Ricorso n. 21 del 7 marzo 2014 (Regione Veneto)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 7 marzo 2014 (della Regione Veneto).
(GU n. 19 del 30.4.2014)
Ricorso proposto dalla REGIONE VENETO (C.F. … - P. IVA
…), in persona del Presidente della Giunta regionale, dr.
Luca Zaia (C.F. …) autorizzato con delibera della
Giunta regionale n. 162 del 20 febbraio 2014 (all. 1) rappresentato e
difeso nel presente giudizio, tanto congiuntamente quanto
disgiuntamente, come da mandato a margine del presente atto,
dall'avv.to Ezio Zanon (C.F. …), Coordinatore della
Avvocatura della Regione Veneto, e avv. Luigi Manzi (C.F.
…), del foro di Roma, con domicilio eletto presso lo
studio del secondo, in Roma via F. Confalonieri, n. 5 (per eventuali
comunicazioni: fax n. …, pec:
..);
Contro PRESIDENTE CONSIGLIO DEI MINISTRI pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con
domicilio ex lege presso la stessa, in Roma via dei Portoghesi 12,
e nei confronti di:
REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE, in persona del presidente pro
tempore,
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del presidente pro
tempore,
PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO, in persona del presidente pro
tempore;
Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle
seguenti norme della legge 27 dicembre 2013, n. 147, "Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge di stabilita' 2014)" pubblicata in G.U. n. 302 del 27 dicembre
2013:
art. 1, comma 325, per violazione degli artt. 5, 97, 114,
117, 118, 119 e 120 della Costituzione;
art. 1, comma 388, per violazione degli artt. 3, 42, 117, IV
comma, 118 e 119 della Costituzione;
art. 1, commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501, per violazione
degli artt. 117, comma III, 119, comma I, e 120 della Costituzione;
art. 1, comma 518, per violazione degli artt. 3, 11, 23, 117,
I comma, e 120 della Costituzione;
art. 1, comma 557, per violazione degli artt.117, commi III e
IV, della Costituzione
Fatto e diritto
L'approvazione della legge di stabilita' per il 2014, L. 27
dicembre 2013, nella ricorrente formula, presente in questa tipologia
di leggi deliberate in scadenza di anno, dell'articolo unico svolto
in una molteplicita' di commi ha recato alcune norme che si ritingono
in contrasto con l'ordinamento costituzionale nazionale e che si
ritengono impugnabili per i seguenti motivi di illegittimita'.
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 325, per
violazione degli artt. 5, 97, 114, 117, 118,119 e 120 della
Costituzione.
1.1) Il comma 325, dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013
prevede la proroga delle disposizioni di cui all'art. 1, comma 115,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228, relative al commissariamento
delle amministrazioni provinciali, applicabile ai casi di scadenza
naturale del mandato nonche' di cessazione anticipata degli organi
provinciali e che intervengono in una data compresa tra il 1 gennaio
e il 30 giugno 2014.
Si ritiene che la norma sia in contrasto con le disposizioni che
riconoscono l'autonomia costituzionale all'intero assetto degli enti
territoriali, disciplinato dagli artt. 114, 117, 118, 119 e 120, ma
anche con il disegno costituzionale che governa le autonomie locali,
di cui all'art. 5 e il principio di buon andamento dell'attivita'
amministrativa, di cui all'art. 97 della Costituzione.
Il comma, che ha un evidente carattere transitorio, appare
collegato a una situazione extragiuridica rappresentata da una serie
di procedimenti legislativi in corso di doppia natura.
Da un lato e' all'esame del Parlamento il disegno di legge di
riforma costituzionale, approvato dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri il 5 luglio 2013, per l'abolizione delle Province, e avente
per contenuto la modifica di alcuni articoli del c.d. Titolo V della
Costituzione.
Per altro verso e' stato licenziato dalla Camera dei Deputati il
21 dicembre 2013 il Disegno di legge n. 1542 AC "Disposizioni sulle
Citta' metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di
Comuni", che prevede la trasformazione delle province in ente
amministrativo di secondo livello, formato dalla aggregazione dei
comuni dove la presidenza e rappresentanza consiliare, sono eletti
dai sindaci dei comuni di riferimento.
La norma in contestazione si pone come estensione
dell'applicazione dell'art. 1, comma 115, della Legge di stabilita'
per il 2013 (la legge n. 228/2012) nella parte in cui questa aveva
previsto che: "Nei casi in cui in una data compresa tra il 5 novembre
2012 e il 31 dicembre 2013 si verifichino la scadenza naturale del
mandato degli organi delle province, oppure la scadenza dell'incarico
di Commissario straordinario delle province nominato ai sensi delle
vigenti disposizioni di cui al testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267, o in altri casi di cessazione anticipata del
mandato degli organi provinciali ai sensi della legislazione vigente,
e' nominato un commissario straordinario, ai sensi dell'articolo 141
del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000
per la provvisoria gestione dell'ente fino al 31 dicembre 2013".
Tra le due disposizioni esiste pero' una sostanziale differenza,
recata dal sottostante presupposto di fatto. In quanto mentre il
comma 325 e' stato approvato con riferimento a delle possibili
ipotesi di riforma ancora al vaglio del Parlamento, e per le quali,
quindi, non vi e' certezza alcuna circa l'an ed il quomodo, esse
saranno approvate, la disposizione del comma 115 era intervenuta in
una situazione riferita all'esistenza di norme al tempo cogenti e che
avevano disposto in modo diverso circa la formazione degli organi di
governo dell'ente provincia, rispetto alle disposizioni di cui alla
D. Lgs. 267/2000, contenente la disciplina generale degli enti
locali.
Il riferimento e' all'art. 23 (commi 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20,
20-bis) del decreto-legge n. 201/2011 e agli artt. 17 e 18 del
decreto-legge n. 95/2012, dichiarati costituzionalmente illegittimi
con sentenza di codesta Corte n. 220 del 3 luglio 2013.
1.2) La norma censurata contenuta nell'art. 325, appare quindi in
evidente contrasto con il dettato costituzionale per un duplice
profilo di ragioni.
Va in primo luogo osservato che essa impedisce il corretto
svolgimento, nelle province gia' commissariate o che andranno a
scadere nel primo semestre del 2014, delle funzioni democratiche
previste per tutti gli enti locali elettivi, e che trova fondamento e
garanzia sia nel principio di sovranita' popolare su cui si fonda
l'intero ordinamento, sul principio di riconoscimento dell'autonomia
degli enti locali, affermato dall'art. 5 della Costituzione e attuato
attraverso il gia' menzionato decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267.
Nello specifico occorre puntualmente rilevare come il regime di
commissariamento a cui fa riferimento la norma in questione e' quello
previsto all'art. 141 del menzionato D. Lgs. 267/2000, norma che
prevede che "con il decreto di scioglimento si provvede alla nomina
di un commissario, che esercita le attribuzioni conferitegli con il
decreto stesso".
Tale configurazione, ancorche' al commissario fossero affidati i
poteri, nella loro pienezza esercitati da tutti gli organi ordinari
eletti della provincia, e' comunque collegato a una prospettiva
temporale incerta e comunque ridotta nel tempo, condizionata dalla
supplenza dell'incarico commissariale.
Detto incarico non permette, ad esempio, al commissario alcuna
attivita' di contenuto programmatorio o pianificatorio, non essendo
certa la prospettiva temporale nel quale esso agisce.
Conseguentemente, si produce una alterazione del funzionamento
dell'ente provincia, che non puo' ritenersi, in una situazione di
governo interinale, pienamente efficiente per garantire il corretto
adempimento dei propri compiti, sia nella diretta espressione delle
proprie competenze, che nelle relazioni di sussidiarieta' con i vari
soggetti operanti nell'ambito delle autonomia locali, cosi' come
affermate dall'art. 120 della Costituzione.
In riferimento al comma 325, l'estensione del regime
commissariale, oltre a non trovare una giustificazione plausibile su
un presupposto certo e positivo, si riduce ad essere uno strumento
rivolto comprimere, in via diretta, il corretto svolgimento dei
compiti amministrativi assegnati all'ente provincia ai sensi
dell'art. 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, ma in
violazione delle stesse disposizioni, ad alterare in via mediata, le
competenze degli altri enti locali che, a vario livello, attraverso i
principi di sussidiarieta', o attraverso la delega o l'affidamento di
funzioni di provenienza regionale, concorrono con la provincia
all'esercizio delle funzioni locali.
A titolo di esempio si indicano, per l'esperienza veneta, i
contenuti della l.r. 23 aprile 2004, n. 11, "Norme per il governo del
territorio e in materia di paesaggio", che disciplina la
pianificazione urbanistica del territorio e che conferisce ampi
compiti alla Provincia nella pianificazione del territorio, tra cui
l'approvazione degli strumenti urbanistici comunali.
1.3) Come ulteriore profilo di censura si aggiunga inoltre che,
il commissario, ancorche' sia ritenuto organo dell'ente al quale e'
preposto, e' nominato da un funzionario dello Stato, il Prefetto. Con
la conseguenza che la prevista determinazione dei poteri di incarico
e' recata da un atto di governo che, inevitabilmente, per le ragioni
anzidette, interviene ingiustificatamente nell'assetto complessivo
del funzionamento e delle relazione degli enti locali, in modo idoneo
a sottrarre o modificare l'effettivo esercizio delle loro competenze.
