RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 22 febbraio 2010 , n. 23
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria  il  22  febbraio  2010  (della  Provincia  autonoma   di
Bolzano). 
 

(GU n. 12 del 24-3-2010) 
 
  
    Ricorso  della  Provincia  autonoma  di  Bolzano   (c.f.   e p.i.
00390090215), in persona del Presidente pro tempore della  Provincia,
dott. Luis Durnwalder, giusta deliberazione della Giunta  provinciale
n.  133  del  1°  febbraio  2010,  rappresentata  e   difesa,   tanto
congiuntamente quanto disgiuntamente - in virtu' di procura  speciale
del 4 febbraio 2010, rogata  dal  segretario  generale  della  Giunta
provinciale dott. Hermann Berger  (rep.  n.  22754)  -  dagli  avv.ti
Renate   von    Guggenberg    (VNGRNT57L45A952K),    Maria    Larcher
(LRCMRA49P48F856E), Stephan Beikircher (BKRSPH65E10B1 60H) e Cristina
Bernardi (BRNCST64M47D548L),  di  Bolzano,  con  indirizzo  di  posta
elettronica  avvocatura@provincia.bz.it  e  n.  fax  0471/412099,   e
dall'avv. Michele Costa (CSTMHL38C30H501R), di Roma, con indirizzo di
posta elettronica costamicheleavv@tin.it e  fax  n.  06/3729467,  con
domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in 00195 Roma,  Via
Bassano del Grappa n. 24; 
    Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente  del  Consiglio  in  carica  per   la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2,  del  decreto
legislativo  l°  dicembre  2009,  n.   179,   recante   «Disposizioni
legislative  anteriori  al  1°  gennaio  1970,  di  cui  si   ritiene
indispensabile la permanenza in vigore, a norma  dell'art.  14  della
legge 28 novembre 2005, n. 246»,  limitatamente  alla  parte  in  cui
mantiene in vigore il regio decreto 29 marzo 1923, n.  800  (Allegato
2, n. 190), convertito in legge con legge  17  aprile  1925,  n.  473
(Allegato 1, n. 182). 
 
                              F a t t o 
 
    Sul Supplemento ordinario n. 234/L alla Gazzetta Ufficiale  della
Repubblica italiana n. 290 del 14 dicembre 2009 e'  stato  pubblicato
il  decreto  legislativo  1°   dicembre   2009,   n.   179,   recante
«Disposizioni legislative anteriori al 1° gennaio  1970,  di  cui  si
ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'art.  14
della legge 28 novembre 2005, n. 246». 
    Con l'art. 1, comma 1, del decreto legislativo in esame lo  Stato
ha individuato, ai fini e per gli effetti  dell'art.  14,  commi  14,
14-bis e 14-ter, della legge 28 novembre 2005, n. 246,  e  successive
modificazioni,  le  disposizioni  legislative   statali,   pubblicate
anteriormente  al  1°  gennaio  1970,   anche   se   modificate   con
provvedimenti successivi, delle quali e' indispensabile la permanenza
in vigore (Allegato 1). 
    Inoltre, con l'art. 1, comma 2, dello stesso decreto  legislativo
sono state sottratte all'effetto abrogativo di  cui  all'art.  2  del
decreto-legge   22   dicembre   2008,   n.   200,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2009, n.  9,  le  disposizioni
indicate nell'Allegato 2, che permangono in vigore anche ai  sensi  e
per gli effetti dell'art. 14, commi 14, 14-bis e 14-ter, della  legge
28 novembre 2005, n. 246, e successive modificazioni. 
    Ai sensi dell'art. 1, comma 3, del decreto legislativo in  esame,
ai fini dello stesso: 
        a) per «disposizioni legislative statali» si intendono  tutte
le disposizioni comprese in ogni singolo atto normativo  statale  con
valore di legge indicato negli Allegati 1 e 2, con effetto limitato a
singole disposizioni solo nei casi espressamente specificati; 
        b) per «pubblicate  anteriormente  al  1°  gennaio  1970»  si
intendono  tutte  le  disposizioni,  contenute  in  atti  legislativi
statali, la cui pubblicazione, secondo le norme vigenti in materia di
pubblicazione all'epoca di ciascun atto, e' avvenuta a far  data  dal
17 marzo 1861 fino a tutto il 31 dicembre 1969; 
        c) per «anche se modificate con provvedimenti successivi»  si
intende che sono compresi anche  gli  atti  legislativi  statali  che
abbiano subito qualsiasi modifica anche dopo il 31 dicembre 1969; 
        d) per «permanenza in  vigore»  si  intende  che  restano  in
vigore le disposizioni legislative statali, indicate negli Allegati 1
e 2, nel testo vigente alla data di entrata in  vigore  del  presente
decreto legislativo,  in  base  agli  atti  normativi  che  le  hanno
introdotte a suo tempo nell'ordinamento e alle  eventuali  successive
modificazioni anteriori alla stessa data, anche ai sensi dell'art. 15
delle disposizioni preliminari al codice civile. 
    Al comma 4 viene  specificato  che  le  disposizioni  legislative
emanate ai sensi degli articoli 7, secondo comma, 8, terzo  comma,  e
116,  primo  comma,  della   Costituzione   sono   comunque   escluse
dall'effetto abrogativo di cui all'art. 14, comma 14-ter, della legge
28 novembre 2005, n. 246, e successive modificazioni. 
    Infine, il comma 5 dispone che il decreto  legislativo  entra  in
vigore il giorno successivo a quello della  sua  pubblicazione  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. 
    Al punto 182 dell'Allegato 1 - Atti normativi salvati  pubblicati
anteriormente al 1° gennaio 1970 - e' elencata  la  legge  17  aprile
1925, n. 473, legge per la conversione  in  legge,  con  approvazione
complessiva, di decreti luogotenenziali e  regi  aventi  per  oggetto
argomenti diversi, emanati sino al 23 maggio 1924  (pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n. 104 del 5 maggio 1925),  tra
cui il  regio  decreto  29  marzo  1923,  n.  800,  recante  «Lezione
ufficiale dei nomi dei comuni e delle altre localita'  dei  territori
annessi». 
    Al punto 190 dell'Allegato 2 -  Atti  salvati  dall'elenco  delle
abrogazioni allegato al decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, cosi'
come convertito dalla legge 18 febbraio 2009,  n.  9  -  e',  invece,
elencato il regio decreto 29 marzo 1923, n. 800. 
    Il decreto n. 800  dell'anno  1923,  emanato  in  attuazione  dei
«Provvedimenti per l'Alto  Adige,  intesi  ad  una  azione  ordinata,
pronta ed efficace di assimilazione italiana»,  deliberati  dal  Gran
Consiglio del fascismo il 12 marzo 1923, prevede all'art. 1 che, agli
effetti di cui negli articoli seguenti, sono pubblicati  gli  elenchi
allegati al decreto stesso di nomi dei comuni e  di  altre  localita'
delle  nuove  province  del  regno,  visti  e  firmati  dal  Ministro
dell'interno e che lo stesso Ministro e' autorizzato a pubblicare gli
elenchi che successivamente si rendessero necessari e  ad  introdurre
le variazioni occorrenti. Per i nomi  di  luogo  non  compresi  negli
elenchi, e cioe' per i nomi delle  localita'  minori,  e  delle  sedi
d'ufficio che venissero nuovamente costituiti,  ed  in  generale  per
tutti i nomi degli enti geografici e topografici non  ancora  fissati
ufficialmente,  le  autorita'  e  le  amministrazioni   accoglieranno
intanto le forme adottate  nei  Prontuari  e  Repertori  della  reale
societa' geografica italiana. 
    Prevedono, in particolare, gli articoli 2 e 3 di tale decreto che
nelle  insegne,  nei  timbri  e  nei  suggelli  delle   autorita'   e
amministrazioni statali e di quelle altre autorita' e amministrazioni
la cui lingua d'ufficio e' la lingua dello  stato,  e  inoltre  negli
atti pubblici ed amministrativi redatti nella lingua ufficiale  dello
Stato, si debbono usare i nomi che sono indicati nella prima  colonna
degli elenchi allegati, mentre il nome indicato nella seconda colonna
sara' aggiunto, fra parentesi, solo nei casi in cui  le  autorita'  e
amministrazioni  predette  lo  ritengano  opportuno  per  ragioni  di
pratica e comune intelligenza, mentre nei timbri, nei suggelli, nelle
insegne e nelle altre scritte esposte al pubblico dalle  autorita'  e
amministrazioni che  potranno  eventualmente  essere  autorizzate  ad
avvalersi di una lingua diversa da quella ufficiale dello  Stato,  si
debbono usare i nomi indicati in tutte e due le colonne degli elenchi
allegati. Il nome aggiunto  nella  seconda  colonna  deve  tenere  il
secondo posto, fra parentesi, e non puo' essere scritto con caratteri
piu' apparenti di quelli del nome italiano. 
    Il regio decreto 29 marzo 1923, n. 800, era gia'  stato  abrogato
in sede di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge
22 dicembre 2008, n. 200,  recante  «Misure  urgenti  in  materia  di
semplificazione normativa» (art. 1 della legge 18 febbraio  2009,  n.
9). 
    Infatti, con l'art. 2, comma 1,  del  predetto  decreto-legge  e'
stato disposto che - a decorrere  dal  16  dicembre  2009  -  sono  o
restano abrogate le  disposizioni  elencate  nell'Allegato  1,  salva
l'applicazione dei commi 14 e 15 dell'art. 14 della legge 28 novembre
2005, n. 246. 
    E in sede di conversione, nell'Allegato 1 e'  stato  inserito  il
seguente  punto  10136-bis:  R.D.  29  marzo  1923,  n.  800  Lezione
ufficiale dei nomi dei comuni e  di  altre  localita'  dei  territori
annessi, convertito dalla legge 17 aprile 1925, n. 473. 
    Sennonche', appena un  giorno  prima  del  16  dicembre  2009  e'
entrato in vigore il decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, in
quanto  nello  stesso  era  stata  inserita  la  clausola  d'urgenza,
clausola peraltro non contenuta nello schema che era stato sottoposto
all'esame  dei  competenti  organi  istituzionali,  schema  che   non
prevedeva nemmeno il mantenimento in  vigore  del  regio  decreto  29
marzo 1923, n. 800, ovvero la sua  legge  di  conversione  17  aprile
1925, n. 473. 
    Pertanto, e' stato  vanificato  l'effetto  abrogativo  del  regio
decreto 29 marzo 1923, n.  800,  disposto  con  il  decreto-legge  22
dicembre 2008, n. 200, convertito, con modificazioni, dalla legge  18
febbraio 2009, n. 9. 
    Le norme impugnate del decreto legislativo in parola  violano  le
particolari  prerogative  riconosciute  alla  Provincia  autonoma  di
Bolzano  e  risultano,  quindi,  costituzionalmente  illegittimi  per
violazione degli articoli 2, 3, 8 (n. 2), 16, 19, 99, 100, 101,  102,
105 e 107 dello Statuto speciale per il Trentino Alto  Adige/Südtirol
(d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), delle relative  norme  d'attuazione,
in particolare d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574; d.P.R. 19 ottobre 1977,
n. 846; d.P.R. 31 luglio 1978, n. 571; d.P.R. 10  febbraio  1983,  n.
