Ricorso n. 28 del 28 febbraio 2006 (Regione Toscana)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 febbraio 2006 , n. 28
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 28 febbraio 2006 (della Regione Toscana)
(GU n. 13 del 29-3-2006)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del presidente pro tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 97 del 20 febbraio 2006, rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto, dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del Viminale n. 43; contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 24, 26, 198, 202, 280, 281, 286, 287, 291, 322, 366, 369, 483, 486, 491, 597, 598, 599 e 600 della legge 29 dicembre 2005, n. 266 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)», per violazione degli artt. 114, 117, 118 e 119 Cost. Nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005, supplemento ordinario e' stata pubblicata la legge finanziaria per l'anno 2006. Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze regionali per i seguenti motivi di D i r i t t o 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 24 per violazione degli artt. 117 e 119 Cost. La norma dispone che, in attuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica, ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica ed in particolare come principio di equilibrio tra lo stock patrimoniale ed i flussi dei trasferimenti erariali, nei confronti degli enti territoriali soggetti al patto di stabilita' interno, i trasferimenti erariali a qualsiasi titolo spettanti sono ridotti in misura pari alla differenza tra la spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto da terzi di immobili e la spesa media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita'. Nei confronti delle regioni viene operata un'analoga riduzione sui trasferimenti statali a qualsiasi titolo spettanti. La norma tende a contenere nel 2006 la spesa derivante dall'acquisto di immobili da parte delle regioni (e piu' in generale di tutti gli enti territoriali), con l'eccezione prevista dal comma 25, per l'acquisto di immobili da destinare a sede di ospedali, ospizi, scuole, asili. La disposizione viola gli artt. 117 e 119 Cost. Si riduce infatti l'ammontare dei trasferimenti erariali spettanti a regioni ed enti locali in misura che viene rapportata alla spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto di beni immobili. Cosi' si incide in primo luogo sull'autonomia organizzativa delle regioni ed enti locali, perche' i beni immobili vengono acquistati per l'esercizio di attivita' istituzionali ovvero per esigenze connesse all'esercizio di funzioni proprie: per evitare la drastica riduzione prevista dalla norma non rimane altro che rinunciare a detti acquisti e, quindi, a sedi necessarie per l'esercizio dei compiti istituzionali. Si ha quindi una pesante interferenza sull'autonomia organizzativa garantita dall'art. 117 Cost. Inoltre la misura e' palesemente irrazionale, perche' colpisce la spesa fatta nel 2006; tale spesa tuttavia, nella prevalenza dei casi, si riferisce ad acquisti gia' deliberati negli anni pregressi, che quindi non possono essere contenuti. Cosi' ad esempio l'Amministrazione ricorrente ha deliberato nel 2005 l'acquisto di immobili per la sede dei propri uffici (in modo del tutto conveniente perche' sono stati acquistati gli immobili che erano in precedenza in locazione, ponendo cosi' fine al pagamento del canone di affitto) ed il pagamento del corrispettivo va effettuato nel 2006. Bloccare la spesa nel 2006 significherebbe incorrere nel pagamento di penali; d'altra parte l'obbligazione e' stata assunta quando la disposizione ora impugnata non era in vigore. Da cio' consegue che si deve subire una rilevante penalizzazione dei trasferimenti erariali a fronte di una corretta programmazione ed attuazione degli acquisti immobiliari necessari per il patrimonio regionale. Tale irrazionalita' determina una incisiva invadenza dell'autonomia patrimoniale della regione e degli enti locali, in violazione dell'art. 119, ultimo comma Cost. L'impugnata disposizione contrasta ulteriormente con l'art. 119 Cost. perche' determina il blocco di un fondamentale canale di finanziamento delle competenze regionali e degli enti locali. Poiche' il bilancio delle suddette Amministrazioni deve chiudere in pareggio, la riduzione di risorse finanziarie che viene determinata dalla disposizione impugnata e' destinata ad incidere su una contrazione delle politiche che si realizzano tramite l'allocazione delle risorse libere. Percio' la norma viola il principio dell'autosufficienza finanziaria sancito dall'art. 119 Cost. e non consente l'ordinario esercizio delle competenze proprie del sistema delle autonomie. La compressione delle risorse finanziarie conseguente alla previsione della norma impugnata discende ulteriormente anche dal fatto che, come ha chiarito la Corte costituzionale, l'attuazione del rinnovato disegno costituzionale tradottosi nel nuovo art. 119 Cost. richiede l'intervento del legislatore statale, posto che «non e' ammissibile in materia tributaria, una piena esplicazione di potesta' regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale» (sentenza n. 37/2004). Quindi alle regioni non e' consentito, in assenza della legge statale di coordinamento, ne' prevedere tributi regionali, ne' legiferare sui tributi esistenti gia' istituiti e regolati dalla legge statale; d'altra parte la legge statale di coordinamento del