Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 7 marzo 2014 (della Regione Piemonte).
 

(GU n. 19 del 30.4.2014)

    Ricorso della  regione  Piemonte,  (cod.  fisc.  80087670016)  in
persona  del  Presidente  della  Giunta   regionale   Roberto   Cota,
autorizzato con deliberazione della Giunta regionale  n.  n.  16-7130
del 24 febbraio 2014 (doc. 1),  rappresentata  e  difesa  -  come  da
procura a margine del presente atto -  dall'avv.  Prof.  Giandomenico
Falcon di Padova (cod. fisc. …), dall'avv.ssa Giovanna
Scollo dell'Avvocatura  Regionale  (cod.  fisc.  …)  e
dall'avv. Luigi Manzi di  Roma  (cod.  fisc.  …),  con
domicilio eletto in Roma presso l'avv. Manzi, via Confalonieri 5;
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325
e 441, della legge 27 dicembre 2013,  n.  147  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.  Legge  di
stabilita' 2014), pubblicata nella G.U. n. 302 del 27 dicembre  2013,
per violazione:
        degli artt. 1, 3, 5, 81, 97, 114,  117  primo  comma,  136  e
della VIII disp. transitoria e finale Cost.;
        della  Carta  europea  delle  autonomie  locali,  firmata   a
Strasburgo il 15 ottobre 1985 e ratificata dall'Italia  con legge  30
dicembre 1989, n. 439;
        dell'art. 15, comma 2, e dell'art.  21  1.243/2012,  sotto  i
profili e nei modi di seguito illustrati.
 
                                Fatto
 
    Nella legge 27 dicembre 2013, n. 147 (recante Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.  Legge  di
stabilita' 2014) sono state inserite, all'interno  dell'art.  1,  due
disposizioni  relative  al  "commissariamento  delle  Province",  che
conseguirebbe alla scadenza naturale del mandato  o  alla  cessazione
anticipata dei relativi organi rappresentativi, oppure alla  scadenza
di un precedente periodo di commissariamento.
    Si tratta in primo luogo del comma  325,  secondo  il  quale  «le
disposizioni di  cui  all'articolo  1,  comma  115,  della  legge  24
dicembre  2012,  n.   228,   relative   al   commissariamento   delle
amministrazioni provinciali si applicano ai casi di scadenza naturale
del mandato nonche' di cessazione anticipata degli organi provinciali
che intervengono in una data compresa tra  il  l°  gennaio  e  il  30
giugno 2014».
    E si tratta, in secondo luogo, del comma  441,  secondo  cui  «le
gestioni commissariali [delle  amministrazioni  provinciali]  di  cui
all'articolo 2, comma 1, della legge 15 ottobre 2013, n. 119, nonche'
quelle disposte in applicazione dell'articolo  1,  comma  115,  terzo
periodo, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, cessano il  30  giugno
2014».
    Per una migliore comprensione della vicenda, e delle ragioni  del
presente ricorso, converra' ricordare da un lato i presupposti ed  il
significato del commissariamento "a regime", previsto dall'art.  141,
del decreto legislativo 267  del  2000  (Testo  unico  enti  locali),
dall'altro  il  significato  dei   commissariamenti   "straordinari",
disposti a partire dal  d.l.  n.  201  del  2011  come  strumento  di
attuazione  della  "riforma"  dell'ordinamento  provinciale  disposta
dallo stesso decreto: che in seguito -  come  ben  noto  -  e'  stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n.  220  del
2013 di codesta ecc.ma Corte costituzionale.
    E' ovvio che nella vita fisiologica degli enti locali,  Comuni  e
Province, non vi e' bisogno di alcun  commissariamento,  dal  momento
che all'approssimarsi della scadenza degli  organi  elettivi  vengono
tempestivamente indette le nuove elezioni, secondo le regole disposte
dal Testo unico sopra citato.
    Il  commissariamento  si  rende  necessario,  ed  e'  come   tale
disciplinato dall'art. 141, del decreto  legislativo  267  del  2000,
quando si  verifichino  determinati  eventi  straordinari:  quando  i
consigli «compiano atti contrari alla  Costituzione  o  per  gravi  e
persistenti violazioni di legge, nonche' per gravi motivi  di  ordine
pubblico» (lett. a); quando «non possa essere assicurato  il  normale
funzionamento degli organi e dei servizi» a causa  delle  «dimissioni
del  sindaco  o  del  presidente  della  provincia»;  quando  vi  sia
«cessazione dalla carica per dimissioni contestuali ...  della  meta'
piu' uno dei membri assegnati» o quando vi sia «riduzione dell'organo
assembleare per impossibilita' di surroga alla meta'  dei  componenti
del consiglio» lett. b); «quando non sia  approvato  nei  termini  il
bilancio» (lett. c).
    Si tratta di ipotesi di varia natura,  che  hanno  in  comune  il
fatto che esse tutte impongono di provvedere a nuove elezioni  al  di
fuori del normale susseguirsi delle legislature, e dunque  senza  che
sia possibile  prevedere  ed  organizzare  tempestivamente  le  nuove
elezioni.  Di  qui  la  necessita'  di  un  "commissario"  che  guidi
l'amministrazione dell'ente fino al  momento  in  cui  sia  possibile
ripristinare la rappresentanza elettiva.
    In altre parole, il commissariamento previsto  dall'art.  141  TU
non  solo  non  contraddice  la  natura  politica  e  rappresentativa
dell'ente,  ma  e'  strumentale  alla  sua  realizzazione,   in   una
situazione di oggettiva impossibilita' di provvedervi diversamente ed
immediatamente.
    Natura  del  tutto  diversa  ha  il   commissariamento   previsto
dall'art. 23, comma 20, del d.l.  n.  201  del  2011:  esso  non  era
finalizzato al ripristino del carattere direttamente  elettivo  delle
amministrazioni  provinciali,  il  quale  era  stato  soppresso   dai
precedenti commi dello stesso  articolo,  che  aveva  assegnato  alle
Provincia natura di ente rappresentativo dei Comuni  componenti;  era
finalizzato, invece, a  consentire  l'amministrazione  dell'ente  nel
periodo necessario  all'attuazione  delle  nuove  disposizioni.  Tale
diversa natura non puo' essere  nascosta  dalla  circostanza  che  il
comma 20 dell'art. 23 richiama l'applicazione dello stesso  art.  141
TU:  tale  applicazione,  infatti,  avviene  al  di  fuori  dei  suoi
presupposti  e  soprattutto  al  di  fuori   delle   sue   finalita',
realizzando dunque il diverso istituto ora descritto.
    L'attuazione del d.l. n. 201 del 2011 incontro',  come  e'  noto,
forti resistenze, ed il Governo decise di  intervenire  ulteriormente
con il d.l.  n.  95  del  2012,  che  -  pur  confermando  le  scelte
ordinamentali del d.l. n. 201 del 2011 - mirava anche ad una drastica
riduzione del numero degli enti.
    Fatto sta che nel prolungarsi del periodo transitorio fu ritenuto
necessario provvedere a nuovi commissariamenti delle  amministrazioni
provinciali per le quali mano a mano  maturavano  i  presupposti  del
rinnovo.
    Vi si provvide con l'art. 1, comma 115, della legge n.  228/2012,
espressamente rivolto (tra l'altro) «al fine di consentire la riforma
organica della rappresentanza locale  ed  al  fine  di  garantire  il
conseguimento dei risparmi previsti dal decreto-legge 6 luglio  2012,
n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto  2012,  n.
135».
    Esso prevede la nomina di un commissario straordinario negli enti
provinciali ove si verifichino la scadenza naturale o anticipata  del
mandato dei relativi organi entro il  31  dicembre  2013,  oppure  la
scadenza dell'incarico di Commissario straordinario. In  particolare,
esso era strumentale  alla  riforma  degli  enti  provinciali  recata
dall'art. 23, commi 14 - 20-bis, del d.l.  decreto-legge  6  dicembre
2011, n. 201 (convertito con modificazioni dalla  legge  22  dicembre
2011, n. 214) e successivamente dagli artt. 17 e 18 del d.l. 6 luglio
2012, n. 95 (convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto  2012,
n. 135).
    Come e' ben noto,  l'intero  complesso  normativo  dedicato  alla
riforma delle Province sia dal  d.l.  n.  201  del  2011,  sia  dagli
articoli 17 e 18 del successivo decreto-legge  n.  95  del  2012,  e'
rimasto   travolto   dalla   sentenza   di   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale n. 220 del 2013, la quale ha sancito  l'illegittimita'
del ricorso allo strumento della decretazione d'urgenza  per  riforme
ordinamentali quale quella prefigurata per le Province.
    La pronuncia toccava direttamente anche il comma 20 dell'art. 23,
sulla cui base erano stati disposti i commissariamenti "straordinari"
di  cui  si  e'  detto,  quelli  rivolti   non   al   rinnovo   delle
rappresentanze elettive, ma  alla  loro  sostituzione  con  organi  a
rappresentanza indiretta. Questi  erano  dunque  ora  privi  di  base
giuridica.
    Non era invece formalmente toccato dalla sentenza l'art. 1, comma
115, della  legge  n.  228/2012:  formalmente  soltanto,  pero',  dal
momento  che  l'intero  disposto  di  tale   comma   era   fortemente
intrecciato sia con il d.l. n. 201/2011 che con il d.l. n. 95/2012, e
con  le  relative  disposizioni  sull'ordinamento   delle   Province.
Anch'esso, dunque, doveva ritenersi necessariamente paralizzato nella
sua efficacia.
    Il venir meno della riforma dell'ordinamento provinciale  privava
dunque i commissari  sia  della  loro  legittimazione  sia  del  loro
compito istituzionale.
    Giuridicamente, diveniva necessario rimettere in moto, per quanto
possibile,  le  regole  ordinarie,  e  dunque  semmai  incaricare   i
commissari, sulla base di una nuova legittimazione, di organizzare il
rinnovo delle amministrazioni provinciali scadute, secondo le  regole
del testo unico enti locali (come ha giustamente ritenuto  e  deciso,
sulla base degli eventi, il TAR della Liguria, nella sentenza n.  295
del 2014).
    Nel frattempo, tuttavia, il Governo aveva presentato alla  Camera
(20 agosto 2013) il  disegno  di  legge  C.  1542,  che  in  sostanza
riprendeva le linee della riforma provinciale gia'  approvata  con  i
decreti-legge 201/2011 e 95/2012.
    Veniva anche approvata la legge 15  ottobre  2013,  n.  119,  che
all'art. 2, comma 1, disponeva come segue:
        «Fermo restando quanto previsto dall'art. 1, comma 115, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, sono fatti salvi i  provvedimenti  di
scioglimento degli organi e di  nomina  dei  commissari  straordinari
delle  amministrazioni   provinciali,   adottati,   in   applicazione
dell'articolo 23, comma 20, del decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.
201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.
214, ai sensi dell'articolo 141 del testo unico  di  cui  al  decreto
legislativo 18 agosto  2000,  n.  267,  e  successive  modificazioni,
nonche' gli atti e i provvedimenti adottati, alla data di entrata  in
vigore della presente legge, dai medesimi commissari straordinari».
    Nel quadro di quanto esposto risulta  ora  agevole  percepire  la
natura e la portata di quanto stabilito con i due commi oggetto della
presente impugnazione.
    In sintesi, a norma del comma 325 (art.  1,  legge  n.  147/2013)
sono attivati  nuovi  commissariamenti  provinciali  nel  periodo  1°
gennaio - 30 giugno 2014; e, a norma del comma 441 (art. 1, legge  n.
147/2013), e' fissata la scadenza  del  30  giugno  2014  sia  per  i
commissariamenti provinciali precedentemente avviati, sia per  quelli
che si attivino  in  forza  della  nuova  disposizione.  Il  tutto  -
conviene fin d'ora sottolinearlo - nel quadro e con riferimento  alla
riforma degli enti provinciali gia' operata dai d.l. n. 201 del  2011
e n. 95 del 2012, nonostante che  questa  non  abbia  piu',  dopo  la
sentenza di codesta ecc.ma Corte  costituzionale  n.  220  del  2013,
alcuna esistenza giuridica.
    Ad avviso della ricorrente regione Piemonte le nuove disposizioni
recate dai  commi  325  e  441  della legge  n.  147  del  2013  sono
costituzionalmente illegittime per le ragioni che verranno di seguito
esposte.
    Sia consentito qui di aggiungere  che  le  norme  qui  contestate
produrranno i loro effetti  anche  in  Piemonte,  e  che  la  Regione
Piemonte ricorre anche in  rappresentanza  degli  enti  locali  della
regione.
 
                               Diritto
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441,  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione  dell'art.  136  della
Costituzione.
    Come risulta dalla esposizione  in  Fatto,  le  disposizioni  qui
impugnate (commi 325 e 441, dell'art.  1,  della  legge  27  dicembre
2013, n. 147) sono strettamente legate alla disciplina sulla  riforma
delle Province recata  dall'art.  23,  commi  da  14  a  20-bis,  del
decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201  (come   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214); e  dagli  artt.
17 e 18, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (come convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135). Esse, in  effetti,
non fanno che disporre nuovi commissariamenti e protrarre sino al  30
giugno 2014 quelli gia' disposti nella stessa prospettiva  e  secondo
le  stesse  regole  entro  le  quali  erano  disposti  i   precedenti
commissariamenti  "straordinari".  Cio'  risulta  agevolmente   dalla
circostanza che il comma 325 - nel disporre i nuovi  commissariamenti
- si richiama alle le disposizioni di cui all'articolo 1, comma  115,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228,  a  loro  volta  fondate  sulla
vigenza del d.l.  n.  201  del  2011  e  n.  95  del  2012;  e  dalla
circostanza che il comma 441 - nel protrarre i commissariamenti  fino
al 30 giugno 2014 - si riferisce a  quelli  di  cui  all'articolo  2,
comma 1, della legge 15 ottobre 2013, n.  119  (cioe'  sempre  quelli
disposti dal d.l. n. 201 del 2011) e a quelli disposti - ancora -  in
applicazione dell'articolo 1, comma 115, terzo periodo,  della  legge
24 dicembre 2012, n. 228: cioe' sempre a quelli di cui  al  complesso
normativo formato dal d.l. n. 201 del 2011 e dal d.l. n. 95 del 2012.
Si tratta, dunque, ancora di un commissariamento finalizzato  non  al
ripristino   delle   amministrazioni   provinciali    elettive,    ma
all'attuazione di norme di riforma delle Province (art. 23, commi  da
14 a 20-bis, d.l. 201/2011; e artt. 17 e 18, l.d. 95/2012): di quelle
stesse norme di riforma che sono state dichiarate incostituzionali da
codesta Ecc.ma Corte costituzionale con sentenza 3-19 luglio 2013, n.
220.
    Risulta dunque evidente,  ad  avviso  della  ricorrente  Regione,
l'illegittimita' costituzionale sia del comma 325 che del comma  441,
in quanto essi - ignorando gli  effetti  della  sentenza  di  codesta
ecc.ma  Corte  costituzionale  n.  220  del  2013  -  introducono   o
protraggono nuovi commissariamenti nella prospettiva della attuazione
di   disposizioni   non    piu'    esistenti    perche'    dichiarate
incostituzionali.
    Invero,   la   nomina   di   commissari   «straordinari»    nelle
amministrazioni provinciali scadute, finalizzati  alla  realizzazione
della  complessa  "ristrutturazione"  degli  enti  provinciali,  come
disposta dalla decretazione legislativa d'urgenza (d.l 201/2011, art.
23, commi 14 - 20-bis; e d.l. 95/2012, artt. 17  e  18),  poteva  nel
2011 e nel 2012  risultare  legittima,  subordinatamente  (s'intende)
alla legittimita' costituzionale della  disciplina  che  si  trattava
allora  di  attuare.  Ma  essa  non  puo'   certamente   considerarsi
legittima, una volta che continui  a  fare  riferimento  alle  stesse
discipline gia' dichiarate incostituzionali.
    Si  tratta  dunque  di  commissariamenti  che   anziche'   essere
finalizzati al ripristino delle amministrazioni provinciali elettive,
tuttora previste dal diritto costituzionale  e  legislativo  vigente,
sono finalizzati all'attuazione di  regole  illegittime  e  non  piu'
esistenti.
    Si  tratta,  in  particolare,  di  previsioni   che   eludono   o
addirittura violano la sentenza n. 220 del 2013,  di  codesta  Ecc.ma
Corte costituzionale, in quanto, portando ad ulteriore compimento  la
disciplina di riforma delle Province ideata  in  via  d'urgenza  (con
decreto-legge) e  come  tale  annullata,  vengono  a  privarla  degli
effetti giuridici costituzionalmente stabiliti.
    Ne risulta cosi' violato l'art. 136 della  Costituzione,  secondo
il quale "quando la Corte dichiara l'illegittimita' costituzionale di
una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa
di avere efficacia dal giorno  successivo  alla  pubblicazione  della
decisione". Sono dunque violati  i  principi  relativi  al  giudicato
costituzionale, in quanto le norme impugnate dispongono  come  se  la
disciplina annullata fosse ancora in vigore.
    A  questo  riguardo,  sia  consentito  qui   di   richiamare   la
consolidata giurisprudenza di codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale,
secondo la quale «il giudicato costituzionale  e'  violato  non  solo
quando il legislatore  emana  una  norma  che  costituisce  una  mera
riproduzione di quella gia' ritenuta lesiva  della  Costituzione,  ma
anche laddove la nuova disciplina miri a  perseguire  e  raggiungere,
"anche se indirettamente", esiti corrispondenti» (sent.  n.  245  del
2012, p. 4.1 in diritto, con rinvio alle precedenti sentenze  n.  223
del 1983, n. 88 del 1966 e n. 73 del 1963).
    Poiche'  i  commi  325  e  441  mirano  a  raggiungere  un  esito
corrispondente a quello prefigurato dalla disciplina annullata, ne e'
evidente l'illegittimita'  sotto  il  profilo  della  violazione  del
giudicato costituzionale.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441,  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione degli artt. 1, 5, 114,
VIII Transitoria e finale della Costituzione.
    Se pure non vi fosse il vizio indicato al precedente punto 1,  ad
avviso  della  ricorrente  Regione  gli  impugnati  commi   sarebbero
ugualmente illegittimi per violazione degli artt.  1,  5,  114,  VIII
Transitoria e finale della Costituzione.
    Infatti,  essi  non  sono  finalizzati   -   come   deve   essere
istituzionalmente   il   commissariamento,   nel   quadro   di   tali
disposizioni - al ripristino degli organi  in  cui  si  manifesta  il
carattere direttamente elettivo, democratico e rappresentativo  delle
istituzioni provinciali, quale previsto - ad avviso della  ricorrente
Regione -  dalle  citate  disposizioni  costituzionali,  ma  sono  al
contrario finalizzate ad evitare tale ripristino. Tale  finalita'  e'
resa evidente dall'incongruo richiamo  -  in  ciascuno  dei  predetti
commi - delle disposizioni  che,  sulla  base  del  diverso  contesto
normativo allora (sia pure illegittimamente) ancora vigente, miravano
alla costituzione di organi solo indirettamente  rappresentativi  del
corpo elettorale provinciale.
    Vengono  cosi'   violati   i   presupposti   costituzionali   del
commissariamento degli organi provinciali i quali - come appare dallo
stesso art. 141 del Testo Unico  -  consistono  nella  necessita'  di
interrompere la legislatura senza che sia stato possibile previamente
organizzare le nuove elezioni, e dunque nella necessita' di un organo
straordinario che gestisca l'ente fino alle nuove elezioni.
    Invece, il commissariamento delle Province sino al 30 giugno  del
2014, disposto dai commi 325 e 441 dell'art. 1, della  legge  n.  147
del  2013,  non  solo  e'  privo  della  motivazione   che   potrebbe
giustificarlo (la gestione dell'ente  per  il  tempo  necessario  per
pervenire a nuove elezioni, secondo quanto  dispone  l'art.  141  del
t.u.  sull'ordinamento  degli  enti  locali,  d.lgs.  267/2000),   ma
persegue, sulla base di norme non piu' vigenti, la finalita'  opposta
di evitare le nuove elezioni.
    Tale finalita' si riverbera dunque in violazione delle norme  che
assicurano il carattere democratico  e  direttamente  rappresentativo
dell'ente provinciale, al pari degli  altri  enti  costitutivi  della
Repubblica. Risultano dunque violate le  disposizioni  costituzionali
di cui all'art. 1, in connessione con  l'art.  5  e  con  l'art.  114
Cost., che tali principi di democraticita' e  diretta  rappresentanza
popolare esprimono anche in relazione alle  Province,  oltre  che  il
relazione allo Stato, alle Regioni ed  ai  Comuni.  D'altronde,  gia'
prima  della  riforma  del  Titolo  V  della  Parte   seconda   della
Costituzione  era  considerato  acquisito  tale  carattere  dell'ente
provincia, come emerge tra l'altro dalla VIII Disposizione  finale  e
transitoria della Costituzione, che imponeva di  convocare  entro  un
anno "le elezioni dei Consigli  regionali  e  degli  organi  elettivi
delle  amministrazioni  provinciali":  dove  e'  evidente   che   per
"elezioni"  e  per  "organi  elettivi"  si  intendo   organi   eletti
direttamente dai cittadini.
    E' qui ora da  aggiungere  che  il  commissariamento  disposto  o
prorogato dai commi 325 e 441 della legge n. 147 del  2013,  che  non
puo' essere giustificato dal contesto normativo dei decreti-legge  n.
201/2011 e n. 95/2012  (il  riferimento  al  quale  al  contrario  ne
attesta l'illegittimita'), non puo'  essere  giustificato  sul  piano
costituzionale neppure dall'aspettativa dell'approvazione del disegno
di legge n. 1542, richiamato nella parte in Fatto.
    In primo luogo, a tale aspettativa non si  richiamano  le  stesse
disposizioni impugnate, che al contrario si riferiscono espressamente
ai decreti-legge dichiarati in parte qua illegittimi.
    In  secondo  luogo,  il  commissariamento  non  potrebbe   essere
costituzionalmente giustificato con riferimento a riforme  ancora  in
fieri,   ancorche'   evocate   come   prossime,   senza   tenere   in
considerazione  il  valore  costituzionale  dei  principi  in  gioco.
Infatti, nel trascorrere  delle  vicende  legislative  esposte  nella
parte in Fatto, sono ormai moltissime le amministrazioni  provinciali
che da molto  tempo  sono  amministrate  al  di  fuori  delle  regole
costituzionali e legislative  che  le  dovrebbero  governare;  e  che
intere comunita' provinciali  sono  state  private  -  o  stanno  per
esserlo in forza delle disposizioni impugnate con il presente ricorso
- del diritto, dato loro dalla Costituzione e dalle leggi  attuative,
di eleggere i propri rappresentanti.
    Risulta cosi' violato in modo manifesto il principio  democratico
rappresentativo,  in  quanto  sono  impedite   elezioni   di   organi
provinciali: principio che primeggia nell'art. 1 della Costituzione e
che,  per  il  profilo  che  qui  interessa,  puo'  essere  declinato
nell'ambito delle garanzie costituzionali  di  autonomia  degli  enti
locali (artt. 5 e 114 Cost., VIII Disposizione transitoria e finale).
    Sotto questa luce, e' opportuno rammentare la  giurisprudenza  di
codesta Ecc.ma  Corte  costituzionale,  che,  con  riguardo  a  norme
legislative  volte  a  sciogliere  i  consigli  di  enti  locali  per
infiltrazioni mafiose, ha puntualizzato che si puo' giustificare «che
l'aspetto   proprio   delle    autonomie,    quale    quello    della
rappresentativita'   degli   organi   di    amministrazione,    possa
temporaneamente  cedere  di  fronte  alla  necessita'  di  assicurare
l'ordinato  svolgimento  della  vita  delle  comunita'  locali,   nel
rispetto  delle  liberta'  di  tutti  ed  al  riparo  da  soprusi   e
sopraffazioni, estremamente probabili quando sui loro organi elettivi
la  criminalita'  organizzata  possa  immediatamente  riprendere   ad
esercitare pressioni e condizionamenti» (Corte cost., sent.  103  del
1993, p. 5.4, in diritto). Se  e'  quindi  consentito  un  temporaneo
vulnus del principio proprio (cardine) delle autonomie, cioe'  quello
della rappresentativita' degli organi degli enti  locali,  per  gravi
motivi di  ordine  pubblico,  non  si  puo'  invece  giustificare  la
paralisi  di  organi   rappresentativi,   garantiti   dal   principio
autonomistico (art. 5 e art. 114 Cost.), nella  prospettiva  di  dare
attuazione  ad  una  disciplina  legislativa   (attualmente   neppure
approvata). Sotto il profilo della ragionevolezza e della carenza  di
un adeguato fondamento sostanziale per la  compressione  dei  diritti
elettorali e' quindi violato anche l'art. 3 Cost.
    Cio' anche a prescindere dai dubbi di legittimita' costituzionali
relativi allo stesso disegno di legge in  corso  di  discussione,  in
relazione alla possibilita' di escludere  il  voto  popolare  per  la
formazione degli  organi  fondamentali  dell'ente  provinciale.  Sono
note,  infatti,  le  contestazioni  che  incontra  la  tesi  che  sia
possibile  contraddire  il  carattere  direttamente  elettivo   delle
Province con semplice legge ordinaria: contestazioni che  la  Regione
Piemonte ha gia' ritenuto fondate  quando  ha  presentato  a  codesta
ecc.ma Corte  costituzionale  il  ricorso  n.  18  del  2012,  deciso
anch'esso con la citata sentenza n. 220 del 2013.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441,  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, per violazione dell'art.  117,  primo
comma, della Costituzione, in quanto viola  la  Carta  europea  delle
autonomie  locali  (firmata  a  Strasburgo  il  15  ottobre  1985   e
ratificata dall'Italia con l. 30 dicembre 1989, n. 439).
    Come e' ben noto, l'art. 117,  primo  comma,  della  Costituzione
sancisce che «la potesta' legislativa e'  esercitata  dallo  Stato  e
dalle Regioni nel rispetto della Costituzione,  nonche'  dei  vincoli
derivanti   dall'ordinamento    comunitario    e    dagli    obblighi
internazionali».
    Tra gli atti che determinano obblighi  internazionali  vi  e'  la
Carta europea delle autonomie locali,  firmata  a  Strasburgo  il  15
ottobre 1985 e ratificata dall'Italia con legge 30 dicembre 1989,  n.
439.
    Posto che non puo' essere messo in dubbio che la  Provincia,  per
come e' disegnata dalla Costituzione, costituisca "autonomia  locale"
ai sensi della Carta europea, occorre qui ricordare che l'art.  3  di
essa  afferma  non  solo  che  alle  autonomie  locali  deve   essere
riconosciuto  "il  diritto  e  le   capacita'   effettiva,   per   le
collettivita' locali, di regolamentare  ed  amministrare  nell'ambito
della  legge,  sotto  la  loro  responsabilita',  e  a  favore  delle
popolazioni, una parte importante di affari pubblici", ma  esige  che
tale diritto sia "esercitato da Consigli e  Assemblee  costituiti  da
membri eletti a suffragio  libero,  segreto,  paritario,  diretto  ed
universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei
loro confronti".
    Il  commissariamento  di  enti  provinciali  tuttora   pienamente
riconosciuti  come  comunita'   e   come   autonomie   locali   dalla
Costituzione  e  dalle  leggi  italiane,  privo  di  una  ragionevole
motivazione   e   non   rivolto   al    pronto    ripristino    della
rappresentativita' democratica nei telinini di cui all'art.  3  della
Carta, quale quello operato dai commi 325 e 441  (art.  1,  legge  n.
147/2013), qui impugnati, si traduce quindi  nella  violazione  anche
della Carta stessa. Ad essi viene infatti impedito di procedere  alla
diretta elezione dei propri organi rappresentativi.
    In  sintesi,  i  vizi  sopra  individuati   in   relazione   alle
disposizioni costituzionali che direttamente proteggono le  autonomie
locali corrispondono anche, per  analoghe  ragioni,  alla  violazione
dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, nella  parte  in  cui
questo   impone   il   rispetto   degli    obblighi    internazionali
legittimamente assunti, come codesta  Corte  costituzionale  ha  piu'
volte ribadito a partire dalle sentenza n. 348 e 349 del 2007.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441,  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, per  violazione  dell'art.  97  della
Costituzione.
    E' inevitabile constatare che  i  recenti  tentativi  di  riforma
dell'ordinamento provinciale, e in particolare quelli tentati  con  i
decreti-legge n. 201  del  2011  e  n.  95  del  2012,  per  il  modo
costituzionalmente scorretto in cui sono stati realizzati,  attestato
dalla sentenza di codesta ecc.ma Corte  n.  220  del  2013,  si  sono
tradotti soltanto in un fattore di turbamento del regolare  esercizio
dei diritti politici  delle  comunita'  provinciali  e  del  regolare
esercizio delle importanti funzioni assegnate alle Province.
    Ora, dopo la ricordata pronuncia, anziche' provvedere  al  pronto
ripristino del fisiologico rinnovo delle amministrazioni provinciali,
il legislatore ha invece rinnovato gli eccezionali  commissariamenti,
sulle stesse basi normative gia' dichiarate incostituzionali.
    Tale determinazione, oltre ad incorrere nei vizi  gia'  censurati
nei  punti  precedenti  del  presente  ricorso,   costituisce   anche
violazione dell'art. 97, secondo comma, della Costituzione, in quanto
contraria  al   principio   del   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione.
    E' ovvio che il legislatore, costituzionale o ordinario a seconda
dei  casi,  puo'  bene  provvedere  alla  riforma  degli  ordinamenti
provinciali. Ma  e'  altrettanto  ovvio  che  cio'  esso  deve  fare,
appunto, nei modi e con gli strumenti appropriati, laddove invece una
legislazione inadeguata e palesemente incongruente, come  quella  qui
contestata, non puo' che avere come risultato l'impedire il  regolare
svolgersi  delle  funzioni  amministrative  affidate  alle  province,
compromettendone il "buon andamento".
    Non si puo' negare, infatti, che anche in questo caso -  come  in
quello giudicato  da  codesta  ecc.am  Corte  costituzionale  con  la
sentenza n. 70 del 2013,  si  tratti  di  "una  disciplina  normativa
«foriera di incertezza», posto che essa  «puo'  tradursi  in  cattivo
esercizio  delle  funzioni  affidate   alla   cura   della   pubblica
amministrazione» (punto 4 in diritto).
    Ne' potrebbe obiettarsi  che,  al  contrario,  la  nomina  di  un
commissario  sia   volta   ad   assicurare   la   corretta   gestione
amministrava. Cio' sarebbe vero ove  l'amministrazione  commissariale
fosse  imposta  da  coerenti  presupposti  (tali  da  condurre   allo
scioglimento di organi rappresentativi  di  governo,  come  stabilito
dall'art. 141 del t.u. sull'ordinamento  degli  enti  locali,  d.lgs.
