Ricorso n. 23 del 22 febbraio 2010 (Provincia autonoma di Bolzano)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 22 febbraio 2010 , n. 23
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 22 febbraio 2010 (della Provincia autonoma di Bolzano).
(GU n. 12 del 24-3-2010)
Ricorso della Provincia autonoma di Bolzano (c.f. e p.i. 00390090215), in persona del Presidente pro tempore della Provincia, dott. Luis Durnwalder, giusta deliberazione della Giunta provinciale n. 133 del 1° febbraio 2010, rappresentata e difesa, tanto congiuntamente quanto disgiuntamente - in virtu' di procura speciale del 4 febbraio 2010, rogata dal segretario generale della Giunta provinciale dott. Hermann Berger (rep. n. 22754) - dagli avv.ti Renate von Guggenberg (VNGRNT57L45A952K), Maria Larcher (LRCMRA49P48F856E), Stephan Beikircher (BKRSPH65E10B1 60H) e Cristina Bernardi (BRNCST64M47D548L), di Bolzano, con indirizzo di posta elettronica avvocatura@provincia.bz.it e n. fax 0471/412099, e dall'avv. Michele Costa (CSTMHL38C30H501R), di Roma, con indirizzo di posta elettronica costamicheleavv@tin.it e fax n. 06/3729467, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in 00195 Roma, Via Bassano del Grappa n. 24; Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo l° dicembre 2009, n. 179, recante «Disposizioni legislative anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246», limitatamente alla parte in cui mantiene in vigore il regio decreto 29 marzo 1923, n. 800 (Allegato 2, n. 190), convertito in legge con legge 17 aprile 1925, n. 473 (Allegato 1, n. 182). F a t t o Sul Supplemento ordinario n. 234/L alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 290 del 14 dicembre 2009 e' stato pubblicato il decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, recante «Disposizioni legislative anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246». Con l'art. 1, comma 1, del decreto legislativo in esame lo Stato ha individuato, ai fini e per gli effetti dell'art. 14, commi 14, 14-bis e 14-ter, della legge 28 novembre 2005, n. 246, e successive modificazioni, le disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi, delle quali e' indispensabile la permanenza in vigore (Allegato 1). Inoltre, con l'art. 1, comma 2, dello stesso decreto legislativo sono state sottratte all'effetto abrogativo di cui all'art. 2 del decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2009, n. 9, le disposizioni indicate nell'Allegato 2, che permangono in vigore anche ai sensi e per gli effetti dell'art. 14, commi 14, 14-bis e 14-ter, della legge 28 novembre 2005, n. 246, e successive modificazioni. Ai sensi dell'art. 1, comma 3, del decreto legislativo in esame, ai fini dello stesso: a) per «disposizioni legislative statali» si intendono tutte le disposizioni comprese in ogni singolo atto normativo statale con valore di legge indicato negli Allegati 1 e 2, con effetto limitato a singole disposizioni solo nei casi espressamente specificati; b) per «pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970» si intendono tutte le disposizioni, contenute in atti legislativi statali, la cui pubblicazione, secondo le norme vigenti in materia di pubblicazione all'epoca di ciascun atto, e' avvenuta a far data dal 17 marzo 1861 fino a tutto il 31 dicembre 1969; c) per «anche se modificate con provvedimenti successivi» si intende che sono compresi anche gli atti legislativi statali che abbiano subito qualsiasi modifica anche dopo il 31 dicembre 1969; d) per «permanenza in vigore» si intende che restano in vigore le disposizioni legislative statali, indicate negli Allegati 1 e 2, nel testo vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, in base agli atti normativi che le hanno introdotte a suo tempo nell'ordinamento e alle eventuali successive modificazioni anteriori alla stessa data, anche ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile. Al comma 4 viene specificato che le disposizioni legislative emanate ai sensi degli articoli 7, secondo comma, 8, terzo comma, e 116, primo comma, della Costituzione sono comunque escluse dall'effetto abrogativo di cui all'art. 14, comma 14-ter, della legge 28 novembre 2005, n. 246, e successive modificazioni. Infine, il comma 5 dispone che il decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Al punto 182 dell'Allegato 1 - Atti normativi salvati pubblicati anteriormente al 1° gennaio 1970 - e' elencata la legge 17 aprile 1925, n. 473, legge per la conversione in legge, con approvazione complessiva, di decreti luogotenenziali e regi aventi per oggetto argomenti diversi, emanati sino al 23 maggio 1924 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n. 104 del 5 maggio 1925), tra cui il regio decreto 29 marzo 1923, n. 800, recante «Lezione ufficiale dei nomi dei comuni e delle altre localita' dei territori annessi». Al punto 190 dell'Allegato 2 - Atti salvati dall'elenco delle abrogazioni allegato al decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, cosi' come convertito dalla legge 18 febbraio 2009, n. 9 - e', invece, elencato il regio decreto 29 marzo 1923, n. 800. Il decreto n. 800 dell'anno 1923, emanato in attuazione dei «Provvedimenti per l'Alto Adige, intesi ad una azione ordinata, pronta ed efficace di assimilazione italiana», deliberati dal Gran Consiglio del fascismo il 12 marzo 1923, prevede all'art. 1 che, agli effetti di cui negli articoli seguenti, sono pubblicati gli elenchi allegati al decreto stesso di nomi dei comuni e di altre localita' delle nuove province del regno, visti e firmati dal Ministro dell'interno e che lo stesso Ministro e' autorizzato a pubblicare gli elenchi che successivamente si rendessero necessari e ad introdurre le variazioni occorrenti. Per i nomi di luogo non compresi negli elenchi, e cioe' per i nomi delle localita' minori, e delle sedi d'ufficio che venissero nuovamente costituiti, ed in generale per tutti i nomi degli enti geografici e topografici non ancora fissati ufficialmente, le autorita' e le amministrazioni accoglieranno intanto le forme adottate nei Prontuari e Repertori della reale societa' geografica italiana. Prevedono, in particolare, gli articoli 2 e 3 di tale decreto che nelle insegne, nei timbri e nei suggelli delle autorita' e amministrazioni statali e di quelle altre autorita' e amministrazioni la cui lingua d'ufficio e' la lingua dello stato, e inoltre negli atti pubblici ed amministrativi redatti nella lingua ufficiale dello Stato, si debbono usare i nomi che sono indicati nella prima colonna degli elenchi allegati, mentre il nome indicato nella seconda colonna sara' aggiunto, fra parentesi, solo nei casi in cui le autorita' e amministrazioni predette lo ritengano opportuno per ragioni di pratica e comune intelligenza, mentre nei timbri, nei suggelli, nelle insegne e nelle altre scritte esposte al pubblico dalle autorita' e amministrazioni che potranno eventualmente essere autorizzate ad avvalersi di una lingua diversa da quella ufficiale dello Stato, si debbono usare i nomi indicati in tutte e due le colonne degli elenchi allegati. Il nome aggiunto nella seconda colonna deve tenere il secondo posto, fra parentesi, e non puo' essere scritto con caratteri piu' apparenti di quelli del nome italiano. Il regio decreto 29 marzo 1923, n. 800, era gia' stato abrogato in sede di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, recante «Misure urgenti in materia di semplificazione normativa» (art. 1 della legge 18 febbraio 2009, n. 9). Infatti, con l'art. 2, comma 1, del predetto decreto-legge e' stato disposto che - a decorrere dal 16 dicembre 2009 - sono o restano abrogate le disposizioni elencate nell'Allegato 1, salva l'applicazione dei commi 14 e 15 dell'art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246. E in sede di conversione, nell'Allegato 1 e' stato inserito il seguente punto 10136-bis: R.D. 29 marzo 1923, n. 800 Lezione ufficiale dei nomi dei comuni e di altre localita' dei territori annessi, convertito dalla legge 17 aprile 1925, n. 473. Sennonche', appena un giorno prima del 16 dicembre 2009 e' entrato in vigore il decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, in quanto nello stesso era stata inserita la clausola d'urgenza, clausola peraltro non contenuta nello schema che era stato sottoposto all'esame dei competenti organi istituzionali, schema che non prevedeva nemmeno il mantenimento in vigore del regio decreto 29 marzo 1923, n. 800, ovvero la sua legge di conversione 17 aprile 1925, n. 473. Pertanto, e' stato vanificato l'effetto abrogativo del regio decreto 29 marzo 1923, n. 800, disposto con il decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2009, n. 9. Le norme impugnate del decreto legislativo in parola violano le particolari prerogative riconosciute alla Provincia autonoma di Bolzano e risultano, quindi, costituzionalmente illegittimi per violazione degli articoli 2, 3, 8 (n. 2), 16, 19, 99, 100, 101, 102, 105 e 107 dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), delle relative norme d'attuazione, in particolare d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574; d.P.R. 19 ottobre 1977, n. 846; d.P.R. 31 luglio 1978, n. 571; d.P.R. 10 febbraio 