Ricorso n. 27 del 6 giugno 2007 (Regione Veneto)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 giugno 2007 , n. 27
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 6 giugno 2007 (della Regione Veneto)
(GU n. 24 del 20-6-2007)
Ricorso della Regione Veneto, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, on. dott. Giancarlo Galan, a cio' autorizzato con delibera della giunta regionale n. 1244 dell'8 maggio 2007, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, dall'avv. Ezio Zanon dell'Avvocatura regionale e dall'avv. Andrea Manzi del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio legale di quest'ultimo in Roma, via F. Confalonieri, 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, degli articoli 10, comma 4, e 13, commi 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, 8-bis e 8-ter della legge 2 aprile 2007, n. 40 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7 recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attivita' economiche e la nascita di nuove imprese" - pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2007, n. 77 - suppl. ord. n. 91/L -, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione nonche' del principio di leale collaborazione. F a t t o Con legge 2 aprile 2007, n. 40, e' stato convertito con modificazioni il decreto-legge n. 7 del 2007 recante "Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attivita' economiche e la nascita di nuove imprese" (c.d. Bersani 2). Il decreto convertito prevede una pletora di disposizioni riferite a materie diverse, finalizzate, come dichiarato nelle premesse dell'intervento normativo d'urgenza, a rimuovere ostacoli allo sviluppo economico e ad adottare misure a garanzia dei diritti dei consumatori, nonche' a rendere piu' concorrenziali gli assetti dei mercato e favorire la crescita della competitivita' del sistema produttivo nazionale, in ossequio ai principi sanciti dalla normativa comunitaria. In dettaglio, nell'ambito del Capo II concernente le misure urgenti per lo sviluppo imprenditoriale e la promozione della concorrenza, l'art. 10, rubricato "Misure urgenti per la liberalizzazione di alcune attivita' economiche", raccoglie specifiche norme volte a garantire la liberta' di concorrenza ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato. Il comma 4 del citato articolo disciplina l'attivita' di guida turistica e accompagnatore turistico, disponendo che tali attivita' non possano essere subordinate all'obbligo di autorizzazioni preventive, al rispetto dei parametri numerici e dei requisiti di residenza, fermo restando il possesso dei requisiti di qualificazione professionale previsti dalle normative regionali. Inoltre, il secondo periodo del medesimo comma dispone che ai titolari di laurea in lettere - con indirizzo in storia dell'arte o in archeologia - o titolo equipollente non debba essere negato l'esercizio dell'attivita' di guida turistica, neppure subordinandolo allo svolgimento dell'esame abilitante o di altre prove selettive, fatta salva la previa verifica delle conoscenze linguistiche e del territorio di riferimento. Ancora, il quarto periodo dello stesso comma dispone che ai titolari di laurea o diploma universitario in materia turistica o titolo equipollente non possa essere negato l'esercizio dell'attivita' di accompagnatore turistico, fatta salva la previa verifica delle conoscenze specifiche quando non siano state oggetto del corso di studi. Nel proseguo del testo normativo in esame si osserva che l'art. 13 reca disposizioni urgenti in materia di istruzione tecnico professionale e di valorizzazione dell'autonomia scolastica, introducendo, al comma 1, una modifica del d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226 (c.d. Riforma Moratti), finalizzata all'inserimento nel secondo ciclo di istruzione degli istituti tecnici e degli istituti professionali di cui all'art. 191, comma 2, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 "Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado". Conseguentemente dal testo del d.lgs. n. 226 del 2005 viene espunta, mediante l'abrogazione espressa di alcune disposizioni, la previsione dei licei economici e tecnologici precedentemente previsti dalla "Riforma Moratti" in sostituzione degli istituti tecnici e degli istituti professionali. Il comma 1-bis stabilisce il potenziamento ed il riordino degli istituti tecnici e professionali di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994, destinati ad essere ascritti, per effetto della novella, nell'unica categoria di "istituti tecnici e professionali" ai fini del conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore. Il comma 1-ter, inoltre, individua in uno o piu' regolamenti di spettanza del Ministro competente lo strumento asprimento normativo per il riordino sopra citato, con il quale disciplinare, tra l'altro, la riduzione degli attuali indirizzi, la scansione dei percorsi, la previsione di un monte ore delle lezioni sostenibile, la riorganizzazione delle materie di insegnamento. Ed ancora, il