89; d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, nonche' degli articoli  3,  5,  6,
10, 11, 76, 77, 116 e 117, comma 1, della Costituzione,  dell'Accordo
di Parigi del 5 settembre 1946, del Trattato di pace di Parigi del 10
febbraio 1947, delle risoluzioni 715 A (XXVII) del 23 aprile  1959  e
1314 (XLIV) del 31 maggio 1968, del  Consiglio  economico  e  sociale
delle Nazioni  Unite,  della  Dichiarazione  universale  dei  diritti
dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite il  10
dicembre 1948, della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4  novembre
1950 (CEDU), della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie
adottata dal Consiglio d'Europa il 5 novembre 1992, della risoluzione
dell'Assemblea generale delle Nazioni  Unite  del  18  dicembre  1992
(Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti alle  minoranze
nazionali   o   etniche,    religiose    e    linguistiche),    della
Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta
a Strasburgo il 1° febbraio 1995, della Convenzione sulla  protezione
e la promozione delle diversita' delle espressioni culturali, fatta a
Parigi il 20 ottobre 2005. 
    Pertanto, la Provincia autonoma di Bolzano, con il presente  atto
le impugna per i seguenti motivi di 
 
                            D i r i t t o 
 
1) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi  1  e  2,  del
decreto legislativo 1° dicembre 2009,  n.  179,  con  riferimento  al
punto 182 dell'Allegato  1  e  al  punto  190  dell'Allegato  2,  per
violazione degli articoli 2, 3, 8 (n. 2), 16, 19, 99, 100, 101 e  102
dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31
agosto  1972,  n.  670),  delle  relative  norme   d'attuazione,   in
particolare d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574; d.P.R. 19 ottobre 1977, n.
846; d.P.R. 31 luglio 1978, n. 571; d.P.R. 10 febbraio 1983,  n.  89;
d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, nonche' degli articoli 3,  5,  6,  10,
11, 116 e 117, comma 1, della Costituzione, e dell'Accordo di  Parigi
del 5 settembre 1946 nonche' del Trattato di pace di  Parigi  del  10
febbraio 1947. 
    Come si e' esposto in fatto, con l'impugnato decreto  legislativo
lo Stato  ha  mantenuto  in  vigore,  o  meglio,  ha  fatto  rivivere
espressamente il regio decreto 29  marzo  1923,  n.  800  (punto  190
dell'Allegato 2), recante «Lezione ufficiale dei nomi  dei  comuni  e
delle altre localita' dei territori annessi», di tolomeiana  memoria,
che,   quale   elemento   portante   del   pacchetto   «di   violenta
italianizzazione» del territorio provinciale attuato a seguito  della
prima guerra mondiale, identifico'  una  nomenclatura  esclusivamente
italiana per tutte le denominazioni tedesche, di conseguenza vietate,
nonche' la relativa legge di conversione (legge 17  aprile  1925,  n.
473). 
    Quindi, con l'emanazione del decreto legislativo in parte qua, lo
Stato ha  dato  corso  ad  un'evidente  violazione  della  competenza
legislativa esclusiva della Provincia autonoma di Bolzano in  materia
di toponomastica (art. 8, comma 1, cfr.  2),  del  d.P.R.  31  agosto
1972, n. 670, recante  «Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi
costituzionali concernenti lo statuto speciale per  il  Trentino-Alto
Adige») e delle relative competenze amministrative in  materia  (art.
16, d.P.R. n. 670/1972). 
    Ma cio' che ai fini del presente ricorso rileva e' che sono state
lese le prerogative riconosciute alla Provincia autonoma  di  Bolzano
per la presenza di minoranze linguistiche sul suo territorio a tutela
delle stesse e che, di conseguenza, sono stati  violati  i  specifici
vincoli in essa esistenti in tema  di  uso  della  lingua  tedesca  e
ladina. 
    Ora,  l'art.  2  della   Costituzione   sancisce   il   principio
pluralistico, disponendo che la Repubblica riconosce e  garantisce  i
diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle  formazioni
sociali ove si svolge la sua personalita', e  richiede  l'adempimento
dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica,  economica   e
sociale. 
    L'art. 3 della Costituzione, invece, riconosce  il  principio  di
eguaglianza, stabilendo che tutti i  cittadini  hanno  pari  dignita'
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso,
di  razza,  di  lingua,  di  religione,  di  opinioni  politiche,  di
condizioni personali e sociali (comma  1)  e  che  e'  compito  della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando  di  fatto  la  liberta'  e  l'eguaglianza  dei  cittadini,
impediscono il pieno  sviluppo  della  persona  umana  e  l'effettiva
partecipazione di tutti  i  lavoratori  all'organizzazione  politica,
economica e sociale del Paese. 
    A riguardo codesta ecc.ma  Corte,  con  la  recente  sentenza  22
maggio 2009, n. 159, ebbe a statuire: «Questa  Corte  ha  piu'  volte
affermato che la  tutela  delle  minoranze  linguistiche  costituisce
principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale  (sentenze  n.
15 del 1996, n. 261 del 1995 e n. 768 del 1988).  Piu'  precisamente,
«tale principio, che  rappresenta  un  superamento  delle  concezioni
dello Stato nazionale chiuso dell'ottocento  e  un  rovesciamento  di
grande  portata  politica  e  culturale,  rispetto  all'atteggiamento
nazionalistico manifestato dal  fascismo,  e'  stato  numerose  volte
valorizzato dalla giurisprudenza di questa Corte, anche perche'  esso
si situa al punto di incontro con  altri  principi,  talora  definiti
"supremi'',  che  qualificano  indefettibilmente  e   necessariamente
l'ordinamento vigente (sentenze n. 62 del 1992, n. 768 del  1988,  n.
289  del  1987  e  n.  312  del  1983):  il  principio   pluralistico
riconosciuto dall'art. 2 - essendo la lingua un elemento di identita'
individuale e collettiva di importanza basilare - e il  principio  di
eguaglianza riconosciuto dall'art. 3 della  Costituzione,  il  quale,
nel primo comma, stabilisce la pari dignita' sociale e  l'eguaglianza
di fronte alla legge di  tutti  i  cittadini,  senza  distinzione  di
lingua e, nel  secondo  comma,  prescrive  l'adozione  di  norme  che
valgano anche positivamente per rimuovere le situazioni di  fatto  da
cui possano derivare conseguenze discriminatorie (sentenza n. 15  del
1996).». 
    Dispongono, inoltre, gli articoli 5 e 116 della Costituzione  che
la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali  ed  adegua  i
principi  ed  i  metodi  della   sua   legislazione   alle   esigenze
dell'autonomia e del decentramento e che il Friuli Venezia Giulia, la
Sardegna, la Sicilia, il  Trentino-Alto  Adige/Südtirol  e  la  Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste dispongono di forme e  condizioni  particolari
di autonomia, secondo i  rispettivi  statuti  speciali  adottati  con
legge costituzionale. 
    In particolare,  dispone  l'art.  6  della  Costituzione  che  la
Repubblica tutela con apposite norme le minoranze  linguistiche:  «La
tutela delle minoranze linguistiche e' uno dei principi  fondamentali
del vigente ordinamento che la Costituzione  stabilisce  all'art.  6,
demandando alla  Repubblica  il  compito  di  darne  attuazione  "con
apposite norme''... Con queste sue norme,  la  Costituzione  italiana
partecipa  dell'attuale  movimento  sovranazionale  a  favore   della
convivenza di gruppi umani dalla diversa identita' entro le  medesime
organizzazioni politiche statali .» (Corte  costituzionale,  sentenza
n. 15 del 1996). 
    Il legislatore costituzionale, al fine di  rendere  effettiva  la
tutela delle minoranze linguistiche presenti in provincia di  Bolzano
nonche' la parita' tra i diversi gruppi linguistici, ha previsto  che
nella Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e' riconosciuta parita' di
diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo  linguistico  al  quale
appartengono, e  sono  salvaguardate  le  rispettive  caratteristiche
etniche e culturali (art. 2 Statuto), e che, quindi, alle Province di
Trento e di Bolzano sono attribuite forme e condizioni particolari di
autonomia (art 3, comma 3, Statuto). 
    L'art. 99 dello Statuto precisa  che  «nella  regione  la  lingua
tedesca e' parificata a quella italiana che e'  la  lingua  ufficiale
dello stato». 
    L'art. 100 dello Statuto  attribuisce  ai  «cittadini  di  lingua
tedesca della provincia di Bolzano  la  facolta'  di  usare  la  loro
lingua nei rapporti con gli uffici giudiziari  e  con  gli  organi  e
uffici della  pubblica  amministrazione  situati  nella  provincia  o
aventi competenza regionale, nonche' con i concessionari  di  servizi
di pubblico interesse svolti nella provincia stessa» (comma 1), fissa
le  modalita'  d'uso  delle  lingue  negli  organi  collegiali  della
regione, della provincia e degli enti locali (comma 2) e gli obblighi
gravanti, sempre in materia di uso delle lingue, in capo agli  uffici
ed organi pubblici  nonche'  ai  concessionari  di  pubblici  servizi
(comma 3),  per  poi  concludere  che  «salvo  i  casi  espressamente
previsti - e la regolazione con norme di attuazione dei casi  di  uso
congiunto delle due lingue negli atti destinati alla generalita'  dei
cittadini, negli atti individuali destinati ad uso pubblico  e  negli
atti destinati ad una pluralita' di uffici -  e'  riconosciuto  negli
altri casi l'uso disgiunto dell'una o dell'altra  delle  due  lingue.
Rimane salvo l'uso  della  sola  lingua  italiana  all'interno  degli
ordinamenti di tipo militare.». 
    In base all'art. 101 dello Statuto «nella provincia di Bolzano le
amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di
lingua  tedesca,  anche  la  toponomastica  tedesca,  se   la   legge
provinciale ne abbia accertata l'esistenza ed approvata la dizione». 
    L'art. 102 dello Statuto afferma che  le  «popolazioni  ladine  e
quelle mochene e cimbre dei comuni di  Fierozzo,  Frassilongo,  Palu'
del Fersina e Luserna hanno diritto alla valorizzazione delle proprie
iniziative ed attivita' culturali, di stampa e ricreative, nonche' al
rispetto della toponomastica e  delle  tradizioni  delle  popolazioni
stesse». 
    Infine, l'art. 19 dello Statuto prevede che  nella  provincia  di
Bolzano l'insegnamento nelle scuole materne, elementari e  secondarie
e' impartito nella lingua materna italiana o tedesca degli alunni  da
docenti per i quali tale lingua sia ugualmente quella materna  e  che
la lingua ladina e' usata nelle scuole materne ed e' insegnata  nelle
scuole elementari delle localita' ladine.  Tale  lingua  e'  altresi'
usata quale strumento di insegnamento nelle scuole di ogni  ordine  e
grado delle  localita'  stesse.  In  tali  scuole  l'insegnamento  e'
impartito su base paritetica di ore e di esito finale, in italiano  e
tedesco. 
