RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 8 febbraio 2006 , n. 20
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria l'8 febbraio 2006 (della Regione Emilia-Romagna)

(GU n. 11 del 15-3-2006)
 
    Ricorso  della  Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
della  giunta  regionale  pro tempore, sig. Vasco Errani, autorizzato
con  deliberazione  della  giunta  regionale n. 56 in data 23 gennaio
2006, rappresentata e difesa, come da mandato speciale a margine, dal
prof. avv. Franco Mastragostino del Foro di Bologna e dall'avv. Luigi
Manzi del Foro di Roma, elettivamente domiciliata presso lo studio di
quest'ultimo, in Roma, via Confalonieri n. 5;

    Contro   il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  per  la
declaratoria  di  illegittimita' costituzionale degli artt. 11-nonies
(Razionalizzazione  e  incremento  dell'efficienza  del  settore  dei
gestori   aeroportuali)   e  11-decies  (Competitivita'  del  sistema
aeroportuale)  della  legge  2  dicembre 2005, n. 248, per violazione
degli artt. 117, primo comma, 118, 11 e 41 della Costituzione.

                              F a t t o

    Con  la  legge  2  dicembre  2005,  n. 248,  avente  ad  oggetto:
«Conversione  in legge, con modificazioni del d.l. 30 settembre 2005,
n. 203,   recante   misure   di   contrasto  all'evasione  fiscale  e
disposizioni  urgenti in materia tributaria e finanziaria» sono state
introdotte  alcune  disposizioni in materia di gestione aeroportuale.
In  particolare, si tratta della trasposizione quasi integrale, negli
articoli  da  11-sexies a 11-terdecies, delle nonne di cui agli artt.
da 4 a 11 del d.l. 17 ottobre 2005, n. 211, il quale, di conseguenza,
e' stato lasciato decadere.
    Le  disposizioni che vengono in rilievo, per i profili di lesione
di  interessi  regionali  che  esse sono suscettibili di determinare,
sono quelle contenute negli artt. 11-nonies e 11-decies.
    Pare  evidente,  infatti,  che  si tratta di interventi statali a
favore  del  settore  delle  Compagnie aeree, e di una regolazione di
diritti  aeroportuali  che  svantaggia  e  pregiudica  gravemente  le
societa' di gestione aeroportuali - per legge partecipate anche dagli
enti  territoriali, quali, comune, provincia e regioni - suscettibili
di  incidere sullo sviluppo degli scali regionali e sulla complessiva
politica  economica  del  settore, creando per di piu', come si avra'
modo di illustrare, effetti distorsivi della concorrenza.
    In particolare, con la disposizione di cui all'art. 11-nonies, di
modifica  del comma 10 dell'art. 10 della legge n. 537/1993, e' stato
previsto  (art. 11-nonies,  lettera  a),  che  la  misura dei diritti
aeroportuali, di cui alla legge 5 maggio 1976, n. 324, e' determinata
per  i  singoli  aeroporti, sulla base di criteri stabiliti dal CIPE,
con  decreti  del  Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di
concerto  con  il Ministero dell'economia e delle finanze, essendo in
tale  sede fissata, per un periodo compreso fra tre e cinque anni, la
variazione   massima   annuale   applicabile   ai   medesimi  diritti
aeroportuali.  La  variazione e' determinata prendendo a riferimento,
oltre  al  tasso  di  inflazione programmato, l'obiettivo di recupero
della   produttivita'   assegnato   al   gestore   aeroportuale,   la
remunerazione  del capitale investito, ecc.ra, stabiliti in contratti
di   programma   stipulati   fra   ente  statale  -  ENAC  e  gestore
aeroportuale,  approvati  dal  Ministro  dell'economia e finanze. Ma,
soprattutto,  viene  stabilito  che  la misura iniziale dei diritti e
l'obiettivo   di   recupero   della   produttivita'  assegnato  viene
determinato  tenendo  conto,  fra gli altri fattori, di: e) una quota
non  inferiore  al  50  per  cento del margine conseguito dal gestore
aeroportuale  in  relazione  allo  svolgimento nell'ambito del sedime
aeroportuale di attivita' non regolamentate.
