Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 25 febbraio 2013 (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
 
(GU n. 12 del 20.3.2013)
 
     Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato
e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  nei  cui  uffici
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro  la  Regione  Autonoma  della  Sardegna,  in  persona  del
Presidente in carica per l'impugnazione della legge  regionale  della
Sardegna n. 25  del  17  dicembre  2012,  pubblicata  sul  Bollettino
ufficiale della Regione Autonoma della Sardegna n. 55 del 20 dicembre
2012 recante «Disposizioni  urgenti  in  materia  di  enti  locali  e
settori diversi», in relazione ai suoi articoli 6 comma 1, 8 comma 2,
13 e 18. 
    La legge della Regione Autonoma della Sardegna  n.  25  del  2012
viene impugnata nella parte  sopra  richiamata  giusta  delibera  del
Consiglio dei Ministri nella seduta dell'8 febbraio 2013. 
    Con la legge regionale in esame, rubricata «Disposizioni  urgenti
in materia di enti locali e settori  diversi»,  la  Regione  Sardegna
intende intervenire in una  serie  di  settori  nei  quali  e'  stata
riscontrata la necessita' di adottare disposizioni urgenti. 
    L'articolo  6  della  legge  regionale,  rubricato  «Servizi   di
interesse generale», dispone al comma 1: 
    «1. Gli enti  locali  affidano  lo  svolgimento  dei  servizi  di
interesse generale, ad eccezione del  servizio  di  distribuzione  di
energia elettrica, del servizio di distribuzione di  gas  naturale  e
dei servizi aperti ad una  effettiva  concorrenza  nel  mercato,  dei
servizi strumentali connessi  alla  loro  attivita'  o  all'esercizio
delle funzioni amministrative e fondamentali  ad  essi  conferite  ai
sensi  degli  articoli  117,  comma  2,  lettera  p),  e  118   della
Costituzione, nonche' di ogni altra  attivita'  d'interesse  pubblico
regionale e locale, mediante procedure di  evidenza  pubblica  o,  in
alternativa, ad organismi a partecipazione mista pubblica privata o a
totale  partecipazione  pubblica,  nel   rispetto   della   normativa
comunitaria.». 
    L'articolo 8 della legge regionale,  intitolato  «Modifiche  agli
articoli 5 e 6 della legge regionale n. 3 del  2009»,  stabilisce  al
comma 2: 
    «2. Dopo il comma 7 dell'articolo 6 della legge  regionale  n.  3
del 2009 e' introdotto il seguente: 
        «7-bis. La  realizzazione  di  nuovi  impianti  eolici  o  di
ampliamenti di impianti esistenti e' consentita, oltre la fascia  dei
300 metri, anche negli ambiti  di  paesaggio  costieri,  purche'  non
ricadenti in beni paesaggistici e ricompresi: 
          all'interno  degli  agglomerati  industriali  gestiti   dai
consorzi industriali provinciali di cui alla tabella A, e delle  aree
industriali e ZIIR di cui alla tabella B  della  legge  regionale  25
luglio 2008, n. 10  (Riordino  delle  funzioni  in  materia  di  aree
industriali),  e  successive  modifiche  ed   integrazioni,   nonche'
all'interno delle aree circoscritte da una fascia di pertinenza  pari
a 4 km dal perimetro degli stessi; 
          nelle aree relative a tutti i piani  per  gli  insediamenti
produttivi (PIP) del territorio regionale; 
          nelle aree PIP di superficie complessiva  superiore  ai  20
ettari e la relativa fascia di pertinenza pari a  4  km,  computabile
anche come aggregazione di singoli PIP contermini; 
          all'interno   delle   aziende   agricole,   su    strutture
appositamente realizzate, nelle aree immediatamente  prospicienti  le
strutture al servizio delle attivita' produttive,  e  aventi  potenza
fino a 200 kW da parte degli imprenditori di cui all'articolo  1  del
decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e alla legge  regionale  n.
15 del 2010.»». 
    L'articolo 13 della legge  regionale  («Adeguamento  della  legge
regionale n. 12 del 2008 al decreto legislativo n.  106  del  2012»),
poi, prevede: 
        «1. Sono recepite le disposizioni di cui agli articoli da 9 a
16 del decreto legislativo 28 giugno 2012, n.  106  (Riorganizzazione
degli enti vigilati dal Ministero della salute, a norma dell'articolo
2 della legge 4 novembre 2010, n. 183). Sono abrogate le disposizioni
contrastanti contenute nella legge regionale 4  agosto  2008,  n.  12
(Riordino dell'Istituto zoo profilattico sperimentale della  Sardegna
«Giuseppe Pegreffi», ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1993,
n. 270, e abrogazione della legge regionale 22 gennaio 1986, n. 15)». 
