Ricorso n. 29 del 3 marzo 2004 (Regione autonoma della Sardegna)
N. 29 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 marzo 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 3 marzo 2004 (della Regione autonoma della Sardegna)
(GU n. 13 del 31-3-2004)
Ricorso della Regione autonoma della Sardegna, in persona del suo
presidente pro tempore on. avv. Italo Masala, giusta deliberazione
del 6 febbraio 2004 n. 4/44 rappresentata e difesa, in virtu' di
procura a margine del presente atto, anche disgiuntamente, dal prof.
avv. Sergio Panunzio del Foro di Roma e dall'avv. Graziano Campus,
direttore generale dell'area legale dell'Ente, elettivamente
domiciliata presso il primo, in Roma, corso Vittorio Emanuele II,
n. 284;
Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente del Consiglio dei ministri in carica, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato e presso la stessa
domicililato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per la dichiarazione
di illegittimita' costituzionale della legge 24 dicembre 2003,
n. 350, recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)».
F a t t o
1. - Anche se la recente riforma del Titolo V della Parte II
della Costituzione non investe direttamente l'autonomia
costituzionale della Regione Sardegna (cfr. art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), per meglio comprendere i
termini della questione di costituzionalita' sollevata con il
presente ricorso e' opportuno ricordare quale sia l'attuale contenuto
della disciplina dell'art. 119 della Costituzione. Tra le materie
oggetto della riforma contenuta nella legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3, la disciplina delle competenze finanziarie e di bilancio
delle regioni e' quella che si lega maggiormente al rinnovato favor
per le ragioni dell'autonomia e del decentramento.
Nel quadro espresso dallo stesso legislatore di revisione
costituzionale con l'art. 5 di detta legge - che ha riscritto
l'art. 119 della Costituzione - emerge chiaramente l'esigenza per
cui, a fronte dell'inversione del catalogo delle competenze
legislative rispetto al testo previgente dell'art. 117 Cost. e della
conseguente titolarita' di un numero maggiore di competenze
normative, vengano attribuite alle regioni maggiori competenze e
«strumenti» in materia finanziaria e di bilancio, oltre che
tributaria, al fine di consentire una piena esplicazione della loro
autonomia, sancita oggi in particolare negli articoli 114, 117 e 119,
Cost.
In particolare, l'art. 119 della Costituzione attribuisce alle
regioni «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» (comma 1)
provvedendo nei commi successivi a disciplinare i modi e le forme di
tale autonomia: sia con riferimento ai tributi e alle entrate proprie
di natura fiscale (comma 2) e ai trasferimenti provenienti dal fondo
perequativo (comma 3) - i quali, unitamente, dovrebbero consentire
alle medesime regioni «di finanziare integralmente le funzioni
pubbliche loro attribuite» (comma 4) -, sia alle risorse aggiuntive e
agli interventi speciali, disposti dallo Stato per finalita'
specifiche o, comunque, per «scopi diversi dal normale esercizio
delle loro funzioni» (comma 5). In un'ottica diversa si pone invece
il sesto comma dello stesso articolo che, senza fissare un
particolare assetto di competenze tra Stato e regioni, e senza
occuparsi minimamente del tema delle entrate di natura fiscale delle
regioni, si limita a fissare alcuni principi in materia di
patrimonio, bilanci pubblici e contabilita', tra cui quello a norma
del quale le regioni (oltre che i comuni, le province e le citta'
metropolitane) «possono ricorrere all'indebitamento solo per
finanziare spese d'investimento. E' esclusa ogni garanzia dello Stato
sui prestiti dagli stessi contratti».
Tale disciplina introdotta dalla legge costituzionale n. 3 del
2001, com'e' noto, si applica, in base all'art. 10 della medesima
legge, anche alle regioni ad autonomia speciale «... per le parti in
cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia'
attribuite».
La disposizione citata dell'ultimo comma dell'art. 119
Costituzione, in particolare, sebbene abbia trovato ingresso nel
testo costituzionale solamente a partire dall'entrata in vigore della
legge costituzionale n. 3/2001, non era estranea all'ordinamento
contabile e di bilancio delle regioni a statuto ordinario, essendo in
primo luogo contenuta gia' nell'art. 10 della legge 16 maggio 1970,
n. 281, concernente «Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle
regioni a statuto ordinario»: a norma di questo articolo «le regioni
possono contrarre mutui ed emettere obbligazioni esclusivamente per
provvedere a spese di investimento nonche' per assumere
partecipazioni in societa' finanziarie regionali cui partecipano
altri enti pubblici ed il cui oggetto rientri nelle materie di cui
all'art. 117 della Costituzione o in quelle delegate ai sensi
dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione».
Ancor prima del 1970, tuttavia, l'esigenza di apprestare una
modalita' attraverso la quale le regioni a statuto speciale potessero
accedere all'autofinanziamento al fine di provvedere alla copertura
di spese d'investimento ha fatto si' che disposizioni di analogo
tenore avessero ingresso anche negli statuti speciali. Ai fini del
presente ricorso viene in evidenza l'art. 11 dello statuto speciale
per la Regione Sardegna (approvato con legge cost. 26 febbraio 1948,
n. 3) a norma del quale «La regione ha facolta' di emettere prestiti
interni da essa esclusivamente garantiti, per provvedere ad
investimenti in opere di carattere permanente, per una cifra annuale
non superiore alle entrate ordinarie» (analogamente v. art. 74 dello
statuto speciale per il Trentino Alto-Adige, approvato con d.P.R. 31
agosto 1972, n. 670; nonche' l'articolo 52 dello statuto speciale
della Regione Friuli Venezia-Giulia, approvato con la legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1). E' pero' anche il caso di
osservare che - in base al suddetto art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001 - la entrata in vigore del sesto comma
dell'art. 119 Cost. ha fatto venire meno la limitazione alle sole
«opere di carattere permanente» e quella relativa alla «cifra annuale
non superiore alle entrate ordinarie» originariamente contenute -
come gia' si e' visto - nell'art. 11 dello statuto speciale per la
Sardegna.