comma 1-quater dell'articolo de quo nel fissare - al 31 luglio 2008 - il termine, peraltro ordinatorio, entro il quale i regolamenti di riordino devono essere adottati, modifica il d.lgs. n. 226 del 2005, differendo di un anno - dall'anno scolastico e formativo 2008-2009 all'anno successivo 2009-2010 -, la data di avvio dei nuovi percorsi liceali e degli istituti di istruzione e formazione. Infine, i commi 8-bis e 8-ter apportano ulteriori significative modifiche al d.lgs. n. 226 del 2005, laddove esplicitamente sanciscono la soppressione, nell'intero testo di legge, di ogni riferimento ai licei economici e tecnologici ed escludono, dall'ambito applicativo delle abrogazioni espresse di cui all'art. 31, comma 2 del d.lgs. n. 226 del 2005, gli istituti tecnici e gli istituti professionali, che, conseguentemente, sono cosi' nuovamente introdotti nell'ordinamento quale ciclo ordinario di studi. L'assetto normativo che scaturisce dalle disposizioni sopra indicate lede l'autonomia legislativa della regione con specifico riferimento alle materie di competenza regionale costituzionalmente garantite. Inoltre si lamenta la lesione del principio di leale collaborazione per l'assenza della ritenuta necessaria concertazione con la regione. Attesa la non completa omogeneita' delle norme oggetto di censura, si ritiene, per ragioni di chiarezza espositiva, di analizzare partitamente ciascuno delle norme impugnate per meglio illustrare i profili di illegittimita' costituzionale denunciati. D i r i t t o 1. - Art. 10, comma 4, per violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni. L'art. 10 della legge 2 aprile 2007, n. 40 nella volonta' di dettare "Misure urgenti per la liberalizzazione di alcune attivita' economiche", ha previsto, al comma 4, che: "Le attivita' di guida turistica e accompagnatore turistico, come disciplinate dalle legge 29 marzo 2001, n. 135, e successive modificazioni, non possono essere subordinate all'obbligo di autorizzazioni preventive, al rispetto di parametri numerici e a requisiti di residenza, fermo restando il possesso dei requisiti di qualificazione professionale previsti dalle normative regionali. Ai soggetti titolari di laurea in lettere con indirizzo in storia dell'arte o in archeologia o altro titolo equipollente, l'esercizio dell'attivita' di guida turistica non puo' essere negato, ne' subordinato allo svolgimento dell'esame abilitante o di altre prove selettive, salva le previa verifica delle conoscenze linguistiche e del territorio di riferimento. Al fine di migliorare la qualita' dell'offerta del servizio in relazione a specifici territori o contesti tematici, le regioni promuovono sistemi di accreditamento, non vincolanti, per le guide turistiche specializzate in particolari siti, localita' e settori. Ai soggetti titolari di laurea o diploma universitario in materia turistica o titolo equipollente non puo' essere negato l'esercizio di accompagnatore turistico, fatta salva la previa verifica delle conoscenze specfiche quando non siano state oggetto del corso di studi. I soggetti abilitati allo svolgimento dell'attivita' di guida turistica nell'ambito dell'ordinamento giuridico del Paese comunitario di appartenenza operano in regime di libera prestazione dei servizi senza necessita' di alcuna autorizzazione, ne' abilitazione, sia essa generale o specifica". La disciplina stabilita dal legislatore statale viola l'autonomia legislativa riconosciuta alla regione in materia di turismo, nel cui ambito ricade la disciplina delle professioni turistiche. La materia "turismo", in quanto non contemplata tra quelle di competenza esclusiva dello Stato, o concorrente della regione, ai sensi, rispettivamente, dei commi secondo e terzo dell'art. 117 della Costituzione, appartiene sicuramente all'ambito di competenza legislativa residuale della regione, a termini del quarto comma dello stesso articolo. Codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di precisare che nella materia del turismo le regioni ben possono esercitare tutte le attribuzioni di cui ritengano essere titolari, approvando una disciplina che puo' anche essere sostitutiva di quella statale (sentenza n. 197 del 2003). E cosi', al pari della quasi totalita' delle regioni italiane, ha fatto la regione Veneto, che, con la legge regionale 4 novembre 2002, n. 33, recante "Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo" ha disciplinato in maniera organica l'intero settore, ivi comprese le professioni turistiche. In particolare, nell'ambito del Capo IV, la regione ha individuato le figure professionali, ne ha disciplinato l'esercizio e ne ha definito le competenze, prevedendo, per l'esercizio delle stesse, il superamento di un esame di abilitazione, l'iscrizione ad un elenco provinciale e il rilascio di una licenza da parte dei comuni. Orbene, il comma 4 dell'art. 10 della legge n. 40 del 2007 si pone in antitesi rispetto a quanto statuito dalla regione Veneto nella propria legge. La legge impugnata, per le ragioni che di seguito saranno indicate, e' illegittima