    L'articolo 18 della legge regionale («Proroga di titoli  minerari
e di permessi di cava»), infine, prevede: 
        «1.  I  titoli  minerari  di  autorizzazione   di   indagine,
concessione, permesso di ricerca di minerali  di  I  categoria  e  le
autorizzazioni e i permessi di cava, per i quali sia stata presentata
da parte degli esercenti, prima della scadenza del titolo  minerario,
l'istanza tesa alla proroga e/o al rinnovo del  titolo  medesimo,  il
cui procedimento non sia stato concluso da tutte  le  amministrazioni
aventi competenza concorrente per motivi indipendenti dagli  obblighi
attribuiti agli istanti, sono automaticamente prorogati  sino  al  30
giugno 2013. 
    2. La proroga e' ammessa esclusivamente per la  prosecuzione  dei
lavori precedentemente autorizzati  e  non  ancora  conclusi,  previa
verifica di  validita'  delle  polizze  di  fideiussione  a  garanzia
dell'esecuzione  dei  lavori  di  messa  in  sicurezza  e  ripristino
ambientale, nel rispetto delle norme vigenti in materia di  attivita'
estrattive.». 
    Si tratta di norme illegittime per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
    L'articolo  6,  comma  1,  presenta  profili  di  contrasto   con
l'ordinamento comunitario di cui all'articolo  117,  comma  1  Cost.,
eccedendo dalle competenze statutarie di cui agli art. 3  e  4  dello
statuto nella parte in cui esclude il ricorso a procedure competitive
di evidenza pubblica («Gli enti locali affidano  lo  svolgimento  dei
servizi di interesse generale [...] mediante  procedure  di  evidenza
pubblica  o,  in  alternativa»)  per  l'affidamento  di  servizi   di
interesse generale non  solo  a  societa'  «a  totale  partecipazione
pubblica» ma  anche  a  «societa'  a  partecipazione  mista  pubblica
privata», ponendosi in contrasto con  l'ordinamento  comunitario  che
prescrive nel caso de quo una selezione con gara «a  doppio  oggetto»
del socio privato. 
    La sentenza n. 199/  2012  della  Corte  costituzionale,  che  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4  del  d.l.  n.
138 del 2011, convertito con modificazioni dalla  legge  n.  148  del
2011, recante disposizioni per l'«Adeguamento  della  disciplina  dei
servizi pubblici locali  al  referendum  popolare  e  alla  normativa
dell'Unione    europea»,    determina    l'applicazione     immediata
nell'ordinamento nazionale della normativa comunitaria  sulle  regole
concorrenziali minime in  tema  di  gara  ad  evidenza  pubblica  per
l'affidamento  della  gestione  di  servizi  pubblici  di   rilevanza
economica  (indubbiamente  ricompresi  nei  «Servizi   di   interesse
generale» di cui all'art. 6 della legge in esame). 
    La  Corte  di  Giustizia  dell'Unione  europea  ha  rilevato  che
l'affidamento diretto di un servizio (dunque senza gara  di  evidenza
pubblica volta all'attuazione dei  principi  di  libera  concorrenza)
puo' avvenire in favore  delle  societa'  in  house,  che  sono  solo
quelle: a) il cui capitale e' interamente pubblico;  b)  sulle  quali
l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale pubblico  esercitino
un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;  c)  che
realizzano la parte piu' importante della loro attivita' con l'ente o
con gli enti pubblici che le controllano. 
    Il requisito della  «totale  partecipazione  pubblica»,  definito
dalla giurisprudenza comunitaria piu' recente, si giustifica  con  la
circostanza che non puo' essere considerato un organismo appartenente
all'organizzazione della pubblica amministrazione una societa' al cui
capitale  partecipino  soci  privati.  L'affidamento  diretto  di  un
pubblico servizio a una societa' in house  puo',  invero,  ammettersi
solo se non  vi  sia  il  coinvolgimento  degli  operatori  economici
(ancorche' in modesta percentuale) nell'esercizio del servizio, posto
che, diversamente, dovrebbero trovare applicazione  le  regole  della
concorrenza previste dal diritto comunitario e da quello  interno  da
esso derivato. 
    Come ha stabilito la stessa Corte di giustizia con la sentenza 11
gennaio 2005, in C  26/03,  Stadt  Halle,  la  partecipazione,  anche
minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una  societa'  alla
quale partecipa anche l'amministrazione  aggiudicatrice,  esclude  in
ogni caso che  tale  amministrazione  possa  esercitare  sulla  detta
societa' un controllo analogo a quello che essa esercita  sui  propri
servizi: l'influenza, per quanto penetrante, non corrisponderebbe mai
a quella  esistente  nell'ambito  dei  rapporti  interorganici  della
stessa amministrazione. 