La competenza a dettare norme applicative di questa disposizione
statutaria, recante un istituto che si inserisce a pieno
nell'ordinamento contabile e di bilancio, e' sempre stata
riconosciuta alla regione ricorrente. Proprio in relazione alla
competenza normativa in materia di bilancio e contabilita' regionale,
questa ecc.ma Corte, sin dalla sentenza n. 107 del 1970, ha affermato
che «l'esigenza di riconoscere alla Regione sarda la potesta'
normativa di cui trattasi trova anzitutto fondamento ed e' anzi
necessaria conseguenza dell'autonomia legislativa ad essa attribuita
nelle numerose materie indicate negli articoli 3 e 4 dello statuto.
Il bilancio e la contabilita' non possono infatti essere intesi come
materia a se' stante, ma rappresentano mezzi e strumenti giuridici
indispensabili perche' l'ente regione possa concretamente operare per
il perseguimento dei vari fini assegnatigli. A parte cio' e' poi da
rilevare che la potesta' regionale a dettare le norme in questione
rientra nel precetto statutario contenuto nell'art. 3, lett. a),
relativo all'"ordinamento degli uffici", poiche' e' fuor di dubbio
che in questa espressione va ricompresso il potere di regolare tanto
la composizione, quanto anche le competenze degli organi regionali e
fra queste ultime sono certamente da includere la gestione del
bilancio e l'erogazione delle spese in esso stanziate».
Nell'ordinamento contabile della Regione Sardegna, quindi, a
questa disposizione dello statuto d'autonomia e' stata data
applicazione con l'art. 37 della legge regionale 5 maggio 1983,
n. 11, contenente «Norme in materia di bilancio e contabilita' della
regione» che, nel testo sostituito dall'art. 6, comma 1, della l.r.
29 aprile 2003, n. 3 (a sua volta in parte modificato dall'art. 1,
comma 1, lettera b), della l.r. 22 dicembre 2003, n. 13), elenca in
maniera dettagliata i criteri da rispettare affinche' la regione
possa ricorrere all'autofinanziamento.
In particolare, il comma 1 di detto articolo, «nelle more
dell'adeguamento dell'art. 11 dello statuto della Regione Sardegna ai
principi del combinato disposto degli articoli 5, comma 5, e 10 della
legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, e in applicazione dei medesimi»,
stabilisce le tipologie di investimenti da finanziare col provento
dei mutui e dei prestiti contratti, tra cui rientrano anche «la
concessione ad imprese di incentivi previsti dalla legislazione
regionale». Nei commi 2 e 3 dello stesso articolo, sempre al fine di
disciplinare l'esercizio da parte della regione di tale facolta' in
applicazione dei principi contenuti nella legge cost. n. 3 del 2001,
vengono previsti i contenuti indefettibili che la legge di
autorizzazione del mutuo o del prestito deve indicare (importo
massimo del capitale, tempo minimo del suo ammortamento e tasso
massimo da corrispondere), nonche' il principio per cui le rate
d'ammortamento di tali forme di indebitamento non possono superare,
nel loro complesso, «l'ammontare delle entrate tributarie ed
extratributarie previste nel bilancio dell'anno in corso alla data di
approvazione della legge di autorizzazione del mutuo o del prestito,
che abbiano natura permanente».
Sulla base di tale quadro normativo, la Regione autonoma della
Sardegna ha provveduto, anno per anno, a contrarre obbligazioni di
vario genere al fine di finanziare spese d'investimento rivolte al
perseguimento di varie finalita' (progetti per l'occupazione,
investimenti in attivita' produttive, imprenditoria femminile e
giovanile ecc.), sempre nel rispetto dei criteri fissati dal
succitato art. 37 (cosi', da ultimo, si veda l'art. 1 della l.r. 29
aprile 2003, n. 3 (legge finanziaria regionale 2003) e la tabella C
ivi allegata).
2. - Cio' premesso, si deve ora osservare come su questo assetto
normativo, riflesso di una mai controversa ripartizione delle
rispettive sfere di competenza tra Stato e Regione autonoma della
Sardegna, sia intervenuta da ultimo la legge 24 dicembre 2003, n. 350
(legge finanziaria 2004), la quale, ai commi da 16 a 20 dell'art. 3,
detta nei confronti delle regioni a statuto ordinario una serie di
disposizioni relative ai criteri di individuazione delle nozioni di
«indebitamento» e di «investimento». Il successivo comma 21 del
medesimo art. 3, a sua volta, stabilisce che le disposizioni dei
suddetti commi da 16 a 20 si applicano «ai fini della tutela
dell'unita' economica della Repubblica e nel quadro del coordinamento
della finanza pubblica di cui agli articoli 119 e 120 della
Costituzione», anche alle regioni a statuto speciale ed alle
Provincie autonome di Trento e di Bolzano.
Tale disciplina legislativa e' incostituzionale e gravemente
lesiva delle competenze della Regione autonoma della Sardegna che
pertanto la impugna, per i seguenti motivi di
D i r i t t o
1. - Violazione - da parte dell'art. 3, comma 21, in relazione ai
commi 17, 18 e 19, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 - delle
competenze della Regione autonoma della Sardegna di cui agli articoli
da 3 a 5, 7 e 11 dello Statuto speciale per la Sardegna (legge cost.