per violazione dell'art. 117 della Costituzione, e quindi rappresenta una lesione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alla regione. A questo proposito, a nulla vale invocare il principio comunitario di libera concorrenza, richiamato dal comma 1 dell'art. 10 al fine di superare le censure prospettate ed affermare la competenza statale. Sull'argomento, e' bene richiamare quanto da codesto ill.mo Collegio e' stato piu' volte affermato a proposito dei limiti che incontra lo Stato quando legifera nella materia "tutela della concorrenza", di cui al secondo comma, lettera e), dell'art. 117, evocata nel comma 1 dell'art. 10, laddove e' richiamato il principio comunitario di libera concorrenza. A tale materia, al pari di altre appartenenti alla competenza esclusiva dello Stato, e' stato attribuita una portata trasversale, avente carattere di funzione, esercitabile sui piu' diversi oggetti. Tuttavia, proprio il carattere di trasversalita' attribuito alla tutela della concorrenza, rende evidente la necessita' di determinarne i limiti, affinche' l'esercizio di essa non vanifichi, in definitiva, "lo schema di riparto dell'art. 117 Cost., che vede attribuite alla potesta' residuale e concorrente delle regioni materie la cui disciplina incide innegabilmente sullo sviluppo economico". (Corte costituzionale, sentenza n. 14 del 2004). A tale proposito, la Corte ha avuto modo di osservare che l'ambito di operativita' della competenza legislativa statale attinente alla tutela della concorrenza viene delineato sulla base di un giudizio di proporzionalita' ed adeguatezza dell'intervento rispetto all'obiettivo perseguito (sentenza n. 272 del 2004). Alla luce di tale criterio, l'invocazione del principio di libera concorrenza non e', nel caso specifico, sufficiente per superare le censure di illegittima compressione dell' autonomia regionale ed affermare la competenza statale. Il comma 4 dell'art. 10, nella sua interezza, appare inadeguato rispetto allo scopo di aprire le professioni turistiche al libero mercato. In particolare, e' del tutto irrazionale la scelta del legislatore statale di consentire ai soli titolari di laurea in lettere con indirizzo in storia dell'arte o in archeologia o titolo equipollente l'esercizio dell'attivita' di guida turistica senza alcuna previa selezione, e, in maniera analoga, consentire ai soli titolari di laurea o diploma universitario in materia turistica o titolo equipollente l'esercizio dell'attivita' di accompagnatore turistico senza ulteriore esame. Cio' in quanto manca di reale consequenzialita' logica la scelta di esentare dall'esame di abilitazione, peraltro previsto dalla legge regionale n. 33 del 2002 proprio al fine di tutelare la qualita' del servizio offerto ai "consumatori", solamente i titolari dei titoli di studio sopra specificati, sulla base di una aprioristica valutazione di sufficienza di quei titoli rispetto all'esercizio delle attivita' di guida turistica o di accompagnatore turistico. Inoltre la norma, irragionevolmente, reintroduce di fatto la necessita' di una prova abilitante, allorche', nel seguito del secondo periodo del comma 4, richiede per le guide turistiche "la previa verifica delle conoscenze linguistiche e del territorio di riferimento", e, per gli accompagnatori turistici, "la previa verifica delle conoscenze specifiche quando non siano state oggetto del corso di studi". L'estrema contraddittorieta' della disposizione impugnata, con le prevedibili difficolta' applicative che comportera', conferma il fatto che essa supera certamente i limiti della tutela della concorrenza nell'ambito delle professioni turistiche. Ne', sotto altro profilo - al quale si accenna per mero scrupolo difensivo - il titolo di legittimazione dell'intervento statale nella materia de qua puo' rinvenirsi ipotizzando che le professioni turistiche siano, per cosi' dire, "attratte" nella materia concorrente delle "professioni" (articolo 117, terzo comma, Cost.) a discapito della materia esclusiva del "turismo", della quale, anche nel vigore del precedente regime costituzionale di riparto delle competenze, le professioni turistiche erano, senza alcun dubbio, parte integrante (Corte costituzionale, sentenza n. 459 del 2005). A tacere del fatto che nessun riferimento alla materia "professioni" risulta dal testo dell'articolo in esame, traendo le mosse da un simile assunto si giungerebbe alla paradossale conclusione che, transitando la materia "turismo" da competenza concorrente a competenza esclusiva (come riconosciuto, si ripete, a piu' riprese, da codesta ecc.ma Corte), sull'argomento delle professioni collegate al turismo le regioni incontrerebbero maggiori limitazioni di quando in materia di professioni non avevano competenza alcuna. Non puo' essere, infatti, accettata una lettura del nuovo testo costituzionale - e, quindi, della sottesa attribuzione di competenza - tanto restrittiva dell'autonomia regionale da privare di significato il quarto comma dell'articolo 117 e ridurre, di fatto, la potesta' legislativa regionale