    Anche alla luce dell'interpretazione meno rigorosa dei richiamati
principi comunitari adottata dal Consiglio di  Stato  deve  ritenersi
pertanto che perche' l'affidamento diretto possa dirsi  legittimo  in
chiave comunitaria devono sussistere i  seguenti  requisiti:  a)  che
esista un'apposita  norma  speciale  che  consenta  il  ricorso  alla
societa' mista; b) che con la gara indetta per la  scelta  del  socio
privato sia realizzato anche l'affidamento  dell'attivita'  operativa
della societa' al privato; c) che siano adeguatamente  delimitate  le
finalita' della societa' mista cui affidare il servizio  senza  gara;
d) che sia motivato in modo approfondito il perche' di questa  scelta
organizzativa; e) che sia stabilito un limite  temporale  ragionevole
alla durata del rapporto sociale al quale si accompagni la previsione
espressa della «scadenza del periodo di affidamento», evitando  cosi'
che  il  socio  divenga   socio   stabile   della   societa'   mista,
possibilmente prevedendo che sia dagli atti di gara per la  selezione
del socio privato siano chiarite le modalita' per l'uscita del  socio
stesso (con liquidazione della sua posizione), per  il  caso  in  cui
all'esito della successiva gara egli risulti non piu' aggiudicatario.
Pertanto, l'affidamento diretto costituisce  sempre  un'eccezione  di
stretta interpretazione al sistema delle gare. 
    Ne consegue che l'articolo 6, comma 1, della legge  regionale  in
esame presenta profili di illegittimita' comunitaria nella  parte  in
cui esclude il ricorso a procedure competitive di  evidenza  pubblica
(«Gli enti locali affidano lo svolgimento dei  servizi  di  interesse
generale  [...]  mediante  procedure  di  evidenza  pubblica  o,   in
alternativa») per l'affidamento di servizi di interesse generale  non
solo  a  societa'  «a  totale   partecipazione   pubblica»   (nozione
quest'ultima da interpretare secondo la definizione  di  societa'  in
house vigente nel diritto dell'Unione europea) ma anche a «societa' a
partecipazione mista pubblica privata» in contrasto con l'ordinamento
comunitario che prescrive nel caso de quo una selezione con  gara  «a
doppio oggetto» del socio privato. 
    L'articolo 8, comma 2, della legge in esame  inserisce  il  comma
7-bis all'art. 6 della 1. r. n. 3 del 2009. 
    Quest'ultimo  disciplina  la   possibile   localizzazione   degli
impianti eolici «on shore» stabilendo che: «La realizzazione di nuovi
impianti eolici o di ampliamenti di impianti esistenti e' consentita,
oltre la fascia dei  300  metri,  anche  negli  ambiti  di  paesaggio
costieri, purche' non ricadenti in beni paesaggistici e ricompresi: 
        all'interno degli agglomerati  industriali  .........e  delle
aree  industriali  e  ZIIR  ....  nonche'  all'interno   delle   aree
circoscritte da una fascia di pertinenza pari a 4  km  dal  perimetro
degli stessi; 
        nelle aree relative a tutti  i  piani  per  gli  insediamenti
produttivi (PIP) del territorio regionale; 
        nelle aree PIP .....e la relativa fascia di pertinenza.....; 
        all'interno   delle   aziende    agricole,    su    strutture
appositamente realizzate, nelle aree immediatamente  prospicienti  le
strutture al servizio delle attivita' produttive,  e  aventi  potenza
fino a 200 KW.......». 
    A tal proposito, si evidenzia che in base all'art. 12 del  d.lgs.
n. 387 del 2003 nonche'  al  paragrafo  17  dell'allegato  III  delle
«Linee guida per l' autorizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili» di cui al D.M. 10  settembre  2010,  e  come  confermato
dalla   recente    giurisprudenza    costituzionale    (cfr.    Corte
Costituzionale, sentenza n. 224 dell'11  ottobre  2012),  le  regioni
possono procedere alla indicazione di aree e  siti  non  idonei  alla
installazione di specifiche tipologie di  impianti,  ma  non  possono
provvedere autonomamente  alla  individuazione  dei  criteri  per  il
corretto inserimento degli impianti alimentati da fonti  rinnovabili,
funzione  quest'ultima  che  spetta  unicamente  alle   Linee   guida
nazionali. 
