RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 Marzo 2005 - 3 Marzo 2005 , n. 28

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 3 marzo 2005 (della Regione Friuli-Venezia Giulia)
(GU n. 11 del 16-3-2005)

Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del
Presidente della Giunta regionale pro tempore Riccardo Illy,
autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 386 del 24
febbraio 2005, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del
presente atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, con
domicilio eletto in Roma presso l'Ufficio di rappresentanza della
Regione, piazza Colonna, 355;

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi
103, 111, 153, 169, 248, 347, 349, 350 e 352 della legge 30 dicembre
2004, n. 311, recante Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005),
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 306 del 31 dicembre 2004 -
Suppl. ord. n. 192, per violazione degli articoli 4, 5, 8, 49 e 63
dello Statuto di. autonomia di cui alla legge cost. n. 1/1963, degli
articoli 3, 117, 118 e 119 della Costituzione, in relazione
all'art. 10, legge cost. n. 3/2001, nonche' dei principi di
proporzionalita' e ragionevolezza, di legalita' sostanziale e di
leale collaborazione.

F a t t o

La legge finanziaria per il 2005 consta di un unico articolo di
572 commi. Nella prospettiva del presente ricorso, vengono in
rilievo:
due norme «isolate», e precisamente il comma 103, che prevede
che dal 2008 le amministrazioni cli cui all'articolo 1, comma 2 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possano, previo ricorso
alla mobilita', assumere personale a tempo indeterminato entro i
limiti delle cessazioni dal servizio verificatesi nell'anno
precedente, ed il comma 169, che prevede che con regolamento siano
fissati dal Ministro della salute le tipologie di assistenza, i
servizi e gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici, di
processo e possibilmente di esito, e quantitativi di cui ai livelli
essenziali di assistenza, sentita la Conferenza Stato-Regioni;
un gruppo di norme che perpetuano la «tradizione» della
istituzione di fondi speciali finalizzati alla erogazione di
finanziainenti in varie materie di competenza regionale: si tratta,
in particolare, del comma 111, che istituisce presso il Ministero
dell'economia e delle finanze un fondo per il sostegno finanziario
all' acquisto di unita' immobiliari da adibire ad abitazione
principale, allo scopo di favorire l'accesso delle giovani coppie
alla prima casa di abitazione; del comma 153, che istituisce
nell'ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali un Fondo
speciale al fine di promuovere le politiche giovanili finalizzate
alla partecipazione dei giovani sul piano culturale e sociale; del
comma 248, che istituisce il Fondo per la promozione delle risorse
rinnovabili, finalizzato al cofinanziamento di studi e ricerche nel
campo ambientale e delle fonti di energia rinnovabile;
un gruppo di norme che modificano la base impositiva e le
aliquote di determinate imposte statali che sono al tempo stesso, per
i meccanismi di compartecipazione previsti dallo Statuto, la
fondamentale forma di finanziamento della Regione, la quale subisce
cosi' una rilevante riduzione di entrate, senza che sia previsto (al
contrario che per lo Stato) alcun meccanismo compensativo. Si tratta,
in particolare: del comma 347, che modifica la disciplina dettata dal
d.lgs. n. 446/1997 in relazione alla determinazione della base
imponibile dell'Irap, in relazione alla decorrenza fissata dal comma
348; del comma 349, che modifica la disciplina dell'imposta sul
reddito (Ire), incidendo sulla base imponibile, e che rimodula le
aliquote; infine, del comma 352, che stabilisce che i contribuenti,
in sede di dichiarazione dei redditi per l'anno 2005, possono
applicare le disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi
in vigore al 31 dicembre 2002 ovvero quelle in vigore al 31 dicembre
2004, se piu' favorevoli.
Tali norme determinano un minor gettito delle imposte in
questione, che ha pesanti riflessi sulla finanza regionale. Infatti,
come si vedra' meglio nella parte in Diritto, una parte importante
delle entrate regionali e' rappresentata dalla compartecipazione a
certe imposte statali, fra le quali l'Ire e l'Irap. Le norme
impugnate appaiono, dunque, illegittime nella parte in cui non
prevedono un adeguato riequilibrio a favore della Regione.
Tutte tali norme sono ad avviso della Regione Friuli-Venezia
Giulia costituzionalmente illegittime e lesive della autonomia
regionale per le seguenti ragioni di

D i r i t t o

1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 103.
Il comma 103 stabilisce che, «a decorrere dall'anno 2008, le
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, e all'articolo 70,
comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni, possono, previo esperimento delle procedure di
mobilita', effettuare assunzioni a tempo indeterminato entro i limiti
delle cessazioni dal servizio verificatesi nell'anno precedente».
La norma ha finalita' di «coordinamento della finanza pubblica»
ma incide, con tutta evidenza, sull'organizzazione amministrativa
della Regione.
Il tema del coordinamento della finanza pubblica e le norme che
limitano le assunzioni da parte delle Regioni sono state oggetto di
diverse sentenze di codesta Corte. In particolare, la sent.
n. 390/2004 ha dichiarato illegittime due norme, contenute nelle
leggi finanziarie per il 2003 e per il 2004, simili per ratio e per
struttura a quella qui impugnata.