sistema tributario e' ben lontana dall'essere emanata. In tale contesto caratterizzato dunque dalla permanenza «di una finanza regionale e locale ancora in non piccola parte derivata, cioe' dipendente dal bilancio statale» (sentenza n. 37/2004), e' essenziale che sia almeno garantito il finanziamento delle autonomie secondo le regole della legislazione statale emanata nella vigenza del precedente Titolo V, perche' quelle regole rappresentano il minimo indispensabile per il funzionamento regionale. Prevedere una riduzione dei trasferimenti erariali senza alcuna programmazione e senza alcun accordo con le Regioni significa comprimere indebitamente l'autonomia regionale e degli enti locali. Questo e' confermato dalla giurisprudenza costituzionale la quale, nell'evidenziare l'assenza nell'art. 119 Cost. di un'efficacia precettiva immediata per quanto attiene alla possibilita' per le Regioni di istituire tributi propri, ha comunque fissato un limite agli interventi del legislatore statale; infatti nella fase transitoria (e, ovviamente, a fortiori, per gli interventi normativi successivi) «vale (...) il limite discendente dal divieto di procedere in senso inverso a quanto oggi prescritto dall'art. 119 della Costituzione, e cosi' di sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di autonomia gia' riconosciuti dalle leggi statali in vigore alle regioni e agli enti locali, o di procedere a configurare un sistema finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119» (sentenza n. 37/2004 citata). E' dunque posto il principio del divieto di interventi normativi dello Stato peggiorativi dell'assetto delle relazioni finanziarie fra i diversi livelli di governo attualmente in essere e non in linea con la logica della tendenziale indipendenza finanziaria degli enti locali sottesa al novellato art. 119 della Costituzione. L'impugnata disposizione, invece, contravviene tale divieto perche' prevede una irrazionale ed ingiustificata riduzione dei trasferimenti erariali, cosi' riducendo le entrate regionali e degli enti locali; d'altra parte la medesima norma non puo' ritenersi legittima in nome del coordinamento della finanza pubblica e della richiamata unita' economica della Repubblica. Ai sensi dell'art. 117, terzo comma e 119 Cost., infatti, le suddette finalita' vanno assicurate dallo Stato con la predeterminazione dei principi del coordinamento finanziario e tributario. La norma impugnata non e' qualificabile come principio di coordinamento della finanza pubblica, perche' non possiede, dei principi, la generalita', la struttura e la funzione. Infatti i principi vanno colti ad un livello di maggiore astrattezza rispetto alla regola positivamente stabilita (sentenza n. 65/2001); l'articolo contestato pone invece disposizioni di dettaglio, autoapplicative, incidenti sulla peraltro esigua autonomia finanziaria regionale e degli enti locali. Tutto cio' determina la illegittimita' costituzionale denunciata. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 26 per violazione degli artt. 114, 117, 118 e 119 Cost. - Violazione del principio della leale collaborazione. Il comma 26 prevede, ai fini del monitoraggio degli obiettivi strutturali di manovra concordati con l'Unione europea nel quadro di stabilita' e crescita, l'obbligo per le Amministrazioni di cui ai commi 23 e 24 (Regioni ed enti locali compresi) di inviare al Ministro dell'economia e finanze - Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, una comunicazione contenente le informazioni trimestrali cumulate degli acquisti e delle vendite di immobili per esigenze di attivita' istituzionali o finalita' abitative. Tale obbligo di per se' non sarebbe lesivo, perche' finalizzato a meri scambi informativi. La norma prosegue pero' stabilendo che la suddetta comunicazione e' inviata anche all'Agenzia del territorio (incardinata nell'ambito dell'Amministrazione statale) che procede a «verifiche sulla congruita' dei valori degli immobili acquisiti segnalando gli scostamenti rilevanti agli organi competenti per le eventuali responsabilita». La previsione, come gia' evidenziato, si applica anche alle regioni e agli enti locali, ed introduce un controllo di merito a posteriori sulla congruita' del valore di acquisto degli immobili, con denuncia ai fini del giudizio di responsabilita' ove l'Agenzia del territorio ritenga il valore non «congruo». Tale previsione e' in contrasto con gli artt. 114,117, 118 Cost. L'art. 114 Cost. prevede infatti una equiordinazione tra lo Stato, le regioni e gli enti locali; la riforma del Titolo V attribuisce quindi una pari dignita' costituzionale a tutti gli enti che costituiscono la Repubblica ed ha abolito i vari controlli prima previsti dagli artt. 125 e 130 Cost.: non appare pertanto conforme a detto sistema basato sulla equiordinazione degli enti il controllo fatto da un organismo statale con finalita' di attivazione del giudizio di responsabilita'. Gli artt. 117 e 118 Cost., d'altra parte, non prevedono un titolo che legittimi lo Stato a dettare norme come quella in esame che non disciplina uno scambio di informazioni, magari preventivo, per migliorare l'azione delle pubbliche amministrazioni, ma introduce un controllo volto a verificare il prezzo al quale sono stati acquistati gli immobili, con denuncia all'autorita' competente per i ravvisati scostamenti. Inoltre la norma non indica i criteri in base ai quali l'Agenzia del territorio debba effettuare detta verifica e quindi valutare la