26 febbraio 1948, n. 3) e delle relative norme d'attuazione (fra cui
l'art. 3 del d.lgs. 10 aprile 2001, n. 180); nonche' degli articoli
116, 117 (commi 3, 4 e 6), 119 e 120 della Costituzione, anche in
relazione all'art. 10 della legge costituzionale 30 maggio 2003,
n. 1.
1.1. - L'impugnato comma 21 dell'art. 3 della legge n. 350 del
2003 e' incostituzionale, innanzi tutto, nella parte in cui rende
applicabile anche alla Regione autonoma della Sardegna la disciplina
stabilita dai commi 17, 18 e 19 del medesimo art. 3 della legge
finanziaria del 2004.
Infatti tale legge, dopo avere predeterminato rigidamente - con
il comma 17 dell'art. 3 - le tipologie di indebitamento ai sensi e
per gli effetti di cui al sesto comma dell'art. 119 della
Costituzione, al comma 18 dell'art. 3 fissa tassativamente quali
siano le spese che possono considerarsi «di investimento» ai sensi,
ancora, del sesto comma dell'art. 119 della Costituzione. La
individuazione delle fattispecie degli «investimenti» contenuta nel
comma 18, oltre che tassativa, e' particolarmente analitica e
dettagliata ed e' svolta nelle lettere da a) ad i) che compongono il
comma 18. Cosi', per esempio, la lettera a) individua come
investimenti «l'acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la
manutenzione straordinaria di opere e impianti»; la lettera b)
individua «la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il
recupero e la manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti
da fabbricati sia residenziali che non residenziali»; mentre la
lettera d) definisce come investimenti «gli oneri per beni
immateriali ad utilizzo pluriennale»; e la lettera i) «gli interventi
contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici
attuativi, esecutivi, dichiarati di preminente interesse regionale
aventi finalita' pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del
territorio».
A sua volta il successivo comma 19 esclude una ulteriore
fattispeci dagli «investimenti» ex art. 119 ultimo comma, della
Costituzione, stabilendo che «Gli enti e gli organismi di cui al
comma 16 non possono ricorrere all'indebitamento per il finanziamento
di conferimenti rivolti alla ricapitalizzazione di aziende o societa'
finalizzata al ripiano di perdite».
La estensione della applicazione della suddetta disciplina anche
alla regione ricorrente determinerebbe una gravissima compressione
della sua autonomia, poiche' quella disciplina fornisce una
interpretazione oltremodo restrittiva delle spese di investimento,
escludendo fattispecie sino ad oggi previste dalla vigente disciplina
legislativa regionale sarda (v. il gia' citato art. 37 della legge
regionale n. 11 del 1983) e piu' volte utilizzate. Per fare un solo
esempio, nella elencazione del comma 18 dell'art. 3 della legge
finanziaria 2004, qui impugnata, non rientrano le spese derivanti
dalla concessione ad imprese di incentivi previsti dalla legislazione
regionale; spese che sono invece configurate come di investimento
dall'art. 37, comma 1, della citata legge regionale n. 11 del 1983.
Analogamente si ricorda che l'ultima legge finanziaria 2003 della
Regione Sardegna (l.r. 20 aprile 2003, n. 3, art. 1, commi 1 e 2) ha
autorizzato l'amministrazione regionale a contrarre mutui o ad
emettere prestiti obbligazionari per finanziarie una serie di spese,
indicate nella allegata tabella C, diverse delle quali (pur conformi
alla legge regionale) non rientrano pero' nell'elenco stabilito dal
comma 18 dell'art. 3 della qui impugnata legge n. 350 del 2003.
Si noti, poi, che la gravita' delle suddette restrizioni e'
accresciuta dal fatto che, annualmente, i mutui autorizzati in base
alla legge regionale ma non contratti prima della fine dell'esercizio
devono essere rifinanziati al fine di coprire il relativo disavanzo
di amministrazione [cfr. art. 1, comma 1, della legge regionale 20
aprile 2003, n. 3 (Legge finanziaria 2003)]. Quindi, l'incidenza
sulla autonomia regionale della normativa di dettaglio contenuta
nelle disposizioni dell'art. 3, commi 17, 18 e 19 della legge n. 350
del 2003, oltre a impedire il ricorso allo strumento
dell'autofinanziamento per il futuro, preclude al legislatore
regionale anche la possibilita' di rifinanziare mutui autorizzati in
anni precedenti ma, come detto, non contratti.
1.2.1. - Alla luce di quanto si e' esposto, risulta a questo
punto evidente che la disciplina legislativa statale impugnata lede
sotto diversi e concorrenti profili l'autonomia costituzionalmente
garantita della Regione autonoma della Sardegna.
Infatti, in primo luogo ne risulta lesa la competenza esclusiva
legislativa della regione in materia di «Ordinamento degli uffici»
(art. 3, comma 1, lett. a) dello Statuto sardo), nella quale e'
ricompresa - come affermato da codesta ecc.ma Corte nella gia'
ricordata sentenza n. 107 del 1970 - la disciplina del bilancio e
della contabilita' regionali, come pure delle modalita' di copertura
delle spese previste in bilancio.
