Ricorso n. 29 del 2 marzo 2010 (Presidente del Consiglio dei ministri)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 marzo 2010 , n. 29
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 2 marzo 2010 (del Presidente del Consiglio dei ministri).
(GU n. 13 del 31-3-2010)
Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, alla via dei Portoghesi, 12, contro la Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente in carica per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge regionale 22 dicembre 2009, n. 24, recante «Legge finanziaria regionale adottata a norma dell'art. 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40 in coincidenza con l'approvazione del bilancio di previsione della regione Emilia Romagna per l'esercizio finanziario 2010 e del bilancio pluriennale 2010-2012», pubblicata nel B.U.R. n. 22 del 24 dicembre 2009, ed in particolare degli artt. 35 e 48. La legge regionale in epigrafe reca numerose disposizioni in materia finanziari ed ordinamentale. In particolare l'art. 35 della stessa reca una modifica alla legge regionale n. 20 del 2006 (legge fmanziaria regionale adottata a norma dell'art. 40, della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40 in coincidenza con l'approvazione del bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 2007 e del bilancio pluriennale 2007-2009), introducendo il comma 3-bis nell'art. 36 di quest'ultima. La nuova disposizione stabilisce che, per le finalita' di cui al citato art. 36 (favorire l'appropriatezza delle prescrizioni farmaceutiche e rispettare il tetto percentuale per la spesa farmaceutica ospedaliera), «la Regione, avvalendosi della Commissione regionale del farmaco, puo' prevedere, in sede di aggiornamento del Prontuario terapeutico regionale, l'uso di farmaci anche al di fuori delle indicazioni registrate nell'autorizzazione all'immissione in commercio (AIC), quando tale estensione consenta, a parita' di efficacia e di sicurezza rispetto a farmaci gia' autorizzati, una significativa riduzione della spesa farmaceutica a carico del Servizio sanitario nazionale e tuteli la liberta' di scelta terapeutica da parte dei professionisti del SSN». L'art. 48 della legge in esame reca, a sua volta, disposizioni in materia di parita' di accesso ai servizi, stabilendo, in sintesi, il riconoscimento ai cittadini di Stati dell'Unione europea del diritto di accedere alla fruizione dei servizi pubblici e privati in condizioni di parita' di trattamento (comma 1); l'assunzione delle nozioni di discriminazione diretta e indiretta previste da alcune direttive europee (comma 2); l'applicabilita' dei diritti generati dalla legislazione regionale in materia di accesso a servizi, azioni ed interventi a persone, famiglie e forme di convivenza di cui all'art. 4 d.P.R. n. 223/1989 (comma 3); l'impegno della Regione, con Enti locali, parti sociali e terzo settore, a promuovere azioni positive per il superamento di condizioni di svantaggio derivanti da pratiche discriminatorie. Conformemente alla deliberazione assunta dal Consiglio dei ministri, nella riunione del 19 febbraio 2010, la legge indicata in epigrafe, con riguardo alle disposizioni citate, viene impugnata per i seguenti M o t i v i I - Quanto all'art. 35 della Lr. 24/2009: Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione e, in subordine, dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione e delle disposizioni fondamentali in materia di uso dei farmaci, in generale e nell'ambito del Servizio sanitario nazionale. 1. - La disposizione contenuta nell'art. 35 della l.r. 24/2009, con la quale e' stato introdotto il citato comma 3-bis nell'art. 36 della l.r. 20/2006, nello stabilire il potere della Regione di prevedere, in sede di aggiornamento del prontuario terapeutico regionale, l'uso di farmaci «anche al di fuori delle indicazioni registrate nell'autorizzazione all'immissione in commercio», nei casi ivi previsti, reca, in sostanza, la possibilita' di utilizzare, nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, un medicinale per indicazioni terapeutiche diverse da quelle prescritte dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) all'atto del rilascio dell'autorizzazione. Cosi' disponendo, la norma eccede, innanzitutto, dalla competenza legislativa regionale, incidendo sui livelli essenziali di assistenza e percio' violando l'art. 117, secondo comma, lett. m), Cost. Come gia' affermato da codesta Corte, «l'erogazione di farmaci rientra nei livelli essenziali di assistenza (L.E.A.) il cui godimento e' assicurato a tutti in condizioni di eguaglianza sul territorio nazionale ... affinche' non si verifichi che in parti di esso gli utenti debbano, in ipotesi, assoggettarsi ad un regime di assistenza sanitaria inferiore, per quantita' e qualita', a quello ritenuto intangibile dallo Stato» ed attiene, pertanto, ad un ambito di esclusiva competenza statale (sentt. 