    Inoltre, le norme di attuazione allo Statuto, tra cui i dd.PP.RR.
30 giugno 1951, n. 574; 1° novembre 1973, n. 691; 26 luglio 1976,  n.
752; 19 ottobre 1977, n. 846; 31 luglio 1978,  n.  571;  10  febbraio
1983, n. 89; e 15 luglio 1988, n. 574; disciplinano tra l'altro anche
l'uso delle lingue tedesca e ladina in provincia di Bolzano. 
    In particolare, l'art. 73 del  d.P.R.  n.  574/1951  prevede  che
nelle Valli Ladine puo'  essere  usato  nella  toponomastica  locale,
oltre che la lingua italiana e la lingua tedesca, anche il ladino. 
    E l'art. 1 del  d.P.R.  n.  574/1988  dispone  espressamente  che
«Nella regione [Trentino Alto Adige/Südtirol] la  lingua  tedesca  e'
parificata a quella italiana,...». 
    E' opportuno ricordare che la vigente  disciplina  statutaria  si
collega all'art. 1 dell'Accordo di Parigi tra  l'Italia  e  l'Austria
del 5 settembre 1946 che, quale annesso n. 6, fa parte integrante del
Trattato di Pace firmato a Parigi  il  10  febbraio  1947  (legge  25
novembre 1952, n. 3054, «Ratifica del decreto legislativo 28 novembre
1947, n. 1430,  concernente  esecuzione  del  Trattato  di  pace  fra
l'Italia e le Potenze alleate ed associate, firmato a  Parigi  il  10
febbraio 1947», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica
14 gennaio 1953,  n.  10,),  il  quale  prevede  quanto  segue:  «Gli
abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano  e  quelli  dei
vicini  comuni  bilingui  della  provincia  di  Trento,  godranno  di
completa eguaglianza di diritto  rispetto  agli  abitanti  di  lingua
italiana,  nel  quadro  delle  disposizioni  speciali   destinate   a
salvaguardare  il  carattere  etnico  e  lo  sviluppo  culturale   ed
economico  del  gruppo  di  lingua  tedesca.   In   conformita'   dei
provvedimenti legislativi gia' emanati o emanandi,  ai  cittadini  di
lingua tedesca sara' specialmente concesso ... b) l'uso,  su  di  una
base di parita', della lingua tedesca e della lingua  italiana  nelle
pubbliche amministrazioni, nei documenti ufficiali  come  pure  nella
nomenclatura topografica bilingue». 
    E', dunque, evidente come, in  base  alle  predette  disposizioni
statutarie e attuative nonche' dell'Accordo internazionale di Parigi,
in forza delle quali nella Regione Trentino-Alto  Adige/Südtirol  «e'
solennemente proclamata  la  parificazione  della  lingua  tedesca  a
quella italiana» (Corte costituzionale 30 settembre  1983,  n.  312),
anche i toponomi in  lingua  tedesca  devono  necessariamente  essere
parificati a quelli in lingua italiana. 
    Mantenendo, invece, in vigore, o meglio, far  rivivere  il  regio
decreto  29  marzo  1923,  n.  800,  nonche'  la  relativa  legge  di
conversione (legge 17 aprile  1925,  n.  473),  questa  parificazione
linguistica, avente carattere  generale,  assoluto  ed  inderogabile,
viene violata e, di conseguenza risultano violati gli articoli 2,  3,
8 (n. 2), 16, 19, 99, 100, 101 e 102 del d.P.R. 31  agosto  1972,  n.
670, le relative norme d'attuazione,  in  particolare  il  d.P.R.  30
giugno 1951, n. 574; il d.P.R. 19 ottobre 1977, n. 846; il d.P.R.  31
luglio 1978, n. 571; il d.P.R. 10 febbraio 1983, n. 89; il d.P.R.  15
luglio 1988, n. 574, gli articoli 3, 5, 6,  116  della  Costituzione,
l'Accordo di Parigi del 5 settembre 1946 nonche' il Trattato di  pace
di Parigi del 10 febbraio 1947 e, di conseguenza anche  gli  articoli
10, 11 e 117, comma 1, della Costituzione. 
2) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi  1  e  2,  del
decreto legislativo 1° dicembre 2009,  n.  179,  in  parte  qua,  per
violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione. 
    Come noto, ai sensi dell'art. 76 della  Costituzione  l'esercizio
della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non
con determinazione di principi e criteri  direttivi  e  soltanto  per
tempo limitato e per oggetti definiti. Inoltre, il Governo non  puo',
senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di
legge ordinaria. 
    Il decreto legislativo 1° dicembre 2009, n.  179,  doveva  essere
emanato in forza dell'art. 14, commi 14, 14-bis e l4-ter della  legge
28 novembre 2005, n. 246, e successive modifiche,  con  il  quale  il
Governo e' delegato ad adottare, con le modalita' di cui all'art.  20
della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, decreti
legislativi che  individuano  le  disposizioni  legislative  statali,
pubblicate anteriormente al l° gennaio 1970, anche se modificate  con
provvedimenti successivi, delle quali si  ritiene  indispensabile  la
permanenza  in  vigore,  secondo  i  seguenti  principi   e   criteri
direttivi: 
        a)  esclusione  delle  disposizioni  oggetto  di  abrogazione
tacita o implicita; 
        b) esclusione delle disposizioni che abbiano esaurito la loro
funzione o siano prive  di  effettivo  contenuto  normativo  o  siano
comunque obsolete; 
        c) identificazione  delle  disposizioni  la  cui  abrogazione
comporterebbe lesione dei diritti costituzionali; 
        d) identificazione delle disposizioni indispensabili  per  la
regolamentazione di ciascun settore, anche utilizzando a tal fine  le
procedure di analisi e verifica dell'impatto della regolazione; 
        e) organizzazione delle disposizioni da mantenere  in  vigore
per settori omogenei o per materie, secondo il  contenuto  precettivo
di ciascuna di esse; 
        f) garanzia della coerenza giuridica,  logica  e  sistematica
della normativa; 
        g) identificazione  delle  disposizioni  la  cui  abrogazione
comporterebbe effetti anche indiretti sulla finanza pubblica; 
        h) identificazione delle disposizioni contenute  nei  decreti
ricognitivi, emanati ai sensi dell'art. 1, comma  4,  della  legge  5
giugno 2003, n. 131, aventi per oggetto i principi fondamentali della
legislazione dello Stato nelle materie previste dall'art. 117,  terzo
comma, della Costituzione. 
    Ora, con il decreto-legge 22 dicembre  2008,  n.  200,  e'  stato
statuito che, a decorrere  dal  16  dicembre  2009,  sono  o  restano
abrogate le disposizioni elencate nell'Allegato 1. 
    In sede di conversione di tale decreto-legge (art. 1 della  legge
18 febbraio 2009, n. 9) nell'Allegato 1 e' stato  inserito  il  punto
10136-bis: regio decreto 29 marzo  1923,  n.  800,  convertito  dalla
legge 17 aprile 1925, n. 473. 
    Quindi, e' stato il legislatore ordinario a decidere di  abrogare
tale norma, per cui la norma del legislatore delegato e'  viziata  da
eccesso di delega. 
    Ma l'impugnato decreto  legislativo  e'  viziato  da  eccesso  di
delega anche sotto un altro profilo. 
    Infatti, principali obiettivi della legge  di  delegazione  erano
quello dell'esclusione  delle  disposizioni  oggetto  di  abrogazione
tacita o implicita nonche' quello dell'esclusione dalla permanenza in
vigore delle disposizioni che abbiano esaurito  la  loro  funzione  o
siano  prive  di  effettivo  contenuto  normativo  o  siano  comunque
obsolete (art. 14, comma 14, lett. a) e b), legge 28  novembre  2005,
n. 246, s.m.). E da quanto verra' esposto sub 4) risulta evidente che
le disposizioni di cui al regio decreto 29 marzo 1923, n.  800,  sono
da considerarsi abrogate tacitamente  e,  comunque,  da  tempo  hanno
esaurito la loro funzione e sono in ogni caso obsolete,  per  cui  il
mantenimento in vigore o, meglio, la reviviscenza di tale  norma  non
rientra nel perimetro tracciato dal legislatore delegante. 
3) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi  1  e  2,  del
decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, in parte qua (punto 190
dell'Allegato  2  e  punto  182  dell'Allegato  1),  per   violazione
dell'art.  107  dello   Statuto   speciale   per   il   Trentino-Alto
Adige/Südtirol (d.P.R.  31  agosto  1972,  n.  670)  e,  quindi,  del
principio di leale collaborazione. 
    E' stato evidenziato che lo Statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige/Südtirol detta esplicite disposizioni di tutela delle minoranze
linguistiche. 
    Ora, dispone l'art. 107 dello Statuto: «Con  decreti  legislativi
saranno emanate le norme di attuazione del presente statuto,  sentita
una commissione paritetica composta di dodici membri di  cui  sei  in
rappresentanza dello Stato, due  del  Consiglio  regionale,  due  del
Consiglio provinciale di Trento e  due  di  quello  di  Bolzano.  Tre
componenti devono appartenere al gruppo linguistico tedesco. 
    In seno alla commissione di cui al precedente comma e'  istituita
una speciale commissione per le norme  di  attuazione  relative  alle
materie  attribuite  alla  competenza  della  Provincia  di  Bolzano,
composta di sei membri, di cui tre in rappresentanza  dello  Stato  e
tre della Provincia. Uno dei membri  in  rappresentanza  dello  Stato
deve appartenere al gruppo linguistico  tedesco;  uno  di  quelli  in
rappresentanza della Provincia deve appartenere al gruppo linguistico
italiano.». 
    Questo articolo disciplina l'emanazione di speciali norme,  quali
sono appunto le norme di attuazione, che,  integrando  la  disciplina
statutaria, hanno  un  ruolo  fondamentale  nella  definizione  delle
reciproche  competenze  costituzionali  (Stato,   Regioni,   Province
autonome) e nella disciplina dei loro rapporti mediante  un  istituto
di   cooperazione   paritaria,   rappresentato   dalla    Commissione
paritetica.  Tale  istituto  che,  dunque,  e'  espressione  di  quel
principio  di  «leale  collaborazione»  che,  secondo   il   costante
insegnamento di codesta ecc.ma Corte, presiede al sistema complessivo
dei rapporti fra lo Stato e  le  Regioni  e  Province  autonome:  «Di
particolare rilievo e', poi, a questo  riguardo,  per  le  Regioni  a
statuto speciale e  per  le  Province  autonome,  la  funzione  della
normativa d'attuazione, vale a dire di quel particolare  procedimento
che e' previsto  dai  suddetti  statuti  speciali  e  che  rinvia  la
specificazione  delle  implicazioni   legislative   derivanti   dalle
disposizioni statutarie alla decretazione legislativa successiva alla
deliberazione   di   commissioni    pariteticamente    composte    da
rappresentanti dello Stato e della Regione  interessata.  E'  infatti
evidente che questo tipo di produzione normativa, che  deve  comunque
necessariamente  -  dato  che  fuoriesce   dagli   abituali   modelli
procedurali previsti per il percorso legislativo  -  trovare  il  suo
fondamento in disposizioni statutarie, si pone come norma  interposta
(e, quindi, sovraordinata) per cio' che riguarda sia la legge statale
che quella regionale che vengono a disciplinare corrispondenti ambiti
legislativi.» (Corte costituzionale, 22 maggio 2009, n. 159). 