Trattandosi di materia di competenza esclusiva della Regione
Sardegna (ed oggi anche delle regioni ad autonomia ordinaria ex
art. 117, comma 4, Cost.), nei suoi confronti gli unici limiti
opponibili sono quelli degli obblighi internazionali e dei vincoli
comunitari (art. 3, comma 1, Statuto sardo, ed art. 117, comma 1,
Cost.). Alla stregua della giurisprudenza di codesta eccellentissima
Corte (sentenza n. 274 del 2003) non gli sono infatti piu' opponibili
i limiti dei «principi generali dell'ordinamento giuridico della
Repubblica» (salvo che non siano principi costituzionali), ne' quello
delle «norme fondamentali di riforma economico-sociali della
Repubblica» (ancora art. 3 St.). Ma, come si e' visto, le
disposizioni legislative impugnate contengono una analitica e
dettagliata disciplina della materia di competenza esclusiva della
Regione Sardegna, la quale non puo' trovare giustificazione nei
limiti previsti dallo Statuto per la competenza esclusiva e neanche -
stante la analiticita' della disciplina in questione - nel limite dei
«principi fondamentali della materia» se esso fosse in ipotesi
applicabile in base all'art. 4 dello Statuto sardo (il che non e).
1.2.2. Non solo. Come codesta ecc.ma Corte ha affermato (sent.
n. 107 del 1970, gia' citata), la potesta' legislativa regionale in
materia di contabilita' (oltre che di bilancio) trova il suo
fondamento non soltanto nella competenza di cui alla lettera a)
dell'art. 3 dello Statuto. Infatti tale potesta' «e' necessaria
conseguenza della autonomia legislativa ad essa attribuita nelle
numerose materie indicate negli articoli 3 e 4 dello Statuto. Il
bilancio e la contabilita' non possono infatti essere intesi come
materie a se stante, ma rappresentano mezzi e strumenti giuridici
indispensabili perche' l'ente regione possa concretamente operare per
il perseguimento dei vari fini assegnatigli».
Pertanto la indebita compressione della competenza legislativa
regionale in materia di contabilita', operata dalla disciplina
legislativa statale impugnata, si risolve anche in una limitazione
delle modalita' di esercizio delle attivita' legislative ed
amministrative della regione in tutte le materie costituzionalmente
attribuitele (artt. da 3 a 6 dello statuto di autonomia), e quindi in
una violazione delle relative competenze.
1.3. - In secondo luogo la disciplina legislativa impugnata viola
l'autonomia finanziaria della Regione Sardegna, fondata sugli
articoli 7 ed 11 dello statuto (nonche' sull'art. 119 della
Costituzione nella parte in cui esso possa attribuire alla regione
ricorrente una piu' ampia autonomia finanziaria).
Posto che l'autonomia finanziaria (attribuita in via generale
alla Regione Sardegna dall'art. 7 dello statuto speciale, nonche' -
come si e' detto e per quanto possa occorrere - dall'art. 119 Cost.)
consiste, innanzitutto, nella possibilita' di acquisire risorse
mediante una pluralita' di strumenti, coattivi o non coattivi, e che
fra questi ultimi vi e' soprattutto la possibilita' di
autofinanziarsi reperendo le risorse nel mercato (possibilita'
espressamente prevista e disciplinata dall'articolo 11 dello statuto,
nonche' dall'ultimo comma dell'art. 119 Cost.), e' allora evidente
che la disciplina legislativa statale impugnata, limitando
unilateralmente le ipotesi in presenza delle quali la regione puo'
ricorrere all'autofinanziamento, comprime l'autonomia finanziaria
regionale al di la' dei limiti direttamente derivanti dalle relative
norme costituzionali indicate in rubrica.
1.4. - Infine, la disciplina legislativa statale impugnata viola
anche la potesta' programmatoria della regione ricorrente, fondata
sugli articoli da 3 a 6, e 13 dello statuto sardo e sulle relative
norme d'attuazione (fra cui in particolare art. 3 del decreto
legislativo 10 aprile 2001, n. 180).
L'attribuzione alla Regione Sardegna di un'autonomia finanziaria
i cui contorni sono delineati dall'art. 7 dello statuto di autonomia
e dall'art. 119 della Costituzione (letti congiuntamente e alla luce
dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) riveste una
particolare rilevanza atteso che, come piu' volte affermato da
codesta ecc.ma Corte, detta autonomia finanziaria risulta essere
funzionale non soltanto al normale esercizio delle diverse funzioni
nelle materie in cui la Regione Sardegna competente, ma anche e
soprattutto all'esercizio di quelle attivita' programmatorie relative
all'insieme degli interventi nelle materie di competenza regionale.
Tale attivita' di programmazione, infatti, in quanto consente di
prefigurare in maniera piu' coerente l'insieme degli interventi
regionali nelle varie materie in cui essa e' competente, da corpo
all'autonomia, anche finanziaria, regionale: intervenire su questo
quadro, privando la regione della possibilita' di fare ricorso ad uno
strumento quale quello dell'autofinanziamento per finanziare spese
d'investimento collegate a materie di sua competenza (come, ad
esempio, la politica del lavoro), comprime illegittimamente tale
autonomia programmatoria.
Infatti, secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte, non
soltanto vi e' un «rapporto funzionale» fra l'autonomia finanziaria e
l'attivita' di programmazione, ma vi e' anche un «valore strumentale»
della programmazione (possibile solo laddove le regioni dispongano
effettivamente di risorse) rispetto alla autonomia regionale
complessiva, «considerato che la realizzazione delle attribuzioni
costituzionalmente garantite impone, non soltanto la disponibilita'
effettiva delle risorse, ma anche la capacita' di manovra e i mezzi
finanziari da parte di soggetti che, come le regioni a statuto
speciale [...], si pongono quali punti di riferimento della
programmazione locale» (cosi' la sentenza n. 293 del 1995 (spec.
punti 3.1 e 3.4 della motivazione in diritto), ripresa dalla sent.
n. 381 del 1996. Nei medesimi termini cfr. sentt. n. 98 del 1991,
1111 del 1988).