    La disposizione,  cosi'  costruita,  induce  a  ritenere  che  la
Regione  Sardegna,  invece  di   indicare   i   siti   «non   idonei»
all'installazione d'impianti eolici, cosi' come viene prescritto  dal
comma 10, dell'articolo 12, del decreto legislativo  n.  387/2003,  e
poi disciplinato al paragrafo 17 e dall'Allegato 3 delle citate Linee
guida nazionali, avrebbe indicato, su tutto il  territorio  regionale
(anche quello costiero  oltre  la  fascia  dei  300  metri),  i  siti
«idonei» alla installazione degli impianti. 
    La disposizione in esame pertanto contiene  previsioni  contrarie
ai principi  stabiliti  dalle  leggi  dello  Stato  ed  eccede  dalla
competenza   statutaria   concorrente    della    regione    prevista
dall'articolo 4, lett. e) dello Statuto di autonomia. 
    Quest'ultima disposizione,  alla  lettera  e),  attribuisce  alla
Regione Sardegna la potesta' legislativa concorrente  in  materia  di
«produzione e distribuzione dell'energia elettrica»,  prevedendo  che
la Regione possa emanare norme legislative nei limiti del  precedente
articolo 3 («in armonia con la Costituzione, con i  principi  fissati
dall'ordinamento giuridico della  Repubblica  e  col  rispetto  degli
obblighi internazionali nonche' delle norme fondamentali  di  riforma
economico-sociale») e nei limiti dei principi stabiliti  dalle  leggi
dello Stato. 
    Pertanto,  la  previsione  regionale   e'   illegittima   poiche'
contraria a quanto previsto dall'articolo 12, comma  10,  del  citato
decreto legislativo n. 387/2003, il quale stabilisce che le  Regioni,
in attuazione delle linee guida per l'autorizzazione  degli  impianti
alimentati da fonti  rinnovabili  (DM  10  settembre  2010),  possano
procedere  alla  indicazione  di  aree  e  siti   non   idonei   alla
installazione di specifiche tipologie di  impianti,  ma  non  possono
provvedere autonomamente  alla  individuazione  dei  criteri  per  il
corretto inserimento degli impianti alimentati da fonti  rinnovabili,
funzione  quest'ultima  che  spetta  unicamente  alle   Linee   guida
nazionali. In effetti sono  proprio  le  Linee  Guida  a  indicare  i
criteri per l'individuazione di aree non idonee (all. III,  paragrafo
17). Infatti il DM 10 settembre 2010 chiarisce anche la ratio sottesa
a tale individuazione stabilendo che l'individuazione  delle  aree  e
dei siti non idonei mira non gia' a rallentare la realizzazione degli
impianti, bensi' ad offrire agli operatori un quadro certo  e  chiaro
di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti. 
    Al  riguardo,   si   segnala   che   la   questione   concernente
l'indicazione  da  parte  della  Regione  Sardegna  delle  aree   non
destinabili all'installazione di impianti eolici, peraltro, e'  stata
gia' oggetto di pronuncia della Corte  costituzionale,  la  quale  ha
dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 18 della  l.r.  n.  2/2007
(energia rinnovabile - eolico) di contenuto sovrapponibile  a  quello
oggi in commento (sent. Corte cost. 11 ottobre 2012 n. 224). 
    Con tale sentenza la Corte ha affermato che l'art. 12, comma  10,
del d.lgs. n.  387  del  2003  contiene  un  principio  fondamentale.
«Poiche' la disciplina relativa alla localizzazione degli impianti di
produzione di energia da fonti rinnovabili  ricade  negli  ambiti  di
diverse competenze legislative, nazionali e regionali,  questa  Corte
ha ulteriormente precisato che «l'armonizzazione profilata  nell'art.
12 del d.lgs. n. 387 del 2003, tra competenze  statali,  regionali  e
provinciali costituisce una modalita' di equilibrio rispettosa  delle
competenze di tutti gli enti coinvolti nella programmazione  e  nella
realizzazione  delle  fonti  energetiche   rinnovabili».   Cio'   sul
presupposto che,  pur  rivolgendosi  il  d.lgs.  n.  387,  nella  sua
interezza, soltanto alle Regioni ordinarie - in base  alla  «clausola
di salvezza»  contenuta  nell'art.  19  del  medesimo  decreto  -  la
competenza legislativa delle  Regioni  a  statuto  speciale  e  delle
Province autonome «deve tuttavia coesistere con la competenza statale
in materia di  tutela  dell'ambiente  e  con  quella  concorrente  in
materia di energia»  (sentenza  n.  275  del  2011).»  ....«La  norma
statale infatti stabilisce che «le  regioni  possono  procedere  alla
indicazione di aree e siti non idonei alla istallazione di specifiche
tipologie di impianti». La  competenza  primaria  attribuita  ad  una
Regione speciale o ad una Provincia autonoma in materia di tutela del
paesaggio rende inapplicabili alle  suddette  autonomie  speciali  le
linee  guida  nella  loro  interezza,  ma  non  esonera  le  medesime
dall'osservanza delle disposizioni  a  carattere  generale  contenute
nelle linee guida. In ogni caso, non sono ammissibili  nei  confronti
delle autonomie speciali «vincoli puntuali e concreti»  (sentenza  n.