Il tutto inoltre senza alcuna preventiva e prevista forma di
concertazione o di partecipazione, secondo i contenuti dell'art. 120
Cost., su cui ci si dilunghera' in seguito.
1.4) A fronte della ingiustificata proroga del regime di
commissariamento delle province, cosi' come disposto dal comma 325, e
a fronte del fatto che il commissario agisce comunque in funzione di
supplenza dell'attivita' degli organi eletti, con un orizzonte di
competenze di fatto limitate e condizionate, occorre anche
rappresentare che l'istituto disciplinato dall'art. 141 del D.Lgs.
267/2000 e' stato previsto per dar corso alla funzione di controllo
sugli organi e non come strumento alternativo di governo degli enti.
La previsione di uno strumento durevole (il commissariamento, ad
esempio, della provincia di Belluno risale ad oltre due anni or
sono), ma al contempo precario e' quindi da ritenersi anche in
contrasto con il principio di buon andamento della funzione pubblica
sancito dall'art. 97 della Costituzione. Per le ragioni sopra
esposte, sussiste anche da questo punto di vista, un indubbio
pregiudizio al completo dispiegamento delle funzioni provinciali e al
pieno esercizio dei compiti dell'ente.
Pregiudizio rimarcato dall'irragionevolezza dei presupposti e
della durata della proroga del regime di governo commissariale delle
province, che e' collegata al verificarsi di un evento futuro ed
incerto, quale l'approvazione di uno o piu' disegni di legge in
materia, oltre che alla mancanza nell'ordinamento di un atto
legislativo vigente e cogente che giustifichi la mancata rielezione
degli organi ordinari dell'ente provincia.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 388, per
violazione degli artt. 3, 42, 117, IV comma, 118 e 119 della
Costituzione.
2.1) Il comma 388 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n.
147, prevede che l'Agenzia del Demanio sia tenuta a formulare un
nulla osta preventivo in ordine al rinnovo dei contratti di locazione
di immobili stipulati da qualsiasi amministrazione pubblica,
all'apparenza inclusa anche quella regionale, con delle disposizioni
che violano le attribuzioni soggettivamente intese, in termini non
solo di' esercizio di funzioni proprie, ma anche di capacita' di
agire iure privatorum, possedute dall'amministrazione regionale, e
secondo modalita' procedurali incompatibili con l'autonomia
amministrativa e finanziaria regionale, ponendosi cosi' in contrasto
con gli artt. 3, 117, comma quarto, 118 e 119 della Costituzione,
nonche' con gli artt. 3 e 42 della Costituzione medesima.
La norma prevede infatti un doppio ordine di poteri, che offrono
argomento per formulare delle identiche censure di costituzionalita'
nei confronti di entrambi.
Va in primo luogo osservato che il comma in questione dispone che
i contratti di locazione di immobili stipulati dalle amministrazioni
pubbliche, "non possono essere rinnovati, qualora l'Agenzia del
demanio, nell'ambito delle proprie competenze, non abbia espresso
nulla osta sessanta giorni prima della data entro la quale
l'amministrazione locataria puo' avvalersi della facolta' di
comunicare il recesso dal contratto".
La seguente disposizione invece prevede che "Nell'ambito della
propria competenza di monitoraggio, l'Agenzia del demanio autorizza
il rinnovo dei contratti di locazione, nel rispetto dell'applicazione
di prezzi medi di mercato, soltanto a condizione che non sussistano
immobili demaniali disponibili. I contratti stipulati in violazione
delle disposizioni del presente comma sono nulli".
In entrambi i casi, sia per quanto riguarda il divieto di rinnovo
dei contratti in scadenza, sia per quanto riguarda l'autorizzazione
preventiva da parte dell'Agenzia del demanio alla stipula di nuovi
contratti, si ritiene che sia stato violato l'art. 117, comma 4,
della Costituzione in relazione all'art. 118, nella parte in cui
attribuisce alla amministrazione regionale i compiti di
amministrazione diretta nelle materie di propria competenza, e
all'art. 119, che riconosce espressamente alle regioni la
possibilita' di avere sia un proprio patrimonio, che una "autonomia
finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei
relativi bilanci".
2.2) L'evidente ratio della norma e quella di poter valorizzare
il patrimonio pubblico utilizzandolo in modo corrispondente ai
compiti delle varie amministrazioni o enti in modo da evitare il
ricorso a spese per canoni di locazione in presenza di immobili
fruibili ma non utilizzati.
Ma a fronte di questo lodevole impegno, non si possono non
trascurare le conseguenze pratiche di una tale disposizione, che, per
la sua sommarieta', appare di difficile praticabilita'.
Essa infatti sembra essere piuttosto il portato di una
disattenzione del legislatore, che l'espressione della sua effettiva
volonta'.
Va infatti rilevato che il comma 388 segue il precedente comma
387, che a sua volta apporta delle modifiche ai commi 222, 222 bis e
224 della legge 23 dicembre 2009 n. 196, che contemplano delle
disposizioni relative al fabbisogno locativo delle "Amministrazioni
dello Stato di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incluse la
Presidenza del Consiglio dei ministri e le agenzie, anche fiscali" .
La circostanza che il riferimento e' alle amministrazioni dello
Stato e' peraltro confermato dal tenore dello stesso lungo comma 222.
Il quale nel prescrivere le varie attivita' imposte alle
amministrazioni, sempre riferimento a quelle dello Stato, chiamandole
come "medesime" o con espressioni similari. E, quando si rivolge a
quelle che non fanno parte dell'amministrazione dello Stato le
individua nominandole distintamente.
Lo stesso parametro di identificazione manifesta anche il
successivo comma 222 bis. Il quale nel far riferimento alle
"Amministrazioni di cui al precedente comma 222", a riguardo
dell'ottimizzazione degli spazi ad uso ufficio, nell'ultimo inciso
dichiara, demarcando in tal modo e in modo evidente l'autonomia
regionale, che "Le presenti disposizioni costituiscono principio a
cui le Regioni e gli Enti locali, negli ambiti di rispettiva
competenza, adeguano i propri ordinamenti".
Alla luce di questa premessa deve ritenersi, per continuita' di
disciplina, che l'inciso contenuto nell'esordio del comma 388, e che
espressamente richiama le "amministrazioni individuate ai sensi
dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e
successive modificazioni", abbia voluto intendere quelle appartenenti
allo stato, di cui al comma 222 ,e non quelle individuate con il
richiamo all'art. 1, comma 2.
2.3) Detta ultima disposizione porta infatti a dover considerare
tutte indistintamente le amministrazioni indicate all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per tra le
quali sono espressamente enumerate anche le regioni, perche' la norma
di rinvio (l'art. 1, comma 2, della L. 196/2009) non distingue
affatto quelle statali dalle altre.
E' cosi' evidente la distonia del richiamo dovendosi ritenere che
il rinvio operato dal comma 388 debba essere invece riferito alle
sole amministrazioni dello Stato. Laddove si dovesse invece intendere
che il comma 388 e' rivolto a tutte le amministrazioni pubbliche, e'
necessario evidenziare in via preliminare la decontestualizzazione
della disciplina da applicarsi alle regioni rispetto ai commi della
L. 196/2009 sopra richiamati.
I poteri affidati all'Agenzia del Demanio, per quanto possono
essere riferiti alle regioni, rimangono infatti del tutto scollegati
da qualsiasi altra attivita', preliminare, connessa e comunque
conseguente alle prescrizioni contenute nei commi 222 e seguenti
della L. 196/2009, i quali invece, da quella data, sono applicate al
fine di conseguire il pieno utilizzo del patrimonio pubblico da parte
delle amministrazioni dello Stato.
2.4) Peraltro, nell'alea di questa incertezza interpretativa,
comporta l'onere di far luogo allo svolgimento dei seguenti profili
di censura di incostituzionalita' del predetto comma 388. Almeno
nella parte in cui ricomprende anche le regioni. Questo in
riferimento alla violazione dell'art. 117, comma 4, in relazione
all'art. 118, che attribuisce alla amministrazione regionale delle
funzioni amministrative dirette nelle materie di propria competenza,
e all'art. 119, che riconosce espressamente alle regioni la
possibilita' di avere un proprio patrimonio, e una "autonomia
finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei
relativi bilanci".
Si ritiene di far luogo all'illustrazione della censura prendendo
spunto dagli orientamenti provenienti dalla giurisprudenza formata da
alcune recenti pronunce della Corte Costituzionale, intervenute su
casi analoghi.
Il primo richiamo e' alla sentenza n. 376/2003, in quanto si
riferisce al compito di coordinamento della finanza pubblica, nel cui
ambito puo' essere collocata la norma in questione. Sia perche'
approvata nell'ambito della legge di stabilita' per l'anno 2014, sia
in quanto, come gia' rilevato da codesta Corte, nella sua sentenza n.
284/2012, le norme relative alla valorizzazione dei beni pubblici,
piu' che essere di contenuto"patrimoniale" hanno una funzione di
carattere "finanziario".
Dando per accettata questa impostazione, nella menzionata
sentenza n. 376/2003 la Corte Costituzionale ha ritenuto che, in
linea di principio, "non puo' ritenersi preclusa alla legge statale
la possibilita', nella materia medesima, di prevedere e disciplinare
tali poteri, anche in forza dell'art. 118, primo comma, della
Costituzione. Il carattere "finalistico" dell'azione di coordinamento
esige che al livello centrale si possano collocare non solo la
determinazione delle norme fondamentali che reggono la materia, ma
altresi' i poteri puntuali eventualmente necessari perche' la
finalita' di coordinamento - che di per se' eccede inevitabilmente,
in parte, le possibilita' di intervento dei livelli territoriali
sub-statali - possa essere concretamente realizzata".
