N. 26 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 marzo 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 7 marzo 2003 (della Regione Veneto)
(GU n. 17 del 30-4-2003)

Ricorso della Regione Veneto, in persona del Presidente pro
tempore della giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione
della giunta stessa 14 febbraio 2003, n. 331, rappresentata e difesa,
come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv.
prof. Mario Bertolissi di Padova, Romano Morra di Venezia e Luigi
Manzi di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, via F.
Confalonieri n. 5;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e'
domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, per la
declaratoria di illegittimita' costituzionale per violazione degli
artt. 2, 3, 5, 81, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.; degli artt. 2,
3, 5 19, 23, 24, 25, 34, 91 della legge 27 dicembre 2002, n. 289,
recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)».

Fatto e diritto

1. - Prima di prospettare nel modo piu' semplice e chiaro
possibile, senza inutili complicazioni, i profili di illegittimita'
costituzionale degli artt. 2, 3, 5, 19, 23, 24, 25, 34 e 91 della
legge 27 dicembre 2002, n. 289, meglio nota come «Finanziaria 2003»,
la difesa della Regione del Veneto ritiene opportuno svolgere alcune
brevi riflessioni introduttive.
L'attuale formulazione delle disposizioni contenute nel titolo V
della nostra Carta costituzionale e' il frutto di due interventi di
riforma posti in essere negli ultimi anni, tra i quali il piu'
organico e significativo e' stato realizzato con la legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, volti - non lo si puo'
seriamente negare, e da nessuno e' mai stato negato - ad ampliare
l'ambito dell'autonomia regionale e delle comunita' locali,
modificando il sistema di distribuzione delle competenze e delle
funzioni legislative, amministrative e finanziarie tra i diversi enti
che compongono la Repubblica italiana.
Tutto questo si e' realizzato nel rispetto del procedimento di
revisione costituzionale di cui all'art. 138 Cost. e, quindi, e' il
frutto della volonta' sovrana del Parlamento e degli elettori
chiamati a pronunciarsi attraverso il referendum previsto dalla
disposizione ora richiamata.
Il Parlamento nell'approvazione del nuovo testo del titolo V -
come e' ovvio - ha dovuto valutare le implicazioni derivanti da una
nuova distribuzione dei poteri sul territorio e dal riconoscimento di
una maggiore autonomia, anche finanziaria, delle regioni: il che
implica l'adesione a nuovi valori costituzionali o, comunque, una
diversa graduazione dei valori esistenti.
Del resto, va sempre ricordato come, in uno Stato democratico di
diritto, all'attribuzione di funzioni si accompagna l'attribuzione
delle corrispondenti responsabilita' e quando, per qualsiasi motivo,
c'e' una scissione tra esercizio delle funzioni e responsabilita', la
democraticita' dello Stato rischia di venire meno.
Non si possono, quindi, attribuire nuovi poteri e nuove
competenze alle regioni pretendendo, nel contempo, di incidere
unilateralmente sulle loro risorse, privandole di fatto di ogni
potere di decisione, ma lasciandole agli occhi dei cittadini
responsabili dell'esercizio delle funzioni loro attribuite.
Per garantire l'esercizio delle funzioni costituzionalmente
previste con l'assunzione delle relative responsabilita' in capo,
rispettivamente, allo Stato, alle regioni e agli enti locali, il
legislatore costituzionale ha riscritto l'art. 119 Cost. e ha
inserito, tra le materie di legislazione concorrente,
l'«armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario»: ecco perche' leggere il titolo V
della Costituzione, ignorando o dimenticando le disposizioni ora
ricordate, significa alterare la nostra stessa forma di Stato.
Una breve analisi della disposizione costituzionale citata
spieghera' forse meglio quanto ora affermato.
E' appena il caso di ricordare, infatti, che l'art. 119, nel suo
secondo comma, prevede che «i comuni, le province, le citta'
metropolitane e le regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e
applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e
secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di
tributi erariali riferibile al loro territorio»; e vale la pena di
ricordare, altresi', che tale disposto e' significativamente
preceduto dalla dichiarazione di cui al primo comma, secondo la quale
«i comuni, le province, le citta' metropolitane e le regioni hanno
autonomia finanziaria di entrata e di spesa».
La lettera della disposizione, che riecheggia il testo
dell'art. 114 Cost. - ritenuto pietra angolare del nuovo sistema di
identificazione degli elementi costitutivi della Repubblica (in
questo senso, tra gli altri, si vedano: F. Gallo, Le risorse per
l'esercizio delle funzioni amministrative e l'attuazione del nuovo
art. 119, in AA.VV., Il sistema amministrativo dopo la riforma del
Titolo V della Costituzione, a cura di G. Berti e G.C. De Martin,
Roma, 2002, 142 s., e i contributi di F. Teresi, S. Gambino, F.
Pizzetti, A. Ruggeri, sul tema de Il sistema normativo nella
Repubblica delle autonomie, in AA.VV., La funzione normativa di
Comuni, Province e Citta' nel nuovo sistema costituzionale, a cura di
A. Piraino, Palermo, 2002, 43 s.), potrebbe far pensare ad una piena
equiparazione delle regioni agli altri enti locali sotto il profilo
della sua autonomia finanziaria. Una tale conclusione sarebbe
peraltro del tutto affrettata per la semplice, ma decisiva, ragione
che solo le regioni, oltre lo Stato ovviamente, sono titolari di
potesta' legislativa.
L' art. 119, comma 2, la' dove dispone espressamente che gli enti
locali e le regioni «stabiliscono e applicano» i tributi propri
«secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario», opera un richiamo implicito all'art. 117, comma
3, che, come gia' ricordato, ricomprende il coordinamento tra le
materie di legislazione concorrente. Quest'ultima disposizione
prevede che in tali materie «spetta alle regioni la potesta'
legislativa, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legge dello Stato».
E' sempre l'art. 119 della Costituzione a stabilire un immediato
collegamento tra funzioni e risorse, prevedendo, al suo quarto comma,
che «le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti
consentono ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e alle
regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro
attribuite».
In tal modo viene esplicato un concetto fondamentale: cioe' che
l'autonomia finanziaria e' l'elemento fondamentale di garanzia nei
confronti delle altre autonomie sancite dagli artt. 114, 117 e 118
Cost.
Questo complesso sistema delle autonomie che stabilisce valori,
compiti, poteri e responsabilita' non puo' essere travolto dallo
Stato invocando la necessita' di realizzare gli obiettivi di finanza
pubblica.
Nel compiere la scelta politica di dettare un nuovo titolo V
della Costituzione, nell'ambito del quale la posizione di Stato,
regioni ed enti locali, tutti componenti essenziali della Repubblica,
viene concepita in modo diverso rispetto al passato assetto
istituzionale, il Parlamento doveva aver ben presenti le esigenze di
contenimento della spesa pubblica e il rispetto degli obblighi di
bilancio che discendono dall'appartenenza dell'Italia all'Unione
europea e, in particolare, alla sua adesione all'unione monetaria,
oltre che dall'art. 81 della nostra Carta fondamentale.
Questi stessi obiettivi devono, quindi, essere raggiunti nel
rispetto della Costituzione e dei valori in essa stabiliti e non
possono in alcun modo costituire motivo per giustificare una
compressione degli spazi di autonomia in questa riconosciuti.
Per altro va detto che il cronico determinarsi di disavanzi
«eccessivi» nei bilanci di tutti gli enti pubblici e' un fenomeno
manifestatosi in passato in Italia, in modo ancor piu' significativo
rispetto ad oggi, all'interno di un sistema contabile e finanziario
del tutto accentrato.
Non si tratta pero' qui di stabilire quale sia il modello di
Stato piu' idoneo a garantire il contenimento della spesa pubblica,
per la semplice, ma ancor decisiva, ragione che questa scelta e' gia'
stata compiuta dalla nostra Costituzione.
Non e', dunque, ammissibile che il legislatore ordinario ponga in
essere degli atti normativi come se la distribuzione dei poteri tra
Stato, regioni ed enti locali fosse rimasta immutata, sulla base di
valutazioni che attengono a profili politico-istituzionali gia'
frutto di una sovrana manifestazione di volonta' espressa attraverso
il procedimento di riforma costituzionale; ne' sono ammissibili
letture delle disposizioni della Carta fondamentale che si
allontanino a tal punto dalla lettera del testo e dal rispetto dai
valori sanciti dalla nostra Costituzione da stravolgere il disegno
del sistema delle autonomie, tracciato con la legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3.
La Regione del Veneto intende, invece, illustrare come la legge
«finanziaria per il 2003», con gli artt. 2, 3, 5, 19, 23, 24, 25, 34
e 91, qui impugnati, ignori la riforma del titolo V della
Costituzione e ritiene che tali disposizioni debbano, di conseguenza,
essere dichiarate incostituzionali da codesto ecc.mo Collegio.
2. - Con l'art. 2 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 si e' dato
avvio al programma di riforma fiscale partendo dalle modifiche della
disciplina relativa all'imposta sul reddito delle persone fisiche.
Il principio sul quale si fonda la riforma dell'IRPEF e' quello
della cosiddetta «no tax area» - introdotto attraverso l'inserimento
dell'art. 10-bis nel testo unico delle disposizioni sull'imposta sul
reddito delle persone fisiche, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 - in forza del quale e' prevista
una quota di deduzione dal reddito imponibile, che dovrebbe
comportare un risparmio di imposta.
A seguito della previsione della «no tax area» sono state poi
rimodulate tutte quelle disposizioni che disciplinano l'attribuzione
delle detrazioni di imposta con una logica che non si discosta di
molto dall'applicazione del nuovo principio.
Il comma 4 dell'art. 2 della finanziaria affronta il problema dei
possibili effetti del nuovo sistema sulle addizionali IRPEF,
stabilendo che «la deduzione di cui all'art. 10-bis del testo unico
delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, introdotto dal comma 1 del
presente articolo, non rileva ai fini della determinazione della base
imponibile delle addizionali all'imposta sul reddito delle persone
fisiche, fermo restando, comunque, quanto previsto dall'art. 50,
comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n. 446, e dall'articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 28
settembre 1998, n. 360».
Ora l'art. 50, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. 15 dicembre
1997, n. 446 e l'art. 1, comma 4, del d.lgs. 28 settembre 1998,
n. 360, fatti espressamente salvi dalla disposizione sopra riportata,
prevedono che l'addizionale, rispettivamente regionale e comunale, e'
dovuta se per lo stesso anno l'IRPEF, al netto delle detrazioni e dei
crediti riconosciuti rilevanti dal citato testo unico, e' dovuta.
In altre parole l'applicazione della «no tax area» non incide sul
calcolo delle addizionali IRPEF, a patto pero' che l'imposta sia
dovuta: quindi, quando, a seguito delle detrazioni previste dal nuovo
art. 10-bis, il contribuente non deve versare l'imposta sul reddito
delle persone fisiche non deve nemmeno versare l'addizionale
regionale e comunale.
L'art. 2 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, dunque, attraverso
la riforma dell'IRPEF, determina una diminuzione delle risorse a
disposizione delle regioni e nel fare questo non prevede alcuna forma
compensativa, cosi' ponendosi in contrasto con l'art. 119 della
Costituzione, in particolare con il comma 4 di detto articolo ove si
stabilisce che «le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi
precedenti consentono ... alle regioni di finanziare integralmente le
funzioni pubbliche loro attribuite».
3. - Un'ulteriore compressione dell'autonomia finanziaria
regionale discende dall'art. 3 della legge impugnata, il quale
stabilisce che, «in funzione dell'attuazione del Titolo V della parte
seconda della Costituzione e in attesa della legge quadro sul
federalismo fiscale», gli aumenti delle addizionali all'imposta sul
reddito delle persone fisiche per i comuni e le regioni, nonche' la
maggiorazione dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attivita'
produttive, deliberati successivamente al 29 settembre 2002 e che non
siano confermativi delle aliquote in vigore per l'anno 2002, sono
sospesi fino a quando non si raggiunga un accordo ai sensi del d.lgs.
28 agosto 1997, n. 281, in sede di Conferenza unificata tra Stato,
regioni ed enti locali sui meccanismi strutturali del federalismo
fiscale.
Prevedendo la sospensione delle addizionali fino a che non si
arrivi all'accordo sul cosiddetto federalismo fiscale, lo Stato
dimostra di considerare gli artt. 119 e 117, comma 3, in cui e'
prevista, tra le materie di legislazione concorrente,
l'«armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario», come disposizioni prive di
un'efficacia precettiva immediata, che attendono l'intervento del
legislatore (statale) per essere attuate.
Una tale interpretazione del dettato costituzionale, che lascia
all'iniziativa e, dunque, alla volonta' statale l'esercizio della
potesta' legislativa delle regioni, costrette ad attendere la
formulazione dei principi fondamentali in apposite leggi statali per
porre in essere la loro normativa di dettaglio, e' stata respinta
dalla stessa giurisprudenza costituzionale ancora nella vigenza del
precedente formulazione dell'art. 117 Cost. (cfr. sent. n. 39 del
1971 e 69 del 1983, con cui si e' negata l'illegittimita'
costituzionale della legge 16 maggio 1970, n. 281 che aveva sancito
la piena fungibilita' tra leggi cornice e principi desunti dalla
legislazione statale vigente).
Le affermazioni dell'ecc.ma Corte costituzionale su questo punto
sono chiarissime e, quindi, sperando di non annoiare il Collegio, che
ben conosce la sua giurisprudenza, si ritiene utile richiamare
brevemente solo quanto detto sul punto con riferimento al nuovo
titolo V della Costituzione.
Nella sentenza 26 giugno 2002, n. 282 si precisa, infatti, che
«la nuova formulazione dell'art. 117, terzo comma, rispetto a quella
previgente dell'art. 117, primo comma, esprime l'intento di una piu'
netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste
materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei
principi fondamentali della disciplina. Cio' non significa pero' che
i principi possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente
rivolte a tale scopo. Specie nella fase della transizione dal vecchio
al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione
regionale concorrente dovra' svolgersi nel rispetto dei principi
fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale gia'
esistente».
Ora dalla legislazione primaria vigente si possono rinvenire dei
principi di coordinamento della finanza pubblica in tema di potere di
utilizzo della leva fiscale delle regioni.
Quanto all'IRAP, si fa riferimento al dettato dell'art. 16 del
d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 che, nel disciplinare la
determinazione dell'imposta, prevede al terzo comma che, «a decorrere
dal terzo anno successivo a quello di emanazione del presente
decreto, le regioni hanno facolta' di variare l'aliquota di cui al
comma 1 fino ad un massimo di un punto percentuale. La variazione
puo' essere differenziata per settori di attivita' e per categorie di
soggetti passivi». L'art. 50 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446
sopra citato prevede l'istituzione dell'addizionale regionale
all'imposta sul reddito delle persone fisiche e dispone al terzo
comma che «l'aliquota di compartecipazione dell' addizionale
regionale di cui al comma 1 e' fissata allo 0,9 per cento. Ciascuna
regione, con proprio provvedimento, da pubblicare nella Gazzetta
Ufficiale non oltre il 30 novembre dell'anno precedente a quello cui
l'addizionale si riferisce, puo' maggiorare l'aliquota suddetta fino
all'1,4 per cento».
Va ancora ricordato che l'art. 4 del d.l. 15 aprile 2002, n. 63,
convertito con modificazioni dalla legge 15 giugno 2002, n. 112,
obbliga le regioni a ricorrere all'aumento dei tributi per la
copertura dei maggiori fabbisogni di spesa sanitaria. In tale norma
si dispone l'estensione agli anni 2002, 2003 e 2004 delle
disposizioni dell'art. 40 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, il
quale, a sua volta, lega le integrazioni del finanziamento della
spesa nel settore sanitario - previste nell'accordo tra Governo,
regioni e province autonome di Trento e Bolzano dell'8 agosto 2001 -
al rispetto, da parte di ogni singola regione, degli impegni indicati
ai punti 19, 2 e 15 dell'Accordo stesso. In particolare, l'art. 2 di
tale accordo dispone che le regioni applichino direttamente misure di
contenimento della spesa attraverso «l'introduzione di strumenti di
controllo della domanda, la riduzione della spesa sanitaria o in
altri settori, ovvero l'applicazione di un'addizionale regionale
all'IRPEF o altri strumenti fiscali previsti dalla normativa vigente,
nella misura necessaria a coprire l'incremento di spesa».
Non puo' essere seriamente messo in dubbio che il potere di
manovra fiscale sia coessenziale al riconoscimento dell'autonomia
finanziaria e sia, al contempo, il presupposto per l'esercizio delle
funzioni legislative e amministrative costituzionalmente
riconosciute, di cui la regione e' responsabile nei confronti dei
cittadini.
Una disposizione come quella dell'art. 3 della legge finanziaria,
che subordina al raggiungimento di un futuro accordo in sede di
Conferenza unificata tra Stato, regioni ed enti locali gli aumenti
delle addizionali, impedisce di ipotizzare una qualsiasi politica
regionale autonoma e, lungi da essere «in funzione dell'attuazione
del titolo V della parte seconda della Costituzione», come
solennemente esordisce l'articolo impugnato, determina un grave
arretramento rispetto al passato, in violazione degli artt. 114, 117,
comma3, 118 e 119 Cost.
4. - L'art. 5 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 prevede una
serie di riduzioni dell'IRAP sotto forma di deduzioni dalla base
imponibile, mentre l'art. 19 della stessa legge prevede proroghe di
agevolazioni per il settore agricolo con una riduzione dell'aliquota
IRAP con riferimento alla competenza 2002 (ed effetti di cassa nei
due anni successivi).
Senza voler entrare nella complessa problematica relativa alla
classificazione di un tributo come statale, regionale o locale, e'
indubbio che l'IRAP e' un'imposta ricadente nell'area del sistema
tributario regionale.
Non si comprende, dunque, come una disposizione di legge
ordinaria dello Stato, che stabilisce una riduzione del tributo senza
per altro prevedere alcuna forma compensativa per la finanza
regionale, possa essere conforme al testo e alla ratio degli
artt. 114, 117, comma 3, 118 e 119 Cost., nei termini piu' volte
delineati.
Gli artt. 5 e 19 della finanziaria si inseriscono, dunque, in un
quadro volto a ridurre le risorse delle regioni, cancellando
contemporaneamente ogni loro possibilita' di porre in essere una
qualsiasi decisione di spesa e sono, quindi, contrari a Costituzione.
5. - Il mancato rispetto della competenza regionale nell'ambito
della materia «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario», di cui al terzo
comma dell'art. 117 Cost., si riscontra anche nell'art. 23, comma 5,
della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
La disposizione impugnata stabilisce che «i provvedimenti di
riconoscimento di debito posti in essere dalle amministrazioni
pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001,
n. 165, sono trasmessi agli organi di controllo ed alla competente
procura della Corte dei conti»
La disciplina posta dal comma 5 dell'art. 23 della legge
finanziaria, come si puo' vedere, e' molto specifica e non lascia,
dunque, margini, alla potesta' legislativa della regione.
Gia' nella vigenza del precedente titolo V della Costituzione la
giurisprudenza costituzionale definiva i principi che si impongono
alla legislazione regionale concorrente come quei generali criteri
che informano la disciplina legislativa statale del settore (sent.
n. 49 del 1958 e n. 46 del 1968) e precisava che questi «devono
riguardare in ogni caso il modo di esercizio della potesta'
legislativa regionale e non comportare l'inclusione o l'esclusione di
singoli settori della materia nell'ambito di essa» (sent. n. 70 del
1981).
La disposizione impugnata non contiene, quindi, certamente
principi fondamentali, ma detta una norma di semplice dettaglio.
Peraltro la disposizione in discorso pone in capo alle pubbliche
amministrazioni un nuovo incombente - la trasmissione agli organi di
controllo e alla procura della Corte dei conti dei provvedimenti di
riconoscimento di debito - di cui non e' chiara la finalita'. Non si
dice, infatti, ne' quali siano le attivita' che l'organo di controllo
o la procura contabile possano porre in essere una volta presa
visione dell'atto ne' quali conseguenze derivino dal mancato invio.
Anche dell'art. 23 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, dunque,
deve essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale per violazione
degli artt. 97 e 117 della Costituzione.
6. - L'art. 24 della legge finanziaria al suo primo comma estende
a tutti i contratti di valore superiore a 50.000 euro i criteri di
gara previsti dal d.lgs. 24 luglio 1992, n. 358 e 17 marzo 1995,
n. 157. Il comma 5 del medesimo articolo stabilisce, inoltre, che
«anche nelle ipotesi in cui la vigente normativa consente la
trattativa privata, le pubbliche amministrazioni possono farvi
ricorso solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di
una documentata indagine di mercato, dandone comunicazione alla
sezione regionale della Corte dei conti». Nel comma 9 dell'art. 24 si
afferma esplicitamente che «le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 5
costituiscono, per le regioni, norme di principio e di
coordinamento».
In primo luogo, si deve rilevare un'incompetenza dello Stato a
porre in essere disposizioni, come quelle citate, che attengano
all'evidenza pubblica.
Nonostante il legislatore statale faccia esplicito riferimento a
«ragioni di trasparenza e concorrenza», non vi e' dubbio che la
disciplina della procedura di scelta del contraente per l'acquisto di
beni e servizi non rientra nell'ambito della materia di competenza
esclusiva statale di cui alla lettera e) del secondo comma
dell'art. 117 Cost., non essendo la tutela della concorrenza il bene
giuridico riguardato in via diretta dalla disciplina dei procedimenti
ad evidenza pubblica. La materia, per altro, non e' compresa nemmeno
in nessuna delle attribuzioni oggetto di potesta' legislativa
concorrente di cui all'art. 117, comma 3.
In ragione di cio', si puo' dire che la disciplina degli appalti
pubblici, ove naturalmente non si applichi la normativa comunitaria,
rientra nella competenza legislativa residuale della regione, di cui
al quarto comma dell'art. 117.
Per quanto si e' detto, appare del tutto evidente
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24 della legge 27 dicembre
2002, n. 289.
In particolare, appare privo di senso, nell'ambito del disegno
costituzionale tracciato dalla legge cost. n. 3 del 2001, il dettato
del comma 9, che vorrebbe attribuire alle disposizioni dei commi 1, 2
e 5 la natura di «norme di principio e di coordinamento».
Nel nuovo testo dell'art. 117 Cost. la potesta' legislativa
regionale e' soggetta, in generale e in linea di principio, agli
stessi limiti della legislazione statale, cioe' al «rispetto della
Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali», come recita il primo
comma dell'articolo ora citato (cosi', ad esempio, G. Falcon, Il
nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, in Le Regioni,
2001, n. 1, 6 s.).
In altre parole, l'assenza di qualsiasi limite espresso nelle
materie di potesta' legislativa esclusiva regionale conduce a
equiparare, quanto a forza normativa, legge regionale e legge statale
ordinaria. Infatti, nel nuovo testo costituzionale sono scomparsi
alcuni importanti limiti che, invece, la precedente disciplina poneva
all'esercizio della potesta' legislativa regionale, tra cui, ad
esempio, il limite dell'interesse nazionale (in tal senso, tra gli
altri, P. Caretti, L'assetto dei rapporti tra competenza legislativa
statale e regionale, alla luce del nuovo titolo V della Costituzione:
aspetti problematici, in Le Regioni, 2001, n. 6, 1223).
Per altro, anche a voler ragionare per assurdo, ritenendo che la
materia degli appalti pubblici possa rientrare nell'ambito della
tutela della concorrenza, cosa, come si e' spiegato, non sostenibile,
il riferimento, contenuto nel comma 9, alle norme di principio e di
coordinamento, apparirebbe del tutto in contrasto con il testo
costituzionale, venendo in gioco una competenza statale esclusiva, in
cui lo Stato detta la disciplina della materia e non pone in essere
«norme di principio e di coordinamento».
Per quanto specificamente attiene alla disposizione di cui
all'art. 24, comma 5, va detto che essa appare confliggere anche con
il principio di buon andamento della pubblica amministrazione,
sancito dall'art. 97 della nostra Costituzione. Lo specifico precetto
per cui le amministrazioni possono far ricorso alla trattativa
privata, anche nelle ipotesi in cui la vigente normativa la ammette,
«solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una
documentata indagine di mercato», appare sostanzialmente ridondante
rispetto alle previsioni comunitarie, nazionali e regionali gia'
disciplinanti la materia, che assegnano a tale tipo di scelta del
contraente sicuramente il carattere dell'eccezionalita' e prevedono
tutta una serie di cautele in favore della trasparenza e
dell'economicita'.
In quest'ottica, l'obbligo di comunicazione alla sezione
regionale della Corte dei conti del ricorso alla trattativa privata
sembra un ulteriore adempimento «burocratico», che si unisce a tanti
altri e che complica il procedimento amministrativo, senza che
risulti nemmeno chiaro quale sia l'effetto di tale comunicazione.
L'art. 24 al comma 4 prevede, inoltre, che «i contratti stipulati
in violazione del comma 1 o dell'obbligo di utilizzare le convenzioni
quadro definite dalla CONSIP S.p.a. sono nulli. Il dipendente che ha
sottoscritto il contratto risponde, a titolo personale, delle
obbligazioni eventualmente derivanti dai predetti contratti. La
stipula degli stessi e' causa di responsabilita' amministrativa; ai
fini della determinazione del danno erariale, si tiene anche conto
della differenza tra il prezzo previsto nelle convenzioni anzidette e
quello indicato nel contratto».
Anche tale disposizione, in cui e' disciplinata una fattispecie
di responsabilita' amministrativa appare in contrasto con l'art. 117
Cost.
Infatti, leggendo gli elenchi di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo
ora citato, non si rinviene una materia in cui possa rientrare la
disciplina sostanziale della responsabilita' amministrativa e
contabile.
Tra le materie di competenza esclusiva statale troviamo, alla
lettera g), «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato
e degli enti pubblici nazionali», che potrebbe riguardare (ispirati
dalla lettura che ha sempre dato il giudice costituzionale della
locuzione «ordinamento degli uffici») anche la normativa
sull'illecito in discorso, ma solo con riferimento ai comportamenti
dei dipendenti e degli amministratori statali o degli enti
menzionati.
La successiva lettera l) dell'art. 117, comma 2, recita
«giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale;
giustizia amministrativa»: il che ci consente di dire solo che, ferma
la giurisdizione della Corte dei conti in materia, ai sensi
dell'art. 103 Cost., le norme processuali in tema di responsabilita'
amministrativa rientrano nella competenza dello Stato. Inoltre
l'ordinamento degli enti locali e' disciplinato in via esclusiva
dallo Stato solo relativamente a «legislazione elettorale, organi di
governo e funzioni fondamentali di comuni, province e citta'
metropolitane» (art. 117, comma 2, lett. p).
La disciplina sostanziale degli illeciti amministrativi e
contabili degli amministratori e dei dipendenti delle regioni, e
sembrerebbe anche degli enti locali, cade, dunque, nell'ambito della
potesta' legislativa regionale di cui al quarto comma dell'art. 117
Cost. (sul punto si veda: C. Pagliarin, Colpa grave ed equita' nel
giudizio di responsabilita' innanzi alla Corte dei conti, Padova,
2002, 377): di qui l'incostituzionalita' anche del comma 4
dell'articolo 24 della finanziaria.
7. - Con l'art. 25 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 il
legislatore ordinario ha demandato a regolamenti di delegificazione,
contenuti in decreti del Ministro dell'economia e delle finanze,
l'adozione della disciplina relativa al pagamento e alla riscossione
di somme di modesto ammontare, per altro accompagnando la «delega»
con alcune previsioni estremamente puntuali.
Per comprendere il livello di dettaglio della disposizione
impugnata e' utile riprodurre qui il testo.
Nel primo comma dell'art. 25 della finanziaria troviamo stabilito
il rinvio alla fonte regolamentare: «con uno o piu' decreti del
Ministro dell'economia e delle finanze, sono adottate ai sensi
dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400,
disposizioni relative alla disciplina del pagamento e della
riscossione di crediti di modesto ammontare e di qualsiasi natura,
anche tributaria, applicabile a tutte le amministrazioni pubbliche di
cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165, compresi gli enti pubblici economici», mentre nel secondo e
nel terzo comma vengono dettati i contenuti di tali atti normativi:
«con i decreti di cui al comma 1 sono stabiliti gli importi
corrispondenti alle somme considerate di modesto ammontare, le somme
onnicomprensive di interessi o sanzioni comunque denominate nonche'
norme riguardanti l'esclusione di qualsiasi azione cautelativa,
ingiuntiva ed esecutiva. Tali disposizioni si possono applicare anche
per periodi d'imposta precedenti e non devono in ogni caso intendersi
come franchigia» (comma 2); «sono esclusi i corrispettivi per servizi
resi dalle pubbliche amministrazioni a pagamento» (comma 3). Il comma
4 detta, infine, disposizioni di ulteriore minuto dettaglio: «gli
importi sono in ogni caso arrotondati all'unita' di euro. In sede di
prima applicazione ai decreti di cui al comma 1, l'importo minimo non
puo' essere inferiore a 12 euro».
La disposizione, dunque, prevede un rinvio ad una fonte
secondaria statale di disciplina e ha di per se' stessa un contenuto
molto specifico e preciso. La disciplina sulle procedure e i
presupposti del pagamento e della riscossione di somme di ammontare
modesto rientra pero' nella materia «armonizzazione dei bilanci
pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario», di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost., oggetto di
potesta' legislativa concorrente.
L'art. 25 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 si pone, dunque,
in contrasto con la Costituzione in quanto non si limita certo a
determinare i principi fondamentali, ma anzi, ponendo in essere
disposizioni che esauriscono completamente la materia trattata e, per
di piu', affidando ad altre fonti statali subordinate l'ulteriore
disciplina, non lascia alcun margine di intervento alla legge
regionale.
8. - Con l'art. 34 della legge finanziaria e' stato previsto
l'obbligo per tutte le pubbliche amministrazioni, comprese le
regioni, di effettuare la rideterminazione delle dotazioni organiche.
A tal fine - precisa la disposizione ora richiamata - si dovra'
tenere conto del processo di riforma delle amministrazioni,
conseguente sia alla legge cosiddetta «Bassanini uno» (legge 15 marzo
1997, n. 59) sia alla legge sulla dirigenza statale (legge 6 luglio
2002, n. 137) sia, infine, ai processi di trasferimento delle
funzioni alle regioni e agli enti locali, anche conseguenti alla
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Si stabilisce, comunque, che la spesa per il personale non possa
venire aumentata, e che le dotazioni organiche rideterminate non
debbano superare il numero dei posti di organico complessivi in atto
alla data del 29 settembre 2002. Fino al perfezionamento dei
provvedimenti di rideterminazione, le dotazioni organiche sono
individuate in via provvisoria, in misura pari ai posti coperti alla
data del 31 dicembre 2002, tenuto conto anche dei posti per i quali
sono in corso di svolgimento procedure di reclutamento, mobilita' o
riqualificazione del personale.
Al comma 4 dell'art. 34 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e'
previsto il blocco per l'anno 2003 delle assunzioni di tutte le
pubbliche amministrazioni, tranne che per le assunzioni di personale
riferite a figure professionali non sostituibili, la cui consistenza
organica non sia superiore all'unita', oltre a quelle relative alle
categorie protette.
Il comma 11 prevede poi disposizioni specifiche per le regioni e
gli enti locali. In tale comma si stabilisce, infatti, che «ai fini
del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli
obiettivi di finanza pubblica», con decreti del Presidente del
Consiglio dei ministri, da emanare entro sessanta giorni dalla data
di entrata in vigore della legge finanziaria 2003, previo accordo tra
Governo, regioni e autonomie locali da concludere in sede di
Conferenza unificata, «sono fissati per le amministrazioni regionali
(...) criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per
l'anno 2003». Tali assunzioni, fatto salvo il ricorso alle procedure
di mobilita', «devono comunque essere contenute, fatta eccezione per
il personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale, entro
percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal
servizio verificatesi nel corso dell'anno 2002 tenuto conto, in
relazione alla tipologia di enti, della dimensione demografica, dei
profili professionali del personale da assumere, della essenzialita'
dei servizi da garantire e dell'incidenza delle spese del personale
sulle entrate correnti».
Il legislatore statale pone ulteriori limiti percentuali alle
assunzioni con riferimento a diverse tipologie di enti locali: si
legge, infatti, sempre al comma 11, che «non puo' essere stabilita,
in ogni caso, una percentuale superiore al 20 per cento per i comuni
con popolazione superiore ai 5000 abitanti e le province che abbiano
un rapporto dipendenti-popolazione superiore a quello previsto
dall'art. 119, comma 3, del decreto legislativo 25 febbraio 1995,
n. 77, e successive modificazioni, maggiorato del 30 per cento o la
cui percentuale di spesa del personale rispetto alle entrate correnti
sia superiore alla media regionale per fasce demografiche».
Si noti che il comma 11 dell'art. 34 prevede l'applicazione del
«blocco assunzioni», di cui al comma 4, nelle more dell'adozione dei
decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Segue poi la
disciplina relativa a comuni e province con popolazione superiore ai
5000 abitanti che non abbiano rispettato il patto di stabilita',
disciplina che non si ritiene necessario qui riprodurre.
Dal contenuto dell'articolo della legge finanziaria ora citato
emerge chiaramente la compressione dell'autonomia regionale per
quanto attiene alle esigenze organizzative proprie
dell'amministrazione, soprattutto la' dove vengono fissati a priori
dei parametri (quale il tetto massimo del 50 per cento delle
assunzioni) che prescindono da qualsiasi elemento concreto riferito
alla singola realta' regionale, in violazione anche dei principi di
eguaglianza, di cui all'art. 3 Cost., e di buon andamento della
pubblica amministrazione, sancito dall'art. 97 Cost.
Prima ancora vi e' da sottolineare come la materia
dell'ordinamento del personale regionale non sia compresa ne'
nell'elenco di cui al secondo comma dell'art. 117 ne' in quello del
successivo terzo comma e sia, quindi, da considerare oggetto della
piu' ampia potesta' legislativa regionale.
I limiti posti alle assunzioni a tempo indeterminato dall'art. 34
della legge 27 dicembre 2003, n. 289 determinano, dunque, la
violazione della competenza riservata alla regione ai sensi
dell'art. 117, comma 4, della Costituzione.
Solo per completezza si osserva che la disciplina dettata dalla
disposizione in discorso non ha nemmeno le caratteristiche proprie di
una normativa articolata per principi fondamentali, ma si spinge al
dettaglio con la fissazione di criteri molto rigidi.
Ne' vale ad evitare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34
della finanziaria 2003 la previsione dell'accordo tra Governo,
regioni e autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza
unificata quale elemento prodromico all'emanazione dei decreti del
Presidente del Consiglio dei ministri che disciplinano i criteri e i
limiti per le assunzioni a tempo indeterminato.
Le ragioni della censura permangono in primo luogo in quanto,
come si e' detto, si versa nell'ambito della competenza regionale di
cui al quarto comma dell'art. 117 Cost. e, secondariamente, in
considerazione delle barriere gia' poste dal medesimo articolo in via
assoluta («tali assunzioni ... devono, comunque, essere contenute ...
entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal
servizio verificatesi nel corso dell'anno 2002», «non puo' essere
stabilita, in ogni caso, una percentuale superiore al 20 per cento
per i comuni con popolazione superiore a 5000 abitanti ...») e della
previsione di una disciplina transitoria in cui si sancisce il
«blocco assunzioni» (comma 4 richiamato dal comma 11).
In conclusione, le disposizioni di cui all'art. 34 della legge
finanziaria 2003 si pongono in contrasto con gli artt. 114, 118 e 117
Cost., nella misura in cui comprimono l'autonomia legislativa e
amministrativa regionale, e con gli artt. 3 e 97 Cost. in quanto
dettano una disciplina che prescinde da qualsiasi elemento concreto
riferito alla singola realta'.
9. - L'art. 91 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 istituisce il
fondo di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro che
realizzano, nei luoghi di lavoro, servizi di asilo nido e micronidi
«al fine di assicurare un'adeguata assistenza familiare alle
lavoratrici e ai lavoratori dipendenti con prole».
E' disciplinato il contenuto della domanda di finanziamento che
il datore di lavoro deve presentare al Ministero del lavoro e delle
politiche sociali (comma 2) ed e' prevista l'emanazione di un decreto
dello stesso Ministero in cui verra' definito il prospetto sulle
informazioni da fornire e le relative modalita' di trasmissione
(comma 3). Con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze e
con il ministro per le pari opportunita' dovranno anche essere
fissati i criteri per la concessione dei finanziamenti (comma 4).
Le disposizioni ora richiamate sono state poste in essere dallo
Stato al di fuori della sua competenza legislativa.
Va ricordato, infatti, che, nella vigenza del vecchio testo
dell'art. 117 Cost., la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che
la disciplina degli asili nido rientra nell'ambito della materia
dell'assistenza e beneficenza oggetto, all'epoca, di competenza
legislativa concorrente (sent. 20 ottobre 1983, n. 319 e 9 maggio
1985, n. 139), aderendo alla definizione della materia data dal
decreto del Presidente della Repubblica n. 616 (sul punto si veda,
per tutti, L. Paladin, Diritto regionale, Padova, 2000, 141).
Oggi l'assistenza non e' compresa negli elenchi delle materie di
competenza legislativa esclusiva statale e di legislazione
concorrente e, quindi, la sua disciplina dovra' essere dettata dal
legislatore regionale, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost.
E', dunque, incostituzionale anche la disposizione di cui
all'art. 91 della legge finanziaria per il 2003 perche' la normativa
relativa alla realizzazione e al finanziamento di asili nido ricade
nell'ambito della potesta' legislativa cosiddetta residuale delle
regioni.
Ne' vale opporre che quelli in questione sarebbero finanziamenti
aggiuntivi, dal momento che essi si fondano - allo stato delle cose -
sulla compressione dell'autonomia finanziaria regionale, piuttosto
che su una addizione coerente con una rigorosa lettura dell'art. 119
Cost.

P. Q. M.
Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare,
nei termini e nelle proposizioni suindicati, l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 2, 3, 5, 19, 23, 24, 25, 34 e 91 della
legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante «disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2003)» per violazione degli artt. 2, 3, 5, 81, 97, 114,
117, 118, 119 e 120 della Costituzione.
Si allega: deliberazione della giunta regionale del Veneto n. 331
del 14 febbraio 2003, di autorizzazione alla proposizione del
ricorso.
Padova - Roma, addi' 21 febbraio 2003
Avv. Prof. Mario Bertolissi - Avv. Romano Morra - Avv. Luigi Manzi

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