alla sola potesta' concorrente, magari concepita in modo piu' restrittivo rispetto al passato assetto istituzionale. Si aggiunga che la competenza legislativa regionale sul punto e' riconosciuta, sia pure per implicito e non poteva essere diversamente, proprio dalla norma in esame, nella parte in cui, a seguito delle modifiche introdotte in sede di conversione, fa riferimento ai "(...) requisiti di qualificazione professionale previsti dalle normative regionali", eliminando il precedente rinvio alla legge 29 marzo 2001, n. 135, giudicato, anche dal Servizio studi della Camera dei deputati come "incongruo (...) in quanto trattasi (...) di materie (rectius: requisiti) non disciplinate dalla suddetta legge (cioe' la richiamata legge n. 135 del 2001) bensi' da leggi delle singole regioni" (cosi', testualmente, Camera dei deputati, XV Legislatura, Servizio studi, Progetti di legge, "Promozione della concorrenza e tutela dei consumatori", d.l. 31 gennaio 2007, n. 7 - A.C. 2201, Dossier n. 96 del 6 febbraio 2007, pag. 1 e ss.) In ogni caso, nella denegata ipotesi in cui si considerasse legittimo l'intervento dello Stato, esso risulta comunque lesivo del principio di leale collaborazione. Codesta ecc.ma Corte, affrontando la questione degli interventi finanziari dello Stato in materie di competenza regionale, ha affermato che "la necessita' di assicurare il rispetto delle attribuzioni costituzionalmente garantite alle regioni, impone di prevedere che queste ultime siano pienamente coinvolte nei processi decisionali concernenti il riparto dei fondi", ritenendo "costituzionalmente necessario, al fine di assicurare in modo adeguato la leale collaborazione tra istituzioni statali e regionali", l'adozione dello strumento dell'intesa (sentenza n. 222 del 2005). Tale decisione attribuisce al principio di leale collaborazione, proprio per la genericita' di tale parametro, il carattere di strumento idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti tra Stato e regioni, e consente di sostenere, in via generale, che quando l'intervento dello Stato si interseca con ambiti di competenza concorrente o residuale delle stesse, queste ultime devono essere pienamente coinvolte nei processi decisionali che portano all'adozione dell'atto. A tale scopo, si rende necessaria l'adozione di uno strumento che consenta una paritaria codeterminazione del contenuto dello stesso, e la stessa Corte ha piu' volte indicato l'intesa tra Stato e regioni come una delle possibili forme di attuazione del principio (sentenza n. 27 del 2004). Infine, non rispettosa della competenza regionale in materia di formazione professionale risulta la disposizione impugnata nella parte in cui impone ".... le Regioni promuovono ..." alle regioni di promuovere sistemi di accreditamento per le guide turistiche specializzate in particolari siti, localita' e settori. La materia "istruzione e formazione professionale", non inclusa nell'elenco delle materie attribuite dal secondo comma alla legislazione dello Stato, ed espressamente esclusa dal terzo comma dell'articolo 117, rientra nella competenza legislativa esclusiva regionale di cui al comma quarto del medesimo articolo (Corte costituzionale, sentenza n. 50 del 2005). Invero, pare indubitabile che le modalita' organizzative e la disciplina del concreto svolgimento dell'attivita' formativa esterna sul territorio regionale rientrino tra le prerogative proprie delle regioni (Corte costituzionale, sentenza n. 51 del 2005), e pertanto costituisce una scelta autonoma di ciascuna di esse quella di introdurre o meno particolari sistemi di accreditamento che abbiano come scopo quello di elevare la qualita' dell'offerta del servizio di guida turistica. Si rivela dunque illegittima, per violazione dell'articolo 117, la scelta, operata dal legislatore statale, di introdurre nei singoli sistemi regionali di formazione della professione di guida turistica l'accreditamento, quale fattore di specializzazione e, quindi, di particolare qualificazione dell'offerta. 2. - Articolo 13, commi 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, 8-bis e 8-ter per violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione. Come gia' osservato, l'articolo 13 del d.l. n. 7 del 2007, come modificato dalla legge di conversione, nei primi commi disciplina "l'istruzione tecnico-professionale" nonche' la "valorizzazione dell'autonomia scolastica". Segnatamente, al comma 1 del citato articolo, il legislatore statale modifica surrettiziamente il decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 recante "Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione" attraendo nel sistema dell'istruzione, accanto ai licei, gli istituti tecnici e gli istituti professionali che precedentemente erano stati esclusi dal medesimo decreto legislativo. Correlativamente, la seconda parte del comma 1 abroga gli articoli riferiti ai licei tecnologici ed economici. Inoltre, la legge di conversione completa il quadro del riordino laddove, per un verso, il comma 8-bis, attraverso una