    Sarebbe stato, quindi, questo l'unico strumento a  cui  lo  Stato
poteva eventualmente ricorrere per introdurre eventuali normative  in
materia di toponomastica, qualora fosse necessario, il  che  non  e',
come si dira' piu' avanti. 
    A tale procedura si  e'  fatto,  invece,  ricorso  per  procedere
all'approvazione del d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, ovvero al  d.P.R.
15 luglio 1988, n. 574. 
    E' di tutta evidenza che  le  disposizioni  di  cui  all'art.  1,
commi 1 e 2, del decreto legislativo 1° dicembre  2009,  n.  179,  in
parte qua, sono state  emanate  in  violazione  dell'art.  107  dello
Statuto speciale di autonomia per il Trentino-Alto Adige/Südtirol, in
quanto le disposizioni dello Statuto e relative norme  di  attuazione
non possono essere  modificate  ne'  derogate  unilateralmente  dallo
Stato al di fuori della procedura ivi prevista. 
4) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi  1  e  2,  del
decreto legislativo 1° dicembre 2009,  n.  179,  in  parte  qua,  per
violazione  dell'art.  105  dello  Statuto  di   autonomia   per   il
Trentino-Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31 agosto 1972, n.  670),  degli
articoli 10, 11 e  117,  primo  comma,  della  Costituzione  e  delle
risoluzioni 715 A (XXVII) del 23 aprile 1959 e  1314  (XLIV)  del  31
maggio 1968, del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite. 
    Si e' appena accennato che non era necessario mantenere in vigore
ovvero far rivivere espressamente le norme di cui al regio decreto 29
marzo 1923, n. 800, ed alla relativa legge di conversione  (legge  17
aprile 1925, n. 473), peraltro del tutto obsoleti e per  di  piu'  in
stridente  contrasto   con   norme   di   natura   costituzionale   e
para-costituzionali   nonche'   con   norme   contenute    in    atti
internazionali. Cio' per le seguenti considerazioni: 
A. Disciplina statutaria e regionale. 
    Innanzitutto va rilevato  che  l'art.  4  (n.  3)  dello  Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol attribuisce alla Regione
competenza legislativa esclusiva in  materia  di  «ordinamento  degli
enti  locali  e  delle  relative  circoscrizioni».   Trattandosi   di
competenza legislativa di tipo primario, essa e' soggetta  ai  limiti
della Costituzione  (comprensivo  di  quello  dei  principi  generali
dell'ordinamento giuridico, del  principio  della  territorialita'  e
degli altri principi nel  tempo  elaborati  dalla  dottrina  e  dalla
giurisprudenza  costituzionale)  e  degli  obblighi   internazionali,
compresi,   ovviamente,    quelli    discendenti    dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione europea. 
    Il successivo art. 7  dello  Statuto,  il  quale,  ricalcando  la
previsione di cui all'art. 133, comma 2, della Costituzione,  prevede
che «con leggi della regione,  sentite  le  popolazioni  interessate,
possono  essere  istituiti  nuovi  comuni  e   modificate   le   loro
circoscrizioni e denominazioni». 
    La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, nell'arco  degli  ultimi
sessanta anni, ha emanato una ventina  di  leggi  volte  ad  incidere
sulla denominazione e circoscrizione di comuni  siti  nel  territorio
provinciale di Bolzano. 
    Le  localita'  interessate  da  uno  specifico   intervento   del
legislatore regionale sono  le  seguenti:  Lauregno  e  Proves  (l.r.
8/49), Cortina all'Adige (l.r. 10/52), Andriano (l.r. 4/53),  Stelvio
e Prato allo Stelvio (l.r.  5/53),  San  Martino  di  Passiria  (l.r.
16/53), Prato allo Stelvio (Venosta) (l.r. 13/54), Aldino  (Valdagno)
(l.r. 6/55), Rasun di Sotto, Rasun di Sopra,  Anterselva  e  Valdaora
(l.r.  12/55),  Moso  in  Passiria  (l.r.  10/55),   Santa   Cristina
Valgardena (l.r. 25/55), Rio di Pusteria  (l.r.  26/55),  Avelengo  e
Merano (l.r. 7/57), Lagundo (l.r. 6/58), Predoi e Valle Aurina  (l.r.
17/58), San Pancrazio e Ultimo (l.r. 7/60), Sesto  (l.r.  22/63),  La
Valle e San Martino di Badia (l.r. 19/64), Sirmiano, Tesimo e  Nalles
(l.r. 29/64), Fie'  allo  Sciliar  (l.r.  18/71),  Appiano,  Caldano,
Termeno, Cortaccia, Magre' e Cortina  all'Adige  (l.r.  31/71),  Rio,
Pre' di Sotto, Varna e Fortezza (l.r. 8/73), Senale-San Felice  (l.r.
8/74), Foresta e Marlengo (l.r. 9/74), Ronchi e Termeno sulla  Strada
del Vino (l.r. 2/78), Castelbello-Ciardes  e  Naturno  (l.r.  10/80),
Gargazzone e Postal (l.r. 5/93), Plaus (l.r. 7/95), Valle  di  Casies
(l.r. 10/95), Monguelfo-Tesido (l.r. 6/03). 
    Inoltre,  diverse  localita'  del  territorio  provinciale   sono
direttamente menzionate nello Statuto speciale per  il  Trentino-Alto
Adige/Stidtirol, fra cui il capoluogo provinciale, Bolzano. 
    Nello  stesso  Statuto  sono  inoltre  menzionate   le   seguenti
localita':  Proves,  Senale,  Termeno,   Ora,   Bronzolo,   Valdagno,
Lauregno, San Felice, Cortaccia,  Egna,  Montgana,  Trodena,  Magre',
Salorno, Anterivo, e Sinablana (art. 3). 
    Ora, l'art. 105 dello  Statuto  speciale  per  il  Trentino  Alto
Adige/Südtirol prevede che «nelle materie attribuite alla  competenza
della regione e della provincia, fino a quando non  sia  diversamente
disposto con leggi regionali o provinciali,  si  applicano  le  leggi
dello Stato». 
    Ne consegue che, per i nomi geografici non disciplinati  in  base
alle fonti appena citate  occorre  rifarsi  alla  vigente  disciplina
statale in materia di toponimia, che,  merita,  pertanto,  di  essere
brevemente illustrata. 
B. Disciplina statale. 
    Il primo intervento normativo nel settore di un certo rilievo  si
concretava nel regio decreto del 5 marzo 1911,  con  il  quale  venne
costituita la «reale commissione per la revisione toponomastica della
Carta d'Italia», poi rimodellata, sia per il profilo  delle  funzioni
che della composizione, mediante un ampliamento della  rappresentanza
all'interno della commissione stessa, alle istituzioni centrali dello
Stato, a quelle regionali  e  delle  province  autonome,  ai  massimi
sodalizi geografici e culturali, sia nazionali  che  locali,  con  la
legge 8 giugno 1949, n. 605, che e' tuttora in vigore, come si vedra'
piu' oltre. 
    L'evoluzione normativa in materia di toponomastica  e  la  prassi
applicativa  nel  tempo  succedutasi  per  superare  le  questioni  e
difficolta'  man  mano  incontrate  dalla  reale  commissione   nella
compilazione della Carta topografica sono  efficacemente  ricostruite
da A. Cantile (norme toponomastiche nazionali, in Italia Atlante  dei
tipi geografici, edito dall'Istituto geografico militare sotto l'alto
patronato del Presidente della Repubblica,  www.igmi.org),  il  quale
osserva, a pag. 87, che «nonostante le varie attenzioni  rivolte  per
il passato ai nomi di  luogo,  l'Italia  non  possiede  uno  "statuto
unico" in materia di toponomastica ufficiale. Sono invece  in  vigore
numerose   disposizioni   di   legge,   che   regolano   l'argomento:
Costituzione della Repubblica italiana, leggi costituzionali e  leggi
ordinarie,  decreti  legislativi,  decreti   del   Presidente   della
Repubblica e leggi regionali. In generale, sorvolando sulla questione
della toponomastica stradale, che non rientra tra  gli  interessi  di
questo intento, va operata una  distinzione  tra  nomi  di  carattere
amministrativo e non. Mentre per i primi  la  legislazione  nazionale
offre  una  chiara  definizione  di  competenze   nelle   azioni   di
denominazione di  comuni,  frazioni  e  borgate,  non  mostra  alcuna
attenzione verso tutti quei nomi geografici non amministrativi, quali
oronimi, idronomi, localita', regioni geografiche estese e  limitate,
case isolate, che pur costituiscono la stragrande  maggioranza  della
toponomastica. Per tutta questa vasta quantita' di nomi  non  esiste,
infatti, altra sanzione se non quella relativa alla legge 2  febbraio
1960, n. 68, (Norme sulla cartografia ufficiale dello Stato  e  sulla
disciplina  della  produzione   e   dei   rilevamenti   terrestri   e
idrografici), che, nell'individuare quale carta ufficiale dello Stato
la   Carta   topografica   d'Italia   edita   dall'I.G.M.,    estende
automaticamente l'attributo di ufficialita' anche alla  toponomastica
in essa contenuta». 
C. Disciplina internazionale. 
    Prima di procedere  oltre  nell'esame  della  normativa  italiana
informante il settore,  giova  ricordare  che  l'Italia  aderisce  al
GENUNG, acronimo italo-franco-spagnolo di  Gruppo  di  Esperti  delle
Nazioni Unite sui Nomi Geografici,  in  inglese  UNGEGN,  in  tedesco
StAGN (ständiger Ausschuss  für  geografiche  Namen),  costituito  in
ottemperanza alle risoluzioni ONU 715 A (XXVII) del 23 aprile 1959  e
1314 (XLIV) del 31 maggio  1968,  che  rappresenta  una  delle  sette
branche specializzate permanenti del ECOSOC  ed  e',  in  virtu'  dei
compiti assegnategli e della rappresentativita' dei  sui  membri,  il
consesso  piu'  autorevole  a  livello  mondiale  nel  settore  della
toponomastica. (S. Arca, normative internazionali di nomi geografici,
in Atlante cit.). 
    Il  GENUNG,  che  per  statuto  (consultabile  sub  www.igmi.org)
persegue «l'uso mondiale normalizzato  di  univoci  nomi  di  luogo»,
ritenuto necessario per «mitigare le tensioni politiche» e promuovere
«affari e commercio», e' articolato  in  22  divisioni,  ripartizioni
geografico-linguistiche, nelle quali sono suddivisi gli Stati membri.
