 del 2003 (che e' anche  richiamata  dall'art.  1,  comma  1,  del

d.lgs. n. 174  del  2012  qui  impugnato)  prevede  che  "Le  sezioni

regionali di controllo della Corte dei conti verificano, nel rispetto

della  natura  collaborativa  del  controllo   sulla   gestione,   il

perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali  o  regionali

di principio  e  di  programma,  secondo  la  rispettiva  competenza,

nonche'  la  sana  gestione  finanziaria  degli  enti  locali  ed  il

funzionamento dei controlli interni e riferiscono sugli  esiti  delle

verifiche esclusivamente ai consigli degli  enti  controllati,  salvo

quanto disposto dal terzo periodo del presente comma" (ossia nel caso

delle relazioni generali al Parlamento).

    Nel caso di specie, invece, il controllo della  Corte  dei  conti

non e' concepito in questa forma collaborativa, ma e' preordinato  al

verificarsi di conseguenze sanzionatorie e repressive, tra  le  quali

la trasmissione degli atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri

e al Ministero dell'Economia e delle Finanze "per  le  determinazioni

di competenza"  e  -  soprattutto  -  il  blocco  indifferenziato  de

"l'attuazione dei programmi di spesa per i quali e'  stata  accertata

la mancata copertura o l'insussistenza della relativa  sostenibilita'

finanziaria" (si rifletta sugli effetti che avrebbe  tale  previsione

per la Regione Sardegna, che finanzia senza  apporti  dello  Stato  e

solo con le entrate da compartecipazioni servizi pubblici  essenziali

come i trasporti e la sanita').

    Tutto questo e' tanto e' vero che, ancora in  tema  di  controlli

sugli enti  autonomi,  codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale,  nello

scrutinare alcune previsioni di  legge  che  imponevano  agli  organi

degli enti locali di revisione  economico-finanziaria  il  dovere  di

trasmettere  alle  Sezioni  regionali  della  Corte  dei  conti   una

relazione sul bilancio di previsione dei detti enti e che  affidavano

alle medesime Sezioni  regionali  la  potesta'  di  pronunciarsi  sui

bilanci, ha ritenuto non fondate le censure  proposte  dalla  Regione

(autonoma) allora ricorrente proprio perche' si poteva  "sottolineare

la  natura  collaborativa  del  controllo  disciplinato  dalle  norme

impugnate, che si limita alla segnalazione all'ente controllato delle

rilevate disfunzioni  e  rimette  all'ente  stesso  l'adozione  delle

misure necessarie" (sent. n. 179  del  2007).  Nel  caso  di  specie,

invece, si' va ben oltre la "segnalazione" di eventuali disfunzioni.

    Se la previsione del  blocco  dell'attuazione  dei  programmi  di

spesa regionale fa temere per la tutela  dei  diritti  costituzionali

dei cittadini, che non possono essere  garantiti  se  non  attraverso

alcuni servizi pubblici (la  salute,  innanzitutto),  particolarmente

odiosa e  lesiva  dell'autonomia  finanziaria  della  Regione  e'  la

previsione di una  diretta  intrusione  dell'apparato  amministrativo

ministeriale nella gestione del bilancio regionale. Non  per  niente,

infatti, la giurisprudenza  costituzionale  ha  ritenuto  non  lesivo

dell'autonomia regionale l'intervento (se in forma di  collaborazione

con l'ente controllato, si ripete) da parte della  Corte  dei  conti,

che e' "organo terzo (sentenza n.  64  del  2005)  a  servizio  dello

«Stato-comunita'» (sentenze n. 29  del  1995  e  n.  470  del  1997)"

(cosi', proprio in tema di controlli sugli enti locali, la  sent.  n.

267 del 2006).

    Essendo, dunque, il controllo imposto dal legislatore statale non

di natura collaborativa e non essendo esercitato (solo)  da  soggetti

terzi, bensi' dall'apparato burocratico-ministeriale dello Stato,  le

disposizioni impugnate violano, una volta di piu', gli artt.  7  e  8

dello Statuto e 119 Cost., che assicurano alla  Regione  un'autonomia

finanziaria qualificata;  117  Cost.,  che  conferisce  alla  Regione

competenza legislativa concorrente in materia di "coordinamento della

finanza pubblica" (atteso che qui la fonte statale va ben al  di  la'

della fissazione dei principi fondamentali di tale coordinamento, per

abbandonarsi all'introduzione di vere e proprie norme di  dettaglio);

116 Cost., 54, 56 dello Statuto e 10 del d.P.R. n. 21 del  1978,  che

tutelano la maggiore autonomia  economico-finanziaria  della  Regione

Sardegna   (almeno)   attraverso   la   previsione   dello   speciale

procedimento di attuazione statutaria; 3, 4, 5 e 6  dello  Statuto  e

117 Cost., che affidano alla Regione funzioni pubbliche che sarebbero

compromesse dal blocco dei programmi di spesa  previsto  dalle  norme

impugnate.

    1.2. - Quanto ai controlli sulla  gestione  economico-finanziaria

dei fondi assegnati ai Gruppi  consiliari  presso  le  Regioni,  vale

quanto segue.

    1.2.1. - Il comma 9 dell'art. 1 del d.l. n. 174 del 2012  prevede

che  ogni  "gruppo  consiliare  dei  consigli  regionali  approva  un

rendiconto di esercizio  annuale,  strutturato  secondo  linee  guida

deliberate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra  lo  Stato,

le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano  e  recepite

con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per assicurare

la corretta rilevazione dei fatti di gestione e  la  regolare  tenuta

della contabilita', nonche' per definire la documentazione necessaria

a corredo del rendiconto [...]".

    Il successivo comma 10 prevede che "il rendiconto e' trasmesso da

ciascun gruppo consiliare al presidente del consiglio regionale,  che

lo trasmette al presidente della regione. Entro sessanta giorni dalla

chiusura dell'esercizio, il presidente  della  regione  trasmette  il

rendiconto di ciascun gruppo alla  competente  sezione  regionale  di

controllo della Corte dei conti perche' si pronunci, nel  termine  di

trenta giorni dal ricevimento, sulla  regolarita'  dello  stesso  con

apposita delibera, che e' trasmessa al presidente della  regione  per

il successivo inoltro al presidente del consiglio regionale,  che  ne

cura la pubblicazione. [...] Il rendiconto e',  altresi',  pubblicato

in allegato al conto consuntivo del consiglio regionale  e  nel  sito

istituzionale della regione.

    Il  comma  11,  prevede  che,  "qualora  la  competente   sezione

regionale di  controllo  della  Corte  dei  conti  riscontri  che  il

rendiconto di esercizio del gruppo  consiliare  o  la  documentazione

trasmessa a corredo dello stesso non sia conforme  alle  prescrizioni

stabilite a norma del  presente  articolo,  trasmette,  entro  trenta

giorni dal ricevimento del rendiconto, al  presidente  della  regione

una   comunicazione   affinche'    si    provveda    alla    relativa

regolarizzazione", comunicazione che e' inoltrata al  Presidente  del

Consiglio regionale "per i successivi adempimenti da parte del gruppo

consiliare interessato". Nel caso in cui il gruppo non provveda  alla

regolarizzazione,  "decade,  per  l'anno  in   corso,   dal   diritto

all'erogazione di risorse da parte del  consiglio  regionale"  ed  e'

obbligato a "restituire le somme ricevute a carico del  bilancio  del

consiglio regionale e non rendicontate".

    Stessa sanzione e' prevista, ai sensi del comma 12, nel  caso  di

"non regolarita' del rendiconto [accertata] da  parte  della  sezione

regionale di controllo della Corte dei conti".

    Anche tali disposizioni impingono in  profondita'  nell'autonomia

regionale, alterando numerosi profili del suo esercizio, intervenendo

nell'organizzazione interna dei Consigli  regionali  e,  quindi,  nel

regime degli organi "supremi" della Regione, sconvolgendo il  sistema

delle fonti nell'ordinamento regionale.

    1.2.2. - Le norme sopra riportate, anzitutto, ledono  l'autonomia

finanziaria della Regione, della quale l'autonomia di gestione  delle

relative risorse da parte dei Gruppi consiliari presso  il  Consiglio

regionale e' una forma particolare di svolgimento.  Pertanto,  ancora

una volta sono violati gli artt. 7 e 8  dello  Statuto,  nonche'  119

Cost.,    che    tutelano    e    garantiscono    detta     autonomia

economico-finanziaria.

    Violato, poi, e' l'art. 15 dello Statuto, che riserva alla  legge

regionale, col solo limite della "armonia con  la  Costituzione  e  i

principi   dell'ordinamento   giuridico    della    Repubblica"    la

determinazione della "forma di governo della Regione".  E',  infatti,

evidente che la disciplina dell'attivita' dei gruppi consiliari e dei

contributi loro corrisposti concerne la forma di  governo  regionale,

che viene modificata in ispregio dell'esplicita riserva di competenza

in capo alla Regione.

    La previsione di cui al comma  10,  a  tenor  della  quale  nella

verifica dei rendiconti dei Gruppi consiliari ha competenza - seppure

solo al fine di raccolta e trasmissione degli atti  -  il  Presidente

della Giunta regionale, e'  violativa  degli  artt.  15  e  35  dello

Statuto, che disciplinano il  rapporto  tra  Presidente  e  Consiglio

regionale, relazione che e' addirittura ribaltata  dalla  pretesa  di

inserire il Presidente tra i  soggetti  attivi  nel  procedimento  di

controllo dell'attivita' dei Consigli regionali.

    Violato e' anche l'art. 26 dello Statuto, che riserva alla  legge

regionale la fissazione dell'indennita' dei Consiglieri regionali. E'

evidente, infatti, che le disposizioni censurate impingono in  questa

sfera  di  assoluta  autonomia  della  Regione,  perche'   anche   le

erogazioni a favore del gruppo regionale, cosi' come le indennita' di

carica dei singoli Consiglieri garantiscono  l'indipendenza  politica

del Gruppo che ne beneficia, in  ossequio  al  principio  del  libero

mandato rappresentativo (sulla scia dell'art. 67 della  Costituzione)

dagli artt. 23 e 24 dello Statuto. Per tale ragione e'  evidente  che

la competenza di cui all'art. 26 dello  Statuto  comprende  anche  la

(sotto)materia dell'erogazione e dei controlli sul denaro erogato  ai

Gruppi consiliari della Regione.

    Violato  e'  anche  l'art.  19  dello  Statuto,  che  riserva  al

Consiglio regionale l'adozione del proprio "regolamento interno,  che

esso adotta a maggioranza assoluta dei suoi componenti". L'art. 19 e'

preordinato  a  garantire  al  Consiglio  regionale  la   particolare

autonomia  che  si   attaglia   all'organo   regionale   massimamente

rappresentativo, sicche' e' a quella fonte che deve essere  demandata

la materia dei controlli sui Gruppi consiliari.