1983, n. 89; d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, nonche' degli articoli 3, 5, 6, 10, 11, 76, 77, 116 e 117, comma 1, della Costituzione, dell'Accordo di Parigi del 5 settembre 1946, del Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, delle risoluzioni 715 A (XXVII) del 23 aprile 1959 e 1314 (XLIV) del 31 maggio 1968, del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite il 10 dicembre 1948, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU), della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie adottata dal Consiglio d'Europa il 5 novembre 1992, della risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 18 dicembre 1992 (Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche), della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1° febbraio 1995, della Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversita' delle espressioni culturali, fatta a Parigi il 20 ottobre 2005. Pertanto, la Provincia autonoma di Bolzano, con il presente atto le impugna per i seguenti motivi di D i r i t t o 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, con riferimento al punto 182 dell'Allegato 1 e al punto 190 dell'Allegato 2, per violazione degli articoli 2, 3, 8 (n. 2), 16, 19, 99, 100, 101 e 102 dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), delle relative norme d'attuazione, in particolare d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574; d.P.R. 19 ottobre 1977, n. 846; d.P.R. 31 luglio 1978, n. 571; d.P.R. 10 febbraio 1983, n. 89; d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, nonche' degli articoli 3, 5, 6, 10, 11, 116 e 117, comma 1, della Costituzione, e dell'Accordo di Parigi del 5 settembre 1946 nonche' del Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947. Come si e' esposto in fatto, con l'impugnato decreto legislativo lo Stato ha mantenuto in vigore, o meglio, ha fatto rivivere espressamente il regio decreto 29 marzo 1923, n. 800 (punto 190 dell'Allegato 2), recante «Lezione ufficiale dei nomi dei comuni e delle altre localita' dei territori annessi», di tolomeiana memoria, che, quale elemento portante del pacchetto «di violenta italianizzazione» del territorio provinciale attuato a seguito della prima guerra mondiale, identifico' una nomenclatura esclusivamente italiana per tutte le denominazioni tedesche, di conseguenza vietate, nonche' la relativa legge di conversione (legge 17 aprile 1925, n. 473). Quindi, con l'emanazione del decreto legislativo in parte qua, lo Stato ha dato corso ad un'evidente violazione della competenza legislativa esclusiva della Provincia autonoma di Bolzano in materia di toponomastica (art. 8, comma 1, cfr. 2), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige») e delle relative competenze amministrative in materia (art. 16, d.P.R. n. 670/1972). Ma cio' che ai fini del presente ricorso rileva e' che sono state lese le prerogative riconosciute alla Provincia autonoma di Bolzano per la presenza di minoranze linguistiche sul suo territorio a tutela delle stesse e che, di conseguenza, sono stati violati i specifici vincoli in essa esistenti in tema di uso della lingua tedesca e ladina. Ora, l'art. 2 della Costituzione sancisce il principio pluralistico, disponendo che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita', e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale. L'art. 3 della Costituzione, invece, riconosce il principio di eguaglianza, stabilendo che tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (comma 1) e che e' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. A riguardo codesta ecc.ma Corte, con la recente sentenza 22 maggio 2009, n. 159, ebbe a statuire: «Questa Corte ha piu' volte affermato che la tutela delle minoranze linguistiche costituisce principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale (sentenze n. 15 del 1996, n. 261 del 1995 e n. 768 del 1988). Piu' precisamente, «tale principio, che rappresenta un superamento delle concezioni dello Stato nazionale chiuso dell'ottocento e un rovesciamento di grande portata politica e culturale, rispetto all'atteggiamento nazionalistico manifestato dal fascismo, e' stato numerose volte valorizzato dalla giurisprudenza di questa Corte, anche perche' esso si situa al punto di incontro con altri principi, talora definiti "supremi'', che qualificano indefettibilmente e necessariamente l'ordinamento vigente (sentenze n. 62 del 1992, n. 768 del 1988, n. 289 del 1987 e n. 312 del 1983): il principio pluralistico riconosciuto dall'art. 2 - essendo la lingua un elemento di identita' individuale e collettiva di importanza basilare - e il principio di eguaglianza riconosciuto dall'art. 3 della Costituzione, il quale, nel primo comma, stabilisce la pari dignita' sociale e l'eguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini, senza distinzione di lingua e, nel secondo comma, prescrive l'adozione di norme che valgano anche positivamente per rimuovere le situazioni di fatto da cui possano derivare conseguenze discriminatorie (sentenza n. 15 del 1996).». Dispongono, inoltre, gli articoli 5 e 116 della Costituzione che la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali ed adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento e che il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. In particolare, dispone l'art. 6 della Costituzione che la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche: «La tutela delle minoranze linguistiche e' uno dei principi fondamentali del vigente ordinamento che la Costituzione stabilisce all'art. 6, demandando alla Repubblica il compito di darne attuazione "con apposite norme''... Con queste sue norme, la Costituzione italiana partecipa dell'attuale movimento sovranazionale a favore della convivenza di gruppi umani dalla diversa identita' entro le medesime organizzazioni politiche statali .» (Corte costituzionale, sentenza n. 15 del 1996). Il legislatore costituzionale, al fine di rendere effettiva la tutela delle minoranze linguistiche presenti in provincia di Bolzano nonche' la parita' tra i diversi gruppi linguistici, ha previsto che nella Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e' riconosciuta parita' di diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali (art. 2 Statuto), e che, quindi, alle Province di Trento e di Bolzano sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia (art 3, comma 3, Statuto). L'art. 99 dello Statuto precisa che «nella regione la lingua tedesca e' parificata a quella italiana che e' la lingua ufficiale dello stato». L'art. 100 dello Statuto attribuisce ai «cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano la facolta' di usare la loro lingua nei rapporti con gli uffici giudiziari e con gli organi e uffici della pubblica amministrazione situati nella provincia o aventi competenza regionale, nonche' con i concessionari di servizi di pubblico interesse svolti nella provincia stessa» (comma 1), fissa le modalita' d'uso delle lingue negli organi collegiali della regione, della provincia e degli enti locali (comma 2) e gli obblighi gravanti, sempre in materia di uso delle lingue, in capo agli uffici ed organi pubblici nonche' ai concessionari di pubblici servizi (comma 3), per poi concludere che «salvo i casi espressamente previsti - e la regolazione con norme di attuazione dei casi di uso congiunto delle due lingue negli atti destinati alla generalita' dei cittadini, negli atti individuali destinati ad uso pubblico e negli atti destinati ad una pluralita' di uffici - e' riconosciuto negli altri casi l'uso disgiunto dell'una o dell'altra delle due lingue. Rimane salvo l'uso della sola lingua italiana all'interno degli ordinamenti di tipo militare.». In base all'art. 101 dello Statuto «nella provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l'esistenza ed approvata la dizione». L'art. 102 dello Statuto afferma che le «popolazioni ladine e quelle mochene e cimbre dei comuni di Fierozzo, Frassilongo, Palu' del Fersina e Luserna hanno diritto alla valorizzazione delle proprie iniziative ed attivita' culturali, di stampa e ricreative, nonche' al rispetto della toponomastica e delle tradizioni delle popolazioni stesse». Infine, l'art. 19 dello Statuto prevede che nella provincia di Bolzano l'insegnamento nelle scuole materne, elementari e secondarie e' impartito nella lingua materna italiana o tedesca degli alunni da docenti per i quali tale lingua sia ugualmente quella materna e che la lingua ladina e' usata nelle scuole materne ed e' insegnata nelle scuole elementari delle localita' ladine. Tale lingua e' altresi' usata quale strumento di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado delle localita' stesse. In tali scuole l'insegnamento e' impartito su base paritetica di ore e di esito finale, in italiano e tedesco. Inoltre, le norme di attuazione allo Statuto, tra cui i dd.PP.RR. 30 giugno 1951, n. 574; 1° novembre 1973, n. 691; 26 luglio 1976, n. 752; 19 ottobre 1977, n. 846; 31 luglio 1978, n. 571; 10 febbraio 1983, n. 89; e 15 luglio 1988, n. 574; disciplinano tra l'altro anche l'uso delle lingue tedesca e ladina in provincia di Bolzano. In particolare, l'art. 73 del d.P.R. n. 