    Con  la  lettera  b),  sempre  dell'art. 11-nonies,  e' stato poi
inserito  il  comma  10-bis,  con il quale si prevede la eliminazione
della   maggiorazione  notturna  del  50%  dei  diritti  aeroportuali
applicata  nei  casi  di  approdo o partenza nelle ore notturne (c.d.
effemeridi).  Con  il  comma  10-ter  viene,  inoltre, stabilito che,
sempre  il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto
con  quello  dell'economia  e  delle  finanze,  puo'  definire  norme
semplificative  rispetto  a  quelle  previste  dal  comma  10, per la
determinazione  dei  diritti aeroportuali per gli aeroporti aventi un
traffico inferiore a 600.000 unita' di carico.
    La  successiva  disposizione, di cui all'art. 11-decies, regola i
rapporti  fra canone di concessione demaniale e diritti aeroportuali.
Con  essa e' stato previsto che, fino alla determinazione delle nuove
tariffe  dei  diritti  aeroportuali,  come determinate ai sensi delle
modifiche   di   cui  all'art. 11-nonies,  i  canoni  di  concessione
demaniale  sono  ridotti  del  75%.  A  tale  riduzione  consegue una
corrispondente  diminuzione  dei  diritti aeroportuali attualmente in
vigore.  E'  prevista,  moltre,  una  ulteriore riduzione dei diritti
aeroportuali  nella misura del 10% per i gestori che non siano dotati
di contabilita' analitica.
      Come  si puo' intuire dall'immediata lettura, tali disposizioni
introducono  una  forma  di  «sussidio  incrociato»  fra le attivita'
commerciali  e  le  attivita'  aeronautiche  ed apportano consistenti
riduzioni  alle  entrate  assicurate  alle  societa' di gestione, che
privera'   gli   scali  delle  risorse  necessarie  per  la  corretta
implementazione  dei  piani  di  investimento, gia' concordati con il
Ministero e, ancor prima, con gli enti locali.
    Le  suddette  previsioni,  inoltre,  assolutamente  singolari nel
panorama  europeo,  avranno  la  certa conseguenza di scoraggiare gli
investimenti   da   parte  degli  investitori  privati  e,  favorendo
ulteriormente i maggiori hub nazionali, non permetteranno lo sviluppo
degli scali regionali.
    Sotto altro profilo, la riduzione del 75% dell'importo del canone
di  concessione  riconosciuto  dai  gestori  aeroportuali  e  di pari
livello  dei  diritti  aeroportuali  non e' suscettibile di apportare
alcun  apprezzabile effetto sul conto economico, ne' dello Stato, ne'
delle societa' di gestione.
    Ma  anche  al  di  la' di questi ultimi rilievi, le misure in tal
modo  introdotte  appaiono  gravemente  lesive di interessi regionali
costituzionalmente   rilevanti,   attesa   la  assoluta  indifferenza
mostrata dallo Stato nei confronti della competenza concorrente della
regione  in  materia  di  «porti ed aeroporti civili». Ne consegue la
necessita'   di   una   declaratoria   di  incostituzionalita'  delle
disposizioni impugnate per i seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    Sull'interesse della Regione.
    In  via  preliminare,  e'  bene  precisare  che  fin  dalla legge
n. 537/1993  (Interventi correttivi di finanza pubblica) all'art. 10,
comma  13,  la  legislazione  dello Stato ha riconosciuto l'interesse
delle  regioni  e degli enti locali a prendere parte alle costituende
societa'  di  capitali per la gestione dei servizi e la realizzazione
delle  infrastrutture  degli  aeroporti. In effetti, le regioni hanno
partecipato  alla  costituzione  delle  societa' aeroportuali insieme
agli   enti   locali,   poiche'   gli   aeroporti  costituiscono  una
infrastruttura  strategica  per lo sviluppo economico della regione e
per il suo inserimento nel sistema dei trasporti, per lo sviluppo del
turismo, in generale per l'accessibilita' del territorio.