Pertanto, la limitazione della potesta' programmatoria della
Regione Sardegna, prodotta dalle disposizioni legislative statali
impugnate, comprime illegittimamente la potesta' della regione stessa
a (disciplinare le ed) intervenire nelle materie di sua competenza,
secondo quanto previsto dalle norme dello Statuto di autonomia e
delle relative norme di attuazione, stabilendo programmi
d'intervento. Valga quale esempio il gia' citato art. 3 del d.lgs. 10
aprile 2001, n. 180 (contenente «Norma di attuazione dello Statuto
speciale della Regione Sardegna recante delega di funzioni
amministrative alla regione in materia di lavoro e servizi
all'impiego»), il quale demanda alla regione una serie di funzioni in
materia di politica attiva del lavoro, tra cui la «programmazione e
coordinamento di iniziative volte a incrementare l'occupazione e ad
incentivare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro anche con
riferimento all'occupazione femminile», lett. a); «programmazione e
coordinamento di iniziative volte a favorire l'occupazione degli
iscritti alle liste di collocamento con particolare riferimento ai
soggetti destinatari di riserva di cui all'art. 25 della legge 23
luglio 1991, n. 223», lett. c); «programmazione e coordinamento delle
iniziative finalizzate al reimpiego dei lavoratori posti in mobilita'
e all'inserimento lavorativo di categorie svantaggiate», lett. d).
1.5.1. - L'impugnato art. 21 della legge n. 350 del 2003 afferma,
come si e' detto, che il fondamento (costituzionale) dell'estensione
alle regioni a statuto speciale dell'applicazione dei commi da 16 a
20 consisterebbe nei «... fini della tutela dell'unita' economica
della Repubblica e nel quadro del coordinamento della finanza
pubblica di cui agli articoli 119 e 120 della Costituzione».
Ma, in realta', tale asserito fondamento costituzionale e' del
tutto inconsistente, e quindi non e' idoneo a superare le censure di
incostituzionalita' che si sono gia' formulate in ordine a quella
estensione.
Passiamo ad esaminare le ragioni di cio', iniziando dalla
invocata «unita' economica della Repubblica» di cui al secondo comma
dell'art. 120 della Costituzione.
A questo riguardo, per la verita', non c'e' bisogno di
soffermarci troppo, data la palese inconferenza dell'argomento
addotto dal legislatore.
Infatti e' sufficiente leggere l'art. 120, comma 2, della
Costituzione per rendersi conto che ivi l'unita' economica ha la
funzione di dare fondamento agli interventi «sostitutivi» del Governo
in casi di gravi inadempienze commesse da regioni, provincie, comuni
e citta' metropolitane. Ma il potere sostituivo ivi disciplinato
nulla ha a che fare con l'intervento legislativo di cui al comma 21
dell'art. 3 della legge n. 350 del 2003. Cio' almeno per due ordini
di ragioni. In primo luogo perche' la disciplina stabilita dal citato
comma 21 (cosi' come quella dettata dai commi da 16 a 21, da esso
richiamati) non mira in alcun modo a rimediare ad inadempienze delle
regioni. In secondo luogo perche' il potere sostitutivo di cui
all'art. 120 Cost. e' attribuito al Governo e non al Parlamento.
Esso, dunque, puo' essere esercitato dal Governo con gli atti di sua
competenza, ma non puo' certo essere esercitato tramite una legge del
Parlamento.
A questo proposito si osservi come non sia un caso che il potere
sostitutivo in questione sia stato affidato dalla Costituzione al
Governo: infatti cio' si collega al fatto che l'esercizio del potere
sostitutivo e' considerato come un evento straordinario, in presenza
del quale occorre un intervento tempestivo e puntuale al fine di
rimediare ad un inadempimento degli enti territoriali lesivo dei
preminenti interessi pubblici collegati ai parametri indicati dal
secondo comma dello stesso art. 120 (norme e trattati internazionali,
incolumita' e sicurezza pubblica, ecc.), ed e' quindi naturale che il
relativo potere sia affidato al Governo. In altre parole, il potere
sostitutivo e' esercitato dal Governo perche' gli enti territoriali
inadempienti hanno violato dei limiti, negativi o positivi, alla loro
attivita'; viceversa la disciplina impugnata del comma 21 non ha lo
scopo di reagire in via sostitutiva alla violazione di un limite, ma
invece di stabilire essa stessa il contenuto di un limite
all'attivita' delle regioni.
Ad abundantiam, si puo' infine osservare che la inconferenza del
richiamo operato dalla legge impugnata all'unita' economica ex art.
120, comma 2, Cost. e' evidente per un'altra ragione. Nell'estendere
la disciplina contenuta nei commi da 16 a 20 dell'art. 3 della legge
n. 350 del 2003 anche alle regioni a statuto speciale, infatti, il
successivo comma 21 omette completamente di richiamare la procedura
da seguire affinche' il preteso intervento sostitutivo possa essere
esercitato «nel rispetto del principio di sussidiarieta' e del
principio di leale collaborazione» (secondo quanto prevede
l'art. 120, comma secondo, della Costituzione). Anche volendo
ritenere che la disciplina impugnata sia collegata all'esercizio del
potere sostitutivo (il che, ribadiamo, non e), questo e' comunque
legttimamente esercitabile da parte del Governo (e non, come in
questo caso, dal Parlamento) solamente nel rispetto di una procedura
volta garantire la proporzionalita' dell'intervento e il
contraddittorio con la regione interessata, espressione del principio
di leale collaborazione (cfr., art. 8 della legge 5 giugno 2003,
n. 131; e da ultimo, Corte cost., sentenza n. 43 del 2004). Ma di
tutto cio' nelle dsposizioni legislative statali impugnate non vi e'
la minima traccia.