574/1951 prevede che nelle Valli Ladine puo' essere usato nella toponomastica locale, oltre che la lingua italiana e la lingua tedesca, anche il ladino. E l'art. 1 del d.P.R. n. 574/1988 dispone espressamente che «Nella regione [Trentino Alto Adige/Südtirol] la lingua tedesca e' parificata a quella italiana,...». E' opportuno ricordare che la vigente disciplina statutaria si collega all'art. 1 dell'Accordo di Parigi tra l'Italia e l'Austria del 5 settembre 1946 che, quale annesso n. 6, fa parte integrante del Trattato di Pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 (legge 25 novembre 1952, n. 3054, «Ratifica del decreto legislativo 28 novembre 1947, n. 1430, concernente esecuzione del Trattato di pace fra l'Italia e le Potenze alleate ed associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica 14 gennaio 1953, n. 10,), il quale prevede quanto segue: «Gli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento, godranno di completa eguaglianza di diritto rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca. In conformita' dei provvedimenti legislativi gia' emanati o emanandi, ai cittadini di lingua tedesca sara' specialmente concesso ... b) l'uso, su di una base di parita', della lingua tedesca e della lingua italiana nelle pubbliche amministrazioni, nei documenti ufficiali come pure nella nomenclatura topografica bilingue». E', dunque, evidente come, in base alle predette disposizioni statutarie e attuative nonche' dell'Accordo internazionale di Parigi, in forza delle quali nella Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol «e' solennemente proclamata la parificazione della lingua tedesca a quella italiana» (Corte costituzionale 30 settembre 1983, n. 312), anche i toponomi in lingua tedesca devono necessariamente essere parificati a quelli in lingua italiana. Mantenendo, invece, in vigore, o meglio, far rivivere il regio decreto 29 marzo 1923, n. 800, nonche' la relativa legge di conversione (legge 17 aprile 1925, n. 473), questa parificazione linguistica, avente carattere generale, assoluto ed inderogabile, viene violata e, di conseguenza risultano violati gli articoli 2, 3, 8 (n. 2), 16, 19, 99, 100, 101 e 102 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, le relative norme d'attuazione, in particolare il d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574; il d.P.R. 19 ottobre 1977, n. 846; il d.P.R. 31 luglio 1978, n. 571; il d.P.R. 10 febbraio 1983, n. 89; il d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, gli articoli 3, 5, 6, 116 della Costituzione, l'Accordo di Parigi del 5 settembre 1946 nonche' il Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 e, di conseguenza anche gli articoli 10, 11 e 117, comma 1, della Costituzione. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, in parte qua, per violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione. Come noto, ai sensi dell'art. 76 della Costituzione l'esercizio della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. Inoltre, il Governo non puo', senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Il decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, doveva essere emanato in forza dell'art. 14, commi 14, 14-bis e l4-ter della legge 28 novembre 2005, n. 246, e successive modifiche, con il quale il Governo e' delegato ad adottare, con le modalita' di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, decreti legislativi che individuano le disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al l° gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi, delle quali si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, secondo i seguenti principi e criteri direttivi: a) esclusione delle disposizioni oggetto di abrogazione tacita o implicita; b) esclusione delle disposizioni che abbiano esaurito la loro funzione o siano prive di effettivo contenuto normativo o siano comunque obsolete; c) identificazione delle disposizioni la cui abrogazione comporterebbe lesione dei diritti costituzionali; d) identificazione delle disposizioni indispensabili per la regolamentazione di ciascun settore, anche utilizzando a tal fine le procedure di analisi e verifica dell'impatto della regolazione; e) organizzazione delle disposizioni da mantenere in vigore per settori omogenei o per materie, secondo il contenuto precettivo di ciascuna di esse; f) garanzia della coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa; g) identificazione delle disposizioni la cui abrogazione comporterebbe effetti anche indiretti sulla finanza pubblica; h) identificazione delle disposizioni contenute nei decreti ricognitivi, emanati ai sensi dell'art. 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, aventi per oggetto i principi fondamentali della legislazione dello Stato nelle materie previste dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Ora, con il decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, e' stato statuito che, a decorrere dal 16 dicembre 2009, sono o restano abrogate le disposizioni elencate nell'Allegato 1. In sede di conversione di tale decreto-legge (art. 1 della legge 18 febbraio 2009, n. 9) nell'Allegato 1 e' stato inserito il punto 10136-bis: regio decreto 29 marzo 1923, n. 800, convertito dalla legge 17 aprile 1925, n. 473. Quindi, e' stato il legislatore ordinario a decidere di abrogare tale norma, per cui la norma del legislatore delegato e' viziata da eccesso di delega. Ma l'impugnato decreto legislativo e' viziato da eccesso di delega anche sotto un altro profilo. Infatti, principali obiettivi della legge di delegazione erano quello dell'esclusione delle disposizioni oggetto di abrogazione tacita o implicita nonche' quello dell'esclusione dalla permanenza in vigore delle disposizioni che abbiano esaurito la loro funzione o siano prive di effettivo contenuto normativo o siano comunque obsolete (art. 14, comma 14, lett. a) e b), legge 28 novembre 2005, n. 246, s.m.). E da quanto verra' esposto sub 4) risulta evidente che le disposizioni di cui al regio decreto 29 marzo 1923, n. 800, sono da considerarsi abrogate tacitamente e, comunque, da tempo hanno esaurito la loro funzione e sono in ogni caso obsolete, per cui il mantenimento in vigore o, meglio, la reviviscenza di tale norma non rientra nel perimetro tracciato dal legislatore delegante. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, in parte qua (punto 190 dell'Allegato 2 e punto 182 dell'Allegato 1), per violazione dell'art. 107 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e, quindi, del principio di leale collaborazione. E' stato evidenziato che lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol detta esplicite disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche. Ora, dispone l'art. 107 dello Statuto: «Con decreti legislativi saranno emanate le norme di attuazione del presente statuto, sentita una commissione paritetica composta di dodici membri di cui sei in rappresentanza dello Stato, due del Consiglio regionale, due del Consiglio provinciale di Trento e due di quello di Bolzano. Tre componenti devono appartenere al gruppo linguistico tedesco. In seno alla commissione di cui al precedente comma e' istituita una speciale commissione per le norme di attuazione relative alle materie attribuite alla competenza della Provincia di Bolzano, composta di sei membri, di cui tre in rappresentanza dello Stato e tre della Provincia. Uno dei membri in rappresentanza dello Stato deve appartenere al gruppo linguistico tedesco; uno di quelli in rappresentanza della Provincia deve appartenere al gruppo linguistico italiano.». Questo articolo disciplina l'emanazione di speciali norme, quali sono appunto le norme di attuazione, che, integrando la disciplina statutaria, hanno un ruolo fondamentale nella definizione delle reciproche competenze costituzionali (Stato, Regioni, Province autonome) e nella disciplina dei loro rapporti mediante un istituto di cooperazione paritaria, rappresentato dalla Commissione paritetica. Tale istituto che, dunque, e' espressione di quel principio di «leale collaborazione» che, secondo il costante insegnamento di codesta ecc.ma Corte, presiede al sistema complessivo dei rapporti fra lo Stato e le Regioni e Province autonome: «Di particolare rilievo e', poi, a questo riguardo, per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome, la funzione della normativa d'attuazione, vale a dire di quel particolare procedimento che e' previsto dai suddetti statuti speciali e che rinvia la specificazione delle implicazioni legislative derivanti dalle disposizioni statutarie alla decretazione legislativa successiva alla deliberazione di commissioni pariteticamente composte da rappresentanti dello Stato e della Regione interessata. E' infatti evidente che questo tipo di produzione normativa, che deve comunque necessariamente - dato che fuoriesce dagli abituali modelli procedurali previsti per il percorso legislativo - trovare il suo fondamento in disposizioni statutarie, si pone come norma interposta (e, quindi, sovraordinata) per cio' che riguarda sia la legge statale che quella regionale che vengono a disciplinare corrispondenti ambiti legislativi.» (Corte costituzionale, 22 maggio 2009, n. 159). Sarebbe stato, quindi, questo l'unico strumento a cui lo Stato poteva eventualmente ricorrere per introdurre eventuali normative in materia di toponomastica, qualora fosse necessario, il che non e', come si dira' piu' avanti. A tale procedura si e' fatto, invece, ricorso per procedere all'approvazione del d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, ovvero al d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574. E' di tutta evidenza che le disposizioni di cui all'art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, in parte qua, sono state emanate in violazione dell'art. 107 dello Statuto speciale di autonomia per il Trentino-Alto Adige/Südtirol, in quanto le disposizioni dello Statuto e relative norme di attuazione non possono essere modificate ne' derogate unilateralmente dallo Stato al di fuori della procedura ivi prevista. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, in parte qua, per violazione dell'art. 105 dello Statuto di autonomia per il Trentino-Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), degli articoli 10, 11 e 117, primo comma, della Costituzione e delle risoluzioni 715 A (XXVII) del 23 aprile 1959 e 1314 (XLIV) del 31 maggio 1968, del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite. Si e' appena accennato che non era necessario mantenere in vigore ovvero far rivivere espressamente le norme di cui al regio decreto 29 marzo 1923, n. 800, ed alla relativa legge di conversione (legge 17 aprile 1925, n. 473), peraltro del tutto obsoleti e per di piu' in stridente contrasto con norme di natura costituzionale e para-costituzionali nonche' con norme contenute in atti internazionali. Cio' per le seguenti considerazioni: A. Disciplina statutaria e regionale. Innanzitutto va rilevato che l'art. 4 (n. 3) dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol attribuisce alla Regione competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni». Trattandosi di competenza legislativa di tipo primario, essa e' soggetta ai limiti della Costituzione (comprensivo di quello dei principi generali dell'ordinamento giuridico, del principio della territorialita' e degli altri principi nel tempo elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale) e degli obblighi internazionali, compresi, ovviamente, quelli discendenti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. Il successivo art. 7 dello Statuto, il quale, ricalcando la previsione di cui all'art. 133, comma 2, della Costituzione, prevede che «con leggi della regione, sentite le popolazioni interessate, possono essere istituiti nuovi comuni e modificate le loro circoscrizioni e denominazioni». La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, nell'arco degli ultimi sessanta anni, ha emanato una ventina di leggi volte ad incidere sulla denominazione e circoscrizione di comuni siti nel territorio provinciale di Bolzano. Le localita' interessate da uno specifico intervento del legislatore regionale sono le seguenti: Lauregno e Proves (l.r. 8/49), Cortina all'Adige (l.r. 10/52), Andriano (l.r. 4/53), Stelvio e Prato allo Stelvio (l.r. 5/53), San Martino di Passiria (l.r. 16/53), Prato allo Stelvio (Venosta) (l.r. 13/54), Aldino (Valdagno) (l.r. 6/55), Rasun di Sotto, Rasun di Sopra, Anterselva e Valdaora (l.r. 12/55), Moso in Passiria (l.r. 10/55), Santa Cristina Valgardena (l.r. 25/55), Rio di Pusteria (l.r. 26/55), Avelengo e Merano (l.r. 7/57), Lagundo (l.r. 6/58), Predoi e Valle Aurina (l.r. 17/58), San Pancrazio e Ultimo (l.r. 7/60), Sesto (l.r. 22/63), La Valle e San Martino di Badia (l.r. 19/64), Sirmiano, Tesimo e Nalles (l.r. 29/64), Fie' allo Sciliar (l.r. 18/71), Appiano, Caldano, Termeno, Cortaccia, Magre' e Cortina all'Adige (l.r. 31/71), Rio, Pre' di Sotto, Varna e Fortezza (l.r. 8/73), Senale-San Felice (l.r. 8/74), Foresta e Marlengo (l.r. 9/74), Ronchi e Termeno sulla Strada del Vino (l.r. 2/78), Castelbello-Ciardes e Naturno (l.r. 10/80), Gargazzone e Postal (l.r. 5/93), Plaus (l.r. 7/95), Valle di Casies (l.r. 10/95), Monguelfo-Tesido (l.r. 6/03). Inoltre, diverse localita' del territorio provinciale sono direttamente menzionate nello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Stidtirol, fra cui il capoluogo provinciale, Bolzano. Nello stesso Statuto sono inoltre menzionate le seguenti localita': Proves, Senale, Termeno, Ora, Bronzolo, Valdagno, Lauregno, San Felice, Cortaccia, Egna, Montgana, Trodena, Magre', Salorno, Anterivo, e Sinablana (art. 3). Ora, l'art. 105 dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige/Südtirol prevede che «nelle materie attribuite alla competenza della regione e della provincia, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi regionali o provinciali, si applicano le leggi dello Stato». Ne consegue che, per i nomi geografici non disciplinati in base alle fonti appena citate occorre rifarsi alla vigente disciplina statale in materia di toponimia, che, merita, pertanto, di essere brevemente illustrata. B. Disciplina statale. Il primo intervento normativo nel settore di un certo rilievo si concretava nel regio decreto del 5 marzo 1911, con il quale venne costituita la «reale commissione per la revisione toponomastica della Carta d'Italia», poi rimodellata, sia per il profilo delle funzioni che della composizione, mediante un ampliamento della rappresentanza all'interno della commissione stessa, alle istituzioni centrali dello Stato, a quelle regionali e delle province autonome, ai massimi sodalizi geografici e culturali, sia nazionali che locali, con la legge 8 giugno 1949, n. 605, che e' tuttora in vigore, come si vedra' piu' oltre. L'evoluzione normativa in materia di toponomastica e la prassi applicativa nel tempo succedutasi per superare le questioni e difficolta' man mano incontrate dalla reale commissione nella compilazione della Carta topografica sono efficacemente ricostruite da A. Cantile (norme toponomastiche nazionali, in Italia Atlante dei tipi geografici, edito dall'Istituto geografico militare sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica, www.igmi.org), il quale osserva, a pag. 87, che «nonostante le varie attenzioni rivolte per il passato ai nomi di luogo, l'Italia non possiede uno "statuto unico" in materia di toponomastica ufficiale. Sono invece in vigore numerose disposizioni di legge, che regolano l'argomento: Costituzione della Repubblica italiana, leggi costituzionali e leggi ordinarie, decreti legislativi, decreti del Presidente della Repubblica e leggi regionali. In generale, sorvolando sulla questione della toponomastica stradale, che non rientra tra gli interessi di questo intento, va operata una distinzione tra nomi di carattere amministrativo e non. Mentre per i primi la legislazione nazionale offre una chiara definizione di competenze nelle azioni di denominazione di comuni, frazioni e borgate, non mostra alcuna attenzione verso tutti quei nomi geografici non amministrativi, quali oronimi, idronomi, localita', regioni geografiche estese e limitate, case isolate, che pur costituiscono la stragrande maggioranza della toponomastica. Per tutta questa vasta quantita' di nomi non esiste, infatti, altra sanzione se non quella relativa alla legge 2 febbraio 1960, n. 68, (Norme sulla cartografia ufficiale dello Stato e sulla disciplina della produzione e dei rilevamenti terrestri e idrografici), che, nell'individuare quale carta ufficiale dello Stato la Carta topografica d'Italia edita dall'I.G.M., estende automaticamente l'attributo di ufficialita' anche alla toponomastica in essa contenuta». C. Disciplina internazionale. Prima di procedere oltre nell'esame della normativa italiana informante il settore, giova ricordare che l'Italia aderisce al GENUNG, acronimo italo-franco-spagnolo di Gruppo di Esperti delle Nazioni Unite sui Nomi Geografici, in inglese UNGEGN, in tedesco StAGN (ständiger Ausschuss für geografiche Namen), costituito in ottemperanza alle risoluzioni ONU 715 A (XXVII) del 23 aprile 1959 e 1314 (XLIV) del 31 maggio 1968, che rappresenta una delle sette branche specializzate permanenti del ECOSOC ed e', in virtu' dei compiti assegnategli e della rappresentativita' dei sui membri, il consesso piu' autorevole a livello mondiale nel settore della toponomastica. (S. Arca, normative internazionali di nomi geografici, in Atlante cit.). Il GENUNG, che per statuto (consultabile sub www.igmi.org) persegue «l'uso mondiale normalizzato di univoci nomi di luogo», ritenuto necessario per «mitigare le tensioni politiche» e promuovere «affari e commercio», e' articolato in 22 divisioni, ripartizioni geografico-linguistiche, nelle quali sono suddivisi gli Stati membri. Ciascuna divisione e' composta dai delegati formalmente designati dai rispettivi governi. L'Italia e' membro della divisione 20 - Romano-Ellenica -, insieme a Belgio, Canada, Cipro, Francia, Grecia, Lussemburgo, Moldova, Monaco, Portogallo, Romania, Santa Sede, Spagna, Svizzera e Turchia. L'Austria e la Germania fanno parte della divisione 12 dei Paesi di lingua Neerlandese e Tedesca. Le riunioni del GENUNG si svolgono generalmente ogni due anni e perseguono lo scopo di preparare i documenti tecnici da sottoporre