sussistenza di eventuali scostamenti, con la conseguenza che non sono a priori noti i parametri del giudizio. La Corte costituzionale ha ritenuto ammissibili controlli che abbiano ad oggetto le attivita' delle amministrazioni in riferimento ai risultati raggiunti, tenuto conto delle procedure e dei mezzi usati per il loro raggiungimento, perche' il controllo sulla gestione come delineato dalla legge n. 20/1994, non assume rilievo diretto in ordine alla responsabilita' dei funzionari e cio' in quanto «l'esito del controllo ... consta di relazioni, almeno annuali, che vengono inviate tanto agli organi che assumono le decisioni politiche... quanto alle stesse amministrazioni interessate, al fine di agevolare l'adozione di soluzioni legislative e amministrative dirette al raggiungimento dell'economicita' e dell'efficienza nell'azione degli apparati pubblici» (sentenza n. 29/1995). Tale sistema e' dunque legittimo perche' e' diretto a stimolare nell'ente e nell'amministrazione controllati processi di «autocorrezione» sul piano dell'attivita' gestionale e dell'organizzazione; si tratta quindi di un sistema basato su «un'attivita' essenzialmente collaborativa dalla quale non puo' derivare alcuna sanzione nel senso proprio del termine» (cosi' sentenza n. 29/1995 citata). L'impugnata disposizione, invece, non rispetta tali principi e percio' lede l'autonomia amministrativa della Regione e degli enti locali, garantite dagli artt. 114, 117 e 118 Cost. La norma lede anche l'autonomia patrimoniale delle Amministrazioni regionali e locali, garantita dall'art. 119 ultimo comma Cost., perche' non assumono alcun rilievo le esigenze che hanno indotto le medesime ad incrementare il proprio patrimonio, necessario per lo svolgimento delle attivita' istituzionali. La disposizione, infine, e' contraria anche ad ogni fondamentale principio di leale collaborazione tra Stato, Regioni ed autonomie locali, il quale imporrebbe, in ipotesi, l'attivazione di un contraddittorio preliminare volto ad evitare che il danno si verifichi e che vengano deliberati acquisti immobiliari ad un valore non congruo. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 198 e comma 202 per violazione degli artt. 117 e 119 Cost. La norma dispone che le regioni, gli enti locali e gli enti del servizio sanitario concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'l%; a tale fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni. La norma, quindi introduce un vincolo alla spesa per il personale, vincolo puntuale e specifico che si aggiunge ai vincoli preesistenti e previsti dalla precedente legge finanziaria: infatti e' disposto che resta fermo il conseguimento delle economie di cui all'art. 1 commi 98 e 107 della legge n. 311/2004. La disposizione e' incostituzionale. L'art. 117, secondo comma della Costituzione riserva alla potesta' legislativa esclusiva statale la materia dell'ordinamento ed organizzazione amministrativa unicamente con riferimento allo Stato e agli enti pubblici nazionali; conseguentemente compete alle regioni disciplinare, nell'esercizio della potesta' legislativa residuale ex art. 117, quarto comma, l'organizzazione amministrativa e l'ordinamento del personale della regione e degli enti regionali. In tale materia, dunque, la competenza legislativa delle regioni e' piena e deve svolgersi nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Parimenti compete alle regioni dettare disposizioni di carattere ordinamentale ed organizzatorio relative agli enti del servizio sanitario: quale che sia infatti la qualificazione giuridica che si intenda attribuire alle aziende ASL, e' comunque certo che le stesse non sono enti pubblici nazionali e percio' la competenza a disciplinare la relativa organizzazione amministrativa e l'ordinamento del personale non e' statale, stante il disposto dell'art. 117, secondo comma, lett. g) della Costituzione. La Corte costituzionale ha riconosciuto sussistere un'ampia autonomia regionale in materia di ordinamento degli uffici e di stato giuridico dei dipendenti - in cui rientra evidentemente anche la disciplina delle assunzioni - gia' sotto il regime del previgente art. 117 Cost. ( sentenze n. 278/1983; n. 772/1988; n. 277/1983; n. 10/1980; ordinanza n. 515/2002) e percio' tale potesta' sussiste con maggior ampiezza oggi, nella vigenza del nuovo titolo V, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 274/2003 e nella pronuncia n. 17/2004, ove e' rilevato che «nell'assetto delle competenze costituzionali configurato dal nuovo titolo V, parte II, della Costituzione, l'autofinanziamento delle funzioni attribuite a regioni ed enti locali non costituisce altro che un corollario della potesta' legislativa regionale esclusiva in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa...». Impedire alle regioni di assumere personale significa incidere sull'ordinamento e sull'organizzazione della regione stessa. Oltre tutto, come gia' evidenziato, si assommano vincoli a vincoli: ogni anno la legge finanziaria pone vincoli ulteriori alla possibilita' per le regioni e gli enti locali di programmare l'uso delle risorse umane in base agli obiettivi da raggiungere e alle funzioni da svolgere. Applicare tutti i vincoli che si assommano significherebbe procedere al licenziamento di personale a tempo indeterminato e non poter ricoprire i posti vacanti nemmeno nei limiti del turn over e, quindi, delle avvenute cessazioni dei rapporti di lavoro. Il nuovo vincolo introdotto dalla norma