271 del 2008 e 44 del 2010). Tali considerazioni valgono, a maggior ragione, per quanto riguarda l'uso dei farmaci nell'ambito del SSN, in quanto lo stesso costituisce il presupposto per la loro erogazione a carico dello stesso: del resto la disposizione della legge regionale censurata mira in modo evidente ad estendere l'uso di farmaci, al di la' delle indicazioni terapeutiche autorizzate, al precipuo fine di controllare la spesa sanitaria. 2. - Tale uso e', peraltro, regolato da diverse disposizioni di legge statale. Al riguardo dev'essere, in primo luogo, richiamato, l'art. 6 del d.lgs. 24 aprile 2006, n. 219, a mente del quale (comma 1) «Nessun medicinale puo' essere immesso in commercio sul territorio nazionale senza aver ottenuto un'autorizzazione dell'AIFA o un'autorizzazione comunitaria a norma del regolamento (CE) n. 726/2004 in combinato disposto con il regolamento (CE) n. 1394/2007». Il comma 2 della disposizione in questione stabilisce, inoltre, che l'autorizzazione in questione e' ulteriormente necessaria per ogni ulteriore dosaggio, forma farmaceutica, via di somministrazione e presentazione, nonche' per le variazioni ed estensioni, relativi al predetto medicinale. Con riferimento all'uso dei medicinali nell'ambito del SSN, l'art. 1, comma 4, del d.l. 21 ottobre 1996, n. 536, conv. dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648, dispone, a sua volta che «Qualora non esista valida alternativa terapeutica, sono erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale ... i medicinali innovativi la cui commercializzazione e' autorizzata in altri Stati ma non sul territorio nazionale, i medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica e i medicinali da impiegare per un'indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, inseriti in apposito elenco predisposto e periodicamente aggiornato dalla Commissione unica del farmaco conformemente alle procedure ed ai criteri adottati dalla stessa» (sottolineatura aggiunta - N.d.E.). In deroga a tale principio, l'articolo 3, comma 2, del d.l.17 febbraio 1998, n. 3, conv. con modif. dalla legge 8 aprile 1998, n. 4, riconosce al medico, in singoli casi, la possibilita', sotto la propria diretta responsabilita' e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, di «impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un'indicazione o una via di somministrazione o una modalita' di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata ... qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia gia' approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalita' di somministrazione e purche' tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale»; tuttavia, secondo quanto precisato dall'articolo citato, al comma 4, in nessun caso il ricorso a tale facolta' «puo' costituire riconoscimento del diritto del paziente alla erogazione dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale, al di fuori dell'ipotesi disciplinata dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536». Tale prescrizione e' stata, poi, ribadita dall'art. 1, comma 736, lett. z), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, secondo cui la disposizione di cui all'art. 3, comma 2, cit. «non e' applicabile al ricorso a terapie farmacologiche a carico del Servizio sanitario nazionale, che, nell'ambito dei presidi ospedalieri o di altre strutture e interventi sanitari, assuma carattere diffido e sistematico e si configuri, al di fuori delle condizioni di autorizzazione all'immissione in commercio, quale alternativa terapeutica rivolta a pazienti portatori di patologie per le quali risultino autorizzati farmaci recanti specifica indicazione al trattamento. Il ricorso a tali terapie e' consentito solo nell'ambito delle sperimentazioni cliniche dei medicinali di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211, e successive modificazioni». Si noti, peraltro, che tale norma risulta emanata in attuazione del protocollo di intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute «sul quale la Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella riunione del 28 settembre 2006, ha espresso la propria condivisione», come si evince dall'apertura del citato art. 1, comma 796. 3. - Nel prevedere la possibilita' della Regione di estendere l'uso di farmaci nell'ambito del SSN, anche al di fuori delle indicazioni registrate nell'AIC, peraltro per finalita' e con modalita' che, come subito si vedra', travalicano quelle previste dalle citate disposizioni di legge statale, la norma censurata della l.r. emiliana impatta, dunque, negativamente sui LEA, determinando una evidente disparita' di trattamento tra gli assistiti soggetti alle sue disposizioni ed il resto dei fruitori del SSN su scala nazionale, consentendo un evidente decremento del regime di assistenza sanitaria riconosciuto, consistente nell'impiego improprio di medicinali, e invadendo apertamente la competenza statale nella materia disciplinata dall'art. 117, secondo comma, lett. m), Cost. 4. - In via subordinata, nell'ipotesi in cui si ritenesse che la norma in esame possa considerarsi emanata nell'esercizio della competenza legislativa concorrente della Regione