all'approvazione della Conferenza delle Nazioni Unite sulla normalizzazione dei nomi geografici, che hanno luogo ogni cinque anni, nonche' di promuovere e controllare l'applicazione delle risoluzioni adottate dalle Conferenze, essendo gli Stati membri tenuti ad adeguarsi nella produzione dei documenti connessi: cartografia, repertori toponomastici, disposizioni amministrative e quant'altro attenga agli ambiti propri delle risoluzioni approvate. D. Le linee guida. Cio' posto, va osservato che le «Linee guida per la normalizzazione dei nomi geografici ad uso degli editori di cartografia ed altri editori» in atti vigenti, sono basati sui lavori della 22ª sessione del GENUNG svoltasi a New York nel 2004 (20 - 29 aprile), recependo quanto emerso in tale assise internazionale. Tali «linee guida», curate dall'Istituto geografico militare, contengono, conformemente alle indicazioni fissate nella Conferenza del 1982 di Ginevra, direttive attinenti allo statuto legale dei nomi geografici nelle lingue parlate e all'alfabeto delle lingue stesse, regole ortografiche applicative ai nomi geografici, indicazioni circa la pronuncia dei nomi geografici, substrati linguistici riconoscibili nei nomi dei luoghi esistenti, per quanto di utilita' dei cartografi, ripartizione geografica delle lingue, particolarita' dei dialetti, relazioni tra dialetti e lingue normali, autorita' toponomastica e misure intraprese per la normalizzazione dei nomi, documenti di base, glossario delle parole necessarie per la comprensione delle carte, abbreviazioni ufficiali, e le divisioni amministrative. In merito alle lingue ufficiali, si legge nelle «linee guida» predette che, «oltre all'italiano, anche il francese e il tedesco hanno un riconoscimento ufficiale in Italia, rispettivamente nella Regione Autonoma Valle d'Aosta Vallee d'Aoste e nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen. In queste aree tali lingue hanno gli stessi diritti dell'italiano». Fra le altre lingue minoritarie, riconosciute ma non parificate, e' menzionato anche il ladino, in merito al quale vengono fornite indicazioni sul sistema ortografico e grammaticale alla stregua di quanto e' previsto per tutte le altre lingue minoritarie e dialettali nominate nelle «linee guida». In tali «linee», fra le regole ortografiche, alla voce dedicata ai nomi geografici composti, e' dato di leggere, tra l'altro, che «in alcune carte relative ad aree di bilinguismo si puo' trovare un trattino anche tra il nome italiano in prima posizione e i nomi francesi o tedeschi in seconda posizione (ad es. Bolzano-Bozen, Passo del Brennero-Brennerpass, Val Gardena-Grödner Tal). Ad ogni modo sarebbe piu' corretto separare i nomi italiani da quelli francesi e tedeschi per mezzo della barra "/'', in modo da mostrare chiaramente che entrambi i nomi sono ufficiali ed egualmente validi (ad es. Bolzano/Bozen, Bressanone/Brixen, Aosta/Aoste, Val Gardena/Gröldner Tal)». In merito alla lingua tedesca ed ai dialetti bavaresi, nelle «linee guida» predette e' riportato quanto segue: «Il tedesco, lingua ufficiale della confinante Austria, della Repubblica Federale di Germania e, inoltre, una delle quattro lingue nazionali della Svizzera, e' diffusamente parlato anche nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen, che fa parte della Regione Autonoma del Trentino Alto Adige/Südtirol. Quando quest'area fu assegnata all'Italia, dopo la prima guerra mondiale, si stimo' che il numero di persone di lingua tedesca in Alto Adige/Südtirol fosse di 233.000 contro 7.000 abitanti di lingua italiana: i primi rappresentavano dunque il 97% della popolazione totale. Conseguentemente ad un processo di immigrazione della popolazione di lingua italiana, diretta quasi esclusivamente nelle aree urbane, la quota di abitanti di lingua tedesca si e' gradualmente ridotta al 60% (1971) della popolazione totale, anche se nelle aree rurali tale quota e' molto piu' elevata (90%). Come risultato del Trattato di pace di Parigi del 1947, l'Alto Adige/Südtirol venne ancora una volta assegnato all'Italia e nel 1948 fu unito alla provincia di Trento (Trentino) a formare una Regione a statuto speciale. Con il nuovo statuto autonomistico del 1972 l'uso del tedesco e' stato nuovamente permesso nell'amministrazione pubblica e tutti i documenti ufficiali devono essere redatti sia in lingua tedesca che italiana. Nella lingua parlata gli abitanti dell'Alto Adige/Südtirol usano normalmente dialetti austro-bavaresi, molto simili a quelli parlati nel vicino Tirolo, una regione dell'Austria». In ordine ai nomi geografici, invece, viene osservato quanto appresso: «Sebbene il Governo italiano avesse riconosciuto fin dal 1948 il principio di pari dignita' della lingua tedesca e italiana per il Trentino-Alto Adige/Trentino-Südtirol, i toponimi della Provincia di Bolzano/Bozen furono registrati quasi tutti nella loro forma italiana, in tutte le vecchie carte ufficiali alla scala 1:25000 e 1:50000 dell'Istituto Geografico Militare. In molte carte odierne prodotte anche da privati (ad es. del Touring Club Italiano 1:25000) vengono riportate entrambe le versioni, laddove lo spazio lo permetta, con la forma italiana in prima posizione seguita da una barra e dal corrispondente tedesco (ad es. Bressanone/Brixen, Adige/Etsch, Val Pusteria/Pustenal, Passo Rombo/Timmelsjoch). Nel capitolo dedicato a «enti autorizzati e standardizzazione», nelle «linee guida» e' ribadito quanto piu' sopra gia' accennato in materia di normalizzazione dei nomi, vale a dire che nell'ordinamento italiano vige una duplice via per la ufficializzazione dei toponimi in uso. La prima avviene per il tramite della revisione dei nomi dei luoghi apportati sulle carte ufficiali dello Stato, per la quale e' istituita un'apposita commissione, composta, a termini della gia' menzionata legge 8 giugno 1949, n. 605, come segue: Presidente: direttore dell'istituto geografico militare; Membri: presidente del Comitato nazionale per la geografia del Consiglio nazionale delle ricerche o un suo delegato, il direttore dell'Istituto idrografico della marina od un suo delegato, il presidente del Touring Club Italiano od un suo delegato, un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri, un rappresentante del Ministero degli interni. Per la parte che riguarda la loro regione o provincia: il presidente della Giunta provinciale di Bolzano o un suo delegato, il presidente della Giunta provinciale di Trento o un suo delegato, il capo dell'amministrazione provinciale di Gorizia o un suo delegato, il capo dell'amministrazione provinciale di Udine o un suo delegato, il presidente della Giunta regionale per la Valle d'Aosta o un suo delegato, un rappresentante della Deputazione regionale di storia patria, i direttori degli Istituti di geografia delle universita' o loro delegati, i direttori di Centri di studi regionali, Segretario: un funzionario od ufficiale dell'Istituto geografico militare, di grado non superiore al settimo. Le carte topografiche ufficiali d'Italia sono prodotte dai seguenti enti: Istituto geografico militare; Istituto geografico della marina; Agenzia del territorio (ex catasto); Servizio geologico d'Italia; Centro informazioni geotopografiche dell'aeronautica militare. Altre carte topografiche, le «Carte tecniche regionali», con scala 1:5000 e 1:10000 sono prodotte dalle regioni ovvero dalle province autonome di Trento e di Bolzano. Elenchi completi dei nomi relativi a luoghi abitati si possono trovare nei fascicoli regionali ISTAT, nell'annuario del Touring Club Italiano, dell'Istituto geografico De Agostini e nelle «carte e documenti costruiti o redatti da enti pubblici o privati, purche', a giudizio del competente organo cartografico dello Stato, possiedano i necessari requisiti tecnici» (art. 3, legge 2 febbraio 1960, n. 52). Riguardo alla commissione toponomastica sopra citata, e' stato peraltro osservato che «le giuste preoccupazioni del legislatore nel voler assicurare le ampie garanzie alle varie istanze legate alle questioni toponomastiche, si tradussero pero' nella creazione di un organismo collegiale eccessivamente rappresentativo e poco funzionale, che costitui' di fatto un freno alle pur necessarie attivita' di revisione della toponomastica riportata nella cartografia ufficiale dello Stato e che negli anni successivi genero' ripieghi e forme di accomodamento scientificamente dubbie, ancorche' piu' funzionali in relazione alle pressanti esigenze della produzione cartografica ufficiale» (A. Cantile, cit.). L'esautorazione di detta commissione avvenne per gradi. Le direttive dettate per la raccolta e la registrazione della toponomastica ai fini della redazione della Carta topografica d'Italia alla scala 1:25000 del 1950 erano sostanzialmente coincidenti con quelle precedentemente elaborate dalle reale commissione, in base alle quali doveva essere trascritta sulla carta ufficiale dello Stato la toponomastica conosciuta dalle persone, i nomi di speciale importanza storica, anche se poco usati o conosciuti sul luogo, impiegando per la trascrizione la lingua italiana e mantenendo la terminologia locale dei nomi comuni, come alpe, baita, casera, ed evitando, per quanto possibile, di