impugnata vale anche per il settore sanitario (ove l'unica deroga per l'anno 2006 e' prevista dal comma 403 per far fronte alle emergenze sanitarie connesse al controllo dell'influenza aviaria), con grave ripercussione sull'organizzazione del medesimo: se e' vacante il posto del radiologo, dell'anestesista, dell'infermiere, l'azienda USL, per assicurare le prestazioni ai cittadini, dovra' inevitabilmente esternalizzare i servizi, cioe' farli svolgere da strutture esterne alle aziende. Questo tuttavia non determina alcun risparmio, perche' e' evidente che il servizio esterno deve comunque essere pagato dal fondo sanitario, mentre determina una disintegrazione del servizio sanitario pubblico. L'illegittimita' e' dunque evidente, perche' la regione non puo' cosi' esercitare il proprio ruolo di programmazione ed organizzazione del servizio sanitario, in violazione delle competenze attribuite dall'art. 117 Cost. Ne' la norma puo' ritenersi legittima per l'invocato concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica. Infatti il legislatore statale legittimamente impone anche alle Amministrazioni regionali e locali di rispettare i suddetti obiettivi, ma poi - posto tale principio - deve lasciarsi spazio all'autonomia degli enti di decidere come attuarlo. Non si contesta la previsione del contenimento della spesa, ma l'individuazione specifica della voce di spesa da contenere. L'invasione dell'autonomia delle regioni e degli enti locali da parte di norme come quella in esame e' confermata dalla giurisprudenza costituzionale, la quale ha rilevato che «le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e ledono, pertanto, l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost.» (punto 6.3 del Considerato in diritto della recente sentenza n. 417/2005). Tale pronuncia conferma quanto la Corte costituzionale aveva gia' affermato nelle precedenti sentenze n. 390 del 2004 e n. 36 del 2004, ove si legge che la legge statale puo' stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa». Nello stesso senso nella recente sentenza n. 449/2005 e' affermato: «Secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la previsione, da parte della legge statale, di limiti all'entita' di una singola voce di spesa della Regione non puo' essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica (ai sensi dell'art. 117 terzo comma, Cost.), perche' pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della spesa e si risolve percio' in una indebita invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (v., ex multis, sentenze n. 417 del 2005 e nn. 390 e 36 del 2004). Premesso che questa Corte e' chiamata a scrutinare la norma censurata esclusivamente sotto il profilo del riparto di competenze legislative, va rilevato che detta norma stabilisce un vincolo puntuale di spesa alle regioni, e, pertanto, alla stregua della sopra richiamata giurisprudenza costituzionale, contrasta con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. e deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui si applica al personale delle regioni». Pertanto limiti e vincoli puntuali a specifiche voci di spesa delle Regioni e degli enti locali (quale e' quella in esame concernente le spese di personale) sono incostituzionali per violazione degli artt. 117 e 119 Cost. Per gli stessi motivi ora esposti appare incostituzionale anche la disposizione contenuta nel comma 202 dell'art. 1, ove si stabilisce che al finanziamento degli oneri contrattuali del biennio 2004-2005 concorrono le economie di spesa di personale riferibili all'anno 2005, come individuate dall'art. 1, comma 91 della legge n. 311/2004: anche in tal caso si fissa un vincolo puntuale circa gli scopi per cui utilizzare risorse del bilancio della Regione e degli enti locali del tutto incompatibile con l'autonomia prevista dagli artt. 117 e 119 Cost. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 280, 281, 286 e 287 per violazione dell'art. 117 e 119 Cost. I commi da 275 a 316 riguardano la Sanita'. Nel loro complesso le disposizioni sono fortemente lesive dell'autonomia regionale perche' non tengono conto dei costi effettivi dei livelli essenziali di assistenza, non finanziano il fabbisogno sanitario e non danno copertura totale alle partite pregresse relative al 2004, consolidando cosi' la sottostima del fondo sanitario nazionale. La sospensione del vigente meccanismo del federalismo fiscale per il periodo 2002-2005, meccanismo che finanzia la sanita', ha comportato un minor esborso a danno delle regioni pari a 12,6 mld di euro. Per la Regione Toscana cio' ha significato minori introiti per 730 mln di euro, un consistente deterioramento della liquidita' regionale e di quella delle ASL e quindi un aggravio dei tempi di pagamento dei fornitori. Il deficit pregresso, dunque, non e' dipeso, per lo meno per la Regione ricorrente, da una cattiva programmazione e gestione del servizio sanitario, ma da una sottostima del fondo sanitario nazionale e dalla mancata attuazione del federalismo fiscale. In questo contesto, si impugnano le evidenziate disposizioni. Il comma 280 prevede che l'accesso alle risorse previste dal comma 279 (e precisamente 2.000 milioni di euro per il 2006 per ripiano dei disavanzi di SSN per il 2002, 2003 e 2004) sia subordinato ad una serie di condizioni. Tra le piu' pesanti e' che sia espressa l'intesa sullo schema del piano sanitario nazionale 2006-2008; poi sono posti ulteriori vincoli finalizzati al contenimento dei tempi