    Per  quanto  riguarda  l'Emilia-Romagna,  basti  considerare  che
mentre  lo  Stato e' del tutto assente, fra gli azionisti, la regione
detiene  una  quota  rilevante  (9%)  della  societa' di gestione del
principale aeroporto della regione, quello di Bologna; gli altri enti
locali,  comune e provincia, complessivamente detengono una quota del
30% e la Camera di commercio bolognese la quota di maggioranza (52%).
Il   Piano  regionale  integrato  dei  trasporti,  ipotizza  inoltre,
politiche  di  coordinamento  fra  i  quattro  aeroporti regionali di
Parma,  Forli',  Rimini, Bologna, al fine di una gestione razionale e
unitaria di tali infrastrutture essendo, inoltre, prevista a tal fine
la  acquisizione  di  quote  azionarie consistenti di tutti i quattro
aeroporti.   Sotto   tale  profilo,  emerge,  quindi,  con  chiarezza
«matematica» il diretto interesse della regione e degli enti locali a
contrastare  interventi  legislativi  statali  che  pregiudichino  la
funzionalita'   delle   societa'  aeroportuali,  il  loro  equilibrio
finanziario  e  in  sostanza  il  buon andamento delle gestioni degli
aeroporti.
    Naturalmente  cio'  sta  a  dimostrare un interesse di mero fatto
della  regione  e  non ancora la legittimazione a ricorrere contro la
legislazione  dello Stato, ex art. 127, secondo comma Cost. Tuttavia,
una  siffatta  legittimazione deriva dalla «materia» in cui ricade la
legge  impugnata  e,  segnatamente,  la  materia  «porti ed aeroporti
civili»   che   l'art. 117,  comma  3,  attribuisce  alla  competenza
concorrente  (dopo  che gia' l'art. 104, comma 1, lett. bb) del d.lgs
n. 112/1998,  aveva delimitato le funzioni trattenute allo Stato alla
sola  «programmazione,  costruzione,  ampliamento  e  gestione  degli
aeroporti di interesse nazionale»).
    Si  deve  notare,  infatti,  che  l'intervento  legislativo dello
Stato,  oggetto  di impugnazione, non ha altri titoli giustificativi.
Infatti,  il  suo  obiettivo  non  e'  il coordinamento della finanza
pubblica,  ne'  la  tutela  della concorrenza, come potrebbe sembrare
dalle  rubriche  delle  norme legislative che riguardano le misure in
discussione,  ma attiene propriamente alla gestione, attraverso norme
di  matrice  esclusivamente  statale,  delle  infrastrutture «porti e
aeroporti».
    Sempre  in  via preliminare, occorre, inoltre, evidenziare che la
legge  n. 537/1993  e'  stata  modificata in maniera rilevante, senza
tener  conto  alcuno del rinnovato assetto delle competenze apportato
dalla  riforma  del  Titolo  V,  come  se,  rispetto al settore delle
gestioni  aeroportuali  e  della  loro efficienza, le regioni fossero
prive  di  competenza  ed interesse. Tale ottica balza all'attenzione
gia'   nella   riscrittura   del   comma  10  dell'art. 10,  (operata
dall'art. 11-nonies    lett.    a),   allorche',   nel   sistema   di
determinazione  degli  obiettivi di produttivita' dei singoli gestori
aeroportuali e dei contratti di programma fra essi e l'ENAC, il perno
pubblico   resta   fissato   a  livello  ministeriale,  senza  alcuna
previsione  della  partecipazione  delle regioni, sicche' e' evidente
che  sussistono  i presupposti per la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale  dell'art. 11-nonies,  lettera  a), nella parte in cui
non  viene  prevista, ai fini della determinazione degli obiettivi di
produttivita',  da  stabilirsi  negli appositi contratti di programma
fra   gestori   aeroportuali   ed   ENAC,   la   procedura  di  leale
collaborazione  della  previa intesa, cosi' come analoga richiesta di
dichiarazione   di   illegittimita'   costituzionale,  va  fatta  con
riferimento    alla    lettera   b)   dell'art. 11-nonies,   laddove,
nell'introdurre  l'art. 10-ter  della  legge n. 537/1993, prevede che
sia il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con
il   Ministro   dell'economia,   senza   alcuna  procedura  di  leale
collaborazione,  a  emanare atti amministrativi di tipo regolamentare
per   la  semplificazione  della  determinazione  dei  diritti  degli
aeroporti minori.