in materia di tutela della salute, la stessa disposizione sarebbe comunque illegittima per violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto incidente sulla determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato e assunta in contrasto con le norme della legislazione statale, sopra citate, che tali principi disciplinano. Qualora, infatti, si ritenesse praticabile l'ipotesi in questione, l'attinenza della materia relativa all'uso dei farmaci all'alveo dei principi fondamentali non potrebbe essere messa in discussione, anche alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di codesta Corte fin dalla sentenza n. 282 del 2002, venendo in gioco anche in questa fattispecie «l'appropriatezza» (alla quale, del resto, alludono le stesse finalita' dell'art. 36 della l.r. 20/2006, al cui perseguimento e' informato il comma 3-bis introdotto dalla norma censurata) della pratica terapeutica consistente nell'uso e nella prescrizione del farmaco per scopi che eccedono quelli contenuti nelle indicazioni approvate, sotto il profilo della sua efficacia e dei suoi eventuali effetti dannosi; appropriatezza con riguardo alla quale, come rilevato nella predetta sentenza, spetterebbe senz'altro al legislatore statale stabilire e applicare i relativi criteri di determinazione, sotto il profilo dei principi generali che regolano l'attivita' terapeutica. Le norme-principio della legislazione statale sopra menzionate, peraltro, disciplinano le modalita' e le procedure per l'uso dei farmaci, anche in deroga alle indicazioni approvate, informandosi puntualmente al criterio enunciato dalla giurisprudenza di codesta Corte (v. sent. 185/1998 e la stessa sent. n. 282 cit.), secondo cui la appropriatezza delle pratiche terapeutiche «non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalita' politica dello stesso legislatore, bensi' dovrebbe prevedere l'elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi - di norma nazionali o sovranazionali - a cio' deputati, dato l'"essenziale rilievo" che, a questi fini, rivestono "gli organi tecnico-scientifici"» (sottolineatura aggiunta - N.d.E.). Per tale ragione, nell'assoggettare, come si e' visto, in linea generale, le variazioni delle indicazioni terapeutiche dei farmaci a preventiva autorizzazione (art. 6, co. 2, d.lgs. 219/2006), il legislatore nazionale ammette l'erogazione di medicinali a carico del SSN (e, quindi, a maggior ragione il loro impiego) per un'indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, solo qualora non esista una valida alternativa terapeutica e, comunque, previo inserimento degli stessi in apposito elenco predisposto e periodicamente aggiornato dalla Commissione unica del farmaco, conformemente alle procedure ed ai criteri adottati dalla stessa. La disposizione regionale censurata, oltre ad intervenire nell'ambito normativo riservato alla legislazione statale concorrente, viola completamente i principi suddetti, poiche': a) finalizza la possibilita' di detto impiego alla mera appropriatezza delle prescrizioni farmaceutiche, nonche' al rispetto del tetto percentuale della spesa farmaceutica ospedaliera e, piu' in generale, alla prospettiva di una significativa riduzione della spesa farmaceutica a carico del SSN, senza minimamente tenere conto del piu' stringente criterio della mancanza di valide alternative sul piano curativo, di cui all'art. 1, comma 4, d.l. n. 536/96; b) oblitera completamente le competenze della Commissione unica nazionale - ora Commissione tecnico scientifica dell'AFA -, di tale Agenzia e dei corrispondenti organismi comunitari, nonche' la procedura a seguito della quale, in base alla stessa norma nazionale, l'erogazione puo' avvenire, avocando la scelta dell'uso alternativo del farmaco alla stessa Regione, vale a dire ad un soggetto che, in base ai principi giurisprudenziali citati, e' totalmente estraneo a tale scelta, con il mero avvalimento della Commissione regionale del farmaco, la quale, in ogni caso, non dispone della competenza e della visione scientifica d'insieme che puo' essere riconosciuta ad organismi scientifici nazionali o internazionali. Ne' puo' dirsi rispettosa dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale l'ulteriore condizione alla quale la norma regionale subordina l'uso del farmaco oltre le indicazioni dell'AIA, vale a dire «la liberta' di scelta terapeutica da parte dei professionisti del SSN». Invero, allorche' la legge nazionale consente tale diverso impiego al medico, lo fa subordinando tale circostanza a numerose cautele, delle quali nella norma regionale non vi e' traccia alcuna: l'uso deve avvenire in relazione a singoli casi, previa acquisizione del consenso informato del paziente, con riferimento a medicinali prodotti industrialmente, sancendo che la scelta debba avvenire in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato, con medicinali per quali sia gia' approvata quella indicazione terapeutica e che, comunque, l'impiego prescelto sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale - v. art. 