Ricorso n. 23 del 12 febbraio 2015 (Presidente del Consiglio dei ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 12 febbraio 2015 (del Presidente del Consiglio dei
ministri).
(GU n. 12 del 2015-03-25)
Ricorso dello Stato - Presidenza del Consiglio dei Ministri (c.f.
…), in persona del Presidente pro tempore, domiciliato in
Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello
Stato (c.f. …, fax … e PEC
…), che lo rappresenta e difende ope
legis, previa delibera del Consiglio dei Ministri del 29 gennaio 2015
e allegata relazione;
Contro Regione autonoma Trentino-Alto Adige (c.f. …),
in persona del Presidente pro tempore, dom.to per la carica in
Trento, Via Gazzoletti n. 2;
Per l'annullamento legge della Regione Trentino-Alto Adige del 9
dicembre 2014 n. 11, BUR 49 del 9 dicembre 2014, articolo 11 e
articolo 16.
In diritto
La legge regionale in esame presenta i seguenti profili
d'illegittimita' costituzionale:
Violazione art. 117, III comma Cost.
1) L'art. 11, che sostituisce il comma 1 dell'articolo 58 della
legge regionale n. 4 del 1993, prevede che «Dall'entrata in vigore
del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la
semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza
degli uffici giudiziari) una quota del provento annuale dei diritti
di segreteria spettante al comune, per gli atti di cui ai numeri 1,
2, 3, 4 e 5 della tabella D allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604
e successive modificazioni, e' attribuita al segretario comunale
rogante in misura pari al settantacinque per cento e fino ad un
massimo di un quinto dello stipendio in godimento».
La norma regionale in esame contrasta con le disposizioni
contenute nell'art. 10 del menzionato d.l. n. 90 del 2014, convertito
in legge n. 114 del 2014, che dispone, secondo quanto recita la
rubrica, l'«abrogazione dei diritti di rogito del segretario comunale
e provinciale e abrogazione della ripartizione del provento annuale
dei diritti di segreteria», e prevede in particolare al comma 2-bis
che «Negli enti locali privi di dipendenti con qualifica
dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno
qualifica dirigenziale, una quota del provento annuale spettante al
comune ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 15
novembre 1973, n. 734, come sostituito dal comma 2 del presente
articolo, per gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 5 della tabella D
allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604, e successive
modificazioni, e' attribuita al segretario comunale rogante, in
misura non superiore a un quinto dello stipendio in godimento».
La norma regionale in esame, disponendo, con previsione
retroattiva, che una quota del provento annuale dei diritti di
segreteria spettanti al Comune sia attribuita «ai segretari comunali
roganti», comprende nel novero dei segretari comunali che hanno la
qualifica dirigenziale, nonche' i segretari comunali che prestano la
propria attivita' lavorativa in enti locali dotati di dipendenti con
qualifica dirigenziale, categorie queste che sono invece
espressamente escluse dal menzionato comma 2-bis dell'art. 10 del
d.l. n. 90 del 2014.
La norma regionale in esame, pertanto, estendendo il diritto di
rogito a tutti i segretari comunali, siano essi dirigenti o non
dirigenti, contrasta con la nuova disciplina introdotta dall'art. 10
del d.l. n. 90 del 2014. Detta norma statale infatti, dopo aver
abrogato, al comma 1, la disciplina previgente riguardante i diritti
di segreteria, contenuta nell'art. 41, quarto comma, della legge 11
luglio 1980, n. 312 - che, con formulazione analoga a quella
contenuta nella norma regionale in esame, estendeva l'attribuzione
dei diritti di segreteria a tutti i segretari comunali - prevede, al
comma 2, che «Il provento annuale dei diritti di segreteria e'
attribuito integralmente al comune o alla provincia», specificando,
al comma 2-bis, che una quota del provento annuale dei diritti di
segreteria spettante al comune sia attribuito, in misura non
superiore a un quinto dello stipendio in godimento, ai soli segretari
comunali con funzioni non dirigenziali o che prestino la propria
attivita' lavorativa in enti locali privi di dipendenti con qualifica
dirigenziale.
La norma regionale in esame, disattendendo tali principi e
prevedendo l'attribuzione di una quota dei proventi derivanti ai
diritti di segreteria spettanti al comune anche ai segretari comunali
con qualifica dirigenziale in misura pari al settantacinque per cento
dei proventi e fino ad un massimo di un quinto dello stipendio dei
dirigenti stessi, consente l'attribuzione a questi ultimi di somme
ben piu' cospicue di quelle che spettano ai segretari che non abbiano
detta qualifica, determinando un depauperamento delle risorse
comunali. Tale previsione eccede dalla competenza in materia di
«ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni»
attribuita alla competenza esclusiva della Regione dall'art. 4, n. 3,
dello Stato speciale per il Trentino-Alto Adige (D.P.R. n. 670 del
1972) e contrasta con i principi di contenimento della spesa pubblica
contenuti nelle disposizioni statali citate, e in particolare con il
comma 2-bis dell'art. 10 del menzionato d.l. n. 90 del 2014. Ne
consegue la lesione dei principi fondamentali in materia di
coordinamento della finanza pubblica riservati alla legislazione
statale dall'art. 117, terzo comma, Cost.
Violazione art. 117, II comma, lett. l) Cost.