1.5.2. - Infine, per quanto riguarda ancora l'invocato (dal
ricorrente) art. 120 della Costituzione, e' da aggiungere che se
anche la disciplina del comma 21 impugnato avesse in qualche modo a
che fare con l'esercizio dei poteri di controllo sostitutivo ex art.
120 Cost., egualmente il richiamo a tale disposizione costituzionale
non varrebbe a fondare costituzionalmente la disciplina legislativa
qui impugnata.
Infatti l'art. 120, comma secondo, Cost., cosi' come ogni altra
nuova disposizione costituzionale introdotta dalla legge
costituzionale introdotta dalla legge costituzionale n. 3 del 2001,
e' applicabile alla Regione autonoma della Sardegna in quanto
stabilisca condizioni di autonomia «piu' ampie rispetto a quelle gia'
attribuite» dallo statuto sardo. Ma lo statuto sardo non prevede un
potere sostitutivo dello Stato nei confronti della regione del genere
di quello previsto dal secondo comma dell'art. 120 della
Costituzione, e pertanto l'applicazione alla Sardegna di un siffatto
potere sostitutivo si tradurrebbe in una riduzione dell'autonomia
regionale. Il che non e' consentito dal suddetto art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001.
1.6.1. - Come si e' gia' detto, il legislatore ha cercato di
fondare la estensione della disciplina in questione alle regioni ad
autonomia speciale richiamando, sempre nel comma 21, anche l'art. 119
della Costituzione, ed affermando che quella estensione si
collocherebbe nel quadro del «coordinamento della finanza pubblica»
(di cui appunto al secondo comma dell'art. 119 Cost.). Ma anche tale
pretesa e' in realta' priva di fondamento e non vale quindi a
superare le censure di incostituzionalita' dianzi formulate.
Occorre a questo punto richiamare quanto gia' si era accennato
all'inizio del presente atto a proposito del significato che il
«coordinamento della finanza pubblica» assume nel contesto
complessivo della disciplina dell'art. 119 della Costituzione.
Come gia' si era anticipato - e come e' sostenuto dalla dottrina
(per tutti, F. Gallo, Il nuovo art. 119 della Costituzione e la sua
attuazione, in F. Bassanini e G. Macciotta (a cura di), L'attuazione
del federalismo fiscale, Bologna 2003, p. 167; P. Voci, Per un nuovo
sistema di controlli finanziari sulle autonomie, in I Tribunali
amministrativi regionali 2003, II, p. 29) -, l'art. 119 Cost., dopo
avere al primo comma attribuito alle regioni (nonche' ai comuni, alle
province ed alle citta' metropolitane) l'autonomia finanziaria di
entrata e di spesa, nei successivi commi ne disciplina l'esercizio.
In particolare al comma 2 l'art. 119 disciplina l'autonomia
finanziaria con riferimento ai tributi ed alle entrate proprie di
natura fiscale (tasse, canoni, corrispettivi di pubblici servizi,
ecc.) ed e' solo in relazione a cio' che lo stesso secondo comma
dell'art. 119 prevede l'esistenza di un potere di coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario, ai cui principi le regioni
(e gli altri enti dotati di autonomia finanziaria) debbono
conformarsi. A loro volta il comma 3 prevede l'istituzione del fondo
perequativo; il comma 4 stabilisce che le risorse di cui al secondo e
terzo comma dovrebbero consentire alle regioni di finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite; ed il comma 5
prevede l'attribuzione di risorse aggiuntive ed interventi speciali
dello Stato a favore di regioni ed altri enti determinati.
Come pure si era anticipato, l'oggetto e la finalita' del sesto
comma dell'art. 119 Cost. sono del tutto diversi. Esso, infatti, non
fissa un particolare assetto di competenze tra Stato e regioni, ne'
si occupa minimamente del tema delle entrate tributarie e fiscali
delle regioni. Esso, invece, si limita a stabilire alcure regole
relative al solo «patrimonio» delle regioni (nonche' di comuni,
province e citta' metropolitana), ed in particolare in materia di
bilanci pubblici-contabilita', ponendo il noto principio relativo al
limite dell'autofinanziamento. Limite che, com'e' noto, costituisce
applicazione di un principio fissato in sede comunitaria volto a
contenere l'indebitamento delle pubbliche amministrazioni entro le
somme stanziate per le spese d'investimento.
Dunque, da quanto si e' ora detto, e dalla stessa struttura
dell'art. 119 della Costituzione, si evince chiaramente che il
coordinamento della finanza pubblica cui si riferisce il comma due
dell'art. 119 ha per oggetto soltanto le entrate di regioni ed enti
locali che abbiano natura coattiva; mentre esso non riguarda in alcun
modo la materia dell'autofinanziamento di quegli enti e relative
attivita'.
1.6.2. - Ma vi e' anche un altro motivo per cui il richiamo
contenuto nella legge impugnata all'art. 119 (comma 2) della
Costituzione - come sostituito dall'art. 5 della legge costituzionale
n. 3 del 2001 - non potrebbe superare le censure di
incostituzionalita' dianzi formulate circa il comma 21 dell'art. 3
della legge n. 350 del 2003. Tale motivo consiste nella
inapplicabilita' dell'art. 119 della Costituzione, in parte qua, alla
Regione autonoma della Sardegna.