    Non par dubbio, quindi, che la regione vanta un preciso interesse
costituzionale  all'impugnazione delle sopra citate disposizioni, per
i motivi seguenti.
    Illegittimita'  costituzionale  degli artt. 11-nonies e 11-decies
della  legge  2 dicembre 2005, n. 203 per violazione degli artt. 117,
primo comma, 118, 11 e 41 Cost.
    Se  e' vero che a seguito della modifica del titolo V non e' piu'
la  regione che deve dimostrare la propria competenza, ma e' lo Stato
che deve precisare a quale titolo legifera (come osservato da codesta
ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 282/2002), va rilevato
che  gli  interventi  disposti  con  le  norme  sopra  richiamate non
appaiono   giustificati   in  capo  allo  Stato:  1)  ne'  in  quanto
proprietario  dei  suoli  e  soggetto  concedente; 2) ne' in nome del
coordinamento  della finanza pubblica; 3) ne' in ragione della tutela
della  concorrenza; 4) ne' in nome di un principio di sussidiarieta';
5) ne' a titolo di competenza concorrente su porti e aeroporti.
    1.  - Sotto il primo profilo, va rilevato che la nuova disciplina
di rimodulazione del canone aeroportuale non e' imputabile al diritto
dominicale dello Stato di fissare il canone demaniale di concessione.
In  base  alla  disposizione  di  cui all'art. 11-decies, infatti, il
canone  demaniale viene ridotto solo in via transitoria per provocare
la  pari  riduzione  dei canoni aeroportuali. La disciplina pero' non
tende  a  stabilire una nuova regola del canone demaniale, ma prelude
ad  una  nuova  disciplina  dei  canoni aeroportuali, promettendo, in
sostanza,  uno «sconto» su quello demaniale, a parziale ristoro della
perdita che le societa' aeroportuali vengono a subire per effetto del
disposto,  di  cui  al  precedente  art. 11-nonies  (che compendia la
misura  dei  diritti  aeroportuali  con  il  computo di una quota non
inferiore  al  50%  del  margine  economico  conseguito  dal  gestore
aeroportuale  in  relazione  alle  attivita'  non  regolamentate, dal
medesimo   poste  in  essere  come  soggetto  imprenditore),  con  la
conseguenza  che  la  materia  sulla  quale  la  legge  interviene va
individuata  con esclusivo riferimento alla determinazione dei canoni
aeroportuali,  restando  la  disciplina  del canone demaniale solo un
intervento transitorio e strumentale.
    2.  -  Lo  Stato  non  puo',  inoltre, assumere di aver agito per
ragioni   di   coordinamento  finanziario,  perche'  le  disposizioni
impugnate  non  producono  alcuna  utilita',  in  termini di maggiori
entrate  o  di  minori  uscite  per  i  bilanci  pubblici.  Anzi,  al
contrario, l'art. 11-decies determina una consistente diminuzione del
canone  demaniale, pari al 75%, fino alla data, del tutto incerta, di
introduzione   del  nuovo  sistema  dei  diritti  aeroportuali,  come
delineato   dall'art.  11-nonies  mentre,  sotto  altro  profilo,  la
predetta  riduzione  dell'importo del canone demaniale di concessione
ha  un effetto nullo sul conto economico delle societa' aeroportuali.
D'altra  parte,  le  societa' aeroportuali non sono enti pubblici, ma
soggetti  privati  e non sono sottoposti al coordinamento finanziario
dello Stato.
    L'intervento   non   ha,  quindi,  alcuna  ricaduta  sui  bilanci
pubblici,  ma  sulle  Compagnie  di navigazione, soggetti privati che
svolgono  attivita'  imprenditoriale  e  commerciale, che non si vede
perche'  lo  Stato  debba favorire, a danno di altre imprese, quelle,
cioe', che gestiscono gli aeroporti e i loro servizi.