Pur tuttavia ha anche precisato che "i poteri in questione devono
essere configurati in modo consono all'esistenza di sfere di
autonomia, costituzionalmente garantite, rispetto a cui l'azione di
coordinamento non puo' mai eccedere i limiti, al di la' dei quali si
trasformerebbe in attivita' di direzione o in indebito
condizionamento dell'attivita' degli enti autonomi".
Alla luce di tale impostazione appare del tutto lacunoso il
potere di coordinamento in materia di finanza pubblica esercitabile
dallo Stato attraverso il comma 388, proprio in ragione della
circostanza sopra evidenziata. Ovvero che manca una qualsiasi altra
manifestazione di coordinamento preventivo e correlato tale da
rendere effettivamente efficaci le due disposizioni illustrate.
Ad esempio la interdizione al rinnovo di qualsiasi contratto di
locazione senza il previo nulla osta dell'Agenzia del demanio pone la
corrispondente esigenza di interloquire con l'Agenzia medesima per il
reperimento di spazi alternativi. Attivita' di difficile
praticabilita', se si pensa ai tempi intercorrenti tra la disdetta e
la risoluzione del contratto, qualora non si abbia gia' la
prospettiva di una diversa sistemazione.
Si rinvia ulteriormente ai commi 222 e 222 bis, citati, per far
rilevare come le disposizioni in esse contenute contengano vari
elementi per garantire la sostenibilita' dall'intrapresa finalita' di
risparmio e come gli stessi, da tempo abbiano svolto, la funzione di
coordinamento. Anche se nei confronti delle sole amministrazioni
dello Stato.
A fronte di questi i compiti interdittivi affidati ora alla
Agenzia del demanio hanno piuttosto il compito di rafforzarne
l'efficacia e la cogenza. Ma non di estendere la disciplina
coercitiva ad altri soggetti che non hanno previamente adottato gli
stessi strumenti operativi.
Appare pertanto incongruo, irragionevole e irrazionale, nei
termini della giurisprudenza formatasi sull'art. 3 della Costituzione
e per le guarentigie concesse anche alla proprieta' pubblica
dall'art. 42 della stessa Carta, attribuire all'Agenzia del demanio,
un potere di dettaglio a fronte della circostanza, che in materia,
l'ordinamento vigente ha assegnato, ex comma 222 bis alle
"disposizioni" contenute nello stesso comma e nel comma precedente,il
carattere di norme di "principio a cui le Regioni e gli Enti locali,
negli ambiti di rispettiva competenza, adeguano i propri
ordinamenti".
Manca infatti un elemento normativo o negoziale intermedio che
abbia raccordato gli "adeguamenti" effettuati dalle regioni alla
disciplina statale, presupposto all'esercizio dei poteri ora affidati
all'Agenzia delle Entrate.
Non si ha infatti notizia che sia intervenuto nemmeno uno
strumento di raccordo istituzionale in questo senso..Ad esempio
attraverso una intesa ai sensi dell'art. 9, primo comma lettera c)
della L. 281/1997, o che esso sia altrimenti maturato in sede di
Conferenza unificata stato regioni, in modo da poter ritenere
direttamente introducibile nell'ordinamento regionale il potere ora
assegnato alla Agenzia del demanio.
L'intesa in materia, conclusa in sede di Conferenza unificata
potrebbe infatti costituire una garanzia procedimentale - in se'
sufficiente, atteso l'oggetto della disciplina - atta a contrastare
l'eventuale assunzione, da parte del decreto medesimo, di contenuti
lesivi della autonomia garantita agli enti territoriali: ferma
restando, naturalmente, la possibilita' per questi di esperire,
nell'ipotesi di lesioni, i rimedi consentiti dall'ordinamento, ivi
compreso, se del caso, il conflitto di attribuzioni davanti a questa
Corte.
2.5) Riportandosi sempre alla giurisprudenza di codesta Corte si
rinviene un diverso profilo di violazione degli art. 117, 118 e 119
della Costituzione per invasione nelle competenze regionali da parte
del comma 388. In particolare alla luce della dogmatica formatasi
sull'art. 118.
Partendo dalla considerazione della rilevanza, precipuamente
contingente in questo periodo, dell'interesse pubblico coinvolto
rinvenibile nel rispetto del Patto di stabilita' imposto dalla
partecipazione dell'Italia alla Comunita' Europea, e ritenendo,
quindi, derogabile a favore dello Stato la competenza ad intervenire
sul proprio patrimonio da parte delle regioni, anche nelle attivita'
in cui queste agiscono jure privatorum, si richiamano i contenuti
della sentenza n. 6 del 2004, nella quale codesta ecc.ma Corte aveva
ritenuto che una "deroga al riparto operato dall'art. 117 Cost. puo'
essere giustificata solo se la valutazione dell'interesse pubblico
sottostante all'assunzione di finzioni regionali da parte dello Stato
sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla
stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita' e sia oggetto
di un accordo stipulato con la Regione interessata".
In quel giudizio la Corte era pervenuta alle conclusione che
l'attribuzione in deroga "deve risultare adottata a seguito di
procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo
coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque,
deve prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio
concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi
centrali".
Ma, come rilevato, non si percepiscono, nel testo del comma 388,
o altrove, idonee forme di intesa o collaborazione per l'applicazione
dello stesso nei confronti delle Regioni. Pertanto si ribadisce anche
per questo profilo l'illegittimita' della disposizione impugnata
2.6) Infine, ricordando la piu' recente sentenza 284/2012, che si
era occupata, anch'essa del "coordinamento della finanza pubblica",
si rileva che questa ecc.ma Corte ha elaborato un ulteriore
requisito, secondo il quale i compiti attribuiti allo Stato ai fini
del coordinamento della finanza pubblica sono legittimi nella misura
in cui: "a) stabiliscano un "limite complessivo, anche se non
generale, della spesa corrente" per le Regioni,. b) evitino di
prevedere in modo dettagliato le modalita' per il raggiungimento
degli obiettivi".
L'affermazione richiama quanto era peraltro gia' stato espresso
nella sentenza n. 182 del 2011, secondo la quale le disposizioni
statali sono subordinate alla condizione che sia consentita
l'estrapolazione, dalle singole disposizioni, "di principi rispettosi
di uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale".
Nel considerare anche questi presupposti non sembra si possa
pervenire a un risultato che permetta di ritenere il comma 388
conforme alla Costituzione, almeno nei limiti in cui esso e' da
ritenersi applicabile alle regioni. Il ruolo infatti attribuito alla
Agenzia del demanio, non configura infatti alcun limite di carattere
generale, ma interviene in modo puntuale a limitare in via generale
l'autonomia della regione nella sua attivita' di reperimento di spazi
necessari alla sua attivita'.
La misura infatti appare sproporzionata rispetto al conseguimento
degli obiettivi nazionali di coordinamento della finanza pubblica,
perche' nella sostanza introducono un potere decisionale, attribuito
al nulla osta o alla autorizzazione preventiva dell'Agenzia del
demanio, sottraendolo alla regione. Quasi in forma sanzionatoria e
senza che vi sia stato il alcun modo la possibilita' di verificare se
effettivamente sia stato determinato un obiettivo di finanza pubblica
alle regioni anche per l'attivita' locatizia.
Senza considerare, come lo si vedra' per l'impugnazione delle
norme di cui al punto successivo, che alle regioni sono stati imposti
dei limiti all'esercizio della spesa corrente, nella quale e'
considerata anche la spesa per l'utilizzo di beni di terzi.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 496, 497,
498, 499, 500 e 501, per violazione degli artt. 117, comma III, 119,
comma I, e 120 della Costituzione.
3.1) I commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501 dell'art. 1, della
legge in argomento apportano alcune modifiche ai contenuti del patto
di stabilita' interno per quanto riguarda i limiti alla facolta' di
spesa posti in capo alle regioni, rispetto al parametro definito di
eurocompatibilita'.
Come noto, il Patto di stabilita' e crescita, introdotto nella
nostra legislazione con la legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 28,
trae origine dal processo di integrazione economica e monetaria
dell'Unione europea e non riguarda soltanto gli Stati nazionali ed i
loro equilibri finanziari, ma coinvolge tutto il sistema delle
autonomie territoriali, cioe' regioni, province e comuni.
Gli obiettivi imposti dalle regole del patto di stabilita' e
crescita devono essere condivisi da tutti i soggetti pubblici
coinvolti, chiamati a porre in essere comportamenti coerenti al fine
del comune raggiungimento di tali obiettivi. Questa condivisione e
cooperazione tra Stato, regioni ed autonomie locali comporta la
necessita' di programmare la finanza degli enti allo scopo di
partecipare alla realizzazione dei complessivi equilibri della
finanza pubblica in armonizzazione con le politiche economiche e
monetarie pensate a livello europeo.
Con riguardo alle norme citate merita, in particolare, di essere
posto in evidenza che "il complesso delle spese finali in termini di
competenza eurocompatibile, indicato dal comma 496, che va a
modificare il contenuto del comma 449 dell'articolo 1 della legge 24
dicembre 2012, n. 228, prevede che questo limite nelle "regioni a
statuto ordinario non puo' essere superiore per l'anno 2013
all'importo di 20.090 milioni di euro, per l'anno 2014 all'importo di
19.390 milioni di euro e per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017
all'importo di 19.099 milioni di euro".