275 del 2011). Che le linee guida siano, con i limiti ora  precisati,
applicabili anche alle Regioni a statuto speciale lo ha stabilito  la
sentenza  n.  168  del  2010,  che  ha  dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale di una  disposizione  di  legge  della  Regione  Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, perche'  emanata  prima  dell'adozione  delle
stesse. La ratio ispiratrice  del  criterio  residuale  d'indicazione
delle aree non destinabili alla installazione di impianti eolici deve
essere individuata nel principio di massima diffusione delle fonti di
energia rinnovabili, derivante dalla normativa europea richiamata  al
paragrafo  4.1.  Quest'ultimo   trova   attuazione   nella   generale
utilizzabilita'  di  tutti  i  terreni  per  l'inserimento  di   tali
impianti, con le eccezioni, stabilite dalle  Regioni,  ispirate  alla
tutela di altri  interessi  costituzionalmente  protetti  nell'ambito
delle materie di competenza delle Regioni stesse. 
    Ove la scelta debba  essere  operata  da  Regioni  speciali,  che
possiedono una competenza legislativa  primaria  in  alcune  materie,
nell'ambito delle quali si possono ipotizzare particolari limitazioni
alla diffusione dei suddetti impianti, l'ampiezza e la portata  delle
esclusioni deve essere valutata non alla stregua dei criteri generali
validi per tutte le Regioni, ma in  considerazione  dell'esigenza  di
dare idonea tutela agli interessi sottesi alla competenza legislativa
statutariamente attribuita. 
    Nel caso oggetto del presente giudizio, bene  avrebbe  potuto  la
Regione Sardegna individuare le aree non  idonee  all'inserimento  di
impianti eolici con riferimento  specifico  alla  propria  competenza
primaria in materia paesistica, differenziandosi cosi' dalle  Regioni
cui tale competenza non e' attribuita.  Non  appartiene  invece  alla
competenza legislativa della stessa  Regione  la  modifica,  anzi  il
rovesciamento, del principio generale contenuto nell'art.  12,  comma
10, del d.lgs. n. 387 del 2003. Con tale inversione del  criterio  di
scelta, la Regione Sardegna ha superato i  limiti  della  tutela  del
paesaggio, per approdare ad una rilevante incisione di  un  principio
fondamentale in materia di «energia», afferente  alla  localizzazione
degli impianti, la cui formulazione, ai sensi  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost., spetta in via esclusiva allo Stato, come  ripetutamente
affermato dalla sopra citata giurisprudenza di questa Corte.». 
    L'articolo 13 della legge in esame dispone, al primo periodo, che
«sono recepite le disposizioni di cui agli articoli da  9  a  16  del
decreto legislativo 28 giugno 2012, n.  106  (Riorganizzazione  degli
enti vigilati dal Ministero della salute,  a  norma  dell'articolo  2
della legge 4 novembre 2010, n. 183)». 
    Occorre preliminarmente evidenziare come  tale  norma  regionale,
che intende disporre il recepimento degli articoli  da  9  a  16  del
richiamato d.lgs. n. 106/2012 (i quali disciplinano il riordino degli
Istituti  zooprofilattici   sperimentali),   appaia,   per   la   sua
genericita',  del  tutto  inadeguata  e  priva  di  effettivo  valore
giuridico. 