impiegare i nomi di proprietari di immobili per la loro mutevolezza. (A. Cantile, cit.). Era, inoltre, previsto, per la registrazione delle denominazioni, che «per i nomi dialettali o stranieri, fintantoche' non siano portati a forma italiana da prescrizioni governative, valgono le norme per le indagini toponomastiche in vigore. Quando siano in uso le due denominazioni italiana e dialettale o straniera, e l'uso della prima sia poco esteso, vengono inserite ambedue le denominazioni, ponendo la seconda nella forma ortografica originaria in parentesi sotto o a seguito della dizione italiana, con carattere diminuito di un terzo, per i nomi piccoli; di meta' per i nomi di altezza uguale o superiore a mm 3» (I.G.M. Segni convenzionali e norme sul loro uso, vol. 1, cartografia alla scala 1:25000, edizione 1950). La raccolta dei nomi di luogo stessi doveva basarsi, invece, sull'intervista degli abitanti e delle persone notoriamente pratiche dei luoghi, integrata dalla consultazione delle mappe catastali, della documentazione presente negli archivi pubblici e parrocchiali, dei volumi sul censimento della popolazione ed altri, e poi sottoposta all'autorita' comunale per un confronto. L'elenco dei toponimi, concordato e convalidato dalla firma del sindaco, doveva essere trasmesso alla commissione toponomastica di cui alla legge 8 giugno 1949, n. 605, per l'approvazione ed il successivo inserimento nella carta. Venne parallelamente aperta, tuttavia, anche la possibilita' di pubblicare i nomi raccolti dall'operatore di campagna ed approvati dal sindaco direttamente sulle carte, «facendo salva la possibilita' di apportare eventuali varianti ai toponimi riportati sulle carte, nelle edizioni successive» (A. Cantile, cit.). Con le norme tecniche successivamente emanate, l'Istituto geografico militare venne ad ulteriormente ampliare la possibilita' di intervenire sulle denominazioni inserite o da inserire nelle carte senza il previo assenso della commissione toponomastica, alla quale, nel tempo, non veniva piu' fatto nemmeno un accenno. La facolta' di convalida delle indagini toponomastiche degli operatori di campagna restava riconosciuta interamente ai sindaci. Scelte sostanzialmente analoghe furono operate dalla Commissione geodetica italiana, allorche', nel 1973, a ridosso dell'attuazione dell'ordinamento regionale ordinario, iniziato con i decreti del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 1 - n. 6, 15 gennaio 1972, n. 7 - n. 11 e 5 giugno 1972, n. 315, imparti' la normativa tecnica per la formazione delle Carte Tecniche Regionali, nelle quali stabili' che «l'elenco dei toponimi compresi in ogni comune dovra' essere convalidato - salvo disposizioni in contrario - dalla firma del sindaco accompagnato dal bollo comunale». (A. Cantile, cit.). Nelle carte tecniche regionali andavano inseriti i nomi conosciuti dalle persone del luogo, ad eccezione dei nomi di speciale importanza storica (strade, ruderi di antichita' notevoli, ecc.), per i quali consigliava comunque l'inserimento nelle carte, anche se poco conosciuti sul posto. Per le lingue veniva, invece, indicato «l'uso prevalente della lingua italiana nella scrittura dei vari toponimi, riservando la terminologia locale per l'indicazione dei nomi comuni come alpe, baita, casera, tabia', brughiera, magredo, groana, ecc., mentre, piu' specificatamente riferito alle zone bilingui del Paese, si sottolineava la "preminenza della versione italiana, purche' esistente'', e, in subordine, "la versione originale nella seconda lingua senza ricorrere ad italianizzazione''»(A. Cantile, cit.). Le norme tecniche piu' recenti dell'Istituto geografico militare risalgono all'anno 2000, e furono diramate per la produzione della Carta d'Italia alla scala 1:25000 - Serie 25DB. In larga parte sono riprese e parzialmente rielaborate le indicazioni contenute nelle precedenti edizioni. Un tanto vale anche per la constatazione che «solo per pochi particolari (comuni e centri abitati, parrocchie, importanti accidentalita', ecc.) esistono nomi sanzionati da documenti ufficiali, per la maggior parte dei particolari topografici (piccole localita', case isolate, alture, corsi d'acqua secondari, ecc.), invece, la raccolta dei toponimi, nella forma ortografica piu' largamente usata, comporta notevoli difficolta'». (A. Cantile, cit.). Nelle carte vanno iscritti i nomi conosciuti dalle persone del luogo, nonche', anche se poco usati e conosciti, i nomi di speciale importanza storica (strade, ruderi di antichita' notevoli ecc.). La raccolta dei nomi e' affidata agli operatori di campagna interrogando gli abitanti e altre persone notoriamente pratiche dei luoghi (insegnanti, parroci, ingegneri, forestali, geometri, alpinisti, cacciatori, guardie campestri ecc.). Vanno consultati anche i fascicoli dell'Istituto centrale di statistica relativi al censimento generale della popolazione, che, per la parte in cui sono consultati, fanno testo agli effetti della esatta grafia dei toponimi. Sono da consultarsi, inoltre, le mappe catastali, i documenti presenti negli archivi pubblici e privati e la precedente cartografia. I nomi cosi' raccolti nell'apposito stampato sono presentati al sindaco o a chi ne fa le veci, per la convalida. Per le scritture, l'ortografia, le abbreviazioni e quant'altro, vi e' invece una larga coincidenza con le indicazioni contenute nelle «Linee guida per la normalizzazione dei nomi geografici ad uso degli editori di cartografia ed altri editori » sopra richiamate, la cui elaborazione era sostanzialmente contestuale alla preparazione della normativa tecnica predetta. E' da ritenere, ad ogni modo, che nei casi dubbi, le indicazioni recate dalle «linee guida» prevalgano comunque su quelle delle meno recenti direttive tecniche, anche per quanto attiene alle lingue minoritarie, e, in particolare, a quelle cui e' riconosciuta una «pari validita'» rispetto all'italiano. Ricostruito, cosi', per sommi capi, il quadro normativo in cui si inserisce la produzione dei vari tipi di carta cui e' attribuita una specifica rilevanza ed ufficialita' anche in merito alla toponimia, va aggiunto che, mentre la Carta Tecnica della provincia di Bolzano ad oggi e' priva di indicazioni toponomastiche, per contro, vengono puntualmente aggiornati i fascicoli dell'Istituto centrale di statistica Censimento Generale della Popolazione. E. Il censimento Generale della Popolazione. Come visto piu' sopra, «agli effetti della esatta grafia dei toponimi, e limitatamente a quelli presi in considerazione, questi documenti ufficiali fanno testo». I documenti relativi al censimento generale della popolazione, nei territori delle province di Trento e di Bolzano, come noto, sono curati e redatti da uffici statistici istituiti con legge provinciale a termini della vigente normativa di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige/Südtirol, di cui all'art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1978, n. 1017, come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 6 luglio 1993, n. 290. In base al cennato art. 10, infatti, l'ufficio di statistica istituito con legge provinciale fa «parte del Sistema statistico nazionale di cui al decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, e corrisponde direttamente con l'ISTAT»; esso ufficio effettua, «- in particolare curando, salvo diversa intesa, la verifica, la correzione, e la memorizzazione dei dati rilevati - i censimenti e le altre rilevazioni previste dal programma statistico nazionale in conformita' alle direttive tecniche disposte dall'ISTAT e dagli organi titolari delle rilevazioni». Per quanto concerne la raccolta delle denominazioni dei luoghi, si ricorda che le direttive tecniche dell'ISTAT ricalcano il modello all'uopo tracciato dall'Istituto geografico militare, vale a dire che i nomi raccolti ed utilizzati vanno sottoposti all'autorita' comunale e convalidati dal sindaco o da chi ne fa le veci. Inoltre, il servizio provinciale competente per la redazione della Carta tecnica Provinciale si accinge a completare tale documento, compilato su tavole acquistate dall'Istituto Tabacco, essendosi rilevate quelle dell'Istituto geografico militare troppo poco aggiornate, con le indicazioni nominative dei luoghi sulla base delle «linee guida» piu' volte menzionate e le indicazioni contenute nei fascicoli del Censimento Generale della Popolazione. Ultimata la disamina della disciplina vigente per i nomi di «carattere non amministrativo», va brevemente presa in considerazione quella operante per i «nomi cosiddetti amministrativi», per utilizzare la terminologia delle «linee guida» predette, ed, in genere, degli addetti ai lavori. F. I nomi cosiddetti amministrativi. La nomenclatura delle «divisioni amministrative» piu' rilevanti, quelle regionali, e' fissata direttamente dalla Costituzione stessa, che elenca ciascuna delle 20 regioni italiane per nome, da ultimo anche in forma bilingue per quanto attiene la Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste ed il Trentino-Alto Adige/Trentino-Südtirol. Nelle «linee guida» e' precisato, a tale riguardo, che «le tre regioni di Trentino-Alto Adige/Trentino-Südtirol, Veneto e Friuli-Venezia Giulia vengono spesso definite Tre Venezie o Triveneto. L'Abruzzo puo' anche essere definito Abruzzi, ma quest'ultimo nome e' meno appropriato. Un'altra denominazione non consueta e' quella di Lucania per Basilicata». Le regioni sono, a loro volta, divise (eccetto la Valle d'Aosta/Vallee D'Aoste) in due o piu' province, che in tutto sono 103. La «fusione di regioni esistenti o la creazione di nuove regioni con un minimo di un milione di abitanti» puo' essere disposta «con legge costituzionale, sentiti in consigli regionali,» quando «ne facciano richiesta tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse» (art. 132 Costituzione). «Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove province nell'ambito d'una regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziative dei comuni, sentita la stessa regione.»