di attesa. In sostanza si lega la disponibilita' di risorse per la copertura dei disavanzi pregressi a futuri obblighi, da parte delle regioni, che non hanno alcun collegamento con la causa dei disavanzi medesimi; in pratica si prevede una sorta di «ricatto» alle regioni: per disporre dei fondi per ripianare il deficit - causato, come gia' rilevato, non da cattiva gestione, ma dalla sottostima del fondo sanitario nazionale e dall'inattuazione del federalismo fiscale - le regioni devono dare l'assenso preventivo allo schema del piano sanitario nazionale 2006-2008 e alle previste misure di riduzione delle liste di attesa. La previsione inoltre tende a chiudere ogni rivendicazione futura su eventuali disavanzi (sorti negli anni passati per la sottostima del FSN e per assicurare i LEA), dei quali, dovra', d'ora in poi, farsi carico interamente la regione. Tutto cio' determina una violazione delle competenze regionali in materia di tutela della salute, perche', per disporre delle risorse finanziarie, la regione deve dare il suo assenso a priori a misure incidenti sulle proprie attribuzioni in materia, con violazione dell'art. 117 Cost. E' altresi' violato l'art. 119 Cost. perche' la previsione tende a chiudere ogni rivendicazione futura su eventuali disavanzi sorti negli anni passati, dei quali, dovra', d'ora in poi, farsi carico la regione; inoltre, ove la regione non ritenga di poter dare la propria intesa sullo schema sullo schema del piano sanitario nazionale per mancata condivisione dei contenuti, perdera' l'accesso al concorso finanziario con evidente grave ed ulteriore lesione dell'autonomia finanziaria regionale. Percio' la norma viene impugnata perche' non appare conforme al sistema costituzionale subordinare l'accesso al fondo per il ripiano del deficit pregresso a futuri obblighi regionali che nulla hanno a che vedere con la causa del medesimo deficit. Per gli stessi motivi ora evidenziati si pone in contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost. anche il comma 281 il quale correla - per le regioni che abbiano registrato un disavanzo nel periodo 2001-2005, come certificato dal tavolo di monitoraggio, superiore al 5% o comunque un disavanzo nel 2005 pari o superiore al 200% rispetto al 2001 - la possibilita' di accedere al fondo suddetto di 2.000 milioni di euro per il disavanzo sanitario alla stipula di un ulteriore accordo con lo Stato finalizzato all'adeguamento rispetto alle indicazioni del piano sanitario nazionale 2006-2008 e all'equilibrio economico nel rispetto dei LEA. Si tratta di un ulteriore vincolo per l'accesso al finanziamento, basato su un nuovo accordo, con modalita' e finalita' diverse da quelli previsti nella legge finanziaria 2005 e nell'intesa del 23 marzo 2005. Il rispetto dei diversi adempimenti e delle diverse percentuali di disavanzo posti nei vari provvedimenti rende impossibile una programmazione dell'attivita' sanitaria regionale e, ancora, si subordina la possibilita' di accedere al finanziamento per risanare i pregressi deficit al rispetto di prescrizioni che non hanno correlazione alcuna con le cause del disavanzo. Il comma 286 dispone che la cessione a titolo di donazione di apparecchiature e materiali dismessi da ASL, aziende ospedaliere, istituti di ricoveri e cura e organizzazioni similari sia promossa e coordinata dall'Alleanza degli ospedali italiani nel mondo; il comma 287 stabilisce che la suddetta «Alleanza» promuove i contatti per facilitare le donazioni e produce un rapporto biennale sulle attivita' svolte, da inviare al Ministro della salute e alla Conferenza dei presidenti delle regioni. Tali disposizioni impongono il ricorso alla Alleanza degli Ospedali nel mondo senza tener conto e fare salve le strutture gia' attivate per lo stesso fine dalle regioni, con lesione delle relative attribuzioni in materia di tutela della salute e, quindi, in violazione dell'art. 117 Cost. 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 291, per violazione dell'art, 117 Cost. La norma prevede che con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, sono definiti i criteri e le modalita' di certificazione dei bilanci delle ASL, delle aziende ospedaliere, degli istituti di ricovero e cura, degli istituti zooprofilattici, delle aziende ospedaliere universitarie. La Regione Toscana gia' da tempo ha avviato un progetto per la certificazione dei bilanci delle aziende, che impone la rispondenza dei dati contabili alle operazioni effettivamente svolte dalle aziende stesse, nel rispetto delle regole e dei principi fissati dai dottori e ragionieri commercialisti. Per tale fine e' essenziale una buona struttura del sistema di controllo interno degli enti, in grado di assicurare correttezza, efficacia, trasparenza dei dati. Stabilire tali criteri e modalita' di certificazione dei bilanci delle aziende sanitarie, degli enti ed organismi regionali rientra nell'organizzazione del sistema sanitario e regionale e, quindi, dovrebbe costituire oggetto di disciplina regionale, nel rispetto dei principi determinati dallo Stato, ai sensi dell'art. 117 Cost. La norma impugnata non rispetta tale competenza: di qui la denunciata illegittimita'. Inoltre e' incostituzionale l'attribuzione ad un atto regolamentare della competenza in oggetto, per violazione dell'art. 117 sesto comma Cost., posto che il regolamento statale puo' intervenire solo nelle materie di competenza esclusiva dello Stato, il che non ricorre nel caso in esame, per i motivi sopra esposti. 