    Infatti, l'articolo 10 del citato decreto legislativo impone alle
regioni di adottare, con disciplina  specifica  e  di  dettaglio,  le
modalita'  gestionali,  organizzative  e   di   funzionamento   degli
Istituti, nonche' l'esercizio delle  funzioni  di  sorveglianza  e  i
criteri di valutazione  dei  costi,  dei  rendimenti  e  di  verifica
dell'utilizzazione delle risorse. La medesima  disposizione  statale,
inoltre,  detta  i  principi  cui  le   regioni   debbono   attenersi
nell'emanare le norme di dettaglio, richiamando, in parte, i principi
di cui al d.lgs. n. 502/1992 e,  in  parte,  dettandone  di  nuovi  e
specifici, come di seguito riportati: 
        «a) semplificazione e snellimento dell'organizzazione e della
struttura  amministrativa,  adeguandole  ai  principi  di  efficacia,
efficienza ed economicita' dell'attivita' amministrativa; 
        b) razionalizzazione ed  ottimizzazione  delle  spese  e  dei
costi di funzionamento, previa riorganizzazione dei  relativi  centri
di spesa e mediante adeguamento dell'organizzazione e della struttura
amministrativa degli Istituti attraverso: 
          1)   la   riorganizzazione   degli   uffici   dirigenziali,
procedendo alla loro riduzione in misura pari o  inferiore  a  quelli
determinati in applicazione dell'articolo 1, comma 404,  della  legge
27  dicembre  2006,  n.  296  e  dell'articolo  1,   comma   3,   del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 14 settembre 2011,  n.  148,  nonche'  alla  eliminazione
delle duplicazioni organizzative esistenti; 
          2) la gestione unitaria del personale e dei servizi  comuni
anche mediante strumenti di innovazione amministrativa e tecnologica; 
          3) la riorganizzazione degli uffici con funzioni  ispettive
e di controllo; 
          4) la riduzione degli organismi di  analisi,  consulenza  e
studio di elevata specializzazione; 
          5) la razionalizzazione delle dotazioni organiche  in  modo
da assicurare che il personale utilizzato per funzioni relative  alla
gestione delle risorse umane,  ai  sistemi  informativi,  ai  servizi
manutentivi e  logistici,  agli  affari  generali,  provveditorati  e
contabilita' non ecceda comunque il 15 per cento delle risorse  umane
complessivamente utilizzate». 
    Alla luce della normativa statale richiamata, non  puo',  quindi,
ritenersi accettabile la norma di cui  all'articolo  13  della  legge
regionale in esame,  la  quale  si  limita  a  disporre  il  generico
recepimento della legge statale, senza in realta'  dettare  una  vera
disciplina attuativa dei  profili  indicati  dalla  medesima,  attesa
anche la mancata adozione, da parte della  regione,  delle  norme  di
dettaglio disciplinanti l'organizzazione  e  il  funzionamento  degli
organi istituzionali dell'ente, come previsto  dallo  stesso  decreto
legislativo n. 106/2012. 
    Occorre rilevare come il mero e  generico  recepimento  di  norme
statali che, in realta', abbisognano di norme regionali attuative, e'
suscettibile di determinare una situazione di incertezza giuridica  e
di possibile paralisi degli organi e del funzionamento degli istituti
zooprofilattici sperimentali, con possibile pregiudizio per la tutela
della salute. 
    Tale considerazione e', peraltro, rafforzata  dal  fatto  che  il
secondo periodo dell'articolo  13  della  legge  regionale  in  esame
prevede che «sono abrogate  le  disposizioni  contrastanti  contenute
nella legge regionale 4 agosto 2008, n.  12  (Riordino  dell'Istituto
zooprofilattico sperimentale della Sardegna «Giuseppe  Pegreffi»,  ai
sensi del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270,  e  abrogazione
della legge regionale 22 gennaio 1986, n. 15)». 
    Tale disposizione, che fa decorrere  l'effetto  abrogativo  della
precedente  legge  regionale  n.   12/2008   (recante   il   riordino
dell'Istituto   zooprofilattico   sperimentale    della    Sardegna),
dall'entrata in vigore  della  legge  ora  in  esame,  contrasta  con
l'articolo 16 del piu' volte citato d.lgs. n. 106/2012, che invece fa
decorrere l'abrogazione del d.lgs. n. 270/1993 (decreto che  reca  la
disciplina degli IZS precedente a  quella  di  riordino  dettata  dal
medesimo d.lgs. n. 106/2012), dall'entrata in vigore dello statuto  e
dei regolamenti degli istituti zooprofilattici sperimentali  (statuto
e regolamenti che devono essere emanati, peraltro, nel rispetto delle
leggi regionali chiamate a dare attuazione al citato articolo 10  del
d.lgs. n. 106/2012). 
    Il comma 2 dello stesso articolo 16, poi,  dispone  espressamente
che «fino alla  data  di  entrata  in  vigore  dello  statuto  e  dei
regolamenti di cui all'articolo 12, rimangono in  vigore  le  attuali
norme sul funzionamento  e  sull'organizzazione  degli  Istituti  nei
limiti della loro compatibilita' con  le  disposizioni  del  presente
decreto legislativo». 