    Di  conseguenza,  non  si vede alcuna ragione per giustificare le
misure  introdotte  in  nome del contenimento della finanza pubblica,
quando appare piuttosto evidente che l'intento di «razionalizzazione»
del  mercato viene fatto gravare, per una percentuale rilevantissima,
sui maggiori utili delle societa' gestorie, con grave scompenso per i
relativi bilanci, come stabilisce l'art. 11-nonies, allorche' prevede
che   alla   determinazione   della   misura   iniziale  dei  diritti
aeroportuali   e   all'obiettivo   di  recupero  della  produttivita'
assegnato,  contribuisce,  fra  le  altre voci, una quota del 50% del
margine   conseguito  dal  gestore  aeroportuale  in  relazione  allo
svolgimento,  nell'ambito  del  sedime aeroportuale, di attivita' non
regolamentate.
    3.  -  Quanto  al  terzo  profilo sopra delineato, in ordine alla
materia  della  concorrenza, si osserva che lo Stato puo' sicuramente
intervenire  con  regole  che  riguardano il mercato - e questo e' un
segmento   di   mercato  rilevante  -  ma  l'intervento  deve  essere
giustificato al fine di tutelare la concorrenza, non per distorcerla.
L'effetto  distorsivo  qui e' multiplo. Lungi dall'elevare il livello
di  concorrenza  fra  gli  operatori  del mercato, cioe' le strutture
aeroportuali, le disposizioni di cui si discute prevedono esattamente
il  contrario.  Si  impone  alle societa' aeroportuali di abbassare i
loro  canoni,  appiattendoli, non tenendo conto dei costi progettuali
dalle  medesime gia' assunti e approvati, ma, soprattutto, si violano
alcuni principi comunitari di tutela della concorrenza, appositamente
diretti ad imporre la separazione fra ricavi di attivita' di gestione
degli  impianti,  e  ricavi  derivanti  da altre attivita' che l'Ente
Aeroporto  puo'  gestire  come  attivita'  accessorie,  in  regime di
concorrenza,  competendo  con  altri  soggetti  gestori  di servizi a
terra.  Infatti, la direttiva comunitaria n. 96/67/CEE del 15 ottobre
1996  ha  previsto  la  liberalizzazione  del  mercato dei servizi di
assistenza a terra, negli aeroporti della Comunita', finalizzata alla
riduzione  dei  costi,  ma senza pregiudicarne il buon funzionamento.
Come   ha  precisato  la  sentenza  della  Corte  di  Giustizia,  nel
procedimento C-363/01 del 16 ottobre 2003 (sulla domanda di pronuncia
pregiudiziale  in ordine alla possibilita' o meno degli enti gestori,
di  riscossione  di  un  corrispettivo  economico  per l'accesso agli
impianti   aeroportuali),   «per   quanto   riguarda  il  diritto  di
proprieta',  si  deve osservare che la circostanza che l'ente gestore
di  un aeroporto non e' autorizzato a percepire un canone di accesso,
non  vuol  dire  ...  che il detto ente sia privato della facolta' di
ricavare  utili  dalle  prestazioni  economiche  da  esso fornite sul
mercato  dell'assistenza a terra al quale deve dare accesso. A questo
proposito,   l'art. 16,   n. 3,   della  direttiva  richiede  che  il
corrispettivo  economico  che  puo'  essere  percepito  quale  contro
partita  dell'accesso  agli  impianti  aeroportuali  sia  determinato
secondo    criteri   pertinenti,   obiettivi,   trasparenti   e   non
discriminatori.  Di  conseguenza, tale disposizione non osta a che il
detto  corrispettivo  sia  fissato  in  modo  tale che l'ente gestore
dell'aeroporto possa non solo coprire i costi connessi con la messa a
disposizione degli impianti aeroportuali e alla loro manutenzione, ma
anche realizzare margini di utili».
    Quindi,  la  societa'  di  gestione deve essere posta in grado di
sfruttare  i  suoi beni in modo da trarne utili, anche per promuovere
piani  di  sviluppo  e  per  finanziare  l'elevazione  di  livelli di
sicurezza,  che  nell'ultimo  quinquennio,  in  un  quadro di settore
critico, sono rimessi sostanzialmente all'auto finanziamento.