    Violato e' anche l'art. 33 dello Statuto, che (fermo restando  il

gia' detto caso del giudizio di parificazione del bilancio regionale,

disciplinato non a caso attraverso Norme di attuazione dello  Statuto

dal d.P.R. n. 21 del 1978) limita le possibilita' di controllo  dello

Stato sull'attivita' legislativa della  Regione  (si  ricordi  che  i

bilanci sono approvati con legge regionale) alla  sola  comunicazione

che interviene tra l'approvazione e la promulgazione della legge.  La

previsione di una nuova forma  di  controllo  e',  dunque,  violativa

anche degli artt. 33 dello Statuto  e  127  Cost.  Come  si  e'  gia'

osservato, la disposizione statuaria prevede, quale  unica  forma  di

controllo "preventivo" delle leggi  regionali,  la  comunicazione  al

Governo della legge approvata prima della sua promulgazione.  Essendo

i bilanci regionali approvati con legge, il nuovo tipo  di  controllo

richiesto dallo Stato, esorbitando dal modello  di  cui  all'art.  33

dello Statuto, per cio' solo lo viola. Ma, anche questo lo si e' gia'

osservato, il controllo preventivo previsto dall'art. 33 St. e' ormai

superato  dall'art.  127  Cost.,  che  ha  eliminato   il   controllo

preventivo sulle leggi delle Regioni ad autonomia ordinaria,  sicche'

anche e soprattutto tale parametro e' violato, in  quanto  l'aggiunta

di un controllo ulteriore determina l'alterazione  del  regime  della

legge regionale, che e' definito da norme di rango  costituzionale  e

non puo' essere modificato da una fonte legislativa ordinaria.

    Anche in questo caso, poi, e' violato l'art. 56 dello Statuto, in

combinato disposto con l'art. 7 dello Statuto, l'art. 116 Cost. e con

gli artt. 4 e 5 del d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 21. Detti articoli del

d.P.R. n. 21 del 1978 riservano  alla  sezione  regionale  Corte  dei

conti il controllo di legittimita' "sugli atti  amministrativi  della

regione, esclusa ogni valutazione di merito". Inoltre  l'art.  5  del

d.P.R. n. 21 del 1978 prevede che "Il controllo di legittimita' sugli

atti amministrativi della regione [...]  si  esercita  esclusivamente

sui regolamenti" e sugli "atti costituenti adempimento degli obblighi

derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea",  sicche'

e' illegittima la pretesa dello Stato di  sottoporre  a  controllo  i

rendiconti dei Gruppi consiliari. Le norme ora richiamate  dimostrano

che i controlli sui Gruppi consiliari possono  essere  disposti  solo

attraverso una revisione statutaria o le norme  di  attuazione  dello

Statuto, perche' detti controlli sono in grado, come  si  diceva,  di

mettere nel nulla l'autonomia politica ed economico-finanziaria della

Regione. Avendo lo Stato, in assoluta solitudine  previsto  forme  di

controllo sui gruppi consiliari, ha violato una volta  di  piu',  gli

artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost., che  assicurano  alla  Regione

un'autonomia finanziaria qualificata; 117 Cost., che conferisce  alla

Regione   competenza   legislativa   concorrente   in   materia    di

"coordinamento della finanza  pubblica"  (atteso  che  qui  la  fonte

statale va ben al di la' della fissazione dei  principi  fondamentali

di tale coordinamento, per abbandonarsi all'introduzione  di  vere  e

proprie norme di dettaglio); 116 Cost., 54, 56 dello Statuto e 4 e  5

del d.P.R. n.  21  del  1978,  che  tutelano  la  maggiore  autonomia

economico-finanziaria della Regione Sardegna (almeno)  attraverso  la

previsione dello speciale procedimento di attuazione  statutaria;  3,

4, 5 e 6 dello  Statuto  e  117  Cost.,  che  affidano  alla  Regione

funzioni pubbliche che sarebbero compromesse dal blocco dei programmi

di spesa previsti dalle norme impugnate.

    Anche per queste disposizioni, poi, si puo' osservare  che  manca

quella   forma   collaborativa,   richiesta   dalla    giurisprudenza

costituzionale, del controllo esercitato dalla Corte dei conti  sugli

enti autonomi (ed anzi,  sul  massimo  organo  rappresentativo  della

Regione), perche' il controllo della Corte dei conti  e'  preordinato

al verificarsi di conseguenze sanzionatorie e repressive, quali  sono

la decadenza dal diritto  all'erogazione  di  risorse  da  parte  del

Consiglio regionale e l'obbligo a restituire le somme gia'  ricevute.

Tanto, con la conseguente violazione, per un ulteriore profilo, degli

artt. 117 e 119 Cost. e 7, 8, 15, 19, 33 e 56 dello Statuto, anche in

relazione agli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 21.

    1.3. - Connesso alle norme sin qui censurate,  ma  meritevole  di

distinto esame, e' infine il comma 16 dell'art. 1 del d.  l.  n.  174

del 2012.

    Esso obbliga  le  "regioni  a  statuto  speciale  e  le  province

autonome di Trento e di Bolzano" ad adeguare "il proprio  ordinamento

alle disposizioni del presente articolo entro un anno dalla  data  di

entrata in vigore" dello stesso d.l. n. 174 del 2012.

    Stante tutto quanto gia' osservato nei precedenti  paragrafi,  e'

del tutto evidente che l'adeguamento dell'ordinamento regionale  alle

disposizioni del presente articolo comporta necessariamente  (se  non

la revisione dello Statuto, quantomeno) la revisione delle  Norme  di

attuazione statutaria (eppercio' del d.P.R. n.  21  del  1978).  Dato

che, ai sensi dell'art. 56 dello Statuto, la Regione non ha nella sua

esclusiva disponibilita' la modificazione delle norme di  attuazione,

la disposizione in  esame  e'  di  bel  nuovo  violativa  (oltre  che

dell'art. 54) del medesimo art. 56 dello Statuto,  nonche'  dell'art.

116 Cost., che tutela la maggiore autonomia  delle  Regioni  speciali

proprio attraverso  il  riconoscimento  della  particolare  posizione

dello  Statuto  speciale  (e,  dunque,  delle   relative   norme   di

attuazione) nel sistema delle fonti.  Dato  che,  come  ha  segnalato

codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella recente sent.  n.  198  del

2012 "a tali fonti una legge ordinaria  non  puo'  imporre  limiti  e

condizioni", la disposizione censurata e' radicalmente illegittima.

    Oltre i parametri anzidetti, sono indirettamente  violati  ancora

una volta, e per le ragioni gia' viste, gli artt. 7, 8, 15,  19,  26,

33 e 35 dello Statuto e 117 e 119 Cost., nella misura in cui il comma

16 qui in esame intende costringere la Regione Sardegna a  subire  le

lesioni delle sue attribuzioni costituzionali e statutarie, messe  in

luce - sin confida - ai precedenti paragrafi.

    2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1-bis, commi 1 e  4,

del d.l. n. 174 del 2012, come conv. in I. n. 213  del  2012.  L'art.

1-bis del d.l. n. 174 del 2012 reca modifiche al d.lgs.  n.  149  del

2011. Quelle appresso indicate  sono  illegittime  perche'  violative

delle competenze e attribuzioni  statutarie  e  costituzionali  della

Regione.

    2.1. - L'art. 1-bis, comma 1, lett. c), aggiunge il  comma  3-bis

all'art. 1 del d.lgs. n. 149 del 2011. Detto  comma  prevede  che  la

relazione di fine legislatura che deve redigere il  Presidente  della

Giunta Regionale ai sensi dei commi 2 e 3 dello  stesso  art.  1  del

d.lgs. n. 149 del  2011  "e'  trasmessa,  entro  dieci  giorni  dalla

sottoscrizione del Presidente della Giunta  regionale,  alla  sezione

regionale di controllo della  Corte  dei  conti,  che,  entro  trenta

giorni dal ricevimento, esprime le proprie valutazioni al  Presidente

della Giunta regionale".  Inoltre,  "Le  valutazioni  espresse  dalla

sezione regionale di controllo della Corte dei conti sono  pubblicate

nel sito istituzionale della regione entro il  giorno  successivo  al

ricevimento da parte del Presidente della Giunta regionale".

    L'illegittimita' della previsione ora menzionata emerge de  plano

se la si confronta con quanto  previsto  al  successivo  art.  1-bis,

comma 1, lett. e), che, sostituisce interamente il comma 6  dell'art.

1 del d.lgs. n. 149 del 2011 nel modo che segue: "In caso di  mancato

adempimento dell'obbligo di redazione e di  pubblicazione,  nel  sito

istituzionale dell'ente, della  relazione  di  fine  legislatura,  al

Presidente della Giunta regionale e, qualora non abbiano  predisposto

la relazione, al responsabile del servizio bilancio e  finanze  della

regione e all'organo di  vertice  dell'amministrazione  regionale  e'

ridotto della meta', con riferimento alle successive tre  mensilita',

rispettivamente,  l'importo  dell'indennita'  di  mandato   e   degli

emolumenti. Il Presidente della regione e', inoltre,  tenuto  a  dare

notizia della mancata pubblicazione della relazione,  motivandone  le

ragioni, nella pagina principale del sito istituzionale dell'ente".

    Con le disposizioni in esame il legislatore ha previsto una nuova

e particolare forma di controllo sull'operato della Giunta  regionale

da parte della Corte  dei  conti,  controllo  che  non  si  limita  a

prospettare una forma di collaborazione tra il  giudice  contabile  e

l'Ente,  ma  e'  preordinato  all'adozione   di   specifiche   misure

sanzionatorie in capo al Presidente della Regione.

    In  questo  modo,  pero',  lo  Stato  ha  violato  la  competenza

esclusiva della ricorrente relativamente alla disciplina della "forma

di governo della Regione", prevista dall'art. 15  dello  Statuto.  La

redazione e la pubblicazione della relazione di fine  legislatura  si

risolve,   infatti,   in   un   dovere    che    risulta    collegato

indissolubilmente        all'esercizio         delle         funzioni

politico-amministrative del Presidente della Regione,  il  quale,  ai

sensi  dell'art.  34  dello  Statuto,  e'  "organo  esecutivo   della

Regione". Un dovere collegato in maniera cosi' stretta  all'esercizio

delle funzioni attribuite al Presidente quale vertice esecutivo della

Regione da incidere in maniera significativa nella "forma di  governo

della Regione", per cio' solo impingendo nella  sfera  di  competenza

esclusiva della Regione.

    La norma contestata  si  intromette  nella  regolamentazione  del

rapporto politico-istituzionale  tra  Consiglio  e  Presidente  della

Regione, proprio  perche'  non  solo  regola  adempimenti  di  natura

politica del  Presidente  (tra  i  quali  e'  la  relazione  di  fine

mandato),  ma  perche',  sul  piano  giuridico-istituzionale  ne   fa

derivare effetti sfavorevoli per il Presidente stesso,  che,  invece,

dovrebbe  sopportare  simili  conseguenze  pregiudizievoli,  a  tutto

concedere, solo  in  ragione  di  determinazioni  assunte  dall'unico

organo cui e' legato da un rapporto istituzionale qualificato,  ossia

dal Consiglio regionale. Pertanto, oltre all'art.  15,  sono  violati

anche gli artt. 35 e 37  dello  Statuto,  che  regolano  il  rapporto

politico-istituzionale tra Consiglio  regionale  e  Presidente  della

Regione.

    L'art. 15 dello Statuto, anche  in  combinato  disposto  con  gli

artt. 35 e 37 dello Statuto, e' violato anche per un diverso profilo,

e  anche  in  combinato  disposto  con  gli  artt.  3  e   97   della

Costituzione. Il Presidente della Regione, infatti, non  ha  modo  di

interloquire con la Corte dei  conti,  a  seguito  delle  valutazioni

svolte da quest'ultima sulla relazione  di  fine  legislatura.  Anche

questo elemento e' in grado di modificare la struttura  del  rapporto

che intercorre tra Consiglio regionale e  Presidente  della  Regione,

regolato dagli artt. 15, 33 e 37 dello Statuto, e risulta,  comunque,

irragionevole, in quanto  impedisce  al  Presidente  di  chiarire  le

ragioni giustificatrici dell'azione della Regione, cosi pervenendo ad

esiti  informativi  che  non  sono  compiutamente  soddisfacenti   ed

efficaci.

    Ancora una volta, poi, sono violati  gli  artt.  54  e  56  dello

Statuto, in combinato disposto con gli artt. 15 e 37  dello  Statuto,

l'art. 116 Cost. e gli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. 16 gennaio 1978,  n.

21, recante "Norme  di  attuazione  dello  Statuto  speciale  per  la

Sardegna concernente il controllo  sugli  atti  della  Regione".  Gli

articoli in  questione,  come  si  e'  gia'  detto,  disciplinano  il

controllo della Corte  dei  conti  sugli  atti  amministrativi  della

Regione Sardegna, che e' demandato alla sezione regionale della Corte

dei conti ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. n. 21 del 1978, precludendo

ogni alterazione di tale disciplina che non passi  da  una  revisione

statutaria o dalla modificazione delle norme di attuazione.

    La nuova forma di  controllo  della  Corte  dei  conti  viola  il

modello disciplinato nell'art. 5 del d.P.R.  n.  21  del  1978.  Ivi,

infatti, quanto al contenuto del controllo, le  norme  di  attuazione

dello Statuto consentono solamente un  "controllo  di  legittimita'",

essendo   "esclusa   ogni   valutazione   di   merito"   sull'operato

dell'Amministrazione  regionale.  Quanto  all'oggetto,  il  controllo

della  Corte  dei  conti  si  puo'  esercitare  "esclusivamente   sui

regolamenti,  eccetto  quelli  attinenti  l'autonomia  organizzativa,

funzionale e contabile del consiglio regionale". Nel caso  in  esame,

invece, alla Corte dei conti e' consentito entrare nel  merito  delle

concrete scelte politiche effettuate dagli organi  di  governo  della

Regione e le sono  conferite  potesta'  che  esorbitano  dal  modello

previsto nelle norme di attuazione.

    Ne viene ancora una volta, in una con la violazione  degli  artt.

54 e 56 dello Statuto (che consentono la ridefinizione del  controllo

sugli atti della Regione solo tramite revisione statutaria o norme di

attuazione dello Statuto), la violazione degli  artt.  7  e  8  dello

Statuto, che tutelano e garantiscono  l'autonomia  finanziaria  della

Regione; dell'art. 116 Cost., che  tutela  la  particolare  autonomia

delle Regioni a Statuto speciale, degli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R.  n.

21 del 1978, che, come detto, disciplinano e fissano gli strumenti di

controllo degli atti regionali a disposizione della Corte dei conti.

    2.2. - Il comma 4 dell'art. 1-bis del d.l. n. 174 del  2012  reca

modificazioni all'art. 5 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149.

    In particolare, inserendo le parole "anche  nei  confronti  delle

regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano" nell'alinea

di detto art. 5, estende -  appunto  -  anche  alle  Regioni  e  alle

Province autonome la potesta' della Ragioneria generale  dello  Stato

di   "attivare   verifiche   sulla   regolarita'    della    gestione

amministrativo-contabile [...] qualora un ente evidenzi situazioni di

squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori: a) ripetuto

utilizzo   dell'anticipazione   di   tesoreria:   b)    disequilibrio

consolidato della parte corrente del bilancio; c)  anomale  modalita'

di gestione dei servizi  per  conto  di  terzi;  c-bis)  aumento  non

giustificato delle spese in favore  dei  gruppi  consiliari  e  degli

organi istituzionali", verifiche previste all'art. 5 del d.l. n.  149

del 2011.

    La disposizione  in  esame  lede  l'autonomia  finanziaria  della

Regione, in quanto ne sottopone l'esercizio  a  controlli  effettuati

dall'Amministrazione  ministeriale.  Anche  in  questo  caso  vi   e'

un'intromissione  dell'Amministrazione  statale  nelle  procedure  di

controllo del bilancio della Regione che e' gravemente  lesiva  della

sua autonomia finanziaria. Anche in questo caso, dunque, puo'  essere

richiamata quella giurisprudenza costituzionale che ha  ritenuto  non

lesivo  dell'autonomia   regionale   un   intervento   di   controllo

(oltretutto  solo  nella  forma  della  collaborazione   con   l'ente

controllato) da parte della sola Corte dei conti, perche'  questa,  a

differenza dell'apparato ministeriale, e' "organo terzo (sentenza  n.

64 del 2005) a servizio dello «Stato-comunita'» (sentenze n.  29  del

1995 e n. 470 del 1997)" (sent. n. 267 del 2006). Per  tali  ragioni,

la disposizione in questione e' violativa degli artt.  7  e  8  dello

Statuto  e  117  e  119  Cost.,  dai  quali  scaturisce   l'autonomia

finanziaria e di bilancio della Regione.

    Analogamente a quanto gia' rilevato, sono violati anche gli artt.

33 dello Statuto e 127 Cost. Si deve ripetere ancora una volta che la

disposizione  statuaria  prevede,  quale  unica  forma  di  controllo

"preventivo" delle leggi regionali, la comunicazione al Governo della

legge approvata prima della  sua  promulgazione.  Essendo  i  bilanci

regionali approvati con legge, il nuovo tipo di  controllo  richiesto

dallo Stato,  esorbitando  dal  modello  di  cui  all'art.  33  dello

Statuto, per cio' solo lo viola. Ma,  anche  questo  lo  si  e'  gia'

osservato, il controllo preventivo previsto dall'art. 33 St. e' ormai

superato  dall'art.  127  Cost.,  che  ha  eliminato   il   controllo

preventivo sulle leggi delle Regioni ad autonomia ordinaria,  sicche'

anche e soprattutto tale parametro e' violato, in  quanto  l'aggiunta

di un controllo ulteriore determina l'alterazione  del  regime  della

legge regionale, che e' definito da norme di rango  costituzionale  e

non puo' essere modificato da una fonte legislativa ordinaria.

    Anche in questo caso, poi, sono violati gli artt. 54 e  56  dello

Statuto, in combinato disposto con l'art. 7 dello Statuto, l'art. 116

Cost. e con l'art. 10 del d.P.R. 16  gennaio  1978,  n.  21,  per  le

ragioni  gia'  esaminate  in  precedenza,  quanto  al  rapporto   fra

tipologia  dei  controlli  e  tipologia  delle  fonti   che   possono

introdurli o modificarli.

    Si deve ricordare ancora una volta che l'art. 10 del d.P.R. n. 21

del 1978 limita il controllo sugli  atti  relativi  alla  manovra  di

bilancio della Regione Sardegna alla verifica del rendiconto generale

della Regione effettuata dalla  sezione  regionale  della  Corte  dei

conti, sicche' deve escludersi la legittimita' di una disposizione di

legge ordinaria che istituisce altri tipi di controlli e di verifiche

(specie se operati dall'Amministrazione ministeriale) senza  attivare

la procedura garantistica dell'art. 56 dello  Statuto.  Sono  di  bel

nuovo violati gli artt. 54 e 56 dello Statuto, che -  rispettivamente

- prevedono il procedimento di revisione statutaria, che  va  seguito

per modificare il regime dei controlli, e (nella misura in  cui  cio'

non  e'  necessario)  demandano  ad  una  commissione  paritetica  la

predisposizione  delle  norme  di  attuazione  dello  Statuto.  Nella

specie, si  badi,  e'  soprattutto  il  primo  parametro  che  appare

violato, perche'  la  norma  censurata  ha  introdotto  un  controllo

ministeriale  totalmente  sconosciuto  non  solo  allo  Statuto,   ma

all'intero  sistema  costituzionale,  sicche'  le  stesse  norme   di

attuazione sarebbero state inadeguate alla bisogna. In  una  con  gli

indicati parametri, poi, sono violati gli artt. 7 dello Statuto,  che

tutelano e garantiscono l'autonomia finanziaria della Regione; l'art.

116 Cost., che  tutela  la  particolare  autonomia  delle  Regioni  a

Statuto speciale, l'art. 10 del d.P.R. n.  21  del  1978,  che,  come

detto, disciplina il controllo della Corte dei conti.

    3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2, 3,  4

e 5, del d.l. n. 174 del 2012, come conv. in  l.  n.  213  del  2012.

L'art. 2 del d.l. n. 174 del  2012  reca  numerose  disposizioni  che

obbligano le Regioni ad intervenire sull'attivita' dei loro organi di

governo.  Esse  sono  talmente  estranee  alla  logica  stessa  della

specialita' che  e'  piu'  che  lecito  dubitare  della  loro  stessa

applicabilita' alla Regione Sardegna. Poiche' il comma 4  impegna  la

Regione all'adeguamento a tali previsioni, tuttavia, la loro  censura

in sede di giudizio  principale  di  legittimita'  costituzionale  e'

inevitabile.

    Le disposizioni in esame  sono  qui  gravate  da  due  ordini  di

censure.

    Da  una  parte,  infatti,  vi  e'  la  palese  violazione   della

competenza legislativa della  Regione  ricorrente  nella  regolazione

della propria autonomia  finanziaria  e,  specularmente,  un  abnorme

esercizio da  parte  dello  Stato  della  competenza  concorrente  in

maniera di "coordinamento della finanza pubblica",  oltrepassando  di

gran lunga il  confine  che  separa  le  disposizioni  di  principio,

riservate  allo  Stato,  dalla  concreta   gestione   della   finanza

regionale, che spetta a tutte le Regioni  (ai  sensi  dell'art.  117,

comma 3, Cost., da intendersi di seguito sempre in combinato disposto

con l'art. 10 della l. cost. n.  3  del  2001,  che  garantisce  alle

Regioni speciali almeno la medesima autonomia delle  ordinarie)  e  -

con ancor maggiore ambito di autonomia  -  alla  ricorrente,  che  e'

titolare  di  attribuzioni   in   tema   di   autonomia   finanziaria

guarentigiate da fonti costituzionali in ragione degli artt.  7  e  8

del proprio Statuto, confermati dagli artt. 116  e  119  Cost.  Dette

modalita' non solo hanno illegittimamente  travalicato  l'ambito  dei

principi del coordinamento  della  finanza  pubblica  riservati  allo

Stato, ma, allo stesso tempo, hanno invaso le  competenze  statutarie

della ricorrente in una serie di specifiche materie, di cui si  dara'

conto - si confida - puntualmente nei prossimi paragrafi.

    Dall'altra parte, poi, lo Stato, con  l'articolo  qui  censurato,

obbliga la ricorrente a produrre  effetti  di  finanza  pubblica  che

possono darsi solo mediante la revisione dello Statuto. Ma,  come  e'

noto, lo Statuto speciale per la  Sardegna  e'  stato  approvato  con

legge costituzionale, sicche' la  ricorrente  non  ne  puo'  disporre

liberamente allo stesso modo di una Regione ordinaria. Pertanto, come

si confida di dimostrare  anche  facendo  rinvio  alla  piu'  recente

giurisprudenza    costituzionale,    le    disposizioni     contenute

nell'articolo in questione sono illegittime per violazione di singoli

parametri statutari (appresso partitamente indicati), sempre anche in

relazione all'art. 116 Cost., che  riconosce  e  tutela  la  maggiore

autonomia delle Regioni speciali, e all'art. 54 Cost., che disciplina

il procedimento di revisione dello Statuto.

    3.1. -  Fatta  questa  necessaria  premessa,  dovuta  anche  alla

estrema   lunghezza   e   complessita'   (si   direbbe:   sostanziale

illeggibilita') delle disposizioni impugnate, e' necessario riportare

almeno in parte il contenuto dell'art. 2 del d.l. n. 174 del 2012.

    Il comma 1 prevede che "una  quota  pari  all'80  per  cento  dei

trasferimenti erariali a favore  delle  regioni,  diversi  da  quelli

destinati al finanziamento del  Servizio  sanitario  nazionale  e  al

trasporto pubblico locale" sia erogata solo se la  regione,  "con  le

modalita' previste dal proprio  ordinamento,  entro  il  23  dicembre

2012, ovvero entro sei mesi dalla data di  entrata  in  vigore  della

legge di conversione del presente decreto qualora occorra procedere a

modifiche statutarie":

        "a) abbia dato applicazione a quanto previsto  dall'art.  14,

comma 1, lettere a), b), d) ed e), del decreto-legge 13 agosto  2011,

n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011,

n. 148", ossia abbia ridotto il numero dei  consiglieri  regionali  e

degli assessori, nonche' i loro emolumenti;

        "b) abbia definito l'importo dell'indennita'  di  funzione  e

dell'indennita' di carica,  nonche'  delle  spese  di  esercizio  del

mandato, dei consiglieri e degli assessori  regionali,  spettanti  in

virtu' del loro mandato, in modo tale che non ecceda complessivamente

l'importo  riconosciuto  dalla  regione  piu'  virtuosa"   A   questo

proposito si prevede che "la regione  piu'  virtuosa  e'  individuata

dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Io Stato, le regioni e

le province autonome di Trento e di  Bolzano  entro  il  10  dicembre

2012" e che  "Decorso  inutilmente  tale  termine,  la  regione  piu'

virtuosa e' individuata con decreto del Presidente del Consiglio  dei

ministri o, su sua delega, del Ministro per gli affari regionali,  il

turismo e lo sport, di concerto con i Ministri dell'interno,  per  la

pubblica amministrazione e la semplificazione e dell'economia e delle

finanze, adottato nei successivi quindici giorni";

        "c)  abbia  disciplinato  l'assegno  di  fine   mandato   dei

consiglieri  regionali  in  modo  tale  che  non   ecceda   l'importo

riconosciuto dalla regione piu' virtuosa", individuata  nei  modi  di

cui alla lett. b), ma con l'avvertenza che "Le  disposizioni  di  cui

alla presente lettera non  si  applicano  alle  regioni  che  abbiano

abolito gli assegni di fine mandato";

        "d) abbia introdotto il divieto di  cumulo  di  indennita'  o

emolumenti, ivi comprese le indennita' di funzione o di  presenza  in

commissioni  o  organi  collegiali,  derivanti   dalle   cariche   di

presidente della regione, di presidente del consiglio  regionale,  di

assessore o di  consigliere  regionale,  prevedendo  inoltre  che  il

titolare di piu' cariche sia  tenuto  ad  optare,  fin  che  dura  la

situazione di cumulo potenziale, per  uno  solo  degli  emolumenti  o

indennita';

        e) abbia previsto, per  i  consiglieri,  la  gratuita'  della

partecipazione  alle   commissioni   permanenti   e   speciali,   con

l'esclusione anche di diarie, indennita' di presenza  e  rimborsi  di

spese comunque denominati;

        f)  abbia  disciplinato  le  modalita'   di   pubblicita'   e

trasparenza  dello  stato  patrimoniale  dei  titolari   di   cariche

pubbliche elettive e di governo  di  competenza,  prevedendo  che  la

dichiarazione, da pubblicare annualmente, all'inizio e alla fine  del

mandato, nel  sito  istituzionale  dell'ente,  riguardi:  i  dati  di

reddito e di  patrimonio,  con  particolare  riferimento  ai  redditi

annualmente  dichiarati;  i  beni  immobili   e   mobili   registrati

posseduti; le partecipazioni in societa' quotate e  non  quotate;  la

consistenza degli investimenti in titoli  obbligazionari,  titoli  di

Stato o in altre utilita' finanziarie detenute anche tramite fondi di

investimento, SICAV o intestazioni  fiduciarie,  stabilendo  altresi'

sanzioni amministrative per la mancata o parziale ottemperanza;

        g) fatti salvi i rimborsi  delle  spese  elettorali  previsti

dalla normativa nazionale, abbia definito l'importo dei contributi in

favore dei gruppi consiliari, al netto delle spese per il  personale,

da  destinare  esclusivamente  agli  scopi   istituzionali   riferiti

all'attivita' del consiglio regionale  e  alle  funzioni  di  studio,

editoria e comunicazione, esclusa in ogni caso la  contribuzione  per

partiti o movimenti politici, nonche' per gruppi composti da un  solo

consigliere, salvo quelli che risultino cosi' composti gia' all'esito

delle elezioni,  in  modo  tale  che  non  eccedano  complessivamente

l'importo riconosciuto dalla regione piu' virtuosa,  secondo  criteri

omogenei, ridotto della meta'" (anche stavolta  per  l'individuazione

della Regione piu' virtuosa si rimanda alla lett. b) di cui supra);

        "h) abbia definito, per le legislature successive a quella in

corso e salvaguardando per le legislature  correnti  i  contratti  in

essere,  l'ammontare  delle  spese  per  il  personale   dei   gruppi

consiliari, secondo un parametro omogeneo, tenendo conto  del  numero

dei consiglieri, delle  dimensioni  del  territorio  e  dei  modelli'

organizzativi di ciascuna regione";

        i) abbia dato applicazione alle regole previste dall'art. 6 e

doli' art. 9, comma 28, del decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78,

convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  e

successive modificazioni, dall'art. 22, commi da  2  a  4,  dall'art.

23-bis, commi 5-bis e 5-ter, e dall'art. 23-ter del  decreto-legge  6

dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge  22

dicembre 2011, n. 214 , dall'art. 3, commi 4, 5, 6 e 9, dall'art.  4,

dall'art. 5, comma 6, e dall'art. 9, comma  l,  del  decreto-legge  6

luglio 2012, n. 95, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  7

agosto 2012, n. 135;

        l) abbia istituito, altresi', un sistema informativo al  quak

affluiscono i  dati  relativi  al  finanziamento  dell'attivita'  dei

gruppi politici, curandone, altresi', la pubblicita' nel proprio sito

istituzionale",  con  la  precisazione  che   "i   dati   sono   resi

disponibili, per via telematica, al sistema informativo  della  Corte

dei conti, al Ministero dell'economia e delle finanze -  Dipartimento

della Ragioneria generale dello Stato, nonche' alla  Commissione  per

la trasparenza e il  controllo  dei  rendiconti  dei  partiti  e  dei

movimenti politici di cui all'art. 9 della legge 6  luglio  2012,  n.

96";

        "m) abbia adottato  provvedimenti  volti  a  recepire  quanto

disposto dall'art. 14, colma 1,  lettera  f),  del  decreto-legge  13

agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  14

settembre 2011, n. 144. La regione, a decorrere dalla data di entrata

in vigore del presente decreto e fatti salvi i  relativi  trattamenti

gia' in erogazione a tale data, fino all'adozione  dei  provvedimenti

di cui al primo periodo, puo' prevedere o  corrispondere  trattamenti

pensionistici o vitalizi in favore di coloro che abbiano ricoperto la

carica di presidente della regione, di  consigliere  regionale  o  di

assessore regionale solo se, a quella data, i beneficiari:  1)  hanno

compiuto sessantasei anni di eta'; 2) hanno ricoperto  tali  cariche,

anche non continuativamente, per un periodo  non  inferiore  a  dieci

anni. Fino  all'adozione  dei  provvedimenti  di  cui  alla  presente

lettera, in assenza dei requisiti di  cui  ai  numeri  1)  e  2),  la

regione non corrisponde  i  trattamenti  maturati  dopo  la  data  di

entrata in vigore del presente decreto". Si  prevede  anche  che  "le

disposizioni di cui alla  presente  lettera  non  si  applicano  alle

regioni che abbiano abolito i vitalizi";

        "n) abbia escluso, ai sensi degli articoli 28 e 29 del codice

penale, l'erogazione del vitalizio in favore di chi sia condannato in

via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione".

    Il secondo comma, poi, aggiunge che, "ferme restando le riduzioni

di cui al comma 1,  alinea,  in  caso  di  mancato  adeguamento  alle

disposizioni di cui al comma  i  entro  i  termini  ivi  previsti,  a

decorrere dal 1° gennaio 2013 i trasferimenti erariali a favore della

regione inadempiente sono ridotti per un importo corrispondente  alla

meta'  delle  somme  da  essa  destinate  per  l'esercizio  2013   al

trattamento economico complessivo spettante ai membri  del  consiglio

regionale e ai membri della giunta regionale".

    Il  comma  3  del  medesimo  articolo  prevede  che   "Gli   enti

interessati comunicano il documentato rispetto  delle  condizioni  di

cui al comma 1 mediante comunicazione da inviare alla Presidenza  del

Consiglio dei ministri e al Ministero dell'economia e  delle  finanze

entro il quindicesimo giorno successivo alla scadenza dei termini  di

cui al comma 1".

    Del comma 4 si e' gia' accennato in premessa e  meglio  si  dira'

sub 3.6.

    L'ultimo comma, il quinto, prevede che, "qualora le  regioni  non

adeguino i loro ordinamenti entro i termini di cui al comma 1  ovvero

entro quelli  di  cui  al  comma  3,  alla  regione  inadempiente  e'

assegnato, ai sensi dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n.  131  ,

il termine di novanta giorni per provvedervi",  con  la  precisazione

che "il mancato rispetto di tale  ulteriore  termine  e'  considerato

grave violazione di legge ai sensi dell'art. 126, primo comma,  della

Costituzione".

    3.2. - Le disposizioni dell'art. 5, comma 1, del d.l. n. 174  del

2012 esorbitano dalle  attribuzioni  dello  Stato  nella  materia  di

competenza  concorrente  "coordinamento  della   finanza   pubblica",

perche' non si limitano  a  dettare  disposizioni  di  principio,  ma

arrivano a definire  il  piu'  minuto  dettaglio  della  materia  che

regolano.

    Questa  difesa   non   ignora   la   sedimentata   giurisprudenza

costituzionale che vuole che "il legislatore statale  puo',  con  una

disciplina di principio, legittimamente «imporre agli enti  autonomi,

per  ragioni  di  coordinamento  finanziario  connesse  ad  obiettivi

nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle

politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente,

in limitazioni indirette  all'autonomia  di  spesa  degli  enti»  (da

ultimo, sentenza n. 182 del 2011)", vincoli che "possono considerarsi

rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli  enti  locali  quando

stabiliscono un «limite complessivo,  che  lascia  agli  enti  stessi

ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i  diversi  ambiti  e

obiettivi di spesa» (sentenza n. 182 del 2011,  nonche'  sentenze  n.

297 del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007)", ossia fintanto che

e' consentita "l'estrapolazione, dalle singole disposizioni  statali,

di  principi  rispettosi   di   uno   spazio   aperto   all'esercizio

dell'autonomia regionale» (sentenza n. 182 del 2011)" (cosi', tra  le

ultime, la sent. n. 139 del 2012).

    Nel caso in questione, pero', la realta' e' ben altra.  La  piana

lettura   delle   disposizioni   impugnate   "rende    evidente    la

impossibilita'  di  ricondurre  la  disposizione  censurata   ad   un

esercizio  del  potere  legislativo  di  determinazione  di  principi

fondamentali, nel rispetto del tipo di  legislazione  concorrente  di

cui al terzo comma dell'art.  117  della  Costituzione",  perche'  le

disposizioni normative "sono tutte assai particolareggiate  ed  anche

in  parte  tra  loro  eterogenee"  e  "non  possono  non   applicarsi

integralmente, senza spazi per adeguamento alcuno, anche a Regioni  e

Province autonome", sicche', "quand'anche la  norma  impugnata  venga

collocata nell'area del  coordinamento  della  finanza  pubblica,  e'

palese che il legislatore  statale,  vincolando  Regioni  e  Province

autonome all'adozione di misure analitiche  e  di  dettaglio,  ne  ha

compresso illegittimamente l'autonomia finanziaria,  esorbitando  dal

compito di formulare i  soli  principi  fondamentali  della  materia"

(cosi', in modo particolarmente efficace tra le tante,  la  sent.  n.

159 del 2008).

    Che nella fattispecie che ne occupa sia esattamente cosi' risulta

da molteplici dati:

        -  la  lett.  a)  prescrive  un  rigido  livello  massimo  di

consiglieri e assessori regionali, nonche' la  diminuzione  dei  loro

emolumenti;

     

     

        - le lett. b), c) e g) addirittura impongono un  livellamento

generale delle misure di spesa tra tutte le Regioni italiane.  Questo

e' un dato assolutamente dirimente:  le  Regioni  dovranno  prevedere

tutte la stessa cifra, assimilata a quella dell'Ente  piu'  virtuoso,

per indennita' di funzione, assegni  di  fine  mandato  e  importi  a

favore  dei  gruppi.  E,  si  badi,  l'intervento  della   Conferenza

Stato-Regioni non lascia alle Regioni spazio di autonomia, visto  che

la Conferenza dovra' solo prendere atto di quale sia la Regione  piu'

virtuosa;

        - le lett. d), e), h)  e  n)  indicano  non  dei  livelli  di

riduzione di spesa, ma  cogenti  modelli  di  regolamentazione  della

spesa, vietando il cumulo tra indennita' ed. emolumenti, prescrivendo

la gratuita partecipazione alle  commissioni,  un  tetto  massimo  di

spese per il personale, una rigida relazione tra  eventuale  condanna

penale dell'ex consigliere regionale e revoca del vitalizio;

        -  le  lett.  f)  e  l),  prevedono  dettagliate   forme   di

pubblicita' dello stato patrimoniale e l'istituzione  di  un  sistema

informativo sul finanziamento ai gruppi politici.

    E'  impossibile,  dunque,  ricollegare  dette   disposizioni   al

semplice principio della "riduzione dei costi  della  politica  nelle

regioni", come vorrebbe la rubrica  dell'art.  2  in  esame,  sicche'

risulta evidente la loro  illegittimita',  per  violazione  dell'art.

117, somma 3, Cost. (che  limita  alla  fissazione  dei  principi  la

competenza  statale  in  materia  di  coordinamento   della   finanza

pubblica), ma anche degli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost.  (dai

quali si desume la specifica garanzia dell'autonomia finanziaria e di

bilancio della Regione Sardegna).

    Di conseguenza, sono illegittimi anche i commi  2,  3  e  5,  che

ricollegano effetti ancor piu' lesivi dell'autonomia  regionale  alla

(mancata) ottemperanza alle prescrizioni del comma  1.  Effetti  che,

ripercuotendosi sull'intero e generale finanziamento  della  Regione,

si palesano violativi degli artt. 7 e 8 dello Statuto  e  117  e  119

Cost., ma anche degli artt. 3,  4,  5  e  6  dello  Statuto,  perche'

impediscono  alla  ricorrente  di  svolgere  le  funzioni   pubbliche

confidatele dalla Costituzione, dallo Statuto, dalle leggi.

    3.3. - Se e' evidente la lesione dell'autonomia finanziaria della

Regione, non meno evidenti sono le violazioni di singole disposizioni

statutarie relative  alle  fattispecie  che  il  legislatore  statale

pretende oggi di regolare. Le  disposizioni  del  comma  1,  infatti,

violano l'art. 16  dello  Statuto,  che  stabilisce  direttamente  il

numero dei componenti del Consiglio regionale della Sardegna.

    Violato e' anche l'art. 15 dello Statuto, che affida  alla  legge

regionale la determinazione della forma di governo  della  Regione  e

dei rapporti fra i suoi organi. Non v'e' dubbio, infatti,  che  anche

la  determinazione  del  numero  (e  degli  stessi  emolumenti)   dei

consiglieri e degli assessori regionali incida sui rapporti  tra  gli

organi istituzionali che ne qualificano la  forma  di  governo.  Piu'

ancora, e'  specificamente  violato  l'art.  26  dello  Statuto,  che

assegna alla legge regionale la competenza a fissare l'indennita' dei

Consiglieri regionali.

    Piu' in generale, e' violata l'autonomia della  Regione  Sardegna

nella determinazione  della  sua  organizzazione  interna,  garantita

anche dall'art. 116 Cost. e dall'art. 3, comma  1,  lett.  b),  dello

Statuto.

    Quanto al comma 2, sono violati anche gli artt. 3  e  119  Cost.,

anche in combinato disposto con gli artt. 3, 4, 5 e 6 dello  Statuto,

perche' il trasferimento dei fondi necessari per Io svolgimento delle

funzioni statutarie e' - come  gia'  si  diceva  -  irragionevolmente

subordinato  alla  rinuncia  della   Regione   alla   sua   autonomia

costituzionalmente garantita,  con  violazione  anche  dell'autonomia

finanziaria regionale.

    Violato, poi, e', per  uno  specifico  profilo,  l'art.  8  dello

Statuto, perche' i trasferimenti erariali che si prevede di  bloccare

rientrano tra le quote  di  compartecipazione  erariale  fissate  nel

parametro statutario ora invocato. Il che significa che la  legge  ha

di fatto imposto una sostanziale  riserva  erariale  a  favore  dello

Stato, che e' violativa, appunto dell'art. 8 dello  Statuto.  Per  la

stessa ragione, il blocco dei trasferimenti  erariali,  inteso  quale

sostanziale   disapplicazione    o    elusione    del    regime    di

compartecipazione fissa alle entrate erariali di cui all'art. 8 dello

Statuto, e' equivalente ad un contributo sine causa  e  indeterminato

nel tempo a favore  dello  Stato,  contributo  che,  per  consolidata

giurisprudenza  costituzionale,  esorbita  dalla  competenza  statale

concorrente nella materia "coordinamento della  finanza  pubblica"  e

impinge nella relativa competenza concorrente  regionale.  Anche  per

questo profilo, dunque,  e'  violato  ancora  l'art.  117  Cost.,  in

relazione all'art. 8 dello Statuto.

    I medesimi vizi affliggono il comma 3. La prova del  "documentato

rispetto delle condizioni di cui al comma 1 mediante comunicazione da

inviare alla Presidenza del Consiglio dei  ministri  e  al  Ministero

dell'economia e delle finanze entro il quindicesimo giorno successivo

alla scadenza dei termini" e' strumentale e funzionale all'attuazione

delle illegittime previsioni di cui ai commi 1 e 2.

    3.4. - Il comma 5, poi, disciplinando una  specifica  ipotesi  di

scioglimento del Consiglio  regionale  e  contestuale  rimozione  del

Presidente della Regione, auto-qualifica quale "grave  violazione  di

legge ai sensi dell'art. 126, primo  comma,  della  Costituzione"  il

mancato adeguamento della Regione alle disposizioni dell'intero  art.

2 del d.l. n. 174 del 2012.

    E'  piu'  che  ragionevole  dubitare  sull'applicabilita'  questa

prescrizione alla Regione  Sardegna,  atteso  che  e'  richiamata  un

parametro costituzionale (art. 126)  applicabile  alle  sole  Regioni

ordinarie. Nondimeno, in mancanza di esplicita esclusione deve  dirsi

che, in questo modo, il legislatore statale ha violato specificamente

non solo lo stesso art. 126 Cost., ma anche gli artt.  15,  35  e  50

dello Statuto, in cui sono disciplinati i  rapporti  fra  gli  organi

regionali e sono dettati tassativamente i casi  di  scioglimento  del

Consiglio regionale medesimo e della  Giunta  regionale,  nonche'  di

fine anticipata del mandato del Presidente della Regione, e (art. 50)

sono altresi' previste speciali forme di (leale)  collaborazione  tra

Stato  e  Consiglio  regionale  nel  caso  in  cui  a  perpetrare  le

violazioni di legge sia la Giunta regionale.

    Innanzitutto, non basta l'autoqualificazione legislativa per  far

sussumere la fattispecie di cui all'art. 2, comma 5, del d.l. n.  174

del 2012 tra le "gravi violazioni di legge" di cui all'art. 126 Cost.

Tanto anche perche' l'art. 2, comma 1, alinea, del d.l.  n.  174  del

2012, si limita a prevedere mere conseguenze finanziarie penalizzanti

(per quanto estremamente severe) per le Regioni che decidano  di  non

adeguarsi al lungo elenco di oneri di cui al medesimo comma 1. Il che

rende contraddittoria (e violativa dell'art. 3 Cost.)  la  previsione

dello scioglimento  nel  caso  di  mancato  adeguamento.  Tanto  piu'

contraddittoria  e  irragionevole,  si  badi,  se  si   tiene   conto

dell'esiguita' dei termini stabiliti dal medesimo art.  2,  comma  5,

qui censurato.

    In secondo luogo, si deve considerare che  l'"adeguamento"  della

Regione alle prescrizioni dell'intero art. 2 del d.l. n. 174 del 2012

non richiede solo  determinazioni  del  Consiglio  regionale,  ma  ha

necessita' anche di  provvedimenti  di  competenza  del  solo  organo

esecutivo (si pensi agli incombenti di cui all'art. 2, comma 1, lett.

l), del d.l. n. 174 del 2012, che obbliga la Regione a  comunicazioni

periodiche di dati e alla divulgazione  degli  stessi  attraverso  il

sito internet istituzionale dell'Ente).

    Cio' considerato, si deve ricordare che gli artt. 35 e  50  dello

Statuto  stabiliscono  procedure  e  casistiche  particolari  per  la

cessazione  del  mandato  del  Presidente  della  Regione  e  per  lo

scioglimento del Consiglio sardo, laddove la norma censurata pretende

di dettare una disciplina valevole per tutte le Regioni, ma  che  qui

e' coperta da una fonte costituzionale.

    Si aggiunga che l'art. 50 dello Statuto prevede  lo  scioglimento

del Consiglio regionale quando "non proceda alla  sostituzione  della

Giunta regionale o del Presidente che abbiano compiuto analoghi  atti

o violazioni". Come si vede, l'art. 50 prevede la possibilita' che il

Consiglio  regionale,  avvertito  dal   Governo,   possa   deliberare

autonomamente di sostituire la Giunta regionale e il Presidente della

Regione.  Questa  forma  di  coinvolgimento  del  massimo  organo  di

rappresentanza politica non e' prevista, tuttavia,  ne'  dall'art.  2

del d.l. n. 174 del 2012 ne' dall'art. 126 della Costituzione."

    Il comma 5 viola anche l'art. 3 Cost., in combinato disposto  con

gli artt. 50 e 54  dello  Statuto  e  116  Cost.,  perche'  ricollega

l'ipotesi di scioglimento del Consiglio regionale e di rimozione  del

Presidente della  Regione  ad  eventi  che,  come  si  vedra'  subito

appresso,   non   sono   nella   disponibilita'   (e   dunque   nella

responsabilita') della Regione medesima,  quali  la  revisione  dello

Statuto. La disposizione, per tale motivo, si palesa violativa  anche

del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., nella parte  in

cui tratta la  Regione  Sardegna  in  modo  deteriore  rispetto  alle

Regioni  ordinarie,  che  possono  liberamente  modificare  il   loro

Statuto, ma anche del principio di ragionevolezza, nella parte in cui

ricollega l'apparato sanzionatorio dell'art. 126, comma 1, Cost.,  ad

ipotesi che sfuggono alla responsabilita' dei componenti degli organi

del governo regionale.

    3.5. - Non basta. Come si e' visto nei precedenti  paragrafi,  la

gran parte delle "condizioni" richieste dai commi  in  esame  possono

avverarsi solo attraverso una revisione dello Statuto regionale.  Che

sia cosi' lo dimostra la prima "condizione" posta alle Regioni  dalla

lett. a) del  comma  1  dell'articolo  qui  censurato.  Essa  rimanda

all'art. 14 del d.l. n. 138 del 2011, di  cui  codesta  Ecc.ma  Corte

costituzionale si e' occupata nella sent. n. 198 del 2012. Detto art.

14 si componeva di due commi, che utilizzavano una tecnica  normativa

assai simile a quella impiegata nell'art. 3 del d.l. n. 174 del 2012.

Il primo comma prevedeva e prevede alcune limitazioni  puntuali  alla

spesa delle Regioni, il secondo, dedicato  alle  autonomie  speciali,

stabiliva effetti negativi di finanza pubblica per le  Regioni  e  le

Province autonome che non si fossero adeguate a quanto prescritto  al

comma 1.

    Di fronte alle censure rivolte dalle Regioni a  Statuto  speciale

all'art. 14 del d.l. n. 138 del 2011, la Corte ha affermato  che  "La

disciplina relativa agli organi delle Regioni a statuto speciale e ai

loro componenti e' contenuta nei rispettivi statuti. Questi, adottati

con legge costituzionale, ne garantiscono le  particolari  condizioni

di  autonomia,  secondo   quanto   disposto   dall'art.   116   Cost.

L'adeguamento da parte delle  Regioni  a  statuto  speciale  e  delle

Province autonome ai parametri di  cui  all'art.  14,  comma  1,  del

decreto-legge n. 138 del 2011 richiede, quindi, la modifica di  fonti

di rango costituzionale. A tali fonti una legge  ordinaria  non  puo'

imporre limiti e condizioni".

    Anche ora,  come  allora,  la  legge  ordinaria,  pretendendo  di

condizionarne   i   contenuti,   aspira   a   porsi   in    posizione

gerarchicamente  sovraordinata  allo  Statuto  speciale,  in   palese

violazione dell'art. 54 dello Statuto e dell'art. 116 Cost.

    Inoltre, si deve considerare che lo  Statuto,  ai  sensi  proprio

dell'art. 54 dello stesso, si  puo'  riformare  (salva  la  specifica

fattispecie prevista dal comma 5, per le quali si prevedono  comunque

forme di garanzia e  partecipazione  per  la  Regione)  solo  con  il

procedimento  stabilito  per  la  revisione  costituzionale,  sicche'

l'adeguamento ai parametri dell'art. 3 del d.l. n. 174 del  2012  non

e' nella disponibilita' della Regione Sardegna,  che  puo'  solamente

avviare  il  procedimento  di  revisione,  ma  non  puo'  portarlo  a

compimento.  Cio'  aggrava  i  profili   di   illegittimita'   e   di

irragionevolezza della disposizione  censurata,  che  contribuisce  a

creare un meccanismo perverso di distribuzione degli oneri di finanza

pubblica tra gli enti territoriali, che non tiene in alcun  conto  la

specifica situazione della Regione Sardegna, determinata, nel caso di

specie,  dalle  regole  che  disciplinano  le  fonti   dell'autonomia

speciale. Si giunge cosi' ad un duplice paradosso. Anzitutto, che  la

Sardegna e' resa responsabile per scelte  (come  quelle  relative  al

numero  dei  consiglieri   regionali)   delle   quali   non   ha   la

disponibilita'. In secondo luogo, che essa, pur essendo ad  autonomia

speciale (cosa che importa, di conseguenza,  una  maggiore  autonomia

anche  finanziaria  e  di  bilancio),  in  forza  della  disposizione

censurata non puo' ottenere i trasferimenti erariali cui ha diritto.

    3.6.  -  Si  era  postergato,  prima,   l'esame   del   comma   4

dell'articolo in oggetto. Ebbene: esso  prevede  che  "Le  regioni  a

statuto speciale e le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano

provvedono ad adeguare i propri ordinamenti  a  quanto  previsto  dal

comma 1 compatibilmente con i propri statuti di autonomia  e  con  le

relative norme di attuazione".

    Detto comma e' anch'esso violativo di tutti i parametri statutari

e costituzionali individuati al  paragrafo  precedente,  in  una  col

principio di ragionevolezza di cui  all'art.  3  Cost.,  perche'  non

limita l'applicabilita' dell'art. 2 del d.l. n. 174 del 2012 ai  soli

ambiti di competenza  del  legislatore  statale.  In  altri  termini:

quella in oggetto e' una clausola che, sebbene  in  apparenza  sembri

finalizzata alla tutela delle attribuzioni statutarie  della  Regioni

ad autonomia speciale, finisce, al contrario, per mortificarle.

    La  pretesa  clausola  di  salvaguardia,  infatti,   e'   rivolta

solamente  alle  Regioni,  le  quali  dovranno  "adeguare  i   propri

ordinamenti a quanto previsto  dal  comma  I  compatibilmente  con  i

propri statuti di autonomia e con le relative norme  di  attuazione".

Questa formula (che peraltro, facendo riferimento al solo "comma  1",

fa ragionevolmente dubitare che  gli  altri  si  possano  logicamente

applicare alle Regioni speciali) non e' adatta a limitare  il  raggio

applicativo delle disposizioni che detta, proprio perche' non prevede

espressamente che gli ambiti di competenza delle  Regioni  a  Statuto

speciale  si  intendevano  comunque  fatti  salvi   dall'applicazione

dell'art. 5 d.l. n. 174 del 2012, con buona  pace  delle  illegittime

incursioni dello Stato non solo negli ambiti materiali  riservati  al

legislatore,  ma  addirittura  nei  singoli   istituti   direttamente

disciplinati nello Statuto.

    La questione dell'operativita' della clausola di salvaguardia  e'

stata chiarita da codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella sent.  n.

241 del 2012. In quel caso si interpretava l'art. 19-bis del d.l.  n.

138 del 2011, ove si prevedeva che "l'attuazione  delle  disposizioni

del presente  decreto  nelle  regioni  a  statuto  speciale  e  nelle

province autonome di Trento e Bolzano avviene nel rispetto  dei  loro

statuti e  delle  relative  norme  di  attuazione  e  secondo  quanto

previsto dall'art. 27 della legge 5  maggio  2009,  n.  42".  Codesta

Ecc.ma Corte costituzionale affermo' che attraverso "la  clausola  di

salvaguardia, gli evocati  parametri  di  rango  statutario  assumono

[...] la funzione di generale limite per l'applicazione  delle  norme

del decreto-legge  n.  138  del  2011,  nel  senso  che  queste  sono

inapplicabili agli enti a statuto speciale ove siano in contrasto con

gli statuti e le relative norme di attuazione. Detta inapplicabilita'

esclude la fondatezza delle questioni di legittimita'  costituzionale

basate  sulla  violazione  di   tali   parametri   statutari"   salva

l'evenienza  che   "singole   norme   del   decreto-legge   prevedano

espressamente, derogando alla clausola in esame, la  propria  diretta

ed immediata applicabilita' agli enti ad autonomia speciale".

