RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 febbraio 2006 , n. 25
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria  il  21 febbraio  2006  (del Presidente del Consiglio dei
ministri)

  
(GU n. 11 del 15-3-2006) 
 
    Ricorso  del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  nei confronti della Regione
Toscana, in persona del presidente della giunta, avverso gli artt. 1,
comma  2,  3,  7, commi 7 e 8, 10 11, 12, 13, 14, 18 e 19 della legge
regionale   7 dicembre  2005,  n. 66,  intitolata  «Disciplina  delle
attivita'  di  pesca  marittima  e degli interventi di sostegno della
pesca marittima e dell'acquacoltura», pubblicata nel Boll. Uff. n. 45
del 16 dicembre 2005.

    La  determinazione  di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata  dal  Consiglio  dei ministri nella riunione del 3 febbraio
2006 (si depositera' estratto del relativo verbale).
    Giova   premettere   che  pendono  dinanzi  a  codesta  Corte,  e
dovrebbero  essere  discusse  il 4 aprile 2006, controversie proposte
dalla  Regione  Toscana  avverso  la legge delega 7 marzo 2003, n. 38
(tra  l'altro,  con riferimento all'art. l, comma 2, lettere V e Z di
tale  legge),  avverso i decreti legislativi 26 maggio 2004, n. 153 e
n. 154,  ed  avverso  il  decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 100.
Senza attendere gli insegnamenti che codesta Corte dara' tra breve in
tema  di  pesca  marittima,  e  senza tener conto di quanto affermato
nella sentenza 28 giugno 2004, n. 198 di codesta Corte, la regione ha
ritenuto di approvare la legge ora in esame.
    Ancora  in  via  preliminare si osserva che la legge ora in esame
non  defmisce  in  modo  univoco  il  proprio ambito di applicazione.
L'art. 1  della  legge  14  luglio 1965, n. 963 inizia precisando «Le
disposizioni  della  presente  legge  concernono  la pesca esercitata
nelle  acque rientranti nelle attribuzioni conferite ... al Ministero
della  marina  mercantile  e, limitatamente ai cittadini italiani nel
mare  libero».  La  legge  regionale  in esame da un lato all'art. 1,
comma  1),  recita  «la  presente  legge  disciplina  ... c) la pesca
esercitata  nelle  acque  marittime territoriali (quindi non nel mare
libero)  antistanti  il litorale della regione», all'art. 5, comma 1,
lettera  B definisce «pesca marittima ogni azione diretta a catturare
specie  viventi  nelle  acque  del  mare territoriale» e all'art. 12,
comma   2,   considera   il   «carattere   sovracomunale   del   mare
territoriale»;  d'altro  lato pero' in piu' disposizioni (ad esempio,
nell'art. 2,  lettere  B,  C,  E  ed  F,  nell'art. 5,  lettera  K, e
nell'art. 6, comma 1, lettera F) parla di «attivita' di pesca» (senza
delimitazioni),  come  definita  dall'art. 5.  comma  1, lettera A, e
comunque  dispone  in via generale sulla competenza amministrativa al
rilascio delle licenze e delle autorizzazioni di pesca.
    Non  e'  chiaro  quindi se la regione intenda o meno estendere le
proprie  competenze  anche  alle  attivita' di pesca esercitabili nel
mare  libero  e  nel mare territoriale antistante i litorali di altri
Stati  (in  forza  di  accordi  internazionali bilaterali) e di altre
regioni,  e  in  caso  affermativo,  come reputi di poter evitare che
l'attivita'   anzidetta  sia  esercitata  dagli  imprenditori  ittici
destinatari dei suoi provvedimenti soltanto nelle acque antistanti il
litorale «toscano».
    Molteplici  chiarimenti  appaiono percio' necessari, e si confida
siano  forniti  da un atto di costituzione non meramente formale. Tra
l'altro,  persino  la  nozione di imprenditore ittico - cui l'art. 5,
lettera  K  della legge in esame solo accenna, malgrado la importanza
della  nozione  -  e'  definita  in  modo  ben  piu'  esaustivo dalla
normativa statale.