La disposizione peraltro e' stata integrata rispetto alla
versione dello scorso anno dalla disposizione di cui al comma 497,
che ha inserito il comma 449 bis dopo il comma 449 della legge
228/2012.
Questa ulteriore norma, con illegittima innovazione, approva a
sua volta attraverso lo strumento legislativo una tabella contenente
limite di spesa individuale a valere, per ciascuna delle Regioni a
statuto ordinario, per gli anni dal 2014 al 2017. Ed indica che il
limite massimo di spesa per la regione veneto e' di 1.515 milioni di
euro per il 2014 e di 1.485 milioni di euro per ciascuno degli anni
2015 - 2017.
Determina, cioe' in modo cogente e predeterminato nel tempo, il
limite di spesa che le regioni si erano ripartite nell'anno recedente
attraverso un accordo in sede di Conferenza unificata stato regioni,
recepito in un provvedimento ministeriale attuativo dell'accordo e
comunque coerente con le disposizioni di legge al tempo vigenti.
3.2) Prima di rilevarne i profili di illegittimita'
costituzionale e' opportuno sottolineare che le nuove disposizioni
hanno modificato il precedente assetto che attraverso lo strumento
della legge fissava il limite di spesa euro compatibile solo in via
cumulativa, assegnando alle regioni a statuto ordinario, nel loro
insieme, l'importo da rispettare e demandando a una apposita
concertazione, da svolgersi in sede di raccordo istituzionale tra
Stato e Regioni, la determinazione dei limiti individuali per ciascun
ente sulla base dei comuni parametri predefiniti per legge.
Ai sensi dell'art. 20 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98
"Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria" il
legislatore aveva infatti previsto in via generale che: "A decorrere
dall'anno 2012 le modalita' di raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica delle singole regioni, esclusa la componente
sanitaria (...) possono essere concordate tra lo Stato e le regioni e
le province autonome (...)".
Ed aveva cosi' previsto che all'attuazione di detta disposizione
fosse dato corso a mezzo dell'emanazione di decreti del Ministro
dell'economia e delle finanze, a seguito di un'intesa raggiunta in
sede di Conferenza Unificata di cui all'articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Per contrappunto va anche rilevato che anche nella legge di
stabilita' per il 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228) all'art. 1,
comma 449, il legislatore ha fissato in termini generali "Il
complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile
delle regioni a statuto ordinario", ritenendo che il dato complessivo
"non puo' essere superiore, per ciascuno degli anni 2013 e 2014,
all'importo di 20.090 milioni, e, per ciascuno degli anni 2015 e
2016, all'importo di 20.040 milioni".
Cosi', nel pieno rispetto dei principi costituzionali di leale
collaborazione, il legislatore aveva anche previsto, nello stesso
comma 449, con una norma tuttora vigente, che "L'ammontare
dell'obiettivo di ciascuna regione in termini di competenza
eurocompatibile, per gli esercizi dal 2013 al 2016, e' determinato
dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano, recepito con decreto del
Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio di
ciascun anno e puo' assorbire quanto previsto dal comma 2
dell'articolo 20 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111".
Detta disposizione e' stata peraltro a sua emendata dalla
disposizione contenuta nella lett. c), dell'impugnato comma 496, dove
le parole "di ciascun anno" sono state sostituite dalla esposizione
dell'anno "2013".
La novellazione fa quindi venir meno per gli anni a venire, e
senza una plausibile ragione, qualsiasi possibilita' per le regioni
di rivedere i termini economico finanziari della loro partecipazione
al patto interno di stabilita', ameno per quanto riguarda la propria
capacita' individuale di spesa. Ed inoltre di non avere autonomia
decisoria nel definire la quota individuale di ciascuna essendo stata
questa imposta loro per legge fino al 2017.
Il rinvio effettuato dal menzionato inciso del comma 449
(L.228/2012) al secondo comma dell'art. 20 del decreto-legge 6 luglio
2011, n. 98, pone poi in ulteriore evidenza i criteri attraverso i
quali il legislatore ha inteso determinare i limiti individuali della
spesa posti in capo alle Regioni.
Limiti che in origine, come si e' visto, erano stati demandati
alla determinazione da parte della Conferenza unificata rapporti tra
lo Stato e le regioni e "recepiti" con proprio provvedimento del
Ministro dell'economia e delle finanze.
Ma per effetto della previsione secondo cui il predetto decreto
ministeriale avrebbe dovuto "assorbire" i criteri contenuti nel
menzionato comma 2, e' opportuno riportare la norma dello stesso
comma 2, dell'art. 20, nella sua integrita'.
Alla luce di questa disposizione infatti, tutti gli enti locali,
"Al fine di distribuire il concorso alla realizzazione degli
obiettivi (...) sono ripartiti in due classi, sulla base della
valutazione ponderata dei seguenti parametri di virtuosita': a) a
decorrere dall'anno 2014, prioritaria considerazione della
convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard; b)
rispetto del patto di stabilita' interno; c) a decorrere dall'anno
2014, incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente
dell'ente in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla
popolazione residente, alle funzioni svolte anche attraverso
esternalizzazioni nonche' all'ampiezza del territorio; la valutazione
del predetto parametro tiene conto del suo valore all'inizio della
legislatura o consiliatura e delle sue variazioni nel corso delle
stesse; d) autonomia finanziaria; e) equilibrio di parte corrente; f)
a decorrere dall'anno 2014, tasso di copertura dei costi dei servizi
a domanda individuale per gli enti locali; g) a decorrere dall'anno
2014, rapporto tra gli introiti derivanti dall'effettiva
partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale e i
tributi erariali, per le regioni; h) a decorrere dall'anno 2014,
effettiva partecipazione degli enti locali all'azione di contrasto
all'evasione fiscale; i) rapporto tra le entrate di parte corrente
riscosse e accertate; 1) a decorrere dall'anno 2014, operazione di
dismissione di partecipazioni societarie nel rispetto della normativa
vigente".
Come si vede, almeno cinque dei criteri sopra menzionati entrano
in considerazione solo a partire dal 2014 e costituiscono una
evidente diversa base di calcolo ai fini della rideterminazione dei
limiti della spesa finanziaria.
Con la irrazionale conseguenza che, cambiando nel corso del 2014,
i limiti individuali di spesa compatibile posti a carico delle
regioni negli anni avvenire a mezzo del comma 497, eludono i criteri
che si dovranno tenere conto a partire dall'anno corrente.
3.3) A margine di questo rilievo va poi aggiunto, ma in via del
tutto in via incidentale, che tutta la normativa inerente al
conseguimento degli obiettivi del patto di ha un complemento
normativo di contenuto sanzionatorio e, per converso, di carattere
premiale.
A questo riguardo, il primo comma del menzionato art. 20 del d.l.
98/2011, prevede che: "con decreto del Ministro dell'interno di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con
la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, e le regioni a
statuto ordinario, con decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze di concerto con il Ministro per gli affari regionali, di
intesa con la Conferenza Stato-regioni, sono ripartiti in due classi,
sulla base della valutazione ponderata (...)" formata secondo dei
"parametri di virtuosita'".
Cui fa seguito, nel caso di conseguimento di detta virtuosita',
ai sensi del terzo comma dell'art. 20 e "fermo restando l'obiettivo
del comparto" il riconoscimento del miglioramento dei "propri
obiettivi del patto di stabilita' interno per l'importo di cui
all'articolo 32, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183". Che
per il Veneto e' stato riconosciuto in 122,24 milioni di euro per il
2014.
Per converso a detta norma fa riscontro l'art. 7 del D.Lgs. 6
settembre 2011, n. 149, che ha invece previsto dei meccanismi
sanzionatori in caso di mancato rispetto da parte di Regioni e di
enti locali in genere dei limiti posti nell'ambito del patto di
stabilita'.
In ottemperanza all'originaria versione dell'art. 1, comma 449,
della L. 228/2012 lo scorso anno il Ministro dell'economia e delle
Finanze ha emanato il decreto 20 febbraio 2013, con il quale ha
operato per l'anno 2013 la "Ripartizione tra le Regioni a statuto
ordinario dell'obiettivo del patto di stabilita' interno per
l'esercizio 2013, espresso in termini di competenza euro compatibile
(...)" attestando che "L'ammontare dell'obiettivo di ciascuna Regione
in termini di competenza eurocompatibile, per gli esercizi dal 2013
al 2016, e' determinato dalla Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle
finanze entro il 31 gennaio di ciascun anno e puo' assorbire quanto
previsto dal comma 2 dell'art. 20 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.
111".
Il decreto era peraltro stato preceduto dalla deliberazione
assunta dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 24 gennaio
2013, che aveva formulato il riparto per ogni singola Regione in modo
comprensivo delle riduzioni previste dall'art. 16, comma 2, del
decreto-legge n. 95 del 2012 e delle risultanze dell'applicazione
dell'art. 20, commi 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,
cosi' come confermato dal predetto decreto ministeriale. 3.4) Con
riferimento al procedimento di formazione delle norme in
contestazione si ritiene inoltre utile rappresentare la circostanza
che in data 14 novembre 2013 la "Conferenza Unificata Stato, Regioni
ed Enti Locali" aveva espresso il proprio parere sul disegno di legge
recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato" (legge di stabilita' 2014 - Atto Senato n.