3, comma 2, del d.l. 17 febbraio 1998, n. 3; ovvero, ove si tratti di pratiche diffuse nell'ambito dei presidi ospedalieri o di altre strutture e interventi sanitari, e l'uso del farmaco sia alternativo, a quello di medicinali autorizzati, il ricorso a tali terapie e' consentito solo nell'ambito delle sperimentazioni cliniche dei medicinali di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211, ai sensi dell'art. 1, comma 736, lett. z), legge n. 296/2006. E, in ogni caso, resta sempre escluso che il ricorso a tale facolta' possa risolversi nell'erogazione del farmaco a carico del SSN (art. 3, comma 2, e art. 1, comma 736, lett. z), cit.). Ne consegue la palese illegittimita' della norma censurata anche sotto il profilo della violazione dei principi generali della legislazione statale che regolano la materia. II - Quanto all'art. 48 della 1.r. 24/2009: a) relativamente all'art. 48, comma 1: violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. 1), della Costituzione. 5. - Come si e' osservato in premessa, l'art. 48 della legge regionale impugnata contiene articolate disposizioni in materia di parita' di accesso ai servizi. La disposizione si presta a numerose e diversificate censure di illegittimita' costituzionale, con riferimento ai singoli commi di cui si compone. In particolare, il comma 1 della norma stabilisce che la Regione «riconosce a tutti i cittadini di Stati appartenenti alla Unione europea il diritto di accedere alla fruizione dei servizi pubblici e privati in condizioni di parita' di trattamento e senza discriminazioni, diretta o indiretta, di razza, sesso, lingua, orientamento sessuale, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali». Nel prescrivere il diritto alla fruizione dei servizi privati, senza discriminazioni e in condizioni di parita', la norma stabilisce, evidentemente, il corrispondente obbligo per gli operatori economici privati di non rifiutare la loro prestazione. Si tratta, in sostanza, di un'ipotesi di obbligo legale a contrarre - peraltro gia' previsto in via generale dal legislatore statale all'art. 187 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 (recante «Approvazione del regolamento per l'esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza») - e, in tal modo, come gia' sottolineato per casi analoghi dalla giurisprudenza di codesta Corte, «introduce una disciplina incidente sull'autonomia negoziale dei privati e, quindi, su di una materia riservata, ex art. 117, comma secondo, lett. l), della Costituzione, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato» (sent. n. 253/2006). b) relativamente all'art. 48, comma 2: violazione degli artt. 3, 117, secondo comma, lett. l), e 117, quinto comma, della Costituzione. 6. - Anche il comma 2 dell'articolo in esame, e' illegittimo laddove prescrive che: «la Regione assume le nozioni di discriminazione diretta ed indiretta previste dalle direttive del Consiglio dell'Unione europea 2000/43/CE (Direttiva del Consiglio che attua il principio della parita' di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica), 2000/43/CE (Direttiva del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la parita' di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) e Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunita' e della parita' di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione).» Cosi' disponendo la Regione, recepisce dalla normativa comunitaria la nozione di discriminazione diretta ed indiretta; l'articolo 16, comma 1, della l. statale n. 11/05, tuttavia, consente alle regioni di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie, esclusivamente nelle materie di propria competenza. La Regione, invece, recependo una direttiva in una materia che esula dalla sua competenza, si pone in contrasto con l'articolo 16 della l. n. 11/05 violando l'articolo 117, comma 5, della Costituzione. Il concetto di discriminazione attiene, infatti, alla materia «ordinamento civile», di esclusiva competenza statale, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. l) (che, dunque, risulta anch'esso violato), a cui lo Stato ha dato attuazione anche attraverso il d. lgs. n. 215/03 e con il d. lgs. n. 216/03, restringendo leggermente la nozione di discriminazione contenuta nelle direttive comunitarie succitate. Il divieto di discriminazione e l'eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, trova il suo fondamento nell'articolo 3 della Costituzione. Anche quest'ultimo, laddove pone in capo alla Repubblica l'obbligo di rimuovere ogni ostacolo di ordine economico e sociale che limiti di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, non puo' che riferirsi allo Stato, unico garante su tutto il territorio nazionale di uniformita' e parita' di trattamento. Rimettere alle singole leggi regionali la possibilita' di disciplinare in materia di discriminazione potrebbe comportare il rischio di avere diverse forme di tutela sull'intero territorio nazionale, con evidenti pregiudizi ed ingiustificate difformita' normative. c) relativamente all'art. 48, comma 3: violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. i) ed l), della Costituzione. 