    L'art. 12,  comma  5,  del  citato d.lgs. n. 154 del 2004 riserva
allo  Stato  «il  controllo sulle misure di sostenibilita», controllo
che  e'  esercitato  «anche  attraverso  le  licenze  di pesca, unico
documento  autorizzatorio all'esercizio della pesca professionale» di
cui  ai  regolamenti  dell'Unione  europea.  La disposizione e' stata
sottoposta soltanto dalla Regione Toscana all'esame di codesta Corte,
adducendosi che un «totale accentramento di competenze ... non appare
giustificabile  alla stregua dei criteri di sussidiarieta' e comunque
.... sarebbe necessario prevedere forme di intesa con le regioni» (al
plurale).  Senza  attendere  l'esito di quella controversia, la legge
regionale  in  esame  ha,  all'art. 7,  comma  8,  attribuito  ad  un
programma  regionale adottato dalla giunta ed approvato dal Consiglio
regionale   la   determinazione  del  numero  massimo,  per  ciascuna
provincia,  delle licenze di pesca concedibili, all'art. 3, lettera D
attribuito  alle province (di fatto alle cinque province costiere) la
competenza  al  rilascio  -  nel  rispetto dell'anzidetto programma -
delle  licenze  di  pesca,  e  all'art. 2,  lettere  E ed F riservato
all'amministrazione   regionale   il  rilascio  delle  autorizzazioni
previste da dette lettere E ed F.
    Connesse  e per certi versi consequenziali alle teste' menzionate
disposizioni le seguenti altre:
        l'art. 14   nel   quale   e'  prevista  l'emanazione  di  due
regolamenti  regionali  di  attuazione  della legge in esame; su tale
articolo si tornera' tra breve;
        l'art. 12  che  riguarda  il rilascio, la durata e il rinnovo
delle  licenze  di pesca, nonche' la «subordinazione» al pagamento di
«oneri»;  il comma 2 di tale articolo parrebbe superfluo; ed il comma
1   non   menziona  lo  «imprenditore  di  pesca»  invece  menzionato
nell'art. 12 della citata legge n. 963 del 1963;
           l'art. 13   che   prevede   «il   registro  dei  pescatori
professionali  e  delle  imprese di pesca e delle navi e galleggianti
intestatari  di licenza di pesca», (in argomento, gli artt. 2 e 3 del
citato d.lgs. n. 153 del 2004);
        l'art. 1,   lettera  B,  che  reca  una  mera  (e  superflua)
indicazione.
    Oltre  alle disposizioni menzionate che attengono alla licenza di
pesca  ed  alle citate due autorizzazioni di cui all'art. 2, la legge
in  esame  reca  ulteriori  disposizioni  in  tema  di disciplina dei
«tempi»,   dei  modi  e  degli  strumenti  dell'attivita'  di  pesca.
L'art. 14  alla  lettera  B  (cui  rinviano  norme contenute in altri
articoli,  quali  gli  artt. 18  e  19) attribuisce ad un regolamento
regionale  la  potesta'  di  disciplinare  «le modalita' di esercizio
delle  attivita'  di  pesca»  (in  breve, tutte le attivita' di pesca
marittima).  E  l'art. 7, comma 7, attribuisce al programma regionale
prevede  che il programma regionale definisca «limitazioni temporanee
dell'attivita'  di pesca per aree determinate» (parrebbe per «aree» e
non  per  «specie») e «modalita' temporanee di utilizzo delle diverse
attrezzature di pesca consentite». In sostanza, attraverso queste due
disposizioni, la regione intenderebbe «governare» tutta l'attivita' -
che  e'  di  produzione  e  non di distribuzione - degli imprenditori
ittici.
    Tutte  le  disposizioni  della  legge in esame sin qui menzionate
contrastano con i parametri seguenti.
    In  primo  luogo  esse contrastano con il fondamentale e generale
limite  territoriale  delle  competenze  legislative regionali. Dette
competenze  sono  delimitate  dai  confini  terrestri  del territorio
regionale e - per le regioni costiere - dalla riva del mare; esse non
possono  estendersi  ne' al mare libero ne' al mare territoriale. Del
resto,  il  previgente  testo  dell'art. 117  Cost.  attribuiva  alle
regioni  competenze solo per la pesca nelle acque interne (cfr. anche
art. 100  del  d.P.R. n. 616 del 1977). Quanto attiene al mare rimane
dunque, necessariamente, di competenza esclusiva dello Stato.