(per la Sicilia, cfr. M. Immordino, Sicilia, Giuffre'). «La regione, sentite le popolazioni interessate, puo' con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni» (art. 133 Costituzione). La portata di quest'ultima previsione costituzionale, di tenore identico a quello dell'art. 7 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol, come piu' avanti rilevato, venne dapprima meglio specificata con l'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 1, recante «Trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di circoscrizioni comunali e di polizia locale urbana e rurale e del relativo personale», e resta ora determinata dall'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, recante «Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382», (cfr. G. Rozzi, in Commento al decreto 616, Giuffre'). L'art. 16 predetto recita come segue: «Le funzioni amministrative relative alla materia < circoscrizioni > concernono: la determinazione dell'ambito territoriale dei comuni e delle relative denominazioni e sedi; la definizione dei rapporti fra comuni conseguenti a variazioni territoriali; il regolamento del regime di separazione dei rapporti patrimoniali e contabili fra comuni e loro frazioni. La denominazione delle borgate e frazioni e' attribuita ai comuni ai sensi dell'art. 118 della Costituzione. Fino all'entrata in vigore della legge sulle autonomie locali non possono essere istituiti nuovi comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti». Al riguardo va ricordato il decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526, recante «Estensione alla regione Trentino Alto Adige e alle province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616», il quale, agli articoli 12 e 15, stabilisce, rispettivamente, che «Sono estesi alla regione e alle province autonome, in quanto non ne siano gia' investite, ogni facolta' o poteri attribuiti alle regioni a statuto ordinario con decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, alle condizioni, con le modalita' ed entro i limiti per essi previsti». «Le funzioni amministrative che le leggi generali dello Stato conferiscono ai comuni, ai sensi dell'art. 128 della Costituzione, debbono intendersi conferite direttamente anche ai comuni siti nelle province di Trento e di Bolzano, qualora non rientrino nelle materie di competenza della regione o delle province. A questo titolo, e negli stessi limiti, debbono intendersi trasferite ai citati comuni le funzioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616.». In disparte ogni considerazione sul fatto che in occasione della riforma della Carta costituzionale operata nel 2001, l'art. 128 predetto e' rimasto soppresso, mentre l'art. 118 e' restato profondamente riformato, e' di tutta evidenza che la normativa di cui all'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e' stata trasfusa nell'ordinamento della regione e delle due province autonome per effetto del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526, sopra citato. La Regione Trentino Alto Adige/Südtirol ha disciplinato gli aspetti che costituiscono l'oggetto dell'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, con la legge regionale 21 ottobre 1963, n. 29, piu' volte modificata ed integrata, dettando, fra l'altro, le modalita' per il conferimento dei titoli di «Citta'» o di «Borgata», le procedure da seguirsi per la costituzione di nuovi comuni, il distacco di frazioni, la riunione di comuni contermini, la rettifica dei confini comunali, ecc., e con la legge regionale 4 gennaio 1993, n. 1, e successive modifiche ed integrazioni, concernente, fra l'altro, l'istituzione delle circoscrizioni e dei consigli circoscrizionali, consentita ai soli comuni con oltre 30.000 abitanti. I comuni della provincia di Bolzano (come di quella di Trento) risultano attributari, per effetto del medesimo dell'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, della potesta' di denominare le borgate, le frazioni e le altre articolazioni territoriali. G. Conclusioni. Fatto questo breve excursus sulle modalita' applicative dell'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, nel territorio della Regione Trentino Alto Adige/Südtirol, e, di riflesso, nella provincia di Bolzano, occorre rilevare che, tolte le fonti fin qui citate - legge costituzionale per tutte le regioni, leggi costituzionali per le cinque regioni ad autonomia differenziata ed i relativi capoluoghi, leggi ordinarie per le province ed i rispettivi capoluoghi, leggi regionali per tutti gli altri comuni, delibera del consiglio comunale per le borgate e le frazioni - l'ordinamento vigente non ne conosce altre in materia di denominazione dei luoghi «di carattere amministrativo», con la sola eccezione della legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», e del relativo regolamento di attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n. 345, che tuttavia, per esplicita previsione della stessa legge 15 dicembre 1999, n. 482, non si applicano al territorio della Regione Trentino Alto Adige/Südtirol, della Regione Valle d'Aosta e alla provincia di Bolzano, riferendosi esclusivamente alle lingue minoritarie per le quali non e' stabilita la «pari validita'» e «alternativita'» rispetto all'italiano prevista per il tedesco ed il francese. Nel territorio della provincia di Bolzano rileva, invece, come gia' anticipato, la disciplina generale vigente in materia di denominazione dei luoghi, che, come si e' visto nel corso di questa, breve esposizione, e' sostanzialmente articolata su due filoni, come regola generale. In nomi di carattere amministrativo sono definiti direttamente con legge costituzionale per le regioni, con legge statale per le province, con legge regionale per i comuni, e con deliberazione comunale per le articolazioni comunali. I nomi di carattere non amministrativo, vale a dire dei luoghi non entificati, di contro, sono definiti e formalizzati mediante le carte ufficiali dello Stato e delle regioni e province autonome, compilati sulla base dei riscontri degli operatori di campagna presso le persone pratiche dei luoghi stessi, previo confronto con i fascicoli del censimento generale della popolazione e delle mappe catastali, ed «approvazione» da parte del sindaco territorialmente competente o di chi ne fa le veci. Il territorio della Regione Trentino Alto Adige/Südtirol e della Provincia autonoma di Bolzano/Bozen non fa eccezione alle regole di carattere generale appena ricostruite, se non in minima misura, dovuta al grado di maggiore autonomia riconosciuta alle due province di Trento e di Bolzano. Infatti, la denominazione della Regione stessa e' stabilita direttamente con legge costituzionale (artt. 116 e 131 della Costituzione; la forma bilingue «Trentino Alto Adige/Südtirol» della Regione e', peraltro, stabilita solo nel primo degli articoli menzionati, modificato con l'art. 2 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, mentre, nel secondo dei detti articoli, non interessato dalla riforma, e' rimasta l'originaria dizione monolingue; art. 1 dello Statuto speciale per il Trentina Alto Adige/Südtirol per la Regione stessa, che all'art. 114 prevede la «traduzione in lingua tedesca del presente testo unico concernente lo statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige (Trentino-Südtirol)», da pubblicarsi sul bollettino ufficiale). Lo Statuto regionale indica inoltre il nome del capoluogo regionale, Trento. Le province autonome di Trento e di Bolzano, essendo per piu' versi equiparati alle regioni, ne seguono anche il regime; di conseguenza sono anch'esse menzionate direttamente nella Carta costituzionale (art. 116, come modificato dall'art. 2 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), anche se non in forma bilingue, che rimane assicurata, per quella di Bolzano, dall'art. 114 dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige/Südtirol. Il medesimo Statuto individua anche, sia pur in forma indiretta, i capoluoghi provinciali, Trento e Bolzano, e si preoccupa - essendo la «regione Trentino-Alto Adige/Südtriol costituita dalle province autonome di Trento e di Bolzano» (art. 116 Costituzione; art. 3 Statuto) - di definirne anche i confini, la modificazione dei quali non segue, pertanto, il regime previsto per le altre province, ma presuppone una procedura costituzionale, come per le