Infatti, da un lato l'art. 34, comma 11, della legge 27 dicembre
2002, n. 289, dall'altro l'art. 3, comma 60, della legge 24 dicembre
2003, n. 350, stabilivano con analoga disposizione che le assunzioni
a tempo indeterminato, «devono, comunque, essere contenute... entro
percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal
servizio verificatesi nel corso dell'anno», rispettivamente, 2002 e
2003.
La Corte ha sancito l'illegittimita' costituzionale di questa
norma, in quanto «si tratta... di una disposizione che non si limita
a fissare un principio di coordinamento della finanza pubblica, ma
pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della copertura
delle vacanze verificatesi nel 2002, imponendo che tale copertura non
sia superiore al 50 per cento: precetto che, proprio perche'
specifico e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in una indebita
invasione, da parte della legge statale, dell'area (organizzazione
della propria struttura amministrativa) riservata alle autonomie
regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale puo'
prescrivere criteri (ad esempio, di privilegiare il ricorso alle
procedure di mobilita': sentenza n. 388 del 2004) ed obiettivi (ad
esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel
dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli
obietttvi».
Tale orientamento si era del resto gia' manifestato in diverse
occasioni: cosi', nella sent. n. 376/2003 si era precisato che i
poteri di coordinamento della finanza pubblica «devono essere
configurati in modo consono all'esistenza di sfere di autonomia,
costituzionalmente garantite, rispetto a cui l'azione di
coordinamento non puo' mai eccedere i limiti, al di la' dei quali si
trasformerebbe in attivita' di direzione o in indebito
condizionamento dell'attivita' degli enti autonomi» (punto 3 del
Diritto); nella sent. n. 36/2004 era stato considerato un legittimo
limite posto alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi,
in quanto si trattava di un limite transitorio e «complessivo, che
lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse
fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»; nella sent. 414/2004 si
e' ribadito che «il coordinamento incidente sulla spesa regionale
deve limitarsi a porre i principi ai quali la Regione deve ispirare
la sua condotta finanziaria, lasciando, poi, alla Regione la
statuizione delle regole di dettaglio della condotta medesima».
Il comma 103 qui impugnato, limitando le assunzioni a tempo
indeterminato «entro i limiti delle cessazioni dal servizio
verificatesi nell'anno precedente», pone ugualmente un vincolo
«specifico e puntuale», esorbitando cosi' dai limiti posti al potere
statale di coordinamento della finanza pubblica. Il comma 103,
dunque, viola l'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria
della Regione in materia di organizzazione (art. 4, n. 1, art. 8 ed
artt. 48 ss. della legge cost. n. 1/1963, tenendo anche conto, per
quanto riguarda i limiti di cui all'art. 4, dell'art. 10, legge cost.
n. 3/2001).
Naturalmente, la censura non avrebbe ragione di essere, in
relazione al Friuli-Venezia Giulia, ove la clausola di salvaguardia
di cui all'art. 1, comma 569, legge n. 311/2004 (secondo cui «le
disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a
statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano
compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti») fosse da
intendere nel senso di escludere l'operativita' del comma 103: come
potrebbe ritenersi in base alla considerazione che per le autonomie
speciali «il livello delle spese correnti e in conto capitale,
nonche' dei relativi pagamenti, in coerenza con gli obiettivi di
finanza pubblica per il periodo 2005-2007» sono concordati con le
Regioni e Province autonome interessate, il che renderebbe
ulteriormente irrazionale un vincolo rigido in relazione al
personale.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 111.
Il comma 111 istituisce per l'anno 2005, presso il Ministero
dell'economia e delle finanze, allo scopo di favorire l'accesso delle
giovani coppie alla prima casa di abitazione, «un fondo per il
sostegno finanziario all'acquisto di unita' immobiliari da adibire ad
abitazione principale in regime di edilizia convenzionata da
cooperative edilizie, aziende territoriali di edilizia residenziale
pubbliche ed imprese private». La dotazione finanziaria del predetto
fondo per l'anno 2005 e' fissata in 10 milioni di euro. Si dispone,
poi, che «con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di
concerto con i Ministri delle inifastrutture e dei trasporti e per le
pari opportunita', sono fissati i criteri per l'accesso al fondo e i
limiti di fruizione dei benefici di cui al presente comma».
La norma incide su materie che spettano alla competenza regionale
piena, ex art. 117, comma 4, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3/2001:
le politiche sociali e l'edilizia residenziale pubblica (v., in
relazione allo Statuto, l'art. 5, n. 6 e n. 18). In relazione a
quest'ultima, e' da segnalare che gia' l'art. 60, d.lgs. n. 112/1998
ha conferito alle Regioni «tutte le funzioni amministrative non
espressamente indicate tra quelle mantenute allo Stato ai sensi
dell'articolo 59 e, in particolare, quelle relative: a) alla
determinazione delle linee d'intervento e degli obiettivi nel
settore; b) alla programmazione delle risorse finanziarie destinate
al settore; c) alla gestione e all'attuazione degli interventi,
nonche' alla definizione delle modalita' di incentivazione». In
dottrina, si e' precisato che tali fiznzioni riguardano sia gli
«interventi di diretta realizzazione di alloggi» sia quelli di
«concessione di incentivazioni per la realizzazione o per l'accesso
agli alloggi di edilizia residenziale pubblica» (v. F. Merloni, Art.
60, in AA. VV., Lo Stato autonomista, Bologna 1998, 217).