    In  secondo luogo esse contrastano con l'art. 117, comma secondo,
lettera  A  Cost. («rapporti internazionali» e «rapporti con l'Unione
europea»).  L'esercizio  della  pesca  marittima, a fortiori nel mare
libero,   e'   sottoposto   a   discipline   poste   da   convenzioni
internazionali  anche  multilaterali,  sovente formate in ambito ONU,
nonche'  da  dettagliati  regolamenti dell'Unione europea. Il diritto
internazionale   della   pesca  marittima,  emerso  a  consapevolezza
all'inizio  del  1600  (contese tra britannici e olandesi sulla pesca
delle arringhe), e' ormai divenuto un capitolo importante del diritto
internazionale pubblico.
    Le  organizzazioni  internazionali,  l'Unione europea e gli Stati
dedicano   grande  attenzione  alle  risorse  ittiche  disponibili  -
cospicue  ma  pur sempre limitate - e quindi anche dell'ecosistema di
cui  la  fauna marina fa parte. In particolare, lo sfruttamento delle
anzidette  risorse  e'  sottoposta  a  discipline  ed incontra limiti
sempre  meno  posti  dai  singoli  Stati.  Il  primo  e piu' efficace
strumento   di   «difesa»   di   tali   risorse   e',   appunto,   un
contingentamento delle licenze di pesca.
    D'altro  canto,  l'Unione  europea  e  lo Stato hanno operato per
ridurre  il  numero  dei pescherecci ed i «tempi» di pesca marittima,
nonche'  a  disciplinare restrittivamente modalita' e strumenti della
pesca.   Un   «governo»  di  dette  licenze  a  livello  regionale  e
provinciale,   ossia   ad  un  livello  molto  «locale»,  appare  non
compatibile  con  l'osservanza delle regole internazionali ed europee
(ad   esempio,   non   puo'   escludersi  una  concorrenza  tra  enti
territoriali,  nella  direzione  di  un  piu' accentuato sfruttamento
delle  risorse) e con la oggettiva mobilita' delle navi in uno spazio
marino che e' per sua natura privo di confini.
    In  terzo  luogo,  le  disposizioni  menzionate  contrastano  con
l'art. 117,   comma   secondo,   lettera   E   Cost.  («tutela  della
concorrenza»)  e  con  l'art. 120,  primo  comma, Cost. La produzione
legislativa regolamentare ed amministrativa delle singole regioni non
puo'  introdurre  apprezzabili turbative della corretta e fisiologica
competizione  tra  imprenditori operanti nell'ambito nazionale e/o in
quello  dell'Unione europea, riservando trattamenti e discipline piu'
favorevoli  (e  persino  «aiuti  di  regione»)  agli  imprenditori in
qualche modo localizzati nel territorio regionale.
    In  quarto  luogo, dette disposizioni contrastano con l'art. 117,
secondo  comma, lettera S Cost. Come gia' accennato, gran parte delle
normative internazionali ed europee mirano alla «tutela dell'ambiente
(marino  e)  dell'ecosistema». E l'art. 12, commi 2, 3 e 4 del citato
d.lgs.  n. 154 del 2004, in forza del parametro costituzionale teste'
invocato  (lettera  S)  che  attribuisce al Parlamento una competenza
esclusiva,  si  e' fatto carico delle responsabilita' della comunita'
nazionale per la salvaguardia degli anzidetti ambienti ed ecosistema.
Non  v'e'  dunque  spazio per le competenze legislative delle singole
regioni.
    In  quinto  luogo,  le  disposizioni  anzidette  contrastano  con
l'art. 118,  primo  comma  Cost.  In  via  logicamente subordinata si
osserva  che  l'attivita' di pesca marittima richiede necessariamente
l'esercizio unitario delle funzioni. Questa osservazione non soltanto
concerne  le  funzioni  amministrative (compresa quella di produzione
dei  regolamenti  di  cui  all'art. 14 citato) ma si riflette anche -
come codesta Corte ha insegnato nelle note sentenze n. 303 del 2003 e
n. 6 del 2004 - sulla funzione legislativa.
