Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato
in cancelleria il 14 febbraio 2012 (della Regione Lombardia). 
 
 
(GU n. 11 del 14.03.2012 )  
 
 
 
     Ricorso della Regione Lombardia (c.f...),  in  persona
del Presidente  della  Giunta  regionale  pro  tempore,  On.  Roberto
Formigoni, rappresentata e difesa,  ai  sensi  della  delibera  della
Giunta regionale n. 1X/2953 del 212/2012, giusta  procura  a  margine
del presente atto, dal Prof. Avv. Beniamino Caravita di Toritto (c.f.
...), del Foro di Milano, ed  elettivamente  domiciliata
presso il suo Studio in Roma, Via  di  Porta  Pinciana,  n.  6  (fax:
...; pec abilitata:...); 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro  tempore  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale  dell'articolo  23,
commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20 del decreto-legge 6 dicembre  2011,
n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre  2011,
n. 214, avente ad oggetto  «Disposizioni  urgenti  per  la  crescita,
l'equita' e il consolidamento dei  conti  pubblici»,  pubblicata  nel
Supplemento ordinario n. 276/L alla Gazzetta Ufficiale n. 300 del  27
dicembre 2011 - Serie generale, per violazione degli articoli  3,  5,
114, 117, 118, 119, 120, comma 2, 138, della Costituzione. 
 
                                Fatto 
 
    Con il decreto-legge n. 201/2011 il  Governo  ha  approntato  una
serie di misure volte essenzialmente a contenere la  spesa  pubblica,
nell'intento di porre le premesse per la stabilizzazione  finanziaria
ed al fine di risanare i conti pubblici del Paese, anche in relazione
alla difficile situazione di  crisi  economica  internazionale  e  di
instabilita' dei mercati e con l'obiettivo di rispettare gli  impegni
assunti in sede di Unione Europea. Il decreto-legge  n.  201/2011  si
presenta come un provvedimento assai articolato,  che  consta  di  un
totale di 50 articoli, ripartiti  in  quattro  Titoli.  Il  Titolo  I
contiene norme per lo sviluppo e l'equita'; il Titolo  II  si  occupa
del rafforzamento del sistema finanziario nazionale e internazionale;
il Titolo III (a sua volta articolato nei  Capi  I-VIII)  tratta  del
consolidamento dei conti pubblici; il  Titolo  IV  contiene,  infine,
disposizioni per la promozione e la tutela della concorrenza. 
    L'art. 23 e' ricompreso nel Capo III del  Titolo  III,  rubricato
«Riduzioni  di  spesa.  Costi  degli  apparati»,  e   tratta,   nello
specifico, della riduzione dei costi di funzionamento delle Autorita'
di Governo, del CNEL, delle Autorita' indipendenti e delle  Province;
i commi  da  14  a  20-bis,  in  particolare,  ridisegnano  l'assetto
dell'ente   provincia    all'interno    dell'ordinamento    italiano,
intervenendo tanto  sotto  il  profilo  funzionale  quanto  sotto  il
profilo degli di organi di governo. 
    Nel dettaglio, i  commi  14,  18  e  19  affrontano  la  tematica
inerente le  funzioni  provinciali,  stabilendo  che  «spettano  alla
Provincia  esclusivamente  le  funzioni  di  indirizzo   (l'aggettivo
"politico", presente nel testo originario, e' stato eliminato in sede
di conversione del decreto-legge) e di coordinamento delle  attivita'
dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con  legge  statale  o
regionale, secondo le rispettive competenze» (comma 14). Le  funzioni
conferite dalla normativa vigente alle Province, a  norma  del  comma
18, dovranno essere trasferite, con legge statale o regionale in base
alle rispettive competenze, ai Comuni  entro  il  31  dicembre  2012,
salvo che, per assicurarne  l'esercizio  unitario,  le  stesse  siano
acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi  di  sussidiarieta',
differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento  da
parte delle Regioni, lo Stato  provvedera'  in  via  sostitutiva,  ai
sensi dell'art. 8 della legge n. 131/2003, con legge dello Stato.  Ai
sensi del comma  19,  lo  Stato  e  le  Regioni  dovranno  provvedere
altresi'  al  trasferimento  delle  risorse  umane,   finanziarie   e
strumentali per l'esercizio delle funzioni. 
    I commi 15, 16, 17 e 20  intervengono  sugli  organi  di  governo
delle Province, individuandoli esclusivamente  nel  Presidente  della
provincia e nel Consiglio provinciale, con eliminazione dunque  della
Giunta regionale (comma 15). Ne viene  poi  precisata  la  durata  in
carica in 5 anni. Il Consiglio provinciale sara' composto da non piu'
di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti
nel territorio della Provincia e, in base a quanto statuito nel comma
16, le modalita' di elezione, e dunque i criteri di elettorato attivo
e passivo, saranno stabilite con legge dello Stato da approvare entro
il 31 dicembre 2012; nella stessa legge verra'  anche  stabilito  con
quali modalita' il Consiglio provinciale provvedera' ad  eleggere  al
proprio interno il Presidente (comma 17). Per quelle  amministrazioni
i cui organi elettivi scadono prima della fine di dicembre  2012,  il
comma 20 stabilisce che si  applichi,  fino  al  31  marzo  2013,  la
previsione  di  cui  all'art.  141  del  d.lgs.  n.  267   del   2000
(Scioglimento e sospensione  dei  consigli  comunali  e  provinciali)
(comma 20). Le Regioni a statuto speciale dovranno adeguare i  propri
Statuti alle previsioni di cui al decreto entro 6  mesi  dall'entrata
in vigore, con  l'eccezione  della  Province  autonome  di  Trento  e
Bolzano (comma 20-bis). 
    Le richiamate disposizioni del decreto-legge  n.  201  del  2011,
come convertite con legge  n.  214  del  2011,  risultano  gravemente
lesive delle prerogative  delle  Autonomie  locali  e  della  Regione
Lombardia,   in   quanto   viziati   da   manifesta    illegittimita'
costituzionale per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1.  -  Premessa:  ruolo  e   collocazione   storico-istituzionale   e
costituzionale delle Province nell'ordinamento italiano. 
Premessa. 
    Il tema della soppressione delle  Province,  o  quanto  meno  del
ridimensionamento del loro ruolo nell'ordinamento  italiano,  non  e'
certamente  nuovo.  Tutt'altro.  Il   destino   di   ente   discusso,
perennemente «morituro», ma sempre rimasto in vita, e' stato  segnato
fin  dalla  nascita  della  Repubblica,  quando  la  Commissione  dei
Settantacinque si espresse nel  senso  del  non  riconoscimento  alla
Provincia della natura  di  ente  autonomo,  ed  immediatamente  dopo
l'Assemblea  in  sede  plenaria  modifico'  tale  orientamento  e  si
espresse nel senso del mantenimento dell'ente nel novero dei soggetti
autonomi  elencati  in  quello  che   diverra'   l'art.   114   della
Costituzione. 
    Anche negli anni successivi - e fino ad oggi -  la  Provincia  e'
stata fatta oggetto di proposte di eliminazione  mai  concretizzatesi
in un iter legislativo compiuto. La «resistenza» dimostrata dall'ente
di area vasta ai tentativi esperiti di ridimensionamento o persino di
soppressione deve evidentemente trovare una spiegazione che non  puo'
essere semplicisticamente ricondotta a dinamiche contingenti o ad una
generica predilezione  per  il  mantenimento  dello  status  quo.  E'
piuttosto nel collocamento storico-istituzionale e nel ruolo  che  la
Provincia e' andata assumendo nel corso dei 150 anni di vita unitaria
del Paese che debbono rintracciarsi le  motivazioni  vere  della  sua
persistente esistenza nell'ordinamento italiano. 
    Ereditata dal sistema francese, transitata per il  tramite  della
legislazione piemontese nell'ordinamento del Regno  d'Italia  con  la
legge  sull'unificazione  amministrativa  del  1865,   la   Provincia
costituisce da sempre il livello di governo intermedio tra i Comuni e
lo Stato centrale. Cardine dell'organizzazione statale periferica fin
dalla nascita dello Stato italiano, nella  storia  unitaria  l'ambito
territoriale provinciale ha sempre rappresentato, per tale motivo, il
riferimento per la vita economica, sociale e politica del  Paese,  in
una sostanziale continuita'  che  non  e'  stata  interrotta  neppure
dall'istituzione delle Regioni, le quali non hanno scalfito la  forza
attrattiva del  livello  provinciale  sull'organizzazione  periferica
statale. 