1120) con voto favorevole condizionato all'accoglimento di una serie
di emendamenti. (doc. n. 2).
Tra i quali l'emendamento n. 16, con il quale espressamente
veniva chiesto di sostituire la proposta contenuta all'art. 13, comma
2, del Disegno della legge di stabilita' (Atto Senato n. 1120) che
conteneva l'introduzione del comma 449 bis all'art. 1 della L.
228/2012.
Mentre invero la versione del Disegno di legge all'esame del
Senato gia' conteneva le due disposizioni che sono poi state tradotte
nei commi 496 e 497, la formula dell'emendamento sottolineava che
"L'ammontare dell'obiettivo di ciascuna regione a statuto ordinario
in termini di competenza euro compatibile" fosse determinato "per gli
esercizi dal 2014 al 2017 a seguito dell'accordo in sede di
conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e Bolzano, con decreto del Ministero
dell'Economia e delle Finanze da emanarsi entro il 31 gennaio di
ciascun anno"
L'emendamento medesimo poi proseguiva proponendo anche un diverso
criterio di identificazione del limite di spesa, correlato a una sua
piu' congrua determinazione in riferimento a un riparto del limite di
spesa
procapite, ovvero "in proporzione della popolazione residente in
ciascuna regione a statuto ordinario, alla fine del terzultimo anno
precedente, secondo i dati ISTAT".
Come si ricava dalla relazione all'emendamento, le Regioni si
erano in tal modo poste il problema di una riforma dei meccanismi di
appropriata determinazione dei limiti del patto di stabilita',
ritenendo che in questa prospettiva e' necessario "garantire
prioritariamente la piu' equa distribuzione del concorso finanziario
di ciascuna regione al mantenimento degli obiettivi di finanza
pubblica, sia in termini di competenza finanziaria che di competenza
euro compatibile".
Cio' posto, e fuori dai contenuti di questa digressione, emerge
comunque la circostanza che, per il fatto che tale emendamento non
sia stato accolto, determina come il parere sul disegno di legge
espresso dalle regioni in sede di Conferenza unificata sia nella
sostanza negativo.
Nel merito la contestazione proveniente dalle regioni riguarda
non solo la determinazione del riparto individuale ex lege, ma anche
la circostanza che l'assegnazione degli importi alle varie Regioni
sorge dalla volonta' di rimuovere l'irrazionale criterio adottato in
precedenza e che porta alla circostanza che il limite di spesa euro
compatibile varia da regione a regione in maniera particolarmente
sperequata.
Prendendo a riferimento il criterio demografico risulta infatti
che il limite di spesa per il Veneto e' di 312 euro pro capite e
quello della Lombardia di 311. Mentre la media nazionale e' di 348
euro pro capite.
Al contrario altre regioni godono di disponibilita' ben piu'
ampie, fono al caso dell'Umbria o della Basilicata che godono di una
disponibilita' di spesa pro capite di quasi il triplo rispetto alla
Regione Veneto.
=====================================================================
| Regione | Popolazione | Limite | Rapporto |
+================+=================+===================+============+
| Piemonte | 4.357.663 | 1.928.000.000 | 442,00 |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
| Liguria | 1.567.339 | 714.000.000 | 455,00 |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
| Abruzzo | 1.306.416 | 673.000.000 | 515,00 |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
| Calabria | 1.958.418 | 1.022.000.000 | 521,00 |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
| Umbria | 883.215 | 548.000.000 | 620,00 |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
| Molise | 313.145 | 261.000.000 | 833,00 |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
| Basilicata | 577.562 | 539.000.000 | 934,00 |
+----------------+-----------------+-------------------+------------+
Cosi', ad esempio, si riportano le dimensioni di spesa curo
compatibile assegnate con la tabella approvata con il comma 497, in
rapporto alla consistenza demografica delle singole regioni piu'
beneficiate.
Si tratta di limiti di spesa corrente che riguardano regioni
piccole, con costi generali piu' alti, o che provengono da situazioni
di indebitamento
A questo riguardo si ricava dall'esame del verbale della seduta
della conferenza unificata del 14 novembre che in quella sede il
rappresentante della Regione Veneto, l'assessore al Bilancio, Roberto
Ciambetti, abbia espresso "la preoccupazione della regione Veneto in
ordine alla tabella di cui all'articolo 13, comma 2, della legge di
stabilita', che sara' utilizzata per il riparto del patto di
stabilita' tra le Regioni: segnala infatti che vi sono alcuni
stanziamenti che, pur transitando nel bilancio della sua Regione, non
sono nella disponibilita' della Regione medesima, e che pero' vengono
considerate al fine del rispetto dei limiti del patto, e finiscono
percio' per rappresentare un serio ostacolo all'attivita'
amministrativa".
Il riferimento e' alla circostanza che le basi di calcolo
utilizzate derivano da dati storici, rilevati attraverso l'impiego
della tabella allegata all'art. 19 bis del decreto legge n. 135/2009,
disposizione con la quale il legislatore statale, aveva previsto che
le Regioni e le Province autonome trasmettessero alla Commissione
tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di cui
all'articolo 4 della legge n. 42 del 2009, i dati relativi agli
accertamenti e agli impegni, nonche' agli incassi e ai pagamenti,
risultanti dai rendiconti degli esercizi 2006, 2007 e 2008.
I dati di riparto approvati per legge si riferivano pertanto a
rilevazioni storiche, riferiti a un periodo antecedente alla crisi
economica e non pertinenti ai fini della individuazione della
capacita' di spesa delle singole regioni, perche' riferiti a frazioni
temporali nelle quali non esistevano canoni conformi e cogenti di
pareggio di bilancio.
3.5) Alla luce della rappresentata evidenziazione si ritiene di
formulare le seguenti censure di incostituzionalita'.
a) Violazione del principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 della Costituzione in relazione agli art. 117, comma 5,
e 119, comma 1 della stessa, nell'adozione dei commi 496 e 497
dell'art. 1 della L. 147/2013.
L'insieme delle tre disposizioni costituzionali menzionate
prevede, che le (art. 119, primo comma) le "Regioni hanno autonomia
finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei
relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli
economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione
europea".
A sua volta l'art. 120 richiama, nell'ambito degli opportuni
raccordi tra enti di rilevanza costituzionale e nel rapporto di
sussidiarieta', lo la pratica del principio di leale collaborazione
tra gli enti pubblici, che informa un'ampia e variegata gamma di
strumenti di raccordo e relazione e forme e moduli procedimentali,
idonei a garantire l'esercizio coordinato delle rispettive
attribuzioni. Modalita' che si traducono in obblighi di informazione
reciproca, consultazioni informali, pareri, intese, conferenze di
servizi, convenzioni, accordi di programma.
L'art. 117, comma 5, a sua volta prevede che "le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro
competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli
atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e
all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione
europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge
dello Stato (...)".
Alla luce di queste disposizioni corre il rilevo che la
disposizione del comma 449 dell'art. 1 della L. 228/2012, non
costituisce solo una norma di carattere economico appartenente alla
legge di finanziaria (o di c.d. stabilita', dalla piu' recente
definizione) ma va rilevato come piuttosto essa sia direttamente
applicativa del Patto di stabilita' imposto dalla Comunita' europea e
recepito disciplinato a mezzo della L. 448/1998 e s.m.i..
Da questa legge proviene il potere di limitazione della facolta'
di spesa posto dallo Stato alle singole regioni.
Poiche', dunque, le norme che impongono i limiti di spesa
provengono dal rispetto dei vincoli di appartenenza all'Unione
europea, si pone il problema del rispetto della partecipazione delle
singole regioni all'attuazione e all'esecuzione degli atti
dell'Unione europea, come previsto dal menzionato comma 5 dell'art.
117. Coerentemente la versione originaria del comma 449, risalente
alla previsione contenuta nella legge 228/2012, aveva stabilito
limite complessivo delle possibilita' di spesa delle regioni ed aveva
lasciato, nel rispetto delle loro autonomie la facolta' di
partecipare alla determinazione dei limiti individuali posti in capo
a ciascuna.
Tale facolta' era coerente con principi di leale collaborazione e
sussidiarieta', espressi nel testo costituzionale e ripresi nella
originaria versione dello stesso comma 449, dove e' tuttora previsto
che sia la Conferenza unificata a determinare 'l'ammontare
dell'obiettivo di ciascuna regione in termini di competenza euro
compatibile".
Essa appare coerente anche con il testo dell'art. 117, comma 5,
perche' fa parte della possibilita' dallo stesso prevista in capo
alle regioni di partecipare alle decisioni dirette a dare attuazione
ed esecuzione agli accordi presi in sede comunitaria dallo stato
nazionale. E non stride con la versione novellati del primo comma
dell'art.119 Cost., che a sua volta prevede che siano le stesse
regioni di concorrere, "ad assicurare l'osservanza dei vincoli
economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione
europea.
Al contrario la modifica apportata al comma 449 da parte del
comma 496 della L. 147/2013 e l'introduzione della tabella
contemplata nel comma 497, che inserisce il comma 449 bis nel testo
della legge 228/2012, sono in palese contrasto con questi principi.
b) La nuova formulazione dell'art. 119 cosi' come sopra riportata
collega i comportamenti di bilancio delle regioni all'obiettivo
comune all'intera nazione di collaborare nel comune interesse al
raggiungimento degli obiettivi comunitari, ma al contempo esalta la
loro posizione di autonomia, che viene sancita dal verbo "concorre".