    In  ultimo  luogo  ed  ancora  in via logicamente subordinata, si
osserva  che  le  disposizioni  in  esame  contrastano  con  le norme
«interposte»  contenute nelle numerose leggi dello Stato in argomento
(se ne sono dianzi rammentate solo alcune).
    Gli  artt. 2,  lettera  C,  10  e 11 comma 2 della legge in esame
«riservano»  alla  regione  -  e  per  essa  alla  giunta  - prima la
determinazione dei criteri di organizzazione dei distretti di pesca e
dei  «contenuti  minimi  della  strategia di sviluppo», nonche' delle
regole  di  procedura  per  il  riconoscimento  dei  distretti; e poi
l'emanazione  dei  provvedimenti  concreti  di  «riconoscimento» e di
revoca   dello   stesso,   ed   eventualmente  di  partecipazione  al
finanziamento   degli   interventi.   L'art. 11,  comma  1  definisce
direttamente le funzioni affidabili ai distretti.
    In   tema   di  «distretti  produttivi»  -  cui  possono  aderire
liberamente  imprese  anche  turistiche,  agricole e della pesca - il
Parlamento  nazionale  ha,  da  ultimo ai commi 366 e 367 della legge
finanziaria  23 dicembre 2005, n. 266, prodotto norme ordinamentali e
di   principio,   in   forza  di  competenze  esclusive  conferitegli
dall'art. 117,  comma  secondo,  lettera  A  (anche  in  relazione ai
regolamenti  europei  n. 2371 del 2002 e n. 3690 del 1993), E (tutela
della  concorrenza)  ed  S  e  dall'art. 118,  primo  comma  Cost. In
particolare, per il settore della pesca marittima e' vigente l'art. 4
del  d.lgs.  18  maggio  2001,  n. 226, che al comma 2 stabilisce «le
modalita'  di  identificazione delimitazione e gestione dei distretti
di pesca».
    Le   disposizioni   regionali   dianzi   citate  determinano  una
irrazionale regionalizzazione della flotta di pesca, in contrasto con
i  teste'  menzionati  parametri  costituzionali e con le esigenze di
esercizio  unitario  delle  funzioni di regolazione dell'attivita' di
pesca  marittima,  specie  se  svolta  nel  mare libero o nelle acque
territoriali  di  altro Stato, e con la norma «interposta» recata dal
citato  art. 4.  A  ben  vedere,  l'intera legge regionale toscana in
esame  sembra  non solo invadere ambiti di competenza esclusiva dello
Stato  ma addirittura espellere totalmente lo Stato dal «governo» del
settore   della   pesca  marittima:  le  programmazioni  regionale  e
provinciali   produrrebbero   un   «totale  isolamento»  del  settore
«toscano»  della pesca marittima; nessuna leale collaborazione con lo
Stato  e  le  sue  amministrazioni  e'  da  essa  (legge) prevista; e
l'art. 23, comma 2 conclude la legge in esame con la formula «cessano
di  avere applicazione in Toscana le discipline statali legislative e
regolamentari  che regolano gli stessi oggetti della presente legge e
dei   suoi   regolamenti   attuativi»   (con  prevedibili  incertezze
interpretative  specie  nel caso di norme poste da futuri regolamenti
attuativi).
    D'altro  canto,  nessun cenno e' rinvenibile nella legge in esame
ad  intese  tra  Stato  e regioni, tra l'altro espressamente previste
dall'art. 21  del  citato d.lgs. n. 154 del 2004 (non impugnato dalla
regione).  Il  presente  ricorso  ha  circoscritto  il  novero  delle
disposizioni  sottoposte  a sindacato di legittimita' costituzionale,
pur  sussistendo perplessita' anche rispetto ad altre norme contenute
dalla legge regionale in questione.

        
      
                              P. Q. M.
    Si  chiede  che  sia  dichiarata la illegittimita' costituzionale
delle  disposizioni  sottoposte  a  giudizio, con ogni consequenziale
pronuncia.
        Roma, addi' 8 febbraio 2006
              Il Vice Avvocato generale: Franco Favara

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