regioni. La denominazione dei comuni siti nel territorio regionale (provinciale) avviene nelle forme previste per tutti gli altri comuni italiani, con legge regionale, ricalcando l'art. 7 dello Statuto le previsioni di cui all'art. 133, comma 2, della Costituzione. La denominazione delle borgate e delle frazioni comunali, infine, e' rimessa alla determinazione dei consigli comunali, essendo l'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, attributivo di tali funzioni alla generalita' dei comuni italiani, rimasto esteso anche al territorio regionale (provinciale), come gia' illustrato. Considerazioni sostanzialmente analoghe valgono anche per i nomi dei luoghi «non amministrativi», la cui ufficializzazione e' in definitiva rimessa (astraendo per comodita' di esposizione da quelli oggetto di accordi internazionali) alle carte topografiche ufficiali. Essendo questo il quadro normativo statale in materia di toponomastica, e' evidente che l'impugnato decreto legislativo in parte qua viola l'art. 105 dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige/Südtirol, anche perche' uno dei principi portanti del sistema italiano vigente e' rappresentato dal fatto che le denominazioni dei luoghi «non amministrativi» non vanno mai imposte, ma rilevate, nonche' le risoluzioni 715 A (XXVII) del 23 aprile 1959 e 1314 (XLIV) del 31 maggio 1968, del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, e per cio' stesso viola l'art. 117, comma 1, della Costituzione, oltre agli art. 10 e 11 della Costituzione. In questo senso si e' espressa codesta ecc.ma Corte con la sentenza 24 ottobre 2007, n. 349: «L'art. 117, primo comma, Cost., novellato a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, nel prevedere la necessita' di armonizzare il diritto interno con "i vincoli derivanti [ ...] dagli obblighi internazionali'', comporta l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare le norme contenute in accordi internazionali; con tale norma costituzionale si e' quindi realizzato un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale da' vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata "norma interposta'', che e' soggetta a sua volta ad una verifica di compatibilita' con le norme della Costituzione. Conseguentemente, la norma nazionale incompatibile con la norma della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e dunque con gli "obblighi internazionali'' di cui all'art. 117, primo comma, viola per cio' stesso tale parametro costituzionale.» 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, in parte qua, per violazione degli articoli 10, 11 e 117, primo comma, della Costituzione nonche' dell'Accordo di Parigi tra l'Italia e l'Austria del 5 settembre 1946 che, quale annesso n. 6, fa parte integrante del Trattato di Pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU), della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie adottata dal Consiglio d'Europa il 5 novembre 1992, della risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 18 dicembre 1992 (Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche), della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1° febbraio 1995, della Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversita' delle espressioni culturali, fatta a Parigi il 20 ottobre 2005. In conclusione, l'impugnato decreto legislativo e', in parte qua, in stridente contrasto con gli obblighi internazionali sanciti: dall'Accordo di Parigi tra l'Italia e l'Austria del 5 settembre 1946 che, quale annesso n. 6, fa parte integrante del Trattato di Pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, ratificato con legge 25 novembre 1952, n. 3054; dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 (artt. 2, 7, 26); dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU), ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848 (artt. 6 e 14); dalla Carta europea delle lingue regionali o minoritarie adottata dal Consiglio d'Europa il 5 novembre 1992, ancorche' non ancora ratificata dallo Stato italiano; dalla risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 18 dicembre 1992 (Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche); dalla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1º febbraio 1995, ratificata con legge 28 agosto 1997, n. 302; dalla Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversita' delle espressioni culturali, fatta a Parigi il 20 ottobre 2005, ratificata con legge 19 febbraio 2007, n. 19, e per cio' stesso viola l'art. 117, primo comma, della Costituzione, nonche' gli articoli 10 e 11, sempre della Costituzione. In tali atti internazionali si affermano principi di eguaglianza e non discriminazione per motivi attinenti alla lingua e si intende garantire la effettiva partecipazione degli appartenenti alle minoranze nazionali alla vita collettiva del loro Paese attraverso il diritto all'uso della lingua nelle relazioni istituzionali, il diritto all'istruzione anche nella lingua minoritaria, il sostegno alla cultura della minoranza. In particolare, la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie adottata dal Consiglio d'Europa il 5 novembre 1992 - prevede una tutela - particolarmente accentuata delle lingue «regionali o minoritarie», tra l'altro attraverso prescrizioni molto analitiche sull'insegnamento delle medesime ad ogni livello scolastico, sulla possibilita' di usare queste lingue in sede giudiziaria e legale, nonche' nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, sulla previsione di forme di bilinguismo nelle aree in cui sono presenti le lingue minoritarie, sulla garanzia della presenza di queste lingue nel settore dei mezzi di comunicazione e nell'ambito culturale. Particolarmente significativa si rivela, altresi', l'affermazione contenuta nell'art. 1 della Sezione I della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il l° febbraio 1995, a mente della quale «la protezione delle minoranze nazionali e dei diritti e delle liberta' delle persone appartenenti a queste minoranze e' parte integrante della protezione internazionale dei diritti dell'uomo e in quanto tale rientra nella portata della cooperazione internazionale». La stessa non solo impegna le Parti contraenti a garantire pienamente l'esercizio delle liberta' civili agli appartenenti alle minoranze nazionali, ma contiene - tra l'altro - disposizioni sulla libera utilizzazione della lingua minoritaria in privato ed in pubblico, sul suo uso in caso di procedure penali, sulla sua utilizzazione per i nomi personali e le insegne private, sul suo insegnamento nel sistema della pubblica istruzione. Essa prevede, altresi', nella Sezione II, che «nelle zone geografiche dove persone appartenenti a minoranze nazionali sono insediate per tradizione o in numero sostanziale, qualora tali persone ne facciano richiesta e sempre [che] la richiesta corrisponda ad una effettiva esigenza, le Parti faranno in modo di realizzare per quanto possibile le condizioni che consentano di utilizzare la lingua minoritaria nelle relazioni tra queste persone e le autorita' amministrative» (art. 10, comma 2) e che, sempre in tali zone, le Parti contraenti «nell'ambito del loro sistema legislativo [...] in considerazione delle loro specifiche condizioni, faranno ogni sforzo per affiggere anche nella lingua minoritaria le denominazioni tradizionali locali, i nomi delle strade e le altre indicazioni topografiche destinate al pubblico qualora vi sia una domanda sufficiente per tali indicazioni» (art. 11, comma 3).
P. Q. M. Voglia 1'ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo l ° dicembre 2009, n. 179, recante «Disposizioni legislative anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246», limitatamente alla parte in cui mantiene in vigore il regio decreto 29 marzo 1923, n. 800 (Allegato 2, n. 190), convertito in legge con legge 17 aprile 1925, n. 473 (Allegato 1, n. 182), per violazione degli articoli 2, 3, 8 (n. 2), 16, 19, 99, 100, 101, 102, 105 e 107 dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), delle relative norme d'attuazione, in particolare d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574; d.P.R. 19 ottobre 1977, n. 846; d.P.R. 31 luglio 1978, n, 571; d.P.R. 10 febbraio 1983, n. 89; d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, nonche' degli articoli 3, 5, 6, 10, 11, 76, 77, 116 e 117, primo comma, della Costituzione, dell'Accordo di Parigi del 5 settembre 1946, del Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, delle risoluzioni 715 A (XXVII) del 23 aprile 1959 e 1314 (XLIV) del 31 maggio 1968, del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU), della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie adottata dal Consiglio d'Europa il 5 novembre 1992, della risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 18 dicembre 1992 (Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche), della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1° febbraio 1995, della Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversita' delle espressioni culturali, fatta a Parigi il 20 ottobre 2005. Bolzano-Roma, addi' 4 febbraio 2010 Avv.ti: Guggenberg - Larcher - Beikircher - Bernardi - Costa