Se gli interventi volti a favorire l'accesso agli alloggi
spettavano alle Regioni quando la materia rientrava nella loro
competenza concorrente, a maggior ragione deve ritenersi lesiva
l'interferenza statale quando la materia e' di competenza regionale
piena.
D'altronde codesta ecc.ma Corte ha ormai dichiarato piu' volte
l'illegittimita' - oltre che dei fondi a destinazione vincolata da
ripartire fra le Regioni e gli enti locali - dei contributi statali
erogati direttamente a favore dei privati in materie regionali.
Cosi', nella sent. n. 320/2004 si e' chiarito che «il tipo di
ripartizione delle materie fra Stato e Regioni di cui all'art. 117
Cost., vieta comunque che in una materia di competenza legislativa
regionale, in linea generale, si prevedano interventi finanziari
statali seppur destinati a soggetti privati, poiche' cio'
equivarrebbe a riconoscere allo Stato potesta' legislative e
amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle
rispettive competenze» (v. anche le sentt. n. 423/2004, punto 7.6 del
Diritto, n. 424/2004, punto 13 del Diritto, n. 51/2005 e n. 77/2005).
Nella sent. n. 423/2004 si e' anche riconosciuto che «opera, fino
all'attuazione dell'art. 119 della Costituzione, un ulteriore limite
per il legislatore statale, rappresentato dal divieto imposto di
procedere in senso inverso a quanto oggi prescritto dall'art. 119
della Costituzione, e cosi' di sopprimere semplicemente, senza
sostituirli, gli spazi di autonomia gia' riconosciuti dalle leggi
statali in vigore, alle Regioni e agli enti locali, o di procedere a
configurare un sistema finanziario complessivo che contraddica i
principi del medesimo art. 119 (sentenze numeri 320, 241 e 37 del
2004)» (punto 3.3 del Diritto).
E' importante poi sottolineare che sempre la sent. n. 423/2004 ha
dichiarato l'illegittimita' della «destinazione di almeno il 10 per
cento delle risorse del Fondo [nazionale per le politiche sociali] "a
sostegno delle politiche in favore delle famiglie di nuova
costituzione, in particolare per l'acquisto della prima casa di
abitazione e per il sostegno alla natalita», in quanto «tale
disposizione ... pone un preciso vincolo di destinazione
nell'utilizzo delle risorse da assegnare alle Regioni», e «cio' si
pone in contrasto con i criteri e limiti che presiedono all'attuale
sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo art.
119 della Costituzione, che non consentono finanziamenti di scopo per
finalita' non riconducibili a funzioni di spettanza statale».
A maggior ragione, dunque, risulta lesiva la previsione di un
intervento finanziario, nella medesima materia, gestito direttamente
dal Ministero lo Stato, quale risulta dalla norma qui impugnata.
Il comma 111 viola, dunque, l'autonomia legislativa,
amministrativa e finanziaria regionale nelle materie delle politiche
sociali e dell'edilizia residenziale pubblica, nella misura in cui
prevede un fondo statale settoriale anziche' trasferire le relative
risorse alle Regioni e per quanto qui interessa, pro quota, alla
Regione Friuli-Venezia Giulia.
Illegittima e' inoltre la norma che attribuisce un potere
sostanzialmente regolamentare al Ministro per la disciplina della
gestione del Fondo, dato il divieto di regolamenti statali in materie
di competenza regionale (divieto operante da sempre e comunque
codificato da ultimo dall'art. 117, comma 6, Cost., applicabile alla
Regione Friuli-Venezia Giulia ex art. 10, legge cost. n. 3/2001).
Quanto alla necessita' di considerare regolamento un atto
sostanzialmente regolamentare anche se non ne ha il nomen, v. le
sentt. n. 88/2003, punto 3 Diritto, e n. 12/2004.
In subordine, qualora in denegata ipotesi si dovesse stabilire
che sussiste un'esigenza di esercizio unitario per la regolazione e
la gestione dei contributi in questione, il comma 111 sarebbe
comunque illegittimo in quanto non prevede l'intesa con le Regioni al
fine dell'adozione del decreto ministeriale (v. sentt. n. 303/2003 e
n. 6/2004).
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 153.
Il comma 113 dispone che, «nell'ambito del Fondo nazionale per le
politiche sociali di cui all'articolo 59, comma 44, della legge 27
dicembre 1997, n. 449, e' destinata una quota di 500.000 euro per
l'anno 2005 per l'istituzione di un Fondo speciale al fine di
promuovere le politiche giovanili finalizzate alla partecipazione dei
giovani sul piano culturale e sociale nella societa' e nelle
istituzioni, mediante il sostegno della loro capacita' progettuale e
creativa e favorendo il formarsi di nuove realta' associative nonche'
consolidando e rafforzando quelle gia' esistenti».
Anche questa norma si riferisce - come mostra lo stesso
riferimento al corrispondente Fondo - a materia regionale (politiche
sociali). Non e' chiaro se essa preveda un fondo a destinazione
vincolata da ripartire fra le Regioni o un fondo da erogare
direttamente ai privati. In entrambi i casi, la norma risulta
illegittima. Nella sent. n. 423/2004 codesta Corte ha gia' chiarito
che sono costituzionalmente illegittime norme che vincolano somme a
specifiche destinazioni nell'ambito del Fondo nazionale per le
politiche sociali, sia nel caso in cui tali somme siano destinate
alle Regioni (punto 7.3.1 del Diritto, gia' citato nel motivo
precedente) sia nel caso in cui le somme siano destinate
all'erogazione diretta da parte dello Stato ai privati (punto 8.2 del
Diritto).