    Sulla  falsariga  dell'amministrazione  statale,  si  sono  cosi'
strutturati  su  base  provinciale  le  Camere   di   Commercio,   le
associazioni sindacali,  le  associazioni  sportive  e  culturali,  i
partiti  politici.  Le  stesse  Regioni  adottano  ormai  il  livello
territoriale  provinciale  come  base  della  propria  organizzazione
decentrata.  E  anche  la  legislazione   statale   in   materia   di
organizzazione territoriale dei servizi  spinge  per  l'adozione  del
livello  geografico  provinciale.  Basti,  al  riguardo,   ricordare,
infatti, che gia' l'art. 2, comma 38, della  Legge  Finanziaria  2008
(Legge 24 dicembre 2007 n. 244) valuta «prioritariamente» le province
quale ambito  territoriale  ottimale  ai  fini  dell'attribuzione  di
funzioni in materia di rifiuti e gestione delle risorse idriche. 
    «Le province, create per  gli  interessi  del  governo  centrale,
hanno finito per assumere una propria fisionomia, anche  come  gruppi
territoriali sociali. Anche se  esse  esistono  in  virtu'  di  fatti
storici artificiali e' peraltro vero che anche il  fatto  artificiale
ha finito col creare delle  conseguenze  che  non  sono  artificiali»
(M.S. Giannini). 
    Anche in virtu' di questo indiscusso ed indiscutibile  ruolo  nel
sistema Paese, all'ente Provincia la Carta del 1948 ha riconosciuto -
accanto alla definizione di circoscrizione di decentramento statale e
regionale di cui all'art. 129 Cost. -  anche  la  qualifica  di  ente
autonomo, ai pari del Comune e delle Regioni. 
    Con  la  esplicitazione  del   principio   dell'autonomia   delle
collettivita'  locali  contenuto  all'art.  5,  la  Costituzione   ha
riconosciuto a tale principio un ruolo caratterizzante l'ordinamento,
attribuendo agli enti territoriali, quanto meno in via di  principio,
non solamente un ruolo di mero strumento di  organizzazione  statale.
La collocazione  di  tale  principio  nella  prima  parte  del  testo
costituzionale - collocazione  che,  e'  bene  ricordarlo,  e'  stata
decisa  solamente  nella  fase  finale  dei   lavori   dell'Assemblea
costituente, poiche' l'articolo nasceva invece come uno di quelli  da
porre nella parte dedicata alle autonomie locali -implica che esso fa
parte di quei principi fondamentali dell'ordinamento che connotano la
forma di Stato e  che  pertanto  la  sua  eliminazione  non  sarebbe,
secondo   alcuni,   nella   disponibilita'   neppure   del   revisore
costituzionale. 
    E' nel Titolo V della Carta che  l'art.  5  trova  la  sua  piena
esplicazione.  Gli  enti  di  cui  all'art.  114  (anche  nel   testo
originario)  sono  evidentemente  espressione  di  quella   autonomia
riconosciuta  e  tutelata  dall'art.  5;  a  dimostrarlo  contribuiva
peraltro  la  presenza  della  congiunzione  «anche»  nel  testo  del
soppresso art.  129  Cost.:  «Le  Province  e  i  Comuni  sono  anche
circoscrizioni di decentramento statale e regionale». Anche,  ma  non
solo. 
    Il ruolo e la rilevanza costituzionale dell'ente Provincia,  gia'
chiaro nel testo costituzionale del 1948, ha assunto evidentemente un
significato ancor piu' pregnante a  seguito  dell'entrata  in  vigore
della legge costituzionale n. 3/2001. 
    Cio' che emerge  dall'impianto  del  Titolo  V  novellato  e'  un
sistema istituzionale su piu' livelli, «costituito da una  pluralita'
di    ordinamenti    giuridici    integrati,    che     interagiscono
reciprocamente». In questo sistema interistituzionale «a rete», tutti
i livelli di governo godono di un'autonomia organizzativa,  normativa
e politica che non e' piu' solamente prevista nella legge  ordinaria,
ma viene definitivamente sancita in Costituzione. 
    Se dunque, prima  del  2001  alla  Provincia  poteva  attribuirsi
ancora la sola qualifica di «ente costituzionalmente rilevante», oggi
la Provincia e' senza dubbio «ente costituzionale». 
2. - Circa la legittimazione della Regione  Lombardia  a  far  valere
l'illegittimita' dell'art. 23, commi da 14 a 20, per la lesione della
sfera di autonomia e  di  attribuzioni  costituzionalmente  riservata
alle Province. 
    In via ulteriormente preliminare, per quanto occorrer  possa,  la
Regione  Lombardia  intende  brevemente   soffermarsi   sulla   piena
sussistenza della propria legittimazione ad  impugnare  il  censurato
art. 23 del d.l. n.  201/2011,  convertito  con  modificazioni  dalla
legge n. 214/2011, anche nella parte  in  cui  tale  impugnazione  e'
volta  a  denunciare  la  grave  lesione   dell'autonomia   e   delle
prerogative che la Costituzione attribuisce alle Province lombarde. 
    In  ragione  della  preclusione  agli  enti  locali  di  proporre
direttamente ricorso alla Corte costituzionale per l'invasione  delle
proprie competenze, si e' tradizionalmente proposto  che  le  Regioni
potessero  fare  portatrici  delle  doglianze  lamentate  dagli  enti
territoriali autonomi presenti nel territorio regionale. 
    Tale conclusione ha trovato esplicita  conferma  nella  legge  n.
131/2003,  mediante   la   quale   il   legislatore   ha   provveduto
all'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica  alle   profonde
modifiche apportate dalla L. cost. n. 3/2001 al sistema di' relazioni
tra Stato ed autonomie territoriali. In particolare, l'art. 9 di tale
legge, nel modificare l'art. 32 della legge n. 87/1953,  ha  previsto
espressamente che la sollevazione di una  questioni  di  legittimita'
costituzionale di  disposizioni  statali  possa  avvenire  «anche  su
proposta del Consiglio delle autonomie locali». 
    Peraltro, la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha avuto modo
di precisare come la proposizione di  un  ricorso  da  parte  di  una
Regione nell'interesse degli enti locali  ricompresi  nel  territorio
della prima non e' necessariamente subordinata alla condizione che la
lesione   delle   prerogative   di   questi   ultimi   riverberi   in
un'illegittima invasione dell'autonomia regionale  costituzionalmente
garantita. 
    In tal senso si e' pronunciata, in maniera chiara, la sentenza n.
298 del 2009. In tale occasione, infatti, il  giudice  costituzionale
ha ritenuto infondata  l'eccezione  mediante  la  quale  l'Avvocatura
statale affermava che la Regione  non  fosse  legittimata  ad  agire,
facendo la stessa valere un pregiudizio dei Comuni  che  non  incide,
neppure  indirettamente,  sulla   sfera   di   potesta'   legislativa
regionale. Nel rigettare la suddetta ricostruzione erariale,  Codesta
ecc.ma Corte ha osservato: «le Regioni sono legittimate a  denunciare
la legge statale anche Per la lesione delle attribuzioni  degli  enti
locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della
competenza legislativa regionale.  Questa  Corte,  infatti,  ha  piu'
volte affermato il principio che la suddetta legittimazione  sussiste
in  capo  alle  Regioni,  in  quanto  «la  stretta  connessione,   in
particolare [..] in tema  di  finanza  regionale  e  locale,  tra  le
attribuzioni regionali e quelle delle autonomie  locali  consente  di
ritenere che la lesione delle competenze  locali  sia  potenzialmente
idonea a determinare una  vulnerazione  delle  competenze  regionali»
(sentenze n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417  del  2005  e  n.  196  del
2004). Tale giurisprudenza si riferisce, in modo evidente, a tutte le
attribuzioni costituzionali delle  Regioni  e  degli  enti  locali  e
prescinde, percio', dal titolo di competenza  legislativa  esclusivo,
concorrente o residuale eventualmente invocabile  nella  fattispecie.
Essa, in particolare, non richiede, quale condizione  necessaria  per
la denuncia da parte della Regione  di  un  vulnus  delle  competenze
locali, che sia dedotta la violazione delle attribuzioni  legislative
regionali». 
    Orbene, alla luce del quadro normativa e giurisprudenziale  sopra
richiamato, emerge in maniera evidente come la Regione Lombardia  sia
pienamente  titolare  della  legittimazione  ad  agire  nel  presente
giudizio di costituzionalita'. Tanto piu' che, proprio in riferimento
a tali ultimi profili di illegittimita'  della  norma  impugnata,  il
presente giudizio e'  stato  instaurato  su  espressa  richiesta  del
Consiglio delle Autonomie Locali della Regione  Lombardia,  formulata
alla Giunta regionale con delibera del 23 gennaio 2012, n. 2  che  si
deposita agli atti. 
    In realta',  come  si  vedra'  esplicitamente  piu'  avanti  (sub
paragrafo 5),  la  proposta  revisione  dell'ordinamento  provinciale
incide direttamente sulle competenze regionali, giacche' costringe la
Regione a riorganizzare -  per  il  tramite  della  propria  potesta'
legislativa  -  l'esercizio  delle  funzioni  amministrative   e   la
distribuzione delle risorse finanziarie nelle materie  di  competenza
regionale: con diretta violazione degli articoli 117, 118 e 119 Cost.