6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 322, per violazione dell'art. 119, Cost. Le disposizioni contenute nei commi 319 e 320 sbloccano le risorse finanziarie dovute alle Regioni in base al decreto legislativo n. 56 del 2000. Tuttavia la norma impugnata contenuta nel comma 322 e' incostituzionale per violazione dell'art. 119 Cost.: essa infatti dispone che le risorse dovute alle regioni ai sensi dei commi 319 e 320 sono corrisposte secondo un piano graduale, definito entro il 31 marzo 2006, con decreto del Ministero dell'economia, sentita la Conferenza Stato-regioni. Le regioni hanno gia' subito aggravi di costi e difficolta' operative per il ritardo nell'erogazione delle somme che avrebbero dovuto ricevere negli anni 2002, 2003, 2004 e 2005, per cui il principio ora introdotto di gradualita' penalizza ancora i bilanci regionali. Pertanto la disposizione e' costituzionalmente illegittima perche' le risorse di cui al decreto legislativo n. 56/2000, che sono state bloccate sino ad ora, dovrebbero essere ormai erogate senza ulteriori condizioni limitative e dilatorie, pena altrimenti una eccessiva lesione dell'autonomia finanziaria regionale garantita dall'art. 119 Cost. 7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 366 e 369 per violazione degli artt 117 e 118 Cost. La norma prevede che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attivita' produttive, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, con il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, sono definite le caratteristiche e le modalita' di individuazione dei distretti produttivi, quali libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, con l'obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l'efficienza nell'organizzazione e nella produzione, secondo principi di sussidiarieta' verticale ed orizzontale. Vengono quindi individuate le disposizioni applicabili ai distretti produttivi, di natura fiscale, amministrativa, finanziaria, per la ricerca e lo sviluppo; e' poi stabilito che le norme in favore dei distretti produttivi di cui al comma 366 si applicano anche ai distretti rurali e agro-alimentari, ai sistemi produttivi, ai sistemi produttivi locali, ai distretti industriali ed ai consorzi di sviluppo industriale. Dunque le disposizioni impugnate attribuiscono al decreto ministeriale il compito di definire le caratteristiche e le modalita' di individuazione dei distretti (industriali, produttivi, rurali, agro-alimentari, dei sistemi produttivi, dei sistemi produttivi locali, dei consorzi di sviluppo industriale): cio' non appare conforme al modello costituzionale. Infatti i distretti e tutte le suddette aggregazioni operano in materie di sicura competenza residuale regionale (commercio, sviluppo economico, industria): pertanto stabilire le caratteristiche e le modalita' di individuazione dei distretti e' competenza regionale, nel rispetto degli artt. 117 e 118 Cost. La regione ricorrente, infatti, ha provveduto all'individuazione e all'organizzazione dei distretti e dei sistemi produttivi locali con deliberazione consiliare 21 febbraio 2000, n. 69 ed ha gia' svolto molteplici interventi a favore del sistema produttivo regionale per rafforzare la competitivita' dei contesti territoriali locali. Le impugnate disposizioni attribuiscono invece le competenze di definizione delle caratteristiche e delle modalita' di individuazione dei distretti, peraltro gia' esercitate dalle regioni, allo Stato, in violazione dell'art. 117 Cost. Ma le impugnate norme sono incostituzionali anche per violazione dell'art. 118 Cost. sia perche' non sussistono, ne' sono espresse, le ragioni che giustificherebbero l'attrazione delle funzioni amministrative in oggetto in capo allo Stato, sia perche', comunque, non e' prevista l'intesa con le Amministrazioni regionali. Quest'ultima costituisce, invece, il presupposto legittimante per l'attrazione in capo allo Stato della competenza amministrativa, in applicazione del principio di sussidiarieta', secondo i criteri piu' volte affermati da codesta ecc.ma Corte costituzionale (n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004), posto che si verte in ambiti materiali di competenza delle regioni. Le norme impugnate, al contrario, non prevedono alcuna concertazione tra lo Stato e le regioni, con conseguente illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 118 Cost. Inoltre il comma 366 e' incostituzionale anche perche' prevede una fonte regolamentare statale per definire le caratteristiche e le modalita' di individuazione dei distretti, in violazione dell'art. 117, sesto comma Cost., il quale non ammette che il regolamento statale intervenga in ambiti materiali non riservati all'esclusiva competenza statale. Nel caso in esame si verte, per i motivi sopra esposti, in una materia non attribuita allo Stato dall'art. 117, secondo comma, Cost. 7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 483, 486 e 491 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. I commi da 483 a 491 dettano norme relative alle concessioni idroelettriche, modificando alcune disposizioni del decreto legislativo 6 marzo 1999, n. 79. Le norme non prevedono alcuna competenza regionale; anzi la competenza statale e' sancita dal comma 491 con riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera e) Cost. e con il richiamo all'attuazione dei principi comunitari resi nel parere della Commissione europea in data 4 gennaio 2004 (in realta' si