Espressione semantica che non rappresenta affatto un vincolo di
subordinazione diretta alle disposizioni del governo nazionale.
A fronte di questa impostazione va peraltro anche evidenziato che
la formulazione per legge del limite di spesa, sia individuale che
cumulativo, non solo non e' avvenuto nell'ambito del processo
collaborativo previsto dalle disposizioni Costituzionali e nella
originaria versione del comma 449, ma con uno strumento
costituzionalmente incompatibile.
Secondo quanto previsto dell'art. 9, comma 2, lett. a), punto 1,
della L. 28 agosto 1997, n. 281, la Conferenza Unificata il 14
novembre 2014 ha espresso un parere nell'ambito del procedimento
rivolto alla approvazione della legge di stabilita'.
Per l'attivita' di concorrenza prevista in capo alle regioni e
per i contenuti dell'art, 117, comma quinto, si ritiene invece che
necessitasse, sulla determinazione dei limiti individuali in capo a
ciascuna regione, lo strumento dell'intesa previsto al successivo
punto c) del comma 1 dell'art. 9 della L. 281/1997. Questo in quanto
la determinazione dei limiti di spesa a carico delle regioni
riguardava il concorso di queste all'esercizio - in uno con lo stato
centrale - delle rispettive competenze" e lo svolgimento "in
collaborazione attivita' di interesse comune".
c) Si pone a questo punto l'accento sulla circostanza che codesta
ecc.ma Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza anche recente
(cfr. sent. 39/2013), ha enucleato una serie di principi, che
incidono direttamente sulla fattispecie oggetto del presente
giudizio.
Tra questi ha evidenziato come nel caso in cui sia prescritta una
intesa "in senso forte" tra Stato e Regioni - ad esempio, per
l'esercizio unitario statale, in applicazione del principio di
sussidiarieta', di funzioni attribuite alla competenza regionale - il
mancato raggiungimento dell'accordo non legittima, di per se',
l'assunzione unilaterale di un provvedimento sostitutivo. Essa ha
piuttosto ritenuto che tali fattispecie si risolvano in "atti a
struttura necessariamente bilaterale", non sostituibili da una
determinazione del solo Stato (sentenza n. 383 del 2005).
Ed ha altresi' osservato come l'assunzione unilaterale dell'atto
impositivo non possa essere prevista come "mera conseguenza
automatica del mancato raggiungimento dell'intesa", con cio' causando
un sacrificio della sfera di competenza costituzionalmente attribuita
alla Regione (sentenza n. 179 del 2012).
Cosi' come se l'esigenza di garantire il rispetto del patto di
stabilita' comunitario pone a un livello unitario e nazionale
l'esercizio degli interessi in gioco, non per questo la scelta
operata dal legislatore rende legittimo il superamento dei limiti
alla potesta' legislativa posta in capo allo Stato e alle regioni, in
quanto detto superamento "puo' aspirare a superare il vaglio di
legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che
prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono essere condotte in base al principio di lealta'" (sentenza n.
303 del 2003).
Per la rappresentata ragione i commi 496, 497, 498, 499, 500 e
501, dell'art. 1 della L. 147/2013, che hanno imposto limiti
all'autonomia regionale nella determinazione dei limiti di spesa euro
compatibile appaiono incostituzionali nella loro integrita' perche'
in violazione del combinato parametro dettato dagli artt. 119, comma
1, 117, comma 5 e 120 della Costituzione.
3.6) Per altro verso non si puo' non rappresentare che alla luce
delle stesse norme di rango costituzionale (per la precisione degli
art. 117, commi 3 e 4, 119, comma 1) si e' determinata una indebita
limitazione della competenza amministrativa della regione. La quale,
per effetto dei commi 496, 497, 498, 500 e 501 ha anche subito una
invasione esterna delle proprie competenza essendole stato imposto
dallo Stato una riduzione della propria funzione amministrativa, in
termini di etero imposizione di un limite di spesa, altrimenti
riconosciuta come espressione dell'autonomia costituzionale della
regione medesima.
3.7) Un ulteriore motivo di censura, nasce dal riscontro relativo
allo scarso coordinamento del testo normativo del comma 449 e dei
successivi, in conseguenza dell'applicazione dei commi 496 e seguenti
della L. 147/2013.
Il nuovo testo coordinato del comma 449, a seguito delle
modifiche introdotte dalle lettere a), b) e c) del comma 496 citato,
recita nel seguente modo: complesso delle spese finali in termini di
competenza eurocompatibile delle regioni a statuto ordinario, non
puo' essere superiore, per l'anno 2013 all'importo di 20.090 milioni
di euro, per l'anno 2014 all'importo di 19.390 milioni di euro e per
ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 all'imposto di 19.099 milioni
di euro. L'ammontare dell'obiettivo di ciascuna regione in termini di
competenza eurocompatibile, per l'esercizio 2013, e' determinato
dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano, recepito con decreto del
Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio 2013 e
puo' assorbire quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 20 del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. In caso di mancata deliberazione
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano, il decreto del Ministero
dell'economia e delle finanze e' comunque emanato entro il 15
febbraio 2013, ripartendo l'obiettivo complessivo in proporzione
all'incidenza della spesa espressa in termini di competenza
eurocompatibile di ciascuna regione, calcolata sulla base dei dati,
relativi al 2011, trasmessi ai sensi dell'articolo 19-bis, comma 1,
del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, e, ove
necessario, sulla base delle informazioni trasmesse dalle Regioni
attraverso il monitoraggio del patto di stabilita' interno del 2011".
(Le sottolineature sono state apposte per evidenziare le parti
modificate)
Da questa esposizione emerge che la novella ha introdotto, in
modo contraddittorio e irragionevole, una doppia disciplina per il
governo della stessa attivita', che e' stata diversificate a seconda
degli anni di riferimento.
Infatti con riferimento al 2013 l'attuale disposizione prevede,
per la determinazione del limite della spesa eurocompatibile il
conseguimento di un'intesa nell'ambito della Conferenza Unificata
Stato - Regioni. Mentre da tale intesa, pare che il legislatore
nazionale ha inteso prescindere predeterminando per legge il limite
di spesa per gli anni successivi.
Ed e' evidente l'irrazionalita' e l'irragionevolezza di una
simile disposizione, che a parte la definizione del limite
complessivo di spesa per gli anni a venire, non fa altro che
descrivere una procedura riferita al 2013. In contrasto con il
contenuto dell'art. 11 delle preleggi essa, dunque, ha
disciplinato... il passato.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. art. 1, comma 518, per
violazione degli artt. 3, 11, 23, 117, I comma, e 120 della
Costituzione.
4.1) Il comma 518 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 29013
n. 147, ha ampliato la capacita' impositiva e fiscale gia'
riconosciuta alle province di Trento e Bolzano dallo Statuto per il
Trentino Alto-Adige, come ricompreso nel Testo unico approvato con
D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, soprattutto con il prevedere
l'elisione del riferimento ai limiti stabiliti dall'art. 5 del
medesimo D.P.R. che, in un'ottica di unita' e di eguaglianza,
sottoponeva comunque la potesta' legislativa regionale in materia di
finanza locale, ai principi stabiliti dalle leggi dello Stato.
Il comma sostituisce il precedente articolo 80, relativo alla
competenza in materia tributaria della Regione Trentino - Alto Adige,
di fatto attribuendole una funzione piena nell'ampio numero di
materie di sua competenza.
Questo intervento legislativo interviene nel mezzo di un continuo
confronto confinario per lo status di grande e generale agevolazione
che godono gli operatori economici, soprattutto quelli alberghieri
delle province di Trento e Bolzano, rispetto agli operatori veneti e
lombardi limitrofi.
L'oggetto del disagio attiene al diverso regime agevolazioni sia
dirette, attraverso importanti finanziamenti, sia indirette,
attraverso un trattamento tributario gia' ampiamente favorevole,
goduto dai colleghi trentini ed altoatesini. Con la conseguenza che
le diverse opportunita' finanziarie e fiscali incidono profondamente
sui fondamentali delle imprese che operano nello stesso settore
turistico e in un territorio omogeneo, sovvertendo ogni canone di
sana ed effettiva concorrenza.
Basti considerare la zona dolomitica dove l'attivita' turistica
riveste un ruolo essenziale nell'economia locale e montana. Nella
quale, a fronte di un unico bacino territoriale, sono presenti
imprese che invece operano muovendo da presupposti economici
fortemente disomogenei e diversificati in base alla loro residenza.
Tale condizione e' in manifesto contrasto con il diritto
comunitario e, in particolare, con quanto affermato dall'art. 16
della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea, dove si
afferma e tutela il riconoscimento della "liberta' d'impresa,
conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi
nazionali".
Affermazioni di principio, quelle comunitarie, che riguardano
anche l'obiettivo di conseguire la coesione sociale ed economica
oppure il canone della libera concorrenza (cfr. il Trattato
istitutivo della Unione europea - c.d. di Roma, art. 82 che dichiara
"incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui
possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo
sfruttamento abusivo da parte di una o piu' imprese di una posizione
dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo".
Con cio' indicando tra le pratiche discriminatorie (alinea 2, punto
c), l'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti
condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando cosi'
per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza").