Questo vale anche per quanto riguarda  la  violazione  dell'art.  120
Cost. attraverso la  illegittima  previsione  di  un  anomalo  potere
sostitutivo  nei  confronti  della  Regione,   non   previsto   dalla
Costituzione. 
    Di conseguenza, ogni eventuale eccezione avversa  in  merito  non
potra' che essere rigettata  in  quanto  destituita  di  qualsivoglia
fondamento in fatto e in diritto. 
3. - Illegittimita' dell'art. 23, commi da 14 a 20, del d.l.  n.  201
del 2011, convertito nella legge n.  214  del  2011,  per  violazione
dell'art. 3 Cost., anche in riferimento agli articoli  1,  5  e  138,
sotto il profilo della irragionevolezza, arbitrarieta', incongruita',
non pertinenza dell'intervento legislativo. 
    In primo luogo, non e' possibile non evidenziare  come  le  norme
oggi  impugnate  siano  gravemente   viziate   da   irragionevolezza,
arbitrarieta', incongruita', non pertinenza, ridondanti in una  grave
illegittimita' per contrasto con il principio di ragionevolezza e  in
violazione dell'art. 3 della  Costituzione,  nonche'  in  riferimento
agli articoli 1, 5 e 138 della Costituzione. 
    Come esposto nella parte in fatto, l'art. 23, che, secondo la sua
epigrafe, introduce norme  relative  alla  «Riduzione  dei  costi  di
funzionamento di Autorita' di  Governo,  del  CNEL,  delle  Autorita'
indipendenti e Province», opera invero - con i commi dal 14 al 20 qui
impugnati  -  un  radicale  intervento  che  incide  in   profondita'
sull'assetto istituzionale delle Province, con misure che  colpiscono
funzioni, organi  e  caratteristiche  rappresentative  delle  stesse,
alterando completamente la fisionomia  del  sistema  delle  Autonomie
locali. 
    Si tratta: 
        a) della soppressione della Giunta provinciale (comma 15); 
        b) della limitazione ad  un  massimo  di  10  componenti  del
Consiglio provinciale, oltre al Presidente della Provincia, eletti, i
primi dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della
Provincia, il secondo tra i componenti del Consiglio provinciale,  in
base a modalita' la cui definizione e' rinviata  a  successiva  legge
dello Stato da emanare entro il 31 dicembre 2012 (commi 16 e 17); 
        c)   della    limitazione    delle    funzioni    provinciali
esclusivamente a quelle «di indirizzo e coordinamento delle attivita'
dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con  legge  statale  o
regionale, secondo le rispettive competenze» (comma 14). 
    In aggiunta a cio', viene  imposto  alle  Regioni  di  provvedere
(entro il 31 dicembre 2012) al trasferimento ai  Comuni  (salvo  che,
per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle
Regioni, sulla base dei principi di sussidiarieta',  differenziazione
ed adeguatezza) delle funzioni provinciali, con previsione,  in  caso
di inadempimento, di esercizio dei poteri sostitutivi di cui all'art.
8 della legge n. 131 del 2003. 
    A chiudere un siffatto quadro, si rinviene infine, per gli organi
provinciali in scadenza entro il  31  dicembre  2012,  la  previsione
dell'applicazione del «commissariamento», di  cui  all'art.  141  del
d.lgs. n. 267/00, sino al 31 marzo 2013. 
    I sintetizzati interventi colpiscono quindi in  modo  diretto  il
sistema provinciale, intervenendo sul  livello  della  rappresentanza
politica e sulle funzioni delle Province. In particolare, i commi dal
14 al 20, qui impugnati,  determinano  la  drastica  riduzione  degli
amministratori, l'eliminazione delle elezioni provinciali  dirette  e
il sostanziale svuotamento delle funzioni, fatte salve imprecisate  e
generiche  funzioni  di   «indirizzo   e   di   coordinamento»,   che
all'evidenza necessitano di ulteriori strumenti di chiarificazione  e
di definizione. 
    Le impugnate disposizioni rendono poi necessaria la riallocazione
di funzioni, personale, risorse e strutture sia verso i  Comuni,  sia
verso la Regione. Dovranno infine essere definite nuove modalita'  di
elezione degli organi rappresentativi. L'intervento denota una  grave
carenza  valutativa  in  termini  di  compatibilita'  costituzionale,
dimensione effettiva della trasformazione  e  funzionalita'  rispetto
agli obiettivi da perseguire. E'  tanto  piu'  irragionevole  perche'
operata mediante lo strumento d'urgenza  del  decreto-legge.  Produce
inoltre una serie di  paradossi  che  si  oppongono,  in  modo  assai
deciso, al conseguimento degli obiettivi attesi dalla sua attuazione.
Si vuole qui richiamare  l'attenzione  di  codesta  ecc.ma  Corte  su
taluni macroscopici aspetti di incongruita' e irragionevolezza che la
normativa impugnata presenta. 
    3.1. Nonostante  la  perentoria  proclamazione  dell'intestazione
dell'articolo,  il  risultato  dell'attuazione  della  norma  non  si
traduce in immediati e rilevanti risparmi di spesa,  la  quale  spesa
semplicemente verra'  spostata  verso  il  nuovo  destinatario  delle
funzioni amministrative precedentemente provinciali. 
    Il dato e' talmente macroscopico  ed  evidente  da  essere  stato
evidenziato gia' nella Relazione tecnica al testo del  decreto-legge,
la quale ha chiarito, commentando le disposizioni  di  cui  ai  commi
1420,  che  «Considerando  che  le  risorse  umane,   finanziarie   e
strumentali rimangono legate alle funzioni che  si  trasferiscono  si
ritiene di non stimare su  tale  versante  risparmi  di  spesa  (tali
risparmi appaiono verosimilmente  destinati  a  prodursi  nel  tempo,
attraverso la futura razionalizzazione dell'assetto  organizzativo  e
lo sfruttamento delle economie di scala)». 
    Prosegue poi la relazione tecnica:  Per  quanto  attiene  i  c.d.
«costi della politica» che - da dati SIOPE - ammontano  a  circa  130
milioni di euro lordi, appare verosimile  considerare  una  riduzione
percentuale nell'ordine del 50, considerando che rimarrebbero  quali
organi i Presidenti e i componenti del Consiglio e che dovra'  essere
assicurato un supporto di segretaria, come previsto dal comma 19. 
    Il risparmio di spesa associabile ai complesso normativo in esame
- 65 milioni di euro lordi - e'  destinato  a  prodursi  dal  2013  e
peraltro in via prudenziale non viene considerato  in  quanto  verra'
registrato a consuntivo». 
    Il  sistema  risultante  dagli  impugnati  commi,  inoltre,   non
esclude, ma anzi presuppone e quindi autorizza, una proliferazione di
apparati amministrativi di livello  regionale  e  sovracomunale  (con
particolare riguardo agli organi di raccordo previsti dal comma 21) e
provinciale (le strutture che forniranno il  supporto  di  segreteria
per l'operativita' degli organi della provincia di cui al comma  19).
Inoltre, la portata  della  trasformazione  determinata  dalle  norme
impugnate non puo' che implicare un processo  lungo,  conflittuale  e
con costi difficilmente quantificabili: si pensi -  per  evidenziarne
uno tra i piu' rilevanti e del tutto  sottaciuti  dal  riforma  -  al
profilo,  che  assumera'  toni  necessariamente   problematici,   del
trasferimento del personale nei ruoli regionali. 
    L'insorgenza certa di  tali  criticita',  connessa  all'immediata
operativita'   della   norme   impugnate,   certamente    contraddice
frontalmente la ratio ispiratrice dell'art. 23. 
    3.2.  Gravissime  appaiono  le  ripercussioni  delle   norme   in
questione in ordine alla gestione delle cd. «aree vaste». 
    Le misure di rimodellazione della rappresentanza  politica  della
Provincia e  di  riallocazione  forzata  delle  funzioni  sono  state
assunte in assenza di qualsivoglia indicatore di segno  negativo  che
contraddicesse   l'appropriatezza   delle   Province   quale   ambito
territoriale ottimale per la gestione delle funzioni relative ad aree
vaste. Nessun indicatore obiettivo di perfomance  negativa  e'  stato
evidenziato ed utilizzato  a  giustificazione  delle  misure  oggetto
della presente impugnativa. 