    Il  profilo  piu'  eclatante,  da  questo  punto  di vista, delle
disposizioni  impugnate sta nella considerazione che esse si pongono,
invece, proprio in contrasto con la sopra citata direttiva 96/67/CEE,
laddove  essa, sul presupposto che «l'ente di gestione dell'aeroporto
puo'  fornire  anche servizi di assistenza a terra e puo', con le sue
decisioni,  esercitare  un'influenza notevole sulla concorrenza tra i
prestatori»   ritiene   «indispensabile   al  fine  di  garantire  il
mantenimento  di  una  concorrenza  leale, imporre agli aeroporti una
separazione  di  natura  contabile tra le attivita' di gestione delle
infrastrutture  e  di disciplina in ordine all'utilizzo delle stesse,
da  una  parte, e le attivita' di fornitura di servizi di assistenza,
dall'altra»  (cfr. il considerando n. 19). Gli Enti aeroportuali sono
tenuti  a  comportarsi  come  soggetti  economici e devono, pertanto,
coprire  i costi e produrre anche utili. E', quindi, vietato, in base
alla  predetta  direttiva,  sommare,  confondendoli, i proventi della
messa  a  disposizione delle strutture aeroportuali, con le eventuali
attivita'  non regolamentate di servizio a terra - vale a dire quelle
commerciali  - visto che queste ultime sono esercitate in concorrenza
con i soggetti privati (ad esempio, altre Compagnie di bandiera), che
possono  svolgerle  nell'ambito  dell'aeroporto e delle strutture che
esso mette a disposizione.
    La  disposizione  della  legge  in esame (art. 11-nonies) dispone
proprio  il  contrario,  stante  l'obbligo di computare nel costo del
canone  i proventi derivanti da attivita' non oggetto di concessione,
modulando  il  canone  proprio  in  riferimento  alle prestazioni non
regolamentate  e  prevedendo  che  una parte dei costi della gestione
degli   impianti   sia   coperta   dagli  utili  delle  attivita'  in
concorrenza.  Si  incentiva,  cosi',  una illegittima commistione fra
attivita'  commerciali  svolte  in regime di concorrenza (ed estranee
all'oggetto  della  concessione) e attivita' aeroportuali (di messa a
disposizione  delle  infrastrutture), svolte in base alla concessione
demaniale.
    Se  cio'  rivela una violazione eclatante delle norme comunitarie
in materia, e' parimenti sintomatico di un intervento dello Stato che
non  appare  in alcun modo giustificato a titolo di regolazione della
concorrenza.
    In  secondo luogo, le disposizioni impugnate violano il principio
di  liberta'  di iniziativa economica, perche', all'opposto di quanto
la  Corte  di Giustizia ha sottolineato nella sentenza del 16 ottobre
2003,   qui  si  impedisce  alle  societa'  aeroportuali  di  gestire
l'aeroporto  in  modo  imprenditoriale, non solo coprendo i costi, ma
anche   realizzando  utili,  dei  quali  si  impone  la  destinazione
vincolata alla copertura dei costi delle attivita' principali.
    In  terzo  luogo,  si  viola  la  concorrenza,  imponendo  ad una
categoria  di  soggetti  economici  (enti  aeroportuali)  vincoli che
favoriscono  imprenditori  situati  in  altro  settore  economico (le
Compagnie  aeree);  infatti, i diritti aeroportuali costituiscono una
contribuzione obbligatoria a carico del vettore aereo e in solido col
proprietario dell'aeromobile, che e' pagata al gestore dell'aeroporto
per  il  solo  fatto  di atterrare, parcheggiare e decollare (su cio'
cfr., Tribunale amministrativo regionale Lazio, sez. III, 26 febbraio
2003,  n. 1559). Per cui, la compressione di questi diritti, disposta
d'autorita',  oltre  a  costituire un'ingerenza indebita nelle scelte
imprenditoriali   compiute  da  soggetti  sottoposti  ad  un  mercato
concorrenziale, ha come giustificazione non un interesse pubblico, ma
l'interesse  privato  di  altri soggetti che coprono un altro mercato
concorrenziale.   Nella   stessa   linea  vanno,  infatti,  le  altre
disposizioni  dell'art. 11-nonies, che eliminano la maggiorazione del
50%  dei  diritti  applicati  per  i voli notturni e che prevedeno la
possibilita',    sempre   riconosciuta   in   capo   alle   Autorita'
ministeriali,  di  stabilire  diritti  semplificati per gli aeroporti
minori, di interesse, quindi non nazionale.