Che sul lago di Garda o nel comprensorio delle Dolomiti sia in
atto una alterazione della libera concorrenza per il sostegno che le
autonomie locali possono garantire alle loro imprese e' cosa
assodata. Basti per tutti il richiamo all'articolo immediatamente
precedente a quello dello statuto trentino modificato dal comma 518,
qui impugnato, il numero 79, che ha previsto al comma 1, lett. c)
l'istituzione di un fondo perequativo a favore dei territori
confinanti, e che e' destinato alle politiche di investimento e di
coesione sociale, avente per oggetto: "il finanziamento di iniziative
e di progetti, relativi anche ai territori confinanti,
complessivamente in misura pari a 100 milioni di euro annui a
decorrere dall'anno 2010 per ciascuna provincia".
A fronte di questa situazione, e del tutto asimmetricamente
rispetto alle Regioni a Statuto ordinario, il comma 518 dell'art. 1,
della L. 147/2013, concorre a realizzare un ulteriore squilibrio
strutturale, che si ritiene, anche in termini di conformita' alla
Costituzione, del tutto incompatibile, perche' contrastante con il
principio di unitarieta' ed indivisibilita' della Repubblica, di
eguaglianza sostanziale nei confronti della legge, sia con i
principi, di derivazione comunitaria, enucleati in materia di
attrattivita' territoriale e rilevanti nell'ordinamento interno in
base a quanto disposto dall'art.117, comma 1, della Costituzione.
Il comma in questione, introduce infatti un regime fiscale
differenziato, che altera le condizioni economiche e patrimoniali
degli operatori economici, e configura una violazione degli artt. 3,
23 ed 11 della Costituzione, in quanto procura una discriminazione
economica, ingiustificata su base territoriale che incide sulle
liberta' fondamentali riconosciute dall'Unione europea.
4.2) Come detto la disposizione del comma 518, va a modificare il
primo comma dell'art. 80 del D,P,R. 670/1972, il Testo unico che
contiene lo statuto di specialita' della regione Trentino - Alto
Adige, e permette alle due Province autonome non solo di introdurre
dei tributi locali al di fuori dall'abito in precedenza circoscritto
alle materie di cui all'art. 5 (ordinamento delle istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza e ordinamento degli enti di
reddito fondiario e di credito agrario, delle Casse di risparmio e
delle Casse rurali, nonche' delle aziende di credito a carattere
regionale), ma di disciplinare, al comma 2 dell'art. 80, tutti i
tributi, tra i quali anche quelli "locali comunali di natura
immobiliare istituiti con legge statale, anche in deroga alla
medesima legge (!) definendone le modalita' di riscossione"
consentendo "agli enti locali di modificare le aliquote e di
introdurre esenzioni, detrazioni e deduzioni".
Da qui l'interesse e la legittimazione della Regione Veneto alla
presentazione del presente motivo di impugnazione, ancorche' la
disposizione sia operante al fuori dai propri confini territoriali,
in quanto la norma condiziona e altera le proprie politiche per il
turismo e la montagna, che sono state gia' ampiamente condizionate
dalle situazione storiche di vantaggio economico riconosciuto dallo
statuto trentino al turismo locale.
Tant'e' che, in attuazione dell'art. 79 del DPR 670/1972, sopra
menzionato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha emanato il
Decreto 14 gennaio 2011 dal titolo "Modalita' di riparto dei fondi
per lo sviluppo dei comuni siti nelle regioni Veneto e Lombardia
confinanti con le provincie autonome di Trento e Bolzano", che
prevede, come riporta l'art. 1, "Il presente decreto, in attuazione
dell'articolo 2, commi 117, 118, 119, 120 e 121, della legge 23
dicembre 2009, n. 191, di seguito denominata «legge», assicura il
concorso delle province autonome di Trento e di Bolzano al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e solidarieta',
attraverso il finanziamento di progetti, di durata anche pluriennale,
per la valorizzazione, lo sviluppo economico e sociale,
l'integrazione e la coesione dei territori dei comuni appartenenti
alle province di regioni a statuto ordinario confinanti
rispettivamente con la provincia autonoma di Trento e con la
provincia autonoma di Bolzano, con un intervento finanziario da parte
di ciascuna di esse determinato nella somma di 40 milioni di euro
annui ciascuna".
In tale decreto sono ammessa a finanziamento (art. 3) "i comuni
della regione Veneto e quelli della regione Lombardia confinanti con
la provincia autonoma di Trento o con la provincia autonoma di
Bolzano".
Con cio' incidendo direttamente sulle competenze regionali venete
perche' i finanziamenti sono erogati per progetti (cfr. art. 8) su
progetti di competenza della stessa Regione in quanto riguardano
ambiti inerenti a: "il sostegno sociale, assistenziale, abitativo o
educative; (...) che favoriscano l'occupazione giovanile o
l'attivita' imprenditoriale giovanile; che favoriscano il turismo;
(...) che garantiscano la crescita complessiva dei territori di
confine; (...) lo sviluppo delle zone svantaggiate e delle aree
montane (...); che garantiscano la sostenibilita' dei risultati a
vantaggio dei cittadini e delle imprese; che valorizzino il
territorio e al contempo migliorino il sistema Paese; che dimostrino
la coerenza delle azioni degli enti locali con i piani regionali".
4.3) La norma in questione e' percio' da ritenersi in violazione
delle norme Costituzionali accennate, perche' lesiva sia dei diritti
tutelati dal diritto comunitario, primo tra tutti quello della
liberta' di impresa, ma anche quello alla coesione sociale e a tutti
i diritti i cui ambiti di intervento sono finanziati a mezzo
dell'art. 79 dello statuto trentino a favore delle popolazioni
confinanti. E, quindi degli art. 117, primo comma, 23 e 11 della
Costituzione.
Ma perche', soprattutto attua un processo di c.d.
"discriminazione inversa", in contrasto con l'art. 3, secondo comma
della Costituzione, dove l'azione ritenuta positiva, ovvero la
possibilita' di conseguire un beneficio fiscale, si innesta su una
situazione di ampio vantaggio economico, comunque garantito dallo
statuto di autonomia trentina e dai relativi trasferimenti
finanziari. La norma dunque non avvantaggia i beneficiari piu' di
quanto discrimina le popolazione confinanti per i rilevanti ulteriori
differenziali economici che saranno causati dal diverso regime
fiscale attivabile in Trentino in deroga a quello nazionale,
attraverso l'ingiusta previsione contenuta nel secondo comma
dell'art. 80 novellato dello statuto trentino.
Il tutto con una ricaduta diretta anche sul bilancio regionale
veneto che sara' costretto ad intervenire in via perequativa per
rimuovere le ulteriori differenze territoriali.
Ma ancora, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, si
rileva l'irragionevolezza della novella dell'art. 80, che nel preteso
interesse di rendere vantaggio a una situazione territoriale
garantita normativamente per le sue peculiarita' territoriali e
culturali, finisce con il finanziare un fondo che e' rivolto a
ridurre gli svantaggi causati da tali opportunita'.
Per queste ragioni si ritiene che il comma 518 sia in contrasto
con il combinato disposto degli art. 117, primo comma, 23, 11 e 3,
secondo comma, della Costituzione.
E che sia comunque in contrasto con l'art. 3, commi 1 e 2, della
stessa Carta costituzionale.
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. art. 1, comma 557, per
violazione degli artt.117, commi III e IV, della Costituzione
5.1) Il comma 557 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante
"Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2014)" ha sostituito il comma 2 bis
dell'articolo 18 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito. con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,
statuendo in materia di reclutamento del personale delle 'societa'
pubbliche', tra l'altro, che "Fermo restando quanto previsto
dall'articolo 76, comma 7, del presente decreto, gli enti locali di
riferimento possono escludere, con propria motivata deliberazione,
dal regime limitativo le assunzioni di personale per le singole
aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi
socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l'infanzia,
culturali e alla persona (ex IPAB) e le farmacie, fermo restando
l'obbligo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di risparmio
e di contenimento della spesa di personale."
Tale disposizione di legge risulta violativa della competenza
legislativa regionale sotto un duplice connesso profilo. Lede,
infatti, al contempo il comma 3 e il comma 4 dell'art. 117 della
Costituzione della Repubblica italiana, e, in via mediata, pur anche
l'art. 118 della Costituzione, traslando irragionevolmente e in
violazione dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza una
competenza amministrativa propria della Regione a favore di enti
locali sub-regionali.
Quanto al primo profilo d'illegittimita' costituzionale, giova
ricordare, in via preliminare, che la disciplina delle ex IPAB
rientra nella materia "socio-assistenziale" ovvero della "assistenza
e beneficenza" (v., ex multis, Corte Costituzionale n. 195 del 28
aprile 1992). Per cui, a seguito della riforma del Titolo V° della
Costituzione della Repubblica italiana, essa deve ritenersi devoluta
alla competenza legislativa residuale ed esclusiva delle Regioni.
Nondimeno, l'incidenza della disposizione statale impugnata su un
ambito materiale di competenza residuale regionale, quale e' quello
concernente le ex IPAB, non esclude, di per se', la legittimita'
dell'intervento legislativo e impone, invece, di vagliare in via
preliminare la materia di appartenenza della disposizione legislativa
sottoposta all'esame della Corte Costituzionale.(Corte cost. n. 237
del 24 luglio 2009)
Di fatti, "la giurisprudenza costituzionale ha precisato che, nel
caso in cui una normativa interferisca con piu' materie attribuite
dalla Costituzione, da un lato, alla potesta' legislativa statale e,
dall'altro, a quella concorrente o residuale delle Regioni, occorre
preliminarmente individuare l'ambito materiale che possa considerarsi
nei singoli casi prevalente. E, qualora non sia individuabile un
ambito materiale che presenti tali caratteristiche, la suddetta
concorrenza di competenze, in assenza di criteri contemplati in
Costituzione, giustifica l'applicazione del principio di leale
collaborazione, il quale deve, in ogni caso, permeare di se' i
rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie" (sentenza n. 50
del 2008)
5.2) Nel caso di specie, sulla base di tali parametri di
riferimento e alla luce della collocazione geografico-normativa,
potrebbe farsi rientrare la disposizione in parola nell'ambito della
materia concorrente del "coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario", come peraltro pare fare la stessa Corte
Costituzionale in altra decisione. (n. 161 del 27 giugno 2011)
A tale specifico riguardo e' stato, poi, sottolineato che "una
disposizione statale di principio, adottata in materia di
legislazione concorrente, quale quella del coordinamento della
finanza pubblica, puo' incidere su una o piu' materie di competenza
regionale, anche di tipo residuale, e determinare una, sia pure
parziale, compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le
competenze legislative e amministrative delle Regioni" (ex multis,
sentenze n. 159 del 2008; n. 181 del 2006 e n. 417 del 2005).
In tal caso, pero', sara' necessario verificare in concreto
l'atteggiarsi del rapporto tra la norma statale e la competenza
regionale, ossia occorrera' accertare se la prima sia rimasta nei
limiti imposti alla normazione di principio. Limiti i quali impongono
che si prescrivano esclusivamente criteri ed obiettivi, mentre alla
normativa regionale spettera' l'individuazione degli strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (n. 181 del
2006).
Nello specifico Caso della materia del coordinamento della
finanza pubblica, perche' risultino rispettati tali limiti, occorre
che ricorrano due condizioni: in primo luogo, che le nonne statali si
limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel
senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non
generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano
in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei
suddetti obiettivi (sentenze n. 289 e n. 120 del 2008, n. 139 del
2009).
In proposito e come ulteriore requisito-limite, la Corte ha anche
attenuato che la specificita' delle prescrizioni, se di per se' non
puo' escludere il carattere di principio di una norma, occorre pero'
che "risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di
coessenzialita' e di necessaria integrazione" (sentenza n. 430 del
2007).
5.3) Alla luce di tale ricostruzione di principio, e passando a
esaminare il caso di specie, si puo' rilevare in primo luogo che la
disposizione statale impugnata non solo e' priva del carattere della
generalita' e della teleologia funzionale richieste a una norma che
dovrebbe essere mero principio fondamentale di legislazione, ma
addirittura costituisce una puntuale e specifica eccezione alla
regola generale imposta dalla norma medesima in via generale al fine
del contenimento della spesa pubblica.
In secondo luogo, manca quel rapporto di coessenzialita' e di
necessaria integrazione con la normazione di principio e con i fini
generali di coordinamento della finanza pubblica sottesi alla stessa,
come evidenziato dalla clausola di salvaguardia posta a conclusione
della norma, che limita infatti l'operativita' dell'eccezione in
parola sulla base del criterio del "raggiungimento degli obiettivi di
risparmio e di contenimento della spesa di personale". Il che fa
propendere per una sostanziale estraneita' di tale disposizione
rispetto alla stessa materia concorrente del coordinamento della
finanza pubblica.
Ossia la norma in parola, per il suo carattere eccezionale e
derogatorio, sembra addirittura esulare in senso stretto dalla
materia del coordinamento della finanza pubblica e invece rientrare a
pieno diritto nella materia della "assistenza e beneficenza", la
quale pero' e' riservata alla competenza legislativa regionale
esclusiva. Con la conseguenza che quest'ultima pare lesa in via
diretta per violazione dell'art. 117, comma 4 della Costituzione,
introducendo la norma statale una puntuale disciplina in materia
sottratta alla propria competenza, e in contrasto con la vigente
legislazione regionale e pur anche statale in materia, come di
seguito sara' evidenziato.
Peraltro, anche qualora si volesse ritenere la disposizione in
parola sussumibile nella materia di legislazione concorrente,
comunque essa, esorbitando dall'ambito proprio della normazione di
principio dovrebbe comunque ritenersi illegittima ex art. 117, comma
3 della Costituzione.
5.4) Che la norma in parola risulti materialmente lesiva della
competenza regionale emerge, poi, esaminandone il contenuto, in
quanto la stessa attribuisce una competenza gestionale, con evidenti
ripercussioni organizzatorie, agli "enti locali di riferimento",
anziche' alle Regioni. E cio', pur non avendo lo Stato potesta' per
compiere un tale attribuzione, rientrando la relativa materia nella
competenza esclusiva regionale.
Le c.d. ex IPAB, infatti, sia nella forma della Azienda di
servizio di cui al D. Lgs. 4 maggio 2001, n. 207 sia nella forma di
persona giuridica di diritto privato non possono in nessuna caso
essere ricondotte all'ambito potestativo pubblico degli enti locali
(si veda a tal riguardo la puntuale ricostruzione fatta dal Consiglio
di Stato nella decisione n. 661 del 2009).
Peraltro, tali enti sono, come rilevato dalla stessa Corte
Costituzionale nella recente decisione n. 161 del 27 giugno 2012,
"enti infraregionali connotati da una gestione di tipo
imprenditoriale delle proprie risorse, connotati da una elevata
peculiarita'", il che pur permettendo l'applicabilita' delle regole
degli enti locali agli stessi, non ne consente l'assimilazione a
questi ne' li vedi sottoposti alla potesta' di questi ultimi.
Conferma di cio' si ricava dalla stessa legislazione statale che,
nel fondamentale D. Lgs. 4 maggio 2001, n. 207, recante "Riordino del
sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza",
attribuisce o, rectius, riconosce alle Regioni molteplici competenze
in ordine al funzionamento, all'organizzazione, alla disciplina,
anche finanziaria e contabile delle ex IPAB. Basti pensare che gli
statuti e i regolamenti di organizzazione delle stesse, aventi un
ruolo fondamentale in ordine al governo delle Aziende in questione,
devono essere inviati alla Regione, che li approva nel termine e con
le modalita' previste dalle leggi regionali. Nessuna diretta
competenza e' invece prevista per gli enti locali "di riferimento".
Con specifico riguardo, poi, al personale l'art. 11 del medesimo
decreto legislativo statuisce che "i requisiti e le modalita' di
assunzione del personale sono determinati dal menzionato regolamento
di organizzazione" e, quindi sono sottoposti all'approvazione
regionale.
5.5) Quanto alla legislazione regionale, essa conferma il
riconoscimento in capo alla Regione di compiti di programmazione,
indirizzo, controllo e vigilanza, che risulterebbero vanificati
qualora in modo improprio venisse attribuito agli enti locali un
potere gestorio-organizzatorio sulle ex IPAB, in assenza di qualsiasi
coordinamento con l'ente regionale sovraordinato (art. 129 legge
regionale 13 aprile 2001, n. 11; art. 3 Legge regionale 16 agosto
2007, n. 23)
Alla luce di cio', l'attribuzione di una competenza agli enti
locali di riferimento in ordine alla possibile deroga al regime
limitativo delle assunzioni di personale appare non solo violativa
della competenza legislativa regionale ex art. 117, commi 3 e 4 della
Costituzione, ma anche lesiva delle prerogative riconosciute alla
Regione dall'art. 118 Cost., in particolare per violazione dei canoni
di sussidiarieta' e adeguatezza, cosi' come interpretati dalla Corte
costituzionale. (decisione n. 6 del 13 gennaio 2004)
In un sistema di competenze e funzioni amministrative, come
quello delineato dalla legislazione statale e regionale in materia di
ex IPAB, tale traslazione di competenza a favore degli enti locali di
riferimento appare, infatti, priva sia del richiesto requisito della
ragionevolezza che di quello teleologico della migliore tutela
dell'interesse pubblico sotteso alla competenza amministrativa sia
infine della necessaria consensualita' in ordine all'attribuzione di
competenza, sotto forma di previo accordo con le Regioni.
Onde superare i plurimi vizi di costituzionalita' evidenziati
pare possibile prospettare un'esegesi costituzionalmente orientata
della norma impugnata, nel senso che la stessa utilizzi il termine
"enti locali di riferimento" in modo generico, ossia tale da poter
ricomprendere nel suo ambito semantico giuridico le stesse Regioni e
da vincolare le determinazioni degli altri enti locali di riferimento
ad un assenso da parte della Regione, quale ente competente alla
disciplina al controllo e alla vigilanza delle ex IPAB.
P.Q.M.
Voglia accogliere le richieste presentate nel ricorso indicato in
epigrafe e dichiari l'illegittimita' costituzionale dei commi 325,
388, 496, 497, 498, 499, 500, 501, 518 e 557, dell'art. 1, della
legge 27 dicembre 2013, n. 147.
Si depositano:
1) atto di autorizzazione alle liti;
2) parere della Conferenza unificata Stato Regioni Enti
Locali del 14 novembre 2013.
Venezia - Roma 24 febbraio 2014.
Avv. Zanon - Avv. Manzi