Ricorso n. 20 dell'8 febbraio 2006 (Regione Emilia-Romagna)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 8 febbraio 2006 , n. 20
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria l'8 febbraio 2006 (della Regione Emilia-Romagna)
(GU n. 11 del 15-3-2006)
Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, sig. Vasco Errani, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 56 in data 23 gennaio 2006, rappresentata e difesa, come da mandato speciale a margine, dal prof. avv. Franco Mastragostino del Foro di Bologna e dall'avv. Luigi Manzi del Foro di Roma, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo, in Roma, via Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli artt. 11-nonies (Razionalizzazione e incremento dell'efficienza del settore dei gestori aeroportuali) e 11-decies (Competitivita' del sistema aeroportuale) della legge 2 dicembre 2005, n. 248, per violazione degli artt. 117, primo comma, 118, 11 e 41 della Costituzione. F a t t o Con la legge 2 dicembre 2005, n. 248, avente ad oggetto: «Conversione in legge, con modificazioni del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, recante misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria» sono state introdotte alcune disposizioni in materia di gestione aeroportuale. In particolare, si tratta della trasposizione quasi integrale, negli articoli da 11-sexies a 11-terdecies, delle nonne di cui agli artt. da 4 a 11 del d.l. 17 ottobre 2005, n. 211, il quale, di conseguenza, e' stato lasciato decadere. Le disposizioni che vengono in rilievo, per i profili di lesione di interessi regionali che esse sono suscettibili di determinare, sono quelle contenute negli artt. 11-nonies e 11-decies. Pare evidente, infatti, che si tratta di interventi statali a favore del settore delle Compagnie aeree, e di una regolazione di diritti aeroportuali che svantaggia e pregiudica gravemente le societa' di gestione aeroportuali - per legge partecipate anche dagli enti territoriali, quali, comune, provincia e regioni - suscettibili di incidere sullo sviluppo degli scali regionali e sulla complessiva politica economica del settore, creando per di piu', come si avra' modo di illustrare, effetti distorsivi della concorrenza. In particolare, con la disposizione di cui all'art. 11-nonies, di modifica del comma 10 dell'art. 10 della legge n. 537/1993, e' stato previsto (art. 11-nonies, lettera a), che la misura dei diritti aeroportuali, di cui alla legge 5 maggio 1976, n. 324, e' determinata per i singoli aeroporti, sulla base di criteri stabiliti dal CIPE, con decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, essendo in tale sede fissata, per un periodo compreso fra tre e cinque anni, la variazione massima annuale applicabile ai medesimi diritti aeroportuali. La variazione e' determinata prendendo a riferimento, oltre al tasso di inflazione programmato, l'obiettivo di recupero della produttivita' assegnato al gestore aeroportuale, la remunerazione del capitale investito, ecc.ra, stabiliti in contratti di programma stipulati fra ente statale - ENAC e gestore aeroportuale, approvati dal Ministro dell'economia e finanze. Ma, soprattutto, viene stabilito che la misura iniziale dei diritti e l'obiettivo di recupero della produttivita' assegnato viene determinato tenendo conto, fra gli altri fattori, di: e) una quota non inferiore al 50 per cento del margine conseguito dal gestore aeroportuale in relazione allo svolgimento nell'ambito del sedime aeroportuale di attivita' non regolamentate. Con la lettera b), sempre dell'art. 11-nonies, e' stato poi inserito il comma 10-bis, con il quale si prevede la eliminazione della maggiorazione notturna del 50% dei diritti aeroportuali applicata nei casi di approdo o partenza nelle ore notturne (c.d. effemeridi). Con il comma 10-ter viene, inoltre, stabilito che, sempre il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con quello dell'economia e delle finanze, puo' definire norme semplificative rispetto a quelle previste dal comma 