Infatti, come gia' si e' detto piu' volte, ai sensi dell'art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2003, le disposizioni introdotte
da quella medesima legge - e quindi anche il nuovo testo dell'art.
119 Cost. - si applicano alla Regione autonoma della Sardegna
soltanto nelle parti in cui prevedano forme di autonomia piu' ampie
rispetto a quelle ad essa gia' attribuite.
Per tale motivo si e' gia' detto in precedenza che l'ultimo comma
(secondo periodo) del nuovo art. 119 della Costituzione si applica
anche alla regione ricorrente nella parte in cui fa venire meno il
vincolo originariamente contenuto nell'art. 11 dello statuto sardo,
secondo cui le spese d'investimento correlate all'indebitamento
dovevano necessariamente riguardare «opere di carattere permanente».
Ma, al di la' di questo specifico aspetto, la disciplina
dell'art. 119 Cost. non ha previsto forme di autonomia «piu' ampie»
per la regione ricorrente, specie per quanto riguarda il
coordinamento della finanza pubblica. Da cio' consegue che, per il
resto, la disciplina contenuta nell'art. 119 Cost. non si applica
alla Regione Sardegna, e che il coordinamento della finanza pubblica
ad essa applicabile si fonda sul principio stabilito dall'art. 7
dello statuto sardo («La Regione ha propria finanza, coordinata con
quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarieta'
nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»).
In conclusione, sia il principio del coordinamento della finanza
pubblica della Regione autonoma della Sardegna con quella dello
Stato, sia i modi e limiti di esercizio di tale coordinamento,
trovano la loro disciplina nello Statuto sardo e non nell'art. 119
della Costituzione.
1.7. - Le censure svolte sin qui hanno avuto ad oggetto,
essenzialmente, l'estensione alla regione ricorrente - operata dal
comma 21 dell'art. 3 della legge impugnata - della disciplina dei
commi 18 e 19 dell'art. 3 della legge n. 350 del 2003, che
individuano in modo riduttivo le «spese di investimento».
A questo punto, per completezza, dobbiamo pero' aggiungere che le
medesime censure vengono rivolte con il presente atto anche nei
confronti della estensione - operata dal medesimo comma 21 - della
disciplina contenuta nel comma 17.
Come gia' si era detto all'inizio, il comma 17 elenca in modo
analitico e tassativo le fattispecie di indebitamento che sole
possono ritenersi ammissibili ai sensi dell'ultimo comma dell'art.
119 della Costituzione. Fattispecie che sono individuate (oltre che
in alcure ipotesi di «cartolarizzazioni») essenzialmente nella
«assunzione di mutui» e nella «emissione di prestiti obbligazionari»:
queste e non altre.
Ma in tal modo la disciplina legislativa statale impugnata limita
indebitamente l'autonomia della Regione Sardegna nella scelta degli
strumenti di indebitamento utilizzabili nel mercato. Per esempio,
essa esclude i prestiti non obbligazionari, che sono invece
espressamente previsti dall'art. 37, comma 1, della gia' citata legge
regionale n. 11 del 1983.
Pertanto, valgono anche in relazione alla estensione della
disciplina del comma 17 dell'art. 3 della legge impugnata le medesime
censure gia' dedotte in relazione ai successivi commi 18 e 19 (supra,
punti da 1.1 a 1.4.); e, per le medesime ragioni gia' illustrate in
precedenza (punti da 1.5. a 1.6), tali censure non possono ritenersi
superate dal richiamo fatto dall'impugnato comma 21 agli articoli 119
e 120 della Costituzione.
2. - Violazione da parte dell'art. 3, comma 21, in relazione al
comma 16, della legge n. 350 del 2003 delle competenze della Regione
Sardegna di cui alle norme costituzionali gia' citate, ed in
particolare all'art. 3, comma 1, lett. a) e b), dello statuto
speciale per la Sardegna.
Nella sua disposizione finale il comma 21 dell'art. 3 della legge
impugnata stabilisce che la disciplina contenuta nei precedenti commi
da 16 a 20 si applica non soltanto alle regioni a statuto speciale ed
alle Province a autonome di Trento e di Bolzano, ma altresi' «agli
enti e agli organismi individuati nel comma 16 siti nei loro
territori».
Gli enti «individuati» dal comma 16 sono (oltre alle regioni a
statuto ordinario): in primo luogo, «gli enti locali, le aziende e
gli organismi di cui agli articoli 2, 29 e 172, comma 1, lettera b),
del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267»; ed in secondo luogo le «aziende sanitarie locali ed
ospedaliere» e gli «enti ed organismi di cui all'art. 12 del decreto
legislativo 28 marzo 2000, n. 76». A loro volta gli articoli 2, 29 e
172 del t.u. n. 267 del 2000 si riferiscono agli «enti locali», alle
«comunita' isolane o di arcipelago» (peraltro la relativa
disposizione, espressamente, non si applica alla Sicilia ed alla
Sardegna), «unioni di comuni» nonche' «aziende speciali», «consorzi»,
«istituzioni», e «societa' di capitali costituite per l'esercizio di
servizi pubblici» facenti capo agli enti locali. A questi si
aggiungono gli enti individuati dall'art. 12 del decreto legislativo
n. 76 del 2000, che sono gli «enti» e gli «organismi, in qualunque
forma costituiti, dipendenti dalla regione»; e, ancora una volta, gli
«enti locali».