Ciascuna divisione e' composta dai delegati formalmente designati dai
rispettivi  governi.  L'Italia  e'  membro  della  divisione   20   -
Romano-Ellenica -, insieme a Belgio, Canada, Cipro, Francia,  Grecia,
Lussemburgo,  Moldova,  Monaco,  Portogallo,  Romania,  Santa   Sede,
Spagna, Svizzera e Turchia. L'Austria e la Germania fanno parte della
divisione 12 dei Paesi di lingua Neerlandese e Tedesca. 
    Le riunioni del GENUNG si svolgono generalmente ogni due  anni  e
perseguono lo scopo di preparare i documenti  tecnici  da  sottoporre
all'approvazione  della  Conferenza   delle   Nazioni   Unite   sulla
normalizzazione dei nomi geografici,  che  hanno  luogo  ogni  cinque
anni,  nonche'  di  promuovere  e  controllare  l'applicazione  delle
risoluzioni adottate  dalle  Conferenze,  essendo  gli  Stati  membri
tenuti  ad  adeguarsi  nella  produzione  dei   documenti   connessi:
cartografia, repertori toponomastici, disposizioni  amministrative  e
quant'altro attenga agli ambiti propri delle risoluzioni approvate. 
D. Le linee guida. 
    Cio'  posto,  va  osservato  che   le   «Linee   guida   per   la
normalizzazione  dei  nomi  geografici  ad  uso  degli   editori   di
cartografia ed altri editori» in atti vigenti, sono basati sui lavori
della 22ª sessione del GENUNG svoltasi a New York nel 2004 (20  -  29
aprile), recependo quanto emerso in tale assise internazionale. 
    Tali «linee guida»,  curate  dall'Istituto  geografico  militare,
contengono, conformemente alle indicazioni fissate  nella  Conferenza
del 1982 di Ginevra, direttive attinenti allo statuto legale dei nomi
geografici nelle lingue parlate e all'alfabeto delle  lingue  stesse,
regole ortografiche applicative ai nomi geografici, indicazioni circa
la pronuncia dei nomi geografici, substrati linguistici riconoscibili
nei nomi dei luoghi esistenti, per quanto di utilita' dei cartografi,
ripartizione geografica delle lingue,  particolarita'  dei  dialetti,
relazioni tra dialetti e lingue normali,  autorita'  toponomastica  e
misure intraprese per la normalizzazione dei nomi, documenti di base,
glossario delle parole necessarie per la  comprensione  delle  carte,
abbreviazioni ufficiali, e le divisioni amministrative. 
    In merito alle lingue ufficiali, si  legge  nelle  «linee  guida»
predette che, «oltre all'italiano, anche il  francese  e  il  tedesco
hanno un riconoscimento ufficiale in  Italia,  rispettivamente  nella
Regione Autonoma Valle  d'Aosta  Vallee  d'Aoste  e  nella  Provincia
Autonoma di Bolzano/Bozen. In  queste  aree  tali  lingue  hanno  gli
stessi diritti  dell'italiano».  Fra  le  altre  lingue  minoritarie,
riconosciute ma non parificate, e' menzionato  anche  il  ladino,  in
merito al quale vengono fornite indicazioni sul sistema ortografico e
grammaticale alla stregua di quanto e' previsto per  tutte  le  altre
lingue minoritarie e dialettali nominate nelle «linee guida». 
    In tali «linee», fra le regole ortografiche, alla  voce  dedicata
ai nomi geografici composti, e' dato di leggere, tra l'altro, che «in
alcune carte relative ad aree  di  bilinguismo  si  puo'  trovare  un
trattino anche tra il nome italiano  in  prima  posizione  e  i  nomi
francesi o tedeschi in seconda posizione (ad es. Bolzano-Bozen, Passo
del Brennero-Brennerpass, Val  Gardena-Grödner  Tal).  Ad  ogni  modo
sarebbe piu' corretto separare i nomi italiani da quelli  francesi  e
tedeschi per mezzo della barra "/'', in modo da mostrare  chiaramente
che entrambi i nomi sono  ufficiali  ed  egualmente  validi  (ad  es.
Bolzano/Bozen, Bressanone/Brixen, Aosta/Aoste,  Val  Gardena/Gröldner
Tal)». 
    In merito alla lingua tedesca  ed  ai  dialetti  bavaresi,  nelle
«linee guida» predette e' riportato quanto segue: «Il tedesco, lingua
ufficiale della confinante  Austria,  della  Repubblica  Federale  di
Germania  e,  inoltre,  una  delle  quattro  lingue  nazionali  della
Svizzera, e' diffusamente parlato anche nella Provincia  Autonoma  di
Bolzano/Bozen, che fa parte della Regione Autonoma del Trentino  Alto
Adige/Südtirol. Quando quest'area fu assegnata  all'Italia,  dopo  la
prima guerra mondiale, si stimo' che il numero di persone  di  lingua
tedesca in Alto Adige/Südtirol fosse di 233.000 contro 7.000 abitanti
di lingua italiana: i  primi  rappresentavano  dunque  il  97%  della
popolazione totale. Conseguentemente ad un processo  di  immigrazione
della popolazione di lingua italiana,  diretta  quasi  esclusivamente
nelle aree urbane, la quota di  abitanti  di  lingua  tedesca  si  e'
gradualmente ridotta al 60% (1971) della popolazione totale, anche se
nelle aree rurali tale  quota  e'  molto  piu'  elevata  (90%).  Come
risultato  del  Trattato  di  pace  di  Parigi   del   1947,   l'Alto
Adige/Südtirol venne ancora una volta assegnato all'Italia e nel 1948
fu unito alla provincia di Trento (Trentino) a formare una Regione  a
statuto speciale. Con il nuovo statuto autonomistico del  1972  l'uso
del  tedesco  e'  stato  nuovamente   permesso   nell'amministrazione
pubblica e tutti i documenti ufficiali devono essere redatti  sia  in
lingua tedesca  che  italiana.  Nella  lingua  parlata  gli  abitanti
dell'Alto Adige/Südtirol usano normalmente dialetti  austro-bavaresi,
molto  simili  a  quelli  parlati  nel  vicino  Tirolo,  una  regione
dell'Austria». 
    In ordine ai nomi  geografici,  invece,  viene  osservato  quanto
appresso: «Sebbene il Governo italiano avesse  riconosciuto  fin  dal
1948 il principio di pari dignita' della lingua  tedesca  e  italiana
per  il  Trentino-Alto  Adige/Trentino-Südtirol,  i  toponimi   della
Provincia di Bolzano/Bozen furono registrati quasi tutti  nella  loro
forma italiana, in  tutte  le  vecchie  carte  ufficiali  alla  scala
1:25000 e 1:50000 dell'Istituto Geografico Militare. In  molte  carte
odierne prodotte anche da privati (ad es. del Touring  Club  Italiano
1:25000) vengono riportate entrambe le versioni, laddove lo spazio lo
permetta, con la forma italiana in prima  posizione  seguita  da  una
barra  e  dal  corrispondente  tedesco  (ad  es.   Bressanone/Brixen,
Adige/Etsch, Val Pusteria/Pustenal, Passo Rombo/Timmelsjoch). 
    Nel capitolo dedicato a «enti autorizzati  e  standardizzazione»,
nelle «linee guida» e' ribadito quanto piu' sopra gia'  accennato  in
materia di normalizzazione dei nomi, vale a dire che nell'ordinamento
italiano vige una duplice via per la ufficializzazione  dei  toponimi
in uso. 
    La prima avviene per il tramite  della  revisione  dei  nomi  dei
luoghi apportati sulle carte ufficiali dello Stato, per la  quale  e'
istituita un'apposita commissione, composta,  a  termini  della  gia'
menzionata legge 8 giugno 1949, n. 605, come segue: 
        Presidente: direttore dell'istituto geografico militare; 
        Membri: presidente del Comitato nazionale  per  la  geografia
del  Consiglio  nazionale  delle  ricerche  o  un  suo  delegato,  il
direttore dell'Istituto idrografico della marina od un suo  delegato,
il presidente del Touring  Club  Italiano  od  un  suo  delegato,  un
rappresentante  della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  un
rappresentante del Ministero degli interni. 
    Per la parte che riguarda la loro regione o provincia: 
        il presidente della Giunta provinciale di Bolzano  o  un  suo
delegato, 
        il presidente della Giunta provinciale di  Trento  o  un  suo
delegato, 
        il capo dell'amministrazione provinciale di Gorizia o un  suo
delegato, 
        il capo dell'amministrazione provinciale di Udine  o  un  suo
delegato, 
        il presidente della Giunta regionale per la Valle  d'Aosta  o
un suo delegato, 
        un  rappresentante  della  Deputazione  regionale  di  storia
patria, 
        i direttori degli Istituti di geografia delle  universita'  o
loro delegati, 
        i direttori di Centri di studi regionali, 
        Segretario:  un  funzionario   od   ufficiale   dell'Istituto
geografico militare, di grado non superiore al settimo. 
    Le  carte  topografiche  ufficiali  d'Italia  sono  prodotte  dai
seguenti enti: 
        Istituto geografico militare; 
        Istituto geografico della marina; 
        Agenzia del territorio (ex catasto); 
        Servizio geologico d'Italia; 
        Centro    informazioni    geotopografiche    dell'aeronautica
militare. 
    Altre carte topografiche,  le  «Carte  tecniche  regionali»,  con
scala 1:5000 e 1:10000  sono  prodotte  dalle  regioni  ovvero  dalle
province autonome di Trento e di Bolzano. 
    Elenchi completi dei nomi relativi a luoghi  abitati  si  possono
trovare nei fascicoli regionali ISTAT, nell'annuario del Touring Club
Italiano, dell'Istituto geografico  De  Agostini  e  nelle  «carte  e
documenti costruiti o redatti da enti pubblici o privati, purche',  a
giudizio del competente organo cartografico dello Stato, possiedano i
necessari requisiti tecnici» (art. 3, legge 2 febbraio 1960, n. 52). 
    Riguardo alla commissione toponomastica sopra  citata,  e'  stato
peraltro osservato che «le giuste preoccupazioni del legislatore  nel
voler assicurare le ampie garanzie alle  varie  istanze  legate  alle
questioni toponomastiche, si tradussero pero' nella creazione  di  un
organismo   collegiale   eccessivamente   rappresentativo   e    poco
funzionale, che costitui' di  fatto  un  freno  alle  pur  necessarie
attivita'  di   revisione   della   toponomastica   riportata   nella
cartografia ufficiale dello Stato e che negli anni successivi genero'
ripieghi e forme di accomodamento scientificamente dubbie,  ancorche'
piu' funzionali in relazione alle pressanti esigenze della produzione
cartografica ufficiale» (A. Cantile, cit.). 