tratta del parere del 7 gennaio 2004 ove sono ritenute contrastanti con la liberta' di stabilimento le norme relative alle concessioni di produzione idroelettrica che accordano una preferenza ai concessionari uscenti). Si contesta, innanzitutto, la disposizione contenuta nel comma 491: la disciplina in esame concernente le concessioni idroelettriche non attiene infatti solo alla tutela della concorrenza, ma interferisce con le competenza regionali relative alla produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, di competenza concorrente Stato-Regioni, nonche' al demanio idrico e alla pianificazione riguardante il corretto uso delle acque pubbliche di competenza regionale, ai sensi dell'art. 117, terzo comma Cost., in relazione alle materie del governo del territorio e della valorizzazione dei beni culturali ed ambientali. A tale proposito la giurisprudenza costituzionale ha rilevato che «1'art. 86 del d.lgs. n. 112 del 1998, in attuazione della delega contenuta nella legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), ha conferito alle regioni competenti per territorio l'intera gestione del demanio idrico, e il successivo art. 88 ha poi specficato che detta gestione comprende tutte le funzioni amministrative relative alle derivazioni di acqua pubblica, alla ricerca, estrazione e utilizzazione delle acque sotterranee, alla tutela del sistema idrico sotterraneo, nonche' alla determinazione dei canoni di concessione e all'introito dei relativi proventi successivamente, con decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 e' stata data attuazione alla direttiva 96/1992/CE e si e' pertanto realizzata la condizione cui l'art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998 subordinava il trasferimento delle competenze alle regioni. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 ottobre 2000 (Individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli enti locali per l'esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di demanio idrico), adottato ai sensi dell'art. 7 della legge n. 59 del 1997, si e' infine provveduto a dare definitiva attuazione al disegno prefigurato dai legislatore del 1997, prevedendosi il trasferimento alle regioni, a decorrere dal 1° gennaio 2001, del personale, dei mezzi strumentali e di tutti gli atti relativi agli affari pendenti in materia di denivazioni di acque pubbliche» (sentenza n. 133/2005). La tutela della concorrenza, com'e' noto, costituisce una materia trasversale e pertanto l'attribuzione allo Stato della relativa competenza non elimina - come invece afferma la norma - le attribuzioni delle Regioni nelle specifiche materie in cui e' loro riconosciuta potesta' legislativa. Percio' l'affermazione di cui all'impugnato comma 491, non tenendo in considerazione le citate competenze regionali, viola gli artt. 117 e 118 Cost. Inoltre il richiamo al citato parere del 7 gennaio 2004 della Commissione europea e' pretestuoso: come rilevato in detto parere la Commissione censura le norme che accordano diritti di preferenza ai vecchi concessionari, imponendo cosi' il ricorso ad una effettiva apertura del mercato. Per rispettare tale parere comunitario non e' legittimo espropriare le regioni delle loro competenze; l'attuazione del medesimo ben puo' essere garantita con una normativa che detti principi cui poi le regioni si attengono nell'esercizio delle loro potesta' legislative. Dalla suddetta illegittimita' del comma 491 discende l'incostituzionalita' delle disposizioni contenute nei commi 483 e 486. Il comma 483 viene impugnato nella parte in cui, modificando l'art. 12 del decreto legislativo n. 79/1999, stabilisce che con provvedimento del Ministro delle attivita' produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio sono determinati i requisiti organizzativi e finanziari minimi, i parametri di aumento dell'energia prodotta e della potenza installata concernenti la procedura di gara. Per l'interferenza della disciplina con ambiti materiali di competenza regionale riguardanti, come rilevato, il demanio idrico, la corretta programmazione e gestione delle acque pubbliche, l'energia, il provvedimento ministeriale qui previsto, volto a disciplinare i requisiti organizzativi e finanziari per la gara, dovrebbe essere adottato d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, invece del tutto omessa dall'impugnata disposizione. In tale senso, nella sentenza n. 383/2005, la Corte costituzionale ha affermato che l'esercizio di funzioni allocate a livello statale per esigenze di sussidiarieta' nella materia della produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, deve essere ricondotto a moduli collaborativi con il sistema delle autonomie territoriali nella forma dell'intesa in senso forte fra gli organi statali e la Conferenza unificata, stante la connessione e l'incidenza dei poteri statali con molteplici materie di competenza legislativa concorrente. La mancata previsione dell'intesa nelle impugnate disposizioni determina la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. Il comma 486 prevede un canone aggiuntivo unico di concessione che viene incamerato dallo Stato e dai comuni nella misura rispettivamente di 50 milioni di euro per anno e di 10 milioni di euro per anno. Anche tale disposizione contrasta con gli artt. 117 e 118 Cost.: poiche' le concessioni di derivazione idroelettrica interferiscono con l'esercizio di competenze regionali attinenti, come gia' rilevato, al demanio idrico, alla corretta programmazione e gestione delle acque pubbliche e all'energia, la regione dovrebbe essere coinvolta nel procedimento di determinazione, incameramento e determinazione dell'utilizzo del canone di concessione aggiuntivo introdotto dalla norma. 