7. - Il comma 3 dell'art. 48 impugnato stabilisce che «I diritti generati dalla legislazione regionale nell'accesso ai servizi, alle azioni e agli interventi, si applicano alle singole persone, alle famiglie e alle forme di convivenza di cui all'art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 (Applicazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente).» . Il richiamo alle «forme di convivenza» fa riferimento all'art. 4 del d.P.R. n. 223 del 1989, che, nel definire la «famiglia anagrafica», vi ricomprende anche l'«insieme di persone legate da vincoli affettivi» . A detta definizione, tuttavia, la giurisprudenza attribuisce portata precettiva ai soli fini anagrafici: sia decisioni dei TAR (cfr., ad es., T.a.r. Veneto, Sentenza 27 agosto 2007, n. 2786) che del Consiglio di Stato hanno, infatti, piu' volte stabilito che la nozione di famiglia anagrafica e' ben distinta da quella c.d. di famiglia nucleare o civile, con la conseguenza che i due tipi di famiglia possono anche non coincidere. Tale distinzione concettuale tra famiglia nucleare e famiglia anagrafica e' stata in particolare ribadita dal Consiglio di Stato, Sez. V, (sentenza 13 luglio 1994 n. 770), che ha evidenziato come mentre la famiglia anagrafica e' istituto giuridico esclusivamente finalizzato alla raccolta sistematica dell'insieme delle posizioni relative alle persone che hanno fissato nel Comune la propria residenza (cfr. art. 1 d.P.R. n. 223 del 1989 cit.), la nozione giuridica di famiglia nucleare, ossia componibile da genitori e da figli, risulta presupposta e tutelata nel nostro ordinamento interno dagli artt. 29, 30 e 31 Cost., dagli artt. 144 e 146 c.c. e dall'art. 570 c.p., e - sotto il profilo della necessaria conformazione dell'ordinamento medesimo alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (lo ius gentium richiamato dall'art. 10, primo comma, Cost.) - anche dall'art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dall'art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, nonche' dall'art. 10 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali reso a sua volta esecutivo nell'ordinamento italiano con L. 25 ottobre 1977 n. 881 (in riferimento alla nozione di famiglia cfr. anche CdS, sez. V, sent. n. 6400/2007, e n. 2096/2006). La Regione, invece, invocando il disposto dell'art. 4 del D.P.R. n. 223/89, vorrebbe estendere l'applicazione dei diritti generati dalla legislazione regionale nell'accesso ai servizi, alle azioni e agli interventi oltre che per le singole persone e per le famiglie anche alle altre forme di convivenza, richiamando artificiosamente il concetto di famiglia anagrafica; cosi' disponendo, pero', essa eccede dalla sua competenza, violando l'art. 117, comma 2, lett. i) ed l), della Costituzione, che stabiliscono la competenza esclusiva del legislatore statale nelle materie «cittadinanza, stato civile e anagrafi» e dell'«ordinamento civile». Si rileva, inoltre che la giurisprudenza di codesta la Corte (sent. n. 253/06) ha riconosciuto la possibilita' delle Regioni di prevedere misure di sostegno a favore di determinate categorie di persone nell'ambito delle materie riservate alla propria competenza legislativa. La norma in esame, invece, riconoscendo indistintamente l'applicazione dei diritti generati dalla legislazione regionale nell'accesso ai servizi, alle azioni e agli interventi anche a forme di convivenza diverse dalla famiglia, eccede dalla competenza legislativa regionale, invadendo quella statale e violando le disposizioni costituzionali sopra richiamate. d) relativamente all'art. 48, comma 4: illegittimita' derivata dall'illegittimita' dell'art. 48, comma 1, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione. 8. - Infine il comma 4 della disposizione censurata, nel prevedere la promozione di «azioni positive per il superamento di eventuali condizioni di svantaggio derivanti da pratiche discriminatorie», pur contenendo una norma programmatica priva di immediato rilievo costituzionale, e' strettamente connesso al primo comma e segue di conseguenza l'interpretazione attribuita a quest'ultimo. Conseguentemente risulta costituzionalmente illegittimo per gli stessi motivi che affliggono tale disposizione.
P.Q.M. Sulla base degli esposti motivi, si chiede che, in accoglimento del presente ricorso, codesta ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle norme impugnate della legge regionale della Regione Emilia-Romagna 22 dicembre 2009, n. 24, recante «Legge finanziaria regionale adottata a norma dell'articolo 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40, in coincidenza con l'approvazione del bilancio di previsione della regione Emilia-Romagna per l'esercizio finanziario 2010 e del bilancio pluriennale 2010-2012», pubblicata nel B.U.R. n. 22 del 24 dicembre 2009, ed in particolare degli artt. 35 e 48 della stessa. Roma, addi' 22 febbraio 2010 L'Avvocato dello Stato: Danilo Del Gaizo