    Orbene, pur tralasciando il tema della rappresentanza democratica
in ambito  provinciale,  nessuno  puo'  ragionevolmente  revocare  in
dubbio che un livello amministrativo intermedio fra Regione e  comuni
sia   necessario,   almeno   in   ordine   ad   alcuni   temi    che,
esemplificativamente, possono essere individuati nei temi del lavoro,
dell'ambiente, del territorio, della formazione professionale,  della
gestione della rete stradale  e  infrastrutturale,  del  servizio  di
trasporto locale, della gestione dei servizi di scuola superiore, dei
sistemi idrici, di raccolta dei  rifiuti,  di  assistenza  agli  enti
locali, del coordinamento  della  forze  di  sicurezza  e  protezione
civile. 
    In assenza di chiari dati empirici sui  limiti  gestionali  delle
province, si e' deciso  ora,  in  via  generale,  di  modificare  gli
assetti organizzativi provinciali e  di  riallocare  le  funzioni  ai
Comuni o alla Regione, esponendosi, per i primi, ad  evidenti  limiti
di capacita' operativa in area vasta, e per la seconda, ai rischio di
«elefantiasi» dell'istituzione regionale che viene  cosi'  risospinta
verso  una  dimensione  piu'  orientata  all'amministrazione  che  ai
governo. 
    3.3. In  aggiunta  a  quanto  sin  qui  evidenziato,  valgano  le
ulteriori seguenti considerazioni: con il programmatico obiettivo  di
riduzione dei costi, si e' in  realta'  posto  mano  ad  una  vera  e
propria trasformazione  del  sistema  elettivo  provinciale  diretto,
sostituendolo con  un  sistema  di  «secondo  livello»,  che  prevede
inoltre la titolarita' delle nomine in capo ai  Comuni.  Un  siffatto
sistema - ancora profondamente indefinito -, oltre ad  evidenziare  i
gravi contrasti con le norme costituzionali che  verranno  affrontati
infra,  e'  destinato  a   produrre   effetti   negativi   facilmente
prevedibili. 
    Ed  invero  non  sembrano  essere   presenti,   soprattutto   con
riferimento ad un tessuto territoriale  particolarmente  frammentato,
come e' quello lombardo (all'interno del  quale  si  annoverano  1544
comuni, il numero di comuni piu' elevato fra le regioni,  valore  che
denota,  inoltre,   la   ridottissima   dimensione   territoriale   e
demografica di molti di essi), le capacita' tecniche, culturali e  di
know-how richieste per affrontare correttamente ed in modo efficiente
i temi di area vasta. 
    1.4. Ma vi e' di piu': se  l'obiettivo  della  riforma  posta  in
essere con l'art. 23 mira ad un disegno complessivo di riforma  dello
Stato, nel senso della sua configurazione  come  apparato  con  costi
ridotti, alta efficienza di funzionamento e maggiore  prossimita'  ai
cittadini, le sue misure si appalesano  del  tutto  insufficienti  ed
inadeguate allo scopo,  poiche'  attribuiscono  gli  effetti  di  una
riforma sistemica ad una modifica che, in realta', colpisce  soltanto
le province quali enti autonomi ovvero  le  province  quali  enti  di
gestione  di  funzioni  amministrative  regionali,  e  non  anche  le
province quali ambiti di articolazione periferica dello Stato. 
    L'ambito di decentramento statale  di  livello  provinciale,  con
riguardo a numerosissime  funzioni,  continua  ad  essere  pienamente
operativo e assolutamente non inciso. Infatti, l'art. 23 non grava in
alcun modo sul livello provinciale di  decentramento  delle  funzioni
statali  (si  pensi  al   ruolo   degli   uffici   territoriali   del
Governo-prefetture, dei provveditori scolastici, delle soprintendenze
per i beni culturali). 
    Non e' possibile inoltre tacere che le norme  qui  impugnate  non
introducono nessun elemento di adattamento  a  contesti  territoriali
che  presentano  caratteristiche  di  profonda  differenziazione  sul
territorio nazionale. 
    Inoltre,  se,   come   suggerisce   il   tenore   dell'intervento
legislativo, si intendeva  ripensare  il  modello  di  governo  della
Provincia, si sarebbe potuto attenuare il  livello  di  «politicita'»
degli organi provinciali  intervenendo  sulla  elezione  diretta  del
Presidente,  senza  compromettere,  in  modo   cosi'   profondo,   la
rappresentativita' democratica della stessa. 
    A titolo di mera ulteriore esemplificazione, e' stata  dei  tutto
omessa una qualsivoglia misura volta a regolare,  in  funzione  delle
finalita' di contenimento dei costi e di riequilibrio  della  finanza
pubblica,   la   cruciale   problematica   della   disciplina   delle
partecipazioni societarie delle province. 
    I gravi e numerosi problemi, di cui  si  e'  qui  fatto  solo  un
rapido cenno, rendono palese  l'incongruita',  l'inadeguatezza  e  la
piena insufficienza delle disposizioni di cui ai commi dal 14 al  20,
dell'art. 23, qui impugnate, rispetto al conseguimento dell'obiettivo
di snellimento, semplificazione e riduzione dei costi del sistema. 
    Le norme qui indubbiate, violando  i  principi  consacrati  dagli
artt.  1,  5,  138  della  Costituzione  -  sotto  il  profilo  della
violazione dell'unita' della Repubblica e del principio  democratico,
del riconoscimento e della promozione delle autonomie  locali  e  del
decentramento amministrativo, nonche' del procedimento  di  revisione
della Costituzione - si  pongono  altresi'  in  grave  ed  insanabile
contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione  per  violazione   del
principio di ragionevolezza. 
    Orbene, il principio della ragionevolezza, sotto il profilo della
proporzionalita' e dell'adeguatezza  rispetto  ai  fini,  costituisce
canone di legittimita' costantemente affermato  dalla  giurisprudenza
di codesta ecc.ma Corte, soprattutto nel caso in cui  il  legislatore
statale intervenga  in  materie  che  incidono  su  aspetti  connessi
all'autonomia degli enti locali o su materie riservate alla  potesta'
legislativa regionale concorrente. 
    Secondo  l'insegnamento  di  codesta  Ecc.ma  il   sindacato   di
legittimita' costituzionale di una norma non  rifugge  dal  controllo
sulla  ragionevolezza  della  stessa  in  relazione  alle   finalita'
perseguite (cfr. Corte cost., sent. n. 148  del  2009,  c.d.i.  4.2),
essendo ben possibile la verifica che le  previsioni  impugnate  «non
appaiano irragionevoli, ne'  sproporzionate  rispetto  alle  esigenze
indicate» (Corte cost., sent. n. 326 del 2008) e  che  gli  strumenti
normativi  rimessi  allo  scrutinio  di  legittimita'  costituzionale
appaiono «disposti  in  una  relazione  ragionevole  e  proporzionata
rispetto agli obiettivi attesi» (Corte cost., sent. n. 452 del 2007 e
le ivi citate sentt. n. 274 e n. 14 del 2004).  In  definitiva,  come
ribadito in altra occasione da codesta  ecc.ma  Corte,  «l'intervento
del legislatore statale e' legittimo se contenuto entro i limiti  dei
canoni di adeguatezza e proporzionalita'» (Corte  cost.  n.  345  del
2004). 
    Alla luce delle suesposte considerazioni e  della  giurisprudenza
costituzionale  evidente  appare   l'incongruenza,   l'abnormita'   e
l'irragionevolezza delle  disposizioni  impugnate  rispetto  ai  fini
enunciati di riduzione dei costi di funzionamento delle Province.  Di
talche' le disposizioni qui impugnate si pongono in aperto  contrasto
con  l'art.  3  della  Costituzione  e  con  il   sotteso   principio
costituzionale di ragionevolezza. 
4. - Illegittimita' dell'art. 23, commi da 14 a 20, del d.l.  n.  201
del 2011, convertito nella legge n.  214  del  2011,  per  violazione
dell'art. 114  Cost.  sotto  Il  profilo  della  sfera  di  autonomia
costituzionalmente garantita alle Province, anche In riferimento agli
artt. 1 e 5 Cost. 
    In  via  preliminare,  occorre  subito  sottolineare  quale   sia
l'impostazione sottesa al novellato Titolo  V  della  Costituzione  e
quale sia, pertanto, la collocazione costituzionale  delle  Province.
In particolare, secondo quanto sancito dall'art. 114, comma 1, Cost.,
le Province sono enti territoriali costitutivi della  Repubblica,  al
pari dei Comuni, delle Citta' metropolitane, delle  Regioni  e  dello
Stato. Il principio di equiordinazione  che  si  deduce  dal  dettato
costituzionale implica il superamento  di  qualsivoglia  impostazione
piramidale e la creazione di un sistema policentrico nel cui contesto
gli enti territoriali - ivi  comprese  le  Province,  dunque  -  sono
soggetti dotati di eguale dignita' costituzionale, ferma naturalmente
la differenziazione delle funzioni svolte da ognuno dei soggetti. 