    La ratio della disposizione da ultimo citata,  evidentemente,  e'
quella di garantire la continuita' del funzionamento  degli  istituti
in questione, nelle more dell'adozione  dei  provvedimenti  attuativi
delle norme di riordino di cui al d.lgs. n. 106/2012. 
    La legge regionale in  esame,  invece,  prevedendo  l'abrogazione
della  precedente   legge   regionale   sull'organizzazione   e   sul
funzionamento dell'IZS, a decorrere dalla  entrata  in  vigore  della
nuova legge (quindi da un momento antecedente all'adozione dei  nuovi
statuti  e  regolamenti  dell'IZS),  determina  un  vuoto   normativo
suscettibile, come detto, di paralizzare l'attivita' dell'IZS  stesso
o, comunque, di determinare una situazione di  pericolosa  incertezza
giuridica, tanto piu' che molte norme contenute negli articoli da 9 a
16 del d.lgs. n. 106/2012, di cui l'articolo 13 della legge regionale
in esame si limita a disporre il generico  recepimento,  non  possono
considerarsi,   per   i   motivi   prima   illustrati,   direttamente
applicabili,  necessitando,  invece,  di  successivi  atti  regionali
attuativi. 
    Per queste ragioni e' da ritenere che l'articolo 13  della  legge
regionale in esame contrasti con la disciplina di cui  al  d.lgs.  n.
106/2012, e in particolare  con  gli  articoli  10  e  16,  violando,
conseguentemente, l'articolo 117,  comma  3  della  Costituzione,  in
quanto contrastante con i principi  fondamentali  della  legislazione
statale in materia di «tutela della salute». 
    In ragione della  incertezza  giuridica  che  va  a  determinare,
nonche' del rischio di ostacolare la  continuita'  del  funzionamento
dell'IZS, l'articolo 13 della  legge  regionale  in  esame,  inoltre,
viola il principio di buon andamento della pubblica  amministrazione,
di cui all'articolo 97 Cost. 
    L'art. 18 («Proroga di titoli minerari e di permessi  di  cava»),
prevede che: 
        «1.  I  titoli  minerari  di  autorizzazione   di   indagine,
concessione, permesso di ricerca di minerali  di  I  categoria  e  le
autorizzazioni e i permessi di cava, per i quali sia stata presentata
da parte degli esercenti, prima della scadenza del titolo  minerario,
l'istanza tesa alla proroga e/o al rinnovo del  titolo  medesimo,  il
cui procedimento non sia stato concluso da tutte  le  amministrazioni
aventi competenza concorrente per motivi indipendenti dagli  obblighi
attribuiti agli istanti, sono automaticamente prorogati  sino  al  30
giugno 2013. 
    2. La proroga e' ammessa esclusivamente per la  prosecuzione  dei
lavori precedentemente autorizzati  e  non  ancora  conclusi,  previa
verifica di  validita'  delle  polizze  di  fideiussione  a  garanzia
dell'esecuzione  dei  lavori  di  messa  in  sicurezza  e  ripristino
ambientale, nel rispetto delle norme vigenti in materia di  attivita'
estrattive.». 
    Con le citate disposizioni, la legge regionale in esame  consente
che le autorizzazioni gia' scadute o in  scadenza  vengano  di  fatto
rinnovate «di diritto», senza alcuna condizione, verifica o procedura
di natura ambientale. 
    La normativa statale vigente ammette un simile rinnovo  solo  per
quei progetti che siano gia' stati sottoposti alla procedura di VIA o
alla procedura di verifica  di  assoggettabilita'  a  VIA  entro  gli
ultimi cinque anni, (termine stabilito a pena di decadenza  dall'art.
26, comma 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152,  recante
norme in materia ambientale) mentre lo esclude per quei progetti  che
in precedenza non siano mai stati sottoposti a procedure di VIA o  di
verifica di assoggettabilita' a VIA. 
    La normativa regionale, pertanto, sottraendo tali progetti  dalle
procedure di VIA, viola le disposizioni degli articoli da 20 a  28  e
degli Allegati III, lettere b), s) ed u) e IV, punti 2, lettere b) ed
h), 7, lettera o) ed 8, lettera i), dello stesso d.lgs. n. 152/06. 
    Infatti,  poiche'  la  durata  di  ogni  singola   autorizzazione
costituisce  una  delle  condizioni  fondamentali  del  provvedimento
autorizzativo,   alla   sua   scadenza   e'   diritto-dovere    della
amministrazione  titolare  del  potere  concessorio  verificare   sia
l'eventuale mutamento delle condizioni territoriali ed ambientali sia
gli aggiornamenti intervenuti sul quadro  normativo  di  riferimento,
prima di potere assumere una  qualsiasi  decisione  liberatoria,  sia
pure in termini prescrittivi o, in alternativa, interdittiva. 