    L'esautorazione  di  detta  commissione  avvenne  per  gradi.  Le
direttive  dettate  per  la  raccolta  e   la   registrazione   della
toponomastica  ai  fini  della  redazione  della  Carta   topografica
d'Italia  alla  scala  1:25000   del   1950   erano   sostanzialmente
coincidenti  con  quelle  precedentemente   elaborate   dalle   reale
commissione, in base alle quali doveva essere trascritta sulla  carta
ufficiale dello Stato la toponomastica conosciuta  dalle  persone,  i
nomi di speciale importanza storica, anche se poco usati o conosciuti
sul luogo, impiegando  per  la  trascrizione  la  lingua  italiana  e
mantenendo la terminologia locale dei nomi comuni, come alpe,  baita,
casera, ed evitando, per quanto possibile, di  impiegare  i  nomi  di
proprietari di immobili per la loro mutevolezza. (A. Cantile, cit.). 
    Era, inoltre, previsto, per la registrazione delle denominazioni,
che «per i  nomi  dialettali  o  stranieri,  fintantoche'  non  siano
portati a forma italiana  da  prescrizioni  governative,  valgono  le
norme per le indagini toponomastiche in vigore. Quando siano  in  uso
le due denominazioni italiana e dialettale o straniera, e l'uso della
prima sia poco esteso, vengono  inserite  ambedue  le  denominazioni,
ponendo la seconda nella forma ortografica  originaria  in  parentesi
sotto o a seguito della dizione italiana, con carattere diminuito  di
un terzo, per i nomi piccoli; di meta' per i nomi di altezza uguale o
superiore a mm 3» (I.G.M. Segni convenzionali e norme sul  loro  uso,
vol. 1, cartografia alla scala 1:25000, edizione 1950). 
    La raccolta dei nomi di  luogo  stessi  doveva  basarsi,  invece,
sull'intervista degli abitanti e delle persone notoriamente  pratiche
dei luoghi, integrata  dalla  consultazione  delle  mappe  catastali,
della documentazione presente negli archivi pubblici e  parrocchiali,
dei  volumi  sul  censimento  della  popolazione  ed  altri,  e   poi
sottoposta all'autorita' comunale per un confronto. 
    L'elenco dei toponimi, concordato e convalidato dalla  firma  del
sindaco, doveva essere trasmesso alla  commissione  toponomastica  di
cui alla legge 8 giugno  1949,  n.  605,  per  l'approvazione  ed  il
successivo inserimento  nella  carta.  Venne  parallelamente  aperta,
tuttavia,  anche  la  possibilita'  di  pubblicare  i  nomi  raccolti
dall'operatore di campagna  ed  approvati  dal  sindaco  direttamente
sulle carte, «facendo salva la possibilita'  di  apportare  eventuali
varianti  ai  toponimi  riportati   sulle   carte,   nelle   edizioni
successive» (A. Cantile, cit.). 
    Con  le  norme  tecniche  successivamente   emanate,   l'Istituto
geografico militare venne ad ulteriormente ampliare  la  possibilita'
di intervenire sulle denominazioni inserite o da inserire nelle carte
senza il previo assenso della commissione toponomastica, alla  quale,
nel tempo, non veniva piu' fatto nemmeno un accenno. La  facolta'  di
convalida delle indagini toponomastiche degli operatori  di  campagna
restava riconosciuta interamente ai sindaci. 
    Scelte sostanzialmente analoghe furono operate dalla  Commissione
geodetica italiana, allorche', nel 1973,  a  ridosso  dell'attuazione
dell'ordinamento regionale ordinario,  iniziato  con  i  decreti  del
Presidente della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 1 - n. 6, 15  gennaio
1972, n. 7 - n. 11 e 5 giugno 1972, n.  315,  imparti'  la  normativa
tecnica per la formazione delle Carte Tecniche Regionali, nelle quali
stabili' che «l'elenco dei toponimi compresi in  ogni  comune  dovra'
essere convalidato - salvo disposizioni in contrario  -  dalla  firma
del sindaco accompagnato dal bollo comunale». (A. Cantile, cit.). 
    Nelle  carte  tecniche  regionali  andavano   inseriti   i   nomi
conosciuti dalle persone del luogo, ad eccezione dei nomi di speciale
importanza storica (strade, ruderi di antichita' notevoli, ecc.), per
i quali consigliava comunque l'inserimento nelle carte, anche se poco
conosciuti sul posto. 
    Per le lingue veniva, invece, indicato  «l'uso  prevalente  della
lingua italiana nella scrittura  dei  vari  toponimi,  riservando  la
terminologia locale per l'indicazione  dei  nomi  comuni  come  alpe,
baita, casera, tabia', brughiera, magredo, groana, ecc., mentre, piu'
specificatamente  riferito  alle  zone   bilingui   del   Paese,   si
sottolineava  la  "preminenza  della   versione   italiana,   purche'
esistente'', e, in subordine, "la versione  originale  nella  seconda
lingua senza ricorrere ad italianizzazione''»(A. Cantile, cit.). 
    Le norme tecniche piu' recenti dell'Istituto geografico  militare
risalgono all'anno 2000, e furono diramate per  la  produzione  della
Carta d'Italia alla scala 1:25000 - Serie 25DB. In larga  parte  sono
riprese e parzialmente rielaborate  le  indicazioni  contenute  nelle
precedenti edizioni. 
    Un tanto vale anche per la  constatazione  che  «solo  per  pochi
particolari  (comuni  e  centri   abitati,   parrocchie,   importanti
accidentalita',  ecc.)  esistono   nomi   sanzionati   da   documenti
ufficiali, per la maggior parte dei particolari topografici  (piccole
localita', case isolate,  alture,  corsi  d'acqua  secondari,  ecc.),
invece, la  raccolta  dei  toponimi,  nella  forma  ortografica  piu'
largamente usata, comporta notevoli difficolta'». (A. Cantile, cit.). 
    Nelle carte vanno iscritti i nomi conosciuti  dalle  persone  del
luogo, nonche', anche se poco usati e conosciti, i nomi  di  speciale
importanza storica (strade, ruderi di antichita' notevoli ecc.). 
    La raccolta dei nomi  e'  affidata  agli  operatori  di  campagna
interrogando gli abitanti e altre persone notoriamente  pratiche  dei
luoghi  (insegnanti,   parroci,   ingegneri,   forestali,   geometri,
alpinisti, cacciatori, guardie campestri ecc.). 
    Vanno consultati anche  i  fascicoli  dell'Istituto  centrale  di
statistica relativi al censimento generale  della  popolazione,  che,
per la parte in cui sono consultati, fanno testo agli  effetti  della
esatta grafia dei toponimi. 
    Sono da consultarsi, inoltre, le  mappe  catastali,  i  documenti
presenti  negli  archivi  pubblici  e   privati   e   la   precedente
cartografia. 
    I nomi cosi' raccolti nell'apposito stampato sono  presentati  al
sindaco o a chi ne fa le veci, per la convalida. 
    Per le scritture, l'ortografia, le abbreviazioni  e  quant'altro,
vi e' invece una larga coincidenza con le indicazioni contenute nelle
«Linee guida per la normalizzazione dei nomi geografici ad uso  degli
editori di cartografia ed altri editori » sopra  richiamate,  la  cui
elaborazione era sostanzialmente contestuale alla preparazione  della
normativa tecnica predetta. 
    E' da ritenere, ad ogni modo, che nei casi dubbi, le  indicazioni
recate dalle «linee guida» prevalgano comunque su quelle  delle  meno
recenti direttive tecniche, anche  per  quanto  attiene  alle  lingue
minoritarie, e, in particolare, a  quelle  cui  e'  riconosciuta  una
«pari validita'» rispetto all'italiano. 
    Ricostruito, cosi', per sommi capi, il quadro normativo in cui si
inserisce la produzione dei vari tipi di carta cui e' attribuita  una
specifica rilevanza ed ufficialita' anche in merito  alla  toponimia,
va aggiunto che, mentre la Carta Tecnica della provincia  di  Bolzano
ad oggi e' priva di indicazioni toponomastiche, per  contro,  vengono
puntualmente  aggiornati  i  fascicoli  dell'Istituto   centrale   di
statistica Censimento Generale della Popolazione. 
E. Il censimento Generale della Popolazione. 
    Come visto piu' sopra, «agli  effetti  della  esatta  grafia  dei
toponimi, e limitatamente a quelli presi  in  considerazione,  questi
documenti ufficiali fanno testo». 
    I documenti relativi al censimento  generale  della  popolazione,
nei territori delle province di Trento e di Bolzano, come noto,  sono
curati e redatti da uffici statistici istituiti con legge provinciale
a  termini  della  vigente  normativa  di  attuazione  dello  Statuto
speciale per il Trentino Alto Adige/Südtirol, di cui all'art. 10  del
decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1978, n. 1017, come
sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 6 luglio 1993, n. 290. 
    In base al cennato art.  10,  infatti,  l'ufficio  di  statistica
istituito con legge provinciale  fa  «parte  del  Sistema  statistico
nazionale di cui al decreto legislativo 6 settembre 1989, n.  322,  e
corrisponde direttamente con l'ISTAT»; esso ufficio effettua,  «-  in
particolare  curando,  salvo  diversa   intesa,   la   verifica,   la
correzione, e la memorizzazione dei dati rilevati - i censimenti e le
altre rilevazioni previste  dal  programma  statistico  nazionale  in
conformita' alle  direttive  tecniche  disposte  dall'ISTAT  e  dagli
organi titolari delle rilevazioni». 
    Per quanto concerne la raccolta delle denominazioni  dei  luoghi,
si ricorda che le direttive tecniche dell'ISTAT ricalcano il  modello
all'uopo tracciato dall'Istituto geografico militare, vale a dire che
i nomi raccolti ed utilizzati vanno sottoposti all'autorita' comunale
e convalidati dal sindaco o da chi ne fa le veci. 
    Inoltre, il servizio  provinciale  competente  per  la  redazione
della  Carta  tecnica  Provinciale  si  accinge  a  completare   tale
documento, compilato  su  tavole  acquistate  dall'Istituto  Tabacco,
essendosi rilevate quelle dell'Istituto  geografico  militare  troppo
poco aggiornate, con le indicazioni nominative dei luoghi sulla  base
delle «linee guida» piu' volte menzionate e le indicazioni  contenute
nei fascicoli del Censimento Generale della Popolazione. 
    Ultimata la disamina della  disciplina  vigente  per  i  nomi  di
«carattere non amministrativo», va brevemente presa in considerazione
quella  operante  per  i  «nomi   cosiddetti   amministrativi»,   per
utilizzare la terminologia  delle  «linee  guida»  predette,  ed,  in
genere, degli addetti ai lavori. 
F. I nomi cosiddetti amministrativi. 
    La nomenclatura delle «divisioni amministrative» piu'  rilevanti,
quelle regionali, e' fissata direttamente dalla Costituzione  stessa,
che elenca ciascuna delle 20 regioni italiane  per  nome,  da  ultimo
anche in forma bilingue per quanto attiene  la  Valle  d'Aosta/Vallee
d'Aoste ed il Trentino-Alto Adige/Trentino-Südtirol. 