Da tutto cio' deriva, allora, che le diverse limitazioni al
potere di indebitamento di cui ai commi 17 e 18 dell'art. 3 - la cui
incidenza sulla autonomia finanziaria e sul potere di programmazione
degli interventi di competenza degli enti cui quella disciplina si
riferisce e' gia' stata ampiamente illustrata in precedenza - si
dovrebbero applicare anche agli «enti ed organismi individuati nel
comma 16» che siano «siti nel territorio» della Sardegna (ed
ancorche' si tratti di limitazioni che per questi ultimi enti non
sono previste dalla legge regionale).
D'altra parte, risulta con chiarezza da quanto si e' gia' detto
in precedenza, che, nella Regione autonoma della Sardegna, siffatte
limitazioni nei confronti degli enti dipendenti dalla regione, da un
lato, e, dall'altro, nei confronti degli enti locali e dei diversi
organismi (gia' ricordati) che ad essi fanno capo, rientrano nella
competenza legislativa esclusiva della regione stessa. E
precisamente, per quanto riguarda gli enti dipendenti dalla regione,
nella competenza in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti
amministrativi della regione» (art. 3, comma 1, lett. a) dello
Statuto sardo), che come gia' si e' visto ricomprende anche la
materia della «contabilita' pubblica» (Corte cost., sent. n. 107 del
1970, cit.); e, per quanto riguarda tutti gli altri enti ed organismi
dianzi ricordati, nella competenza esclusiva in materia di
«ordinamento egli enti locali» (art. 3, comma 1, lett. b), dello
Statuto sardo).
Dunque, per concludere sul punto, le disposizioni legislative qui
impugnate (spec. commi 16 e 22 dell'art. 3 della legge n. 350 del
2003), nella parte in cui estendono l'applicazione della disciplina
dei commi 17, 18 e 19 della legge finanziaria del 2004 agli «enti ed
organismi individuati nel comma 16» (dell'art. 3 della legge n. 350)
«siti» nel territorio della Regione Sardegna sono incostituzionali e
lesive delle competenze della regione ricorrente non solo per la
violazione delle norme costituzionali gia' citate nel precedente
motivo (sub n. 1), ma ancor prima per la invasione della competenza
legislativa esclusiva attribuita alla regione ricorrente dalle
lettere a) e b) dell'art. 3, comma 1, dello Statuto sardo.
3. - Violazione, da parte dell'art. 3, comma 21, in relazione al
comma 20 (ed all'ultimo periodo del comma 17), della legge n. 350 del
2003, delle competenze della Regione Sardegna di cui alle norme
costituzionali gia' indicate in precedenza, ed in particolare dei
principi costituzionali sul riparto delle competenze normative dello
Stato e delle regioni, di cui anche al sesto comma dell'art. 117
della Costituzione (e, per quanto possa occorrere, all'art. 10 della
legge costituzionale n. 3 del 2001).
Il comma 20 dell'art. 3 della impugnata legge finanziaria 2004
stabilisce che «Le modifiche alle tipologie di cui ai commi 17 e 18
sono disposte con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze,
sentito l'ISTAT». Probabilmente per un difetto di coordinamento del
testo legislativo, la medesima statuizione e' contenuta nell'ultimo
periodo del precedente comma 17 (che, come si e' visto, contiene la
individuazione di cio' che costituirebbe «indebitamento»), il quale
recita: «Modifiche alle predette tipologie di indebitamento sono
disposte con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze,
sentito l'ISTAT, sulla base dei criteri definiti in sede europea».
Le suddette disposizioni legislative, dunque, attribuiscono al
Ministro dell'economia un potere che e', senza dubbio, un potere
normativo e quindi sostanzialmente regolamentare. Tale natura del
decreto ministeriale in questione risulta, fra l'altro, dal carattere
«innovativo» che la legge attribuisce al decreto. Infatti con tale
decreto e' possibile modificare delle disposizioni (sia pure
«delegificate») dei commi 17 e 18 dell'art. 3 della legge n. 350 del
2003; cioe' quel decreto ha lo scopo di modificare delle norme
dell'ordinamento vigente, innovandolo. Dunque si tratta di un atto
normativo di natura regolamentare.
E' ben noto, tuttavia, che nelle materie di competenza regionale
lo Stato non puo' emanare regolamenti (ne' puo' ricorrere allo
strumento della delegificazione): si tratta di un principio presente
nel nostro sistema costituzionale gia' prima della riforma del Titolo
V della Parte II della Costituzione operata dalla legge
costituzionale n. 3 del 2001 (da ultimo sentenza Corte cost. n. 302
del 2003). Oggi tale principio e' espressamente stabilito dal sesto
comma del nuovo art. 117 della Costituzione, il quale recita: «La
potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle materie di
legislazione esclusiva, salvo delega alle regioni».
Pertanto le disposizioni legislative impugnate (comma 17, ultimo
periodo, e comma 20 dell'art. 3 della legge n. 350 del 2003),
attribuendo un potere regolamentare in una materia che - come si e'
gia' visto - appartiene alla competenza legislativa della regione
ricorrente, e' palesemente incostituzionale. Tale incostituzionalita'
e' poi ancora piu' evidente per il fatto che, anche in base al
disposto del sesto comma dell'art. 117 della Costituzione, essa
sussisterebbe pur se la competenza costituzionalmente attribuita alla
regione in materia fosse, anziche' esclusiva, soltanto concorrente.
P. Q. M.
Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del
presente ricorso dichiarare incostituzionale, in parte qua, l'art. 3,
comma 22, in relazione ai commi da 16 a 20, della legge 24 dicembre
2003, n. 350, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)»
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 2003, n. 299,
S.O.).
Roma-Cagliari, addi' 20 febbraio 2004
Avv. prof. Sergio Panunzio - avv. Graziano Campus