puntuale operazione di drafting normativo sul decreto legislativo n. 226 del 2005, abroga ogni riferimento ai licei economici e tecnologici, e per altro verso, il comma 5-ter esclude dall'articolo 31, comma 2 del decreto legislativo n. 226 del 2005, concernente le abrogazioni espresse, il riferimento agli istituti tecnici e agli istituti professionali. Al riguardo per comprendere appieno gli effetti e le ripercussioni della modifica supra delineata nel contesto costituzionale, si reputa necessario inquadrare la stessa nel piu' generale ambito normativo in cui incide. Il decreto legislativo n. 226 del 2005 emanato in attuazione della legge delega 28 marzo 2003, n. 53, aveva definito "le norme generali in materia di istruzione" ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettera n) della Costituzione, nonche' "i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili", di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera m) della Costituzione medesima, correlandoli al diritto-dovere di istruzione di cui all'articolo 34 della Carta fondamentale della Repubblica italiana. Il decreto citato, pertanto, aveva appunto stabilito le norme generali ed i livelli essenziali con riferimento al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione. Scopo del nuovo sistema era dunque assicurare a tutti il diritto alla istruzione e alla istruzione e formazione professionale, secondo standard uniformi stabiliti dal legislatore nazionale in accordo con le regioni. La procedura concertativa introdotta risultava conforme al dettato costituzionale, essendo indiscutibile l'incidenza prodotta dalla determinazione degli standard medesimi sull'esercizio concreto delle competenze legislative delle regioni, qualificabili come concorrenti se riferite alla materia "istruzione" e residuali se riferite alla materia "istruzione e formazione professionale". Come piu' volte affermato da codesta ecc.ma Corte, allorquando la materia di competenza statale si incroci per taluni aspetti con materie di competenza regionale concorrente o residuale, nelle ipotesi in cui non sia possibile utilizzare il criterio della prevalenza di materia, trova applicazione il criterio della leale collaborazione (ex plurimis: sentenza 8 giugno 2005, 219). In perfetta aderenza con l'assunto anzidetto la legge delega del 2003 imponeva l'obbligo di procedere mediante decreti legislativi, sentita la Conferenza unificata, con la precisazione che ulteriori disposizioni correttive ed integrative dei medesimi decreti potessero essere adottate solo attraverso le stesse procedure indicate nella legge delega. Conseguentemente, il processo collaborativo era stato esteso all'intera fase attuativa della legge delega de qua, incluse le modifiche successive al primo impianto normativo. Con la legge in esame, per contro, non solo le disposizioni modificative ed integrative del decreto legislativo n. 226 del 2005 non sono state preventivamente sottoposte alla Conferenza unificata, ma viene rimossa unilateralmente ed in radice la stessa procedura concertativa. Inoltre, nello stesso decreto legislativo n. 226 del 2005, nel Capo V riferito alle norme transitorie e finali, era stato esplicitamente previsto che il primo avvio dei percorsi di istruzione e formazione professionale fosse sottoposto alla preventiva definizione di alcuni specifici aspetti normativi con appositi accordi in Conferenza Stato-regioni, nonche' che, ogniqualvolta, con decreto del Ministro competente in materia di istruzione, fossero avviati i nuovi percorsi liceali, dovesse essere preventivamente sentita la Conferenza unificata. Orbene, nel sistema educativo di istruzione e formazione tracciato dalla legge delega n. 53 del 2003 e dal successivo decreto legislativo n. 226 del 2005, come succintamente ricostruito, il legislatore statale aveva chiaramente delineato la distinzione tra il sistema "istruzione", costituito dai licei e assoggettato alla competenza concorrente regionale e il sistema "istruzione e formazione professionale" costituito dalle istituzioni scolastiche e formative disciplinate dalla regione in quanto di competenza esclusiva regionale. E che quest'ultima integrasse una competenza esclusiva regionale era stato riconosciuto dallo stesso legislatore statale nell'articolo 15, comma 2 del decreto legislativo n. 226 del 2005. Ma vi e' di piu'. Nell'ambito della disciplina concernente i licei, il legislatore statale aveva distinto varie tipologie di istituti liceali introducendo due nuove figure: il liceo economico e quello tecnologico. Per effetto dell'inserimento dei due nuovi istituti, con il medesimo decreto legislativo n. 226 del 2005 erano stati abrogati, ai sensi dell'articolo 31, comma 2, gli istituti tecnici, sostituiti dai licei tecnologici, e gli istituti professionali, sostituiti dai licei economici, gia' previsti all'articolo 191 del d.P.R. 16 aprile 1994, n. 297 "Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado". L'effetto abrogativo, peraltro, era stato differito all'anno scolastico successivo al completo esaurimento delle classi che, quindi, all'entrata in vigore del decreto legislativo di cui si tratta, continuavano l'attivita' didattica. D'altro canto si deve rilevare come la sostituzione fosse strettamente connessa alla modifica dell'assetto costituzionale in quanto l'utilizzo della locuzione "istruzione e formazione professionale" appare espressione semantica della volonta' di separare "l'istruzione", costituita dalle strutture scolastiche che impartiscono le discipline culturali generali, dalla "istruzione e formazione professionale" riferita alle strutture scolastiche dedicate all'insegnamento di discipline professionalizzanti. Pertanto, in armonia con il nuovo quadro delle competenze costituzionali, il legislatore statale del 2003 aveva deciso di includere nel sistema dell'istruzione solo i licei attribuendo ad essi, compresi quelli tecnologici ed economici, percorsi di insegnamento finalizzati a discipline di cultura generale e solo limitatamente a discipline professionalizzanti, con esclusione appunto degli istituti tecnici e professionali. Tali istituti, ai sensi dell'articolo 191, comma 3, del d.P.R. n. 297 del 1994, sono caratterizzati da tipologie di insegnamento strettamente connesse al primo inserimento nel mondo del lavoro, come inequivocabilmente specificato nel testo della disposizione richiamata. Detta norma, infatti, precisa che gli istituti tecnici "hanno per fine precipuo quello di preparare all'esercizio di funzioni tecniche od amministrative, nonche' di alcune professioni, nei settori commerciale e dei servizi, industriale, delle costruzioni, agrario, nautico ed aeronautico", mentre gli istituti professionali "hanno per fine precipuo quello di fornire la specifica preparazione tecnico-pratica per l'esercizio di mansioni qualificate nei settori commerciale, e dei servizi, industriale ed artigiano, agrario e nautico". Dalle definizioni sopra riportate emerge con evidente chiarezza come i due istituti siano molto simili, in quanto entrambi finalizzati al conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore quale titolo a carattere professionalizzante, attraverso percorsi privilegianti modalita' di insegnamento prettamente tecnico-pratiche. La disciplina relativa ai titoli ed alle qualifiche in argomento, infatti, e' attualmente di competenza esclusiva regionale e lo stesso decreto legislativo n. 226 del 2005, al comma 13 dell'articolo 1, aveva testualmente ribadito che: "Tutti i titoli e le qualifiche a carattere professionalizzante sono di competenza delle regioni e province autonome e vengono rilasciati esclusivamente dalle istituzioni scolastiche e formative del sistema d'istruzione e formazione professionale". La ratio della non annoverabilita' dei medesimi all'ambito dell'istruzione e la conseguente abrogazione normativa consentiva alle regioni di poter costituire, in forza della propria potesta' legislativa residuale, istituzioni pubbliche con funzioni analoghe a quelle degli istituti tecnici e professionali da inserire nel sistema dell'istruzione e formazione professionale. Ed invero, codesta ecc.ma Corte nel definire l'ambito applicativo della materia "istruzione e formazione professionale" ha affermato espressamente che detta competenza esclusiva delle regioni riguarda la istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a cio' destinati, sia mediante strutture proprie che le singole regioni possano approntare in relazione alla peculiarita' delle realta' locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi (cfr. sentenza 28 gennaio 2005, n. 50). La pronuncia, oltre a stabilire i margini della potesta' legislativa regionale in subjecta materia, conferma, altresi', l'assetto normativo ad ora delineato per quanto concerne la potesta' amministrativa regionale. Gia' il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 recante "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59", a Costituzione invariata, infatti, aveva definito la "formazione professionale" come il complesso degli interventi destinati al primo inserimento, inclusa la formazione tecnico-professionale superiore, nonche' al perfezionamento, alla riqualificazione e all'orientamento professionali, con valenza prevalentemente operativa, per qualsiasi attivita' di lavoro e per qualsiasi finalita'. Tale ambito, quindi, ricomprendeva anche la formazione impartita dagli istituti professionali, benche' non prevedenti corsi di studio di durata quinquennale volti al conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore, nonche' la formazione continua, permanente e ricorrente e quella conseguente a riconversione di attivita' produttiva. Inoltre il comma 3 dell'articolo 141 del summenzionato decreto precisava che "l'istruzione artigiana e professionale" coincide con la "formazione professionale". Se, pertanto, la formazione professionale viene cosi' identificata dalla legge, il quadro normativo supra richiamato risultava tutt'altro che in conflitto con la materia "istruzione e formazione professionale" di cui all'attuale articolo 117, comma terzo, della Costituzione, risultandone, al contrario, arricchito in termini di offerta formativa per quanto particolarmente attiene agli istituti pubblici finalizzati all'insegnamento professionalizzante, senza alcuna compromissione delle potesta' garantite dalla Carta fondamentale. Coerentemente a tale contesto, infatti, l'articolo 28, comma 4 del d.lgs. n. 226 del 2005 aveva previsto il trasferimento aggiuntivo di beni, risorse finanziarie, umane e strumentali necessari per l'esercizio delle ulteriori funzioni e compiti conferiti alle regioni e agli enti locali in conformita' a quanto previsto dagli articoli 117 e 118 della Costituzione ed in stretta correlazione con l'attuazione delle disposizioni del Capo III riferito appunto alla "istruzione e formazione professionale". Il legislatore statale, invece, con il comma 1 ed i successivi commi 8-bis e 8-ter della legge di conversione in esame modifica completamente quanto concordato in sede di Conferenza unificata relativamente al decreto legislativo n. 226 del 2005 e stabilisce, senza alcun coinvolgimento regionale, non solo di reintrodurre gli istituti tecnici e gli istituti professionali, inserendoli nel sistema dell'istruzione secondaria superiore, ma anche di disciplinarli unilateralmente senza la previsione di alcun modello di concertazione con le regioni, incurante delle prerogative costituzionali garantite alle medesime e in palese violazione del riparto delle competenze legislative disegnato dall'articolo 117 della Costituzione ut supra argomentato. Ed invero la violazione delle prerogative regionali risulta palese sia che si valuti il conflitto emerso tra l'inserimento degli istituti nel sistema dell'istruzione e la ratio legislativa del 2003 che aveva considerato gli istituti medesimi rientranti nella materia "istruzione e formazione professionale", sia che si assuma l'appartenenza degli istituti di cui si tratta alla materia "istruzione" di competenza concorrente di cui all'articolo 117, comma terzo della Costituzione. In punto, anche qualora si giungesse alla dubbia conclusione che la disposizione contenuta nel comma 1, ovvero la determinazione di attrarre gli istituti tecnici e gli istituti professionali nel sistema dell'istruzione, integri un principio fondamentale in materia di istruzione, l'assunto fondante la pretesa legittimita' della norma statale circa la statuizione di un principio in materia concorrente, non e' sicuramente sostenibile in riferimento ai successivi comme 1-bis, 1-ter e 1-quater. Infatti, con il comma 1-bis il legislatore statale, laddove prevede i riordino ed il potenziamento, sempre di fonte statale, da attuarsi mediante le disposizioni di rango regolamentare di cui al successivo comma 1-ter, in sostanza si arroga una competenza disciplinatoria di dettagli incompatibile con il comma terzo dell'articolo 117 della Costituzione. Pertanto, anche a voler attribuire all'inserimento degli istituti tecnici e degli istituti professionali nel sistema dell'istruzione secondaria superiore valenza di principio generale in materia di istruzione, posizione assolutamente non condivisibile dallo scrivente patrocinio in base alle argomentazioni proposte, proprio la previsione del rinvio ad una successiva disciplina pare confermare come solo al comma 1 sia eventualmente riconoscibile natura di principio fondamentale. In effetti, al riguardo, codesta ecc. ma Corte ha ampiamente chiarito che in materia di istruzione le norme che integrano i principi fondamentali sono solo quelle che pur sorrette da esigenze unitarie, non esauriscono in se' stesse la loro operativita', ma informano altre norme piu' o meno numerose. Ebbene, le ulteriori norme alle quali codesta ecc.ma Consulta s riferisce non possono che essere necessariamente e incontrovertibilmente regionali attesi i tratti caratterizzanti le materie a potesta' normativa concorrente ed il nesso sussistente tra disposizioni di principio e norme di dettaglio, di tal che la definizione delle seconde e' rimessa all'autonomia regionale al fine di rendere operativi i principi fissati dalle prime. Qualora, per converso, si accedesse all'ipotesi che il legislatore statale abbia limitato il proprio intervento al comma 1, dell'articolo 13 nell'ambito della competenza concorrente in materia di istruzione, conseguentemente illegittima sarebbe altresi' la disposizione contenuta nel comma 1-ter che attribuisce al Ministro competente il potere regolamentare in ordine alla disciplina di dettaglio, in palese violazione dell'articolo 117, comma sesto della Costituzione. Benche' sia incontrovertibile la disposizione che consente allo Stato di emanare regolamenti solo in materie di competenza esclusiva, giusta quanto espressamente affermato nel testo costituzionale, viene comunque richiamata, per mera completezza espositiva, una delle piu' recenti decisioni di codesta ecc.ma Corte, ove e' stato inequivocabilmente ribadito, in un giudizio vertente su di un conflitto di attribuzioni, che non spetta allo Stato stabilire con norme regolamentari i requisiti