    Nelle «linee guida» e' precisato, a tale riguardo,  che  «le  tre
regioni   di   Trentino-Alto   Adige/Trentino-Südtirol,   Veneto    e
Friuli-Venezia  Giulia  vengono  spesso  definite   Tre   Venezie   o
Triveneto.  L'Abruzzo  puo'  anche  essere   definito   Abruzzi,   ma
quest'ultimo nome e' meno  appropriato.  Un'altra  denominazione  non
consueta e' quella di Lucania per Basilicata». 
    Le  regioni  sono,  a  loro  volta,  divise  (eccetto  la   Valle
d'Aosta/Vallee D'Aoste) in due o piu' province,  che  in  tutto  sono
103. 
    La «fusione di regioni esistenti o la creazione di nuove  regioni
con un minimo di un milione di abitanti» puo'  essere  disposta  «con
legge costituzionale, sentiti  in  consigli  regionali,»  quando  «ne
facciano richiesta tanti consigli comunali che  rappresentino  almeno
un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta  sia  approvata
con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse» (art.  132
Costituzione). 
    «Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e  la  istituzione
di nuove province nell'ambito d'una regione sono stabiliti con  leggi
della  Repubblica,  su  iniziative  dei  comuni,  sentita  la  stessa
regione.»(per la Sicilia, cfr. M. Immordino, Sicilia, Giuffre'). 
    «La regione, sentite le popolazioni  interessate,  puo'  con  sue
leggi istituire nel proprio territorio nuovi comuni e  modificare  le
loro circoscrizioni e denominazioni» (art. 133 Costituzione). 
    La portata di quest'ultima previsione costituzionale,  di  tenore
identico  a  quello  dell'art.  7  dello  Statuto  speciale  per   il
Trentino-Alto  Adige/Südtirol,  come  piu'  avanti  rilevato,   venne
dapprima meglio specificata con l'art. 1 del decreto  del  Presidente
della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 1, recante  «Trasferimento  alle
regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali  in
materia di circoscrizioni comunali  e  di  polizia  locale  urbana  e
rurale e del relativo personale», e resta ora  determinata  dall'art.
16 del decreto del Presidente della Repubblica  24  luglio  1977,  n.
616, recante «Attuazione della delega di cui all'art. 1  della  legge
22 luglio 1975, n. 382», (cfr. G. Rozzi, in Commento al decreto  616,
Giuffre'). 
    L'art. 16 predetto recita come segue: «Le funzioni amministrative
relative   alla   materia   <   circoscrizioni   >   concernono:   la
determinazione dell'ambito territoriale dei comuni e  delle  relative
denominazioni  e  sedi;  la  definizione  dei  rapporti  fra   comuni
conseguenti a variazioni territoriali; il regolamento del  regime  di
separazione dei rapporti patrimoniali e contabili fra comuni  e  loro
frazioni. La denominazione delle borgate e frazioni e' attribuita  ai
comuni ai sensi dell'art. 118 della Costituzione. Fino all'entrata in
vigore  della  legge  sulle  autonomie  locali  non  possono   essere
istituiti nuovi comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti». 
    Al  riguardo  va  ricordato  il  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 19 novembre 1987, n. 526, recante «Estensione alla regione
Trentino Alto Adige e alle province autonome di Trento e  di  Bolzano
delle disposizioni del decreto del  Presidente  della  Repubblica  24
luglio 1977, n. 616», il quale, agli articoli 12  e  15,  stabilisce,
rispettivamente, che  «Sono  estesi  alla  regione  e  alle  province
autonome, in quanto non ne siano  gia'  investite,  ogni  facolta'  o
poteri attribuiti alle regioni a statuto ordinario  con  decreto  del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, alle  condizioni,
con le modalita' ed entro i limiti per essi previsti». 
    «Le funzioni amministrative che le  leggi  generali  dello  Stato
conferiscono ai comuni, ai sensi dell'art.  128  della  Costituzione,
debbono intendersi conferite direttamente anche ai comuni siti  nelle
province di Trento e di Bolzano, qualora non rientrino nelle  materie
di competenza della regione o delle  province.  A  questo  titolo,  e
negli stessi limiti, debbono intendersi trasferite ai  citati  comuni
le funzioni di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  24
luglio 1977, n. 616.». 
    In disparte ogni considerazione sul fatto che in occasione  della
riforma della Carta  costituzionale  operata  nel  2001,  l'art.  128
predetto  e'  rimasto  soppresso,  mentre  l'art.  118   e'   restato
profondamente riformato, e' di tutta evidenza che la normativa di cui
all'art. 16 del decreto del Presidente  della  Repubblica  24  luglio
1977, n. 616, e' stata  trasfusa  nell'ordinamento  della  regione  e
delle due province autonome per effetto del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526, sopra citato. 
    La Regione  Trentino  Alto  Adige/Südtirol  ha  disciplinato  gli
aspetti che costituiscono l'oggetto  dell'art.  16  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977,  n.  616,  con  la  legge
regionale 21 ottobre 1963, n. 29, piu' volte modificata ed integrata,
dettando, fra l'altro, le modalita' per il conferimento dei titoli di
«Citta'» o di «Borgata», le procedure da seguirsi per la costituzione
di nuovi comuni, il distacco  di  frazioni,  la  riunione  di  comuni
contermini, la rettifica dei confini comunali, ecc., e con  la  legge
regionale  4  gennaio  1993,  n.  1,  e   successive   modifiche   ed
integrazioni,   concernente,   fra   l'altro,   l'istituzione   delle
circoscrizioni e dei consigli circoscrizionali,  consentita  ai  soli
comuni con oltre 30.000 abitanti. 
    I comuni della provincia di Bolzano (come di  quella  di  Trento)
risultano attributari, per effetto  del  medesimo  dell'art.  16  del
decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, della
potesta'  di  denominare  le  borgate,  le  frazioni   e   le   altre
articolazioni territoriali. 
G. Conclusioni. 
    Fatto questo breve excursus sulle modalita' applicative dell'art.
16 del decreto del Presidente della Repubblica  24  luglio  1977,  n.
616, nel territorio della Regione Trentino Alto Adige/Südtirol, e, di
riflesso, nella provincia di Bolzano, occorre rilevare che, tolte  le
fonti fin qui citate - legge costituzionale  per  tutte  le  regioni,
leggi costituzionali per le cinque regioni ad autonomia differenziata
ed i relativi capoluoghi,  leggi  ordinarie  per  le  province  ed  i
rispettivi capoluoghi, leggi regionali per tutti  gli  altri  comuni,
delibera del consiglio comunale  per  le  borgate  e  le  frazioni  -
l'ordinamento  vigente  non  ne   conosce   altre   in   materia   di
denominazione dei luoghi «di carattere amministrativo», con  la  sola
eccezione della legge 15 dicembre 1999, n.  482,  recante  «Norme  in
materia di tutela  delle  minoranze  linguistiche  storiche»,  e  del
relativo regolamento di attuazione di cui al decreto  del  Presidente
della Repubblica 2 maggio 2001, n. 345, che tuttavia,  per  esplicita
previsione della stessa legge  15  dicembre  1999,  n.  482,  non  si
applicano al territorio della Regione Trentino  Alto  Adige/Südtirol,
della Regione Valle d'Aosta e alla provincia di Bolzano,  riferendosi
esclusivamente alle lingue minoritarie per le quali non e'  stabilita
la «pari validita'» e «alternativita'» rispetto all'italiano prevista
per il tedesco ed il francese. 
    Nel territorio della provincia di Bolzano  rileva,  invece,  come
gia'  anticipato,  la  disciplina  generale  vigente  in  materia  di
denominazione dei luoghi, che, come si e' visto nel corso di  questa,
breve esposizione, e' sostanzialmente articolata su due filoni,  come
regola generale. 
    In nomi di carattere amministrativo  sono  definiti  direttamente
con legge costituzionale per le regioni, con  legge  statale  per  le
province, con legge regionale  per  i  comuni,  e  con  deliberazione
comunale per le articolazioni comunali. 
    I nomi di carattere non amministrativo, vale a  dire  dei  luoghi
non entificati, di contro, sono definiti e formalizzati  mediante  le
carte ufficiali dello Stato e  delle  regioni  e  province  autonome,
compilati sulla base dei riscontri degli operatori di campagna presso
le persone  pratiche  dei  luoghi  stessi,  previo  confronto  con  i
fascicoli del censimento generale della  popolazione  e  delle  mappe
catastali, ed «approvazione» da parte  del  sindaco  territorialmente
competente o di chi ne fa le veci. 
    Il territorio della Regione Trentino Alto Adige/Südtirol e  della
Provincia autonoma di Bolzano/Bozen non fa eccezione alle  regole  di
carattere generale appena  ricostruite,  se  non  in  minima  misura,
dovuta al grado di maggiore autonomia riconosciuta alle due  province
di Trento e di Bolzano. 
    Infatti, la  denominazione  della  Regione  stessa  e'  stabilita
direttamente  con  legge  costituzionale  (artt.  116  e  131   della
Costituzione; la forma bilingue «Trentino Alto Adige/Südtirol»  della
Regione  e',  peraltro,  stabilita  solo  nel  primo  degli  articoli
menzionati, modificato con l'art. 2  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3, mentre,  nel  secondo  dei  detti  articoli,  non
interessato  dalla   riforma,   e'   rimasta   l'originaria   dizione
monolingue; art. 1  dello  Statuto  speciale  per  il  Trentina  Alto
Adige/Südtirol per la Regione stessa, che  all'art.  114  prevede  la
«traduzione in lingua tedesca del presente testo unico concernente lo
statuto    speciale     della     regione     Trentino-Alto     Adige
(Trentino-Südtirol)», da pubblicarsi sul bollettino ufficiale). 
    Lo  Statuto  regionale  indica  inoltre  il  nome  del  capoluogo
regionale, Trento. 
    Le province autonome di Trento e di  Bolzano,  essendo  per  piu'
versi equiparati  alle  regioni,  ne  seguono  anche  il  regime;  di
conseguenza  sono  anch'esse  menzionate  direttamente  nella   Carta
costituzionale (art. 116, come modificato  dall'art.  2  della  legge
costituzionale 18  ottobre  2001,  n.  3),  anche  se  non  in  forma
bilingue, che rimane assicurata, per quella di Bolzano, dall'art. 114
dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige/Südtirol. 
    Il medesimo Statuto individua anche, sia pur in forma  indiretta,
i capoluoghi provinciali, Trento e Bolzano, e si preoccupa -  essendo
la «regione Trentino-Alto Adige/Südtriol  costituita  dalle  province
autonome di Trento e di  Bolzano»  (art.  116  Costituzione;  art.  3
Statuto) - di definirne anche i confini, la modificazione  dei  quali
non segue, pertanto, il regime previsto per  le  altre  province,  ma
presuppone una procedura costituzionale, come per le regioni. 
    La  denominazione  dei  comuni  siti  nel  territorio   regionale
(provinciale) avviene nelle forme previste per tutti gli altri comuni
italiani, con legge regionale, ricalcando l'art. 7 dello  Statuto  le
previsioni di cui all'art. 133, comma 2, della Costituzione. 