Inoltre la norma regionale in esame, rubricata «diritti di
rogito», consentendo l'attribuzione di detti onerosi diritti ai
segretari comunali dirigenti per tutti gli atti indicati nella
tabella D allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604, ai numeri 1, 2,
3. 4 e 5 - e pertanto anche per semplici contratti standard, di
contenuto predeterminato, stipulati a seguito dell'espletamento di
gare per lavori, forniture e servizi - incentiva per la loro stesura,
incidendo pertanto anche sulla forma che tali atti devono assumere,
la forma dell'atto pubblico cui consegue il diritto di rogito. Cosi'
disponendo la norma regionale incide sulla disciplina degli atti
successivi all'aggiudicazione, invadendo la materia dell'ordinamento
civile, riservata alla legislazione statale, in violazione dell'art.
117, secondo comma, lett. l), Cost. la Corte costituzionale con
riferimento alle norme relative alle procedure di gara ed
all'esecuzione del rapporto contrattuale ha affermato che «la fase
negoziale dei contratti della pubblica amministrazione si connota per
la normale mancanza di poteri autoritativi in capo al soggetto
pubblico, sostituiti dall'esercizio di autonomie negoziali e deve
essere ascritta all'ambito materiale dell'ordinamento civile di
competenza esclusiva del legislatore statale» (sentenze n. 411 del
2008 e n. 401 del 2007).
Violazione art. 3 Cost.
La norma regionale in esame infine, incentivando la forma
pubblica per la stipula dei menzionati contratti, comporta un
aggravio dei costi per le imprese aggiudicatarie sul territorio
regionale, creando una disparita' di trattamento nei confronti delle
imprese che si rendano aggiudicatarie sul resto del territorio
nazionale, in violazione del principio di parita' di trattamento di
cui all'art. 3 Cost.;
Violazione artt. 4, 5, 6 Statuto TAA, e 117, II comma, lett. g) Cost.
2) L'art. 16 prevede che, nei Comuni della Provincia di Bolzano,
la legittimita' e la regolarita' e quindi l'ammissibilita' dei
referendum popolari venga valutata da un'unica commissione composta
secondo quanto previsto dall'art. 8 comma l della legge provinciale
18 novembre 2005 n. 11. Il citato art. 8 della legge provinciale che
disciplina le consultazioni popolari di competenza Provinciale,
prevede una commissione composta da:
a) un magistrato del Tribunale di Bolzano;
b) un magistrato della sezione di controllo della Corte dei
conti avente sede a Bolzano;
c) un magistrato della Sezione Autonoma della Provincia di
Bolzano - Tribunale Regionale della Giustizia Amministrativa.
Tale previsione viola la potesta' regolamentare dei comuni in
materia di consultazioni popolari all'interno dello stesso comune, in
quanto la potesta' statutaria dei comuni riguarda una materia di
propria competenza tra cui anche l'introduzione e la regolamentazione
delle forme di partecipazione popolare all'interno del territorio
comunale. L'art. 77 del testo unico delle leggi regionali
sull'ordinamento dei comuni della regione Trentino-Alto Adige (DPReg.
1° febbraio 2005 n. 3/L - modificato dal DPReg. 3 aprile 2013 n. 25),
modificato con le disposizioni introdotte dalla legge regionale 2
maggio 2013 n. 3, coordinando l'art. 50 della legge regionale 4
gennaio 1993 n. l e art. 16 della legge 22 dicembre 2004 n. 7,
conferisce agli statuti comunali ed in modo particolare al consiglio
comunale il potere di disciplinare le modalita' del procedimento del
referendum, della consultazione e dell'iniziativa popolare.
Conseguentemente i comuni hanno introdotto nei propri statuti
forme di partecipazione popolare e hanno emanato appositi
regolamenti, prevedendo nel contesto anche la nomina della
commissione alla quale va affidato il compito di valutare
l'ammissibilita' del quesito referendario. Pertanto, tale
disposizione si pone in contrasto con l'art. 114 comma 2 della
Costituzione, che garantisce la potesta' statutaria dei comuni ed
eccede dalla competenza legislativa attribuita alla regione
dall'articolo 4, punto 3) dello statuto in materia di «ordinamento
degli enti locali e delle relative circoscrizioni».
Inoltre, la normativa introdotta per la composizione della
commissione e' incostituzionale anche sotto un altro aspetto.
Con sentenza n. 2 del 2013 la Corte costituzionale e' intervenuta
su una legge della Provincia Autonoma di Bolzano in materia di
immigrazione, dichiarando l'incostituzionalita' della norma che
attribuisce un nuovo compito ad un ufficio statale, configurando ex
lege il suo rappresentante come componente necessario di un organo
provinciale. Secondo la Corte costituzionale la previsione e' in
contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera g) della
Costituzione, che demanda alla competenza esclusiva dello Stato la
legislazione in materia di «ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali». La legge
provinciale o regionale non puo' attribuire funzioni obbligatorie ad
organi dello Stato, imponendo loro di designare un rappresentante
nelle diverse commissioni e di partecipare ai relativi lavori tramite
il componente titolare o un suo delegato. A giudizio della Corte
costituzionale il legislatore provinciale o regionale non puo'
inserire tra i membri di una commissione interna, funzionari a carico
di organi o amministratori dello Stato, attribuendo loro specifiche
nuove funzioni. Questo principio e' stato confermato anche in altre
sentenze (Corte costituzionale 134/2004, 30/2006, 10/2008, 2/2013).
Pertanto, tale previsione eccede dalle competenze legislative
attribuite alla regione dagli artt. 4, 5 e 6 dello Stato speciale per
il Trentino-Alto Adige (D.P.R. n. 670 del 1972) e viola la competenza
esclusiva statale in materia di «ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» di cui
all'art. 117, secondo comma, lett. g).
P.Q.M.
Si conclude per la declaratoria di incostituzionalita' delle
denunziate norme.
Roma, 2 febbraio 2015
Avvocato dello Stato: Roberto de Felice