delle societa' scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, trattandosi di provvedimento incidente sulle competenze costituzionali residuali e concorrenti regionali (sentenza 13 ottobre 2006, n. 328). In proposito, si evidenzia che oggetto dei regolamenti e' proprio la programmazione della rete scolastica, ma tale funzione e' gia' stata delegata alle regioni sin dal d.lgs. n. 112 del 1998 . Sul punto specifico si osserva che la funzione in argomento prevista all'articolo 138, comma 1, lettera b) del decreto teste' citato, risulta inscindibile dalla funzione di programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale di cui alla lettera a), stesso comma, del medesimo articolo. D'altro canto l'articolo 7, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 "Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3" (c.d. La Loggia) prevede espressamente che, fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti attuativi del novellato articolo 118 della Costituzione, le funzioni amministrative continuano ad essere esercitate secondo le attribuzioni stabilite dalle disposizioni vigenti, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale. Pertanto, secondo l'orientamento di codesta ecc.ma Consulta - che considera implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le regioni di una funzione gia' ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall'articolo 138, del d.lgs. n. 112 del 1998 - nella materia de qua non si puo' rinvenire alcuno spazio di intervento per il legislatore statale, (sentenza 13 gennaio 2004, n. 13). Strettamente connesso ai commi 1-bis e 1-ter e', poi, il comma 1-quater che stabilisce il termine entro il quale i predetti regolamenti dovrebbero essere adottati. Infine, per completezza di trattazione, ribadita la prospettazione proposta, in ogni caso, l'apodittica pretesa di ascrivere le disposizioni in argomento ad una materia di competenza esclusiva statale non basterebbe a scongiurare la censura afferente la violazione del principio di leale collaborazione. Come codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto occasione di affermare anche nell'ambito delle potesta' esclusive statali si possono intrecciare profili di competenza regionale concorrente e residuale (cfr. sentenza 16 giugno 2005, n. 231). Nel quadro normativo in esame l'interconnessione e' innegabile, in quanto il sistema dell'istruzione secondaria deve necessariamente coordinarsi con il sistema dell' istruzione e formazione professionale ed infatti, il comma 1-quinquies in realta' prevede l'adozione di apposite linee guida d'intesa con la Conferenza unificata per raccordare detti sistemi. Tuttavia, la collocazione del momento concertativo in un contesto che ha ormai pregiudicato ogni possibilita' di intervento regionale, sostanzialmente vanifica l'intesa, laddove la legge in esame ha gia' unilateralmente e compiutamente definito la disciplina concernente anche gli istituti tecnici e professionali. D'altro canto, codesta ecc.ma Corte ha ripetutamente rilevato come questioni di legittimita' costituzionale possano scaturire da interferenze tra norme ascrivibili a materie di competenza esclusiva, spettanti allo Stato ed altre, come appunto l'istruzione e la formazione professionale di competenza residuale, alle regioni. In tali ipotesi si verterebbe, piu' correttamente, in tema di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente. La Costituzione non prevede criteri specifici per la composizione di siffatti conflitti ed e' quindi necessario il ricorso a principi generali, quale e' quello di leale collaborazione, che per la sua elasticita' consente di aver riguardo alle peculiarita' delle singole situazioni (sentenza n. 50 del 2005). Nei commi 1, 8-bis e 8-ter il legislatore, dunque, ha deciso inopinatamente e senza alcun raccordo con la Regione, non essendo previsto alcun momento di concertazione da formalizzare nelle sedi istituzionali proprie, di modificare unilateralmente il decreto legislativo n. 226 del 2005 sconvolgendo quanto precedentemente ed espressamente concordato con le regioni; per di piu', nei commi successivi 1-bis, 1-ter e 1-quater, laddove stabilisce la procedura per l'adozione dei regolamenti statali, ha de facto escluso illegittimamente qualsiasi possibilita' di intervento normativo o istituzionale da parte delle regioni.
P. Q. M. Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli articoli 10, comma 4, e 13, commi 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, 8-bis e 8-ter, nonche' ogni altra disposizione ad essi consequenziale, della legge 2 aprile 2007, n. 40 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7 recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attivita' economiche e la nascita di' nuove imprese" - pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2007, n. 77 suppl. ord. n. 91/L - per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione nonche' del principio di leale collaborazione. Venezia-Roma, data 24 maggio 2007 Avv. Ezio Zanon - Avv. Andrea Manzi