    E' indubbio che il limite  temporale  di  una  autorizzazione  ne
costituisce il nucleo e la natura fondamentale,  sicche'  modificare,
ovvero  prorogare  il  termine  di  una  autorizzazione,  o  comunque
rinnovare la stessa  autorizzazione  definendone  un  nuovo  termine,
costituisce   una   evidente   modifica   della   «sostanza»    della
autorizzazione medesima,  che,  per  la  direttiva  VIA,  secondo  la
giurisprudenza  della  Corte  di  Giustizia  Europea,   deve   essere
considerata come una vera e propria nuova  autorizzazione  ed  essere
pertanto sottoposta conseguentemente alle procedure in materia di VIA
stabilite dalla direttiva medesima (cfr. Corte di Giustizia  Europea,
causa C-201/02, sentenza 7 gennaio 2004  (c.d.  Delena-Wells),  punti
44-47). 
    Pertanto, la procedura di rinnovo automatico di  cui  alla  legge
regionale in esame determina una evidente e rilevante modifica  delle
previgenti autorizzazioni, e come tale deve  essere  sottoposta  alle
procedure  in   materia   di   VIA   (VIA   propriamente   detta   o,
rispettivamente, verifica di assoggettabilita' a VIA) stabilite dalla
direttiva 85/337/CEE, Allegato I, punto 22, ed Allegato II, punto 13,
primo trattino (ora direttiva 2011/92/UE -  testo  di  codificazione,
Allegato I, punto 24, ed Allegato II, punto 13.a). 
    Al riguardo si ricorda che, nel rispetto  di  tali  principi,  si
sono espressi sia il Consiglio di  Stato  (Sezione  IV,  Sentenza  31
agosto 2004, n. 5715) sia la stessa  Corte  costituzionale  (sentenza
n.1 dell'11 gennaio 2010 e sentenza n.  67  del  22  febbraio  2010),
affermando che e'  ammissibile  sottrarre  alla  procedura  VIA  quei
rinnovi di autorizzazione per progetti estrattivi  autorizzati  sulla
base di una  previa  valutazione  di  impatto  ambientale  o  di  una
verifica di assoggettabilita' a VIA  (tenendo  comunque  presente  il
termine di decadenza quinquennale stabilito dall'art. 26, comma 6 del
d.lgs. n. 152/2006), mentre cio' non puo' valere  per  il  rinnovo  o
proroga di quelle autorizzazioni di progetti  la  cui  compatibilita'
ambientale  non  sia  stata  previamente   accertata   in   sede   di
autorizzazione. 
    Pertanto, in tali casi, e' necessario individuare il  momento  in
cui, entrata in vigore la disciplina in materia di VIA concernente le
attivita' relative ai «titoli minerari di autorizzazione di indagine,
concessione, permesso di ricerca di minerali  di  I  categoria  e  le
autorizzazioni e i permessi di cava» di cui al comma 1  dell'art.  18
della legge regionale in esame, si  debba  procedere  per  una  prima
volta all'assoggettamento alla VIA dell'attivita' medesima. 
    In conclusione, la normativa regionale in oggetto deve  prevedere
che quella verifica ovvero valutazione dell'impatto  ambientale,  non
effettuata in sede di prima autorizzazione,  debba  obbligatoriamente
precedere  il   rinnovo   della   prima   autorizzazione   successiva
all'entrata in vigore della normativa VIA. 
    Per le  considerazioni  sopra  esposte,  la  norma  eccede  dalla
competenza statutaria di cui all'art. 4, lettera a) dello statuto  in
materia di  «industria,  commercio  ed  esercizio  industriale  delle
miniere, cave e saline», ponendosi in contrasto con  l'articolo  117,
comma  2,  lett.  s)  che  attribuisce  allo  Stato  la  legislazione
esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e  dei
beni culturali». 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si  confida  che   codesta   ecc.ma   Corte   vorra'   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale degli articoli 6 comma 1, 8 comma  2,
13 e 18 della legge regionale della Sardegna n. 25  del  17  dicembre
2012, pubblicata sul  Bollettino  ufficiale  della  Regione  Autonoma
della Sardegna n. 55  del  20  dicembre  2012  recante  «Disposizioni
urgenti in materia di enti locali e settori diversi». 
        Roma, 15 febbraio 2013 
 
                   L'Avvocato dello Stato: Tortora 
 

 

Menu

Contenuti