    L'art. 114, comma 2, completa e specifica il contenuto innovativo
del comma 1, affermando che (anche) le Province «sono  enti  autonomi
con propri statuti, poteri e funzioni secondo quanto  previsto  dalla
Costituzione». Mentre, dunque, nel  testo  costituzionale  previgente
l'autonomia degli enti locali, pur costituzionalmente garantita,  era
tuttavia rimessa, per l'individuazione del suo concreto attuarsi,  ad
una legge generale della Repubblica (art. 128  Cost.),  essa  e'  ora
garantita direttamente dalla Carta. 
    La Repubblica, nell'accezione benvenutiana di Stato-comunita', e'
dunque articolata e costituita, oltre che  dalle  formazioni  sociali
riconosciute dall'art. 2 Cost., dalle comunita'  regionali  e  locali
riconosciute e garantite dall' art. 5 Cost. E tanto  l'art.  2  Cost.
quanto  l'art.  5  implicitamente  rinviano  al   principio   cardine
contenuto  nell'art.  1  Cost.,  secondo  il  quale   la   sovranita'
appartiene al popolo. 
    A chiarire in maniere inequivoca il legame tra  il  principio  di
sovranita' di cui all'art. 1, il  principio  autonomistico,  tutelato
all'art. 5 Cost., e la nuova formulazione  dell'art.  114  Cost.,  e'
intervenuta la giurisprudenza di  codesta  ecc.ma  Corte  che,  nella
sent.  106/2002,  ha  affermato  che  «Il  nuovo  Titolo  V   -   con
l'attribuzione alle Regioni della potesta' di determinare la  propria
forma di governo, l'elevazione al rango  costituzionale  del  diritto
degli enti territoriali  minori  di  darsi  un  proprio  statuto,  la
clausola di residualita' a favore delle Regioni, che ne ha potenziato
la  funzione  di  produzione  legislativa,  il  rafforzamento   della
autonomia finanziaria regionale, l'abolizione dei controlli statali -
ha disegnato di certo  un  nuovo  modo  d'essere  del  sistema  delle
autonomie. Tuttavia i significativi elementi di discontinuita'  nelle
relazioni tra Stato e Regioni che sono stati in tal  modo  introdotti
non hanno  intaccato  le  idee  sulla  democrazia,  sulla  sovranita'
popolare e sul principio autonomistico che erano  presenti  e  attive
sin dall'inizio dell'esperienza repubblicana. Semmai  potrebbe  dirsi
che il nucleo centrale attorno al quale esse ruotavano abbia  trovato
oggi una positiva eco nella formulazione del  nuovo  art.  114  della
Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati
al fianco dello Stato  come  elementi  costitutivi  della  Repubblica
quasi  a  svelarne,  in  una  formulazione   sintetica,   la   comune
derivazione dal principio democratico e dalla sovranita' popolare». 
    Stante  questo  quadro  di  riferimento,  l'impianto  complessivo
disegnato dall'art. 23, commi da 14 a 20, del d.l. n. 201  del  2011,
convertito nella legge n. 214 del 2011, lede chiaramente l'autonomia,
costituzionalmente garantita, delle Province. 
    In primo  luogo  in  quanto  il  legislatore  statale  ha  inteso
trasformare l'ente, riducendone le  funzioni  al  solo  «indirizzo  e
coordinamento» (comma 14), disconoscendo  cosi'  la  natura  di  ente
autonomo  costitutivo  della  Repubblica   cui   spetta   una   sfera
incomprimibile,   se   non   mediante   procedimento   di   revisione
costituzionale, di poteri e di competenze. In questo senso, il  comma
19, stabilendo che lo Stato  e  le  Regioni,  secondo  le  rispettive
competenze,  provvedono  al  trasferimento   delle   risorse   umane,
finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni  trasferite,
palesemente  si  pone  in  contrasto  con   l'autonomia   statutaria,
organizzativa nonche' finanziaria delle Province e con la riserva  di
potere regolamentare di cui all'art. 117, comma 6. 
    Il  principio  autonomistico   porta   con   se'   il   principio
democratico; e pertanto, nell'esercizio della competenza  legislativa
esclusiva di cui all'art. 117, comma 2, lettera  p),  in  materia  di
legislazione elettorale ed organi di governo di Comuni e Province, lo
Stato  non  puo'  incidere  sul   carattere   democratico   dell'ente
territoriale. 
5. - Illegittimita' dell'art. 23, commi da 14 a 20, del d.l.  n.  201
del 2011, convertito nella legge n.  214  del  2011,  per  violazione
degli artt. 114, 117, 118 e 119 Cost. sotto il profilo del  contrasto
con la riserva costituzionale di funzioni a  favore  delle  Province,
anche in relazione al necessario intervento legislativo regionale per
la  riallocazione  delle  funzioni  amministrative  e  delle  risorse
finanziarie nelle materie di competenza regionale. 
    5.1.  L'impugnato   art.   23   risulta,   altresi',   gravemente
illegittimo per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost., sotto il
profilo del contrasto con la riserva  costituzionale  di  funzioni  a
favore delle Province. 
    Come si e' gia' avuto modo di osservare nella parte  in  «Fatto»,
il comma 14 dell'articolo censurato prevede  espressamente  che  alla
Provincia spettano «esclusivamente» le funzioni  di  indirizzo  e  di
coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle materie e  nei  limiti
indicati dal legislatore  statale  o  regionale  di  volta  in  volta
competente. A norma del successivo comma 18, lo Stato  e  le  Regioni
provvedono secondo le rispettive competenze in relazione alle residue
funzioni, ad oggi conferite alle Province, mediante trasferimento  ai
Comuni ovvero acquisizione da parte delle Regioni  ove  se  ne  renda
necessario un esercizio unitario. 
    Dall'esame delle disposizioni appena menzionate, non v'e' chi non
veda  come  la  limitazione  delle  funzioni  provinciali  alle  sole
attivita' di indirizzo e coordinamento nei confronti dei Comuni - per
lo piu' senza alcuna specificazione in  ordine  all'ampiezza  e  alla
portata delle attivita'  medesime  -  si  traduce  nella  sostanziale
spoliazione a danno delle Province di  funzioni  che  sono  conferite
alle stesse direttamente dalla Costituzione. 
    A tal proposito, sia consentito rammentare come l'art. 114  Cost.
sancisca chiaramente che le  Province  -  insieme  a  Comuni,  Citta'
metropolitane e Regioni - sono «enti  autonomi  con  propri  statuti,
poteri e funzioni secondo i  principi  fissati  dalla  Costituzione».
Tali principi vanno rinvenuti, in primo luogo, nel comma 6  dell'art.
117, a norma del quale viene riconosciuta alle Province  la  potesta'
regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione  e  dello
svolgimento delle funzioni  loro  attribuite.  Ancora,  con  precipuo
riferimento alle competenze di carattere amministrativo, l'art.  118,
comma 2, Cost., prevede espressamente che le Province  sono  titolari
di funzioni amministrative proprie e di quelle  conferite  con  legge
statale o regionale, secondo le rispettive competenze. In ultimo, dal
punto di vista prettamente finanziario,  le  Province  dispongono  di
un'autonomia di entrata e di spesa, godendo di  risorse  -  derivanti
anche dall'imposizione ed applicazione di tributi ed entrate propri -
che devono essere  idonee  a  finanziare  integralmente  le  funzioni
pubbliche loro attribuite (art. 119 Cost.). 
    L'analisi delle disposizioni  sopra  menzionate  palesa  come  le
Province appaiano titolari di un fascio  di  funzioni  amministrative
proprie (su cui esercitano potesta'  regolamentare  e  per  le  quali
godono di risorse finanziere), la  cui  indefettibilita'  e'  sancita
direttamente in Costituzione, pur  nella  necessita'  della  concreta
individuazione da parte della legge. In particolare, come  si  desume
agevolmente dalla formulazione del citato art. 118, comma  2,  Cost.,
alla  Provincia  spettano  funzioni  proprie,  ossia  ontologicamente
connaturate all'autonomia costituzionale di  tale  ente,  prima  e  a
prescindere  da  quelle  conferite  dal  legislatore  statale  ovvero
regionale sulla base delle rispettive competenze. 
    Cio',  del  resto,  ha  trovato  una  conferma   espressa   anche
nell'ambito  della  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma   Corte.   In
particolare, trovandosi a dover giudicare della legittimita'  di  una
normativa regionale in materia di ordinamento delle autonomie  locali
e, in particolare,  delle  Province,  il  giudice  costituzionale  ha
chiaramente riconosciuto la  «esistenza  di  un  nucleo  di  funzioni
intimamente connesso al riconoscimento  del  principio  di  autonomia
degli enti locali sancito dall'art. 5 Cost.» (Corte cost.,  sent.  n.
238 del 2007, ripresa dalla successiva sent. n. 286 del 2007). 