    La denominazione delle borgate e delle frazioni comunali, infine,
e' rimessa alla determinazione dei consigli comunali, essendo  l'art.
16 del decreto del Presidente della Repubblica  24  luglio  1977,  n.
616,  attributivo  di  tali  funzioni  alla  generalita'  dei  comuni
italiani, rimasto esteso anche al territorio regionale (provinciale),
come gia' illustrato. 
    Considerazioni sostanzialmente analoghe valgono anche per i  nomi
dei luoghi «non  amministrativi»,  la  cui  ufficializzazione  e'  in
definitiva rimessa (astraendo per comodita' di esposizione da  quelli
oggetto di accordi internazionali) alle carte topografiche ufficiali. 
    Essendo  questo  il  quadro  normativo  statale  in  materia   di
toponomastica, e' evidente che  l'impugnato  decreto  legislativo  in
parte qua viola l'art. 105 dello Statuto  speciale  per  il  Trentino
Alto Adige/Südtirol, anche perche'  uno  dei  principi  portanti  del
sistema  italiano  vigente  e'  rappresentato  dal   fatto   che   le
denominazioni dei luoghi «non amministrativi» non vanno mai  imposte,
ma rilevate, nonche' le risoluzioni 715 A (XXVII) del 23 aprile  1959
e 1314 (XLIV) del 31 maggio 1968, del Consiglio Economico  e  Sociale
delle Nazioni Unite, e per cio' stesso viola  l'art.  117,  comma  1,
della Costituzione, oltre agli art. 10 e 11 della Costituzione. 
    In questo senso si  e'  espressa  codesta  ecc.ma  Corte  con  la
sentenza 24 ottobre 2007, n. 349: «L'art. 117,  primo  comma,  Cost.,
novellato a seguito della riforma del Titolo  V  della  Costituzione,
nel prevedere la necessita' di armonizzare il diritto interno con  "i
vincoli derivanti [ ...] dagli  obblighi  internazionali'',  comporta
l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare le norme  contenute
in accordi internazionali; con tale norma costituzionale si e' quindi
realizzato un rinvio mobile alla  norma  convenzionale  di  volta  in
volta conferente, la quale da' vita e  contenuto  a  quegli  obblighi
internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto
da  essere  comunemente  qualificata  "norma  interposta'',  che   e'
soggetta a sua volta ad una verifica di compatibilita' con  le  norme
della   Costituzione.   Conseguentemente,    la    norma    nazionale
incompatibile con la norma della Convenzione per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e dunque con gli "obblighi internazionali'' di  cui
all'art. 117, primo comma,  viola  per  cio'  stesso  tale  parametro
costituzionale.» 
5) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi  1  e  2,  del
decreto legislativo 1° dicembre 2009,  n.  179,  in  parte  qua,  per
violazione  degli  articoli  10,  11  e  117,  primo   comma,   della
Costituzione nonche' dell'Accordo di Parigi tra l'Italia e  l'Austria
del 5 settembre 1946 che, quale annesso n. 6, fa parte integrante del
Trattato di  Pace  firmato  a  Parigi  il  10  febbraio  1947,  della
Dichiarazione   universale    dei    diritti    dell'uomo    adottata
dall'Assemblea generale delle Nazioni  Unite  il  10  dicembre  1948,
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU), della
Carta europea delle  lingue  regionali  o  minoritarie  adottata  dal
Consiglio  d'Europa   il   5   novembre   1992,   della   risoluzione
dell'Assemblea generale delle Nazioni  Unite  del  18  dicembre  1992
(Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti alle  minoranze
nazionali   o   etniche,    religiose    e    linguistiche),    della
Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta
a Strasburgo il 1° febbraio 1995, della Convenzione sulla  protezione
e la promozione delle diversita' delle espressioni culturali, fatta a
Parigi il 20 ottobre 2005. 
    In conclusione, l'impugnato decreto legislativo e', in parte qua,
in stridente contrasto con gli obblighi internazionali sanciti: 
        dall'Accordo  di  Parigi  tra  l'Italia  e  l'Austria  del  5
settembre 1946 che, quale annesso  n.  6,  fa  parte  integrante  del
Trattato di Pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, ratificato con
legge 25 novembre 1952, n. 3054; 
        dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata
dall'Assemblea generale delle  Nazioni  Unite  il  10  dicembre  1948
(artt. 2, 7, 26); 
        dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU),
ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848 (artt. 6 e 14); 
        dalla Carta europea  delle  lingue  regionali  o  minoritarie
adottata dal Consiglio d'Europa il 5  novembre  1992,  ancorche'  non
ancora ratificata dallo Stato italiano; 
        dalla risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite
del  18  dicembre  1992  (Dichiarazione  sui  diritti  delle  persone
appartenenti  alle  minoranze  nazionali  o  etniche,   religiose   e
linguistiche); 
        dalla Convenzione-quadro per la  protezione  delle  minoranze
nazionali, fatta a Strasburgo il 1º  febbraio  1995,  ratificata  con
legge 28 agosto 1997, n. 302; 
        dalla Convenzione sulla  protezione  e  la  promozione  delle
diversita' delle espressioni culturali, fatta a Parigi il 20  ottobre
2005, ratificata con legge 19 febbraio 2007, n. 19, 
    e  per  cio'  stesso  viola  l'art.  117,  primo   comma,   della
Costituzione,  nonche'  gli  articoli   10   e   11,   sempre   della
Costituzione. 
    In tali atti internazionali si affermano principi di  eguaglianza
e non discriminazione per motivi attinenti alla lingua e  si  intende
garantire  la  effettiva  partecipazione  degli   appartenenti   alle
minoranze nazionali alla vita collettiva del loro Paese attraverso il
diritto  all'uso  della  lingua  nelle  relazioni  istituzionali,  il
diritto all'istruzione anche nella lingua  minoritaria,  il  sostegno
alla cultura della minoranza. 
    In  particolare,  la  Carta  europea  delle  lingue  regionali  o
minoritarie adottata dal Consiglio  d'Europa  il  5  novembre  1992 -
prevede  una  tutela  -  particolarmente  accentuata   delle   lingue
«regionali o minoritarie», tra l'altro attraverso prescrizioni  molto
analitiche  sull'insegnamento  delle   medesime   ad   ogni   livello
scolastico,  sulla  possibilita'  di  usare  queste  lingue  in  sede
giudiziaria  e  legale,  nonche'  nei  rapporti  con   le   pubbliche
amministrazioni, sulla previsione di forme di bilinguismo nelle  aree
in cui sono presenti le  lingue  minoritarie,  sulla  garanzia  della
presenza di queste lingue nel settore dei mezzi  di  comunicazione  e
nell'ambito culturale. 
    Particolarmente significativa si rivela, altresi', l'affermazione
contenuta nell'art. 1 della Sezione I della Convenzione-quadro per la
protezione delle  minoranze  nazionali,  fatta  a  Strasburgo  il  l°
febbraio 1995, a mente della quale  «la  protezione  delle  minoranze
nazionali e dei diritti e delle liberta' delle persone appartenenti a
queste minoranze e' parte integrante della protezione  internazionale
dei diritti dell'uomo e in quanto tale rientra  nella  portata  della
cooperazione internazionale». La stessa non  solo  impegna  le  Parti
contraenti a garantire pienamente l'esercizio delle  liberta'  civili
agli appartenenti alle minoranze nazionali, ma contiene - tra l'altro
- disposizioni sulla libera utilizzazione della lingua minoritaria in
privato ed in pubblico, sul suo uso  in  caso  di  procedure  penali,
sulla sua utilizzazione per i nomi personali e  le  insegne  private,
sul suo insegnamento nel sistema della pubblica istruzione. 
    Essa  prevede,  altresi',  nella  Sezione  II,  che  «nelle  zone
geografiche dove persone  appartenenti  a  minoranze  nazionali  sono
insediate per  tradizione  o  in  numero  sostanziale,  qualora  tali
persone ne facciano richiesta e sempre [che] la richiesta corrisponda
ad una effettiva esigenza, le Parti faranno in modo di realizzare per
quanto possibile le condizioni che consentano di utilizzare la lingua
minoritaria  nelle  relazioni  tra  queste  persone  e  le  autorita'
amministrative» (art. 10, comma 2) e che, sempre  in  tali  zone,  le
Parti contraenti «nell'ambito del loro sistema legislativo  [...]  in
considerazione delle loro specifiche condizioni, faranno ogni  sforzo
per  affiggere  anche  nella  lingua  minoritaria  le   denominazioni
tradizionali locali, i nomi  delle  strade  e  le  altre  indicazioni
topografiche  destinate  al  pubblico  qualora  vi  sia  una  domanda
sufficiente per tali indicazioni» (art. 11, comma 3). 

        
      
 
                              P. Q. M. 
 
    Voglia  1'ecc.ma  Corte  costituzionale,  in   accoglimento   del
presente   ricorso,   dichiarare   l'illegittimita'    costituzionale
dell'art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo l ° dicembre  2009,
n. 179, recante «Disposizioni legislative  anteriori  al  1°  gennaio
1970, di cui si ritiene indispensabile la  permanenza  in  vigore,  a
norma  dell'art.  14  della  legge  28  novembre   2005,   n.   246»,
limitatamente alla parte in cui mantiene in vigore il  regio  decreto
29 marzo 1923, n. 800 (Allegato 2, n. 190), convertito in  legge  con
legge 17 aprile 1925, n. 473 (Allegato 1,  n.  182),  per  violazione
degli articoli 2, 3, 8 (n. 2), 16, 19, 99, 100, 101, 102, 105  e  107
dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31
agosto  1972,  n.  670),  delle  relative  norme   d'attuazione,   in
particolare d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574; d.P.R. 19 ottobre 1977, n.
846; d.P.R. 31 luglio 1978, n, 571; d.P.R. 10 febbraio 1983,  n.  89;
d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, nonche' degli articoli 3,  5,  6,  10,
11, 76, 77, 116 e 117, primo comma, della Costituzione,  dell'Accordo
di Parigi del 5 settembre 1946, del Trattato di pace di Parigi del 10
febbraio 1947, delle risoluzioni 715 A (XXVII) del 23 aprile  1959  e
1314 (XLIV) del 31 maggio 1968, del  Consiglio  economico  e  sociale
delle Nazioni  Unite,  della  Dichiarazione  universale  dei  diritti
dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il  10
dicembre 1948, della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4  novembre
1950 (CEDU), della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie
adottata dal Consiglio d'Europa il 5 novembre 1992, della risoluzione
dell'Assemblea generale delle Nazioni  Unite  del  18  dicembre  1992
(Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti alle  minoranze
nazionali   o   etniche,    religiose    e    linguistiche),    della
Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta
a Strasburgo il 1° febbraio 1995, della Convenzione sulla  protezione
e la promozione delle diversita' delle espressioni culturali, fatta a
Parigi il 20 ottobre 2005. 
        Bolzano-Roma, addi' 4 febbraio 2010 
 
    Avv.ti: Guggenberg - Larcher - Beikircher - Bernardi - Costa 
 

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