Chiaramente, quest'ultima ipotesi appare ancora piu' lesiva, in
quanto non solo una parte del Fondo per le politiche sociali viene
vincolata ad una specifica destinazione ma, addirittura, essa
verrebbe sottratta alla ripartizione a favore delle Regioni e gestita
direttamente dallo Stato.
Comunque la si interpreti, la disposizione risulta lesiva
dell'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria regionale in
materia di politiche sociali, materia rientrante nella competenza
piena regionale in virtu' dell'art. 117, comma 4, Cost., in relazione
all'art. 10, legge cost. n. 3/2001. Nel caso la disposizione preveda
un intervento statale diretto e questo fosse ritenuto giustificato da
esigenze di esercizio unitario (in realta' del tutto insussistenti),
il comma 153 violerebbe comunque il principio di leale
collaborazione, per la mancata previsione di un'intesa con le
Regioni.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 248.
Il comma 248 stabilisce che, «al fine di incentivare lo sviluppo
delle energie prodotte da fonti rinnovibili, con particolare
attenzione alle potenzialita' di produzione dell'idrogeno da fonti di
energia solare, eolica, idraulica o geotermica e' istituito, per
l'anno 2005, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e
delle finanze, il Fondo per la promozione delle risorse rinnovabili
con una dotazione finanziaria di 10 milioni di euro». Il Fondo e'
finalizzato «al cofinanziamento di studi e ricerche nel campo
ambientale e delle fonti di energia rinnovabile destinate
all'utilizzo per i mezzi di locomozione e per migliorare la qualita'
ambientale all'interno dei centri urbani».
Sono ammessi al finanziamento «gli studi e le ricerche che
presentino una partecipazione al finanziamento non inferiore alla
meta' del costo totale del singolo progetto di ricerca da parte di
universita', laboratori scientifici, enti o strutture di ricerca
ovvero imprese per il successivo diretto utilizzo industriale e
commerciale dei risultati di tale attivita' di ricerca e
progettuale».
La norma incide su una materia di competenza concorrente
(«ricerca scientifica»). La finalita' della norma attiene anche alla
tutela dell'ambiente ma, in baso al criterio della prevalenza (v.
sentt. n. 370/2003 e 50/2005), pare chiaro che la materia di
riferimento e' la ricerca scientifica. Comunque, la finalita' di
tutela dell'ambiente non esclude la competenza regionale in relazione
alla connessione con le materie di loro sicura competenza, come
codesta Corte ha stabilito a partire dalla sent. n. 407/2002.
Il Fondo non risulta destinato alle Regioni ma all'erogazione
diretta di contributi a favore degli autori dei progetti di ricerca;
verosimilmente, autori saranno soprattutto gli stessi soggetti tenuti
al cofinanziamento (universita', laboratori scientifici, enti o
strutture di ricerca ovvero imprese).
Siamo, dunque, nuovamente di fronte ad un intervento finanziario
diretto statale in materia di competenza regionale,
costituzionalmente illegittimo in base alla giurisprudenza
costituzionale gia' richiamata a proposito del comma 111. Il comma
248 viola la competenza legislativa, amministrativa e finanziaria in
materia di ricerca scientifica (art. 117, comma 3, Cost. e art. 10,
legge cost. n. 3/2001) e, in subordine, in materia ambientale, nella
misura in cui istituisce un fondo settoriale anziche' trasferire pro
quota alla Regione Friuli-Venezia Giulia le relative risorse.
Qualora l'esistenza di un fondo settoriale a gestione centrale
fosse ritenuta giustificata da esigenze di esercizio unitario, il
comma 248 sarebbe comunque illegittimo in quanto non prevede
un'intesa con le Regioni, in contrasto con la sent. n. 303/2003.
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 169.
Il comma 169 statuisce che, «al fine di garantire che l'obiettivo
del raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario da parte
delle regioni sia conseguito nel rispetto della garanzia della tutela
della salute, ferma restando la disciplina dettata dall'articolo 54
della legge 27 dicembre 2002, n. 289, per le prestazioni gia'
definite dal decreto del Presidente del Consiglio del ministri 29
novembre 2001,... anche al fine di garantire che le modalita' di
erogazione delle stesse siano uniformi sul territorio nazionale,
coerentemente con le risorse programmate per il Servizio sanitario
nazionale, con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma
3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, dal Ministro della salute, che si
avvale della commissione di cui all'articolo 4-bis, comma 10, del
decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, sono fissati gli standard
qualitativi, strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di
esito, e quantitativi di cui ai livelli essenziali di assistenza,
sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».
Lo stesso comma aggiunge che «con la medesima procedura sono
individuati le tipologie di assistenza e i servizi, relativi alle
aree di offerta individuate dal vigente Piano sanitario nazionale», e
che «in fase di prima applicazione gli standard sono fissati entro il
30 giugno 2005».
I livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria sono
stati definiti dal d.P.C.m. 29 novembre 2001, ai sensi dell'art. 1,
d.lgs. n. 502/1992 e dell'art. 6, d.l. n. 347/2001, sulla base
dell'Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano, sancito in data 22 novembre 2001 dalla
Conferenza Stato-Regioni.
L'art. 54 della legge n. 289/2002 ha confermato i livelli
essenziali di cui al d.P.C.m. 29 novembre 2001 e ha ribadito il
principio dell'accordo che governa questa materia: infatti, dal comma
3 dell'art. 54 risulta che «la individuazione di prestazioni che non
soddisfino i principi e le condizioni stabiliti dall'articolo 1,
comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e
successive modificazioni, nonche' le modifiche agli allegati
richiamati al comma 2 del presente articolo sono definite con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, di intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano».
Oltre che al principio di leale collaborazione, la determinazione
dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e' soggetta al principio
di legalita' sostanziale. Poiche' tale determinazione vincola
l'autonomia legislativa ed amministrativa regionale in materia di
assistenza sanitaria, l'atto amministrativo che definisce i livelli
deve basarsi su una disciplina di base di rango legislativo, per le
medesime ragioni che assoggettavano al principio di legalita'
sostanziale, nel vigore del vecchio Titolo V, l'adozione degli atti
di indirizzo e coordinamento.
Cio' e' stato confermato dalla sent. n. 88/2003 di codesta Corte,
nella quale, constatato che «l'inserimento nel secondo comma
dell'art. 117 del nuovo Titolo V della Costituzione, fra le materie
di legislazione esclusiva dello Stato, della "determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale"
attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento per
garantire il mantenimento di una adeguata uniformita' di trattamento
sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema
caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale
decisamente accresciuto», si riconosce che «la conseguente forte
incidenza sull'esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle
competenze legislative ed amministrative delle Regioni e delle
Province autonome impone evidentemente che queste scelte, almeno
nelle loro linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che
dovra' inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali
per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si
rendano necessarie nei vari settori».
Ora, la norma qui impugnata prevede, da un lato, la
determinazione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici,
di processo e possibilmente di esito, e quantitativi di cui al
livelli essenziali di assistenza, «anche al fine di garantire che le
modalita' di erogazione delle stesse [prestazioni previste dal
d.P.C.m. 29 novembre 2001] siano uniformi sul territorio
nazionalele», dall'altro prevede che siano «individuati le tipologie
di assistenza e i servizi, relativi alle aree di offerta individuate
dal vigente Piano sanitario nazionale».
Mentre le tipologie di assistenza ed i servizi rientrano
nell'ambito dei LEA, gli «standard qualitativi, strutturali,
tecnologici, di processo e possibilmente di esito, e quantitativi»
attengono, appunto alle «modalita' di erogazione» delle prestazioni
ed eccedono i poteri statali di cui all'art. 117, comma 2, lett. m)
Cost. L'uniformita' voluta dal legislatore costituzionale riguarda i
tipi di prestazioni, cioe' il servizio specifico che la struttura
sanitaria deve garantire in relazione alle varie patologie, ma non le
«modalita' di erogazione» delle prestazioni, le quali non possono che
essere stabilite nell'ambito della propria autonomia dalle Regioni,
ed in questo quadro in parte rientrare nelle stesse scelte
organizzative delle strutture. Richiedere l'uniformita' nelle
modalita' di erogazione delle prestazioni significa annullare
l'autonomia regionale in materia di organizzazione del servizio
sanitario, mentre, al contrario, codesta Corte ha gia' riconosciuto
che, dopo il 2001, l'autonomia regionale in materia di organizzazione
del servizio sanitario e' particolarmente ampia (come del resto
affermato dallo stesso Ministero della salute: v. la circolare n. 1
del 17 gennaio 2002 - doc. 2 - e la sent. n. 510/2002, punto 4
Diritto, che affermano la potesta' priniaria delle Regioni in materia
di organizzazione sanitaria).
Dunque, il comma 169, prima parte, risulta illegittimo, in primo
luogo, in quanto esorbita dai limiti del potere statale di
determinazione dei LEA, invadendo l'autonomia legislativa ed
amministrativa regionale in materia di assistenza sanitaria ed
organizzazione del relativo servizio (artt. 5, n. 16, e 8 Statuto,
art. 117, comma 4, Cost. e art 10, legge cost. n. 3/2001). Si noti
che, al di fuori della competenza in materia di livelli essenziali,
lo stesso uso del potere regolamentare non ha giustificazione
costituzionale.
In ogni modo, se anche fosse ammesso in astratto l'uso del potere
regolamentare, sia la prima che la seconda frase, inoltre,
risulterebbero illegittimi per violazione del principio di legalita'
sostanziale, in quanto la determinazione delle tipologie di
assistenza, dei servizi e degli standard qualitativi, strutturali,
tecnologici, di processo e possibilmente di esito, e quantitativi di
cui al livelli essenziali di assistenza e' demandata al regolamento
ministeriale senza che la legge detti alcuna disciplina di base
idonea a circoscrivere il potere normativo secondario (v. supra e, in
particolare, la sent. n. 88/2003).
E' inoltre violato dal comma 169 il principio di leale
collaborazione, in quanto esso prevede il solo parere della
Conferenza Stato-Regioni, in luogo dell'intesa richiesta dal d.l.
n. 347/2001 e dall'art. 54, legge n. 289/2002. La previsione del solo
parere non risulta sufficiente, data la forte incidenza della
determinazione dei livelli essenziali sull'autonomia regionale in
materia sanitaria e dato che sono proprio le Regioni, attraverso le
ASL, a dover poi garantire l'erogazione delle prestazioni di cui ai
LEA. Ad es., la sent. n. 31/2005 ha stabilito che, per quanto
l'oggetto delle norme in quel caso impugnate «sia riconducibile...
alla materia del "coordinamento informativo statistico e informatico"
di spettanza esclusiva del legislatore statale, lo stesso presenta un
contenuto precettivo idoneo a determinare una forte incidenza
sull'esercizio concreto delle funzioni nella materia
dell'"organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti
locali"», e «cio' rende necessario garantire un piu' incisivo
coinvolgimento di tali enti nella fase di attuazione delle
disposizioni censurate mediante lo strumento dell'intesa»: da qui la
illegittimita' costituzionale della norma impugnata, «nella parte in
cui prevede che sia "sentita la Conferenza unificata" anziche' che si
raggiunga con la stessa Conferenza l'intesa».
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 347, 348,
349, 350 e 352, nella parte in cui essi, modificando le disposizioni
precedentemente vigenti, omettono di prevedere misure compensative
per la Regione, determinando rilevate riduzione delle sue entrate.
a) Le innovazioni recate dalla legge n. 311 del 2004.
Conviene in primo luogo illustrare il contenuto delle
disposizioni qui impugnate, dopo avere premesso che la ricorrente
Regione individua la loro illegittimita' e lesivita' non in un
elemento intrinseco di tali norme, ma nel rapporto che esse hanno con
il finanziamento della Regione, e precisamente nella inopinata e
rilevante riduzione che esse ne determinano, senza accompagnarlo
(come avviene invece per lo Stato) con alcuna misura correttiva: di
modo che la riforma fiscale si traduce in una rilevante riduzione
delle risorse proprie della Regione.
La ricorrente Regione non chiede dunque una declaratoria di
illegittimita' costituzionale delle riduzioni delle imposte dirette,
ma una declaratoria di illegittimita' nella parte in cui la normativa
che le dispone non provvede a riequilibrare le entrate regionali,
come avviene invece per quelle statali.
Il comma 347 modifica la disciplina dettata dal d.lgs.
n. 446/1997 in relazione alla determinazione della base imponibile
dell'Irap. In primo luogo, l'art. 11, comma 1, lett. a) viene
modificato in quanto sono ammessi in deduzione anche «i costi
sostenuti per il personale addetto alla ricerca e sviluppo, ivi
compresi quelli per il predetto personale sostenuti da consorzi tra
imprese costituiti per la realizzazione di programmi comuni
rilasciata dal presidente del collegio sindacale ovvero, in mancanza,
da un revisore dei conti o da un professionista iscritto negli albi
dei revisori dei conti, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e
periti commerciali o dei consulenti del lavoro, nelle forme previste
dall'articolo 13, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79,
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e
successive modificazioni, ovvero dal responsabile del centro di
assistenza fiscale».
Inoltre, vengono aggiunti i commi 4-quarer e 4-quinquies. In base
al primo, «per i soggetti di cui all'articolo 3, conima 1, lettere da
a) ad e), che incrementano il numero di lavoratori dipendenti assunti
con contratto a tempo indeterminato, rispetto al numero dei
lavoratori assunti con il medesimo contratto mediamente occupati nel
periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2004, e' deducibile il
costo del predetto personale per un importo annuale non superiore a
20.000 euro per ciascun nuovo dipendente assunto, e nel limite
dell'incremento complessivo del costo del personale classificabile
nell'articolo 2425, primo comma, lettera b), numeri 9) e 14), del
codice civile». Il comma 4-quinquies aggiunge che «nelle aree
ammissibili alle deroghe previste dall'articolo 87, paragrafo 3,
lettere a) e c), del Trattato che istituisce la Comunita' europea,
individuate dalla Carta italiana degli aiuti a finalita' regionale
per il periodo 2000-2006, l'importo deducibile determinato ai sensi
del comma 4-quater e' raddoppiato».
Il comma 348 precisa che «le disposizioni del comma 347 si
applicano a partire dal periodo d'imposta che inizia successivamente
al 31 dicembre 2004, ad eccezione di quelle della lettera d) [quella
che aggiunge i commi 4-qater e 4-quinquies], che si applicano a
decorrere dal periodo d'imposta in cui interviene l'approvazione da
parte delle Commissione europea ai sensi dell'articolo 88, paragrafo
3, del Trattato istitutivo della Comunita' europea».
Il comma 349 modifica la disciplina dell'imposta sul reddito
(Ire), trasformando le detrazioni per carichi di famiglia in
«deduzioni per oneri di famiglia» e aumentando gli importi deducibili
in misura tale che, anche considerando che la somma non sara' piu'
detratta dall'imposta ma dedotta dall'imponibile, il gettito del
tributo sara' inferiore (v. il nuovo art. 12 - ex 13 - commi 1 e 2
del d.P.R. n. 917/1986). Inoltre, nel nuovo art. 12 e' aggiunto il
comma 4-bis, che consente di dedurre «fino ad un massimo di 1.820
euro, le spese documentate sostenute dal contribuente per gli addetti
alla propria assistenza personale nei casi di non autosufficienza nel
compimento degli atti della vita quotidiana»; le medesime spese «sono
deducibili anche se sono state sostenute nell'interesse delle persone
indicate nell'articolo 433 del codice civile».
Lo stesso comma 349, inoltre, ridefinisce le aliquote, che ora
sono cosi' fissate: fino a 26.000 euro, 23 per cento; oltre 26.000
euro e fino a 33.500 euro, 33 per cento; oltre 33.500 euro, 39 per
cento. In precedenza, le aliquote erano le seguenti: fino a 15.000
euro, 23 per cento; oltre 15,000 euro e fino a 29.000 euro, 29 per
cento; oltre 29.000 euro e fino a 32.600 euro, 31 per cento; oltre
32.600 euro e fino a 70.000 euro, 39 per cento; oltre 70.000 euro, 45
per cento. Ad integrazione va aggiunto che il comma 350 introduce un
contributo di solidarieta' del 4 per cento sulla parte di reddito
imponibile eccedente l'importo di 100.000 euro.
Infine, il comma 352 stabilisce che i contribuenti, in sede di
dichiarazione dei redditi per l'anno 2005, possono applicare le
disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi in vigore al
31 dicembre 2002 ovvero quelle in vigore al 31 dicembre 2004, se piu'
favorevoli.
b) Le riduzioni che ne risultano per la finanza regionale.
L'insieme delle norme appena illustrate determina un minor
gettito delle imposte in questione, che ha rilevanti riflessi sulla
finanza regionale, le cui entrate fondamentali sono rappresentate
dall'IRAP e dalla compartecipazione a certe imposte statali, fra le
quali l'Ire. Va infatti ricordato che, a termini dell'art. 49 dello
Statuto, sono devolute alla Regione, per quanto qui interessa, le
seguenti quote fisse dei sottoindicati proventi dello Stato, riscossi
nel territorio della regione stessa: 1) sei decimi del gettito
dell'imposta sul reddito delle persone fisiche; 2) quattro decimi e
mezzo del gettito dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche;
3) sei decimi del gettito delle ritenute alla fonte di cui agli
artt. 23, 24, 25 e 29 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ed
all'art. 25-bis aggiunto allo stesso decreto del Presidente della
Repubblica con all'art. 2, primo comma, del d.l. 30 dicembre 1982,
n. 953, come modificato con legge di conversione 28 febbraio 1983,
n. 53. L'IRAP compete inoltre alla Regione a termini della legge
n. 446 del 1997.
Che il complesso delle disposizioni sopra indicate della legge
n. 311 del 2004 determini una consistente riduzione del gettito
fiscale e' pacifico, e d'altronde tale conseguenza ne costituisce la
dichiarata ragione d'essere.
Secondo studi previsionali di fonte statale, la riduzione di
gettito che ne deriva per lo Stato puo' essere stimata in una somma
che a regime si aggira, in relazione all'IRE (e relativa
addizionale), sui 6 miliardi di euro, con un importo un po' inferiore
nel primo anno. Per l'IRAP la previsione di riduzione a regime pare
aggirarsi intorno al mezzo miliardo di euro.
Data questa stima, risulta agevole un calcolo, necessariamente
approssimativo, della riduzione di entrata che ne deriva per la
ricorrente Regione. Considerando che, su base storica 2003, la quota
riscossa nella Regione e' pari all'1,69% del gettito IRE (2,52% in
relazione alla addizionale) e al 2,31% del gettito IRAP, ed
applicando a tali quote le percentuali di compartecipazione proprie
della Regione, ne risulta, secondo stime che ci si riserva di meglio
documentare ove occorra, che (prendendo a riferimento le previsioni
per l'anno 2006) la Regione subira' una decurtazione di oltre 65
milioni di euro in relazione all'IRE, di oltre 700.000 euro in
relazione alla relativa addizionale, di oltre 6 milioni di euro in
relazione all'IRAP, per un totale complessivo di quasi 73 milioni di
euro, corrispondenti a circa l'1,5% del totale delle entrate
regionali.
c) Assenza di ogni misura compensativa e sua illegittimita'
costituzionale. Violazione degli articoli 3, comma 1, della
Costituzione e del principio di proporzionalita'. Violazione
dell'art. 63 dello Statuto e del principio di leale collaborazione.
E' ben noto, senza che occorra qui puntualmente soffermarcisi,
che nella stessa legge n. 311 del 2004 numerose misure compensative
sono state introdotte per attenuare l'effetto di riduzione del
gettito fiscale determinato dalle disposizioni illustrate e mantenere
in equilibrio il bilancio statale: bastera' ricordare, a puro titolo
di esempio, quanto disposto dal comma 300 in relazione ag1i «importi
fissi dell'imposta di registro, della tassa di concessione
governativa, dell'imposta di bollo, dell'imposta ipotecaria e
catastale, delle tasse ipotecarie e dei diritti speciali di cui al
titolo III della tabella A allegata al decreto-legge 31 luglio 1954,
n. 533, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1954,
n. 869, e successive modificazioni», i quali sono aumentati «in
misura tale da assicurare un maggiore gettito annuo, pari a 1.120
milioni di euro per gli anni 2005 e 2006, e a 1.320 milioni di euro a
decorrere dall'anno 2007».
In altre parole, per lo Stato la manovra e' fatta di due
componenti: la riduzione delle entrate derivanti dalle imposte
dirette, rivolta a realizzare la riduzione per i cittadini di tale
carico fiscale generale, e con cio' la politica economica del
Governo, l'aumento di numerose imposte indirette, rivolto a garantire
la capacita' di spesa dello Stato, ponendone il peso a carico degli
specifici utilizzatori dei beni o servizi soggetti a tali imposte.
Ma per la Regione Friuli-Venezia Giulia la manovra e' a senso
unico, e si traduce in una pura e semplice riduzione di entrata di
notevole entita', non compensata affatto dall'aumento di imposte al
cui gettito la Regione stessa non partecipa.
Ne risulta violato, in primo luogo, il principio di uguaglianza
(e di proporzionalita) di cui all'art. 3, comma primo, Cost., sia con
riferimento all'uguaglianza tra enti che in relazione all'uguaglianza
tra comunita' territoriali (ed in definitiva tra le persone che le
istituzioni di tale comunita' rappresentano): essendo evidente che
l'istituzione rappresentativa della comunita' regionale del
Friuli-Venezia Giulia «partecipa» al peso della riduzione delle
imposte dirette in misura ben piu' rilevante del resto della
comunita' nazionale. Benche' infatti i cittadini della Regione come
tutti gli altri paghino l'aumento delle imposte indirette rivolto a
riequilibrare il bilancio statale, tale aumento di entrata non si
traduce affatto in un corrispondente aumento della capacita' di spesa
della Regione.
La mancata attribuzione alla Regione di risorse compensative del
minor gettito che ne e' risultata viola altresi' l'art. 63 dello
Statuto e l'insieme delle disposizioni del titolo IV. L'art. 63
prevede, in primo luogo, che sulle proposte di legge costituzionale
di modifica dello Statuto il Consiglio regionale esprima il proprio
parere (comma 3). Esso contiene poi una disposizione specifica per le
disposizioni finanziarie di cui al Titolo IV: queste «possono essere
modificate con leggi ordinarie, su proposta di ciascun membro delle
Camere, del Governo e della Regione» ma, «in ogni caso, sentita la
Regione».
Ora, la ricorrente Regione e' ben consapevole che non si e' qui
di fronte ad una formale modificazione delle disposizioni statutarie,
ma non puo' essere dubbio che l'effetto della riforma equivale in
tutto e per tutto ad una riduzione della quota di partecipazone.
Infatti la riduzione del gettito non e' qui la semplice conseguenza
del ciclo economico, in relazione al quale il gettito puo' essere
maggiore o minore, in condizione di uguaglianza tra tutti coloro che
ne sono destinatari: al contrario, la riduzione e' qui la conseguenza
di una consapevole decisione di governo. La ristrutturazione delle
basi di imposta e delle aliquote, con contemporaneo riequilibrio
delle sole imposte indirette statali, equivale ad una alterazione del
rapporto tra finanza statale e finanza regionale quale fissato
dall'art. 49 dello Statuto. La mancata attivazione di una procedura
di consultazione - che tra l'altro avrebbe consentito di rendere
avvertito il legislatore delle gravi conseguenze che le decisioni
assunte avrebbero prodotto, in assenza di adeguati correttivi -
comporta ad avviso della ricorrente Regione la violazione
dell'art. 63 dello Statuto e del principio di leale collaborazione.
Ancora, risulta violato il principio di corrispondenza tra
entrate e funzioni, implicito nel sistema statutario ed espresso
nell'art. 119, comma quarto, della Costituzione. E' evidente infatti
che la dimensione quantitativa delle entrate regionale era stata
predisposta in correlazione con l'ampiezza delle funzioni proprie
della stessa Regione, e che un «taglio» rilevante delle risorse a sua
disposizione comporta lo squilibrio tra queste e le funzioni,
mettendo a repentaglio per la Regione la possibilita' di assicurare
l'erogazione delle prestazioni nei livelli essenziali prescritti
dalla normativa statale.
Si noti che il principio qui invocato e' stato riconosciuto dallo
stesso legislatore statale all'atto di predisporre l'apposita delega
per la riforma fiscale, di cui alla legge 7 aprile 2003, n. 89.
L'art. 10 di tale legge, dedicato alla Attuazione, raccordi e
copertura finanziaria, espressamente dispone che «fino al
completamento del processo di riforma costituzionale sono garantiti
in termini quantitativi e qualitativi gli attuali meccanismi di
finanza locale e regionale, nel rispetto, per le regioni a statuto
speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, dei
rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione», e che, in
particolare, «la progressiva riduzione dell'IRAP sara' compensata,
d'intesa con le regioni, da trasferimenti o da compartecipazioni, da
attuare nell'ambito degli equilibri di finanza pubblica».
In definitiva, le norme impugnate appaiono illegittime nella
parte in cui non prevedono un adeguato riequilibrio a favore della
Regione, corrispondente a quello attuato a favore del bilancio
statale.

P. Q. M.
Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiarare
costituzionalmente illegittimo l'art. 1, commi 103, 111, 153, 169,
248, 347, 349, 350 e 352 della legge 30 dicembre 2004, n. 311,
recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005), per le parti e
sotto i profili illustrati nel presente ricorso.
Padova, addi' 25 febbraio 2005
Prof. avv. Giandomenico Falcon

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