267/2000), e soprattutto se fosse il necessario  punto  di  passaggio
per il rinnovo degli  organi  amministrativi  previsti  dalle  leggi,
conformemente agli indirizzi costituzionali.
    Invece,  la  nomina  di  commissari   straordinari   negli   enti
provinciali i cui organi rappresentativi sono semplicemente  scaduti,
fondati sul richiamo a norme non piu' vigenti, all'implicito scopo di
attendere una problematica riforma dell'ordinamento  provinciale,  si
traduce ad avviso  della  ricorrente  Regione  nella  violazione  del
principio di "buon andamento", che non puo'  che  essere  soddisfatto
dalla mera cura dell'ordinaria amministrazione ad opera di un  organo
straordinario, ma lo puo' soltanto dall'esercizio pieno dei poteri di
governo e amministrativi  ad  opera  degli  organi  immediatamente  e
legittimamente rappresentativi della comunita' provinciale.
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325 e 441,  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, per  violazione  dell'art.  81  della
Costituzione, degli artt. 15 e 21 della legge 24  dicembre  2012,  n.
243
    L'art.  81  della  Costituzione,  come  sostituito  dalla   legge
costituzionale n. 1 del 2012, prevede (all'ultimo comma) che sia  una
legge rinforzata (approvata a maggioranza assoluta dai due  rami  del
Parlamento) a stabilire i contenuti della legge annuale di  bilancio.
A seguito di tale  disposizione,  e'  stata  approvata  la  legge  24
dicembre 2012, n. 243, il cui  articolo  15  e'  rubricato  Contenuto
della legge di bilancio.
    Il comma 2 di questo articolo vieta l'inserimento nella legge  di
bilancio di norme a carattere ordinamentale e  organizzatorio  (oltre
che di norme  di  delegazione  legislativa).  Lo  stesso  divieto  si
rinviene nella legge 31 dicembre 2009,  n.  196  (di  contabilita'  e
finanza pubblica), in riferimento alle leggi annuali  di  stabilita':
la legge di stabilita' «non puo'  contenere  norme  di  delega  o  di
carattere ordinamentale ovvero organizzatorio»  (art.  11,  comma  3,
legge n. 196/2009).
    Se prima (con la legge n. 196 del  2009)  si  poteva  in  ipotesi
dubitare che il divieto fosse riconducibile alla stessa Costituzione,
e che dunque non potesse essere superato dalla legge  ordinaria,  con
l'inserimento del divieto nella legge rinforzata  n.  243  del  2012,
ogni dubbio  risulta  superato,  e  tale  divieto  assume  valore  di
parametro di legittimita' costituzionale: la legge n. 243 del 2012 e'
del resto destinata a completare il quadro costituzionale di principi
e regole di contabilita' e finanza pubblica, che ha il suo baricentro
nell'articolo 81 della Costituzione.
    E, se la legge di bilancio subentrera' alla legge  di  stabilita'
dal 2016 (in base all'art. 21, comma 2, legge  n.  243/2012),  sembra
tuttavia chiaro  che  il  divieto  vada  pero'  applicato  nella  sua
"rinnovata veste" anche in riferimento alla legge di stabilita'.
    Le norme sul commissariamento delle Province, contenute nell'art.
1, commi 325 e 441, della legge di stabilita' per il 2014  (legge  n.
147/2013),  sono  evidentemente  norme  collegate  ad  una   "riforma
ordinamentale" che  esse  stesse  contribuivano  a  realizzare  (gia'
comprese nell'art. 23, comma  20,  del  d.l.  201/2011,  recante  una
disciplina  di  tipo  "ordinamentale",  come  codesta  Ecc.ma   Corte
costituzionale ha stabilito, nella sent. 220 del 2013). Inoltre, esse
hanno anche carattere organizzatorio, dato che  alterano  il  normale
funzionamento delle regole sulla composizione degli organi.
    L'inclusione di  tali  norme  nella  legge  di  stabilita'  viola
pertanto l'art. 15 della  legge  rinforzata  n.  243  del  2012  (che
assorbe il divieto gia' disposto dall'art. 11 della legge n. 196  del
2009) nella sua funzione di parametro di costituzionalita', assegnata
a tale legge dall'art. 81 della Costituzione.
 
                               P.Q.M.
 
    Voglia codesta Ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 325  e
441 della legge  27  dicembre  2013,  n.  147  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.  Legge  di
stabilita' 2014), nelle parti, nei termini e sotto i  pofili  esposti
nel presente ricorso.
      Padova-Torino-Roma, 24 febbraio 2014
 
            Prof. avv. Falcon - Avv. Scollo - Avv. Manzi
 
 

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