9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 597, 598, 599, 600 per violazione dell'art. 117 Cost. Il comma 597 dispone che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, emanato previo accordo tra Governo e regioni, sono semplificate le norme in materia di alienazione degli immobili di proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari comunque denominati e cio' al fine della valorizzazione degli immobili costituenti il patrimonio degli istituti medesimi. Il successivo comma 598 elenca gli obiettivi che devono essere garantiti dai principi fissati dall'accordo tra Governo e regioni e regolati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Il comma 599 stabilisce che agli immobili degli istituti proprietari che ne facciano richiesta attraverso le regioni si applicano le disposizioni di cui al decreto legge n. 351/2001 convertito in legge n. 410/2001 riguardanti la privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. Il comma 600 prevede la facolta' per gli istituti proprietari di affidare a societa' specializzate la gestione delle attivita' necessarie al censimento, alla regolarizzazione ed alla vendita dei singoli beni. Tutte le suddette disposizioni intervengono nella materia dell'edilizia residenziale pubblica e, quindi, in un ambito attribuito alla competenza residuale delle regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma Cost. Gia' prima della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione la giurisprudenza costituzionale aveva rilevato che «la materia dell'edilizia residenziale pubblica e' devoluta alla competenza legislativa regionale, ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost.; in tale materia confluiscono attribuzioni inerenti all'urbanistica ed ai lavori pubblici d'interesse regionale (sentenza n. 16 del 1992). La normativa interposta del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, sul presupposto della competenza regionale, riserva allo Stato la sola determinazione dei criteri di assegnazione degli alloggi (art. 88, n. 13), conferendo alle regioni ampi poteri di programmazione e di gestione degli interventi pubblici (art. 93, primo comma), nonche' l'organizzazione del servizio, da esercitare in conformita' dei principi stabiliti dalla legge di riforma delle autonomie locali (sentenze n. 594 del 1990; nn. 1115 e 727 del 1988). Una volta devoluti alle regioni i poteri di gestire i fondi in materia di edilizia residenziale, spetta all'autonomia di esse destinarli, nel loro oggetto e modalita', senza vincoli imposti dallo Stato.» (Corte cost. sentenza n. 393/1992). Piu' recentemente la Corte costituzionale ha rilevato: «Questa Corte (con la sentenza n. 27 del 1996) ha gia' qualificato l'edilizia residenziale pubblica «nuova materia di competenza regionale», precisando che essa ricomprende la disciplina della predisposizione di interventi pubblici di varia natura comunque diretti al fine di provvedere al servizio sociale della provvista degli alloggi a favore dei lavoratori e delle famiglie meno abbienti. Da ultimo, poi, l'art. 60 del d.lgs. n. 112 del 1998 ha conferito alle regioni tutte le funzioni amministrative relative alla gestione e all'attuazione degli interventi in materia di edilizia residenziale pubblica» (sentenza 352/2001). Dunque la materia dell' edilizia residenziale pubblica, e' stata attribuita alle Regioni prima dagli artt. 93 e seguenti del d.P.R. n. 616 del 1977 e poi dall'art. 60 del decreto legislativo n. 112 del 1998, che ha ampliato la sfera delle attribuzioni regionali includendovi anche la gestione e l'attuazione degli interventi, nonche' la fissazione dei criteri per l'assegnazione degli alloggi e la determinazione dei canoni; in tale contesto anche la disciplina degli Istituti autonomi per le case popolari (poi trasferiti nelle aziende di edilizia residenziale pubblica) e' stata attribuita alle regioni. La riforma dell'art. 117 Cost. ha confermato la competenza regionale, in quanto l'edilizia residenziale pubblica non e' compresa tra le funzioni statali ne' in quelle soggette a legislazione concorrente, rientrando pertanto nella competenza residuale regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma Cost. Da cio' deriva che non spetta allo Stato, ma alle regioni dettare norme per disciplinare le procedure semplificate per la dismissione dei beni di proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati. Vero che nella procedura impugnata e' previsto un accordo tra lo Stato e le regioni, ma nelle materie di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost. e' la fonte legislativa regionale legittimata ad intervenire con la disciplina compiuta, senza che a questa possa sostituirsi un decreto statale, nemmeno se preceduto da un accordo con le regioni. Di qui la eccepita violazione dell'art. 117 Cost.
P. Q. M. Si confida che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 24, 26, 198, 202, 280, 281, 286, 287, 291, 322, 366, 369, 483, 486, 491, 597, 598, 599 e 600 della legge 29 dicembre 2005, n. 266 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)», per i motivi indicati nel presente ricorso. Firenze - Roma, addi' 24 febbraio 2006 Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni