N. 27 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 marzo 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 2 marzo 2004 (della Regione Marche)
(GU n. 10 del 10-3-2004)

Ricorso nei confronti della Regione Marche, in persona del suo
Presidente della Giunta, avverso l'art. 4 della legge regionale 23
dicembre 2003, n. 29, intitolata «Norme concernenti la vigilanza
sull'attivita' edilizia nel territorio regionale», pubblicata nel
Bollettino ufficiale n. 122 del 30 dicembre 2003.

La determinazione di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 13 febbraio
2004 (si depositera' estratto del relativo verbale).
La Regione Marche ha proposto una prima controversia (reg. ric.
n. 81 del 2003) di legittimita' costituzionale nei riguardi (anche)
dei commi da 25 a 41 (non pure il 43) dell'art. 32 del d.l. 30
settembre 2003, n. 269 ed una seconda similare controversia nei
riguardi (anche) dei commi anzidetti del medesimo art. 32, come
risultato dalla conversione nella legge 24 novembre 2003, n. 326. Con
la legge ora in esame la Regione ha disposto nell'art. 4, comma 6 che
«non si applicano nel territorio regionale le disposizioni di cui ai
commi da 25 a 38 ed ai commi 40, 41 e 43 dell'art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003, ad eccezione di quelle in materia di
oblazione penale». Nello stesso comma 6 il legislatore regionale
premette di avere «con la presente legge» effettuato l'adeguamento
alle disposizioni del testo unico approvato con d.P.R. 6 giugno 2001,
n. 380 e quindi fornisce una lettura per cosi' dire «condizionante»
del comma 2 del menzionato art. 32. Una siffatta lettura di questo
comma 2 non e' pero' condivisibile; detto comma (premesso all'intero
art. 32 e non soltanto ai commi di esso menzionati dalla legge in
esame) fa riferimento al contesto generale e d'insieme entro il quale
i commi successivi dello stesso art. 32 vanno a collocarsi, e si
limita a rammentare l'esigenza di un rinnovato «adeguamento» di tutte
le leggi regionali in essere.
Comunque, la normativa introdotta dai commi dell'art. 32 citato
che l'art. 4, comma 6 della legge marchigiana in esame intende
rendere non applicabili va molto oltre le sanatorie «a regime»
previste nei commi da 1 a 5 dello stesso art. 4. Non puo' certo
contestarsi che gli anzidetti commi dell'art. 32 introducono
innovativamente un principio generale non presente nella legislazione
regionale. La controversia concerne dunque non gia' se le
disposizioni contenute nella legge in esame siano o meno sufficienti,
ma se allo Stato era consentito porre le regole che si vorrebbero
rendere non applicabili ed i principi che si vorrebbero lasciare
inosservati.
Quanto osservato rende palese come le parole «ad eccezione di
quelle in materia di oblazione penale» (nel citato comma 6) siano
destinate a rimanere prive di concreta effettivita' qualora il «non
si applicano» che le precede superasse il vaglio di legittimita'
costituzionale per non essersi ravvisata lesione della competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento penale»
(art. 117, comma secondo, lettera l) Cost.). Competenza legislativa
esclusiva che il legislatore statale ha utilizzato nel produrre
quelle norme sull'oblazione che costituiscono il fulcro delle
disposizioni che si vorrebbero non applicabili, e che il legislatore
marchigiano solo apparentemente salvaguarda.
Posto che la materia «ordinamento penale» e' di esclusiva
competenza statale, la sottrazione dal territorio nazionale del
territorio di una o piu' Regioni introduce disuguaglianze (art. 3
Cost.) non legittimate dal riconoscimento in Costituzione delle
autonomie regionali. Queste non possono condurre a discipline
diversificate nell'ambito delle materie riservate allo Stato. Non
pare che fatti identici (ad esempio, edificazioni in assenza di
permesso di costruire) siano repressi penalmente in una Regione, e
non repressi perche' sanati «per condono» in altre Regioni.
In questo quadro, la legge regionale in esame appare, oltre che
irriguardosa dell'art. 117, comma secondo, lettera l) Cost. e lesiva
dell'art. 3 Cost., anche contrastante con l'art. 117, comma terzo
Cost., con gli artt. 81 e 119 Cost., e persino con gli artt. 51, 127
comma secondo e 134 Cost.
Considerato che gli introiti attesi dalle oblazioni sono stati
inseriti nella finanziaria 2004 dello Stato (legge 24 dicembre 2003,
n. 350), impedire l'applicazione nel territorio di una Regione dei
commi menzionati nel comma 2 dell'art. 1 in esame concreta una
ingerenza nella formazione del bilancio annuale dello Stato e quindi
una lesione di quella «autonomia finanziaria» che anche, ed
anzitutto, allo Stato deve essere garantita, una compressione della
competenza legislativa per il «coordinamento della finanza pubblica e
dei sistemi tributari», una sottrazione di risorse destinate alla
copertura (art. 81 Cost.) di spese pubbliche approvate dal
Parlamento, e - da ultimo - una rottura del vincolo dato dal patto di
stabilita' concordato a livello da Unione europea.
L'art. 119 Cost. e' anche qui evocato perche' essenziale dovere
costituzionale dello Stato e' assicurare a se stesso ed agli enti «a
finanza derivata» le risorse occorrenti: tale dovere e' talmente
prioritario e fondamentale da aver reso superflua l'esplicita
indicazione in Costituzione dei modi e dei mezzi consentiti per farvi
fronte; significativa e' l'assenza nell'art. 119 Cost. di una
esplicita garanzia di risorse proprie anche per lo Stato.
La Regione la quale ostacoli mediante propria legge una manovra
di finanza pubblica statale dovrebbe farsi carico di assicurare
altrimenti l'invarianza del «livello massimo del saldo netto da
finanziare» (art. 1, comma 1 della legge finanziaria citata), ad
esempio rinunciando ad apporti di finanza derivata dallo Stato.
D'altro canto, la legge in esame contrasta con l'art. 117, comma
terzo Cost. che riconosce allo Stato la competenza alla
«determinazione dei principi» (si noti «determinazione», e non
ottativa indicazione) in materia di «governo del territorio». Codesta
Corte ha insegnato che spetta tuttora allo Stato - anche per le
evidenti e plurime connessioni con la materia «ordinamento civile»
(art. 117, comma secondo, lettera l) Cost.) - produrre la disciplina
normativa in tema di titoli abilitativi edilizi. In questo ambito
deve collocarsi pure la previsione di titoli abilitativi non
ordinari, quali quelli per sanatoria non «a regime», specie se tale
previsione si salda con (ed e' integrata da) la prefigurazione di
programmi di riqualificazione urbanistico-edilizia.
Da ultimo, occorre rilevare - e trattasi di argomento assorbente
- che ai legislatori regionali non puo' essere consentito di produrre
norme meramente demolitorie e «di reazione», le quali statuiscano la
non applicazione nel territorio regionale di disposizioni poc'anzi
prodotte dallo Stato. Iniziative siffatte possono pregiudicare
l'unita' della Repubblica (art. 5 Cost. ) e comunque concretano una
sosta di anomala «autodichia». L'ordinamento costituzionale (ora
art. 127, comma secondo Cost.) riconosce ad ogni Regione la facolta'
di sottoporre a codesta Corte le disposizioni statali che reputa
affette da illegittimita' costituzionale, e cosi' esclude che il
potere legislativo regionale possa - grazie alla agevolmente
realizzabile rapidita' della produzione legislativa ad opera dei
Consigli regionali ed alla soppressione dell'istituto del rinvio
governativo, e facendo leva sulla successione della leggi nel tempo -
essere utilizzato per contrastare l'applicazione di dette
disposizioni statali (non rileva se in assenza o in pendenza del
ricorso della Regione).
Quest'ultima considerazione appare di particolare importanza per
il sereno ed equilibrato esplicarsi dei poteri legislativi dello
Stato e delle autonomie. Si confida in un insegnamento di codesta
Corte, il quale tenga conto anche dell'esigenza di salvaguardare
appieno l'autorita' del Parlamento nazionale.
La legge regionale in esame, impedendo ai proprietari di immobili
siti nella Regione Marche (proprietari non necessariamente in essa
residenti) l'accesso alla sanatoria straordinaria degli abusi edilizi
durante la pendenza del processo costituzionale, arreca pregiudizio
all'interesse dello Stato e degli enti «a finanza derivata» al
conseguimento degli introiti «da condono» previsti dal bilancio e
dalla legge finanziaria dello Stato. Lo Stato potrebbe trovarsi
costretto a sostituire i mancati o ritardati introiti con manovre di
finanza straordinaria (per le quali del resto i parametri di
Maastricht lasciano margini strettissimi) e con inasprimenti
ulteriori della gia' pesante fiscalita', cosi' soffocando ogni
speranza di «agganciare» la auspicata ripresa economica e rendendo
problematica persino il rimanere all'interno di un contesto
concorrenziale; oppure - in alternativa - ad operare «tagli» alla
spesa pubblica sia corrente (compreso il «welfare») sia per
investimenti. La scelta di ricorrere ad introiti «da condono» non e'
stata voluttuaria o di tolleranza degli abusi; essa e' stata imposta
dalla bassa congiuntura e dalla distanza che, malgrado semisecolari
progressi, ancora separa il nostro Paese dalle economie piu'
solidamente strutturate.
Inoltre, la legge in esame arreca pregiudizio all'ordinamento
giuridico della Repubblica per le considerazioni esposte dianzi nel
prospettare i motivi di ricorso.
Questa difesa si rende conto dell'esigenza (non solo processuale)
di non impegnare codesta Corte nell'esame di istanze cautelari; e
pero' istanze siffatte sono state formulate da Regioni ricorrenti
avverso l'art. 32 citato.
La sospensione ex art. art. 9, comma 4 della legge 5 giugno 2003,
n. 131 e' chiesta solo per l'art. 4, comma 6 della legge in esame.


P. Q. M.
Si chiede pertanto che sia dichiarata la illegittimita'
costituzionale della disposizione legislativa sottoposta a giudizio,
previa sospensione della vigenza di essa, con ogni conseguenziale
pronuncia.
Roma, addi' 14 febbraio 2004
Vice avvocato generale: Franco Favara

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