10, per la determinazione dei diritti aeroportuali per gli aeroporti aventi un traffico inferiore a 600.000 unita' di carico. La successiva disposizione, di cui all'art. 11-decies, regola i rapporti fra canone di concessione demaniale e diritti aeroportuali. Con essa e' stato previsto che, fino alla determinazione delle nuove tariffe dei diritti aeroportuali, come determinate ai sensi delle modifiche di cui all'art. 11-nonies, i canoni di concessione demaniale sono ridotti del 75%. A tale riduzione consegue una corrispondente diminuzione dei diritti aeroportuali attualmente in vigore. E' prevista, moltre, una ulteriore riduzione dei diritti aeroportuali nella misura del 10% per i gestori che non siano dotati di contabilita' analitica. Come si puo' intuire dall'immediata lettura, tali disposizioni introducono una forma di «sussidio incrociato» fra le attivita' commerciali e le attivita' aeronautiche ed apportano consistenti riduzioni alle entrate assicurate alle societa' di gestione, che privera' gli scali delle risorse necessarie per la corretta implementazione dei piani di investimento, gia' concordati con il Ministero e, ancor prima, con gli enti locali. Le suddette previsioni, inoltre, assolutamente singolari nel panorama europeo, avranno la certa conseguenza di scoraggiare gli investimenti da parte degli investitori privati e, favorendo ulteriormente i maggiori hub nazionali, non permetteranno lo sviluppo degli scali regionali. Sotto altro profilo, la riduzione del 75% dell'importo del canone di concessione riconosciuto dai gestori aeroportuali e di pari livello dei diritti aeroportuali non e' suscettibile di apportare alcun apprezzabile effetto sul conto economico, ne' dello Stato, ne' delle societa' di gestione. Ma anche al di la' di questi ultimi rilievi, le misure in tal modo introdotte appaiono gravemente lesive di interessi regionali costituzionalmente rilevanti, attesa la assoluta indifferenza mostrata dallo Stato nei confronti della competenza concorrente della regione in materia di «porti ed aeroporti civili». Ne consegue la necessita' di una declaratoria di incostituzionalita' delle disposizioni impugnate per i seguenti motivi di D i r i t t o Sull'interesse della Regione. In via preliminare, e' bene precisare che fin dalla legge n. 537/1993 (Interventi correttivi di finanza pubblica) all'art. 10, comma 13, la legislazione dello Stato ha riconosciuto l'interesse delle regioni e degli enti locali a prendere parte alle costituende societa' di capitali per la gestione dei servizi e la realizzazione delle infrastrutture degli aeroporti. In effetti, le regioni hanno partecipato alla costituzione delle societa' aeroportuali insieme agli enti locali, poiche' gli aeroporti costituiscono una infrastruttura strategica per lo sviluppo economico della regione e per il suo inserimento nel sistema dei trasporti, per lo sviluppo del turismo, in generale per l'accessibilita' del territorio. Per quanto riguarda l'Emilia-Romagna, basti considerare che mentre lo Stato e' del tutto assente, fra gli azionisti, la regione detiene una quota rilevante (9%) della societa' di gestione del principale aeroporto della regione, quello di Bologna; gli altri enti locali, comune e provincia, complessivamente detengono una quota del 30% e la Camera di commercio bolognese la quota di maggioranza (52%). Il Piano regionale integrato dei trasporti, ipotizza inoltre, politiche di coordinamento fra i quattro aeroporti regionali di Parma, Forli', Rimini, Bologna, al fine di una gestione razionale e unitaria di tali infrastrutture essendo, inoltre, prevista a tal fine la acquisizione di quote azionarie consistenti di tutti i quattro aeroporti. Sotto tale profilo, emerge, quindi, con chiarezza «matematica» il diretto interesse della regione e degli enti locali a contrastare interventi legislativi statali che pregiudichino la funzionalita' delle societa' aeroportuali, il loro equilibrio finanziario e in sostanza il buon andamento delle gestioni degli aeroporti. Naturalmente cio' sta a dimostrare un interesse di mero fatto della regione e non ancora la legittimazione a ricorrere contro la legislazione dello Stato, ex art. 127, secondo comma Cost. Tuttavia, una siffatta legittimazione deriva dalla «materia» in cui ricade la legge impugnata e, segnatamente, la materia «porti ed aeroporti civili» che l'art. 117, comma 3, attribuisce alla competenza concorrente (dopo che gia' l'art. 104, comma 1, lett. bb) del d.lgs n. 112/1998, aveva delimitato le funzioni trattenute allo Stato alla sola «programmazione, costruzione, ampliamento e gestione degli aeroporti di interesse nazionale»). Si deve notare, infatti, che l'intervento legislativo dello Stato, oggetto di impugnazione, non ha altri titoli giustificativi. Infatti, il suo obiettivo non e' il coordinamento della finanza pubblica, ne' la tutela della concorrenza, come potrebbe sembrare dalle rubriche delle norme legislative che riguardano le misure in discussione, ma attiene propriamente alla gestione, attraverso norme di matrice esclusivamente statale, delle infrastrutture «porti e aeroporti». Sempre in via preliminare, occorre, inoltre, evidenziare che la legge n. 537/1993 e' stata modificata in maniera rilevante, senza tener conto alcuno del rinnovato assetto delle competenze apportato dalla riforma del Titolo V, come se, rispetto al settore delle gestioni aeroportuali e della loro efficienza, le regioni fossero prive di competenza ed interesse. Tale ottica balza all'attenzione gia' nella riscrittura del comma 10 dell'art. 10, (operata dall'art. 11-nonies lett. a), allorche', nel sistema di determinazione degli obiettivi di produttivita' dei singoli gestori aeroportuali e dei contratti di programma fra essi e l'ENAC, il perno pubblico resta fissato a livello ministeriale, senza alcuna previsione della partecipazione delle regioni, sicche' e' evidente che sussistono i presupposti per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11-nonies, lettera a), nella parte in cui non viene prevista, ai fini della determinazione degli obiettivi di produttivita', da stabilirsi negli appositi contratti di programma fra gestori aeroportuali ed ENAC, la procedura di leale collaborazione della previa intesa, cosi' come analoga richiesta di dichiarazione di illegittimita' costituzionale, va fatta con riferimento alla lettera b) dell'art. 11-nonies, laddove, nell'introdurre l'art. 10-ter della legge n. 537/1993, prevede che sia il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia, senza alcuna procedura di leale collaborazione, a emanare atti amministrativi di tipo regolamentare per la semplificazione della determinazione dei diritti degli aeroporti minori. Non par dubbio, quindi, che la regione vanta un preciso interesse costituzionale all'impugnazione delle sopra citate disposizioni, per i motivi seguenti. Illegittimita' costituzionale degli artt. 11-nonies e 11-decies della legge 2 dicembre 2005, n. 203 per violazione degli artt. 117, primo comma, 118, 11 e 41 Cost. Se e' vero che a seguito della modifica del titolo V non e' piu' la regione che deve dimostrare la propria competenza, ma e' lo Stato che deve precisare a quale titolo legifera (come osservato da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 282/2002), va rilevato che gli interventi disposti con le norme sopra richiamate non appaiono giustificati in capo allo Stato: 1) ne' in quanto proprietario dei suoli e soggetto concedente; 2) ne' in nome del coordinamento della finanza pubblica; 3) ne' in ragione della tutela della concorrenza; 4) ne' in nome di un principio di sussidiarieta'; 5) ne' a titolo di competenza concorrente su porti e aeroporti. 1. - Sotto il primo profilo, va rilevato che la nuova disciplina di rimodulazione del canone aeroportuale non e' imputabile al diritto dominicale dello Stato di fissare il canone demaniale di concessione. In base alla disposizione di cui all'art. 11-decies, infatti, il canone demaniale viene ridotto solo in via transitoria per provocare la pari riduzione dei canoni aeroportuali. La disciplina pero' non tende a stabilire una nuova regola del canone demaniale, ma prelude ad una nuova disciplina dei canoni aeroportuali, promettendo, in sostanza, uno «sconto» su quello demaniale, a parziale ristoro della perdita che le societa' aeroportuali vengono a subire per effetto del disposto, di cui al precedente art. 11-nonies (che compendia la misura dei diritti aeroportuali con il computo di una quota non inferiore al 50% del margine economico conseguito dal gestore aeroportuale in relazione alle attivita' non regolamentate, dal medesimo poste in essere come soggetto imprenditore), con la conseguenza che la materia sulla quale la legge interviene va individuata con esclusivo riferimento alla determinazione dei canoni aeroportuali, restando la disciplina del canone demaniale solo un intervento transitorio e strumentale. 2. - Lo Stato non puo', inoltre, assumere di aver agito per ragioni di coordinamento finanziario, perche' le disposizioni impugnate non producono alcuna utilita', in termini di maggiori entrate o di minori uscite per i bilanci pubblici. Anzi, al contrario, l'art. 11-decies determina una consistente diminuzione del canone demaniale, pari al 75%, fino alla data, del tutto incerta, di introduzione del nuovo sistema dei diritti aeroportuali, come delineato dall'art. 11-nonies mentre, sotto altro profilo, la predetta riduzione dell'importo del canone demaniale di concessione ha un effetto nullo sul conto economico delle societa' aeroportuali. D'altra parte, le societa' aeroportuali non sono enti pubblici, ma soggetti privati e non sono sottoposti al coordinamento finanziario dello Stato. L'intervento non ha, quindi, alcuna ricaduta sui bilanci pubblici, ma sulle Compagnie di navigazione, soggetti privati che svolgono attivita' imprenditoriale e commerciale, che non si vede perche' lo Stato debba favorire, a danno di altre imprese, quelle, cioe', che gestiscono gli aeroporti e i loro servizi. Di conseguenza, non si vede alcuna ragione per giustificare le misure introdotte in nome del contenimento della finanza pubblica, quando appare piuttosto evidente che l'intento di «razionalizzazione» del mercato viene fatto gravare, per una percentuale rilevantissima, sui maggiori utili delle societa' gestorie, con grave scompenso per i relativi bilanci, come stabilisce l'art. 11-nonies, allorche' prevede che alla determinazione della misura iniziale dei diritti aeroportuali e all'obiettivo di recupero della produttivita' assegnato, contribuisce, fra le altre voci, una quota del 50% del margine conseguito dal gestore aeroportuale in relazione allo svolgimento, nell'ambito del sedime aeroportuale, di attivita' non regolamentate. 3. - Quanto al terzo profilo sopra delineato, in ordine alla materia della concorrenza, si osserva che lo Stato puo' sicuramente intervenire con regole che riguardano il mercato - e questo e' un segmento di mercato rilevante - ma l'intervento deve essere giustificato al fine di tutelare la concorrenza, non per distorcerla. L'effetto distorsivo qui e' multiplo. Lungi dall'elevare il livello di concorrenza fra gli operatori del mercato, cioe' le strutture aeroportuali, le disposizioni di cui si discute prevedono esattamente il contrario. Si impone alle societa' aeroportuali di abbassare i loro canoni, appiattendoli, non tenendo conto dei costi progettuali dalle medesime gia' assunti e approvati, ma, soprattutto, si violano alcuni principi comunitari di tutela della concorrenza, appositamente diretti ad imporre la separazione fra ricavi di attivita' di gestione degli impianti, e ricavi derivanti da altre attivita' che l'Ente Aeroporto puo' gestire come attivita' accessorie, in regime di concorrenza, competendo con altri soggetti gestori di servizi a terra. Infatti, la direttiva comunitaria n. 96/67/CEE del 15 ottobre 1996 ha previsto la liberalizzazione del mercato dei servizi di assistenza a terra, negli aeroporti della Comunita', finalizzata alla riduzione dei costi, ma senza pregiudicarne il buon funzionamento. Come ha precisato la sentenza della Corte di Giustizia, nel procedimento C-363/01 del 16 ottobre 2003 (sulla domanda di pronuncia pregiudiziale in ordine alla possibilita' o meno degli enti gestori, di riscossione di un corrispettivo economico per l'accesso agli impianti aeroportuali), «per quanto riguarda il diritto di proprieta', si deve osservare che la circostanza che l'ente gestore di un aeroporto non e' autorizzato a percepire un canone di accesso, non vuol dire ... che il detto ente sia privato della facolta' di ricavare utili dalle prestazioni economiche da esso fornite sul mercato dell'assistenza a terra al quale deve dare accesso. A questo proposito, l'art. 16, n. 3, della direttiva richiede che il corrispettivo economico che puo' essere percepito quale contro partita dell'accesso agli impianti aeroportuali sia determinato secondo criteri pertinenti, obiettivi, trasparenti e non discriminatori. Di conseguenza, tale disposizione non osta a che il detto corrispettivo sia fissato in modo tale che l'ente gestore dell'aeroporto possa non solo coprire i costi connessi con la messa a disposizione degli impianti aeroportuali e alla loro manutenzione, ma anche realizzare margini di utili». Quindi, la societa' di gestione deve essere posta in grado di sfruttare i suoi beni in modo da trarne utili, anche per promuovere piani di sviluppo e per finanziare l'elevazione di livelli di sicurezza, che nell'ultimo quinquennio, in un quadro di settore critico, sono rimessi sostanzialmente all'auto finanziamento. Il profilo piu' eclatante, da questo punto di vista, delle disposizioni impugnate sta nella considerazione che esse si pongono, invece, proprio in contrasto con la sopra citata direttiva 96/67/CEE, laddove essa, sul presupposto che «l'ente di gestione dell'aeroporto puo' fornire anche servizi di assistenza a terra e puo', con le sue decisioni, esercitare un'influenza notevole sulla concorrenza tra i prestatori» ritiene «indispensabile al fine di garantire il mantenimento di una concorrenza leale, imporre agli aeroporti una separazione di natura contabile tra le attivita' di gestione delle infrastrutture e di disciplina in ordine all'utilizzo delle stesse, da una parte, e le attivita' di fornitura di servizi di assistenza, dall'altra» (cfr. il considerando n. 19). Gli Enti aeroportuali sono tenuti a comportarsi come soggetti economici e devono, pertanto, coprire i costi e produrre anche utili. E', quindi, vietato, in base alla predetta direttiva, sommare, confondendoli, i proventi della messa a disposizione delle strutture aeroportuali, con le eventuali attivita' non regolamentate di servizio a terra - vale a dire quelle commerciali - visto che queste ultime sono esercitate in concorrenza con i soggetti privati (ad esempio, altre Compagnie di bandiera), che possono svolgerle nell'ambito dell'aeroporto e delle strutture che esso mette a disposizione. La disposizione della legge in esame (art. 11-nonies) dispone proprio il contrario, stante l'obbligo di computare nel costo del canone i proventi derivanti da attivita' non oggetto di concessione, modulando il canone proprio in riferimento alle prestazioni non regolamentate e prevedendo che una parte dei costi della gestione degli impianti sia coperta dagli utili delle attivita' in concorrenza. Si incentiva, cosi', una illegittima commistione fra attivita' commerciali svolte in regime di concorrenza (ed estranee all'oggetto della concessione) e attivita' aeroportuali (di messa a disposizione delle infrastrutture), svolte in base alla concessione demaniale. Se cio' rivela una violazione eclatante delle norme comunitarie in materia, e' parimenti sintomatico di un intervento dello Stato che non appare in alcun modo giustificato a titolo di regolazione della concorrenza. In secondo luogo, le disposizioni impugnate violano il principio di liberta' di iniziativa economica, perche', all'opposto di quanto la Corte di Giustizia ha sottolineato nella sentenza del 16 ottobre 2003, qui si impedisce alle societa' aeroportuali di gestire l'aeroporto in modo imprenditoriale, non solo coprendo i costi, ma anche realizzando utili, dei quali si impone la destinazione vincolata alla copertura dei costi delle attivita' principali. In terzo luogo, si viola la concorrenza, imponendo ad una categoria di soggetti economici (enti aeroportuali) vincoli che favoriscono imprenditori situati in altro settore economico (le Compagnie aeree); infatti, i diritti aeroportuali costituiscono una contribuzione obbligatoria a carico del vettore aereo e in solido col proprietario dell'aeromobile, che e' pagata al gestore dell'aeroporto per il solo fatto di atterrare, parcheggiare e decollare (su cio' cfr., Tribunale amministrativo regionale Lazio, sez. III, 26 febbraio 2003, n. 1559). Per cui, la compressione di questi diritti, disposta d'autorita', oltre a costituire un'ingerenza indebita nelle scelte imprenditoriali compiute da soggetti sottoposti ad un mercato concorrenziale, ha come giustificazione non un interesse pubblico, ma l'interesse privato di altri soggetti che coprono un altro mercato concorrenziale. Nella stessa linea vanno, infatti, le altre disposizioni dell'art. 11-nonies, che eliminano la maggiorazione del 50% dei diritti applicati per i voli notturni e che prevedeno la possibilita', sempre riconosciuta in capo alle Autorita' ministeriali, di stabilire diritti semplificati per gli aeroporti minori, di interesse, quindi non nazionale. In quarto luogo, si pratica una politica, vietata, di vendita sottocosto o dumping, che comporta costi differenziati per le Compagnie aeree, favorendo le Compagnie estere rispetto a quelle nazionali (si calcola, infatti, in base ai dati della Societa' di gestione dell'Aeroporto Bolognese - SAB S.p.A. che l'entrata in vigore della legge determinera', quale impatto negativo a carico degli aeroporti ca 230 mln di Euro di minori ricavi, con corrispondenti minori costi per i vettori, di cui il 30% per Alitalia e 45% per i vettori esteri), cosi' da attrarre verso gli scali italiani voli di Compagnie estere, applicando condizioni di illegittimo ribasso (per queste ragioni si evidenzia, altresi', che e' in via di elaborazione un esposto alla Commissione europea). 4. - Se lo Stato avesse agito quale «chiamato in sussidiarieta», ritenendo necessario un intervento unitario che non poteva essere espletato dalle regioni, avrebbe dovuto, allora, rispettare i meccanismi della leale collaborazione, che non ha, invece, neppure previsto. Come da giurisprudenza oramai consolidata di questa ecc.ma Corte, costituzionale, a partire dalla sentenza n. 303/2003 (ma confronta, analogamente, anche le sentenze nn. 242/2005, 255/2004; 6/2004) e, da ultimo, n. 285/2005 «....nella materia di competenza legislativa ripartita fra Stato e Regione, di norma la legislazione statale dovrebbe limitarsi a definire i soli principi fondamentali della materia, mentre le funzioni amministrative dovrebbero essere attribuite normalmente ai livelli di governo substatali in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza indicati nell'art. 118 Cost. La disciplina in esame, invece, appare essenzialmente caratterizzata, sul piano legislativo, da una normativa completa ed autoapplicativa, senza distinzione fra principi e dettagli e, sul piano amministrativo, da un modello di gestione accentuatamente statalistico ed essenzialmente fondato su poteri ministeriali. ... Ove si fosse voluto intervenire ...mediante una "chiamata in sussidiarieta',, delle funzioni amministrative da parte dello Stato, cio' avrebbe richiesto, ormai per consolidata giurisprudenza di questa Corte, quanto meno "una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'» (cfr. sentenza n. 285/2005 e giurisprudenza ut supra cit.). L'art. 11-nonies come si e' gia' visto, introduce nuovi criteri di determinazione dei livelli tariffari dei diritti aeroportuali, prevedendo che la misura di tali diritti sia determinata con decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze. Manca, quindi, da parte del legislatore statale qualsivoglia previsione di idonea forma di coinvolgimento delle regioni nel procedimento di predisposizione dei decreti ministeriali, che dovranno essere emanati per fissare i nuovi diritti aeroportuali. Sotto tale profilo rileva sia l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11-nonies, lettera a), nella parte in cui non viene prevista la procedura di leale collaborazione della previa intesa nella determinazione degli obiettivi di produttivita' e dei contratti di programma che dovranno essere stipulati con l'ENAC, sia l'illegittimita' dell'art. 11-nonies, lettera b), nella parte in cui modifica il comma 10-ter dell'art. 10 della legge n. 537/1993 e pretende che sia il Ministro, senza una procedura di leale collaborazione, a emanare atti amministrativi di tipo regolamentare, per la semplificazione della determinazione dei diritti aeroportuali negli aeroporti minori. E' rimasto, quindi, immutato l'impianto ministeriale fissato prima della riforma del Titolo V, con evidente sua anacronisticita' e illegittimita' costituzionale rispetto al nuovo assetto dei poteri. In realta', lo Stato non ha previsto l'intervento regionale perche' ha agito avendo presente un unico interesse, che e' quello dell'abbattimento dei costi delle Compagnie aeree e non anche quelli, tipicamente rilevanti per le regioni e gli Enti locali, dello sviluppo delle infrastrutture regionali, del miglioramento dei servizi a terra, del coordinamento di essi con i servizi di trasporto di interesse regionale, di coordinamento con le politiche di sviluppo del turismo, ecc.ra. L'intervento «monodimensionale» dello Stato, provocando difficolta' economiche per le societa' aeroportuali costringe queste, le regioni e gli enti locali, a rivedere i loro piani di sviluppo, ovvero a mantenerli addossandosi i maggiori costi. Con il che si dimostra che gli «sconti» forzatamente applicati a favore dei vettori aerei si rifletteranno in maggiori costi per le regioni, per gli enti locali e per le loro societa' aeroportuali, oppure in una riduzione dei piani di sviluppo, che mettera' in serio pericolo la stessa sopravvivenza, efficienza e sicurezza degli aeroporti minori, proprio quelli su cui si sono incentrate le politiche regionali di sviluppo del sistema economico, in generale, e del trasporto aereo, in particolare. 5. - Non resta che la competenza concorrente «porti e aeroporti civili». Ma anche in questo caso un intervento cosi' puntuale dello Stato - difficile individuare negli artt. 11-nonies e 11-decies quali disposizioni comportino la identificazione di principi fondamentali della materia - non si giustifica in nome dei principi della materia, tanto piu' che non vi sarebbe una corrispondente competenza attuativa delle regioni, non avendo esse nessuna possibilita' di intervenire su tariffe di soggetti privati. Il carattere autoapplicativo di queste norme esclude - come in altra sede ha rilevato la Corte - la loro configurabilita' come «principi» della materia e, percio', la loro compatibilita' con la potesta' legislativa concorrente.
P. Q. M. Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 11-nonies e 11-decies della legge 2 dicembre 2005, n. 248, per violazione degli artt. 117, primo comma, 118, 11 e 41 Cost., nella parte in cui prevedono una regolazione dei diritti aeroportuali mediante una forma di sussidio incrociato fra le attivita' commerciali e le attivita' aeronautiche ed apportano consistenti riduzioni alle entrate assicurate alle societa' di gestione, senza alcuna giustificazione di interesse pubblico (in particolare, art. 11-nonies, lettera a); nonche' nella parte in cui non prevedono, ai fini della determinazione degli obiettivi di produttivita' e per la individuazione dei diritti aeroportuali degli scali minori (art. 11-nonies lettera b), le procedure di leale collaborazione della previa intesa e del confronto con le Regioni, nella sede appropriata. Bologna-Roma, addi' 26 gennaio 2006 Prof. Avv. Franco Mastragostino - Avv. Luigi Manzi