    In  quarto  luogo,  si  pratica una politica, vietata, di vendita
sottocosto  o  dumping,  che  comporta  costi  differenziati  per  le
Compagnie  aeree,  favorendo  le  Compagnie  estere rispetto a quelle
nazionali  (si  calcola,  infatti,  in base ai dati della Societa' di
gestione  dell'Aeroporto  Bolognese  -  SAB  S.p.A.  che l'entrata in
vigore  della  legge  determinera',  quale  impatto negativo a carico
degli   aeroporti   ca   230  mln  di  Euro  di  minori  ricavi,  con
corrispondenti minori costi per i vettori, di cui il 30% per Alitalia
e  45%  per  i  vettori  esteri),  cosi'  da attrarre verso gli scali
italiani   voli   di   Compagnie  estere,  applicando  condizioni  di
illegittimo  ribasso  (per queste ragioni si evidenzia, altresi', che
e' in via di elaborazione un esposto alla Commissione europea).
    4.  - Se lo Stato avesse agito quale «chiamato in sussidiarieta»,
ritenendo  necessario  un  intervento  unitario che non poteva essere
espletato   dalle  regioni,  avrebbe  dovuto,  allora,  rispettare  i
meccanismi  della  leale  collaborazione, che non ha, invece, neppure
previsto.  Come da giurisprudenza oramai consolidata di questa ecc.ma
Corte,  costituzionale,  a  partire  dalla  sentenza  n. 303/2003 (ma
confronta,  analogamente,  anche  le sentenze nn. 242/2005, 255/2004;
6/2004)  e,  da  ultimo, n. 285/2005 «....nella materia di competenza
legislativa  ripartita  fra Stato e Regione, di norma la legislazione
statale  dovrebbe  limitarsi  a definire i soli principi fondamentali
della  materia,  mentre  le funzioni amministrative dovrebbero essere
attribuite  normalmente  ai  livelli di governo substatali in base ai
principi  di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza indicati
nell'art. 118   Cost.   La   disciplina   in  esame,  invece,  appare
essenzialmente   caratterizzata,   sul   piano  legislativo,  da  una
normativa completa ed autoapplicativa, senza distinzione fra principi
e  dettagli  e,  sul  piano amministrativo, da un modello di gestione
accentuatamente  statalistico  ed  essenzialmente  fondato  su poteri
ministeriali.  ...  Ove  si  fosse voluto intervenire ...mediante una
"chiamata  in sussidiarieta',, delle funzioni amministrative da parte
dello   Stato,   cio'   avrebbe   richiesto,  ormai  per  consolidata
giurisprudenza  di  questa  Corte,  quanto  meno  "una disciplina che
prefiguri  un  iter  in  cui  assumano il dovuto risalto le attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono  essere  condotte  in  base  al  principio di lealta'» (cfr.
sentenza n. 285/2005 e giurisprudenza ut supra cit.).
    L'art. 11-nonies  come  si e' gia' visto, introduce nuovi criteri
di  determinazione  dei  livelli  tariffari dei diritti aeroportuali,
prevedendo  che la misura di tali diritti sia determinata con decreti
del  Ministero  delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con
il  Ministero  dell'economia e delle finanze. Manca, quindi, da parte
del  legislatore  statale  qualsivoglia previsione di idonea forma di
coinvolgimento  delle regioni nel procedimento di predisposizione dei
decreti ministeriali, che dovranno essere emanati per fissare i nuovi
diritti aeroportuali.