    Alla  luce  del  quadro  normativo  e   giurisprudenziale   sopra
evidenziato, emerge allora nitidamente  come  la  drastica  riduzione
delle funzioni provinciali e la loro limitazione alle sole  attivita'
di  indirizzo  e  coordinamento  nei  confronti  dei   Comuni   siano
manifestamente  incompatibili  con  le  attribuzioni  spettante  alle
Province,  cosi'  come  delineata  dalla  Costituzione.  L'intervento
normativo censurato, infatti, impinge illegittimamente nella sfera di
autonomia provinciale, in palese violazione delle previsioni  di  cui
agli artt. 117, 118 e 119 Cost. Anche sotto tale profilo, l'impugnato
art. 23 appare palesemente incostituzionale. 
    Del resto, l'invocazione dell'art. 117, comma  2,  lett.  p,  (ai
sensi del quale spetta  allo  Stato  l'individuazione  di  organi  di
governo  e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e   Citta'
metropolitane) al fine di dare copertura  alle  norme  qui  impugnate
determinerebbe una vera e propria eterogenesi dei  fini  della  norma
stessa, la cui ratio non puo' che  essere  rinvenuta  nella  garanzia
dell'assetto  autonomistico  che  la  riforma  del  Titolo  V   della
Costituzione ha reso vivo ed effettivo. 
    5.2. Sotto diverso profilo,  l'articolo  oggetto  della  presente
questione di costituzionalita' risulta illegittimo anche in relazione
alla violazione del riparto di competenze  tra  Stato  e  Regioni  in
ordine al conferimento delle funzioni amministrative, laddove  impone
a queste ultime la necessaria riallocazione  delle  funzioni  che  la
vigente legislazione regionale conferisce oggi  alle  Province.  Tale
necessaria riallocazione appare tanto piu' arbitraria, ingiustificata
e illegittima ove si pensi che gli effetti dell'art. 23 qui impugnato
non determinano la soppressione assoluta delle  province,  le  quali,
ancorche' depotenziate e defunzionalizzate,  continuano  comunque  ad
essere  presenti  nell'ordinamento,  seppur  con  una  configurazione
profondamente alterata. E allora: se le province continuano ad essere
esistenti, perche' le Regioni non possono autonomamente  decidere  se
attribuire ad esse funzioni regionali? 
    In tal senso, sia consentito ribadire nuovamente che e' lo stesso
art. 118 Cost. a riconoscere  in  capo  alle  Regioni  il  potere  di
conferire l'esercizio delle funzioni di propria competenza agli  enti
locali ritenuti piu' idonei ad esercitarle sulla base dei principi di
sussidiarieta',  differenziazione  ed  adeguatezza.  Del  resto,   ad
escludere l'illegittimita' dell'intervento  normativo  censurato  non
potrebbe certo invocarsi la competenza esclusiva statale ex art. 117,
comma 2, lettera p),  Cost.,  relativa  a  «legislazione  elettorale,
organi di governo e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e
Citta' metropolitane». 
    Codesta ecc.ma Corte  ha,  infatti,  da  tempo  chiarito  che  il
suddetto titolo competenziale deve  intendersi  rivolto  al  contesto
oggettivo tassativamente interessato, che si sostanzia esclusivamente
nella disciplina del sistema elettorale, della  forma  di  governo  e
delle sole funzioni fondamentali di detti enti. 
    Peraltro,  e'  opportuno  osservare  che,  nell'interpretare   il
rapporto tra le rinnovate potesta' legislative  regionali  risultanti
dall'art. 117, come riformato dalla L.cost. n. 3/2001  e  l'art.  118
Cost., il giudice costituzionale ha chiaramente affermato che  «quale
che debba ritenersi il rapporto fra le "funzioni fondamentali"  degli
enti locali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p,  e  le
"funzioni proprie" di cui a detto articolo 118, secondo comma, sta di
fatto che sara' sempre la legge statale o regionale. In relazione  al
riparto  delle  competenze  legislative,  a   operare   la   concreta
collocazione delle funzioni» (Corte cost., sent, n. 43 del 2004). 
    Pertanto, alla luce  dei  principi  desumibili  dalla  richiamata
giurisprudenza, non e' revocabile in dubbio come la competenza  della
Regione  in  materia  di  disciplina  dell'esercizio  delle  funzioni
amministrative sussista ogni qualvolta le funzioni stesse interessino
ambiti  materiali  di  diretta  pertinenza  regionale  (esclusiva   o
concorrente). 
    Orbene, con riferimento al caso di specie, e'  evidente  come  il
comma 18 dell'articolo censurato,  nel  prevedere  che  entro  il  31
dicembre  2012  il  legislatore  regionale,  per  quanto  di  propria
spettanza,  trasferisce  ai  Comuni  le  funzioni   conferite   dalla
normativa  vigente  alle  Province,  si  traduce  in   un'illegittima
invasione delle attribuzioni delle Regioni, nella misura in cui viene
a limitare la  loro  autonomia  in  merito  alla  determinazione  del
livello territoriale di governo piu' idoneo all'esercizio di funzioni
di loro competenza. 
    Tale invasione si rivela tanto piu' grave e manifesta se solo  si
considera che -  come  si  vedra'  meglio  infra  -  la  disposizione
interessata  prevede   espressamente   l'esercizio   di   un   potere
sostitutivo statale - per giunta di carattere legislativo -  in  caso
di eventuale mancata riallocazione delle funzioni predette  da  parte
della legge regionale. 
    Ad  ulteriore  riprova  della  manifesta   illegittimita'   delle
previsioni  censurate,  deve  osservarsi  come  le  stesse   non   si
preoccupino  minimamente  di  definire  cosa  debba  intendersi   per
«funzioni di indirizzo e di coordinamento» delle attivita'  comunali,
senza che, pertanto, possano individuarsi con  certezza  le  funzioni
residue oggetto di riallocazione da parte di Stato  e  Regioni  sulla
base delle rispettive competenze. 
    Alla luce di quanto  sopra  osservato,  non  pare  revocabile  in
dubbio il grave vulnus arrecato  dalle  disposizioni  impugnate  alla
sfera di competenze regionali. Anche sotto tale profilo, pertanto, si
impone la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 23. 
6. - Illegittimita' dell'art. 23, commi da 14 a 20, del d.l.  n.  201
del 2011, convertito nella legge n.  214  del  2011,  per  violazione
dell'art. 120, comma 2,  Cost.  nella  parte  in  cui  introduce  una
fattispecie  di  potere  sostitutivo  in  assenza   dei   presupposti
costituzionalmente previsti, nonche' per violazione del principio  di
leale collaborazione. 
    L'art. 23, al suo comma 18, secondo capoverso,  prevede  che  «in
caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte  delle  Regioni
entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva,  ai  sensi
dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131,  con  legge  dello
Stato». Si tratta quindi  della  previsione  di  una  fattispecie  di
potere sostitutivo esercitato dal Governo nei confronti della Regione
che, alla data indicata del 31 dicembre 2012, non abbia provveduto al
richiesto trasferimento delle funzioni finora svolte dalle  Province.
Il comma descrive un intervento sostitutivo dello Stato nei confronti
della Regione a) che  dovrebbe  attivarsi  in  mancanza  della  legge
regionale di riallocazione ai Comuni delle funzioni  conferite  dalla
normativa vigente alle Province, b) attuato con «legge dello Stato». 
    Orbene, tali previsioni contrastano con l'art. 120 comma 2 Cost.,
ponendosi al di fuori dei casi in esso previsti. 
    La norma costituzionale infatti («Il Governo puo'  sostituirsi  a
organi delle Regioni, delle Citta' metropolitane,  delle  Province  e
dei  Comuni  nel  caso  di  mancato  rispetto  di  norme  e  trattati
internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave
per  l'incolumita'  e  la  sicurezza  pubblica,  ovvero   quando   lo
richiedono la tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica  e
in particolare la tutela dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili  e  sociali,  prescindendo  dai  confini
territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte
a garantire che i poteri sostitutivi siano  esercitati  nel  rispetto
del  principio  di  sussidiarieta'   e   del   principio   di   leale
collaborazione») individua, quali ipotesi idonee  a  giustificare  un
intervento sostitutivo del Governo: 
        il mancato rispetto di  norme  e  trattati  internazionali  o
della normativa comunitaria; 
        il pericolo grave per l'incolumita' e la sicurezza pubblica; 
        il caso in cui l'attivita'  sostitutiva  e'  richiesta  dalla
tutela  dell'unita'  giuridica  o  dell'unita'  economica,  con   una
particolare ed espressa previsione dei caso in cui  l'intervento  sia
richiesto al fine di tutelare i livelli essenziali delle  prestazioni
concernenti i diritti civili  e  sociali,  prescindendo  dai  confini
territoriali dei governi locali. 
    La norma impugnata amplia il numero tassativo dei casi in cui  la
Costituzione  autorizza  il  governo   all'esercizio   di   attivita'
sostitutiva nei confronti delle Regioni, estendendo  illegittimamente
la portata della disposizione costituzionale. 
    In primo luogo va precisato  che  la  giurisprudenza  di  codesta
ecc.ma Corte ha affermato, con  riguardo  alle  clausole  dell'unita'
giuridica e dell'unita' economica, che «si  tratta  all'evidenza  del
richiamo ad interessi "naturalmente" facenti capo  allo  Stato,  come
ultimo responsabile del mantenimento della unita'  e  indivisibilita'
della Repubblica garantita dall'articolo 5 della Costituzione» (Corte
cost., sent. n. 43 del 2004).  Tuttavia,  nella  medesima  pronuncia,
tratteggiando i caratteri essenziali del potere sostitutivo  previsto
dall'art. 120 Cost., ha precisato che, se e' vero che la norma  tende
ad assicurare «comunque, in un sistema di piu' largo decentramento di
funzioni quale quello delineato dalla  riforma,  la  possibilita'  di
tutelare, anche al  di  la'  degli  specifici  ambiti  delle  materie
coinvolte   e   del   riparto   costituzionale   delle   attribuzioni
amministrative, taluni interessi  essenziali  (...)  che  il  sistema
costituzionale  attribuisce  alla   responsabilita'   dello   Stato»,
certamente  gli  interventi  governativi  da  essa   previsti   hanno
«carattere straordinario e aggiuntivo» come risulta, tra l'altro «dal
fatto che  esso  allude  a  emergenze  istituzionali  di  particolare
gravita',  che  comportano  rischi  di  compromissione  relativi   ad
interessi essenziali della Repubblica» (Corte cost. n. 43 del 2004). 
    Orbene, alla stregua delle impugnate disposizioni, un tema  dalle
evidenti connotazioni costituzionali,  che  incide  sull'architettura
del sistema  delle  autonomie  locali,  viene  disciplinato  mediante
decreto-legge e attuato ricorrendo alla «minaccia» dell'esercizio  di
un improprio potere sostitutivo. 
    Codesta  ecc.ma  Corte  ha   richiamato   condizioni   e   limiti
dell'esercizio dei poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle
Regioni (ritenendo peraltro gli stessi validi in  senso  generale,  e
quindi anche con riferimento a  meccanismi  sostitutivi  previsti  da
legge regionale in caso di inadempimento dei comuni nell'esercizio di
funzioni amministrative proprie), precisando, tra l'altro, che: 
        «le ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi debbono essere
previste e disciplinate dalla legge (cfr. sentenza n. 338 del  1989),
che deve definirne i presupposti sostanziali e procedurali. 
    In secondo luogo, la sostituzione puo' prevedersi  esclusivamente
per il compimento di atti o di attivita' "prive  di  discrezionalita'
dell'an (anche se  non  necessariamente  nel  quid  o  nel  quomodo)"
(sentenza n. 177 del 1988), la cui obbligatorieta'  sia  il  riflesso
degli interessi unitari alla cui salvaguardia  provvede  l'intervento
sostitutivo: e cio' affinche'  essa  non  contraddica  l'attribuzione
della funzione  amministrativa  all'ente  locale  sostituito»  (Corte
cost. n. 43 del 2004). 
    Ha  inoltre  ribadito  l'inderogabile  necessita'  che  la  legge
appresti «congrue garanzie procedimentali per l'esercizio del  potere
sostitutivo, in conformita'  al  principio  di  leale  collaborazione
(cfr. ancora sentenza n. 177 del  1988),  non  a  caso  espressamente
richiamato anche dall'articolo 120, secondo  comma,  ultimo  periodo,
della Costituzione a proposito del potere sostitutivo "straordinario"
del Governo, ma operante piu'  in  generale  nei  rapporti  fra  enti
dotati  di  autonomia  costituzionalmente  garantita.  Dovra'  dunque
prevedersi un procedimento nel quale l'ente sostituito  sia  comunque
messo in grado  di  evitare  la  sostituzione  attraverso  l'autonomo
adempimento,  e  di  interloquire  nello  stesso  procedimento  (cfr.
sentenze n. 153 del 1986, n. 416 del 1995; ordinanza n. 53 del 2003)»
(Corte cost. n. 43 del 2004). 
    Come si e' visto, dunque, la  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma
Corte in tema di esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle
Regioni e della connessa nomina di commissario ad acta da  parte  del
Governo, ha sempre  ribadito  che  la  disciplina  delle  ipotesi  di
surrogazione statale  nei  confronti  degli  enti  territoriali  deve
assicurare a questi ultimi idonee garanzie partecipative, in coerenza
con il fondamentale principio di leale collaborazione che deve sempre
informare  i  rapporti  tra  due  distinti  enti   costituzionalmente
autonomi (in tal senso, ex multis, Corte cost., sentt. n. 2 del 2010,
n. 383 del 2005 e n. 240 del 2004). 
    Con riferimento alla disposizione oggetto del  presente  giudizio
di costituzionalita', nessuna garanzia e'  stata  prevista  a  tutela
dell'autonomia regionale costituzionalmente prevista dal momento che,
all'attivazione del potere sostitutivo,  non  viene  garantito  alcun
coinvolgimento della Regione. 
    L'art. 23, comma 18, inoltre  fa  riferimento  all'esercizio  dei
poteri sostitutivi, di cui all'art. 8 della legge n.  131  del  2003,
ricorrendo a «legge dello Stato». La previsione determina una  palese
violazione delle  norme  costituzionali  che  presiedono  al  riparto
costituzionale delle competenze legislative, prevedendo una legge che
disciplina la materia di competenza regionale relativa alle  funzioni
degli enti locali. 
    A tal riguardo, si ricorda che, con la sentenza n. 361 del  2010,
codesta ecc.ma Corte, nel diverso caso relativo ad un atto, approvato
dal  Presidente  della  Giunta  regionale  nella  sua   qualita'   di
Commissario governativo ad acta,  «denominato»  legge  regionale,  ma
privo dei necessari requisiti previsti dalla Costituzione  per  poter
essere ritenuto atto legislativo, ha in primo  luogo  precisato  che:
«la disciplina contenuta nel secondo comma dell'art.  120  Cost.  non
puo'  essere  interpretata  come   implicitamente   legittimante   il
conferimento di poteri di tipo legislativo ad  un  soggetto  che  sia
stato nominato Commissario del Governo». Ha inoltre affermato, pur se
in via dubitativa e senza esprimersi sulla legittimita' di  una  tale
ricostruzione, che una interpretazione dell'art. 120, comma 2,  Cost.
tesa a «legittimare il potere del Governo di adottare atti con  forza
di legge in sostituzione di leggi regionali ...  tramite  l'esercizio
in via temporanea  dei  propri  poteri  di  cui  all'art.  77  Cost.»
costituisce,  in  ogni   caso,   deroga   eccezionale   «al   riparto
costituzionale delle competenze  legislative  fra  Stato  e  Regioni»
(Corte cost., n. 361 dei 2010). Deve tuttavia aggiungersi  come,  con
ogni evidenza, la decretazione d'urgenza,  sottesa  all'esercizio  di
poteri  normativi  da  parte  del   Governo,   non   sembra   potersi
contemperare con il principio di leale collaborazione, nell'esercizio
dei poteri sostitutivi, imposto dall'art. 120 della Costituzione. 
7. - Illegittimita' dell'art. 23, commi da 14 a 20, del d.l.  n.  201
del 2011, convertito nella legge n.  214  del  2011,  per  violazione
dell'art. 138 Cost.,  In  relazione  alla  mancata  osservanza  della
procedura   di   revisione   della   Costituzione   richiesta   dalla
trasformazione delle Province 
    Ad   ulteriore   rafforzamento   della   palese    illegittimita'
costituzionale delle norme oggetto  della  presente  impugnazione  e'
doveroso richiamare anche la violazione dell'art. 138 Cost. 
    7.1. L'intervento legislativo in esame si pone in  contrasto  con
uno dei tratti caratterizzanti  la  nostra  Costituzione,  ovvero  la
rigidita' della stessa che, secondo l'insegnamento piu' autorevole  e
tradizionale, «si traduce nel divieto di modificare  la  Costituzione
se non in date forme e procedure rigorose» (cosi' gia' M.  Ruini,  Il
referendum popolare e la revisione della Costituzione,  Milano  1953,
55). 
    Cio'  significa  che  ogni   eventuale   modifica   del   dettato
costituzionale va introdotta esclusivamente attraverso il  ricorso  a
norme di pari forza,  vale  a  dire  costituzionale,  e  dunque  alla
relativa procedura per esse prevista dall'art. 138 Cost. 
    Ed invece le previsioni norme dell'art. 23 del d.l.  n.  201  del
2011 sono norme che, svuotando alcuni organi, il ruolo e le  funzioni
delle Province, comprimono al massimo (di fatto  lo  «eliminano»)  un
ente che i  Costituenti  riconobbero  funzionale  all'attuazione  dei
principi di autonomia e pluralismo  della  Repubblica  (artt.  1,  5,
114), la cui dimensione costituzionale ha trovato conferma nel  nuovo
art. 114 Cost., cosi' come modificato dalla legge costituzionale n. 3
del 2001. 
    La tutela degli enti territoriali ha trovato ampio  spazio  nella
giurisprudenza di Codesta Corte: il principio ex art. 133,  comma  2,
della  partecipazione   delle   comunita'   locali   alle   decisioni
fondamentali che le  riguardano  e'  stato  visto  dalla  Corte  come
garanzia a tutela dell'autonomia degli enti minori  per  evitare  che
altri  enti  (le  Regioni)  «possano  addivenire   a   compromissioni
dell'assetto preesistente senza tenere adeguato conto  delle  realta'
locali e delle  effettive  esigenze  delle  popolazioni  direttamente
interessate» (Corte cost., sent. nn. 279 del 1994 e 453 del 1989). 
    Il nuovo Titolo  V,  attuando  definitivamente  i  principi  gia'
fissati agli artt. 1, 2, 3 e 5 della Costituzione, ha  consacrato  un
assetto costituzionale «pervaso da pluralismo  istituzionale»  (Corte
cost., sent. n. 303 del 2003) dando vita ad un  fitto  reticolato  di
soggetti   istituzionali,   Comuni,   Province   (ma   anche   Citta'
metropolitane),  Regioni,  Stato  che  interagiscono  tra  loro   nel
rispetto delle reciproche  autonomie  e  raccogliendo  la  pluralita'
delle istanze disseminate nelle diverse realta' territoriali. 
    7.1.1. Se gia' pensare anche solo di «aggiustare» questo  assetto
essenziale  del  nostro  ordinamento  costituzionale  attraverso   un
procedimento di revisione costituzionale va incontro a taluni  limiti
(si vedano gli insegnamenti  della  storica  pronuncia  n.  1146  del
1988), metterlo in  pratica,  con  esiti  di  stravolgimento  vero  e
proprio, affidandosi addirittura alla mera legge  ordinaria,  e'  del
tutto incostituzionale. 
    Una risalente dottrina aveva evidenziato come una legge ordinaria
che  volesse  modificare   la   Costituzione   «non   tanto   sarebbe
incostituzionale per il contrasto con un precetto della  Costituzione
relativo alle leggi ordinarie, quanto sarebbe inefficace  perche'  la
legge ordinaria non ha la forza sufficiente per privare di  forza  ed
efficacia la Costituzione» (C. Esposito,  La  Costituzione  italiana,
1954, 203). 
    Le norme de qua, al contrario,  vorrebbero  invece  produrre,  in
maniera del tutto illegittima, proprio questo effetto. 
    Eppure codesta ecc.ma Corte ha chiaramente affermato -  ribadendo
ruoli e specifiche modalita' - che il potere di revisione, proprio in
ragione della funzione che  assolve,  e'  rimesso  in  prima  istanza
all'organo rappresentativo, ma  sempre  e  solo  nel  rispetto  della
peculiare ed unica procedura ex art. 138. (Corte cost., sent. n.  496
del 2000). 
    7.2. Sulla specifica questione  -  dibattuta  in  dottrina  -  in
ordine alla invocabilita' dell'art. 138 Cost.  quale  parametro  alla
stregua del quale giudicare sulla legittimita' costituzionale di  una
legge, questa difesa intende svolgere due ordini di considerazioni. 
    7.2.1. La prima: il dibattito richiamato si era sviluppato  sulla
circostanza per cui mai, nel corso di una storia ultracinquantennale,
codesta   ecc.ma   Corte   aveva   pronunciato    dichiarazioni    di
incostituzionalita' di norme di legge  in  riferimento  all'art.  138
Cost. 
    Eppure, recentissimamente, in riferimento alle note  vicende  dei
c.d. «lodi» e quindi alle prerogative delle alte cariche dello Stato,
qualcosa, e non poco, in tal senso e' cambiato. 
    Nella sentenza n. 262 del  2009,  affrontando  il  rilievo  delle
suddette  prerogative  rispetto  ai   principi   fondamentali   della
Costituzione,   si   legge   che   «la    complessiva    architettura
istituzionale, ispirata ai principi della divisione dei poteri e  del
loro equilibrio, esige che la disciplina delle prerogative  contenuta
nel testo della Costituzione debba essere intesa come  uno  specifico
sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento  e  assetto
di  interessi  costituzionali;  sistema  che  non  e'  consentito  al
legislatore ordinario alterare ne' in peius ne' in melius.» Da qui si
ribadisce il principio secondo cui «il legislatore ordinario, in tema
di prerogative (e cioe' di immunita' intese  in  senso  ampio),  puo'
intervenire solo per attuare, sul piano  procedimentale,  il  dettato
costituzionale, essendogli preclusa  ogni  eventuale  integrazione  o
estensione di tale dettato». 
    In questa occasione, per la prima volta, codesta ecc.ma Corte  ha
dichiarato  l'illegittimita'  di  una  norma  invocando   una   norma
sostanziale (nello specifico l'art. 3 Cost.) «in  combinato  disposto
con l'art. 138». 
    Nella successiva sentenza n. 23 del  2011,  la  dichiarazione  di
illegittimita'  costituzionale  delle  norme  sul   c.d.   «legittimo
impedimento» non e' stata piu'  solo  in  riferimento  al  «combinato
disposto degli artt. 3 e 138», ma agli «artt.  3  e  138»:  in  altri
termini, quest'ultimo parametro e' stato assunto in maniera  distinta
ed autonoma dal primo. Infatti,  nella  norma  introdotta  con  legge
ordinaria (la n. 51 del 2010) la  Corte  ha  ravvisato  elementi  che
«rappresentano tuttavia una alterazione, e non gia' una  integrazione
o  applicazione,  della  disciplina  dell'istituto  generale  di  cui
all'art.  420-ter  cod.  proc.  pen.  Si  tratta,  pertanto,  di  una
disposizione derogatoria del regime processuale comune, che introduce
una prerogativa in favore del titolare della carica, in di  poteri  e
di competenze con gli artt. 3 e 138 Cost.». 
    La sent. n. 23 del 2011 potrebbe allora intendersi come  sviluppo
e rafforzamento di quanto detto nella sent. n. 262 del  2009  proprio
per questa sorta di «promozione» dell'articolo 138  Cost.  o,  se  si
preferisce, di sua emancipazione  ad  un  ruolo  non  piu'  «minore»,
bensi' a quello di parametro di legittimita' costituzionale  autonomo
ed indipendente. 
    Sembra dunque essersi  aperta  la  strada  -  grazie  proprio  al
contributo di codesta ecc.ma Corte - percorrendo la  quale  si  possa
giungere a dichiarare l'incostituzionalita'  di  un  legge  ordinaria
anche per violazione diretta dell'art. 138 Cost. 
    7.2.2. Detto questo, la fattispecie odierna sembra essere diversa
da quelle che hanno determinato le pronunce appena ricordate e, in un
certo senso, la violazione qui eccepita, ancor piu' evidente. Per  le
norme impugnate, infatti, non  puo'  parlarsi  di  mere  modifiche  o
integrazioni del  dettato  costituzionale,  giacche'  il  legislatore
ordinario ha  di  fatto  tolto  dalla  Costituzione  quanto  in  essa
previsto.  L'intervento  legislativo  mira   in   modo   evidente   a
depotenziare la Provincia, privandola  sostanzialmente  del  ruolo  e
delle  funzioni  che   trovano   espressa   copertura   nel   dettato
costituzionale. 
    L'assetto  istituzionale  della  Repubblica   non   puo'   essere
ridiscusso da  una  legge  ordinaria,  perche'  la  sua  architettura
complessiva  trova  disciplina  esclusivamente  in  norme  di   rango
costituzionale - vale a dire quelle sin  qui  citate  nei  precedenti
motivi di impugnazione: artt. 114, 117, 118, 119 - inaccessibili alle
fonti primarie. Pertanto, un  intervento  normativo  come  quello  in
esame deve  essere  dichiarato  incostituzionale  anche  per  diretta
violazione dell'art. 138 Cost. 
 
 
                               P.Q.M. 
 
    Chiede che codesta ecc.ma Corte,  in  accoglimento  del  presente
ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20 del  decreto-legge  6  dicembre
2011, n. 201, convertito con  modificazioni  con  legge  22  dicembre
2011,  n.  214,  recante  «Disposizioni  urgenti  per  la   crescita,
l'equita' e il consolidamento  dei  conti  pubblici»  per  violazione
degli articoli 3, 114,  117,  118,  119,  120,  comma  2,  138  della
Costituzione. 
 
        Roma, addi' 4 febbraio 2012 
 
                   Prof. Avv. Caravita di Toritto 

 

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