    Ora, la differenza che intercorre tra l'art. 5, comma 4, del d.l.

n. 174 del 2012  e  l'art.  19-bis  del  d.l.  n.  138  del  2011  e'

assolutamente evidente. Solo replicando la stessa  formula  dell'art.

19-bis del d.l. n. 138 del 2011 (e non quella  ben  piu'  restrittiva

qui  in  questione)  poteva  prodursi  quel   meccanismo   inteso   a

salvaguardare sia la  legittimita'  dell'intervento  statale  che  le

attribuzioni  delle  Regioni  speciali  che  e'  stato   limpidamente

ricostruito nella cit. sent. n. 241 del 2012.

    Di conseguenza, non avendo delimitato l'efficacia del d.l. n. 174

del 2012 nel rispetto della rigida ripartizione  delle  competenze  e

delle specifiche previsioni recate dallo Statuto, il  legislatore  e'

incorso una volta di piu'  nella  violazione  di  tutti  i  parametri

invocati per il presente articolo, ovverosia degli artt. 3, 4,  5,  6

7, 8, 15, 16, 26 35, 50 e 54 dello Statuto e 3, 116, 117, 119  e  126

della Costituzione, anche in relazione all'art. 10 della l. cost.  n.

3 del 2001.

    4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 3,  comma  1,  lett.

e), del d.l. n. 174 del 2012, come conv.  in  l.  n.  213  del  2012.

L'art. 3  del  d.l.  n.  174  del  2012  ha  apportato  significative

modifiche al d.lgs. n. 267 del 2012, recante testo unico delle  leggi

sull'ordinamento degli enti locali (TUEL). Per quanto qui  interessa,

il comma 1, lett. e) ha interamente sostituito l'art. 148  del  TUEL.

Nella nuova formulazione il testo  dell'art.  148  del  TUEL  prevede

quanto  segue:  "1.  Le  sezioni  regionali  della  Corte  dei  conti

verificano, con cadenza semestrale, la legittimita' e la  regolarita'

delle gestioni, nonche' il funzionamento  dei  controlli  interni  ai

fini  del  rispetto  delle  regole  contabili  e  dell'equilibrio  di

bilancio  di  ciascun  ente  locale.  A  tale   fine,   il   sindaco,

relativamente ai comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti,

o il presidente della provincia, avvalendosi del direttore  generale,

quando presente, o del segretario negli enti in cui non  e'  prevista

la figura  del  direttore  generale,  trasmette  semestralmente  alla

sezione regionale di controllo della Corte dei conti un referto sulla

regolarita' della gestione e sull'efficacia  e  sull'adeguatezza  del

sistema dei controlli interni adottato, sulla base delle linee  guida

deliberate dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti  entro

trenta  giorni  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  presente

disposizione; il referto e',  altresi',  inviato  al  presidente  del

consiglio comunale o provinciale.

    2. Il Ministero dell'economia  e  delle  finanze  -  Dipartimento

della Ragioneria generale dello Stato puo' attivare  verifiche  sulla

regolarita'  della  gestione   amministrativo-contabile,   ai   sensi

dell'art. 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre  2009,  n.

196, oltre che negli altri casi previsti dalla legge, qualora un ente

evidenzi,  anche  attraverso  le  rilevazioni  SIOPE,  situazioni  di

squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori:

        a) ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria;

        b)  disequilibrio  consolidato  della  parte   corrente   del

bilancio;

        c) anomale modalita' di gestione dei  servizi  per  conto  di

terzi;

        d) aumento non giustificato di spesa  degli  organi  politici

istituzionali.

    3. Le sezioni  regionali  di  controllo  della  Corte  dei  conti

possono attivare le procedure di cui al comma 2.

    4. In caso di rilevata assenza o inadeguatezza degli strumenti  e

delle metodologie di cui al secondo periodo del comma 1 del  presente

articolo, fermo restando quanto previsto dall'art. 1 della  legge  14

gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni,  e  dai  commi  5  e

5-bis  dell'art.  248  del   presente   testo   unico,   le   sezioni

giurisdizionali  regionali  della  Corte  dei  conti  irrogano   agli

amministratori responsabili la condanna ad una sanzione pecuniaria da

un minimo di cinque fino ad un massimo di venti volte la retribuzione

mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione".

    Il medesimo art. 3, comma 1, lett. e), del d.l. n. 174  del  2012

ha anche aggiunto al TUEL l'art. 148-bis.  Detto  articolo  prescrive

quanto segue: "1. Le sezioni regionali di controllo della  Corte  dei

conti esaminano i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi  degli

enti locali ai sensi dell'art. 1, commi 166 e seguenti,  della  legge

23 dicembre  2005,  n.  266,  per  la  verifica  del  rispetto  degli

obiettivi  annuali   posti   dal   patto   di   stabilita'   interno,

dell'osservanza del vincolo  previsto  in  materia  di  indebitamento

dall'art. 119, sesto comma, della Costituzione, della  sostenibilita'

dell'indebitamento, dell'assenza di  irregolarita',  suscettibili  di

pregiudicare,     anche     in     prospettiva,     gli     equilibri

economico-finanziari degli enti.

    2. Ai fini della  verifica  prevista  dal  comma  1,  le  sezioni

regionali di controllo della Corte dei conti accertano altresi' che i

rendiconti degli enti locali tengano conto anche delle partecipazioni

in societa' controllate e alle  quali  e'  affidata  la  gestione  di

servizi pubblici per la collettivita' locale e di servizi strumentali

all'ente.

    3.  Nell'ambito  della  verifica  di  cui  ai  commi   1   e   2,

l'accertamento,  da  parte  delle  competenti  sezioni  regionali  di

controllo della Corte dei conti, di  squilibri  economico-finanziari,

della  mancata  copertura  di  spese,  della  violazione   di   norme

finalizzate a garantire la regolarita' della gestione finanziaria,  o

del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilita'

interno comporta per gli  enti  interessati  l'obbligo  di  adottare,

entro  sessanta  giorni  dalla  comunicazione  del   deposito   della

pronuncia di accertamento, i  provvedimenti  idonei  a  rimuovere  le

irregolarita' e  a  ripristinare  gli  equilibri  di  bilancio.  Tali

provvedimenti sono trasmessi  alle  sezioni  regionali  di  controllo

della Corte dei conti che li verificano nel termine di trenta  giorni

dal ricevimento. Qualora l 'ente non provveda alla  trasmissione  dei

suddetti provvedimenti o  la  verifica  delle  sezioni  regionali  di

controllo dia esito negativo, e' preclusa l'attuazione dei  programmi

di spesa per i quali  e'  stata  accertata  la  mancata  copertura  o

l'insussistenza della relativa sostenibilita' finanziaria".

    4.1.   -    Per    cogliere    immediatamente    l'illegittimita'

costituzionale delle norme qui censurate si deve considerare  che  la

Regione Sardegna ha competenza legislativa  esclusiva  nella  materia

"ordinamento degli enti locali" ai sensi dell'art. 3, comma 1,  lett.

b), dello  Statuto,  in  combinato  disposto  con  l'art.  46.  Detta

competenza, come ha  rilevato  codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale

nella sent. n. 275 del 2007, implica che la  "materia  della  finanza

locale [...] per  la  Regione  sarda,  e'  devoluta  alla  competenza

legislativa esclusiva della Regione in forza dell'art. 3, lettera b),

del relativo statuto speciale". E' evidente, dunque,  che  lo  Stato,

nel disciplinare le forme dei controlli esterni sulla finanza locale,

ha  inciso  la  competenza  legislativa   esclusiva   della   Regione

ricorrente. La competenza attribuita dall'art. 3, comma 1, lett.  b),

dello Statuto concerne non solo l'ordinamento degli enti  locali,  ma

anche i relativi controlli, ivi compresi quelli sulla finanza. Lo  ha

rilevato codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella sent. n.  415  del

1994, affermando che "la materia del controllo sugli atti [degli enti

locali sardi] di cui all'art. 46 dello Statuto sardo, rientra a pieno

titolo nell'oggetto contemplato dalla lettera b)  dell'art.  3  dello

statuto stesso. Con la  conseguenza  che  la  natura  della  potesta'

legislativa regionale in ordine alla materia dei controlli,  dopo  la

riforma operata dalla  legge  costituzionale,  diventa  esclusiva  e,

quindi, regolata dalla lett. b) dell'art. 3 dello statuto".

    In ogni  caso,  ferma  la  violazione  anche  dell'art.  3  dello

Statuto, si deve rilevare  che  e'  comunque  violato  specificamente

l'art. 46, che prevede che "il controllo sugli atti degli enti locali

e' esercitato da organi della Regione nei modi e nei limiti stabiliti

con legge regionale". Le norme in esame hanno disciplinato in estremo

dettaglio la materia dei controlli sulla finanza degli  enti  locali,

individuando   addirittura   le   singole   specifiche    rilevazioni

economico-finanziarie che il Ministero potrebbe  e  dovrebbe  operare

(cfr. art. 148, comma 2, del TUEL come novellato  dalla  disposizione

impugnata) e anche la tipologia delle sanzioni che potrebbero  essere

comminate ai componenti degli organi di  governo  degli  enti  locali

(successivo comma 4). Conseguentemente, anche per gli enti locali  ai

quali non si estendesse la competenza esclusiva di  cui  all'art.  3,

comma 1, lett. b), dello Statuto (cfr. sentt. n. 24 del  1957  e  415

del  1994)  verrebbe  comunque  oltrepassata  la  competenza  statale

limitata ai principi fondamentali della materia.

    Non basta. Con la disposizione impugnata lo Stato ha  affidato  a

soggetti  esterni  all'ordinamento  regionale  lo  svolgimento  delle

funzioni amministrative concernenti la diretta  attuazione  di  norme

che  ricadono  nell'ambito  materiale  della  competenza  legislativa

regionale. Per tale motivo e' violato anche l'art. 6  dello  Statuto,

che, in ossequio al c.d.  "principio  del  parallelismo"  (cfr.  cit.

sent.  n.  51  del  2006),  attribuisce  l'esercizio  delle  funzioni

amministrative  allo  stesso   soggetto   istituzionale   dotato   di

competenza legislativa.

    Infine, l'art. 3, comma 1, lett. e) del  d.l.  n.  174  del  2012

viola gli artt. 3, comma 1, lett. b), 6 e 46 dello Statuto, anche  in

relazione agli artt. 54 e 56 dello Statuto. Un'ennesima volta si deve

osservare che le regole sui controlli della  Corte  dei  conti  sulla

Regione Sardegna sono state introdotte attraverso norme di attuazione

dello  Statuto,  a  tutela  della  competenza  regionale  a  disporre

dell'autonomia economico-finanziaria. Dato che i controlli sugli enti

locali incidono, come  si  e'  visto,  nella  competenza  legislativa

esclusiva della ricorrente ai sensi dei richiamati art. 3,  comma  1,

lett. b), e  46  dello  Statuto  e  nelle  attribuzioni  di  funzioni

amministrative ai sensi dell'art. 6 dello Statuto,  allora  anche  in

questo caso era  necessario  procedere  con  revisione  statutaria  o

(almeno) attraverso le "norme di attuazione dello  Statuto".  Avendo,

invece, lo Stato adottato un atto avente  forza  di  legge  senza  le

forme di partecipazione  della  Regione  di  cui  all'art.  56  dello

Statuto, la disposizione gravata si palesa radicalmente  illegittima.