    Sotto  tale  profilo  rileva  sia l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 11-nonies,  lettera  a),  nella  parte  in  cui  non  viene
prevista  la  procedura  di  leale collaborazione della previa intesa
nella determinazione degli obiettivi di produttivita' e dei contratti
di   programma   che   dovranno  essere  stipulati  con  l'ENAC,  sia
l'illegittimita'  dell'art. 11-nonies, lettera b), nella parte in cui
modifica  il  comma  10-ter  dell'art. 10  della  legge n. 537/1993 e
pretende   che   sia  il  Ministro,  senza  una  procedura  di  leale
collaborazione,  a emanare atti amministrativi di tipo regolamentare,
per  la semplificazione della determinazione dei diritti aeroportuali
negli aeroporti minori.
    E'  rimasto,  quindi,  immutato  l'impianto  ministeriale fissato
prima della riforma del Titolo V, con evidente sua anacronisticita' e
illegittimita' costituzionale rispetto al nuovo assetto dei poteri.
    In  realta',  lo  Stato  non  ha  previsto l'intervento regionale
perche'  ha  agito  avendo presente un unico interesse, che e' quello
dell'abbattimento dei costi delle Compagnie aeree e non anche quelli,
tipicamente  rilevanti  per  le  regioni  e  gli  Enti  locali, dello
sviluppo   delle  infrastrutture  regionali,  del  miglioramento  dei
servizi a terra, del coordinamento di essi con i servizi di trasporto
di interesse regionale, di coordinamento con le politiche di sviluppo
del turismo, ecc.ra.
    L'intervento    «monodimensionale»    dello   Stato,   provocando
difficolta' economiche per le societa' aeroportuali costringe queste,
le  regioni  e  gli enti locali, a rivedere i loro piani di sviluppo,
ovvero  a  mantenerli  addossandosi  i  maggiori costi. Con il che si
dimostra che gli «sconti» forzatamente applicati a favore dei vettori
aerei si rifletteranno in maggiori costi per le regioni, per gli enti
locali  e  per le loro societa' aeroportuali, oppure in una riduzione
dei  piani  di  sviluppo,  che  mettera'  in serio pericolo la stessa
sopravvivenza, efficienza e sicurezza degli aeroporti minori, proprio
quelli  su  cui si sono incentrate le politiche regionali di sviluppo
del  sistema  economico,  in  generale,  e  del  trasporto  aereo, in
particolare.
    5.  -  Non resta che la competenza concorrente «porti e aeroporti
civili».  Ma  anche in questo caso un intervento cosi' puntuale dello
Stato - difficile individuare negli artt. 11-nonies e 11-decies quali
disposizioni  comportino  la identificazione di principi fondamentali
della materia - non si giustifica in nome dei principi della materia,
tanto piu' che non vi sarebbe una corrispondente competenza attuativa
delle regioni, non avendo esse nessuna possibilita' di intervenire su
tariffe di soggetti privati.
    Il  carattere  autoapplicativo  di queste norme esclude - come in
altra  sede  ha  rilevato  la  Corte  - la loro configurabilita' come
«principi»  della  materia  e, percio', la loro compatibilita' con la
potesta' legislativa concorrente.

        
      
                              P. Q. M.
    Voglia  l'ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita'
costituzionale  degli  artt. 11-nonies  e  11-decies  della  legge  2
dicembre  2005,  n. 248, per violazione degli artt. 117, primo comma,
118,  11 e 41 Cost., nella parte in cui prevedono una regolazione dei
diritti aeroportuali mediante una forma di sussidio incrociato fra le
attivita'  commerciali  e  le  attivita'  aeronautiche  ed  apportano
consistenti  riduzioni  alle  entrate  assicurate  alle  societa'  di
gestione,  senza  alcuna  giustificazione  di  interesse pubblico (in
particolare,  art. 11-nonies,  lettera a); nonche' nella parte in cui
non  prevedono,  ai  fini  della  determinazione  degli  obiettivi di
produttivita'  e per la individuazione dei diritti aeroportuali degli
scali  minori  (art. 11-nonies  lettera  b),  le  procedure  di leale
collaborazione  della  previa  intesa e del confronto con le Regioni,
nella sede appropriata.
        Bologna-Roma, addi' 26 gennaio 2006
         Prof. Avv. Franco Mastragostino - Avv. Luigi Manzi

        
      

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