Di conseguenza e' violato anche l'art. 116 Cost., che  riconosce  una

maggiore  autonomia  alle  Regioni  speciali  rispetto  alle  Regioni

ordinarie, maggiore autonomia che e' garantita anche dalle  norme  di

attuazione dello Statuto.

    5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6 del  d.l.  n.  174

del 2012, come conv. in l. n. 213 del 2012. L'art. 6 del d.l. n.  174

del 2012 attribuisce all'Amministrazione ministeriale  e  alla  Corte

dei conti ulteriori poteri di  controllo  sull'attivita'  degli  enti

locali.

    In particolare, il comma 1 prevede  che  il  Commissario  per  la

revisione della spesa previsto dall'art. 2 del d.l. n.  52  del  2012

possa avvalersi dei servizi ispettivi della Ragioneria Generale dello

Stato "per lo svolgimento di analisi sulla spesa pubblica  effettuata

dagli enti locali".

    Il successivo comma 2 prevede che  le  analisi  cosi'  effettuate

siano "comunicate alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei

conti e alla Sezione delle autonomie".

    Il comma 3, poi, prevede che le Sezioni regionali della Corte dei

conti, una volta effettuati i  controlli  sull'attivita'  degli  enti

locali, "assegnano alle amministrazioni interessate un  termine,  non

superiore a trenta giorni, per  l'adozione  delle  necessarie  misure

correttive dirette a rimuovere le criticita' gestionali evidenziate e

vigilano sull'attuazione delle misure correttive adottate".

    Infine, il comma 4 prevede che "in  presenza  di  interpretazioni

discordanti delle norme rilevanti  per  l'attivita'  di  controllo  o

consultiva  o  per  la  risoluzione  di  questioni  di   massima   di

particolare rilevanza, la Sezione delle autonomie emana  delibera  di

orientamento  alla  quale  le  Sezioni  regionali  di  controllo   si

conformano".

    5.1. - Anche l'art. 6 del d.l. n. 174 del 2012  viola  l'art.  3,

comma  1,  lett.  b),  dello  Statuto,  che  affida  alla  competenza

legislativa esclusiva della Regione  la  materia  "ordinamento  degli

enti locali". Detta materia, come si e' detto, compre anche  l'ambito

materiale della "finanza locale", come ha  osservato  codesta  Ecc.ma

Corte costituzionale nella sent. n. 275 del 2007, sicche' e' evidente

che le forme dei controlli esterni sulla finanza locale  non  possono

essere disciplinate dallo Stato, oltretutto nel dettaglio, se non  al

costo della lesione delle attribuzioni statutarie  della  ricorrente.

Di bel nuovo e' violato l'art. 46  dello  Statuto.  Anche  in  questo

caso, come gia' rilevato a proposito dell'art. 3, comma 1, lett.  e),

del d.l. n. 174 del 2012, le norme in esame attribuiscono a  soggetti

esterni all'ordinamento regionale compiti  che  incidono  in  maniera

significativa sull'autonomia degli Enti  locali,  cosi'  violando  la

competenza  legislativa  della  Regione,  che   e'   tutelata   dalle

richiamate nonne statutarie.

    Come si e'  visto,  poi,  le  disposizioni  impugnate,  oltre  ad

usurpare la competenza legislativa della Regione, affidano a soggetti

non   riconducibili    all'ordinamento    regionale    le    funzioni

amministrative cosi'  disciplinate.  Per  questo  motivo,  come  gia'

visto, e' violato l'art. 6 dello Statuto, che affida alla Regione  le

funzioni amministrative nelle  materie  in  cui  l'Ente  ha  potesta'

legislativa.

    5.2. - Gli artt. 3, comma 1, lett. b),  6  e  46  dello  Statuto,

inoltre, sono violati anche in combinato disposto con l'art. 56 dello

Statuto, con l'art. 116 Cost. e con l'art. 1 del  d.P.R.  16  gennaio

1978, n. 21, recante "Norme di attuazione dello Statuto speciale  per

la Sardegna concernente il controllo sugli atti della Regione".  Come

gia' piu' volte osservato, il comma 4 dell'art. 6 del d.l. n. 174 del

2012, attribuendo alla Sezione delle autonomie della Corte dei  conti

la possibilita' di adottare una "delibera  di  orientamento"  per  il

controllo sugli enti  locali,  di  fatto  affida  la  nromazione  sul

controllo sugli enti locali della Regione ad  un'articolazione  della

medesima Corte.

    Per tale ragione Io Stato, con le norme impugnate,  ha  anzitutto

violato  l'art.  54   dello   Statuto,   che   riserva   alla   legge

costituzionale (o alla speciale fonte di cui al comma 5) la revisione

dello Statuto. In ogni caso, poi, ha violato l'art. 56 dello Statuto:

anche ad ammettere (quod non) che non vi sia un ostacolo direttamente

nello  Statuto  (ostacolo  non  superabile  nemmeno  dalle  norme  di

attuazione statutaria),  sarebbe  appunto  violato  l'art.  56  dello

Statuto, che prevede che sia una specifica  fonte  primaria  adottata

sulla base delle indicazioni di una commissione paritetica, e non  il

legislatore statale, in solitudine, a  dettare  norme  di  attuazione

dello Statuto. E' violato, di conseguenza, anche  l'art.  116  Cost.,

che riconosce una maggiore autonomia alle Regioni  speciali  rispetto

alle Regioni ordinarie,  maggiore  autonomia  garantita  anche  dalle

Norme di attuazione dello Statuto.

    Come gia' osservato a proposito dell'art. 3, comma  1,  lett.  e)

del d.l. n. 174 del 2012, gli artt. 3, comma 1,  lett.  a),  6  e  46

dello Statuto, anche in relazione all'art. 56 dello  Statuto  e  agli

artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. n. 21 del 1978, sono  violati  anche  nella

misura in cui l'intera disciplina dei controlli di cui all'art. 6 del

d.l. n. 174 del 2012 e' stata introdotta non attraverso le "norme  di

attuazione dello Statuto", bensi' da un atto avente  forza  di  legge

adottato dallo Stato senza alcuna partecipazione della Regione.

    6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 11-bis del  d.l.  n.

174 del 2012, come conv. in l. n. 213 del  2012.  L'art.  11-bis  del

d.l. n. 174 del 2012 prevede che "le regioni a statuto speciale e  le

province autonome di Trento e di Bolzano attuano le  disposizioni  di

cui al presente decreto nelle forme stabilite dai rispettivi  statuti

di autonomia e dalle relative norme di attuazione".

    Esattamente come la gia' esaminata disposizione di  cui  all'art.

2, comma 4, del d.l. n. 174 del 2012, anche quella ora  in  esame  e'

una clausola inadatta a fare salve le attribuzioni  delle  Regioni  a

Statuto speciale. Essa, infatti, e' rivolta solamente  alle  Regioni,

le quali dovranno "attuare le disposizioni di cui al presente decreto

nelle forme stabilite dai rispettivi statuti  di  autonomia  e  dalle

relative norme di attuazione".

    Al contrario, il legislatore (non ci si puo' esimere dal ribadire

quanto gia' detto  supra)  doveva  direttamente  limitare  il  raggio

applicativo delle disposizioni  che  andava  dettando,  espressamente

prevedendo che gli ambiti  di  competenza  delle  Regioni  a  Statuto

speciale si intendevano comunque fatti  salvi  dall'applicazione  del

d.l. n. 174 del 2012, come chiarito dalla cit. sent. n. 241 del  2012

a proposito dell'art. 19-bis del d.l. n. 138  del  20122  (cfr.  par.

4.2. del Considerato in diritto). Anche in questo caso, la differenza

che intercorre tra l'art. 11-bis del d.l. n. 174 del  2012  e  l'art.

19-bis del d.l. n. 138 del 2011 e' assolutamente  evidente  e  depone

per l'insufficienza della  formulazione  della  pretesa  clausola  di

salvaguardia. Solo replicando la stessa formula dell'art. 19-bis  del

d.l. n. 138 del 2011 (e  non  quella  ben  piu'  restrittiva  qui  in

questione) poteva prodursi quel meccanismo inteso a salvaguardare sia

la legittimita' dell'intervento statale  che  le  attribuzioni  delle

Regioni speciali che e' stato  limpidamente  ricostruito  nella  cit.

sent. n. 241 del 2012.

    Per tale ragione l'articolo in esame e' violativo degli artt.  3,

4, 5, 6, 7, 8, 15, 16, 19, 33, 34, 35, 46, 50  e  54  dello  Statuto,

degli  artt.  3,  117,  118  e  119  Cost.   e   del   principio   di

ragionevolezza, nella misura in cui consente che il d.l. n.  174  del

2012 si applichi anche in violazione delle disposizioni statutarie  e

costituzionali indicate ai precedenti paragrafi.

 

                                P.Q.M.

 

    Chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale,  in  accoglimento

del   presente   ricorso,    voglia    dichiarare    l'illegittimita'

costituzionale degli artt. 1, (con particolare riferimento  ai  commi

1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 16); 1-bis, (con  particolare

riferimento ai commi 1, lett c) e 4); 2, (con particolare riferimento

ai commi 1, 2, 3, 4 e 5); 3, comma  1,  lett.  e),  6  e  11-bis  del

decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante "Disposizioni  urgenti

in materia  di  finanza  e  funzionamento  degli  enti  territoriali,

nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone  terremotate  nel

maggio 2012",  pubblicato  in  G.U.  n.  237  del  10  ottobre  2012,

convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della

legge 7 dicembre 2012, n. 213,  pubblicata  in  G.U.  n.  286  del  7

dicembre 2012, Suppl. Ord., per violazione degli artt. 3, 4, 5, 6, 7,

8, 15, 16, 19, 26, 33, 35, 37, 54 e 56 della l.cost. n. 3  del  1948,

recante Statuto speciale per la Sardegna, e degli artt. 3, 116,  117,

119, 127 Cost., anche in relazione all'art. 10 della I.  cost.  n.  3

del 2001 e agli artt. 4, 5 e 10 del d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 21.

    Si deposita copia conforme  all'originale  della  Delibera  della

Giunta regionale della Regione Autonoma della Sardegna n. 6/1 del  31

gennaio 2013.

    Comunicazioni ai recapiti del difensore  domiciliatario  indicafi

in epigrafe.

        Roma - Cagliari, 4 febbraio 2012.

 

                      Avv. Ledda - Avv. Luciani

 

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